11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

martedì 21 ottobre 2014

2264


Midda Bontor, la mia amata Midda Bontor, addestrata a essere guerriero da anni antecedenti a quelli in cui aveva potuto iniziare a essere riconosciuta pienamente qual donna, e prima ancora marinaio, e, successivamente, mercenaria, da quando il precipitare di alcuni eventi le avevano negato la possibilità di continuare a percorrere le vie del mare, aveva affrontato, nel corso della propria non breve esistenza, molteplici sfide, probabilmente persino troppe battaglie, per non potersi considerare consapevole nel merito della necessità, in talune occasioni, di stringere insolite alleanze, all’occorrenza di un comune nemico da fronteggiare.
In questo, benché propria prerogativa, da sempre, avesse a dover essere riconosciuto il mantenimento dei propri principi, delle proprie idee, in una coerenza granitica che, ancor prima di ogni altra sua straordinaria caratteristica, la rendeva comunque e inoppugnabilmente una persona fuori dal comune, fuori da ogni possibilità di stereotipata banalizzazione; proprio laddove consapevole di ciò, di quanto la guerra, nella propria concezione più pratica, più concreta, più violenta, fosse solita offrire pretesto per ritrovarsi a creare un unico fronte con coloro i quali, paradossalmente, un attimo prima si sarebbe potuti essere impegnati in un non meno letale tenzone, difficilmente avrebbe potuto ignorare il raziocinio esistente dietro le parole di Desmair, dietro l’avvertimento da egli così sollevato nel merito della necessità di accettare, almeno estemporaneamente, la sua presenza al proprio fianco… e nel mio corpo. Non che, comunque, in tal accettazione, ella avrebbe mai potuto mutare le proprie idee, e i propri desideri, in ferino contrasto al proprio sposo, a quel semidio da lei sposato unicamente per l’occorrenza di un istante sperato, creduto qual fugace, e poi, sgradevolmente, scopertosi qual impropriamente duraturo: ove anche, in quel frangente, così come già in passato, la presenza e l’aiuto di Desmair avrebbero potuto essere da lei tollerati, nulla di tutto ciò avrebbe mai potuto mutare, o anche solo smorzare, la ferma volontà, da parte della mia amata, di definire quanto prima, e in maniera speranzosamente duratura e irrevocabile, il proprio stato di vedovanza, quella condizione della quale, per breve tempo, ella si era illusa di poter godere finanche al punto di arrivare a suggerire l’eventualità delle nostre nozze, di una nostra, quanto mai insperata unione eterna.
Così, ingoiando a forza, con disprezzo, ribrezzo e, addirittura, disgusto, l’amaro… amarissimo boccone che il destino le stava in tal modo riservando, ella si trattenne dal perseguire qualunque obiettivo in contrasto a colui che, prima di chiunque altro, prima ancora, e persino, anche rispetto alle guardie armate lì schierate in nostro esplicito contrasto, non avrebbe potuto evitare di identificare, in quel frangente così come un qualunque altro contesto, qual un avversario, qual un antagonista; reindirizzando, non senza un deciso impegno, un concreto sforzo, tutto il proprio impeto, tutto il proprio furore, verso diversi obiettivi. E dove anche, in quel momento, al computo dei combattenti sarebbe ancora mancato il nome di Lys’sh, del suo intervento non vi fu alcuna evidenza di necessità… non sotto l’azione, contemporanea, dei colpi inferti da Desmair e da Midda Bontor.
Ovviamente, a fronte di un tale scenario, di un simile, inatteso intervento da parte “mia”, la giovane ofidiana non ebbe a risparmiarsi commenti, i quali, purtroppo, rimasero privi, almeno nell’immediato, di qualsivoglia replica, nella subentrata impossibilità, fra noi e lei, di qualsivoglia comprensione, facendo emergere, se mi si può concedere l’osservazione, il prepotente limite della tecnologia della quale, sino a quel momento, ci eravamo tutti avvalsi per comunicare. Giacché, palesemente, la comodità allor conseguente all’impiego di tale supporto, di simile strumento, si dimostrò compensata, in maniera incontrovertibile, dalla mantenimento della più assoluta ignoranza, della più completa estraneità, nel merito della lingua, o delle lingue, che, per mezzo del traduttore automatico, non ci era stata richiesta l’esigenza di apprendere. Un limite il quale, se pur non avrebbe avuto occasione di emergere fin tanto che lo strumento avrebbe continuato a operare in maniera corretta, sarebbe altresì purtroppo risultato più che spiacevolmente vincolante in caso di malfunzionamento, così come in quel momento.
Per nostra fortuna, a margine di questa mia personale considerazione, in quel frangente Midda e Lys’sh avrebbero avuto a doversi comunque riconoscere qual più che perfettamente allineate, nel merito di quanto avremmo avuto a dover compiere nell’immediato futuro, ragione per la quale, al di là del solido muro di incomunicabilità eretto fra noi, ciò non avrebbe potuto rappresentare alcuna ragione d’ostacolo.
Non, quantomeno, fin a quando Desmair si fosse dimostrato comunque collaborativo nei confronti di entrambe, nell’egual misura in cui alla propria sposa aveva domandato di sforzarsi di essere nei propri…

« Tutto questo mi fa ritornare giovane… a prima che mia madre decidesse di esiliarmi in quella dannata fortezza fra i ghiacci ai confini del mondo! » esultò e rievocò, rivolgendosi, appena ansimante, in direzione di Midda, non appena anche l’ultima delle guardie, di quel nuovo contingente in nostro contrasto schieratosi, fu abbattuta « Dei… mi ero quasi dimenticato quanto potesse essere piacevole infliggere colpi con le proprie stesse mani… » soggiunse, quasi a titolo di commento a margine.
« Tre cose… » replicò la donna guerriero, con tono quanto più possibile gelido e distaccato, benché, fra tutti i propri antagonisti, Desmair avesse a doversi considerare, effettivamente, quello che più di chiunque altro era in grado di farle smarrire il proprio altrimenti glaciale autocontrollo « Primo: invece di stare qui a crogiolarti innanzi al massacro compiuto, vedi di darti una mossa… ne abbiamo ancora di strada da fare per uscire da qui. » comandò, attuando ella stessa, immediatamente, le proprie parole e, con un cenno, invitando anche Lys’sh a seguirla, nel riprendere la discesa appena interrotta, in maniera tanto effimera, fugace « Secondo: cerca di non dimenticarti che quelle non sono le tue stesse mani, ma le mani di Be’Sihl. Al quale dovrai restituire il controllo non appena si sarà ripreso o, te lo giuro, tua madre diverrà l’ultimo dei tuoi problemi. » minacciò, in quella che, qualcuno, estraneo a qualsivoglia confidenza con lei, avrebbe potuto considerare un futile sfogo e che, tuttavia, alcuno si sarebbe mai dovuto concedersi la leggerezza di dover fraintendere qual tale, a meno di non volerne poi pagare le terrificanti conseguenze « Terzo: non sei mai stato imprigionato ai confini del mondo, per mia sventura. O non sarei incappata nella tua fortezza per puro errore… » concluse, in quella che, allora, ebbe anche per lei a suonare quasi a titolo di commento a margine… un commento carico di rimpianto e di nostalgia all’idea di quanto, se gli eventi non l’avessero mai condotta a conoscerlo, sicuramente quegli ultimi anni di vita avrebbero preso una piega decisamente diversa e, forse, migliore.
« Tre cose… » insistette egli, sembrando quasi volerle fare verso, nel riprendere facendo proprie le medesime parole da lei appena destinategli « Primo: commetti troppo spesso l’errore di dimenticarti quanto, in verità, la mia metà umana sia nata e cresciuta in quel di Shar’Tiagh. E con “metà umana”, ovviamente, non intendo riferirmi al tuo amante, mia fedifraga sposa. Pertanto… sì. Essere confinati in sulla cima dei monti Rou’Farth, per te dietro l’angolo, dal mio punto di vista ebbe a doversi considerare essere esiliato ai confini del mondo. » puntualizzò, rammentando, non a torto, quanto le origini di sua madre Anmel Mal Toise, e quindi anche le sue, per uno strano scherzo del destino avrebbero avuto a doversi considerare corrispondenti alle mie, nel ricondurci entrambi in quel del regno di Shar’Tiagh « Secondo: dovresti essere tu a rammentarti, piuttosto, quanto in questo momento le mie spoglie mortali abbiano in tutto e per tutto a essere considerate coincidenti con quelle del succitato amante… ragione per la quale, probabilmente, dovresti ponderare con maggiore attenzione le tue minacce, e la fattibilità delle medesime, prima di formularle a vuoto. A meno che, ovviamente, il tuo desiderio di arrecarmi un torto abbia a considerarsi maggiore rispetto alla tua brama di tutelare l’integrità fisica, e la salute, del tuo supposto amato. » suggerì, non negandosi un ampio sorriso sornione, quanto mai a sproposito, allora, laddove espresso dal mio stesso volto « Terzo: mi pare che io ti stia seguendo… quindi, anche in questo caso, tutto il tuo precedente sfogo ha da considerarsi del tutto fine a se stesso, per non dire completamente vano e superfluo. » concluse, con malcelata soddisfazione per il successo in tal maniera considerato qual proprio, qual riportato nel confronto appena occorso con lei.

lunedì 13 ottobre 2014

2263

Fu quello che, poeticamente, potrei ora descrivere come l’intervento del fato, ma che, sostanzialmente, altro non avrebbe avuto a dover essere ricondotto a un mio sciocco momento di distrazione, a restituire a me, e anche alle mie due compagne, la consapevolezza di quanto, nuovamente, non avrei più potuto definirmi realmente solo, così come mai avrei potuto permettermi di vantarmi di essere sin dal giorno in cui, mio malgrado, ero stato individuato dal marito della mia amata qual ricettacolo ideale per il proprio fuggente spirito, ancor aggrappato al piano d’esistenza mortale benché il suo stesso corpo, ipoteticamente immortale, fosse stato sconfitto per intervento, per opera, del medesimo dio minore al quale avrebbe avuto a doversi dichiarare grato per la propria esistenza in vita, nell’esserne semidivina progenie. Uno sciocco momento di distrazione le conseguenze del quale, nel rendere giustizia allo stesso Desmair, avrebbero potuto persino aversi a considerare fatali se solo, appunto, non fossi stato allora graziato dalla pur mal digerita, e mal digeribile, presenza del medesimo all’interno del mio corpo.
Ovviamente, di quanto a seguire, non mi venne data occasione di essere testimone in prima persona, se non nel proprio preambolo, ragione per la quale, ancora una volta, questo mio resoconto si prenderà la libertà di riportare non tanto eventi da me concretamente vissuti, quanto e piuttosto ricostruire la dinamica degli stessi sulla base di quelle che, a posteriori, sono state le vicissitudini a me stesso riferite. Giacché io, nel mentre della nostra fuga, benché ancor sostenuto, oltremisura, dai mai sgradevoli effetti dell’adrenalina, mi ritrovai, imperdonabilmente, a inciampare, forse in conseguenza di un controllo ancor non completo sul mio corpo, forse a seguito dell’incredibile concitazione del momento o, ancora, forse per effetto di una reazione inconscia e istintiva a un qualche segnale di pericolo a me circostante: impossibile, ora, per me definire con precisione entro quale fra queste, e molte altre, eventualità, avrebbe avuto a doversi considerare la causa del pur ingiustificabile crollo che mi coinvolse, che mi vide protagonista, e che, peggio che mai, mi ritrovò intento a picchiare la nuca al suolo, con foga fortunatamente insufficiente ad aprirmi il cranio come un melone troppo maturo e pur, ciò non di meno, adeguata a privarmi, temporaneamente, dei sensi. Condizione alla quale, per collettiva fortuna, si premurò di rimediare rapidamente il mio ospite, prendendo egli stesso controllo del mio corpo altrimenti rimasto, in quel particolare frangente, privo di una coscienza utile a guidarlo.

« Be’Sihl! » gridò Midda, anche in quel momento, anche in quella particolare situazione che avrebbe potuto comprendere i suoi ultimi istanti di vita, a causa del male ancor incurato all’interno del suo corpo dono della sua carceriera, preoccupandosi maggiormente per me ancor prima che per se stessa, e subito precipitandosi al mio fianco per offrirmi il proprio aiuto ed, eventualmente, la propria protezione « Stai bene…?! »

Nel contempo di ciò, un sibilante suono provenne dalle labbra di Lys’sh, proponendosi, invero, quale l’effettivo suono della sua voce, e la concreta espressione della sua lingua natia, non filtrata e non tradotta attraverso congegni in quel momento ormai inutilizzabili, e, in ciò, obiettivamente incomprensibili nel proprio significante, e nel proprio significato, tanto alle orecchie della mia amata, e sua prima compagna di ventura, quanto alle mie… o, per lo meno alle mie orecchie pur, allora, non più sotto il mio effettivo controllo.
Malgrado tale concreto inconveniente, e l’apparente impossibilità a comunicare, il messaggio che Lys’sh aveva voluto offrirci risultò quanto meno esplicito, in quello che avrebbe avuto a dover essere inteso qual un allarme volto a preservarci dall’aggressione di un nuovo gruppo di guardie che, proprio su di noi, stavano per piombare in quel momento, equipaggiati per uno scontro all’arma bianca, con pugnali e daghe.

« Thyres! » imprecò la mia amata, preparandosi al nuovo scontro.

Ancor prima che ella potesse muovere di un solo soffio la propria lama, a intervenire, però, fui io. O, meglio, fu Desmair.
Desmair, il quale, non concedendo più al nostro corpo di giacere a terra, ci spinse con forza, con energia, e con l’assurda eleganza di un unico gesto, di una sola flessione muscolare, a recuperare una posizione eretta innanzi al nemico e, nel contempo di ciò, a proiettare la lama con la quale, un istante prima, mi stavo accompagnando, verso i nostri antagonisti, con impeto espresso, indubbiamente, dal mio corpo e, ciò non di meno, manifestando una violenza della quale non mi sarei mai riuscito a rendere interprete, neppure in grazia a un’adrenalinica overdose. Perché la spada con la quale mi ero armato, allora, volò fra noi e i nostri antagonisti con la precisione e la traiettoria di un dardo scoccato da una balestra e, letteralmente, trapassò, da parte a parte, il petto di ben due guardie, finendo, addirittura, con il ferirne una terza alle loro spalle, così come, sicuramente, neppure una lancia si sarebbe mai potuta concedere occasione di compiere.
E se un nuovo sibilo, ora di chiara sorpresa, commentò l’accaduto sul fronte della nostra ofidiana compagna, parole ben più comprensibili manifestarono la reazione di Midda all’accaduto…

« Ma… come…?! » esitò ella, per un fugace istante, salvo poi lasciar scomparire le proprie nere pupille all’interno delle glaciali iridi, a conferma di quanto, in quel momento, avesse perfettamente compreso l’identità di colui che le stava innanzi e, malgrado l’intervento in comune soccorso, non ne fosse minimamente lieta « … Desmair! »
« Mia signora… bentrovata. » sorrisi… sorrise egli, con il mio volto, accennando un lieve inchino prima di balzare in avanti e catapultarci nella mischia, a finire la terza guardia già ferita e ad affrontare quelle che, dietro a quel primo contingente, stavano per arrivare « Credi che io possa rischiare di apparire eccessivamente sdolcinato evidenziando quanto tu mi sia mancata in questi ultimi mesi…?! »

Quasi a volerle rendere omaggio, in un gesto che, pur, non avrebbe dovuto essere in alcun modo considerato naturale per lui, per la sua indole, per il suo carattere o, comunque, per i loro trascorsi quantomeno burrascosi e fondati su una reciproca e consapevole inimicizia, l’allor detentore del mio corpo ci scagliò senza riservarsi il benché minimo freno inibitore contro il pericolo e, nel contempo di ciò, si riservò persino quell’occasione di scherzo, di giuoco con lei, in quello che, altresì, avrebbe avuto a doversi considerare un modo d’agire proprio della mia stessa compagna, nonché sua mai desiderata sposa.
E, di ciò, di tale gesto, di simile atto, Midda non mancò ovviamente di cogliere l’evidenza, pur non offrendo alcuna trasparenza di ipotetica soddisfazione per quanto, in cotale maniera, tributatole. Perché, al di là dell’omaggio sì rivoltole, quanto più di ogni altra cosa ella non poté ovviare a notare fu l’innegabile, sgradevole e temuto ritorno in azione di Desmair. E di Desmair come prepotente possessore del corpo entro il quale, solo un istante prima, ero stato io ad agire. A confrontarmi con lei. A stringermi a lei.

« Non sono in vena di scherzi, Desmair! » obiettò ella, rialzandosi da terra, là dove mi aveva raggiunto quando ero caduto, per avanzare verso di noi, rivolgendosi al marito quasi come se null’altro, in quel frangente, esistesse allora attorno a noi… incluse anche le guardie che, rapidamente, lo stesso Desmair stava falciando apparentemente senza impegno alcuno, senza fatica alcuna, dimostrando un’imprevedibile maestria nell’uso di un’arma là dove, prima di allora, non ne aveva mai offerto riprova né a me, né tantomeno alla propria sposa « Restituiscimi subito Be’Sihl… ora! »
« Non credo che questo sia possibile. » replicò egli, stringendosi appena fra le spalle « E non prendere il mio qual un capriccio volto a recarti torto, sia chiaro. » puntualizzò subito dopo « Si da tuttavia il caso che, in questo corpo, ci siamo entrambi… e dal momento in cui la coscienza del tuo amato, in questo momento, non è propriamente operativa, sarebbe per me quantomeno sgradevole ritrovarmi costretto a morire. Nuovamente a morire. »