11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

venerdì 30 aprile 2010

840


N
ecessariamente separati l'uno dall'altro in conseguenza della presenza costante e, almeno ipoteticamente, inviolabile dei perimetri umani posti attorno a loro, e formati nelle proprie schiere dalle loro irrinunciabili scorte, Be'Gahee, il cacciatore vestito in bianco, e Be'Daehr, in tonalità di azzurro, figli di due fra le maggiori famiglie aristocratiche della città, mai avrebbero potuto attendere, prevedere, immaginare, quanto pur sopraggiunse a ravvivare quella che, altrimenti, sarebbe per loro risultata una nuova Grande Caccia, terza di quell'anno e della loro intera vita, del tutto atona e priva di ogni possibilità di interesse.
Essi, in tranquilla e annoiata processione sul dorso dei propri cavalli, intenti addirittura a spiluccare qualche dattero loro umilmente offerto dai propri servitori, si fecero così sorprendere qual impegnati nell'attraversare uno stretto passaggio, da loro invero già noto, già conosciuto, creatosi in conseguenza del crollo parziale dei resti di quello che, un tempo, doveva essere stato il colonnato di un tempio, un imponente edificio del quale, ormai, solo pietre rovinate si presentavano ancora impilate l'una sopra l'altra per concedere a un eventuale osservatore di intuire, di immaginare la meraviglia che esso sarebbe sicuramente stato un tempo, senza pur, ovviamente, riconoscerla concretamente allo sguardo. Proprio dall'alto di tali pietre impolverate dal tempo e dalla sabbia lì trasportata dai venti del deserto, dalla cima di una di quelle colonne ormai decapitate probabilmente più in conseguenza della loro stessa fatiscenza che della guerra che pur dovevano aver affrontato in un'epoca lontana, precipitò sopra di loro un'imprevedibile avversaria, una donna straniera dai capelli corvini, gli occhi color ghiaccio, la pelle d'avorio e le verdi vesti, in una scelta che subito si presentò anche alla loro attenzione quale strategicamente vincente, immediatamente comprensibile e ampiamente condivisibile, nonostante la pur assurda volontà d'attacco alla propria stessa base che mai essi avrebbero potuto giustificare, dal momento in cui, in tal modo, ella poté riservarsi la protezione offertale dal sole, ormai prossimo al proprio zenit e tale da accecare chiunque avrebbe cercato di levare il proprio sguardo nella sua stessa direzione. In conseguenza a simile astuzia tattica, quando entrambi i giovani nobili, nonché i rispettivi seguiti, furono in grado di rendersi pienamente conto dell'irruente comparsa di quella nuova figura, il fattore sorpresa da lei similmente fatto proprio, dove ella non si concesse alcuna pur minima occasione di spreco attorno al vantaggio similmente fatto proprio, non poté che esser considerato per loro qual estremamente lesivo, particolarmente deleterio, molto più di quanto mai avrebbero potuto immaginare nel poter anche essere preventivamente informati in merito alle dinamiche proprie di quella stessa incredibile offensiva.

« All'armi! » gridò una delle guardie di Be'Daehr, più per abitudine, in conseguenza all'aggressione così subita, che non per una concreta possibilità di intervenire realmente quali armati in contrasto alla loro avversaria, là dove, effettivamente, alcuno fra loro stava recando seco lame o altre possibili armi di sorta.
« Ma chi… o cosa… è quella?! » domandò, in replica, uno dei custodi di Be'Gahee, osservando con stupore l'impeto proprio di quella figura difficilmente considerabile umana, per quanto trasparentemente tale.

Dopo essere atterrata su in cinque sentinelle vestite d'azzurro, cercando chiaramente in tale contatto, in simile impatto, un'occasione per attutire, per contenere il proprio altrimenti rovinoso contatto con il suolo sotto di sé e, contemporaneamente, di condurre a termine un primo, importante risultato in contrasto ai propri avversari, prima ancora di rialzarsi dal suolo la straniera così comparsa in scena non si era riservata alcuna esitazione, alcuna incertezza, lasciandosi rotolare rapidamente verso altre guardie lì in prossimità e, in ciò, spazzando le loro gambe con la violenza delle proprie e costringendo subito un secondo gruppo di quattro elementi a ricadere pesantemente al suolo. Solo allora, ella si concesse occasione di rialzarsi da terra, con un'elegante e agile gesto, conseguenza di un'energica contrazione addominale, mostrandosi per la prima volta innanzi agli sguardi necessariamente attoniti di tutti i presenti, verso i quali rivolse poche parole in una lingua per tutti loro incomprensibile insieme a un cenno con la mano mancina, unica libera, apparso qual prossimo a una sorta di saluto, di riverenza, per quanto assolutamente irriverente, beffeggiante, avrebbe chiaramente dovuto essere inteso il suo stesso intento in quel momento.
In verità, né l'uno né l'altro dei due cacciatori, al pari rispetto a tutti i propri custodi, sarebbe stato allora in grado di rievocare memoria nel merito della presenza di quella particolare donna all'interno del conteggio delle loro possibili prede, se non in virtù delle particolari catene su di lei imposte e solo, in quel momento, realmente notate, di quei ceppi utili a negarle l'uso di un destro braccio in nero metallo, giudicato altrimenti quale arma impropria per quell'evento. Tanto Be'Gahee, quanto Be'Daehr, infatti e ovviamente, avevano avuto preventiva notizia della partecipazione di questa particolare detenuta al loro giuoco, a quella terza e ultima Grande Caccia a cui avrebbero preso parte, dove una proposta tanto originale e inattesa non avrebbe potuto evitare di essere argomento di dialogo, di discussione, o anche solo di chiacchiera e pettegolezzo. E proprio di ogni informazione in loro possesso, in virtù di un misto fra eccitazione e timore, essi si affrettarono allora a riferire in direzione dei propri accompagnatori, delle proprie guardie che, speranzosamente, avrebbero affrontato e vinto l'audacia pur ammirevole di quell'esotica apparizione.

« E' una donna, razza di stupido! » gridò il cavaliere bianco, rivolgendosi al proprio subordinato che tanto stupore si era concesso nell'assistere all'offensiva rivolta ai propri colleghi « E' semplicemente una delle nostre prede… non averne paura, codardo figlio d'uno sciacallo! » inveì, nuovamente, non negandosi sincera e naturale arroganza verso la propria guardia, per quanto, in verità, egli stesso non avrebbe potuto negare una certa inquietudine in conseguenza di tanta irruenza, di tanta passione nella loro nemica, preda evidentemente desiderosa di divenire predatrice.
« Si dice che sia una mercenaria del sud, arrestata per furto poco dopo il suo ingresso in città! » confermò il cavaliere azzurro, agendo con indubbia maestria allo scopo di mantenere quieto il proprio cavallo, inevitabilmente imbizzarritosi per la sorpresa derivante da quell'attacco improvviso « Il suo braccio metallico è frutto di una qualche sorta di stregoneria e, per questa ragione, le è stato negato nella partecipazione alla Caccia! Attaccatela senza timori, dov'ella è solo una e le sue risorse hanno da intendersi qual limitate! » incitò, a propria volta, in direzione delle guardie che a lui facevano riferimento « Guai a voi se ve la farete sfuggire… è forse la preda più ambita fra tutte! »

Ma, al di là del timore espresso nel merito di un'eventuale possibilità di evasione per quella donna dall'abbraccio dei propri antagonisti, ella non offrì evidenza di un qualche desiderio in tal senso, non cercando di rifuggire dalla loro presenza, quanto, piuttosto, precipitandosi, ancora una volta, in loro contrasto, anticipandone ogni possibile reazione e cercando in maniera inequivocabile la pugna.
Alcun freno, in tale situazione, parve poter essere su di lei imposto, non nel confronto con una schiera a lei numericamente superiore, non nel rapporto con lo svantaggio per lei derivante dalle proprie catene, dai propri vincoli: quasi essi apparissero ai suoi occhi come uno sparuto gruppo del tutto privo di ogni educazione alla battaglia e alla guerra, ella non tentò, e parimenti neppure concesse alle proprie controparti, alcun disimpegno dalla lotta, affrontando chiunque le si ritrovò a essere prossimo con tutto il proprio corpo, con ogni proprio arto libero, fosse esso il braccio sinistro, fossero le gambe, in una sequenza di calci e pugni, nonché immancabilmente di rapide schivate, e efficaci parate. In ogni sua azione, in ogni suo gesto o movimento, la straniera apparve così bramosa non semplicemente di confondere il proprio avversario di turno, quanto più, effettivamente, di privarlo di qualsiasi possibilità di riprendere il confronto, di escluderlo forzatamente dai giochi, così come mai alcun'altra preda avrebbe mai osato tentare in una similare occasione.

« E' più rapida e insidiosa di un cobra! » esclamò Be'Daehr, iniziando seriamente a porre in dubbio la sicurezza della propria posizione e, in questo, impegnandosi al fine di condurre il proprio cavallo ad arretrare, a ricercare maggiore distanza possibile fra sé e quella bizzarra immagine, non lasciandosi conquistare neppure per un istante dall'idea, dal pensiero, di tentare di affrontare personalmente la questione così presentatagli innanzi « Nessuno ha mai dimostrato tanto impegno nella Grande Caccia! Sembra quasi stia lottando per la propria stessa sopravvivenza… »

giovedì 29 aprile 2010

839


R
isolta, in tal modo, la questione con il proprio primo, e non ricercato, antagonista, ella raccolse da terra il fagotto composto dal litham e dai resti della propria tunica, temporaneamente e involontariamente abbandonato, lì ricaduto qual conseguenza della propria acrobazia, affrancandolo nuovamente alla propria cintola prima di avviarsi in una delle numerose direzioni a lei offerte, delle varie vie così presentatele innanzi, affidando simile scelta totalmente al fato e pur, subito dopo, cercando di far mente locale su quale fra i nove cacciatori avesse intrapreso quella stessa strada. Non che, in verità, avrebbe potuto per lei rappresentare qualche differenza di sorta l'eventualità che tale via fosse stata scelta da Rosso piuttosto che da Verde, Viola piuttosto che Arancione: l'impegno mentale da lei posto al fine di discernere qual possibile obiettivo le si sarebbe allora potuto parare innanzi, in quella particolare direzione, sarebbe dovuto essere allora inteso non qual derivante da un qualche desiderio di discriminazione nei riguardi una figura o di un'altra, quanto, piuttosto, in conseguenza di una abitudine, una caratteristica imprescindibile dalla sua stessa psiche, che, nei limiti del possibile, l'avrebbe inevitabilmente incitata a preferire riservarsi il minor numero di sorprese sul proprio cammino, nel proprio immediato futuro, nell'essere perfettamente consapevole di quanto, inevitabilmente, gli dei tutti si sarebbero comunque sforzati al solo scopo di ravvivarle la giornata, di non concederle occasione di noia in quella che, dopotutto, sarebbe ormai potuta essere considerata per lei al pari di una missione, nonostante l’estremamente spiacevole assenza di un mecenate pagante.
Dalla sua memoria, particolarmente allenata a cogliere nel minor tempo possibile il maggior numero di particolari sull'ambiente a sé circostante, in un esercizio che, in situazioni di pericolo, di pericoloso bilico fra la vita e la morte pur l'avrebbe potuta spingere verso la salvezza, emerse allora la certezza di come, in quella particolare direzione, avessero preferito dirigere i propri passi Bianco e Azzurro, due dei sei contendenti maschili in circolazione, allontanatisi dal gruppo, malgrado un sincero e trasparente interesse per le tre fanciulle presenti, probabilmente nella volontà di apparire meno servizievoli ai loro occhi e, in ciò, forse più ambiti, più desiderabili. Nell'ipotesi che i due non si fossero successivamente separati, anche solo nella volontà di non isolarsi completamente nel tedio proprio di quella giornata, ella si sarebbe potuta così ritrovare a dover affrontare una ventina di guardie disarmate, almeno dieci per ogni giovane aristocratico, nonché, ovviamente, i due stessi baldi nobili, che dall'alto delle proprie cavalcature, avrebbero potuto pur crearle degli ostacoli, degli spiacevoli imprevisti.

« Nessun timore. Ho affrontato situazioni estremamente peggiori in passato… » commentò, quasi a conclusione di un fittizio dialogo verso se stessa, per quanto ogni riflessione precedente, ogni pensiero sino a quel momento formulato attorno a tale argomento, fosse pur rimasto relegato al ristretto ambito della propria intimità, privo di qualsiasi concreta espressione verbale.

In effetti, sebbene in tale situazione ella non avrebbe potuto negare assoluta consapevolezza nel merito dei rischi, dei pericoli che la propria idea avrebbe potuto comportare, e, in questo, non si sarebbe certamente potuta concedere di sottovalutare quanto l'avrebbe potuta attendere una volta raggiunti i propri obiettivi, reciprocamente la stessa donna guerriero non avrebbe nemmeno potuto riservarsi l'ingenuità derivante da un possibile incedere in senso opposto, spingendosi a sopravvalutare le schiere avversarie e, in questo, a temere un pericolo maggiore di quanto pur le sarebbe stato offerto.
Le guardie, innanzitutto, nonostante fossero chiaramente votate alla protezione del proprio signore a ogni costo, si sarebbero proposte dinnanzi a lei pur disarmate, prive della possibilità, e della stessa volontà, di ucciderla, nel rispetto delle regole proprie di quel gioco, ma, ancor più, prive della preparazione psicologica necessaria ad attendere l'eventualità di un suo attacco, di una sua venuta, là dove estremamente difficile sarebbe stato per loro immaginare una volontà tanto apertamente e apparentemente volta alla sconfitta in una preda di quel giuoco, qual ella pur sarebbe semplicemente risultata alla loro attenzione. I servitori, poi, per quanto estremamente prossimi ai propri padroni, non si sarebbero probabilmente mai immischiati in una situazione del genere, esterna alle loro possibilità, alle loro competenze, e anche dove avessero dimostrato l'audacia, l'incoscienza, di un tal gesto, essi non avrebbero mai potuto sostenere tanto coraggio con una preparazione alla lotta e alla guerra sufficienti da poterle tenere testa. I cosiddetti cacciatori, infine, ancorché osannati dalle folle, dai propri concittadini quali grandi eroi della patria, e benché, probabilmente, pur depositari di un certo, minimale, addestramento all'arte della lotta, impartito loro per volontà dei loro genitori, se non addirittura di una concreta formazione militare, dove destinati a una carriera in tal senso, difficilmente, posti di fronte al suo impeto, alla sua aggressività, prima reale avversaria a schierarsi in loro contrasto, sarebbero riusciti a mantenere il controllo necessario su di sé, e sul proprio sodale animale, per riuscire a difendersi o, persino, a contrattaccare.
Non una passeggiata, pertanto, quella che l'avrebbe attesa, ma pur sempre nulla di più rispetto a un'occasione di allenamento, estremamente interessante, colmo di sfida, ma mai sì carico di pericolo letale come sarebbe altrimenti stata una sua concreta missione, una sua consueta impresa.

« Ottima scelta quella di legarmi il braccio, per quanto la mia povera spalla stia iniziando a formicolare in modo estremamente fastidioso. » soggiunse poi, in riferimento al vincolo impostole sul destro in nero metallo dai rossi riflessi « In conseguenza di ciò, per lo meno, sarò costretta a impegnare maggiormente il resto del mio corpo: pessimo sarebbe, altresì, ritrovarmi a dipendere solo ed esclusivamente dalla sua presenza accanto a me. »

Un appunto, una nota, quella da lei così rivolta verso se stessa, che non sarebbe dovuta essere allora considerata né come conseguenza di una volontà di semplice scherno, né qual frutto di un'eccessiva severità di giudizio a proprio discapito.
Nel desiderio di essere sincera nei propri medesimi riguardi, esigenza assolutamente retorica, per quanto spesso ignorata dai più, dove a nulla sarebbe valso tentare di ingannarsi, condannandosi inevitabilmente a una ben misera sconfitta mascherata da vittoria, ella non avrebbe potuto negare un effettivo, e potenzialmente dannoso, sproporzionato affidamento da se stessa rivolta nel confronto del proprio braccio destro, di quel surrogato, quella protesi che, seppure non efficiente qual sarebbe sicuramente stato il suo reale arto perduto, nell'imporsi assolutamente privo di quella sensibilità pur necessaria anche solo per poter maneggiare una spada, si era altresì spesso rivelato essere un'ottima risorsa in situazioni di particolare necessità. Nel risultare effettivamente utile e versatile, il metallo del suo braccio destro, in quegli ultimi dieci anni, era stato per le un perfetto compagno di avventure, ideale sia quale possibile difesa, scudo compatto, maneggevole e onnipresente da ergere a protezione in contrasto a ogni avversario, sia come eventuale offesa, nell'enfatizzare la violenza dei suoi colpi al punto tale da renderla capace di infrangere un cranio umano senza eccessivo sforzo. In ciò, in conseguenza di tale potenzialità imprescindibile dal suo stesso corpo, dal suo io, che mai avrebbe potuto perdere anche dove privata di ogni arma o, persino, di ogni vestito, suo malgrado, la Figlia di Marr'Mahew non avrebbe potuto rinnegare l'evidenza di un certo livello di pigrizia psicologica maturata da parte propria, un appiattimento conseguente a sin troppa fiducia riposta in quello stesso arto. Ed estremamente stolido, arrogante, per simili ragioni, alla luce di una sincera consapevolezza nel merito di simile problema, sarebbe potuto essere per lei contestare la validità, l'efficacia dell'occasione così ora propostale tanto generosamente dal destino: similmente vincolata, bloccata in qualsiasi occasione, possibilità di utilizzo del proprio braccio destro, ella sarebbe stata costretta a impegnare al meglio il resto del proprio stesso corpo, non diversamente da come aveva appena compiuto nel contrasto al suo primo avversario, all'uomo che, addirittura, si era incredibilmente avvicinato all'ipotesi di poterla cogliere di sorpresa.
Nel mentre di quella stessa riflessione, di quel processo psicologico in assurdo contrasto al suo alleato più fedele nella propria quotidianità che, per quanto mai avrebbe voluto aver necessità di possedere, così costretta parimenti mai avrebbe voluto perdere, un chiaro, perfettamente distinguibile, rumore di zoccoli equini e di numerosi passi umani, per quanto ovattati in conseguenza di un contatto diretto fra i nudi piedi e il suolo sotto di essi, richiesero immediatamente l'attenzione di tutti i suoi sensi, di tutte le sue risorse, fisiche e mentali, per prepararla a quella che, allora, sarebbe potuta essere la sua prima battaglia di una giornata potenzialmente molto lunga.

mercoledì 28 aprile 2010

838


E
vidente frutto di un'unione mista, nel presentare una pelle decisamente più chiara delle tonalità proprie di quelle terre, e altrettanto chiaramente neppure originario di Shar'Tiagh, nell'indossare un paio di comodi calzari in pelle vellutata ai propri piedi in contrasto alla tradizione propria del popolo eletto, quella figura maschile avrebbe sicuramente potuto far vanto di un fisico particolarmente prestante, possente, tale da poter immaginare di schiacciare facilmente la propria controparte in semplice conseguenza della propria stessa mole, della propria massa muscolare.
Purtroppo per lui, simile opinione, tale pensiero, era stato già condiviso da un alto numero di aggressori suoi pari, numero tanto elevato al punto tale non permettere alla stessa mercenaria dagli occhi color ghiaccio alcuna possibilità di mantenere un effettivo conteggio, venendo, puntualmente, forse inevitabilmente, comunque negato dalla reazione della medesima: mai, dopotutto, ella avrebbe potuto, nel proprio mondo e nel proprio particolare mestiere, giungere al rispettabile traguardo di oltre tre decenni di vita se fosse stata sufficiente la semplice carica di un bisonte per travolgerla e abbatterla. Immediata, pertanto, fu la reazione della Figlia di Marr'Mahew a tale tentativo tanto improvvisato quanto vano, tanto stolido quanto inutile, risposta che, in maniera estremamente semplice, quasi banale, la vide impegnarsi in un rapido movimento laterale, utile a liberare la traiettoria scelta dal proprio avversario per lasciarlo, in tal modo, destinato ad abbracciare l'aria, a precipitarsi sopra il nulla davanti a sé, in uno slancio che, comunque, non lo vide perdere irrimediabilmente l'equilibrio, in virtù di un incredibile grado di autocontrollo, sulla propria mente e, ancor più, sui propri muscoli.

« Ancora in piedi?! » commento ella, osservandolo incuriosita e quasi stupita del fatto che, in contrasto alle sue attese, e a quanto pur abitudinariamente propostole, egli fosse riuscito a mantenersi in posizione eretta nonostante il plateale fallimento della sua nuova iniziativa « Credo di dover iniziare ad avere proprio paura di te, a questo punto. » soggiunse, con evidente volontà di scherno nei suoi riguardi, beffa che, seppur sicuramente non compresa, non apprezzata nelle proprie sfumature, sarebbe comunque stata pienamente colta nella propria intonazione.
La replica dell'uomo, rapidamente voltatosi verso di lei, si propose, forse proprio in conseguenza di ciò, quale estremamente simile a un qualche insulto in lingua locale, incuriosendo in ciò la propria stessa interlocutrice.
« Scommetto che mi stai dando della cagna… non è forse vero?! » domandò Midda, ipotizzando una possibile traduzione per il termine così rivoltole in coerenza con l'offesa usualmente prediletta fra i propri consueti avversari « Potresti ripeterlo, per favore? Malgrado tutta la pigrizia che ho dimostrato nei sei mesi di viaggio per giungere in questa terra, non mi dispiacerebbe assolutamente apprendere qualche nuova parola nella vostra lingua… »

Alcun ulteriore intervento, però, cercò di accontentare la richiesta della mercenaria, vedendo il suo antagonista tentare una nuova offensiva nei suoi riguardi, nel precipitarsi verso di lei con meno impeto rispetto all'occasione precedente e, ora, addirittura tendendo i propri muscoli nel desiderio di volgere in suo contrasto non tanto una semplice stretta, quanto un pugno, un colpo violento e diretto che, almeno nelle proprie intenzioni, nelle proprie prerogative, sarebbe dovuto andare a impattare contro il viso sfregiato della stessa donna guerriero.
Ella, nuovamente, non restò inerme di fronte a simile iniziativa e, dove pur impossibilitata a ergere il proprio braccio metallico in propria difesa, qual scudo per lei sempre presente, in quel compito che pur lo aveva caratterizzato sin dal momento della sua stessa drammatica acquisizione, la donna reagì affidando alla propria agilità, alla propria destrezza, il compito di preservarne l'integrità, la salute, non più cercando un'occasione di evasione simile alla precedente, quanto piuttosto conservando la propria attuale posizione, in ciò, iniziando a giostrare con il proprio avversario, in una serie di rapidi movimenti atti a levarla dall'obiettivo da lui prefisso tanto con il proprio primo diretto, quanto con tutti i successivi colpi ferocemente menati, tra mancini e montanti, ganci e rovesci. All’attenzione di un eventuale e ipotetico osservatore esterno a simile confronto, tale scena, quell'esibizione avrebbe sicuramente presentato un senso di surrealismo, concedendosi addirittura qual paradossale, eppur armonica, nel contrasto fra la forza espressa dall'uomo e la flessuosità propria della donna, fra l'ira crescente di quei colpi destinati a fendere l'aria e l'assoluta quiete proposta da movimenti perfettamente controllati, quasi propri di un ballo. In effetti, senza particolare sforzo di immaginazione, senza eccessiva fatica, ella sarebbe potuta allora apparire qual propriamente impegnata in un'elegante danza, persino una danza d'amore, di seduzione, nel mantenersi sempre tanto prossima alla propria controparte, così vicina con il proprio corpo a quello di lui da poterlo persino sfiorare con la generosità delle proprie forme, la seducente abbondanza dei propri seni. Non amore, quanto piuttosto guerra, però, sarebbe dovuto esser considerato intrinseco in quel momento, in quel confronto, come ella, dopo oltre una dozzina di colpi schivati, decise di concedersi una possibilità di risposta, sorprendendo il proprio avversario con un improvviso, inatteso montante, che scaricò contro il suo diaframma la forza del pungo sinistro di lei, privandolo per un lungo istante della possibilità di respirare e, in ciò, facendolo barcollare all'indietro.

« Che ne dici di lasciarmi andare? » propose ella, sorridendogli sincera in simile iniziativa « Vi sono molte altre prede che potranno risultare alla tua portata e, per quanto mi riguarda, non sei tu uno dei nove cacciatori sulla mia lista. Non cerco un giallo qualsiasi, ma il Giallo per eccellenza. »

L'insulto da lei pocanzi invocato, le fu alfine nuovamente riconosciuto da parte dell'uomo, il quale, per quanto ancora privo di fiato, non le volle offrire alcuna occasione di soddisfazione, alcuna possibilità di temporeggiamento, rifiutando, sostanzialmente, l'offerta di pace che pur non avrebbe avuto modo di cogliere e, al contrario, ipotizzando una quarta occasione d'offensiva verso di lei, riproponendo, evidentemente non pago in conseguenza del primo fallimento, la medesima strategia fallimentare che già aveva caratterizzato il suo secondo tentativo d'attacco.
Di fronte a tanta ingenuità, tuttavia, la Figlia di Marr'Mahew non si riservò ulteriore comprensione nei suoi riguardi. E così, nel momento stesso in cui egli avanzò verso di lei, simile a un toro furioso, ella si gettò a sua volta in suo stesso contrasto, proiettano nell'impeto di un balzo le proprie membra, il proprio corpo, in aria, con slancio sufficiente da permetterle di appoggiare, prima, il proprio piede sinistro sulla coscia destra di lui e, immediatamente dopo, di colpire con il proprio ginocchio il suo stesso mento. In tale attacco, incredibile se non, addirittura, inaccettabile nella rapidità della propria esecuzione e nell'incredibile coordinazione di movimenti che aveva richiesto per essere condotto a successo, ella pose un impeto sufficiente non solo per respingere il propria avversario, ma, addirittura, per concedersi la possibilità di compiere un'amplia capriola all'indietro, ricadendo sulla punta dei propri piedi, quasi genuflessa, con eleganza e maestria assolutamente ammirevoli, enfatizzate, se possibile, in misura ancor maggiore dalla catena imposta attorno al suo braccio destro, in tal modo impossibilitato a riservarsi qualsiasi compito di contrappeso in una tale evoluzione.
Un impeto, una violenza, quella propria di simile gesto, in contrasto al quale, suo malgrado, l'uomo non poté riservarsi alcuna speranza di difesa, ricadendo, in conseguenza di ciò, a terra, privato di un paio di denti, infranti in conseguenza all'impatto fra la propria mandibola e la propria mascella, e dei propri sensi, ormai da lei completamente negatigli.

« Una possibilità te l'avevo data. » commentò ella, risollevandosi in posizione eretta e verificando l'effettiva conclusione di quel breve scontro, sistemandosi nel contempo qualche ciocca scombinata di capelli con l'ausilio della mancina e, in ciò, neppure apparendo qual affannata, qual minimamente affaticata per quanto occorso « Comunque, per quanto poco possa valere dal tuo punto di vista, non posso evitare di riconoscerti una certa gratitudine: avevo necessità, in effetti, di verificare le mie reali possibilità di combattimento in conseguenza del limite impostomi da queste catene… e tu sei stato un esame sicuramente utile. »

martedì 27 aprile 2010

837


B
ianco, Giallo, Blu, Verde, Azzurro e Arancione, in opposizione, si confermarono essere i partecipanti maschili all'evento. Non più maturi rispetto alle proprie compagne, ugualmente shar'tiaghi come definito in maniera inequivocabile dai propri caratteri somatici, dai propri ciondoli dorati e dalle proprie treccine, ancora molto corte, evidenza di come da ben poco tempo fossero stati riconosciuti quali appartenenti all'età adulta, tutti e sei tradivano apertamente come il loro interesse sarebbe dovuto esser considerato qual rivolto più alle tre antagoniste che alla stessa Grande Caccia, ritrovandosi in ciò, evidentemente, vittime del fascino che pur non sarebbe potuto essere negato, ai loro occhi, derivante da quelle immagini tanto femminili e, al contempo, tanto forti e carismatiche, al punto tale da prendere parte a quella competizione, in una becera conferma dei desideri propri delle famiglie delle fanciulle che proprio verso simile evento avevano deciso di indirizzarle. Prendendo in esame, senza particolare impegno, la misura in cui gli ormoni dei sei giovani maschi li stavano chiaramente torturando in quel frangente, in quel momento, estremamente spontaneo sarebbe allora stato ritenere come, entro la fine di quella stagione, se non, addirittura, di quella stessa giornata, tutti loro si sarebbero dichiarati ad almeno una delle fanciulle lì coinvolte, rendendo, per lo meno in ciò, non completamente vana quella medesima giornata.
Alcuno fra i presenti in quella seconda ondata, al pari di quanto già proposto dalla prima, si concesse, nel mentre del proprio avanzare, il benché minimo interesse nella direzione occupata dalla Figlia di Marr'Mahew che, per quanto celata, avrebbe anche potuto essere individuata con relativa semplicità, se solo fosse stata lì ricercata: in assenza di qualsiasi volontà d'esame, altresì, ella avrebbe potuto tranquillamente sporgersi dal proprio stesso nascondiglio con sprezzo ancor maggiore rispetto a quanto già proposto, e nessuno l'avrebbe mai notata, avrebbe rivolto la propria attenzione a tale presenza. Tutt'altro desiderosa, in verità, di raggiungere immediatamente occasione di competizione con uno dei nove cacciatori, ella restò comunque al riparo nel proprio anfratto, valutando, uno a uno, i suoi possibili obiettivi nella volontà di comprendere verso quale fra gli stessi sarebbe potuto essere più meritevole della sua attenzione, del suo interesse. Alcuno fra quei ragazzi, poco più che bambini, però, avrebbe mai potuto esser da lei giudicato degno di tanto onore, qual, dopotutto, sola sarebbe dovuta esser considerata l'occasione di una sfida con lei, ricercata da molti e ottenuta da ben pochi nelle terre in cui ella era solita vagare, e, in questo, al termine della propria analisi la mercenaria dagli occhi color ghiaccio votò per una soluzione decisamente diversa da tutte quelle prese in esame sino a quel momento, ben diversa da quella di un semplice confronto con uno solo fra quei cacciatori. Sebbene, infatti, alcuno in passato, prima di lei, era riuscito a dimostrarsi capace di tanto, ella preferì spingere la propria partecipazione a quell'evento sino al limite massimo verso cui chiunque avrebbe mai potuto ambire in quella stessa giornata, per riservarsi, in ciò, una sfida sufficientemente ardimentosa tale da soddisfare la sua bramosia di sfida, di lotta contro l'impossibile, qual solo sarebbe potuta essere considerata la sua imposizione, la sua supremazia finale, non su uno, non su due, non su tre, quanto, piuttosto e addirittura, su tutti e nove i suoi avversari, i suoi cacciatori.

« Ora devo solo scegliere da chi iniziare… » commentò concedendo alle proprie labbra una naturale increspatura nelle proprie estremità, alfine soddisfatta dal risultato raggiunto in quella propria prima decisione, felice dell'occasione di allenamento così riservatale dopo tanto tempo, tante settimane, mesi addirittura, di quiete quasi assoluta e, sicuramente, tediosa.

Con pazienza, la donna guerriero fu comunque costretta ad attendere ancora più di un quarto d'ora prima di poter ridiscendere agilmente terra, tempo necessario ai vari drappelli per sgomberare l'area e allontanarsi ognuno in una diversa direzione, probabilmente selezionata in conseguenza di fattori aleatori, piuttosto che in conseguenza di una razionale valutazione conseguente a una strategia precedentemente studiata, presa al vaglio e soppesata qual la migliore per raggiungere un qualche risultato di sorta. In effetti, dal punto di vista della loro quieta osservatrice, tale presa di posizione, parve derivare più da un'iniziativa dei nove cavalli, ancor prima che dei rispettivi cavalieri, questi ultimi semplicemente trasportati quasi semplici bisacce, lì sopra certamente ben assicurate, ma del tutto prive di qualsivoglia volontà di autodeterminazione.
Giunta nuovamente a contatto con il suolo, la prima azione nella quale ella impegnò le proprie energie, il proprio interesse, fu allora la dismissione dalla tunica che pur aveva liberamente scelto di continuare a indossare, risorsa che, al pari del litham, avrebbe probabilmente potuto riservarsi qualche utilità entro la fine di quella giornata, ma che, al tempo attuale e, soprattutto, così posta a circondare il suo stesso corpo, sarebbe risultata solo d'ostacolo, d'intralcio per la sua libertà di movimento. Nel considerare la difficoltà imposta dal vincolo sul suo braccio destro e, ancor più, dalle salde bande di metallo che pur, simile stoffa, avevano sigillato attorno alla sua persona, tale opera non si propose per lei qual particolarmente semplice, ritrovandola, addirittura, costretta a ricercare, suo malgrado, il riparo offerto da una delle tante case diroccate in sua prossimità, per evitare di poter essere colta di sorpresa in qualche strana torsione utile allo scopo prefissato. Dopo aver rinunciato alle maniche della tunica, necessariamente sacrificate per semplificare la questione, e aver torturato in diversi punti la stoffa residua, ella riuscì, tuttavia, a imporsi qual vittoriosa in tale intento, arrotolando quanto sopravvissuto della veste all'interno della lunga striscia di stoffa del litham e assicurando il tutto alla propria cintola prima di concedersi occasione di riprendere nel proprio cammino.

« Thyres. » sospirò, al termine di tanto impegno « Speriamo, per lo meno, che questa non si riveli essere l'azione più faticosa dell’intera giornata… » si augurò, con un sorriso ironico, sornione, nell'avviarsi verso l'esterno dei ruderi in tal modo temporaneamente occupati.

Quasi a volerle riconoscere, in conseguenza di tale richiesta, di simile invocazione, possibilità di immediato appagamento, i suoi sensi, resi estremamente acuti in grazia di troppi anni trascorsi su ogni genere di campo di battaglia, nel mezzo di ogni tipo di guerra, la posero immediatamente sull'attenti, costringendola a impegnare le proprie membra, i propri muscoli, in un'improvvisa capriola in avanti, utile allo scopo di evitare un violento colpo che, in caso contrario, l'avrebbe potuta cogliere indifesa, inerme, alla base del collo, non appena superata la soglia di tale asilo.
La presenza della Figlia di Marr'Mahew, come solo allora ella ebbe possibilità di comprendere, non era infatti sfuggita all'attenzione di un mercenario vestito in tonalità di giallo, il quale, dopo averla vista cercare ospitalità entro quelle quattro mura, e averne seguito con sincero divertimento le incredibili contorsioni necessarie per liberarsi dalla propria tunica, si era acquattato a lato della sola via d'uscita attraverso la quale la stessa avrebbe potuto lasciare quei ruderi, nel desiderio di poterla sorprendere e catturare senza difficoltà alcuna, limitando tutto il proprio impegno a un semplice, ed efficace, attacco proposto con il taglio della propria mano. Stupito, nonostante tanto impegno, fu così costretto a proporsi lo stesso attaccante, il quale, avendo seguito la traiettoria del proprio tentativo d'offesa fendere l'aria sopra il corpo del proprio obiettivo, sfiorandolo ma non cogliendolo, non colpendolo così come avrebbe desiderato fare, non poté che ritrovare in ciò una sincera ragione per riservarsi un violento sfogo verbale, ovviamente in lingua shar'tiagha, utile nella volontà di enfatizzare la contrarietà in lui derivante da tale fallimento.

« Ehy! » lo richiamò la donna guerriero, risollevandosi rapida da terra e rigirandosi nella sua direzione, non concedendosi alcuna occasione di sbalordimento sebbene quell'attacco fosse stato estremamente vicino a raggiungerla, in chiaro e divino rimprovero per l'eccessiva e ostentata fiducia sino a quel momento dimostrata « Non avertene a male: il fatto che tu sia riuscito ad avvicinarti tanto al raggiungimento del tuo intento, dovrebbe essere per te ragione di concreto orgoglio… non di rimprovero! »

Ma l'uomo non sembrò voler condividere quella sua opinione, pur inevitabilmente neppure compresa, non diede riprova di voler essere soddisfatto per quel proprio insuccesso, cercando, in conseguenza di ciò, un'immediata occasione di rivalsa, in una nuova offensiva, in una nuova aggressione a viso aperto, non più frutto di una quieta astuzia, di una pur minimale strategia, qual pur la precedente sarebbe comunque dovuta esser giudicata, quanto, piuttosto, dell'impeto del momento.

lunedì 26 aprile 2010

836


D
ove anche la donna dagli occhi color ghiaccio non avrebbe mai potuto né considerarsi particolarmente confidente con l'ambiente a sé circostante, né giudicarsi consapevole nel merito della natura, delle professioni proprie degli altri carcerati, degli altri detenuti che, suo pari, si erano candidati alla partecipazione a quel giuoco in quel giorno di festa per il popolo shar'tiagho o, per lo meno, per gli abitanti di quella e di altre grandi città sue pari, ella non avrebbe mai potuto comunque perdere confidenza o consapevolezza nel merito di una particolare realtà: la propria stessa natura di guerriero.
Non dimentica, pertanto, della propria formazione o del proprio passato, dove anche, a conti fatti, da lunghi mesi, ormai, si era allontanata dalla realtà per lei consueta, abituale, propria delle terre a sud del continente e, soprattutto, della propria professione di mercenaria, ella non si permise alcuna possibilità di dimostrarsi allo sbaraglio nel confronto con quella sfida, quanto piuttosto, al contrario, si impose un freddo controllo su se stessa, sui propri movimenti e sulle proprie azioni, tale da non lasciare nulla affidato al caso, affrontando la questione lì impostale con la stessa attenzione, con la medesima professionalità che pur le sarebbe dovuta essere riconosciuta quale abitualmente propria. E così, dove tutte le altre prede della Grande Caccia, una volta superato il grande varco nelle mura per entrare all'interno della città che sarebbe stato per loro teatro di competizione, si dispersero rapidamente, sparpagliandosi in maniera praticamente omogenea in ogni possibile direzione, nella speranza di porre maggiore distanza possibile, nel tempo loro concesso, fra se stessi e i propri inseguitori, ella preferì riservarsi l'occasione di seguire una più contenuta traiettoria parabolica, ritornando, pur al sicuro da sguardi indiscreti, in prossimità dello stesso varco d'ingresso, a cercare, in tale area, un punto sufficientemente elevato e riparato dal quale essere libera di osservare l'attività dei cacciatori e prendere confidenza con le loro strategie, le loro tattiche, il loro modo di operare.
Per quanto ostacolata, allora, dalla presenza della catena a bloccarle il braccio destro, limitandone, in ciò, la propria naturale agilità, ella riuscì comunque a inerpicarsi lungo la parete interna delle mura cittadine, o di ciò che ne restava, sino a conquistarsi un riparo, un sicuro nascondiglio in un anfratto che, un tempo, doveva essere stato utile agli eserciti e alle guardie a protezione della città per mantenere sotto controllo il versante esterno, potendo, persino, scagliare frecce verso eventuali nemici, e che, ora, si stava mostrando qual abitazione sicura per arachidi e insetti di ogni natura e forma.

« Con permesso. » sussurrò in direzione dei propri anfitrioni, così costretti, anche privi di qualsiasi desiderio in simile direzione, a offrirle ospitalità e riparo all'interno di quel loro dominio « Per mia fortuna non sono schizzinosa… » commentò, nel rimuovere, con sin troppa delicatezza, una grossa blatta ricadutale sulla spalla in conseguenza dei suoi stessi movimenti.

Similmente celata in tal punto, ella poté assistere, in assoluta comodità, nonostante la sin troppo affollata compagnia impegnata in un frenetico zampettare attorno a sé, allo scadere dell'intervallo di tempo prefissato per riconoscere un indubbio vantaggio alle prede, termine a seguito del quale ai cacciatori fu finalmente offerta libertà di azione.
Concedendo così assoluta ragione all'analisi da lei precedentemente effettuata, i primi a violare il varco sotto di lei, penetrando in città e, subito, disperdendosi non impeto non diverso da quello proposto da parte delle loro prede poco prima, furono i soli, reali cacciatori che si sarebbero concretamente impegnati in quell'attività, in quell'evento, coloro ipotizzati probabilmente qual mercenari e che costituivano oltre la metà di ogni contingente colorato prima ordinatamente dispiegato all'esterno di quelle mura. Quasi divertente, in verità, fu per la Figlia di Marr'Mahew osservare l'esaltazione, l'agitazione, il fervore proprio di quegli uomini e donne, ognuno rivestito con una divisa pressoché comparabile a quella delle guardie cittadine, seppur offerta in nove tonalità cromatiche diverse, nell'intrecciarsi, nell'evitarsi, a volte anche nello scontrarsi, nel mentre della sola volontà di dividersi il più rapidamente possibile e, altrettanto velocemente, essere in grado di raggiungere, scovare e catturare quanti più detenuti loro concessi. Seguendone le azioni dall'alto della propria posizione, in effetti, al suo sguardo fu offerto uno spettacolo non eccessivamente diverso da quello che il suo stesso arrivo in quell'anfratto aveva causato presso gli animaletti lì insidiatisi prima di lei, in un delirio necessariamente dilettevole. Alcuno fra loro, come da lei supposto e, a seguito di tale conferma, propriamente previsto, suppose di levare il proprio interesse, e il proprio sguardo, alle proprie spalle, in direzione delle stesse mura appena oltrepassate, nel considerare qual certo come tutti i loro obiettivi, ormai, sarebbero dovuti essere ricercati all'interno della vasta area di quella città in rovina e non contro una parete qual quella, che li avrebbe, altrimenti, posti immediatamente in trappola.
La seconda ondata, una volta che i mercenari colorati si furono dispersi per le numerosi vie loro proposte, fu allora composta dai nove cacciatori nominali, i giovani nobili che, naturalmente circondati dalla propria scorta di guardie e servi, oltrepassarono con assoluta tranquillità, forse, addirittura, con un sentimento di noia, quello stesso varco, osservandosi per un istante attorno e, poi, allontanandosi ognuno in una direzione diversa, senza dimostrare particolare antagonismo reciproco o, eventualmente, bramosia verso quell'occasione di caccia, ipoteticamente concepita a loro esclusivo diletto. Studiandone le espressioni e i movimenti, la donna guerriero non poté evitare di concedersi un momento di riflessione attorno ai quei nove malcapitati, vittime in misura non inferiore a lei, per quanto al contrario inconsapevoli, di quello stesso giorno di festa. Inneggiati dalla folla quali grandiosi condottieri, alcuno di loro, in verità, aveva mai avuto occasione di poter prendere la benché minima decisione nel merito della propria vita, tanto meno, probabilmente, a riguardo della propria stessa partecipazione a quell'evento, lì costretti dalle proprie stesse famiglie che, in quella fiera, in quel palio, avrebbero potuto ritagliarsi occasione di gloria e di fama nel panorama locale: nel ritrovarsi a essere, pertanto, così scaraventati anche contro la propria volontà e, peggio ancora, privati persino di una qualsivoglia possibilità di prendere realmente parte all'evento, compito delegato a professionisti assunti per l'occasione, alcuno di quei giovani avrebbe potuto riservarsi una qualsiasi possibilità volta a entusiasmarsi a quanto stava accadendo, vivendo il tutto, probabilmente, con animo non diverso da un obbligo di corte, da un impegno noioso al quale dover pur prendere parte nel rispetto dell'autorità dei propri genitori.

« Chissà che la mia partecipazione a questa Caccia, non riesca a offrire loro una maggiore occasione di interesse… » sorrise, studiando con fare malizioso e sornione ognuno dei nove protagonisti, per poter individuare fra loro un possibile obiettivo, un traguardo a cui fare riferimento, dal momento in cui, almeno nelle parole di Ras’Jehr, ella avrebbe potuto conquistare la propria libertà solo nello sconfiggere almeno uno fra loro.

Nero, bianco, rosso, giallo, blu, viola, verde, azzurro e arancione: tali erano i colori preposti a identificare ognuno dei nove cacciatori, e, ovviamente, tutte le loro squadre, codifica cromatica che, in quella particolare situazione, sarebbe potuta essere anche la sola possibilità per la mercenaria di classificare nella propria mente ognuno di loro.
Nero, Rosso, Viola, in tal scenario, si proposero essere le tre partecipanti femminili all'evento, da lei correttamente e immediatamente riconosciute anche all'esterno della città, nel mentre del proprio avvicinamento alla stessa. Ovviamente giovani, forse abbastanza da poter essere sue figlie, e ovviamente shar'tiaghe, le tre non facevano mistero alcuno dell'educazione loro offerta dalla propria stessa cultura, dalle tradizioni del proprio popolo, tali da non permettere loro di essere seconde a nessuno, soprattutto non a un uomo, là dove, se altrimenti sottomesse, remissive di fronte a un possibile sposo, mai avrebbero avuto occasione di offrirgli ragion d'interesse, in opposizione a quasi ogni altra cultura vigente altrove, in altri regni, usualmente incentrata su un modello più patriarcale e, in questo, necessitante della supremazia maschile in ogni aspetto della vita quotidiana. La loro partecipazione a quell'evento, a quella Caccia, analizzata alla luce di simile tradizione, di tali consuetudini locali, non avrebbe potuto stupire alcuno, dal momento in cui, semplicemente, sarebbe dovuta essere considerata quale ennesima dimostrazione di tale convenzione sociale, di quel desiderio di emancipazione femminile lì tanto normale e pur, altrove, altresì tanto eccezionale, se non, addirittura, impossibile da poter essere non solo accettata, ma addirittura concepita.

domenica 25 aprile 2010

835


O
gni dubbio, ogni incertezza propria della donna guerriero nel confronto con quella particolare situazione, con la quiete dimostrata dai suoi compagni in quella Grande Caccia, e con le ragioni che avrebbero potuto giustificare un simile, assurdo comportamento, dovette presto essere isolato nella sua mente, dal suo stesso raziocinio, per riconoscere priorità, importanza, a una diversa e più opprimente questione, qual quella che avrebbe visto posto in gioco, nel senso stretto del termine, il suo stesso diritto alla libertà. Costringendosi, pertanto, a ignorare ogni altra preda volontaria in quell'occasione di festa, e, ora, anche ogni cacciatore, ella volse tutto il proprio interesse verso quello che, in maniera assolutamente evidente, si candidò al ruolo di teatro convenuto per quella sfida, per quella competizione, fortunatamente per lei presentando un aspetto ben diverso dalle vaste pianure, a metà fra il verde dell'erba e il giallo della sabbia, che li avevano circondati sino a quel momento. Alle spalle dei nove drappelli colorati, ordinatamente schierati in attesa dell'inizio dei sfida, in effetti, si stava mostrando quella che sarebbe potuta esser giudicata, senza particolari eccessi, quale una grande città, una capitale o, più propriamente, le rovine di quella che, in un lontano passato, doveva essere stata un'urbe non inferiore, in ampiezza e maestosità, rispetto a quella da loro appena abbandonata.
Alte mura adornate da enormi statue, nel rispetto della natura propria di simili resti, circondavano i confini propri di quel territorio, di quell'area, non celando tuttavia, nella propria stessa decadenza, i segni del tempo e, soprattutto, di feroci battaglie delle quali si dovevano essere ritrovate, loro malgrado, a esser protagoniste, scontri, evidentemente, conclusisi non in favore dei loro stessi antichi protetti, nel mostrare feroci squarci, brecce incredibili a vedersi, probabilmente frutto dell'azione devastante di enormi macchine belliche, lungo il proprio stesso perimetro, sufficientemente ampie da poter offrire il passaggio a interi eserciti. All'interno di tale cinta, tutt'altro che capace di impedire anche solo alla vista di spingersi indiscreta in un'ulteriore analisi di quanto ora lì presente, ancora perfettamente intuibili nelle proprie forme e proporzioni, gli edifici si proponevano in condizioni tutt'altro che migliori rispetto a quelle proprie degli stessi bastioni posti qual ultimo baluardo nella volontà di difenderli dai pericoli del mondo esterno: in uno scenario composto sia da piccole abitazioni, sia da imponenti palazzi egualmente diroccati, tetti crollati, pareti distrutte, colonne divelte e statue tremendamente mutilate non avrebbero potuto concedere possibilità di dubbio sullo stato di completo abbandono proprio di un simile contesto, non più città, ma semplicemente ombra di quanto in un'epoca remota avrebbe potuto essere. E sebbene ella sarebbe dovuta essere considerata obbligatoriamente impossibilitata a esprimere giudizi sull'effettiva età di quelle rovine, o, ancor meno, delle ragioni proprie del conflitto che le aveva generate, nell'osservare l'annientamento pur esplicito da esse similmente dichiarato, anche la mercenaria dagli occhi color ghiaccio, sì estranea alla storia di quella città o di quell'intero Paese, non poté evitare di intuire le ragioni per le quali il popolo shar'tiagho avesse preferito cercare nuova speranza alle proprie esistente in un'altra città, eretta pur non lontano da quella, piuttosto che impegnarsi nel tentativo, forse comunque vano, di ripristinare quanto distrutto, di ricostruire quanto abbattuto, e condannarsi, in tal modo, a restare per sempre a contatto con i fantasmi del proprio passato, i ricordi di una guerra sicuramente spiacevole, truce e, altrettanto certamente, conclusasi non in loro favore, priva, in ciò, di qualsiasi possibilità di memoria degna di essere onorata dai posteri.
Posta innanzi a tale, inattesa, sorpresa, l'ennesima di una sequenza già eccessiva rispetto a quanto da lei sarebbe stato gradito potesse caratterizzare un banale gioco, poche strofe di una lunga e vecchia ballata sorsero quasi naturali sulle sue labbra, forse perfette per descrivere la sciagura propria di quella capitale…

Di Cargheno lasciatemi cantare
la triste storia narrata dal mare,
gloriosa città d'epoca lontana
distrutta con collera disumana.
In terra del sud, su nordica costa,
ove fiume si versa senza sosta,
venne eretta in giorni lucenti
dal fiero ardore di forti genti.

Sola colpa fu, per loro, sfidare
chi non riuscirono a superare,
civiltà crudeli e differenti
che si imposero, alfin, vincenti.
E non, dei cancelli, la fine rosta,
delle finestre, l'amena imposta,
si preservaron dall'ira malsana
che tutto spazzò come tramontana.

Nel desiderio di distruzione
che mai riconosce limitazione,
i nemici allor sparsero sale
sull'intero, di Cargheno, crinale.
Così che non un fiore, non dell'erba,
potesse crescer ancor, acciderba,
su quelle lande da lor maledette
per, di anni, settanta volte sette.

Nonostante ogni malinconica dedica a una tale rovina, l'idea, così presentatale, nell'esser posta innanzi a un'intera città quale ambientazione per quella Grande Caccia, invero, non poté evitare di stuzzicare in maniera sincera e vivace la fantasia della Figlia di Marr'Mahew, il suo desiderio di confronto in quella particolare competizione, molto più di quanto non sarebbe potuto avvenire in un qualsiasi altro contesto, qual persino quello di un'eventuali foresta, pur non facilmente reperibile entro i confini propri di quel regno.
In ciò, nonostante lo squilibrio tanto marcato esistente fra prede e cacciatori, e là presenza inattesa di un aiuto tanto impudico ai nove aristocratici ipotetici protagonisti di quell'evento, Midda fu costretta a riconoscere al popolo eletto, che tutto ciò aveva pianificato, progettato, e più volte celebrato, un certo senso dell'onore, una certa correttezza, nell'aver effettivamente riconosciuto, in simile scelta, una possibile occasione di equilibrata sfida, di sincero agonismo, senza cedere al pur umano istinto di trasformare il tutto in una completa farsa, in quella semplice e indiscriminata mattanza da lei stessa poc'anzi temuta nel concentrare la propria attenzione solo sulla composizione delle schiere avversarie ancor prima di spostare il proprio sguardo oltre le stesse. Entro quelle mura, in effetti, ai detenuti sarebbe stata concesso il favore di un terreno, di un ambiente, ricco di possibili nascondigli, di rifugi, ai quali poter fare affidamento sia nell'arrendevole volontà di attendere l'inevitabile cattura, sia in quella più combattiva di voler organizzare una qualche resistenza e, in questo, di ritagliarsi una speranza di vittoria, in beffa a ogni attesa sconfitta, disfatta, alla quale, solo, sembravano essere destinati dal costante successo proprio dei cacciatori in qualsiasi, precedente, celebrazione di quello stesso evento.
Un'occasione di equa competizione, quella lì volontariamente loro offerta e riservata, che fu sottolineata, evidenziata, esaltata ulteriormente dal successivo e immediato sviluppo della questione, nel momento in cui, a seguito di lunghi discorsi nel merito dei quali, ovviamente, Midda non ebbe alcuna possibilità di comprensione, vide comunque trasparentemente garantito, alle prede, un certo vantaggio sui propri cacciatori, in un ingresso anticipato all'interno di quelle mura, allo scopo di potersi lì meglio disperdere, e, in ciò, poter garantire un effettivo diletto in quella che sarebbe potuta finalmente apparire qual una reale caccia all'uomo.

« Che la festa abbia inizio… » sorrise, prima di slanciarsi al seguito di tutti i propri compagni.

sabato 24 aprile 2010

834


A
questa seconda serie di interrogativi, nel confronto con la quale già ella stava temendo di dover rinunciare a qualsiasi possibilità di soddisfazione, almeno sino al momento meno opportuno per poter ottenere le spiegazioni desiderate, in una riprova a dimostrare l'innegabile ironia propria del fato, non mancò, altresì, di esserle proposta in maniera chiara, evidente, priva di possibilità di dubbio alcuno, una replica più che soddisfacente, qual solo sarebbe potuta essere quella rappresentata dal dispiegamento, sì nutrito, sì folto, di forze che si impose a caratterizzazione della loro controparte, tale da render praticamente irrisoria la cifra precedentemente conteggiata sul fronte da lei stessa occupato in quel particolare contesto. Dove, infatti, solo nel numero di nove furono immediatamente riconosciute le casate nobiliari coinvolte, distinte in maniera quasi abbagliante dalle stoffe dei propri stessi abiti, delle proprie tuniche di diversi colori, in tonalità chiaramente ricercate all'unico scopo di poterle caratterizzare in maniera cromatica, evidente, lontana da ogni possibilità di incertezza anche a grande distanza, parallelamente non semplicemente uno sparuto gruppo di giovani nobili fu identificato rivestito in simili tinte, quanto, piuttosto, una serie di nove contingenti, nove squadra di non meno di trenta elementi cadauna, disposte a chiaro supporto dell'azione del loro signore. Non una semplice sfida diretta, non una banale competizione che avrebbe potuto porre l'aristocratico rampollo di turno in possibile difficoltà, se non anche in una concreta situazione di pericolo, sarebbe quindi potuto essere giudicato l'evento centrale di quella giornata di festa, quanto, piuttosto, una battuta di caccia in piena regola, almeno nella concezione propria di quella particolare e insolita visione del mondo, comune alle caste nobiliari di qualsiasi nazione, alla quale sarebbe occorsa la semplice aggiunta di qualche muta di cani e, ovviamente, di armi per non esser distinguibile da una normale caccia al cinghiale.

« Sì… in effetti ora la questione appare più coerente. » commentò, aggrottando la fronte e prendendo rapidamente al vaglio le schiere dei propri cacciatori, nel non voler sprecare neppure un fuggevole istante di quelli ancora concessile per tale operazione di studio.

Prestando una pur minima attenzione a ogni gruppo, alla composizione propria di quei drappelli, anche allo sguardo di chi, al pari della Figlia di Marr'Mahew, si sarebbe potuto considerare completamente estraneo a quell'ambiente, nonché all'intera cultura da cui una simile tradizione aveva trovato occasione di nascere, immediatamente trasparente sarebbe potuta comunque risultare l'esistenza di una particolare formazione caratteristica per ognuna di quelle colonne, nel rispetto di ciò, in tal modo, che non sarebbe potuto essere considerato un semplice caso, quanto più un vero e proprio rito, una consuetudine, un costume ormai imposto su tutti loro dal tempo.
Centrali rispetto ai propri uomini, e in ciò perfettamente protetti dalla loro presenza, dal loro abbraccio, avrebbero potuto essere individuati, all'interno di ogni schieramento, colui, o colei, ove non mancarono di essere individuate almeno tre chiare immagini femminili a ricoprire simile ruolo, che, almeno nominalmente, sarebbero risultati essere i soli, veri, cacciatori e cacciatrici in quella giornata. Uniche presenze a cavallo, in tal modo fisicamente elevate rispetto ai propri subordinati, dall'alto di tale posizione difficilmente essi avrebbero potuto prendere concretamente parte a un qualche conflitto corpo a corpo, definendo in ciò, in maniera inequivocabile, la netta misura di quanto semplicemente formale, celebrativa, avrebbero dovuto essere considerate le proprie concrete partecipazioni all'evento, in contrasto a ogni più appassionata idea potesse essere stata precedentemente oggetto di considerazioni da parte della donna guerriero.
Attorno ai nove cacciatori, ben distanziati gli uni dagli altri, sarebbero potute poi essere individuate almeno tre diversi perimetri di carne e ossa, rappresentati da tre diverse categorie di loro accompagnatori. Più vicini ai loro signori, per poter essere sempre in grado di accontentarne ogni desiderio, ogni capriccio, anche nel corso di un'occasione che pur avrebbe dovuto prevedere un atteggiamento estremamente morigerato, quasi militare, da parte dei propri protagonisti, erano sempre almeno sei servitori, facilmente individuabili nei propri ruoli, nei propri compiti, in conseguenza dei numerosi oggetti di cui si stavano facendo carico non diversamente da animali da soma. Borse e sacche di ogni misura e dimensione, quelle proprie di tali malcapitati, disgraziati prigionieri della propria stessa professione, all'interno delle quali, se pur nel rispetto delle regole non sarebbero potute essere contenute armi, non avrebbero comunque mancato di essere certamente previsti una serie di agi, di comodità, utili a intrattenere l'aristocratico nel corso dell'evento, quali, innanzitutto, viveri e bevande, ma anche, sicuramente, altri generi di beni di consumo, troppo psicologicamente lontani dalla donna guerriero, loro osservatrice in quel frangente, per poter essere da lei anche solo intuiti.
La seconda fascia lì dispiegata, in un quantitativo di non meno di dodici elementi, avrebbe poi potuto essere giudicata qual formata da guardie di professione, probabilmente legate da anni, se non dalla propria intera esistenza, alle aristocrative famiglie lì rappresentate dai propri eredi, dai propri nobili figli, e lì presenti non tanto nella volontà di prendere parte a quell'evento ludico, quanto più, banalmente, di potersi assicurare che per alcuna ragione al loro protetto sarebbe potuto occorrere qualcosa di grave. Simili figure, in effetti, avrebbero potuto essere individuate, riconosciute, non tanto in virtù di un particolare abbigliamento, quanto più, sinceramente, in conseguenza del proprio stesso atteggiamento, della propria stessa psicologia, espressa senza inganni, senza sotterfugi, in ognuno dei gesti dei loro corpi e in ognuna delle espressioni dei loro volti, in un impegno tanto forte, saldo, autentico, che neppure il contesto da loro occupato, tanto quello proprio di una semplice festa popolare, quanto piuttosto quello rappresentato da un campo di battaglia, avrebbe potuto cambiare.
Nel terzo perimetro di ogni gruppo, più esterno rispetto ai propri signori e ai loro servitori e custodi, poterono infine essere individuati coloro che, probabilmente, sarebbero stati i reali, effettivi, protagonisti di quella giornata, i soli cacciatori che avrebbero impegnato le proprie energie, i propri sforzi, nel desiderio di catturare i detenuti che presto sarebbero stati posti in libertà. Caratteristica fondamentale nella valutazione sul ruolo di simili figure, allora, sarebbe dovuta essere considerata la loro stessa origine, nell'offrire in tali schiere l'evidente presenza di uomini e donne di origine non shar'tiagha, qual, ancor prima di particolari tratti somatici o, persino, della pigmentazione della propria stessa epidermide, sarebbe stata resa evidente dall'assenza dei caratteristici monili dorati a adornare i loro corpi e, in contrapposizione, dalla presenza di calzari ai loro piedi, in un aspetto che mai uno shar'tiagho, d'origine o d'adozione, avrebbe altresì accettato di proporre. Qual mercenari, in tutto ciò, non poterono che esser giudicati nel confronto con lo sguardo offerto dagli occhi color ghiaccio di Midda, innanzi al quale, ormai, tutta la poesia che avrebbe potuto esser supposta attorno a quell'evento era irrimediabilmente scomparsa, lasciando apparire la realtà nella propria concreta forma, una forma che non avrebbe mai potuto presupporre epici confronti fra cacciatori e prede, ma una semplice, triste, mattanza priva di spargimenti di sangue solo in virtù, in conseguenza del limite imposto loro dalla tradizione, dalla regola che avrebbe negato il ricorso all'utilizzo di qualsiasi arma.
Nel confronto con tutto ciò, tuttavia, rinvigorito, in verità, non avrebbe potuto evitare di riproporsi, nella sua mente, ogni dubbio precedentemente formulato nel merito dell'apparente tranquillità propria dei suoi compagni di ventura, i detenuti che, suo pari, avevano dimostrato nel corso di quel trasferimento, negandosi ogni possibilità di ribellione, ogni idea di fuga: nell'essere necessariamente informati, consapevoli, in opposizione rispetto a lei, nel merito di tutto quello, dell'effettiva natura di quella Grande Caccia, e delle conseguenti, scarse possibilità per ognuno di loro di potersi effettivamente conquistare la gloria riservata ai vincitori e la conseguente libertà, per quale ragione alcuno fra loro aveva colto la pur indubbia occasione di evasione loro riservata? In virtù di quale assurda idiozia, diffusa demenza, alcuno fra loro aveva supposto la possibilità di scappare, dal momento in cui alcun ostacolo si sarebbe frapposto sul loro stesso cammino in tal tentativo?

« Ho l'impressione di essermi persa un dettaglio fondamentale in tutta questa faccenda. » commentò, fra sé e sé, la Figlia di Marr'Mahew, storcendo le labbra verso il basso con espressione tutt'altro che soddisfatta in tale prospettiva « O, piuttosto, che un dettaglio fondamentale di tutta questa faccenda mi sia stato nascosto da parte della mia simpatica interprete… » soggiunse, non potendo ovviare a quel pensiero di malafede nei riguardi della giovane Ras’Jehr, alle parole della quale, forse, si era eccessivamente affidata, senza riservarsi alcuna possibilità di ricercare conferme di sorta attorno alle medesime.

venerdì 23 aprile 2010

833


I
n verità, per quanto apparentemente eccessiva, assolutamente legittima sarebbe dovuta esser considerata la sorpresa che aveva sinceramente coinvolto l'animo della stessa mercenaria, là dove, concretamente smisurata, quasi oscena, si propose nel confronto con il suo sguardo, con quei suoi stessi occhi che negli ultimi giorni erano stati costretti all'interno delle disadorne mura di un loculo, la platea di fronte alla quale ella temette che quello spettacolo rituale sarebbe stato concesso, in una presenza che non avrebbe potuto evitare un'occasione di imbarazzo anche a chi, suo pari, raramente si sarebbe concesso possibilità di provare meraviglia, sbalordimento, sentimenti troppo pericolosi in una professione, in uno stile di vita qual quello che le era proprio. Dopotutto, sebbene Midda mai avesse cercato, ma neppur disdegnato, un'esistenza solitaria, da eremita, una parte assolutamente preponderante della sua consueta quotidianità, da quando le vie del mare erano state abbandonate in favore di una carriera da mercenaria, era inevitabilmente trascorsa lontana dalle folle, dalla confusione propria di una città o, ancor peggio, di una simile fiera, nello spingersi, usualmente, in località tali per cui, dove anche non remote, non geograficamente distanti da piccoli o grandi centri urbani, nessuna umana attività sarebbe potuta esser lì attesa. Paludi maledette, templi abbandonati, sotterranei dimenticati, così come, non di meno, lande deserte o territori avvelenati nella propria stessa essenza, sarebbero dovuti esser considerati i suoi consueti ambienti, gli scenari in cui, normalmente, ella avrebbe condotto la propria attività: scenari all'interno dei quali, tutt'al più, le sole moltitudini che l'avrebbero potuta circondare sarebbero state quelle di non morti, quali zombie e altre simili negromantiche creature.
Fortunatamente, o sfortunatamente a seconda degli eventuali punti di vista, comunque, la possibile fonte di imbarazzo rappresentata da una tale presenza, così follemente inneggiante agli stessi candidati cacciatori preposti in suo ipotetico contrasto e, ovviamente, a lei e a ogni altra preda auguranti solo il peggior fato possibile, quasi dimentichi in ciò della forte componente ritualistica di quella manifestazione in conseguenza della quale alcuna reale violenza sarebbe stata lì ammessa, estremamente breve si propose la sua concreta esposizione al pubblico, dal momento in cui, con incalzare quasi frenetico, tanto la Figlia di Marr'Mahew, quanto tutti gli altri prigionieri partecipanti volontari a quella Grande Caccia, furono subito sospinti verso diversi carri chiaramente predisposti per il loro trasporto e, una volta lì stipati, allontanati con sufficiente rapidità non solo dal contatto con il pubblico, ma, addirittura, da quell'intera città, nell'esser condotti al di fuori delle mura verso una direzione chiaramente predefinita, per quanto inevitabilmente ignota alla donna guerriero. E nell'essere stata, in tal modo, alfine privata della sola interlocutrice precedentemente offertale dal fato, dell'unica controparte che avrebbe potuto riconoscerle occasione di dialogo, il tempo del pur breve viaggio che fu loro riservato non poté che esser allora impiegato dalla donna guerriero nella silenziosa osservazione della realtà a sé circostante, approfittando di simile intervallo, di tale quiete prima della prova innanzi alla quale, nonostante ogni ironia, non si sarebbe mai permessa occasione di sottostima, di sottovalutazione, per prendere confidenza con il territorio e con i propri compagni di ventura.

Le prede designate alla partecipazione alla terza e ultima occasione di Grande Caccia per quella città, per l'esclusivo diletto dei rampolli della nobiltà locale, furono così da lei contate nel numero di cinquantasette unità, se stessa inclusa: una misura che avrebbe potuto esser giudicata a dir poco sconsiderata, nel considerarli, comunque, tutti dei condannati, dei reclusi, se pur semplicemente per reati minori, come le era stato chiaramente sottolineato da parte di Ras’Jehr. In conseguenza di ciò, comunque, ancor più imprudente, scriteriato, non sarebbe potuto essere che ritenuti, almeno ai suoi occhi, la totale assenza di concreti impedimenti, vincoli, a mantenere tranquilla una simile folla di prigionieri, dal momento in cui, nella sola eccezione della catena imposta al suo braccio destro, alcun altro ceppo, alcun altro ostacolo, le si offrì evidente qual ostacolo su tutti gli altri uomini e donne, shar'tiaghi nella maggior parte, ma anche stranieri in una misura inferiore, lì radunata. Nonostante una tale avventatezza, tuttavia, alcuno fra i presenti parve offrire reali dimostrazioni di insofferenza al proprio stato di recluso, di un concreto desiderio di evasione, restando, altresì, quietamente in attesa, seduti in maniera ordinata sui vari carri, in attesa del raggiungimento della loro meta.
Una tale rassegnazione, una simile mancanza di bramosia di ribellione nei propri compagni, non poté evitare di insospettire la stessa mercenaria, diffidente per vocazione, paranoica per professione, la quale cercò a lungo e con sincero scrupolo di comprendere in virtù di quale particolare ragione non uno solo, fra cinquantasette, stesse allora prendendo in considerazione l'idea di ovviare al potenzialmente futile sforzo rappresentato da quella sfida, in favore di una più semplice, immediata possibilità di fuga, in un'occasione pur estremamente ghiotta qual quella così loro concessa. Purtroppo, al di là di ogni impegno da parte sua in tal senso, non le offrì occasione di soddisfazione, dove qualsiasi ipotesi da lei accennata parve, immediatamente, decadere, subito contraddetta dall'evidenza della realtà: non di certo nel timore di propri carcerieri sarebbe allora dovuta esser ritenuta tanta rassegnazione, dal momento in cui alcuna arma offrì riprova di esser allora presente, neppur fra le mani delle poche guardie rimaste con l'evidente compito di fungere da loro scorta, nonché di condurre i carri sino al sito della Grande Caccia; non di certo nel timore del confronto con un paesaggio loro avverso, dal momento in cui la via percorsa dai carri affiancava quietamente il corso del grande fiume, nell'area più verde e rigogliosa che la particolare natura di quell'intero regno avrebbe potuto loro offrire; non di certo nell'assenza di lucidità nelle loro menti, o energia nei loro corpi, là dove tutti, al suo pari, sembravano in effetti essere perfettamente consci della propria attuale situazione e, ancor più, assolutamente pronti a sostenere qualsiasi prova, in una sfida che, per qualsiasi cacciatore, sarebbe dovuta esser giudicata a dir poco improba.
Impossibilitata a comprendere, a intuire, le ragioni di tanta tranquillità, ella non poté pertanto escludere che una tale pace altro non derivasse che da un diffuso sentimento di sicurezza nel confronto con l'impresa loro proposta innanzi, per quanto, a detta della sua unica fonte di conoscenza attorno a simile evento, alcuna preda fosse mai riuscita, effettivamente, a guadagnarsi la propria agognata libertà nell'affrontare e vincere quella prova. Una convinzione la loro, se effettivamente tale, che non avrebbe potuto evitare di esser giudicata a dir poco pericolosa, rendendoli, paradossalmente, molto più prede di quanto non avrebbero mai potuto supporre di poter essere, inconsapevoli come innocenti lepri poste a confronto con la bramosia di sangue di un branco di levrieri perfettamente addestrati.

« Se tale è lo spirito con cui tutti intendono affrontare questa cosiddetta Grande Caccia, non mi sorprende che alcuno, in passato, sia riuscito riservarsi possibilità di successo. » commentò, a conclusione verbale di tale intima riflessione, pronunciando una simile condanna senza alcuna particolare esigenza di moderazione, di censura, nel confronto con un convoglio purtroppo incapace di poterle concedere la benché minima occasione di soddisfazione oratoria « Anche l'ultimo degli idioti potrebbe riservarsi facile supremazia nel confronto con tanta infondata fiducia. »

Considerando, comunque, la presenza effettivamente elevata, straordinaria, di partecipanti a quell'evento, ove, senza alcuna particolare enfasi in simile valutazione, il loro numero avrebbe potuto esser quello proprio di un piccolo esercito, ancora sospetto e ritrosia non poterono evitare di dominare l'animo della Figlia di Marr'Mahew per il resto di quel breve tragitto, di quel trasferimento, nel dubbio sulle modalità che avrebbero potuto permettere ai loro cacciatori di prevalere in loro contrasto, in quella che, addirittura, era stata presentata quale una sfida corpo a corpo. Sebbene, infatti, le fosse attualmente negata particolare confidenza con le famiglie nobiliari locali, nella propria personale esperienza, estremamente rari sarebbero potuti essere individuati gli esempi di giovani rampolli aristocratici realmente confidenti con l'arte della lotta, o, pur, quella della scherma o della guerra, generalmente cresciuti in uno stato di eccessivo benessere psicologico e fisico per poter ricevere sprone, incitamento, in simile direzione.
Qual particolare mistero avrebbe, quindi, potuto esser celato dietro a una tanto epica e ininterrotta sequenza di vittorie proprie per un gruppo di giovani di sangue patrizio, nel corso del tempo e delle generazioni, in eventi quali quello che presto sarebbe stato anche da lei affrontato? Per quale assurda ragione mai, neppur un detenuto, si era dimostrato in grado di prevalere su di loro, nonostante una sproporzione necessariamente smodata, qual sola sarebbe dovuta esser sottintesa a una presenza tanto sovrabbondante di volontari al ruolo di preda in quello strano concetto locale di attività ludica?

giovedì 22 aprile 2010

832


« O
norevole? » ripeté, aggrottando la fronte in conseguenza dell'utilizzo di quel particolare termine « Credo di non essere in grado di cogliere quale onore possa essere proprio della resa preventiva. » obiettò la mercenaria « Chi rinuncia allo scontro alla prima difficoltà, non si potrà mai dimostrare meritevole del rispetto riservato ai vincitori. E poi, in verità, questa non sarà né la prima né, probabilmente, l'ultima battaglia che combatterò privata dell'ausilio di un arto… non ho, quindi, alcuna ragione per ritirarmi dalla Caccia. »
« Come preferisci. » annuì la giovane shar'tiagha, indicando la possibilità a procedere oltre alle proprie compagne nella lingua per loro natia.

In conseguenza a quell'esplicita autorizzazione, la vita della mercenaria fu circondata da due pesanti fasce metalliche, richiuse su un lato attraverso il ricorso a una tradizionale cerniera e sull'altro dall'intervento di un pesante lucchetto, utile a sigillare quel primo vincolo attorno al suo corpo: tale legame avrebbe dovuto allora essere considerato qual lì imposto, in effetti, non per una concreta utilità diretta, quanto più allo scopo di fungere da supporto, da riferimento, per una seconda coppia del tutto similare alla stessa, se pur di dimensioni più contenute, e destinata, altresì, a circondare il polso della mercenaria, qual braccialetto da lei pocanzi nominato. A congiungere i due ceppi, quelle particolari manette chiaramente studiate e forgiate esclusivamente per lei, in un impegno offerto da parte dei propri carcerieri tale per cui, probabilmente, ella avrebbe dovuto ritenersi paradossalmente gratificata, si mostrarono solo pochi anelli metallici, propri di una grossa catena, nell'evidente volontà di limitare, attraverso gli stessi, ogni possibilità di movimento per l'arto destro della donna in maniera pressoché assoluta, permettendole invero, così imprigionata, di poter allontanare la mano destra dalla propria coscia per non più di cinque pollici in qualunque direzione.

« Conosco molti uomini che sarebbero disposti a pagarti ingenti cifre al solo scopo di veder costretto, in tal modo, anche il mio braccio mancino, ed essere liberi, ovviamente, di gettarmi su un letto. » commentò al termine dell'operazione, offrendo un tono e un sorriso volutamente sornione e ammiccante verso la propria sola interlocutrice, a ricercar occasione di scherzo con lei per quanto fosse consapevole di come, inevitabilmente, ella non le avrebbe offerto alcuna complicità di sorta.
Come previsto, Ras’Jehr non la deluse, restando del tutto imperturbabile nel confronto con lei, quasi ella non avesse neppure espresso verbo, probabilmente celando dietro a tale silenzio numerose e pessime opinioni per quella straniera sempre meno apprezzata, sebbene, purtroppo, obbligatoriamente aiutata in nome dei propri legami familiari, della fedeltà ai propri parenti pur tanto lontani.
« Non ne avete un modello completo? Versione maschile, possibilmente. » insistette, nel tentare di stuzzicare con tale malizia una qualsivoglia replica dall'altra, spronata in tal senso dalla stessa ritrosia così dimostrata nei propri riguardi, in quella che sarebbe forse potuta esser da lei considerata al pari di una concreta sfida morale « Impossibile escludere che non mi possa tornare utile in futuro… in contesti, ovviamente, più interessanti e accattivanti di quello attuale. »

Ancora una volta, comunque, alcuna replica le fu riconosciuta dalla controparte, la quale, pur mantenendo assoluta coerenza con la politica di comportamento già fatta propria nel confronto con lei, questa volta non si volle ulteriormente schermare dietro a una laconica maschera di indifferenza nei riguardi dell’intero mondo a sé circostante, pronunciando, altresì, diverse parole in lingua shar'tiagha, dedicate chiaramente alle altre guardie presenti. E dove pur né il significato, né il significante delle medesime poté allora essere compreso da parte della donna guerriero, il concetto proprio di tal intervento non le fu comunque negato, non le fu nascosto, venendo rivelato, esplicitato, dall'immediato movimento dell'intero gruppo, così apparentemente impegnatosi, alfine, a proseguire nel cammino verso la loro successiva meta, a completare l'ultimo tratto che ancora separava la detenuta a loro affidata dalle altre prede, volontarie suo pari, già radunate al solo scopo di prendere parte a quell'ultima Grande Caccia dell'anno.

« Sei sempre tanto restia al dialogo, o sono io a offrirti particolare ragione in tal senso? » domandò, nel mentre di tal percorso, la Figlia di Marr'Mahew, cercando per la terza volta consecutiva di ottenere una reazione dalla guardia, in quella che, dopotutto, si sarebbe potuta dimostrare quale la loro ultima occasione d'incontro, nell'impossibilità a prevedere in quali particolari direzioni avrebbe preferito svilupparsi il futuro, al di là di ogni considerazione retorica che sarebbe potuta essere allora formulata a simile proposito.
« Sei sempre tanto insistente, o sono io a offrirti ragione in tal senso? » le fece eco la giovane shar'tiagha, mordendosi, subito dopo, la punta della lingua, nel desiderio di punirsi per aver, in tal modo, comunque ceduto verso di lei, nonostante ogni proposito in senso contrario.
« Se devo proprio essere sincera, non posso evitare di ammettere come, solitamente, io mi ponga estremamente loquace solo durante confronti particolarmente interessanti o impegnativi. » dichiarò, effettivamente verace in tale asserzione, dal momento in cui, sua abitudine, era infatti quella di ricorrere a provocazioni verbali verso i propri avversari allo scopo di distrarli, se in grado di comprenderla, o, comunque, di umanizzarli, dove invece incapaci ad apprezzare il suo impegno al dialogo, soprattutto quando creature mitologiche apparentemente immortali o simili « Potrebbe essere quindi affascinante cercare di analizzare per quale ragione tu mi stia incitando a un simile comportamento. In fondo non ti sei mai dimostrata a me avversa… al contrario! »
« Se devo proprio essere sincera, io sto ancora cercando di comprendere in virtù di quale assurda ragione il figlio della cugina di mio padre possa essersi invaghito di una come te. » replicò l’altra, storcendo le labbra verso il basso in una critica finalmente trasparente verso di lei, la prima che Midda poté considerare degna di essere definita qual tale, ove anche le accuse e i rimproveri nel merito dei fatti occorsi due mesi prima, e riguardanti quel particolare ramo della famiglia della propria stessa interlocutrice, non si erano concessi, in verità, una reale occasione di sbilanciamento emotivo in suo disapprovazione « A parte la grottesca sovrabbondanza della tua circonferenza toracica, non sono ancora riuscita a individuare una sola caratteristica che possa giustificare la follia della quale si è reso protagonista, facendosi quasi uccidere per mano tua e, ciò nonostante, continuando ancora ad amarti. »
« Meraviglioso! » esclamò la mercenaria, concretamente entusiasmata da una reazione tanto appassionata « Finalmente ti sei decisa a rivelarmi una parte del tuo vero volto. E dire che non ti avrei mai considerata una persona tanto gelos… »

Purtroppo per la donna dagli occhi color ghiaccio, proprio in concomitanza con questo suo ormai insperato successo, ogni ulteriore occasione di confronto fra loro fu improvvisamente negato dall'abbandono della tranquillità propria dell'interno delle mura della prigione in favore dell'estrema, addirittura folle, confusione altresì presente all'esterno di quello stesso edificio.
L'intera città, la capitale che ancora, sostanzialmente, si presentava qual priva di nome nel confronto con quanto poco noto alla Figlia di Marr'Mahew, parve infatti essersi allora radunata proprio attorno a quella particolare edificazione, presentando in ciò, al suo sguardo, una sconfinata marea di persone, un'assurda fiumana di gente lì accorsa, richiamata, nella sola volontà di poter essere testimoni degli eventi che presto avrebbero avuto inizio, di quella celebrazione laica che, ciò nonostante avrebbe paradossalmente dovuto esser giudicata qual capace di attrarre molto più interesse, maggiore coinvolgimento, di quanto mai sarebbe stato offerto nel confronto con un equivalente rito religioso, fosse anche una cerimonia in onore del più importante fra tutti gli dei del pantheon lì dominante.

« … per Thyres… » sussurrò istintivamente « Per quanto tu abbia accennato a un supporto morale e un sostegno appassionato da parte del pubblico, non avrei mai potuto immaginare qualcosa di simile! » continuò, nel mentre in cui la sincerità dello stupore implicito a quell'invocazione verso la sua dea, fu sottolineata da un'improvvisa espansione delle sue nere pupille all'interno delle azzurre iridi « Se non fossi certa di essere ancora in Shar'Tiagh, potrei anche ipotizzare di aver fatto improvviso ritorno all'Arena di Garl’Ohr, nel regno di Gorthia. »

mercoledì 21 aprile 2010

831


N
el porsi a confronto in maniera estremamente onesta con se stessa, con il proprio carattere e con la propria intrinseca natura, Midda Bontor non avrebbe mai potuto negare una concreta, sincera, reale dipendenza psicologica e fisica dal pericolo. La necessità di assaporare la dolce fragranza dell'adrenalina, di godere dell'eccitazione pompata violentemente attraverso il sangue fino a ogni angolo del corpo, sarebbe dovuta esser considerata, probabilmente, quale il suo solo, vero, vizio, capace di ricordarne l'umana natura, là dove, se pur non astemia, ella non avrebbe mai potuto definirsi qual un'appassionata bevitrice, nel preferire conservare sempre la propria lucidità, la propria coscienza per essere pronta in ogni istante all'azione; e, se pur tutt'altro che casta, ella non avrebbe mai potuto considerarsi qual un'irrimediabile lussuriosa, nel concedersi sin troppo raramente una compagnia maschile e nel rifuggirla, inevitabilmente, non appena il rapporto si fosse sospinto in maniera eccessivamente marcata verso la necessità di un qualche sviluppo. Non nell'alcool, non nella carne, quindi, ella era solita ricercare il proprio diletto, il proprio intimo piacere, quanto più nel pericolo, nella sfida oltre ogni limite conosciuto all'uomo. Tale sarebbe dovuta essere ritenuta, da sempre, la sua indole, la manifestazione del suo vero animo, dal momento in cui, in similare misura, ella invero aveva sempre vissuto, sin da giovinetta, quand'ancora fanciulla, semplice marinaia e ben lontana da pensieri volti alla professione di mercenaria e avventuriera, dimostrando già in quegli anni di adolescenziale innocenza tutta la propria predisposizione al pericolo, tutta la propria bramosia di adrenalina, agendo in maniera assurdamente spericolata, spesso addirittura folle, al punto tale da essersi conquistata da subito, in conseguenza di tali meriti, se così sarebbero potuti esser definiti, una discreta popolarità qual protagonista di numerosi aneddoti, storie fra tante che pur non mancavano di intrattenere i figli del mare nelle proprie vivaci serate di riposo, di svago, nei porti della costa.
In tutto ciò, se anche ella non avrebbe mai potuto apprezzare l'idea di una qualche costrizione di sorta, in quanto in serio contrasto con i propri principi, non permettendo, in effetti, neppure ai propri mecenati di poterla manipolare, di poterla gestire a proprio libero piacimento, qual pur molti erroneamente giudicavano esser prerogativa intrinseca di una mercenaria, la Figlia di Marr'Mahew non avrebbe comunque potuto ignorare la proposta della giovane Ras’Jehr, sebbene questa si fosse presentata volutamente retorica, così prossima ad apparire qual un ricatto morale nei suoi confronti, al pensiero del male che avrebbe potuto riconoscere al proprio amato, ora lontano, con comportamenti alternativi a quello lì suggeritole. Un interesse, il suo, che non sarebbe tuttavia dovuto esser giudicato qual semplice riguardo nei confronti del povero Be'Sihl, quanto piuttosto, egoisticamente, conseguenza della sfida intrinseca nelle parole utilizzate della stessa guardia shar'tiagha per presentarle il concetto della Grande Caccia, e il suo particolare riferimento all'assenza, nella storia di tale tradizione, di trionfi, di successi, di vittorie sul fronte delle prede designate.
Dopo troppo tempo, due intere stagioni e due ulteriori mesi, di quieta tranquillità, di rinuncia all'azione per lei usualmente quotidiana, in qual modo la donna guerriero dagli occhi color ghiaccio avrebbe mai potuto, allora, ignorare quell'occasione di confronto e di lotta? In virtù di qual divina benedizione ella avrebbe mai potuto resistere di fronte all'ebbrezza propria di un'impresa presentatale in toni così ammalianti, per quanto non certamente epici?
Dove anche, in fondo, quell'esperienza si fosse risolta con sincera delusione da parte sua, nel non ritrovare, nella prole dell'aristocrazia shar'tiagha una reale possibilità di contesa, ella, da tutto ciò, avrebbe comunque guadagnato una possibilità di svago e, unendo l'utile al dilettevole, un'occasione per liberarsi, in tutta legalità, dalla pur ingiusta condanna a cui era stata destinata dalla bramosia di un ingordo mercante.
Inevitabile, alfine, fu la scelta di cui la mercenaria, prigioniera e condannata in Shar'Tiagh, si rese volontariamente protagonista, accettando con più entusiasmo di quello che, probabilmente, sarebbe stato corretto mostrare, il consiglio della propria interlocutrice. Immediatamente dichiarato il proprio interesse alla partecipazione all'ultima Grande Caccia di quella stagione, e di quell'intero anno, ella evitò persino il proprio trasferimento dal carcere alle miniere di sale a cui sarebbe dovuta essere altrimenti subito destinata, nel restare segregata all'interno dello stesso carcere dove già aveva trascorso cinque giorni, allo scopo di ovviare, in tal decisione da parte dei suoi stessi carcerieri, a un viaggio che si sarebbe alfine dimostrato inevitabilmente vano, nel doverla subito ricondurre in città per l'occorrenza di quel fatidico evento.
E così, solo dopo altri sei giorni trascorsi nell'isolamento della propria cella, e da lei affrontati con ritmi che nulla tradirono dell'impegno già precedentemente dimostrato e che, anzi, lo incrementarono, ove possibile, al fine di riservarsi la migliore preparazione possibile in vista di quanto sarebbe venuto, ella fu nuovamente estratta dal proprio loculo per essere condotta, ancora una volta, attraverso lo stesso cammino che già l'aveva vista coinvolta per la breve udienza con il magistrato, in un secondo, e quanto mai gradito, bagno in acque inevitabilmente gelate, e in un ritrovato contatto con i propri abiti.

« Non ti possono essere riconosciute armi di sorta, né utensili atti a poter essere impiegati qual armi. » le spiegò, con il proprio accento y'shalfico, la sua ormai consueta interprete, Ras’Jehr « Se desideri indossare, tuttavia, vesti diverse da quelle che ti appartengono, e con le quali sei stata posta agli arresti, il regolamento consente libero arbitrio, al fine di non poter considerare simile fattore qual un ostacolo per la preda. »
« Ti ringrazio per la disponibilità… ma sono estremamente affezionata ai miei stracci e considererei di pessimo augurio affrontare una qualsivoglia impresa privata della loro piacevole compagnia. » replicò la Figlia di Marr'Mahew, assolutamente sincera in tal senso, per quanto il tono utilizzato non mancò di apparire lievemente ironico, al pari del sorriso presente sul suo stesso viso nel confronto con quell'ormai atteso, e realmente gradito, scenario « Se possibile manterrei, inoltre, anche la tunica e il litham… » soggiunse nel sottintendere un possibile impiego per tali indumenti, e della loro stoffa, diverso da quello tradizionale, ove reso necessario dagli eventi, in una precisazione che, in effetti, non le sarebbe comunque stata richiesta e che pur non mancò qual dimostrazione di quanto, dopotutto, simili capi d'abbigliamento non fossero da lei considerati qual parte integrante del proprio stesso guardaroba.
« Come ho già detto, puoi indossare cosa desideri. » ribadì la guardia, non riservandole, nonostante i chiarimenti fra loro occorsi, un atteggiamento particolarmente diverso da quello precedentemente accordatole, in una riprova di sostanziale e ammirevole coerenza nelle proprie opinioni, nei propri giudizi, assolutamente inalterati al di là dell'aiuto, così, pur riconosciutole non tanto per il suo stesso bene, quanto più per quello della propria famiglia, dei propri parenti a lei connessi.

Nel mentre in cui Midda concluse la propria vestizione, però, un'inattesa aggiunta a quanto era stato da lei allora richiesto, domandato, qual dotazione desiderata per la Grande Caccia, le fu presentato innanzi allo sguardo, lasciandola, per un istante, obbligatoriamente titubante, non tanto per la sorpresa così derivante da tale immagine, quanto più per il doveroso dubbio nel merito del raziocinio posto dietro a tale proposta. E dal momento in cui, alcuna spiegazione le fu allora spontaneamente fornita da parti di colei che avrebbe dovuto considerarsi implicitamente interrogata a simile riguardo, la donna guerriero non mancò di esprimersi in maniera diretta, ben lontana dall'essersi mai dimostrata in particolare soggezione verso i propri carcerieri.

« E quel… braccialetto cosa dovrebbe significare?! » richiese, storcendo appena le labbra a voler dimostrare una sincera disapprovazione per la fiducia così violata da parte della propria interlocutrice, nell'averle nascosto, sino a quel momento, un particolare tutt'altro che trascurabile quale quello ora mostratole.
« Gli arbitri dell'evento, nel prendere in esame la tua richiesta di partecipazione, hanno deciso che il tuo braccio destro possa costituire un indubbio vantaggio per te, nel confronto con gli altri partecipanti. » rispose Ras’Jehr, così interrogata « E' stato quindi deciso di negartene l'uso, ove potrebbe essere, dopotutto, considerato qual una vera e propria arma, in esplicita violazione alle regole della competizione. »
« Così facendo, tuttavia, imporrete su di me un netto sfavore. » osservò, priva di reale volontà polemica, nel non poter evitare di osservare con paradossale interesse l'ulteriore sfida lì propostale.
« Non ho preso io questa decisione. » volle sottolineare l'altra, non tanto a rifiutare una responsabilità personale in tale nocumento così imposto alla detenuta, quanto più a negare una qualsivoglia possibilità di intervenire a modificare quanto sarebbe dovuto esser accolto qual un dato di fatto « La partecipazione alla Grande Caccia resta, comunque, volontaria: se non ritieni di poter avere speranze di vittoria, in conseguenza di tale limitazione, è ancora possibile, per te, un onorevole ritiro. »

martedì 20 aprile 2010

830


S
e nella maggior parte delle nazioni proprie del continente di Qahr, fra le quali anche i regni meridionali tanto noti e relativamente cari alla Figlia di Marr'Mahew, la stagione invernale, conclusiva dell'anno secondo il calendario comune, era usualmente considerata qual negativa, sinonimo di invecchiamento e morte, tale da sfavorire qualsiasi umana attività nel proprio naturale corso, dal semplice commercio, sino, addirittura, all'idea stessa di celebrare matrimoni, di impegnarsi in sfortunate gestazioni o, ancor peggio, nell'offrire alla luce nuove vite; in Shar'Tiagh, altresì dolcemente adagiata in prossimità del limitare settentrionale del medesimo continente, proprio quei tre particolari mesi dell'anno, nell'arco di tempo così racchiuso fra il giorno di Transizione verso l'inverno e quello verso la primavera, con il successivo Capodanno, erano quelli accolti con maggiore speranza, fede, tale da riservare, attraverso la puntuale, e fortunatamente inevitabile, presenza di stesso periodo, uno sguardo colmo di ottimismo, di fiducia al futuro, ai primi nove mesi del nuovo anno così sopraggiunto.
Simile divario di opinione nel merito di una pur identica stagione, in verità, non avrebbe dovuto esser considerato semplice frutto del caso, di un diverso cammino di maturazione culturale, tale da offrir vita a due estranee e antitetiche visioni nel confronto di una medesima quotidianità, qual pur numerose divergenze comunque esistenti fra la nazione shar'tiagha e quella kofreyota, a esemplificazione di tal caso, avrebbero potuto essere legittimamente considerate, quanto più, per amore di precisione, quale espressione di un rapporto obbligatoriamente difforme nel confronto con lo stesso territorio occupato da quei due diversi popoli. In Kofreya, così come in molteplici altre aree, regni presenti nel vasto continente di Qahr, infatti, l'inverno non avrebbe potuto che rappresentare, per agricoltori e allevatori, e, in conseguenza, per qualsiasi categoria sociale, dal momento in cui da simili, fondamentali, attività umane ogni altra avrebbe dovuto esser considerata qual derivante, una stagione di sonno, un intorpidimento probabilmente obbligato, dove proprio della natura stessa, che in quei mesi avrebbe rifiutato a chiunque i propri frutti, avrebbe negato verso tutti la propria generosità, costringendo intere società umane alla paziente attesa, al quieto riposo, non diversamente, dopotutto, da quanto imposto su qualsiasi creatura animale o vegetale. In Shar'Tiagh, al contrario, quale esempio pressoché unico di convivenza fra la fertilità propria dei fiumi e l'aridità caratteristica dei deserti, l'ultima stagione dell'anno non sarebbe mai potuta esser accolta qual semplice sinonimo di morte, quanto, piuttosto, qual espressione di rinascita, di resurrezione, dal momento in cui, proprio in quei tre mesi, dal loro punto di vista addirittura sin troppo brevi, il grande fiume e i suoi affluenti avrebbero benedetto con le proprie acque, le proprie immancabili e abbondanti esondazioni, le terre proprie di quei confini, che, in grazia di ciò, alla successiva primavera, si sarebbero nuovamente proposte colme di vita, e di speranza di vita, per chiunque.
Assolutamente comprensibile e naturale, in un simile rapporto fra il comune calendario e il particolare territorio donato dagli dei al popolo eletto qual dimora, non avrebbe potuto che risultare, allora, il dissimile confronto lì presente, lì imperante, verso i tre mesi usualmente giudicati qual funesti e funebri. Una diversità tale, addirittura, da non negare l'attività umana, ma, al contrario, da incentivare, nel proprio stesso intervallo, l'impiego di agricoltori e allevatori, al pari di pescatori e artigiani, o di mercanti e, persino, militari, non tanto nelle proprie consuete professioni, nelle proprie abituali attività, quanto più in tutte quelle opere, magnifiche e incredibili, che con la loro stessa meravigliosa presenza avrebbero invocato la benevolenza di tutti gli dei, la grazia di tutte quelle divinità per sol merito delle quali un nuovo anno avrebbe potuto esser raggiunto in gioia invece che in dolore, in allegria invece che in mestizia. E solo con il sopraggiungere del nuovo anno, e del ritorno della primavera, tutti loro avrebbero alfine abbandonato tale preghiera fisica, simile impegno votivo, per ritornare ai propri usuali mestieri, nel corrispettivo desiderio di rendere in ciò grazia a quegli stessi generosi genitori di tutto il Creato per quanto loro riconosciuto, loro concesso, con campi e bestie incredibilmente fertili, promettenti, rispettivamente, frutti succosi e prole numerosa.
Non semplicemente nel ritorno alla propria vita quotidiana, ai propri consueti lavori, tuttavia, gli shar'tiaghi limitavano le proprie occasioni di ringraziamento verso gli dei tutti per la propria magnanimità, quanto, in effetti, anche attraverso numerosi ulteriori riti religiosi e feste laiche, celebrazioni liturgiche e appuntamenti profani. Fra queste ultime numerose attività, non promosse direttamente dai sacerdoti, dai celebranti, altresì intenti in diverso genere di occupazione, e pur dagli stessi neppur osteggiate, nell'esser riconosciute qual legittime nel loro intento, nel desiderio alla base del loro stesso proporsi, avrebbe allora dovuto esser considerato il triplice appuntamento con la Grande Caccia di primavera.

« Di cosa si tratta? » domandò la donna guerriero, riprendendo parola nella volontà di meglio comprendere i desideri così formulati a proprio stesso riguardo, e similmente espressi dalla propria interlocutrice « Temo, purtroppo, di non potermi considerare confidente con tale usanza… » confessò, a render più esplicita, più trasparente, la causa del proprio dubbio, della propria attuale mancanza di entusiasmo nel confronto con quell'annuncio, quella proposta, che pur, evidentemente, nell'aspettativa dell'altra sarebbe dovuta essere da lei accolta con più interesse, con maggiore coinvolgimento.
« Ogni anno, in primavera, i figli delle più nobili famiglie della nostra città, al pari di ogni altra città del nostro regno, sono solite impegnare i propri sforzi in tre Grandi Cacce, allo scopo di dimostrare, in simile attività ludica, la propria riconoscenza verso gli dei per i doni ricevuti durante l'inverno. » cercò di spiegare Ras’Jehr, in tal modo invitata, dimostrandosi più che comprensiva verso la detenuta e giustificandone l'ignoranza lì proposta qual conseguenza della propria estraneità rispetto alla cultura shar'tiagha « Questa tradizione, in verità, non è antica, dove ha avuto luogo per la prima volta solo qualche decennio or sono: ciò nonostante, ormai, è un appuntamento improrogabile, atteso non semplicemente da coloro che ne saranno protagonisti, ma anche dall'intera comunità, che non si limiterà ad assistere passivamente all'evento, ma che offrirà attivamente il proprio supporto morale, sostegno appassionato al cacciatore preferito, nella speranza di un suo indiscusso successo su ogni proprio antagonista, a sua volta predatore o semplicemente preda. »
Cercando di intuire, di meglio apprezzare, la conclusione a cui la guardia sarebbe allora voluta giungere nei propri chiarimenti, nonché in quale misura simile evento mondano, utile a intrattenere una combriccola di arroganti aristocratici, e i loro sostenitori, avrebbe potuto riguardarla, la mercenaria si riservò un nuovo momento di silenzio, lasciando all'altra assoluta libertà di espressione.
« La Grande Caccia, a dispetto del proprio nome, non prevede né il ricorso ad armi di sorta, né l'immolazione finale dello sconfitto, nel desiderio di non trasformare l'occasione di un semplice giuoco in una manifestazione di oscena crudeltà. » proseguì la giovane shar'tiagha, cercando di ricorrere a parole più semplici possibili per non rischiare di essere fraintesa dalla propria ascoltatrice « E sebbene, a oggi, non si abbia memoria della vittoria di una preda sui propri cacciatori, non può esser ignorato come, in tal caso, proprio verso la stessa dovranno essere tributati gli onori propri del vincitore, non di meno rispetto a quanto previsto in una situazione invertita: offesa agli dei, prima ancora che alla stessa tradizione, sarebbe infatti un eventuale tradimento di tale regola, di questa semplice premessa, necessaria, dopotutto, anche a concedere un concreto ed evidente significato tutto ciò. Per tale ragione, pertanto, sto perdendo il mio e il tuo tempo nella volontà di renderti edotta attorno a un sim… »
« Thyres! » esclamò Midda, aggrottando la fronte nell'aver, improvvisamente, colto il reale significato di tanto parlare, il dettaglio che, nonostante tutto, la sua interlocutrice aveva probabilmente considerato così banale, tanto ovvio, da non necessitare di una esplicita indicazione e che, nonostante tutto, avrebbe potuto lasciar apparire quell'intero discorso, prima considerato estremamente vivace solo nei propri colori, tale anche nei propri significati e, ancor più, nelle proprie ragioni di esistere innanzi alla sua attuale e particolare condizione di prigioniera « Sta quindi dicendomi che… io dovrei essere la preda?! »
« Certo. » annuì l'altra, confermando in tal modo la logicità, la naturalezza di quella particolare condizione, prima non trasparentemente chiarita « Tu e tutti gli altri detenuti per crimini non gravi, al tuo pari, che vorranno prendere parte all'evento, nella speranza di guadagnarsi la libertà tanto agognata. Perché proprio la libertà, in tutto ciò, deve essere considerata l'obiettivo finale di qualsiasi prigioniero che accetta volontariamente il ruolo di preda in una Grande Caccia di primavera, nella speranza di riuscire a dominare sul proprio cacciatore e, in ciò, di far propria l'amnistia offerta qual premio finale. »