11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

giovedì 11 gennaio 2018

La quiete dopo la tempesta (1 di 4) - Speciale primo decennale

NOTA INTRODUTTIVA: Il seguente episodio, primo di quattro, ha da considerarsi quale parte di un breve evento speciale per festeggiare i primi dieci anni dall'inizio della pubblicazione di Midda's Chronicles (11 gennaio 2008). A differenza di altri speciali, quanto qui narrato è da intendersi perfettamente contestualizzato nella continuità narrativa delle Cronache, collocandosi in parallelo agli eventi raccontati nel quarantaseiesimo racconto.

Era trascorso un anno: un anno dalla fine della guerra.
Una guerra che aveva trasceso ogni logica convenzionale, nella propria origine, nel proprio sviluppo e nella propria conclusione.
Per alcuni consumatasi in tempi straordinariamente brevi, fondamentalmente nel corso di una singola, conclusiva battaglia, per altri protrattasi addirittura tre lunghi decenni prima di poter alfine terminare; quella guerra non aveva coinvolto specifici regni, non aveva previsto confini da difendere o da invadere, non aveva contemplato assedi o marce, ma, più o meno consapevolmente, più o meno esplicitamente, aveva egualmente sconvolto, in maniera diretta, l’esistenza di centinaia di uomini e donne in essa ritrovatisi schierati in prima fila, e, in maniera indiretta, quelle di altre migliaia ritrovatisi a essere così trascinati, proprio malgrado, in qualcosa del tutto ignoto e ignorato, e pur, ciò non di meno, volto a porre in dubbio la loro stessa sopravvivenza, il loro medesimo domani. Tale guerra aveva veduto, in una non casuale analogia a un terremoto, qual proprio epicentro, qual proprio punto d’origine, due donne: sorelle, gemelle addirittura, fisicamente identiche fra loro e pur, sin dai più teneri anni della propria infanzia, sospinte da diversi interessi e passioni, scopi e principi nelle proprie esistenze, al punto tale, loro malgrado, da sembrare ineluttabilmente destinate a fraintendersi, e a fraintendersi tanto da degenerare in una sanguinosa faida. Faida in conseguenza alla quale non soltanto le loro stesse esistenze avevano finito con il condannarsi a un cupo fato di morte, ma anche quelle di molte, troppe altre persone attorno a loro: uomini e donne i quali, nel corso di quei trent’anni, erano, presto o tardi, tragicamente caduti, quali vittime di tanto osceno giuoco.
Nel corso degli ultimi anni, la guerra fra le due sorelle aveva finito con l’assumere proporzioni persino grottesche, nel veder coinvolti attori di natura sempre meno umana, sempre più lontana dal considerarsi mortale, sino ad arrivare a coinvolgere, persino, gli stessi dei e, ancor più, principi a loro antecedenti, a loro superiori, quelle forze primordiali alla base della medesima Creazione. E difficile, in tutto ciò, avrebbe avuto a potersi immaginare quanto ancora tale guerra avrebbe potuto proseguire in termini altrettanto folli, ancor più insensati, se, alfine, non fosse giunta a conclusione, e non fosse giunta all’unica conclusione possibile, con la non meno folle, non meno insensata morte di una delle due sorelle per l’altra. Non per mano dell’altra, ma per il bene dell’altra, in un tragico sacrificio dal sapore di suicidio: sangue versato quello dell’una per il bene dell’altra, nonché per il bene di tutti coloro i quali, ancora, avrebbero avuto a potersi riconoscere fortunatamente in vita. Un annovero, quest’ultimo, il quale non avrebbe più avuto a poter includere il suo figlio primogenito, a sua volta, e prima di lei, immolatosi indomitamente nella speranza di porre fine, a prezzo della propria vita, a quella guerra; ma che, fortunatamente, avrebbe visto altresì presenti le sue secondogenite, due bambine, ancora due sorelle gemelle, per il bene delle quali ella non avrebbe potuto che pregare per un fato diverso da quello che aveva contraddistinto loro, migliore rispetto al loro.
Nella medesima follia che aveva caratterizzato tale guerra, anche le conseguenze della conclusione della stessa non avrebbero avuto a potersi considerare propriamente convenzionali, nel veder incoronata qual vincitrice chi nulla avrebbe potuto, in tutto ciò, vantar d’aver vinto, e nel definire sconfitta colei la quale, altresì, aveva autonomamente decretato la propria stessa condanna per la salvezza di tutti. E laddove l’antagonista era divenuta eroina, e l’eroina aveva necessariamente smarrito il proprio ruolo, domandandosi quanto, in tutto ciò, non avesse ella stessa a doversi considerare antagonista; a un anno di distanza esatto dalla fine della guerra, quasi tutti i principali protagonisti che, a essa, erano sopravvissuti, guadagnandosi il titolo di trionfatori, mai avrebbero potuto avere di che celebrare il proprio trionfo, obiettivamente a dir poco immeritato, quanto e piuttosto il ricordo di coloro i quali, figlio e madre, con il proprio cosciente e volontario sacrificio, soli avevano posto termine a trenta lunghi anni di dolore e di morte.

Era trascorso un anno: un anno dalla fine della guerra.
Una guerra che aveva trasceso ogni logica convenzionale, nella propria origine, nel proprio sviluppo e nella propria conclusione.
E per rendere omaggio agli eroi, e vittime, di quella guerra, a un anno di distanza esatto dalla conclusione di tanto orrore, coloro i quali avrebbero potuto vantare di esserne sopravvissuti ebbero a ritrovarsi nuovamente insieme, salpando dai più disparati angoli del Creato ove, nel contempo, avevano avuto occasione di impegnarsi a proseguire le proprie esistenze, sforzandosi di mai sprecare il dono loro concesso, per riunirsi là dove tutto aveva trovato conclusione, e là dove, nel corso di quell’ultimo anno, non aveva mancato di essere eretto un monumento funebre a imperitura memoria di Leas Tresand e di sua madre di Nissa Ronae Bontor, il sacrificio di sangue dei quali aveva sol posto fine a tutto. E, a tale appuntamento, si presentarono tutti… tutti tranne colei che, più di chiunque altro, lì avrebbe avuto ragione di essere presente, per gioire della fine di tanto orrore, e compiangere la propria sorella gemella, il proprio nipote, e, con essi, tutti coloro i quali, prima, erano caduti: alleati, amici, amanti, sistematicamente perduti nel corso di quei trent’anni di guerra, uccisi, a volte anche a tradimento, con l’unica colpa di essere a lei legati. Ma per Midda Namile Bontor, l’unica assente a quella tragicamente gioiosa celebrazione, la fine di quella guerra non aveva avuto a coincidere con la fine di ogni guerra. E, soprattutto, non aveva potuto rappresentare un’assoluzione da tutte le proprie responsabilità in quanto era accaduto, nel bene e, soprattutto, nel male. Ragione per la quale, quasi un anno prima, poco dopo il termine del conflitto, ella aveva deciso di ripartire, e di ripartire diretta ben più lontano di quanto mai ella o chiunque altro avrebbe potuto, o avrebbe potuto sospingersi.

Il primo a giungere a destinazione, ovviamente, non avrebbe potuto che essere colui che di quelle terre, e dei mari a esse circostanti, era divenuto nuovo sovrano dopo la caduta di Nissa, prima regina di Rogautt: El’Abeb. Affiancato dalla sua compagna, dalla sua splendida sposa Shu-La, colui che era stato un tempo un marinaio e un mercenario, e che, poi, aveva avuto il coraggio e la forza di riscattare il proprio destino, nonché il destino di un intero popolo, e di molti, altri, reietti di tutti il mondo conosciuto, venendo alfine insignito di quell’incarico regale, da lui accolto con straordinario senso di responsabilità e con mirabile dimostrazione di un animo ben più saggio di quanto, egli stesso, non sarebbe stato disposto a credere; non aveva potuto ovviare a fare ritorno alla propria capitale, al centro del proprio dominio, per attendere paziente l’arrivo di tutti gli altri, coloro che, allora, sarebbero stati suoi graditi ospiti, in quel giorno nel quale, alla gioia per l’inizio di quella nuova epoca di pace, non avrebbe potuto mancare di unirsi una triste nostalgia per coloro ai quali, a tale era, non era stato concesso di prendere parte ancor in vita.
Seconda, in ordine temporale, non ebbe a tardare di presenziare la delegazione proveniente dal continente, e, in particolare, da Kriarya, una delle capitali del regno di Kofreya meglio nota come città del peccato, della quale, nel corso della propria vita, per le proprie gesta, Midda Bontor aveva guadagnato il titolo di Campionessa. Membri di tale contingente, allora, ebbero a essere, innanzitutto, due lord della città, già presenti un anno prima, in occasione dell’ultima, grande battaglia, lord Bugeor e lord Brote, nonché, assieme a quest’ultimo, suo figlio, un bambino di ormai sei anni che, al di là della propria giovanissima età, avrebbe avuto a dover essere riconosciuto qual uno fra le vittime di quel lungo conflitto, nel non aver mai avuto occasione di conoscere la propria genitrice in conseguenza alla follia omicida che, all’epoca, aveva spinto Nissa ad aggredire quell’uomo e la sua famiglia, per colpire, in maniera indiretta, la propria gemella, per minarne, sanguinosamente, la serenità, così come, già da più di vent’anni, non aveva perso occasione di compiere. Sempre da Kriarya, accanto alla nobiltà non aristocratica di quella particolare urbe, non ebbe a mancare di presenziare anche colui che, più di tutti, aveva avuto di che soffrire per la partenza di Midda, essendone stato il primo, nonché l’unico, scudiero e, a modo suo, avendo probabilmente a potersi riconoscere qual suo figlioccio: Seem. In tal ruolo testimone di molti degli eventi chiave di quell’orrenda guerra trentennale, egli non avrebbe potuto mancare di essere presente, in quel giorno, in quel luogo, a ricordare quanto accaduto e, soprattutto, a pregare gli dei tutti, con i quali pur avrebbe potuto vantare un rapporto quantomeno complicato, di proteggere la sua signora, il suo cavaliere, qualunque nuova battaglia stesse combattendo, qual, era certo, ella non avrebbe mancato di star affrontando ovunque fosse andata.

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