11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

giovedì 30 novembre 2017

2385


Raggiunto un angolo dell’ampio edificio abbandonato dalle persone comuni e, in questo, occupato dal popolo degli emarginati, all’interno del quale si erano ritrovati, Midda Bontor si distaccò dai bambini solo nel momento in cui, trovata una nicchia entro la quale proteggerli, fu sufficientemente confidente con il fatto che, lì dentro, essi avrebbero potuto avere una certa possibilità di riparo. Il fatto, poi, che tale nicchia fosse dotata anche di una comoda porta di emergenza, una via d’uscita, allora sbarrata, ma attraverso la quale, all’occasione, i due bambini avrebbero potuto riprendere la loro folle corsa per la salvezza, rese quel punto di riparo, quel ricovero, qual sostanzialmente perfetto per le loro necessità, soprattutto nel momento in cui, dopo averli appoggiati a terra, ella ebbe a scagliare un devastante colpo, con il proprio pugno destro, in cromato metallo, contro le assi di legno preposte a interdire il passaggio attraverso quella via: legno che, pertanto, ebbe letteralmente a esplodere, in conseguenza della violenza di quell’unico colpo, sbriciolandosi in un’infinità di schegge e lasciando libero il passaggio per i pargoli, laddove essi ne avessero avuto l’esigenza.
Un gesto, il suo, che avrebbe potuto essere frainteso da parte dei piccoli, quasi un invito a quel distacco da lei, pocanzi, escluso dalle sue stesse parole, e che, con un nuovo, rapido intervento, ella volle chiarire, a non permettere alcun genere di incomprensione fra loro…

« Restate qui. » ordinò, pertanto, ai due bambini, nel riferirsi alla nicchia e, in essa, nel confinare, verbalmente, le loro opportunità di movimento, al di là della via loro aperta alle spalle « Io non mi allontanerò da voi. » lì rassicurò, nuovamente « Ma nel caso in cui doveste vedermi cadere a terra, come è accaduto qualche ora fa, dovrete ancora fuggire, iniziando a correre come avete dimostrato di saper fare benissimo… senza mai fermarvi. »
« Ma… » esitò Liagu, evidentemente non comprendendo come, quell’ultimo invito, potesse riuscire a trovare il proprio giusto ruolo nel confronto con la promessa da lei espressa, quell’impegno a non lasciarli, o, per lo meno, qual tale era apparso alla sua attenzione.
« Vi ho ritrovati una volta. Vi ritroverò sempre. » garantì la donna, scuotendo appena il capo a interrompere quell’intervento, non potendo permettere a quella loro chiacchierata di protrarsi eccessivamente, non laddove, alle sue spalle, nel era perfettamente consapevole, gli uomini in nero stavano tornando ad avvicinarsi, per riprendere il discorso dal quale ella aveva voluto allontanarsi « Sempre. »

Detto questo, in un gesto che per Diciannove-Cinquantadue e Diciannove-Cinquantotto avrebbe avuto a dover essere considerato totalmente sconosciuto, estraneo a qualunque possibilità di comprensione e interpretazione nelle proprie ragioni, e che, tuttavia, ebbe occasione di risvegliare nuovi ricordi, nuove felici memorie nelle menti di Tagae e Liagu, in riferimento a quel passato loro cancellato dalla mente durante la permanenza all’interno dell’edificio dalle pareti bianche; Midda Bontor si spinse, rapidamente, fugacemente, a schioccare due baci sulle loro fronti, quasi, in tal maniera, qualsiasi male avrebbe potuto essere scongiurato, qualsiasi pericolo avrebbe potuto essere esorcizzato o, forse, quasi a sigillo del proprio impegno nei riguardi di quei due bambini.
E prima ancora che, dalla reminiscenza di quella vita passata, di quell’epoca felice e pur dimenticata della propria esistenza, i due bambini potessero avere occasione di apprezzare quel gesto, di comprenderlo e, in ciò, di valorizzarlo per quanto avrebbe avuto a dover essere; la loro custode, la loro protettrice si era già allontanata, di pochi passi, da loro, per proiettarsi, con straordinaria foga, e devastante impeto, contro la minaccia che, ormai a troppi pochi piedi da quell’estemporaneo rifugio, avrebbe potuto porre in dubbio la loro libertà, la loro tanto faticosamente conquistata autodeterminazione. E in netto contrasto, in straordinaria antitesi, a quella materna delicatezza con la quale, un attimo prima, ella si era impegnata a prendersi cura di quei due pargoli, a coccolarli con quel rapido e pur sinceramente tenero bacio; Midda ebbe allora a esprimere una violenza a dir poco disumana, una furia priva d’eguali, in contrasto a tutti coloro che avrebbero potuto minacciare i suoi protetti, i suoi piccoli, sostituendo la delicatezza e la tenerezza pocanzi dimostrata, con il vigore di colpi scagliati con il solo scopo di uccidere, con la gelida determinazione di gesti mossi nell’unico intento di eliminare chiunque innanzi a sé.
In tal maniera, a pochi piedi dal rifugio di Tagae e Liagu, e sotto il loro sguardo al tempo stesso confuso e, tuttavia, meno spaventato di quello che avrebbe potuto essere, laddove entrambi affidatisi, allora, con assoluta sincerità, con totale dedizione a quella donna, in termini tali per cui nulla di quanto ella avrebbe potuto compiere, e compiere chiaramente in loro difesa, avrebbe potuto spaventarli; la donna guerriero ebbe a rivelare un altro aspetto di sé, un aspetto con il quale, in verità, gli uomini in nero avrebbero avuto a poter già vantare una certa, tragica confidenza, ma con il quale, altresì, i due bambini avevano avuto soltanto una moderata opportunità di confronto diverse ore prima, quand’ella, per la prima volta, era entrata nelle loro esistenze. Ma se quella mattina, in un concetto altresì relativo in quel mondo privo di notte come conseguenza della presenza di ben due soli nel cielo, ella aveva trattenuto la violenza dei propri attacchi, laddove esposta al pubblico, laddove non desiderosa di attrarre l’attenzione delle forze dell’ordine guadagnandosi qualche nuova condannata, limitandosi a contundere e a ferire, superficialmente, le proprie controparti; in quella sera, qual idealmente avrebbe potuto essere considerata, ella non avrebbe avuto più alcuna ragione utile a frenarsi, alcuna motivazione concreta per trattenersi, non, soprattutto, laddove una sua pur minima esitazione avrebbe potuto costare non soltanto la libertà dei due bambini ma, anche, le vite di tutti coloro che, in quel frangente, stavano già combattendo, e, proprio malgrado, morendo, in loro difesa, in loro soccorso.
E così, vicino allo sguardo di Tagae e Liagu, ma, fortunatamente, lontana da quelli di qualunque altro sistema di sorveglianza, a fronte del quale ella avrebbe potuto essere imputata e condannata per le proprie azioni; quanto ebbe lì a riemergere non fu, semplicemente, lo spirito di una donna guerriero, ma quella furia straordinaria e disumana in grazia alla quale, molti, troppi anni prima, in un altro mondo, in un’altra vita, ella si era guadagnata il titolo di Figlia di Marr’Mahew, dea della guerra nel pantheon locale del tranquillo popolo di un arcipelago, un’isola del quale era stata presa d’assalto da un crudele gruppo di spietati pirati nel momento in cui, trascinata semisvenuta dalle correnti a seguito di altre e più complesse vicende, ella era lì sopraggiunta, estemporaneamente dimentica persino del proprio stesso nome, ma non della capacità di combattere, non della capacità di uccidere, che, allora, si era espressa nel pieno del proprio terribile splendore vedendola affrontare, pressoché nuda, quei pirati, quelle dozzine di pirati, armata soltanto di una meravigliosa spada bastarda e di un martello da fabbro, e non lasciandone sopravvivere neppure uno. Quell’aspetto di lei, quella sua micidiale perizia nell’arte della guerra, nel suo mondo d’origine le era valsa decine di nomi, decine di titoli, nessuno dei quali, tuttavia, le era rimasto tanto legato qual quello, Figlia di Marr’Mahew, espressione sintetica, e ciò non di meno straordinariamente completa, di quanto ella avrebbe avuto a dover essere temuta nella propria furia, nella propria ira, nella propria eventuale partecipazione a un qualsivoglia genere di conflitto.
Pur, quindi, priva della propria consueta spada, di quella fedele compagna di viaggio con la quale nel corso dell’ultimo decennio della propria vita ella si era sempre accompagnata in tutte le proprie avventure, in tutte le proprie battaglie, contro uomini, mostri e dei; pur, in tal frangente, equipaggiata soltanto con corte lame e con, da non minimizzare nel proprio straordinario valore, quell’arto destro in metallo cromato, contraddistinto da un potere ineguagliabile; in quel momento, in quell’edificio abbandonato, innanzi a quell’esercito di uomini e donne, umani e chimere, vestiti di nero e oltremisura armati, la Figlia di Marr’Mahew ebbe occasione di tornare a dimostrare le solide e sanguinarie ragioni alla base del proprio stesso mito, quelle motivazioni per le quali, senza alcuna immeritata enfasi, senza alcuna infondata retorica, ella avrebbe avuto a dover essere riconosciuta, in ogni mondo, in ogni contesto, qual nulla di meno di una vera e propria leggenda vivente. Una leggenda che, lì, in quel luogo, in quel momento, avrebbe lasciato la propria firma impressa nel sangue di tutti coloro che, per sua mano, sarebbero caduti.

mercoledì 29 novembre 2017

2384


« Non ci lasciare… » sussurrò, tuttavia, Liagu, non desiderando separarsi nuovamente da lei, non volendo essere lasciata nuovamente sola, con suo fratello, nel confronto con quel mondo, quel mondo in ogni istante declinato in una nuova, e più folle, immagine di assurda violenza, qual quella che, anche in quel momento, stava chiaramente imperversando attorno a loro.
« Non intendo lasciarvi, piccola mia. » scosse tuttavia il capo la donna, per tutta risposta, continuando a muoversi nella confusione di quella battaglia stringendosi a sé, e cercando un qualche angolo entro il quale poter sperare di offrire loro riparo « Non hai idea di cosa non abbia dovuto passare per ritrovarvi e, francamente, l’ultima cosa che potrei desiderare in questo momento è quella di lasciarvi. » sottolineò, a meglio argomentare la propria posizione « Tuttavia non posso restarmene ferma a guardare quanto sta accadendo: devo aiutare i nostri nuovi amici, che stanno combattendo per tutti noi. E, per farlo, devo essere però sicura che voi siate al riparo o non potrò impegnarmi al meglio delle mie possibilità… »

A tentare, allora, di impedirle tuttavia l’attuazione di quel proposito, davanti a lei apparvero, quasi dal nulla, due uomini in nero, in effetti, per amor del dettaglio, una donna umana e un uomo ofidiano, un rettile umanoide, entrambi vestiti di nero, e con le armi spianate per imporre loro di arrestare la propria corsa, per ordinare a quella donna guerriero, anche in assenza del ricorso a qualunque verbo, di arrestare i propri passi e di arrendersi, pena qualche nuova dolorosa conseguenza delle loro armi, il non piacere delle quali aveva già avuto modo di apprezzare solo qualche ora prima. E se, pur, quel tentativo avrebbe avuto a dover essere riconosciuto qual potenzialmente fruttuoso da parte loro, o, quantomeno, potenzialmente tale nel confronto con chiunque altro; essi, evidentemente, non avevano ancora preso in giusta considerazione l’identità della propria controparte, la natura di quella donna dagli occhi color ghiaccio e dai capelli color del fuoco… una natura che, difficilmente, avrebbe accettato l’idea stessa della resa in termini così banali qual, essi, allora, stavano richiedendo.
Così, benché intenta, con le proprie braccia, a stringere a sé i due bambini, custodendoli con premura contro il proprio materno petto, Midda Bontor si riservò comunque il tempo di agire, e di agire nella consapevolezza di quanto, allora, l’impegno dimostrato dagli uomini in nero in funzione del recupero di quei due pargoli avesse a dover essere riconosciuto qual eccessivo per potersi, allora, permettere troppo banalmente di rischiare le loro stesse vite per un inutile eccesso di foga guerriera. Forte di tale idea, quindi, ella non arrestò il proprio cammino e, anzi, proseguì coprendo rapidamente i pochi piedi di spazio che la separavano dalla coppia di potenziali assassini schierati innanzi a lei, soltanto per avere occasione di arrivare a elevarsi in un salto, andando ad appoggiare, con straordinaria precisione e grazia, il proprio piede destro sulla coscia dell’ofidiano, posizionato innanzi a lei sul fronte mancino, e, in merito a tale punto d’appoggio, rapidamente proiettarsi nuovamente più in alto, esattamente fra i due, riservandosi sufficiente spinta non tanto per superarli, così come avrebbe pur potuto allor ipotizzare di compiere, quanto per roteare fra loro e, in tal rotazione, spingere la propria gamba sinistra a colpire prima l’una e, subito dopo, in grazia al contraccolpo, tornare all’altro, andando a imporre il proprio ginocchio, immediatamente, dietro la nuca della donna e, un battito di ciglia dopo, il proprio tallone contro la tempia sinistra dell’uomo, prima di tornare a toccare il suolo e, senza neppur verificare l’esito del proprio attacco, proseguire nella propria corsa. Un’azione, la sua, che pur senza potersi riservare opportunità, allora, di risultare letale per alcuno dei due suo antagonisti, ebbe a imporre tuttavia loro un’immediata perdita di coscienza, con una subitaneità tale da sorprendere, obiettivamente, non soltanto gli stessi, che neppure ebbero effettivamente il tempo di comprendere quanto stesse loro accadendo, ma anche i due bambini sorretti fra lei sue braccia che, pur inconsapevoli, nell’immediato, della minaccia che era stata loro imposta, non appena furono passati oltre, in grazia a quello straordinario salto, ebbero a intuire fosse appena accaduto qualcosa, e qualcosa per il quale avrebbero avuto a dover ringraziare la loro protettrice.

« Proteggerò io Liagu. » dichiarò, allora, Tagae, da bravo fratello, raccogliendo tutto il proprio coraggio, tutta la propria forza, che pur, in quell’interminabile giornata aveva avuto più occasioni di comprovare, per rassicurare non tanto la diretta interessata quanto, e ancor più, la stessa Midda di quanto, loro due, non sarebbero stati in pericolo, ovunque ella avesse deciso di lasciarli « L’importante è che tu riesca a tornare da noi, alla fine di tutto questo. »
« Tagae… Liagu… » riprese ella la parola, con tono serio, non volendo che le proprie parole potessero essere contraddistinte da alcuna patina di falso buonismo nel rivolgersi loro, consapevole di quanto, altrimenti, essi avrebbero colto simile deriva e avrebbero potuto riservare, alle sue parole, minor valore di quanto esse avrebbero altresì voluto rendere proprio « So che non abbiamo ancora avuto occasione di conoscerci a sufficienza affinché voi possiate avere fiducia in quanto sto per dirvi… ma, credetemi, io non sono quel genere di persona che parla a vanvera e promette cose in cui non crede realmente, e per le quali non si impegnerà, e non si impegnerà fino al proprio ultimo respiro, se dovesse essere necessario. » premesse, in una quanto più possibile sincera rappresentazione di sé.

Prima che, comunque, quanto ella potesse loro desiderare esprimere avesse il tempo di essere comunicato, un altro uomo in nero ebbe a tentare di gettarsi loro addosso, in questa occasione non sprecando il proprio tempo a tentare di arrestarli con la, probabilmente vana, minaccia di un’arma che non avrebbe ancora potuto adoperare in contrasto ai due bambini, quanto e piuttosto con un approccio estremamente più diretto, più brutale, rendendo complice, in ciò, una mole decisamente superiore a quella della donna, in un rapporto quasi di due volte a una, e tentando, semplicemente, di travolgerli con il proprio stesso corpo e di afferrarli, di stringerli tutti e tre, insieme, a sé, in quella che sarebbe allor stato un abbraccio decisamente meno piacevole, meno protettivo di quello offerto da lei nei confronti dei due piccoli, in una morsa dalla quale, allora, non soltanto non avrebbero avuto possibilità di fuga ma entro la quale, ancor peggio, avrebbero allora veduto dissiparsi tutti i propri sogni di libertà, di autodeterminazione, per perseguire i quali tanto impegno, sino a quel momento, era stato speso.
Individuato, tuttavia, per tempo da parte della donna guerriero, quell’uomo in nero ebbe a doversi necessariamente sorprendere per la maniera con la quale ella ebbe a voler, allora, reagire alla sua carica, al suo brutale approccio, non tentando di arrestare il proprio cammino o di deviarne la traiettoria, consapevole di come, purtroppo, non le sarebbe stata offerta alcuna possibilità in tal senso, in tempi ormai troppo stretti per potersi riservare una simile opportunità; non tentando di opporsi a quella carica, a quel brutale attacco in contrasto al quale, senza neppure l’ausilio delle proprie braccia, o di una qualche arma, improbabile, se non impossibile, sarebbe stato allor presumere di poter offrire una qualsivoglia possibilità di reazione; quanto, e più straordinariamente, riuscendo a ritorcergli contro tutta la propria stessa foga, tutto quell’impeto, nel limitarsi, banalmente e all’ultimo momento, all’ultimo istante utile, a spingersi al suolo, quasi raggomitolandosi attorno ai due pargoli, per continuare a proteggerli con il proprio  corpo, a e lui limitarsi a offrire la propria schiena, schiena contro la quale egli non poté che andare a impattare e che, nel momento stesso dell’impatto, con una straordinaria dimostrazione di vigore, di forza fisica, ella ebbe nuovamente a sollevare, e a sollevare allo scopo di incanalare l’energia cinetica da lui accumulata sino a quel momento per reindirizzarla alle proprie spalle, dietro di sé, insieme al corpo di lui che, per effetto di una tale leva, ebbe a essere proiettato violentemente al suolo, lì ricadendo intontito e confuso nel mentre in cui le sue potenziali vittime avevano già ripreso la propria corsa.

« Liagu… Tagae… » riprese ella a parlare, quasi nulla fosse accaduto, rivolgendosi ancora ai due pargoli da lei tanto straordinariamente protetti « Io vi prometto che, qualunque cosa accada, riuscirò sempre a tornare da voi. Sempre. » sancì, in una promessa, in un voto, in un giuramento la serietà del quale, nel proprio tono, nella propria voce, ebbe a vibrare palpabile e incontrovertibile, anche all’attenzione dei due bambini ai quali, ciò, era stato rivolto.

martedì 28 novembre 2017

2383


Il primo colpo a essere menato e il primo sangue a essere versato ebbero a doversi riconoscere, entrambi, sul medesimo schieramento, quello a difesa di Tagae e Liagu.
Fu un giovane esponente della specie feriniana, un ragazzo forse neppur ventenne dalle fattezze feline e, proprio malgrado, dalle fattezze di un gatto randagio, pesto e malnutrito, il primo a insorgere in contrasto alla prepotenza e all’arroganza degli uomini in nero, balzando verso un esponente di tale gruppo armato di una spranga e, chiaramente, deciso a utilizzarla, a impiegarla allo scopo di imporre la forza della propria indignazione a discapito della prepotente arroganza di quel gruppo. E per tutta risposta, colui che avrebbe avuto a dover subire tale attacco, simile aggressione, reagì aprendo il fuoco con un’arma al plasma, e aprendo il fuoco a distanza tanto ravvicinata da incenerire, all’istante, quasi l’intero torace del giovane feriniano, che si ritrovò a essere morto forse senza neppure maturarne reale consapevolezza, ricadendo al suolo inerme, ridotto a nulla più di una bambola di pezza rotta.
Un’offensiva e una reazione, quelle in tal maniera appena avvenute, così rapide, nella propria occorrenza e nella propria alternanza, che non poterono che attrarre a sé l’attenzione di tutti, distogliendola fugacemente dal confronto, sino allora solo verbale, fra Midda Bontor e il suo ancor anonimo interlocutore, pretendendo necessariamente che tutti gli sguardi, tutta l’attenzione di chiunque lì presente volgesse in tal direzione, in quel senso. E se, per un effimero istante, l’orrore dell’accaduto, nella propria inaspettata occorrenza, fece trasalire chiunque, forse e persino colui che aveva premuto il grilletto, reagendo in tal maniera probabilmente più per timore che per un’effettiva, consapevole, volontà omicida; un attimo dopo quell’orrore ebbe ad alimentare, allora, un perverso ciclo di nuova violenza che, necessariamente, ebbe a crescere in maniera esponenziale, sino a tramutarsi in guerra aperta, in una vera e propria battaglia fra due schieramenti opposti. Una battaglia che, allor, non avrebbe conosciuto soddisfazione alcuna sino a quando ancora un solo membro di uno dei due schieramenti fosse rimasto in vita.
Paradossale, nella sanguinaria follia che ebbe a dominare, allora, tale ambiente e le persone in esso presenti, avrebbe avuto a dover essere constatato quanto, in maniera decisamente sorprendente, colei che chiunque, conoscendola, si sarebbe potuto attendere sarebbe stata in prima linea, se non, addirittura, responsabile per tutto ciò, colpevole dell’inizio di quella battaglia, avrebbe avuto altresì a dover essere riconosciuta, a posteriori, qual una delle ultime che, a essa, ebbe effettivamente a prendere parte, ebbe ad aggiungersi, con la propria pur non indifferente, non banale, quota di violenza. Midda Bontor, infatti, colei che, prima di giungere sino a lì, era stata costretta a lavarsi il volto e le mani dal sangue delle proprie ultime vittime, e a cambiarsi la giacca al fine di non attirare troppe attenzioni a sé, dove a sua volta, essa avrebbe avuto a doversi considerare intrisa della linfa vitale di tutti gli uomini in nero che già ella si era impegnata a falciare; a fronte di quanto lì accadde, ebbe a doversi considerare maggiormente interessata a garantire riparo ai propri due protetti, ai due pargoli ancora stretti alle sue gambe, ancor prima che a contribuire, materialmente, a quel massacro. Perché proprio malgrado sufficientemente confidente con ogni declinazione della guerra da non potersi permettere di ignorare l’altamente probabile, se non addirittura ineluttabile, esito di quel conflitto; ella non avrebbe mai potuto riservarsi l’illusione, in tutto ciò, di una vittoria, di un trionfo della propria parte in contrasto agli avversari in tal maniera schierati a loro arresto, a loro sconfitta, a loro condanna.

« Thyres… » ebbe a ringhiare, sconvolta e preoccupata per tutto quello, immediatamente chinandosi sui bambini e facendo loro scudo con il proprio braccio destro, in cromato metallo, dietro al quale, per quanto forse insufficiente, ella non avrebbe potuto ovviare a sperare sarebbe stato loro offerto un qualche riparo, una qualche difesa nel confronto, quantomeno, con i colpi energetici, con quelle offensive che, agli dei piacendo, sarebbero stati allor assorbiti dal nucleo all’idrargirio lì preposto a offrire possibilità di azione ai servomotori all’interno di quella protesi tecnologica, di quel miracolo della tecnica che, da oltre un anno, le aveva restituito il proprio altresì perduto arto destro.

Tagae e Liagu si ritrovarono, in tal maniera, a essere sollevati di peso da terra, contemporaneamente, stretti delicatamente da quel solido braccio, e protetti, più idealmente che concretamente, nei propri capetti, nelle proprie testoline, dall’altro braccio della donna, dal suo arto macino, in carne e ossa, che, certamente, non avrebbe potuto loro proteggere di alcun colpo laser o attacco al plasma, e che pur, allora, avrebbe offerto il proprio ruolo nell’aiutare a sostenerli, nel minimizzare loro possibili contraccolpi nel moto repentino che ella ebbe a imporsi, e imporre loro, nel volersi allontanare rapidamente da tutto quello, o, in effetti, nel volerli allontanare rapidamente da tutto quello, prima che, in maniera indubbiamente tragica e sicuramente spiacevole, il senso ultimo di quella stessa battaglia potesse essere stolidamente vanificato dalla morte dei due pargoli. E a lei affidatisi ormai completamente, essi non posero ovviamente in dubbio quanto da lei compiuto, nel limitarsi, semplicemente, a prenderne atto e, in ciò, a tentare di risultare quanto più possibile collaborativi con lei, nel seguirne le silenziose indicazioni in un tale momento di crisi.
In una tale confusione, pertanto, straordinariamente calmi ebbero ad apparire i due bambini, non perché realmente avrebbero avuto a doversi considerare qual tali, quanto e piuttosto perché, malgrado la loro innocenza, malgrado la loro giovane età, quanto importante sarebbe allor stato riuscire a mantenersi quanto più possibile tranquilli, soprattutto per non rischiare di vanificare, involontariamente, tutto l’impegno posto dalla loro amica, dalla loro protettrice.

« Fermatela! » gridò la solita voce, ormai diventata, in assenza di un evidente soggetto al quale attribuirla, al quale collegarla, quasi espressione incorporea del concetto stesso del loro antagonista, di quel gruppo di uomini in nero, di quell’intera organizzazione, in tutto ciò fraintendendo evidentemente il senso del gesto da lei reso proprio, dell’azione nella quale ella si stava impegnando, ritenendola rivolta a un qualche tentativo di evasione, di allontanamento da tutto quello, approfittando, in tal senso, in maniera anche sufficientemente calcolatrice, del conflitto così esploso per loro responsabilità, palese dimostrazione di quanto, a ruoli invertiti, l’altro non avrebbe compiuto nulla di diverso, non avrebbe fatto altro che cercare rifugio, nell’allontanarsi da tutto quello, e dall’enorme rischio che tutto quello avrebbe potuto rappresentare « Non permettetele di fuggire. Non con i bambini… non sola! » insistette, ribadendo la sua posizione su quanto lì in corso, benché, allora, tutto ciò avrebbe avuto a doversi considerare semplicemente errato.

Non tanto per offrirgli risposta, laddove era certa che la propria voce si sarebbe smarrita nell’enfasi sonora del conflitto lì esploso, ma neppure per distrarre la propria mente con facili ironie e sarcasmi, come pur ella non avrebbe potuto negare di essere abituata a compiere, soprattutto nel corso delle sfide più aspre, dei confronti con gli antagonisti peggiori; Midda si concesse allora occasione di replicare a quell’osservazione, a quell’invito, scuotendo appena il capo e borbottando qualche parola apparentemente fra sé e sé, ma, in verità, destinata a lasciarsi ascoltare dai due pargoli, dai suoi due cuccioli, per poterli, in tal maniera, distrarre dall’orrore loro circostante, tentando, addirittura, per quanto sicuramente difficile, di strappar loro un sorriso

« E chi diamine vuole fuggire…?! » protestò ella, pertanto, con tono volutamente rammaricato, addirittura offeso, da quella che non avrebbe potuto che interpretare al pari di una sgradevole illazione, se non persino diffamazione, volta a porre in discussione, in dubbio, il suo coraggio, la sua forza, e la sua altresì lieta reazione all’idea di un sano conflitto, come mezzo utile a sfogare tutte le ragioni di rabbia sino a quel momento quietamente accumulate nel profondo del proprio cuore « Tempo di trovare un riparo sicuro per i miei due frugoletti, e vedremo chi saranno coloro che vorranno allor fuggire da tutto questo… e da me! »

lunedì 27 novembre 2017

2382


L’esplosione di violenza che ebbe a seguire di lì a pochi istanti fu così improvvisa e dirompente che, benché avrebbe dovuto sconvolgere i due pargoli, non poté da parte loro essere neppure realmente presa in considerazione. Non, quantomeno, nell’immediato.
Sebbene, infatti, dopo il consapevole assassinio del proprio supposto alleato, altresì rivelatosi mero traditore, Midda parve voler offrire, per un fugace istante, l’impressione di una propria resa, in tal maniera sicuramente incentivata dal terribile e temibile schieramento di uomini e armi dispiegato in propria potenziale offesa, e ancora peggio in potenziale offesa ai due bambini, addirittura levando la propria destra verso il cielo a dimostrare tale capitolazione; simile eventualità avrebbe avuto a dover essere considerata obiettivamente estranea non soltanto alla sua personalità, al suo carattere e, allora, alla sua stessa mente, ma anche, e ancor più, a tutti coloro che, lì presenti, stavano venendo trascurati, nella propria esistenza, né più, né meno, come in ogni altro giorno, in ogni altro momento della propria esistenza. Quegli uomini e quelle donne, umani e non che fossero, che, per alterne vicende, erano nati o caduti in disgrazia, e, in ciò, erano finiti a trascorrere la propria quotidianità per le strade di quella grande città, tuttavia, non avrebbero avuto a dover essere ignorati come esseri umani, non avrebbero avuto a dover essere trascurati nella propria individualità né, tantomeno, nella propria collettività, giacché, per quanto emarginati, per quanto relegati ai margini della società civile e, sovente, lì dimenticati, tutti loro erano e sempre sarebbero rimasti delle persone, con dei propri sentimenti, delle proprie emozioni e, ancor più, una propria dignità: un orgoglio, il loro, forse abitualmente sottomesso alla sventura della propria condizione, e che, ciò nonostante, e indubbiamente in misura maggiore rispetto a chiunque altro in quella città o in quell’intero pianeta, mai avrebbe permesso a chicchessia di invadere la loro casa, minacciare i loro amici e, soprattutto, spianare delle armi in direzione di due bambini, di due pargoli troppo giovani, troppo piccoli per poter essere colpevoli di qualunque crimine, e che, a prescindere da qualsivoglia idea di colpa, mai avrebbero potuto meritare una simile, devastante espressione di violenza.
E se pur, allora, in tal frangente, probabilmente nessuno degli uomini in nero, nell’abituale indifferenza dimostrata verso tali persone, da troppo tempo, da sempre, abituati a passare loro accanto senza neppur rendersi conto della loro presenza lungo le strade della città, avrebbe potuto cogliere il sentimento di ribellione che, nel profondo dei petti di quegli uomini e donne stava gonfiando i loro cuori, facendoli battere con un incedere sempre maggiore, sempre più incalzante; Midda Bontor non avrebbe potuto commettere il medesimo errore, non avrebbe potuto trascurare il profondo rifiuto che, in tutte quelle persone, stava crescendo a dismisura, pronto a esplodere, pronto a deflagrare di lì a pochi istanti, se solo vi fosse stato il giusto innesco. E benché, una parte di lei, non avrebbe mai voluto permettere a quell’organizzazione di rimettere le mani sui due bambini, su quella coppia che a lei si era affidata e che, in ciò, mai avrebbe smesso di proteggere, di custodire, sino a quando ve ne fosse stata necessità, in tal senso dimostrandosi pronta a compiere qualunque azione, e a servirsi di chiunque, per raggiungere il proprio scopo, non esitando, pertanto, a fungere ella stessa da scintilla per dare il via a quella battaglia; un’altra parte del suo cuore, del suo animo, non avrebbe mai voluto coinvolgere quegli uomini e quelle donne, già sufficiente colmi di propri problemi, di proprie sofferenze, in una sfida l’esito della quale, purtroppo, facile sarebbe stato a immaginarsi, a prevedere, non avrebbe volto in favore di tale ribellione, di simile resistenza, non, laddove, a degli uomini e delle donne pur animati da sincero furore e desiderio di autodeterminazione, ma, purtroppo, privi di qualunque formazione o arma, si sarebbero contrapposti uomini e donne sicuramente più controllati, più freddi, in grazia del proprio addestramento, e, soprattutto, coadiuvati, nelle proprie azioni, da armi laser e armi al plasma, a fronte delle quali, ineluttabilmente, quella possibile idea di scontro, di battaglia, sarebbe presto stata ridotta alle dimensioni di una vera e propria mattanza.
Purtroppo, per quanto la donna guerriero non avrebbe mai potuto allor desiderare l’occorrere di quella strage, in quanto qualcuno, probabilmente, avrebbe avuto a ritenere quantomeno ipocrita laddove, ella stessa, poche ore prima, durante il periodo di allontanamento forzato da Tagae e Liagu, si era letteralmente sporcata non soltanto le mani, ma il viso e gran parte del proprio corpo nel sangue dei propri avversari, altri uomini in nero che non aveva avuto la benché minima esitazione ad affrontare, e ad affrontare alle porte del medesimo grande edificio dalle pareti bianche dal quale i due bambini, qualche ora prima, erano fuggiti; nulla ella poté essere in grado di compiere per contenere quella furia nel momento in cui essa fu portata a raggiungere i propri massimi vertici, i propri limiti più estremi… evento che ebbe a coincidere, non a caso, con una nuova presa di posizione, arrogante e ipoteticamente vittoriosa, da parte di quella voce sconosciuta già elevatasi dalle retrovie del gruppo di uomini in nero, a sentenziare, indirettamente, la morte del signor Bannihil.

« Sono lieto di constatare che abbia accettato di ridursi a più mite consiglio, signora Bontor… » dichiarò, con supponente condiscendenza, forse neppur realmente consapevole di quanto, in quel frangente, tutto ciò che stava lì trattenendo la destinataria di tali parole a non riprendere la stessa carneficina della quale già si era resa protagonista, avrebbe avuto a dover essere considerato non il loro numero, non le loro armi, quanto e semplicemente la presenza dei due bambini e, ancora, di tutti coloro che, lì attorno, sarebbero rimasti potenzialmente coinvolti quali vittime innocenti di una guerra non loro.

Una guerra, in verità, che obiettivamente non avrebbe avuto a doversi considerare neppur propria della stessa donna guerriero, e che, ciò non di meno, ella aveva reso tale, abbracciandola, accogliendola, e, forse, persino scatenandola, nel nome della difesa di quei pargoli, quei bambini che, in un momento qualunque della propria vita, aveva veduto rifuggire correndo inseguiti, braccati, quasi fossero semplici prede, da quegli uomini in nero, e che, per tal ragione, non aveva potuto ignorare, non aveva potuto trascurare al pari di quanto, attorno a loro, stava compiendo pressoché chiunque in quella pur affollata città.
Una guerra che, per tale, identica ragione, allora, ella non avrebbe potuto impedire di abbracciare anche a chiunque altro, lì presente, si fosse voluto opporre a quell’ingiustizia, a quella violenza, a quei criminali travestiti da militari che, senza alcun riguardo neppure per la morte di un loro alleato, del traditore appena ucciso dalla donna, lì erano sopraggiunti per imporre la propria forza e, in grazia della stessa, riappropriarsi, quasi fossero semplici oggetti inanimati, di Diciannove-Cinquantadue e Diciannove-Cinquantotto, per ricondurli al cupo destino dal quale, con tutte le proprie forze, quei due bambini avevano cercato di scappare, metaforicamente e fisicamente.
Una guerra che ebbe a esplodere in diretta conseguenza all’ordine che, allora, la medesima, arrogante voce ebbe lì a impartire…

« Incatenateli. » ordinò, in direzione dei propri compagni, forse degli uomini al suo servizio, al suo comando, in riferimento, ovvio, ai tre al centro delle loro attenzioni, riferimento che, per quanto evidente, volle da lui essere sottolineato, forse a meglio enfatizzare il successo di quella missione di recupero « Sia i bambini, sia la donna: non voglio che, al momento meno opportuno, possano nuovamente decidere di opporsi e di tentare nuovamente di fuggire… o, questa volta, per quanto tutto ciò sarebbe economicamente sconveniente, saremo costretti a sbarazzarci di questa merce difettosa. »

Merce difettosa: con tali termini le esistenze di Tagae e Liagu erano state, in tal maniera, minimizzate e banalizzate a quelle di meri oggetti, meri possedimenti verso i quali, oltretutto, non volgere neppur un qualche reale interesse, un qualche reale apprezzamento, se non per il valore di mercato che, ai loro occhi, essi possedevano.
E se, a fronte di ciò, già per la donna guerriero fu difficile trattenersi, per tutti gli altri lì presenti, per tutti coloro che pur, a stento, stavano trattenendo la propria crescente rabbia, quelle parole furono troppo. Furono la scintilla utile a far esplodere la loro ribellione.

domenica 26 novembre 2017

2381


Ritrovandosi ad abbisognare di qualcuno non solo di cui potersi fidare, ma, anche e ancor più, a cui potersi affidare; e avvertendo, proprio malgrado, tale necessità in misura maggiore rispetto a quanto non avrebbero avuto, allora, a doversi riconoscere legittimamente timorosi con l’idea del confronto con quella quasi estranea, per quanto già un po’ meno tale in conseguenza alla volontà, da lei così dimostrata, di presentarsi; Tagae e Liagu decisero di arrischiarsi con lei, e di arrischiarsi nell’accettare di porsi in gioco con lei, con lei che, del resto, erano stati loro stessi a inseguire, erano stati loro stessi a ricercare e, in ciò, di fronte alla quale tremendamente incoerente sarebbe allor stato fuggire, così come già fatto emergere dalle sue stesse parole, parole dimostratesi non soltanto sinceramente serene nei loro confronti, ma anche incontrovertibilmente sensate.
E se pur, nell’immediato, la sorte era parsa voler sfavorire simile scelta, tale decisione, quell’apertura nei suoi riguardi, negando ai due pargoli, nuovamente, il sostegno dell’unica altra adulta che, sino a quel momento, si fosse mai dimostrata desiderosa di aiutarli, di supportarli, di proteggerli, e negandola innanzi al loro atterrito sguardo per effetto di una terribile arma che l’aveva fatta crollare, come morta, innanzi a loro, facendo necessariamente temere il peggio per la sua sorte e costringendo, nuovamente, i due bambini a riprendere la loro corsa, quella corsa alla quale, in tal modo, ebbero a temere di essere condannati per il resto della propria vita; alcune ore più tardi tutto era sembrato, tuttavia, poter nuovamente volgere al meglio, e volgere al meglio nel momento in cui, incredibilmente, Midda Bontor aveva fatto ritorno nelle loro vite, era tornata presentarsi al loro cospetto nel rifugio nel quale, nel frattempo, avevano trovato asilo, avevano ottenuto occasione di riparo, supportati, in maniera del tutto inattesa, da un altro gruppo di adulti: un gruppo che, notando la loro sventura, aveva deciso di non voltare il proprio sguardo altrove, e, in ciò, di ignorare il fato di quei due pargoli, quanto, e piuttosto, non diversamente rispetto a quanto già la stessa Midda aveva compiuto nel scegliere di intervenire in loro aiuto quella mattina, di rendere il problema degli stessi al pari di un problema condiviso, di una sfida comune, una sfida innanzi alla quale, al di là di tutta l’avversione loro già palesemente imposta dal fato, non si sarebbero permessi di ritrarsi. Protetti, allora, dai propri nuovi amici, da quella comunità di persone straordinariamente gentili, e, in ciò, innanzi al loro giudizio, incomprensibilmente reiette agli occhi del resto del mondo; e riunificati, in maniera del tutto imprevista, ma non per questo meno straordinaria, meno apprezzabile o meno gioiosa, alla loro prima protettrice, a colei che implicitamente ed esplicitamente aveva reso proprio l’impegno di difenderli, di tutelarli, e, di fronte a tale voto, non aveva offerto dimostrazione di voler venire meno a discapito di quanto già accadutole, di quell’osceno attacco da lei subito, Tagae e Liagu avrebbero forse potuto dirsi felici, avrebbero forse potuto tornare a credere nel proprio futuro, e in una possibilità di futuro…
… se solo, ancora una volta, il loro avverso fato non fosse tornato a imporsi, e imporsi nel mostrarli, drammaticamente, circondati da tutti quegli uomini in nero dai quali, pur, tanto impegno avevano speso per tentare di evadere. Uno sviluppo psicologicamente devastante, la responsabilità del quale, allora, la loro difenditrice non ebbe esitazione alcuna a imputare a un altro volto estraneo, un volto maschile, accanto al quale ella aveva fatto ritorno a loro e che pur, tragicamente, non avrebbe avuto a doversi considerare animato da interessi positivi. Non, quantomeno, nei loro riguardi.

« Tu… tu ci hai traditi tutti. » ringhiò Midda, ancora stretta a loro in un abbraccio, un abbraccio che, idealmente, era nato qual celebrativo di quel tenero ricongiungimento, e che, ciò non di meno, non aveva avuto neppure occasione di essere terminato prima di essere tradotto, proprio malgrado, un una stretta protettiva, in un gesto di materna difesa a loro sostegno, a porli vanamente al riparo dal mondo a loro circostante e da quel mondo che, palesemente, non sembrava voler in alcuna maniera permettere loro una vita serena « Perché…?! »
« E’… complicato. » scosse il capo il suo interlocutore, minimizzando in tal maniera l’accaduto ed evadendo, senza esitazione, alla richiesta pur legittima di quella donna « E per quello che può valere, ti assicuro che non ho mai desiderato potesse accaderti qualcosa di male. » volle lì soggiungere, quasi a giustificare l’ingiustificabile e a reindirizzare il proprio interesse verso un ben diverso obiettivo, un obiettivo che ebbe subito dopo a esprimere, a chiarire, identificandolo, oscenamente, proprio in Tagae e Liagu « Il mio compito doveva essere quello di permettere il ritrovamento dei due bambini. Ma quando l’organizzazione ha compreso chi tu fossi, e quale potenziale straordinario tu avresti potuto loro offrire, hanno cambiato i termini del nostro accordo… »
« Il vostro accordo…?! » ripeté ella, allora sollevandosi da terra, dalla posizione nella quale si era chinata per stringersi a loro, e, ciò non di meno, non interrompendo quell’intento protettivo nei loro riguardi, mentendoli dolcemente stretti a sé con la propria mancina, nel cercare, per quanto forse vanamente, di offrire fugace rimedio al comprensibile terrore di quel momento « Il vostro accordo che prevedeva di trattare due bambini al pari di semplici strumenti per i loro assurdi scopi…? » volle cercare di chiarire, e di chiarire la posizione del proprio interlocutore, dimostrandosi gelidamente impietosa nei suoi riguardi, non potendolo in alcuna maniera comprendere, o, peggio ancora, giustificare, laddove egli aveva scelto di abbracciare, come linea difensiva, quella subdola offensiva a discapito dei suoi due protetti « E’ davvero in questo modo, in questi termini, che vuoi tentare di difenderti innanzi al mio giudizio…?! »
« Io… » esitò l’uomo, quasi a cercare le parole più adatte a esprimersi, salvo tuttavia essere repentinamente interrotto da un’altra voce, e una voce proveniente dal gruppo degli uomini in nero.
« Il signor Bannihil ha compiuto un ottimo lavoro. » esordì, non offrendosi in alcuna maniera qual nota all’attenzione di Tagae e Liagu e, ciò non di meno, non potendo neppur ovviare a risuonare qual terribilmente familiare nei propri toni, nel proprio atteggiamento, con quell’arrogante superiorità emotiva alla quale, ormai, essi avrebbero avuto a doversi considerare abituati, essendo tutto ciò che avevano avuto occasione di vedersi rivolgere nel periodo di prigionia all’interno dell’edificio dalle pareti bianche « E non ha necessità in alcun modo di discolparsi innanzi a lei, signora Bontor. » specificò e ribadì, a non tradire, in alcun modo, le tristi aspettative dei due pargoli.

Per i due bambini, quel momento non avrebbe potuto che essere accolto con una sofferenza, con una frustrazione tale da spingerli, comprensibilmente, alle lacrime, al pianto, laddove, nel confronto con tanto impegno, con tanta fatica, con tanta sofferenza qual pur avevano dovuto riservarsi per giungere sino a tutto ciò, essi stavano venendo tristemente posti a confronto con quanto avrebbe avuto a doversi considerare un’imperturbabile dato di fatto, e un dato di fatto a fronte del quale la propria vita non avrebbe avuto a potersi considerare all’interno della loro possibilità di autodeterminazione, ma tristemente asservita agli scopi, agli interessi, di tutti coloro attorno a loro. E anche laddove qualcuno si fosse speso in senso contrario, come l’anonima figura che, per prima, si era impegnata a tentare di aiutarli, risvegliando le loro coscienza, i loro ricordi, o come Midda Bontor, che tanto si stava dedicando per tentare di proteggerli, per difenderli, o ancora tutti gli altri uomini e donne che li avevano accolti in quel loro rifugio ipoteticamente sicuro e, pur, rivelatosi drammaticamente non tale; a poco o a nulla sarebbe valso ciò, venendoli alfine tristemente condannati all’infelicità.
Un’infelicità, purtroppo, che per loro era diventata una costante di vita, da quando erano stati trasformati in Diciannove-Cinquantadue e Diciannove-Cinquantotto, tale da non permettere loro, in tutto ciò, neppure quelle lacrime, quel pianto, pur naturale, pur giustificabile, e che, malgrado tutto, non imperlò in alcun modo i loro sguardi…

« Cane maledetto… » sussurrò Midda Bontor, rivolgendosi al proprio traditore e condannandolo in un gesto che, dalla loro posizione, Tagae e Liagu non ebbero a cogliere, ma gli effetti del quale intravidero, nel veder crollare a terra il corpo dello stesso, come morto… o, probabilmente, tale « … e dire che mi stavi iniziando a piacere. »

sabato 25 novembre 2017

2380


A un certo punto, infatti, in maniera straordinaria, in maniera inattesa, in maniera sorprendente, qualcuno volle intervenire in difesa di Tagae e Liagu. E intervenire in maniera tutt’altro che retorica, tutt’altro che superficiale, tutt’altro che ambigua, prendendo una decisa posizione nel merito di quanto stesse accadendo e difendendo tale posizione, oltre che i due bambini, fermamente e, ove necessario, anche violentemente, così come, francamente, essi non avrebbero mai potuto immaginare sarebbe potuto accadere. E benché i due pargoli stessero continuando a correre, e a correre per la propria vita, quanto allora occorso non fu da loro ignorato; così come non fu da loro ignorata neppure la protagonista femminile di quell’intervento, di quella straordinaria presa di posizione in loro soccorso, la seconda persona al mondo, di cui avessero memoria da quando imprigionati all’interno di quel grande edificio dalle pareti bianche, ad agire in tal maniera, a volersi impegnare in maniera concreta per loro.
Consapevoli, quindi, dell’importanza di quella persona, di quella donna straordinaria intervenuta in loro aiuto, nonché, in fondo, del tutto incerti nel merito del proprio futuro, fosse anche e soltanto di cosa fare giunti a quel punto, evasi dalla loro prigione e precipitati all’interno di una realtà che a stento si ponevano in grado di ricordare, se non in grazia ai loro sogni; Tagae e Liagu non vollero separarsi da lei, non vollero allontanarsi da lei, pur, al tempo stesso, neppur avvicinandosi troppo, in un comprensibile timore, in una giustificabile ritrosia nel confronto con l’idea di potersi nuovamente esporre e, in questo, di poter essere ancora una volta catturati e trascinati all’interno di quell’edificio, di quella terribile realtà, per essere condotti, insieme agli altri bambini, a chissà quale tenebroso futuro. Così, ancora mano nella mano, ancora uniti l’uno all’altra, fratello e sorella non persero di vista la loro sconosciuta salvatrice, riuscendo a seguirla senza che ella potesse neppure immaginare quanto stesse allora accadendo. O, almeno, in tal senso agendo fino a quando, alfine, ella, riunitasi ad altre persone, a un uomo e a una donna rettile, non si ritrovò a salire a bordo di un treno, e di un treno che, di lì a pochi istanti l’avrebbe condotta per sempre lontana da loro, lasciandoli soli e perduti in tutto quello.
Un azzardo, una silenziosa richiesta di aiuto, fu quella che volle guidare allora Liagu a trascinare proprio fratello a esporsi, a mostrarsi in maniera aperta alla donna giusto un attimo prima della chiusura delle porte del treno. Un azzardo che ebbe i propri frutti nel momento in cui ella, vedendoli e riconoscendoli, decise di saltar giù dal treno, per avere occasione di relazionarsi con loro, per poterli raggiungere. Un azzardo, tuttavia, che, motivato dall’emotività di un fugace istante, venne immediatamente posto in discussione ancora una volta da una reazione puramente emotiva, e una reazione, allora, di timore, di paura, che vide la bambina temere di aver commesso un grave errore e suo fratello Tagae, allora, trascinarla via di lì, per riprendere ancora una volta a correre, ancora una volta a cercare la fuga da colei che, in fondo, avrebbe potuto rappresentare per entrambi un pericolo, se soltanto si fossero sbagliati nel riconoscerle fiducia, nel volerla considerare dalla loro parte.

« Ehy… voi due! » apostrofò la donna, al loro indirizzo, nel tentare di richiamarli, nel tentare di arginare quella fuga che, purtroppo, aveva già compreso qual forse ineluttabile, nella particolare carica emotiva del momento « Fermatevi… non voglio farvi del male! »

Una risposta sicuramente irrazionale, soprattutto nel considerare quanto da quella medesima donna compiuto in loro soccorso pur senza alcuna ragione in tal senso, nonché nel considerare quanto, sino a quel momento, fossero stati proprio loro a seguirla, restandole costantemente vicino nella ricerca di un qualche effimero senso di sicurezza, di protezione: una risposta, ciò non di meno, indubbiamente comprensibile alla luce di quanto loro successo, ancora giustificabile per l’esperienza loro riservata dal proprio passato.
Per loro fortuna, tuttavia, ad arginare quello che avrebbe potuto essere indubbiamente un danno, nella rinuncia, nella perdita di colei che, forse, sola avrebbe avuto a potersi riconoscere qual loro alleata in tutto ciò, intervenne la straordinaria ostinazione della loro controparte, la quale, con maggiore perizia di quanto, sino a quel momento, non si fossero dimostrati capaci gli uomini in nero impegnati nel loro inseguimento, nella loro cattura, si pose in grado di anticiparli, di posizionarsi innanzi a loro anche laddove, in verità, avrebbe avuto a dover essere ben lontana alle loro spalle, raggiungendoli e, allora, fermandoli…

« Ehy… ciao! » sorrise la donna, praticamente abbracciandoli, ma senza, in ciò, imporre loro violenza, senza in ciò segnare la loro delicata pelle con lividi neri, come quelli che, nell’edificio dalle pareti bianche, erano stati loro imposti in conseguenza alla loro prima ribellione, e quella ribellione sancita, soltanto, nel rifiuto a ricorrere a degli assurdi numeri per definirsi, in luogo ai propri veri nomi « Posso immaginare che siate un po’ spaventati… ma siete stati voi a venire a cercarmi, questa volta. » continuò ad argomentare, con voce serena e tranquillizzante, evidenziando l’incoerenza propria di quel comportamento « E in questo, sperando di non aver frainteso le vostre intenzioni, immagino che, magari, possiate desiderare il mio aiuto, in qualche modo… per qualche ragione. »

Ella non aveva frainteso le loro ragioni. Anzi, al contrario, aveva probabilmente le aveva comprese molto prima rispetto a quanto, essi stessi, non avrebbero potuto vantare di aver fatto, nel capire che, in fondo, essi non avrebbero avuto altro desiderio di qualcuno a cui potersi affidare, di qualcuno in cui poter tornare a credere, dopo che, per chissà quanto tempo, tutto ciò era stato loro negato. Ma in una sì prolungata cattività, difficile sarebbe stato riuscire a superare ogni pregiudizio, ogni incertezza, ogni dubbio, che, necessariamente, avrebbe avuto a doverli cogliere, intimorire, se non, direttamente, spaventare, nel confronto con una perfetta estranea.
Un’estranea che, ancora una volta, comprendendo evidentemente simili emozioni da parte loro, intuendo la complessità della situazione, volle cercare immediatamente di sanare la propria posizione, offrendo loro un nome da associare al proprio viso, al proprio volto…

« Il mio nome è Midda… Midda Bontor. » si presentò ella, ancora stringendoli, con delicatezza, a sé, in reazione non tanto a una sua presa, quanto a quell’istintivo tentativo da parte dei due bambini di sottrarsi a lei, ancora una volta azione non valutata razionalmente, quanto e piuttosto conseguenza di quella paura, di quell’impegno, da parte di entrambi, a non lasciarsi prevaricare dalla sorte, per quanto avversa « Non sono vostra nemica. E, anzi, credo proprio che voi foste venuti proprio a cercarmi, per chiedermi aiuto contro quegli uomini in nero… dico bene? »

E ciò avrebbe avuto a dover esserle riconosciuto. Per quanto contraddittorio, nel confronto, quantomeno, del loro impegno, del loro tentativo ad allontanarsi da lei, nulla di quanto ella stesse lì suggerendo avrebbe potuto esserle rimproverato come un balordo tentativo di volgere la realtà a proprio favore: ella, in fondo, non aveva fatto nulla per cercarli, per rincorrerli. Era sì intervenuta il loro salvezza, ma, poi, tutto si era concluso in quel modo, in quel momento, e ciò sarebbe continuato a restare tale se soltanto essi stessi non avessero deciso di seguirla.
Quieta razionalità, quella che ella volle destinare ai due bambini, nel confronto con la quale, probabilmente, la maggior parte degli adulti non sarebbe stata d’accordo, ma che, allora, riscosse il proprio successo, ottenne il risultato sperato, nel veder decrescere l’impegno dei due bambini all’evasione, alla fuga da lei, sino a quando, alla fine, essi si limitarono a restare lì, in attesa di quanto sarebbe potuto accadere…

« Ciao di nuovo. » ebbe quindi a sorridere, salutandoli nuovamente, nel mentre in cui, non necessitando più trattenerli a sé, ella si chinò innanzi a loro, genuflettendosi per porsi alla loro stessa altezza, per offrire loro il proprio volto e, in ciò, ancora una volta, cercare di risultare, ai loro occhi, meno estranea di quanto non avrebbe potuto essere un solo istante prima.

venerdì 24 novembre 2017

2379


Le vite di Diciannove-Cinquantadue e di sua sorella Diciannove-Cinquantotto non erano mai state quelle di due comuni bambini. Non, per lo meno, che essi ne avessero memoria. E non, in effetti, che essi sapessero in quali termini avrebbe avuto a doversi considerare comune la vita di due bambini loro pari.
Da quando, infatti, entrambi erano in grado di ricordare, tutta la loro esistenza era stata tale all’interno di un grande edificio dalle pareti bianche, un edificio che, forse, avrebbero avuto a dover definire casa e che, ciò non di meno, non era mai stato loro indicato qual tale. In effetti non era mai stato loro indicato in alcun modo. Privi di qualunque educazione nel merito del concetto stesso di tempo, i due bambini non avrebbero saputo indicare la propria età, né, tantomeno, per quanti cicli fossero rimasti prigionieri all’interno di quel complesso. Obiettivamente, anzi, non avrebbero avuto neppure idea del concetto stesso di prigionia se, a un certo punto della loro vita, un uomo, un uomo diverso dalla maggior parte degli altri con i quali avevano mai avuto a che fare, non avesse loro iniziato a suggerire l’evidenza di una verità più complessa, e di un mondo più amplio, rispetto a quanto, entrambi, non avessero mai conosciuto.
Quell’uomo, inizialmente presentatosi al pari delle tante persone con le quali, quotidianamente, i due pargoli si ponevano costretti a interagire all’interno del grande edificio dalle pareti bianche, con una certa discrezione, con delicata attenzione, aveva iniziato a interagire con loro in termini nei quali alcun altro era solito fare, e aveva iniziato a spiegare ai due bambini dell’esistenza di un intero universo al di là di quelle pareti bianche. Un universo composto popolato da un’infinità di persone diverse, appartenenti a specie diverse, in misura maggiore a quanto mai essi avrebbero avuto mai occasione anche solo di immaginare. Un universo infinitamente più amplio del pur grande edificio nel quale avevano vissuto sino a quel momento, o avevano memoria di aver vissuto sino a quel momento. Un universo, addirittura, contraddistinto da altri bambini. E questa rivelazione, più di ogni altra, aveva spiazzato le menti di Diciannove-Cinquantadue e Diciannove-Cinquantotto, perché, da quando avevano memoria, non avevano mai incontrato un altro bambino al di fuori l’uno dell’altra e, in effetti, neppure avevano mai immaginato esistessero altri bambini al di fuori di loro.
E così, laddove fino al giorno precedente, il loro mondo si era dimostrato costituito da quel grande edificio bianco, e dalle sole persone loro circostanti, l’incontro con quello strano uomo ebbe a porli a confronto con tante nuove idee, con tante nuove immagini, al punto da sbloccare qualcosa all’interno delle loro menti e dal spingerli a ricordare un’altra vita. Una vita precedente a quell’edificio bianco, una vita che non erano certi di aver vissuto, e che, ciò non di meno, iniziarono entrambi a sognare, e nel merito della quale, necessariamente, iniziarono anche a parlare, a confrontarsi reciprocamente, scoprendo quanto, allora, quelle fantasie notturne avrebbero avuto a doversi considerare stranamente condivise, e condivise in particolari a dir poco incredibili. In tali sogni, infatti, essi iniziarono a ricordare di un altro edificio, un edificio allora sì chiamato casa, dove essi vivevano con una coppia di altre persone, persone molto anziane, che conoscevano con il nome di nonni. Questi nonni volevano loro molto bene, e li trattavano in maniera molto differente da come, quotidianamente, era soliti essere trattati all’interno dell’edificio bianco. Iniziarono a ricordarsi, infatti, di molti giocattoli, iniziarono a ricordarsi di altri edifici, negozi, strade e parchi. E persino di una scuola, dove, all’interno di un’amplia classe, sedevano circondati da altri bambini loro simili, per ascoltare le lezioni impartite loro dagli insegnanti e, in questo, imparare a leggere, a scrivere, a far di calcolo… e molto altro ancora. In questi sogni, addirittura, essi non si chiamavano Diciannove-Cinquantadue e Diciannove-Cinquantotto: avevano altri nomi, nomi diversi, nomi a loro stranamente familiari per quanto, coscientemente, non ricordassero di aver mai sentito. Essi si chiamavano Tagae e Liagu.
Ma se, alla luce di questi sogni, tante ineluttabilmente iniziarono a essere le domande presenti ad affollarsi nelle loro menti, pretendendo da loro delle risposte; proprio tale curiosità fu il prezzo che, loro malgrado, ebbe a costare la serenità nella quale, proprio malgrado, avevano vissuto sino a quel momento, giacché, nell’istante stesso in cui, agli altri uomini e donne attorno a loro fu evidente quanto entrambi avessero iniziato ad avere quei sogni, quei ricordi, tutto ebbe a cambiare per loro. E ciò avvenne nel momento stesso in cui, allora, essi ebbero a confrontarsi l’un l’altro proprio nel merito di quei loro altri nomi, quei nomi che, evidentemente, non avrebbero dovuto sapere, non avrebbero dovuto ricordare e che, in questo, pose tutti in allarme, attorno a loro.
Dell’uomo che, per primo, aveva instillato loro il seme del dubbio, essi non seppero più nulla. Così come dal nulla egli era giunto, nel nulla egli scomparve. E della pur minima libertà della quale, sino a quel momento, entrambi avevano inconsapevolmente goduto, non rimase egualmente traccia, nel momento in cui, allora, si ritrovarono a essere segregati in una sola, piccola stanza, in essa, però e ancor peggio, fra loro divisi, separati da una parete di vetro, attraverso la quale avrebbero potuto vedersi, avrebbero potuto avere l’illusione di toccarsi, ma non avrebbero avuto possibilità alcuna di dialogare, nell’essere reciprocamente isolati, a livello acustico, l’uno dall’altra.
Per entrambi, in tal maniera, ebbe allora a iniziare il periodo peggiore della propria vita. E non soltanto in riferimento alla vita che avevano sognato, e che, malgrado tutto, iniziarono a essere sempre più certi li avesse contraddistinti un tempo, prima di tutto quello; ma anche della loro vita all’interno di quell’edificio bianco. Le iniezioni alle quali, ogni giorno, da sempre erano stati sottoposti, iniziarono a imporsi con maggiore frequenza, e laddove, in passato, esse erano sempre accompagnate, tutto sommato, da comportamenti asettici e pur non violenti, la rudezza di quegli uomini e donne iniziò a gravare sui pargoli, vedendo comparire, sulle loro braccine, molti lividi, in maniera direttamente proporzionale ai tentativi degli stessi di sottrarsi a tutto ciò, di ribellarsi a quella crudeltà, a quanto, iniziarono a comprendere, non avrebbe avuto a doversi considerare qualcosa di buono per loro. E se, alcune di quelle iniezioni, avrebbero avuto a doversi riconoscere qual il mero proseguo di quei trattamenti ai quali, da sempre, erano stati sottoposti, altre avrebbero avuto a doversi riconoscere qual qualcosa di nuovo, di inedito e, in ciò, di estremamente spiacevole, perché apparentemente volto a negare loro quella consapevolezza nel merito dell’altra vita, della vita dei sogni, che tanto inaspettatamente avevano riconquistato e, sinceramente, non avrebbero voluto più perdere. A seguito di quelle nuove iniezioni, infatti, entrambi sentivano le loro menti offuscarsi, avvertivano sincera difficoltà a pensare, e soprattutto, a ricordare i sogni che avevano fatto e che, ormai, sembravano impossibilitati a compiere nuovamente. Ciò non di meno, con tutte le proprie forze, quei due bambini si aggrappavano l’uno all’altra, l’una all’immagine dell’altro, cercando di sforzarsi di rammentare i loro reciproci nomi, e i volti dei loro nonni, e la loro scuola, e i loro giochi, e i loro compagni, e tutto quello che era stata la loro vita al di fuori di quel grande edificio dalle pareti bianche.
Alla fine, tuttavia, i loro carcerieri compresero di averla avuta vinta nel giorno in cui, finalmente, tornando a offrire loro visita, non ebbero più a essere accolti con astio, con spirito di ribellione, ma con l’indolente quiete che da sempre li aveva contraddistinti. Quell’indolente quiete che li vide, allora, rispondere senza esitazione ai nomi lì loro assegnati, al richiamo di Diciannove-Cinquantadue e Diciannove-Cinquantotto, come se in alcun altro modo avrebbero mai avuto a dover essere conosciuti. E così, dopo ancora qualche tempo utile a mantenerli in osservazione e a verificare che tutto quello non avesse a dover essere considerato un elaborato trucco da parte dei due pargoli, essi vennero liberati da quella loro cella, per poter tornare alla vita di un tempo, alle loro antiche abitudini fra quelle pareti bianche.
Ciò non di meno, l’elaborato trucco da parte dei due pargoli non avrebbe avuto a dover essere ritenuto un timore infondato, giacché, effettivamente, al di là di ogni droga, al di là di ogni sostanza loro iniettata per cancellare, nuovamente, le proprie identità, Tagae e Liagu ebbero a dimostrarsi più forti rispetto a quanto non avrebbe potuto essere loro accreditato. E così, nuovamente riuniti, e memori degli errori commessi in passato, questa volta i due bambini non vollero sprecare l’occasione loro concessa da quella ritrovata consapevolezza di sé, aggrappandosi a essa con tutte le proprie forze per riservarsi la pazienza allor utile a fronteggiare ogni nuovo giorno all’interno di quelle mura, in attesa del momento opportuno per scappare, per fuggire a quella che, ormai, non avrebbero più potuto considerare qual la propria vita, quanto e piuttosto la propria prigionia.
E quando, alfine, il momento opportuno giunse, nel giorno in cui, per la prima volta, si ebbero ad aprire davanti a loro delle porte che mai avevano, in passato, potuto superare, i due bambini non ebbero esitazioni a iniziare a correre, senza sapere dove andare, senza sapere quale direzione prendere, e, ciò non di meno, perfettamente consapevoli di dover continuare a correre, senza mai voltarsi, tenendosi per mano, perché se soltanto avessero commesso l’errore di fermarsi, se mai si fossero guardati alle spalle, sicuramente i loro carcerieri li avrebbero raggiunti. E, allora, non sarebbe più stata loro concessa una nuova occasione per evadere da lì, per lasciare quell’immenso edificio dalle pareti bianche.
Tagae e Liagu, quindi, non smisero di correre neppure nel momento in cui, fugacemente, i loro sguardi ebbero a incontrare le immagini di altri bambini, altri bambini come loro, vestiti come loro, e condotti, ipoteticamente come loro, verso quello che avrebbe avuto a doversi considerare il loro futuro, il loro destino, un destino con il quale, tuttavia, loro due non avrebbero mai voluto aver nulla a che fare, laddove esso fosse stato deciso da parte di coloro i quali tanto male avevano loro imposto. Tagae e Liagu, quindi, non smisero di correre neppure nel momento in cui, alle loro spalle, gli uomini e le donne vestiti di bianco, i soli che avessero mai veduto nella propria esistenza, o, per lo meno, nella loro esistenza entro quelle mura, furono allora sostituiti da uomini in nero, decisamente più minacciosi di quanto mai avrebbero potuto essere gli altri. Tagae e Liagu, quindi, non smisero di correre neppure nel momento in cui, incerti su come potessero essere giunti a quel risultato, sul percorso che avevano compiuto per arrivare sino a lì, ebbero a fuoriuscire dai confini del grande edificio dalle pareti bianche, immergendosi all’interno di una strada, della prima strada che, chissà dopo quanto tempo, tornarono a vedere, a scoprire, riassaporando in maniera effimera il senso di libertà loro, sino a quel momento, crudelmente sottratto.
Tagae e Liagu, allora, non smisero di correre, non per pietà nei confronti degli altri bambini loro pari, non per paura nei riguardi degli uomini in nero, non per entusiasmo innanzi alla riconquistata libertà, ove perfettamente consapevoli di quanto, allora, una pur fugace esitazione, un pur minimo rallentamento nel loro incedere, avrebbe vanificato tutto quanto. E non sarebbe importante quanto male avrebbero potuto fare le loro piccole gambe, o quanto forte avrebbero potuto battere i loro piccoli cuori all’interno dei loro fragili petti… essi avrebbero avuto a dover continuare a correre. Perché solo da questo sarebbe dipesa la loro salvezza. Solo da questo sarebbe dipeso il loro futuro. E nessun altro, al di fuori di loro, sarebbe mai intervenuto in loro aiuto, in loro soccorso, neppure all’interno di quelle strade affollate.
Nessun altro… o forse no.

giovedì 23 novembre 2017

2378


« E le altre…? » domandò Ragazzo, sinceramente incuriosito da tutto quello, dall’occasione concessagli di osservare Lys’sh all’opera, e di poter constatare la straordinaria varietà di informazioni che ella si stava ponendo in grado di rilevare laddove alcuno fra loro, altrimenti, sarebbe stato in grado di intendere alcunché, al di là di qualunque attrezzatura, di qualunque supporto avrebbero potuto eventualmente adoperare a tal scopo.
« Non ve lo so dire. Di certo erano in tanti… la maggioranza dei presenti. » rispose l’altra, così interrogata, dimostrandosi necessariamente confusa nel merito di qual significato offrire agli odori da lei percepiti, a quelle flebili tracce olfattive, a quegli echi di un recente passato che, in grazia ai suoi straordinari sensi, stavano riuscendo a prendere una pur minima forma.
« Non possiamo escludere che siano parte del gruppo antagonista che, inizialmente, ha attaccato Midda… » osservò Duva, storcendo le labbra verso il basso « Chiunque essi fossero. » soggiunse, laddove, obiettivamente, non avrebbero potuto vantare alcuna consapevolezza, alcuna informazione a tal riguardo, benché non fosse mancato, da parte loro, sincero impegno al fine di tentare di scoprirlo, nell’analizzare con attenzione tutte le immagini nel merito dell’aggressione della loro compagna, della loro amica.
« E… Midda? » insistette Be’Sihl, non potendo ovviare a provare una certa apprensione per le condizioni della medesima, benché pur consapevole, comunque, di quanto, fra tutte le persone non soltanto di quel mondo, ma di qualunque mondo, certamente ella avrebbe avuto a doversi considerare quella con maggiori possibilità di uscire viva da qualunque contesto… per quanto avverso esso avrebbe potuto proporsi essere, fosse anche stata sola in contrasto a un intero esercito, così come, dopotutto, in passato le era pur accaduto essere in qualche epica occasione, fra le quali la medesima nella quale, non a caso, si era guadagnata di diritto il titolo di Figlia di Marr’Mahew, dea della guerra.
« Era qui. » confermò Lys’sh, annuendo appena, nell’essere ben lieta di offrire quella pur minima rassicurazione al proprio interlocutore, a colui che, facile a comprendersi, più di chiunque altro, in quel momento, avrebbe avuto a dover temere per il destino della loro amica, laddove, per lui, ella avrebbe avuto a dover essere considerata necessariamente qualcosa di più « E ha combattuto. Ha combattuto a lungo, ve lo posso assicurare: riesco a distinguere l’odore del suo sudore, pregno di adrenalina. » puntualizzò, a non voler minimizzare, in alcun modo, la partecipazione dell’ex-mercenaria a quel confronto, laddove, in fondo, l’evidenza di un suo prolungato coinvolgimento nell’azione avrebbe avuto a dover essere inteso, comunque, qual qualcosa di positivo, seppur, forse e fortunatamente, anche in parte scontato.
« Come volevasi dimostrare. » non poté ovviare a sorridere l’ex-locandiere, scuotendo lievemente il capo a fronte di quell’annuncio, in quanto avrebbe potuto essere lì frainteso qual una qualche critica di sorta al comportamento necessariamente facinoroso della propria amata e, tuttavia, obiettivamente tutt’altro che tale, giacché, indubbiamente, laddove ella ancora avrebbe potuto dirsi in vita, sarebbe stato solo ed esclusivamente in grazia di un approccio simile.
« Tuttavia qualcosa non torna. » intervenne Duva, placando l’entusiasmo derivante da quella scoperta « Ove qui è occorsa una battaglia con grandi spargimenti di sangue, e ove Midda ne è stata partecipe, e assumiamo pure nel ruolo di protagonista, quanto poi è accaduto non è comunque giustificabile. » dichiarò, con tono fermo, a celare, in esso, tutta la propria preoccupazione per l’amica scomparsa « Qualcuno, qualcuno con molti mezzi a disposizione, si è impegnato, al termine della battaglia, a fare piazza pulita di quanto qui è accaduto, portando via i corpi, ripulendo il luogo dal sangue, e, persino, riallestendo l’intero ambiente al fine di non lasciar trasparire la benché minima evidenza degli eventi occorsi… » asserì, procedendo in quel senso per pura deduzione e, proprio per tal motivo, nulla di insensato proponendo a margine della propria riflessione, offrendo anzi un quadro ben delineato di quanto potesse essere lì occorso… e di quanto, in effetti, era accaduto « … e Midda, lo sappiamo, non avrebbe potuto avere né i mezzi, né le ragioni per procedere in tal senso. » puntualizzò, con tono greve.

Un fugace momento di silenzio seguì allora quelle parole, nel mentre in cui, nella mente di ognuno dei presenti, si andavano delineando diverse ipotesi nel merito di quanto accaduto, teorie minimo comune denominatore di ognuna delle quali altro non avrebbe avuto a dover essere considerata, purtroppo, se non una sconfitta della loro amica… sconfitta che, spiacevolmente, avrebbe potuto essere contraddistinta anche dalla sua morte. Un’eventualità, questa, alla quale, ovviamente, nessuno fra loro avrebbe mai avuto piacere a pensare e per tentare di rifuggire alla quale, ognuno ebbe a sforzarsi, nell’intimo del proprio medesimo intelletto, di formulare un’alternativa differente, di prendere in esame un’altra possibilità, in grazia alla quale poter condividere un’occasione di positivo ottimismo nel merito di quanto avrebbe potuto essere accaduto.
Tuttavia, al di là delle elucubrazioni portate avanti da ognuno di loro, fra loro solo la parola di una persona in particolare avrebbe potuto riservarsi un pur fugace, un pur minimo valore nel definire in maniera sufficientemente certa la realtà. Parola, quella di Lys’sh, che, purtroppo, non fu allora in grado di offrirsi… non quantomeno, così come probabilmente ella stessa avrebbe avuto piacere a dichiarare, nel ritrovare posta in giuoco, in quel momento, in quel frangente, la sopravvivenza della propria amica, di colei che, ormai, aveva iniziato a considerare al pari di una sorella maggiore.

« Purtroppo, nella confusione conseguente alla “pulizia” di questo luogo, non sono in grado di distinguere con precisione quanto possa essere accaduto… » scosse il capo la giovane ofidiana, non priva di rammarico in tal senso « In ciò non posso né avallare, né smentire l’ipotesi di Duva. » ammise, mestamente.

Nel silenzio di quelle intime riflessioni a riguardo del fato della donna dagli occhi color ghiaccio e dai capelli color del fuoco, un fra i presenti, in particolare, avrebbe avuto a dover essere allora riconosciuto qual contraddistinto, in maniera al contempo più emotiva ma, anche, più fredda e controllata, da una facile possibilità d’azione in un frangente come quello. Una possibilità d’azione che, sino a quel momento, nella fiducia per le possibilità dei propri compagni di viaggio, dei membri della Kasta Hamina e delle loro straordinarie risorse, non aveva ancora promosso, ma che, ineluttabilmente, ove tutto il resto fosse fallito, ove alcuna speranza fosse stata alfine loro concessa per comprendere la verità nel merito del destino di Midda, della sua esistenza in vita o meno, non avrebbe avuto alfine esitazione ad abbracciare, a rendere propria, qualunque si fosse dimostrato il prezzo, poi, da pagare.
Perché, pur non mancando fiducia nella propria amata, nelle sue capacità, nella sua straordinaria autodeterminazione al di sopra di qualunque ipotesi in senso contrario da parte di uomini o dei, e in questo pur non tradendo fede concreta sul fatto che ella, in quel momento, fosse in vita, forse prigioniera, forse estemporaneamente ferita, ma, sicuramente, in vita; innanzi al giudizio di Be’Sihl, nulla, neppure la propria stessa esistenza in vita, avrebbe avuto valore al di fuori di lei, in quello straordinario rapporto coltivato anno dopo anno, prima come semplice conoscenza, poi come collaborazione, e ancora amicizia, sino ad arrivare, alfine, all’ormai insperata concretizzazione di quelli che, per lui, altro non avrebbero avuto che a doversi considerare dei sogni, quasi delle fantasie, e che, pur, incredibilmente, avevano finito con il tramutarsi in realtà e in realtà oggettiva, concreta, quotidiana. Una realtà per non rinunciare alla quale, dopotutto, egli aveva già preso, in passato, decisioni quantomeno discutibili, decisioni che lo avevano condotto, proprio malgrado, a dividere la propria mente con un’altra coscienza, con lo spirito di un semidio un tempo immortale, e poi pur ucciso dal suo stesso, divino, genitore, e ad allontanarsi, in maniera probabilmente priva d’ogni possibilità di ritorno, dal proprio mondo, dal tutto ciò che per lui era da sempre stata realtà e a cui, in sol nome dell’amore di lei, aveva accettato di separarsi senza remora alcuna, senza timore di sorte, affrontando, giorno dopo giorno, quella nuova vita, quella nuova realtà, e cercando, in realtà ancora senza particolare successo, di trovare la propria giusta collocazione in tutto ciò.
In simile situazione, a partire da tali premesse, per le condizioni con le quali, allora, si stavano ponendo a preoccupato confronto, l’ex-locandiere, costretto ospite dell’anima immortale di Desmair, figlio del dio Kah e di Anmel Mal Toise, e che, entro di lui, stava venendo contenuto nelle proprie possibilità di interferenza con le loro vite in grazia a un particolare dispositivo, a un collare elettronico posto attorno al suo collo, e volto a inibire le possibilità del medesimo di comunicare tanto con lui, quanto con il mondo esterno; egli non avrebbe avuto esitazione alcuna a liberarsi di tal dispositivo, di simile collare, nel momento in cui, in grazia alla collaborazione, non ovvia, non scontata, e pur possibile, come già comprovato da esperienze passate, del medesimo Desmair, fosse loro stata concessa possibilità di ritrovare Midda, di raggiungerla ovunque ella fosse e di ricongiungersi a lei. Un prezzo, quello che in tutto ciò, egli avrebbe rischiato di pagare, sostanzialmente pari a quello della propria stessa anima, e, ciò non di meno, un prezzo con il quale sarebbe sceso volentieri a un compromesso, se soltanto, così facendo, la propria amata avesse potuto avere occasione di vita e di libertà.

« Non ti demoralizzare… e non cediamo alla tentazione di pensare subito al peggio. » ebbe a rispondere Duva, in direzione di Lys’sh e, ciò non di meno, involontariamente, anche a prendere voce nel confronto con il flusso di coscienza proprio di Be’Sihl, con i suoi pensieri volti alla liberazione di Desmair e alla richiesta, al medesimo, di una nuova occasione di collaborazione, ancora una volta al fine mai banale, mai scontato, seppur tutt’altro che inedito, di ricongiungersi alla propria amata « Stiamo parlando di Midda “ti-strappo-l’anima-dal-corpo-a-mani-nude-e-non-impiego-più-di-un-singolo-dito” Bontor, dannazione… non di una qualunque oca giuliva. Per quanto abbiamo avuto occasione di constatare, anche e soltanto nel corso dell’ultimo anno, deve ancora nascere colui o colei che mai potrebbe vincerla. » dichiarò, con tono volto, quasi, a compensare l’ombra involontariamente proiettata sull’intera questione pocanzi, con la propria riflessione nel merito di quanto lì potenzialmente accaduto.
« E come spieghi, allora, quanto qui avvenuto…? » esitò la sua diretta interlocutrice, ora necessariamente confusa da simile, repentino cambio di posizione da parte sua.
« Non sappiamo nulla di quanto qui occorso.  » scosse il capo il primo ufficiale della Kasta Hamina, escludendo qualunque inappellabile verità a tal riguardo « E prima di considerare per spacciata la nostra amica, dovremmo quantomeno offrirle il dovuto rispetto nel concederle il beneficio del dubbio. » sorrise, con ritrovato ottimismo « Sbaglio, Be’Sihl…?! » rivolse direttamente la questione all’uomo che, fra tutti, alla medesima donna guerriero lì scomparsa, avrebbe avuto a doversi considerare più vicino.
« Non sbagli. » replicò egli, in un lieve sorriso tirato « E, lo giuro, farò di tutto per ritrovarla… »

mercoledì 22 novembre 2017

2377


Quando la squadra di recupero inviata dalla Kasta Hamina, e formata, nella fattispecie, da Duva Nebiria, il primo ufficiale nonché comproprietaria della stessa nave, Har-Lys’sha, Be’Sihl Ahvn-Qa, il compagno stesso della donna scomparsa, nonché il giovane mozzo conosciuto unicamente come Ragazzo, ebbe occasione di rintracciare l’ultima locazione nota del proprio capo della sicurezza, attraverso un percorso non meno impegnativo rispetto a quello da lei compiuto per ritrovare i due pargoli, e di giungere, in ciò, a quello stesso, supposto, rifugio sicuro entro il quale, non a caso, Tagae e Liagu avevano estemporaneamente trovato riparo e accoglienza; quanto venne loro offerto nulla avrebbe avuto a dover essere riconosciuto più di un edificio vuoto, e un edificio vuoto, apparentemente, da tanto… troppo tempo.
In effetti, non fosse stato per la presenza, fra le loro fila, della giovane ofidiana, difficilmente essi avrebbero potuto riservarsi occasione utile per constatare l’evidenza del passaggio della loro amica da quelle parti, ritenendo, impropriamente, di essere stati mal indirizzati, di aver frainteso, in qualche modo, l’evidenza delle prove raccolte sino a quel momento, e che sino a quel punto li aveva condotti. In grazia, altresì, alla presenza di quella donna rettile, e dei suoi straordinari sensi, primi fra tutti udito e olfatto, sviluppati a livelli indubbiamente superiori rispetto a quelli di qualunque essere umano; quel piccolo contingente fu in grado di rilevare alcune, tracce, più o meno evidenti, in grazia alle quali poter ricostruire quanto lì tragicamente accaduto e, soprattutto, poter riservarsi occasione utile a ipotizzare, con un certo margine di sicurezza, le sorti della compagna perduta…

« Qui è avvenuta una furiosa battaglia. Una mattanza, oserei dire. » dichiarò Lys’sh, con tono assolutamente serio, che non avrebbe potuto dare adito a dubbio alcuno se non fosse stato per l’evidenza apparentemente contraria di quanto, altresì, loro presentato innanzi « Molto sangue è stato versato. Molte persone sono morte. E qualcuno ha fatto sparire l’evidenza di ogni cosa, per insabbiare l’intera faccenda, evitando che potesse divenire di pubblico dominio… »
« Come puoi dirlo…? » questionò Be’Sihl, non per mancanza di fiducia in quella giovane e straordinaria donna, le mirabili capacità della quale era stato in più occasioni testimone, e pur, allora, necessariamente incuriosito dalla fermezza di quel giudizio, di quella constatazione laddove nulla, lì attorno, avrebbe potuto palesemente confutarla « La devastazione che qui impera non sembra recente e, oltretutto, avrete detto che questo edificio, come altri nel circondario, è stato abbandonato già da tempo e, in ciò, condannato alla demolizione… »
« Per nostra fortuna, la mia vista è paradossalmente meno sviluppata rispetto alla vostra, e, in questo, non sono solita lasciarmi ingannare dall’apparenza delle cose. » precisò l’ofidiana, scuotendo appena il capo, nel meglio evidenziare il proprio diniego a tal riguardo « In compreso, tutti i miei altri sensi sono estremamente più percettivi rispetto ai vostri… a iniziare da uno di quelli che tendete tutti, sovente, a trascurare e che, ciò non di meno, ha ogni diritto per poter essere considerato uno fra i sensi più importanti: l’olfatto. » esplicitò, sollevando la propria destra a indicare le due fessure presenti al centro del suo volto, così alieno a ogni canone umano, così prossimo a quello di un serpente, per sottintendere, in tal gesto, il proprio naso « L’aria è satura dell’odore di molti solventi e altri detergenti chimici, segno evidente di quanto, al di là dell’impegno speso a tentare di lasciar apparire questo luogo qual sporco e abbandonato, qualcuno si è dato particolarmente da fare per ripulirlo… e ripulirlo, nella fattispecie, dal sangue. E da tanto sangue che, qui, è stato versato non più di venti, o trenta, ore fa e alcune tracce del quale, malgrado tutto, sono riuscite a permanere, insinuandosi nelle più piccole fessure, impregnando piastrelle e mattoni al punto tale che, al di là di tanta dedizione, tanto impegno nella pulizia, non sono riuscite a essere completamente eliminate. »
« Sangue…? » ripeté, allora, Duva, ascoltando con attenzione quelle parole e non ponendole neppure per un istante in dubbio, non laddove, chiaramente, Lys’sh non si sarebbe mai espressa in tali termini per il mero piacere di dar aria alla bocca, non essendo tale approccio parte del suo carattere, del suo modo di essere o di agire, soprattutto nell’affrontare una situazione di crisi qual quella « C’è forse anche quello di Midda?! »
« Difficile a dirsi. » escluse, tuttavia e purtroppo, l’altra, con chiaro disappunto nel non essere in grado di concedere una replica puntuale a una domanda palesemente tale « Non vi fossero così tante tracce diverse, e rese, malgrado tutto, straordinariamente confuse in conseguenza all’uso dei solventi e dei detergenti, forse potrei essere in grado di riconoscerla. Ma, in queste condizioni, francamente no. » ammise, con sincerità encomiabile, al di là del diniego purtroppo espresso « Quello che vi posso dire che il sangue versato è stato veramente tanto… troppo, direi. Al punto tale di non poter essere quello di una sola persona. »
« Con buona probabilità è stata Midda stessa, allora, causa primaria di tal versamento… » ipotizzò l’ex-locandiere, amato e amante del soggetto in questione, ben conoscendo la stessa e, in ciò, non potendo attendersi nulla di diverso da parte sua « Lys’sh… forse sto chiedendo troppo… ma sei in grado di distinguere il suo odore rispetto agli altri presenti? A prescindere dal sangue, intendo. »
« Posso provarci. » annuì la giovane ofidiana, riservandosi, poi, qualche istante di silenzio per procedere in tal senso, per potersi concentrare nel merito degli odori eventualmente lì residui, malgrado il tempo trascorso dagli eventi che lì erano accaduti.

Come Be’Sihl, anche gli altri membri dell’equipaggio della Kasta Hamina lì presenti non avrebbero potuto ovviare a considerare quasi pari a un’ovvietà l’idea che, in un modo o nell’altro, Midda potesse aver avuto un ruolo chiave nello spargimento di sangue lì occorso. Quanto, tuttavia, per alcuno fra loro avrebbe potuto dirsi chiaro, altresì, avrebbe avuto a doversi riconoscere nelle ragioni alla base di tutto ciò, così come, obiettivamente, ancor poco comprensibili avrebbero avuto a potersi ritenere le ragioni alla base del suo gesto di evasione dal treno in partenza, in un balzo occorso senza neppure una semplice parola a definirne il perché. E benché, sicuramente particolare avrebbe avuto a dover essere riconosciuto il suo carattere, la sua straordinaria personalità, difficilmente ella avrebbe potuto riservarsi di agire in tal maniera senza una qualche reale, concreta e forte motivazione alle spalle. Motivazione nella scoperta della quale, pertanto, sarebbe probabilmente stato molto più semplice riuscire a ricostruire l’accaduto.
In assenza di tutto ciò, già il mero raggiungimento di quel luogo, ritenuto in connessione alla scomparsa della donna guerriero, non avrebbe avuto a doversi considerare qual un risultato banale. Al contrario. A tal fine, in effetti, il buon capitano Lange Rolamo, ex-marito di Duva e altro comproprietario della nave, aveva avuto a dover riscuotere non pochi favori, nonché a dover corrompere qualche funzionario pubblico, per arrivare ad accedere alle registrazioni dei sistemi di sicurezza cittadini nella zona antistante alla stazione ove Midda si era separata da Mars e Lys’sh e, tramite quelle, scoprire come ella fosse stata colpita alle spalle, nel mentre in cui stava rivolgendosi a una coppia di bambini, da un violento attacco al plasma, al quale miracolosamente era comunque sopravvissuta, per poi rialzarsi da terra e fuggire alle attenzioni di una coppia di paramedici e, diverse ore più tardi, lì fare tuttavia ritorno, con abiti diversi e in apparente buona salute, oltre che in compagnia di un uomo a loro sconosciuto, per poi allontanarsi nuovamente, questa volta al seguito di un mendicante. Mendicante nel seguire le tracce del quale, allora, quel piccolo gruppo di recupero aveva avuto occasione di giungere sino a lì, nella speranza di poter trovare, allora, maggiori informazioni a meglio comprendere il perché di tutto ciò…

« Ci sono molti odori recenti. In riferimento a umani e a chimere. » dichiarò la giovane, ricorrendo senza problemi a quel termine che, pronunciato da un essere umano, avrebbe potuto essere considerato razzista e dispregiativo nei confronti di tutte le specie non umane e che ella, tuttavia, in quanto esponente di una specie non umana, non avrebbe potuto avere problemi a utilizzare, fosse anche e soltanto per semplificare il senso del discorso « Direi che, fino a qualche ora fa, qui dentro erano non meno di un centinaio di persone… forse qualcuna di più. » specificò, cercando di restare quanto più possibile concentrata su quanto percepito dal suo meraviglioso olfatto « Molte di queste persone dovevano essere dei senzatetto… diciamo che, in tal senso, il loro odore è decisamente esplicito. »

martedì 21 novembre 2017

2376


Fu, tuttavia, proprio in quel momento, nell’istante stesso in cui le braccia della donna poterono stringersi delicatamente attorno ai fragili busti dei suoi due piccoli protetti, che tutto ebbe repentinamente a precipitare, e a precipitare così come solo avrebbe potuto avvenire nel veder l’intera area, quel vasto edificio, addirittura a tremare sotto l’effetto dell’enfasi con la quale un vero e proprio esercito, e un esercito di uomini in nero, armati oltremisura, in quello che avrebbe avuto a dover essere inteso come un concreto assetto da guerra, ebbe lì a penetrare, andando a disporsi rapidamente a occupare ogni spazio disponibile per imporre il proprio predominio sulla zona, in quello che non avrebbe mai potuto essere frainteso qual un assedio, quanto e piuttosto il mero rilevare qualcosa, o qualcuno, già obiettivamente di proprio possesso, con riferimento non tanto agli uomini e alle donne indigenti lì presenti, lì sparse in giro, quanto e piuttosto a tutto il resto, quella porzione di mondo abitualmente dimenticata dai più e che, obiettivamente, avrebbero avuto a poter considerare allora propria, divenuta tale in quanto in tal maniera presa con la forza, al pari, forse, della parte restante, di tutto il resto di quella città, di quel pianeta, che, stando a quanto spiegato da parte di Reel, avrebbe avuto serenamente a doversi considerare alla loro mercede. Così, quello che avrebbe voluto essere un semplice, affettuoso abbraccio fra la Figlia di Marr’Mahew e i suoi protetti, ebbe a evolversi, in un istante, in qualcosa di diverso, in una stretta protettiva volta a desiderare, all’occorrenza, essere per loro scudo con il proprio corpo, se ciò fosse stato necessario, affinché nessun male potesse essere loro imposto, non allora, né mai.
Quanto, tuttavia, in quel mentre, nel contesto proprio di quella rivalsa della Loor’Nos-Kahn a ristabilire il proprio possesso anche su quell’angolo di Thermora, e con esso, sui due bambini lì rifugiatisi, ebbe maggiormente a scatenare le ire dell’Ucciditrice di Dei, fu constatare quanto, purtroppo, ancora una volta, per la seconda volta nella giornata, in quella lunga, interminabile giornata, ella avesse permesso all’evoluzione degli eventi di coglierla di sorpresa, e di coglierla di sorpresa a opera dell’unico individuo dal quale avrebbe pur dovuto attendersi un tradimento e, pur, a favore del quale, una parte di lei, avrebbe pur desiderato sinceramente investire la propria fiducia: Reel Bannihil.
Ove, infatti, tutti i presenti, a partire dal medesimo Grande Tolvar, ebbero a reagire con timore, con spavento, a volte persino con terrore nel confronto con la comparsa di quell’esercito d’occupazione, arrivando persino, in qualche rara eccezione, a tentare di reagire in loro contrasto salvo essere prontamente eliminati da parte dei medesimi, con la stessa superficialità, con il medesimo disinteresse da parte di questi che avrebbe potuto essere atteso nel confronto con la rimozione di un fastidioso moscerino dal proprio campo visivo; ove Tagae e Liagu ebbero a gridare di spavento, stringendosi maggiormente a Midda, e, in tal gesto, a lei implicitamente affidandosi, sinceramente, spontaneamente, per la propria salvezza, in una situazione nella quale, ella stessa, per un fugace istante, non poté escludere il terrificante timore di essere stata, in prima persona, proprio causa di tutto, magari fattasi inavvertitamente seguire da parte di quei dannati uomini in nero sin dal loro centro di ricerca a lì, conducendoli stolidamente al proprio obiettivo; quanto, altresì, ebbe a risultare qual una devastante nota stonata, qual uno spiacevolmente evidente particolare fuori luogo, fu la quiete con la quale, altresì, Reel si presentò a confronto con il presumibilmente imprevedibile evolversi degli eventi, offrendosi nel confronto con tutto quello in termini che, senza alcuna possibilità di fraintendimento, avrebbero potuto significare soltanto una cosa: la quieta, pregressa consapevolezza di quanto, lì, stesse allora avvenendo…

« Tu… tu ci hai traditi tutti. » ringhiò l’ex-mercenaria, volgendo i proprio occhi color ghiaccio, all’interno dei quali le nere pupille avrebbero avuto a doversi considerare ormai ridotte a una capocchia di spillo in misura tale da smarrirsi, completamente, nelle fredde iridi, in direzione del proprio supposto alleato, del proprio presunto salvatore e, ciò non di meno, del proprio imperdonabile traditore « Perché…?! »
« E’… complicato. » scosse il capo Reel, non palesando particolare soddisfazione in quello che stava accadendo, e, per l’ennesima volta, rifiutando in tal maniera quelle spiegazioni che pur avrebbero avuto, allora, a dover essere considerate quantomeno dovute « E per quello che può valere, ti assicuro che non ho mai desiderato potesse accaderti qualcosa di male. » tentò di argomentare, quasi a cercare, in tal maniera, di giustificare il proprio tradimento « Il mio compito doveva essere quello di permettere il ritrovamento dei due bambini. Ma quando l’organizzazione ha compreso chi tu fossi, e quale potenziale straordinario tu avresti potuto loro offrire, hanno cambiato i termini del nostro accordo… »
« Il vostro accordo…?! » ripeté ella, levandosi in piedi innanzi a lui, nel mantenere con la mancina, vicino a sé, i due bambini, confusi e spaventati da quanto stava lì accadendo, per poter tuttavia avere libertà di rivolgersi in maniera più diretta verso il proprio interlocutore « Il vostro accordo che prevedeva di trattare due bambini al pari di semplici strumenti per i loro assurdi scopi…? » riformulò la donna guerriero, scuotendo appena il capo con palese disprezzo per tutto ciò « E’ davvero in questo modo, in questi termini, che vuoi tentare di difenderti innanzi al mio giudizio…?! »
« Io… » esitò l’uomo, quasi a cercare le parole più adatte a esprimersi, salvo tuttavia essere repentinamente interrotto da un nuovo attore.
« Il signor Bannihil ha compiuto un ottimo lavoro. » esordì una nuova voce, esprimendosi con tono chiaro e volume forte, provenendo da uno degli uomini in nero lì schierati, a maggior distanza e, in ciò, in migliori condizioni di sicurezza, dalla donna e dai due pargoli « E non ha necessità in alcun modo di discolparsi innanzi a lei, signora Bontor. »

Non lasciandosi ancora distrarre da quel nuovo attore, l’Ucciditrice di Dei mantenne il proprio sguardo fisso sul primo interlocutore, su colui dal quale, ancora, stava attendendo una qualche spiegazione, un chiarimento nel merito di quanto da lui compiuto, in ciò, probabilmente, cercando anche per se stessa un’occasione di riscatto dall’ingenuità altresì imperdonabile commessa nel concedergli comunque fiducia, nel riservarsi, malgrado ogni dubbio, ogni incoerenza, occasione di ascoltarlo, di collaborare con lui, finanche di arrivare a considerarlo, purtroppo, un proprio alleato: un errore, il suo, il prezzo del quale, allora, non sarebbe soltanto ricaduto su di lei, ma, peggio ancora, su quei due pargoli i quali, drammaticamente, erano da lei stati, in tal maniera, indirettamente traditi.
Ma innanzi allo sguardo della propria accusatrice, Reel, qual tale sembrava poter essere realmente il suo nome, non riuscì allora ad aggiungere altro, ritrovandosi proprio malgrado vittima di un evidente dissidio interiore, vittima, forse, di quella storia complicata che, più volte, aveva dichiarato averlo condotto sino a lì e che, al di là di ogni menzogna, forse avrebbe avuto a poter vantare un qualche fondamento. Fondamento nel merito del quale, tuttavia, ormai a Midda Bontor non sarebbe più importato.
Così, con un gesto deciso, con un movimento rapido e privo di ulteriori possibilità di esitazione, ella agì secondo quanto, obiettivamente, avrebbe potuto vantare si saper compiere in maniera squisitamente esperta, benché, altrettanto indiscutibilmente, alcuna occasione di orgoglio avrebbe avuto a poter essere associata a una simile arte: gli tolse la vita. E impose tale condanna in un semplice movimento della propria destra, un gesto banale come uno schiocco di dita, che quasi tale ebbe a sembrare in quell’azione rapida e decisa del suo pollice appoggiato sul fianco destro del suo mento e che, mantenendo il resto delle dita della mano altresì adagiate sul fronte sinistro del suo collo, vide, quindi, schioccare l’osso del collo di quell’uomo, di quel forse malcapitato colpevole, lasciandolo cadere inerme a terra, privo di vita e di ulteriori possibilità di far danno, nel mentre in cui, senza un sol fremito, la mancina restò quietamente disposta sulle spalle dei piccoli, ad abbracciarli, a tenerli a sé, ipoteticamente a proteggerli, per quanto ormai, forse, alcuna protezione avrebbe più potuto essere loro offerta…

« Cane maledetto… » sussurrò, con sincero disappunto per quel tragico epilogo, del quale, francamente, avrebbe allora fatto a meno « … e dire che mi stavi iniziando a piacere. » soggiunse, levando poi la propria destra in aria, a esprimere, in maniera sufficientemente chiara, la propria resa.

lunedì 20 novembre 2017

2375


Con il proverbiale senno di poi, Midda Bontor avrebbe compiuto molte scelte diverse nel corso di quella giornata, ultima fra le quali quella che l’aveva veduta continuare ad affiancarsi a Reel Bannihil anche dopo aver incontrato il Grande Tolvar, nel momento in cui, ormai, non avrebbe avuto più alcuna ipotetica necessità di mantenere quell’uomo al proprio fianco.
Ovviamente, in grazia a quell’ipotetica conoscenza che soltanto nel giungere a vivere il futuro, un istante alla volta, sarebbe stata concessa nel merito del passato, e, con esso, di tutte le leggerezze o i veri e propri errori compiuti sino a quel momento, ogni azione, ogni scelta resa propria avrebbe necessariamente assunto una sfumatura diversa, un tono a volte più acceso, a volte più spento, per meglio riuscire a discriminare quanto realmente meritevole di attenzione da quanto, altresì, terribilmente futile, quanto giusto da quanto, piuttosto, spiacevolmente errato; in un distinguo alla luce del quale, tuttavia, molte scelte sarebbero quindi state compiute diversamente, conducendo a una differente conclusione e, in tal senso, a nuovi, imprevedibili errori che, ancora una volta, avrebbero necessitato d’esser noti per poter, in qualche modo, aiutare in quell’impropria definizione del presente in previsione del futuro. Un esercizio di stile, pertanto, ancor prima che una vera e propria possibilità per migliorare il proprio fato, laddove inappellabile, alla fine, sarebbe stato comprendere quanto in alcuna maniera, chiunque, avrebbe potuto ovviare a ogni possibilità di errore: non nel riservarsi comunque possibilità d’azione, ove alla base dell’errore stesso avrebbe avuto a doversi fondamentalmente considerare l’iniziativa, né tantomeno rifiutandosi d’agire, giacché, anche nella non azione avrebbe potuto riservarsi, alfine, la spiacevole evidenza di un errore, e di un errore non meno potenzialmente tragico rispetto a qualunque altra più animata alternativa.
Così, anche ove, con il senno di poi, la Figlia di Marr’Mahew probabilmente avrebbe ovviato a concedere all’investigatore privato quell’implicita fiducia a lui dimostrata nel non escluderlo da quella che, apparentemente, avrebbe potuto rivelarsi essere la conclusione di quella fugace disavventura, di quel breve, seppur intenso, confronto con la Loor’Nos-Kahn e con i loro piani a discapito dei due pargoli da lei accolti sotto la propria ala protettiva; nel confronto con il tempo presente, malgrado tutti i segreti da lui ancor mantenuti, e malgrado l’errore di calcolo del quale egli si era reso protagonista nel suggerirle un’ipotetica, attuale ubicazione dei due bambini senza che questa potesse poi incontrare la benché minima possibilità di conferma, Reel non avrebbe potuto obiettivamente neppur essere considerato, in apparenza, e, probabilmente, anche in sostanza, qual un uomo apparentemente cattivo, fondamentalmente negativo, in misura utile da giustificare, da parte della stessa, un tale rifiuto, un simile allontanamento. Non, quantomeno, sino al momento in cui, paradossalmente, tutto avrebbe avuto a poter finire, e a finire nel migliore dei modi, nel ricongiungimento fra la donna guerriero e Tagae e Liagu…

« Siamo arrivati! » annunciò il Grande Tolvar, senza dissimulare una certa soddisfazione nell’introdurre i suoi due ospiti alla meta finale del loro breve viaggio insieme, al termine di quel non immediato percorso che aveva finito per condurre Midda e Reel attraverso molteplici vie e vicoli di Thermora, sino ad arrivare a quella che, nell’altra Thermora, nella città sotterranea pur quietamente esposta alla luce dei soli, avrebbe avuto a dover essere intesa qual una vera e propria piazza principale, laddove, ciò non di meno, per i più si sarebbe trattato di un edificio dismesso, testimonianza di quel continuo rinnovamento architettonico all’interno dei confini di quel vasto, piccolo mondo, nel quale quanto giudicato qual fatiscenza dai più sarebbe quietamente stata riconosciuta al pari di placida accoglienza da altri, altri che, nella fattispecie, entro quelle mura avrebbero avuto occasione di prosperare a dispetto di tutta la propria povertà.

E se pur, a confronto con quel mondo nel mondo, con quella città nella città, l’ex-mercenaria avrebbe potuto avere motivazione di riservarsi non poca curiosità, lasciandosi eventualmente coinvolgere dal medesimo, per meglio comprenderne le dinamiche e i principi, nel riscoprire, forse, dietro a tutto ciò qualcosa di poi non così lontano, non così estraneo a quanto, per lei, riconducibile a un concetto di comune realtà, di nostalgica casa, a quel mondo dai più, in quel frangente, condannabile qual barbaro, retrogrado, seppur, dopotutto, non peggiore, né migliore, rispetto a quello e a molti altri, quanto e semplicemente diverso; ogni riflessione a tal riguardo ebbe a scemare nel confronto con la gioia, con la semplice emozione derivante dal pur annunciato ritrovamento dei due pargoli, di quella coppia di bambini a lungo cercata, e per la sorte dei quali, inutile allora tentare di mistificarlo, ella avrebbe avuto a dover vantare maggiore timore, paura, di quanto, probabilmente, non si sarebbe potuta attendere neppure lei stessa, espressione di un attaccamento emotivo nei loro riguardi dai più giudicabile qual ingiustificato, nel non ignorare quanto, sino a poche ore prima, la mera esistenza in vita degli stessi non avrebbe avuto a dover essere considerata neanche nota alla sua attenzione, così come, dopotutto, ancora entrambi, in fondo, avrebbero avuto a dover essere riconosciuti pressoché degli estranei per lei. Tuttavia, giusto o sbagliato che tal sentimento avrebbe avuto a dover essere considerato, anche in quei termini avrebbe avuto a dover essere riconosciuto il suo carattere, la sua personalità, capace di abbracciare una causa, quando sentita a sé prossima, con tutto il proprio cuore, con tutta la propria anima, la propria mente e il proprio corpo, in una misura indubbiamente maggiore di quanto, in effetti, ci si sarebbe mai potuti aspettare da una mercenaria, qual ella pur, sino all’anno precedente, sino a prima del suo ingresso in maniera stabile nell’equipaggio della Kasta Hamina, non aveva mai avuto ragione per escludere di poter vantar essere.
Assolutamente sincera, in tutto ciò, avrebbe avuto a dover essere considerata la sua reazione di gioia, quella vivace emozione che ella ebbe a provare nel riconoscere, fra le molte figure lì presenti, e impegnate, ognuna, nella propria vita quotidiana, le sagome dei due pargoli, quei profili veduti per la prima volta soltanto poche ore prima e, dopo quanto affrontato sino a quel momento, già considerabili qual conosciute da una vita intera. Una gioia, un’emozione, che venne quindi da lei espressa in un alto, e spontaneo, grido rivolto all’indirizzo dei bambini, in quella che avrebbe potuto rivelarsi essere una reazione forse eccessiva e che, in questo, avrebbe potuto non essere ricambiata, altrettanto enfaticamente, dai due pargoli, e che pur, quasi a volerle tributare il giusto omaggio per tutto l’impegno da lei dimostrato, non ebbe a essere trascurata dagli stessi… anzi.

« Liagu! Tagae! » esclamò ella, desiderosa di farsi riconoscere dai due, di attrarre a sé la loro attenzione, nel sollevare, in tal senso, la propria sinistra, muovendo la mano a rendersi più riconoscibile, più identificabile rispetto a quello che, altrimenti, avrebbe potuto essere uno sfondo troppo eterogeneo per non apparire, paradossalmente, omogeneo al loro sguardo.
« Midda! » gridarono, di rimando, i due bambini, quasi all’unisono, dando dimostrazione non soltanto di ricordarsi di lei e del suo nome, ma, anche, di ricambiare il sentimento di felicità da lei loro rivolto nel rincontrarli, nel ritrovarli, in quanto, più di qualunque ricompensa materiale, avrebbe allora offerto all’ex-mercenaria un senso a tutto quello, a quanto compiuto sino a quel momento, a quanto subito sino ad allora.

Una breve corsa, su ambo i fronti, permise, allora, alla donna guerriero di ricongiungersi a coloro i quali aveva accolto sotto la propria ala protettrice, a coloro per i quali era stata quasi uccisa, in quelle ultime ore, e a coloro per i quali, in quelle stesse ultime ore, aveva ripetutamente ucciso, senza la benché minima remora a tal riguardo, pronta, se necessario, a riprendere simile attività anche nell’immediato, seppur, allora, le sue braccia, le sue mani, e, più in generale, il suo intero corpo, ebbero allora a muoversi in maniera decisamente più inoffensiva, animati da un ben diverso intento, nel genuflettersi verso il suolo e nel dischiudersi ad accogliere i due bambini, quei pargoli che, del resto, l’avevano a loro volta inseguita, cercata, addirittura per primi, con non meno dedizione di quanto ella stessa poi non avesse ricambiato, o, in caso contrario, non si sarebbero mai presentati sulla banchina di quel treno, in un silenzioso e timido invito a non partire, a non abbandonarli dopo aver già offerto evidente dimostrazione di poterli aiutare.