11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

lunedì 30 novembre 2020

3476

 

Insomma: piccoli, o eufemisticamente tali, cambiamenti che, forse, nella propria individualità, non avrebbero necessariamente avuto a stressare la situazione. Ma che, sommati insieme, avrebbero necessariamente finito col il colmare la misura, in termini tali per cui l’ultima cosa di cui chiunque avrebbe potuto avere necessità sarebbe stato un nuovo colpo di scena, e il colpo di scena conseguente all’idea che la già tutt’altro che inoffensiva Midda Namile Bontor possedesse poteri utili a distruggere, potenzialmente, intere realtà... oltre che a riportare in vita, o in una condizione assimilabile alla vita, decine di migliaia di trapassati, per così come, non a caso, era allor già accaduto. E per quanto Lys’sh amasse la propria sorellona, era certa che chiunque altro, al di fuori della più ristretta schiera di amici già informati dei fatti, non avrebbe avuto occasione di apprezzare quell’idea: non laddove, in fondo, anche loro, a lei più prossimi, non avrebbero potuto riconoscersi realmente capaci di comprendere la questione.

« Prima il tuo ritorno... in compagnia di due donne e di due bambini provenienti da altri pianeti. » argomentò allora verbalmente, a beneficio dell’amica, per meglio illustrare le proprie perplessità « Poi la ricomparsa improvvisa della Biblioteca di Lysiath in versione orrorifica, con tanto di schiere di non morti senzienti e immortali a riversarsi al di fuori del suo perimetro, riportando in questo mondo molti dei suoi defunti... e non solo. » elencò, contando con l’indice della destra sulle dita della sinistra i punti di quel breve elenco « E, ancora, la comparsa di nuove, e per questo mondo incredibili, soluzioni tecniche, a opera degli stessi ritornati... fra cui, purtroppo, anche tutt’altro che entusiasmanti armi da fuoco, e armi da fuoco in grado di alterare troppo facilmente gli equilibri di potere di questo angolo di mondo. » concluse, accennando un lieve movimento di diniego con il capo « Come credi che potrebbero reagire i tuoi concittadini e connazionali all’idea che tu sia una sorta di dea della Creazione e della Distruzione...? E che, per inciso, la responsabilità del punto due, e di conseguenza del punto tre di cui sopra, hanno a doversi addebitare a tuo discapito...?! »
« ... » esitò la Figlia di Marr’Mahew, aggrottando appena la fronte a confronto con un’analisi tanto puntuale della situazione « ... già... » confermò quindi, annuendo lievemente « Immagino che le cose potrebbero mettersi male. » concordò con l’amica « ... ma sarebbero realmente peggio rispetto a ora...?! » domandò poi, forse provocatoria, in un interrogativo tuttavia obbligato « Cioè... dannazione: ho fatto sparire la popolazione di un’intera città! » esclamò, allargando le braccia e storcendo le labbra verso il basso.
« Non sai saltando un po’ troppo rapidamente alle conclusioni...?! » la frenò tuttavia la giovane donna rettile, accennando un sorriso « In fondo non abbiamo ancora la benché minima idea di cosa possa essere accaduto. Ragione per la quale mi pare quantomeno prematuro attribuirti la responsabilità degli eventi. »

Per quanto all’interno di quell’eterogeneo terzetto di sorelle d’arme, formato con Midda Bontor e Duva Nebiria, Har-Lys’sha avesse a dover essere intesa qual il membro più giovane; la sua giovane età non aveva mai avuto a influire in maniera negativa sul valore delle sue opinioni, non laddove, in effetti, quasi sempre ella era stata in grado di dimostrarsi, di buon grado, decisamente più assennata rispetto alle proprie sorelle maggiori.
In ciò, quindi, la Figlia di Marr’Mahew non avrebbe avuto ragione di riservarsi la benché minima possibilità di dubbio nel merito di quell’opinione. E, al contrario, ella l’avrebbe sicuramente tenuta in alta, altissima considerazione, nella misura utile, allora, a contrastare tutte le proprie più palesi, e non ingiustificate, insicurezze.

« Hai ragione. » annuì pertanto, con un malcelato sospiro « E’ che, obiettivamente, non mi pare di cogliere molte altre motivazioni utili a giustificare quanto è accaduto... »

Allo stesso modo in cui la donna guerriero non avrebbe voluto ritrovarsi a ricondurre ogni colpa necessariamente all’indirizzo di Anmel Mal Toise e dei suoi vicari, secondo-fra-tre innanzitutto, giudicando una scelta troppo semplice, una semplificazione troppo banale eleggere quelle figure a nemici onnipresenti e colpevoli di ogni male del mondo; ella non avrebbe voluto neppure ritrovarsi a ricondurre ogni colpa necessariamente al proprio stesso indirizzo, e a un qualche uso incontrollato dei propri poteri, e di quei poteri che, in effetti, ella non era ancora in grado di controllare.
Purtroppo, però, non sarebbe stato per lei semplice giustificare quanto lì avvenuto in termini diversi dall’intervento di un potere sovrannaturale. E nel considerare quanto ella stessa avesse ormai a doversi intendere la più importante sorgente di poteri sovrannaturali in città, purtroppo estremamente semplice sarebbe stato ricondurre la questione a se stessa, con buona pace di ogni buon proposito in direzione contraria.

« E’ perché ti stai focalizzando eccessivamente su di te e sui tuoi poteri... » osservò tuttavia Lys’sh, ancora scuotendo il capo « Prova a ignorare, per un istante, che tu sei divenuta l’erede della regina Anmel Mal Toise di questo piano dimensionale... e sforzati di osservare il mondo come lo avresti fatto qualche anno fa, prima che tutto il resto divenisse Storia. » la invitò pertanto, incalzandola « La Midda di un lustro fa, a confronto con una situazione così, cosa avrebbe pensato...?! »

Ancora una volta l’Ucciditrice di Dei non poté che riconoscere la pragmatica saggezza della propria amica, e quella saggezza utile a cogliere perfettamente il nocciolo della questione, in relazione, quantomeno, alla sua psiche, al suo flusso di coscienza, e un flusso di coscienza che, effettivamente, da settimane, mesi ormai, appariva obbligato in una sola direzione, e nella direzione utile a non permetterle di dimenticarsi il peso del proprio retaggio, e di un retaggio di cui, francamente, avrebbe fatto volentieri a meno.
Ma se tutto ciò non fosse successo, una Midda Bontor meno polarizzata attorno a quell’argomento, come avrebbe mai avuto a interpretare quegli accadimenti...?

« Avrei pensato a un qualche genere di maleficio... » rispose pertanto, sforzandosi di seguire il ragionamento dell’amica « E, chiaramente, a un maleficio scagliato contro la città da parte di qualcuno desideroso di vendicarsi contro di me, nel considerare quanto io sia l’unica a non esserne stata colpita. »
« A-ehm... » tossicchiò ridacchiando l’altra, nel non aver a riservarsi offesa di sorta per quelle parole per quanto, pur, avrebbe anche potuto farlo, in assoluta legittimità di pensiero « ... e io chi sarei...?! »

“Già!”

Midda Bontor aveva appena commesso un imperdonabile errore, nel trascurare, in quella propria formulazione la presenza  dell’amica accanto a sé. E non tanto per l’ideale sgarro così imposto alla stessa dal proprio palese egocentrismo, quanto e piuttosto per non essersi ancora permessa di concentrarsi sulla vera questione da porsi in quel particolare frangente...

« Già! » ripeté quindi ad alta voce, dopo che quell’esclamazione era già risuonata forte nella propria mente, fermando ogni ragionamento e pretendendo immediatamente ogni sua attenzione « Forse stiamo perdendo il nostro tempo nel cercare di comprendere perché siano scomparsi tutti gli altri... laddove, invece, dovremmo concentrare i nostri ragionamenti, le nostre opinioni, attorno a un ben diverso interrogativo: perché noi, e soltanto noi due, non siamo scomparse come tutti gli altri...? » scandì, persino arrestandosi nella risalita lungo l’interminabile scalinata di quella torre, per offrire maggiore risalto, maggiore attenzione a quel quesito tutt’altro che banale « Cosa ci distingue da tutti gli altri, in termini tali da escluderci da qualunque cosa sia accaduto al resto della città...?! »

domenica 29 novembre 2020

3475

 

Improbabile sarebbe stato, per Midda, riuscire a stimare quante volte, nel corso della propria vita, fosse risalita lungo quei gradini, di piano in piano, sino alle stanze superiori. Di certo, tuttavia, mai ella aveva avuto occasione di percorrere tanto velocemente quella risalita come in quel giorno. E non perché, in quel particolare giorno, ella stesse correndo.
Il rinchiudersi all’interno di una torre, per i signori di Kriarya, in fondo, non avrebbe avuto a dover essere frainteso un puro vezzo, una banale questione d’immagine, quanto e piuttosto conseguenza della necessità di minimizzare le possibilità di attentati a discapito proprio o della propria famiglia. In questo anche l’accesso alle torri non avrebbe potuto esser frainteso qual un’operazione banale o immediata, nel proporsi, quindi e piuttosto, rigorosamente intervallata da attenti controlli, e controlli volti ad assicurare non soltanto la disponibilità a ricevere gli ospiti da parte del padrone di casa, ma anche, e soprattutto, la più totale assenza di intenzioni avverse a discapito del padrone di casa da parte degli ospiti. E per quanto la fama di Midda Bontor l’avesse sempre preceduta, in misura tale da poter anche giustificare l’eventualità di un suo accesso diretto ai piani superiori, ella stessa non aveva mai preteso alcun particolare trattamento di riguardo, nel preferire assicurare la maggior sicurezza possibile per il proprio mecenate e amico.
Una premura, quella che la Figlia di Marr’Mahew aveva voluto rendere propria, che non era mai stata compresa da alcuno, neppure dallo stesso lord Brote, fino a quando non era emersa l’esistenza di una sorella gemella sconosciuta a tutti, e una sorella gemella che, purtroppo, aveva approfittato della propria perfetta somiglianza a Midda allo scopo di assicurarsi l’accesso alla torre e, lì, di avere ad attentare alla vita del medesimo Brote, andando altresì a colpire la di lui sposa Nass’Hya. E ove, malgrado tutti gli anni trascorsi da quei tragici eventi,  il sangue di Nass’Hya pesava ancora sul cuore della donna guerriero al pari di quello di ogni altra vittima innocente dell’assurda sete di vendetta della propria gemella, quasi fosse stato versato realmente da lei stessa; impossibile fu per il suo cuore non ammantarsi di malinconica nostalgia nel ripercorrere, ancora una volta, quei gradini, e nel risalire, piano dopo piano, livello dopo livello, fino alle stanze personali di Brote, senza incontrare alcun ostacolo, senza essere costretta ad alcun controllo.
Chissà se, all’epoca, Nissa era stata perquisita, come ella stessa accettava, e quasi pretendeva, di poter essere in ogni occasione, o se piuttosto non aveva fatto in modo di sfruttare la fama della Figlia di Marr’Mahew per poter accedere indisturbata sino alla cima della torre...? Chissà se, all’epoca, non era stata magari la stessa N’Hya, entusiasta come sempre di riabbracciare la propria amica, ad accogliere colei che di lì a breve sarebbe stata la sua assassina, strappandola per sempre all’amore del proprio sposo e all’abbraccio della loro ancor infante progenie...?!
Forse le cose sarebbero andate diversamente se, allorché cercare di ignorare dimenticare la propria gemella, negando a chiunque occasione di maturare consapevolezza nel merito della sua esistenza, e della sua pericolosità, ella si fosse impegnata sin dal principio a mettere ben in chiaro le cose, soprattutto con coloro a lei più prossimi, con gli amici più cari. Forse Nissa non avrebbe avuto una così facile occasione di accesso alla torre di Brote e, forse, Nass’Hya non sarebbe morta e suo figlio non avrebbe dovuto credere senza possibilità di rammentare il volto di propria madre. E, forse, tutti i danni causati dalla propria gemella nella sua vita sarebbero potuti restare contenuti, senza sospingersi a quella folle iperbole crescente che, ancora, non aveva raggiunto una conclusione... non, quantomeno, nel considerare come anche Nissa Bontor fosse risorta dalla morte insieme ai ritornati, e fosse ora là fuori, da qualche parte, sol ad attendere il momento migliore per poter tornare a colpire.
Forse ella aveva sbagliato a mantenere segreti in passato. E, forse, ella stava nuovamente sbagliando a tacere, nel confronto con il mondo, della propria attuale condizione, dell’essere divenuta l’erede di Anmel Mal Toise e, in quanto tale, la nuova, potenziale, Portatrice di Luce e Oscura Mietitrice.

« Secondo te... sto facendo bene a tacere nel merito dei fatti che hanno condotto alla risoluzione del conflitto con Anmel Mal Toise...?! » domandò quindi alla volta di Lys’sh, mentre avrebbero avuto a doversi ancora riconoscere impegnate a risalire lungo la torre.
« Che vuoi dire...? » replicò l’altra, non cogliendo il senso di quella domanda, e il senso di quella domanda proprio in quel particolare momento.
« Non dico che tutto quello che è accaduto qui, ora, sia necessariamente una mia responsabilità. Ma quello che è accaduto a Lysiath certamente lo è. » scosse il capo Midda, con aria di palese rammarico « E chissà ancora cos’altro potrà mai avvenire in futuro... » puntualizzò, sforzandosi interiormente ed esteriormente di non avere ad associare anche quello a ciò « Siamo sicure che mantenere il segreto a tal riguardo sia la cosa migliore da fare...? »
« Perché ti poni ora questo dubbio...? » esitò la giovane ofidiana, non riuscendo ancora a ricollegare la ragione di quell’interrogativo con quanto lì attorno stava accadendo.
« Perché una mia cara amica viveva in questa torre, e in questa torre è morta in conseguenza al fatto che, all’epoca, avevo mantenuta segreta l’esistenza della mia gemella, nel voler semplicemente cercare di dimenticarmi della sua esistenza... » storse le labbra la donna dagli occhi color del ghiaccio e dai capelli color del fuoco « E non posso ovviare a immaginare un certo parallelismo fra gli errori del mio passato e quelli che, probabilmente, sto riproponendo anche al tempo presente... nel tacere nel merito delle mie effettive responsabilità su determinati eventi. »

Purtroppo per Lys’sh non sarebbe stato così immediato avere a rispondere a quella questione, per così come, probabilmente, ella avrebbe preferito essere in grado di fare nell’affetto che provava per la propria amica sororale. Sebbene, infatti, per indole personale, ella non avrebbe potuto desiderare che Midda avesse a sentirsi costretta a mentire, non potendo ovviare ad appoggiare, in tal senso, l’ipotesi di una ben diversa risoluzione del problema, e una risoluzione che non la facesse sentire colpevole per il semplice fatto di essere ciò che ella era; la giovane donna rettile non avrebbe potuto neppure soprassedere sull’evidenza di quanto, se così fosse stato, non soltanto prevedibile, ma anche ineluttabile sarebbe dovuto essere inteso il pensiero dell’ovvio moto di sfiducia che, collettivamente, si sarebbe rivolto a suo discapito, esponendola a tutta la più brutale ignoranza delle persone e, con essa, a tutti i più stupidi pregiudizi che mai avrebbero potuto destinarle.

« Sebbene, personalmente, voterei sempre in favore della soluzione più sincera possibile... » premesse pertanto, nell’argomentare la propria replica in direzione dell’amica « ... non posso fare a meno di temere per la reazione che potrebbe suscitare fra i più l’idea che tu, di fatto, possieda i poteri propri di una divinità. » puntualizzò, esprimendo sinceramente il proprio dubbio a tal riguardo « Ultimamente, nel tuo mondo, stanno avvenendo un po’ troppe rivoluzioni sociali e culturali per poter sovraccaricare, ulteriormente, la tolleranza delle persone. » osservò, scuotendo appena il capo.

Le rivoluzioni sociali e culturali alle quali Lys’sh si stava così riferendo avrebbero avuto a dover essere intese tutte quelle novità che, in quegli ultimi tempi, avevano necessariamente sconvolto la placida quiete di quel mondo, a iniziare dal ritorno della stessa Figlia di Marr’Mahew, accompagnata, inutile far finta di nulla, da una donna rettile che tutti, la prima volta, equivocavano per una gorgone; per poi passare dall’arrivo dei ritornati; sino a giungere, ultimo ma non meno importante, a una crescente presenza di nuove tecnologie in un mondo forse ancor troppo giovane per potersi permettere tutto ciò, e tecnologie che, lì, stavano venendo allor introdotte, quasi con una certa violenza culturale, da parte di alcuni ritornati non autoctoni di quella società, di quel pianeta, e provenienti, al pari della stessa Lys’sh e di Duva, da quelle estremamente più progredite società siderali in lontane galassie.

sabato 28 novembre 2020

3474

 

« Andiamo alla torre di Brote... » suggerì quindi Midda, non sapendo, obiettivamente, a quale divinità potersi appellare a confronto con tutto ciò, e continuando in ciò a posticipare il momento utile a trarre una qualsivoglia conclusione nel merito di quanto avvenuto, nel suggerire così nuove possibilità di perlustrazione, nella disperata prospettiva di poter trovare qualcun altro in giro, a parte loro.

Brote, o, per meglio dire, lord Brote, così come egli era conosciuto entro i confini di Kriarya, non avrebbe avuto a dover essere frainteso, in tale qualifica, qual effettivamente un nobile, un aristocratico appartenente alla gerarchia feudale del regno di Kofreya.

In quel di Kriarya, città del peccato, nessun aristocratico kofreyota avrebbe potuto vantare la benché minima possibilità di potere da molto... molto tempo; essendo stato rimpiazzata, la consueta gerarchia feudale, da una ben diversa forma di governo, e un governo oligarchico nel quale il potere era spartito attraverso una decina, una dozzina, al più, di uomini forti, ex-mercenari, ex-assassini, ex-criminali che, entro i confini di quell’urbe, avevano avuto l’audacia di impegnarsi in una scalata al potere, arrivando a dominare, in maniera sostanziale, una porzione stessa della città, con tutte le proprie attività, legali o, per lo più, illegali. In effetti, l’oligarchia di Kriarya, da un punto di vista esterno a quello proprio dei suoi abitanti, avrebbe potuto essere quietamente intesa qual una spartizione del potere fra diversi capi di cosche malavitose, cosche che, in buona sostanza, di spartivano in maniera sufficientemente equa e pacifica l’intera città. Non che, di tanto in tanto, non mancasse qualche conflitto interno, alimentato, più che altro, dai tentativi dell’uno o dell’altro di avere ad accrescere il proprio potere.
Fra i lord cittadini, Brote avrebbe avuto a dover essere distinto qual uno fra quelli che stavano riuscendo a conservare il proprio posto da più tempo di tutti, in grazia, innanzitutto, di una mirabile capacità strategica, ma, anche e in termini tutt’altro che privi di significato, complice l’alleanza che, molti anni prima, lustri ormai, aveva avuto la lungimiranza di stringere con una giovanissima e sconosciuta mercenaria, e una giovanissima e sconosciuta mercenaria il nome della quale, ben presto, tutti avrebbero imparato a conoscere: Midda Bontor.
In un’epoca in cui, ancora, il nome di Midda Bontor non era associato ad alcuna, particolare fama, e, soprattutto, in un’epoca in cui difficile sarebbe stato, per chiunque, poter immaginare che quella giovane donna dalle forme procaci avrebbe mai potuto riservarsi una possibilità di impiego al di fuori di un postribolo; lord Brote aveva infatti avuto l’abilità, o la fortuna, di riconoscere in lei una risorsa sulla quale investire, divenendone il primo, e più importante, mecenate. Un ruolo che, nel corso degli anni, dei decenni successivi, aveva portato a entrambi utili tornaconti, nell’offrire alla prima quello sprone continuo volto a osare in imprese sempre più leggendarie, per così come alcun altro signore di Kofreya, o del mondo intero, avrebbe avuto il coraggio di avere a investire; e al secondo un vero e proprio tesoro di straordinari artefatti, sovente caratterizzati da poteri magici, che non avrebbero potuto mancare di donare maggiore prestigio e importanza al suo nome.
In ciò, lord Brote non aveva mai avuto di che pentirsi, a posteriori, della fiducia che aveva riposto in quella giovane donna. E Midda, d’altro canto, non aveva mai avuto ragione di muovere il benché minimo rimprovero al proprio “signore”, il primo che, quand’ancora nessuno avrebbe avuto ragione di credere in lei, aveva voluto farlo e, successivamente, non aveva mai smesso di farlo, fino a quando, per lo meno, ella gliene aveva dato occasione.
Da dopo il proprio ritorno dalla parentesi siderale, in verità, Midda Bontor non aveva ancora avuto occasione di riassumere, in senso stretto, il proprio originale ruolo di mercenaria: già sufficientemente impegnata per conto proprio, ella non si era ancora concessa occasione di tornare al servizio del proprio antico mecenate, benché, ovviamente, fra loro non fosse mancata occasione di cordiale rapporto, rappresentando egli, in effetti, uno dei suoi più antichi e cari amici all’interno di quelle mura, insieme a Be’Sihl Ahvn-Qa. E se soltanto la Storia non avesse preso il corso che aveva preso, non difficile sarebbe stato ipotizzare quanto il ruolo oggi occupato da Be’Sihl all’interno del cuore e della vita della Figlia di Marr’Mahew avrebbe potuto essere altresì occupato da lord Brote, per così come, in effetti, ella aveva già avuto riprova essere accaduto in altre realtà estranee alla propria, in altre dimensioni parallele fra altre Midda e altri Brote. In quella sua realtà, comunque, ella amava Be’Sihl, e Brote non avrebbe avuto a dover essere inteso nulla di più che un amico, nonché vedovo di una delle proprie più care amiche, purtroppo uccisa molti anni addietro dalla furia omicida della propria gemella, Nissa Bontor.

Lord Brote, al pari di tutti i signori di Kriarya, viveva all’interno di una torre. Molte, in quel di Kriarya, avrebbero avuto a dover essere riconosciute le torri presenti. E più alta fosse stata la torre, maggiore avrebbe avuto a dover essere inteso il prestigio del suo inquilino, in un discorso troppo banalmente riconducibile a una visione fallica della realtà, e di una realtà, purtroppo, lì dominata da una società di stampo patriarcale. Facile, quindi, comprendere quanto le torri più alte della città avessero a dover essere intese le dimore dei signori di Kriarya. E, con buona pace di molti altri lord della città, facile sarebbe stato anche distinguere, fra le torri più alte, proprio quella di Brote.
Midda non era sicura di cosa poter sperare di trovare all’interno della torre di Brote: in una città chiaramente deserta, abbandonata da qualunque persona al di là di lei e di Lys’sh, quella torre non avrebbe avuto ineluttabilmente a riservarsi possibilità di eccezione. E una volta giunta lì, null’altro che il nulla ella avrebbe potuto constatare essere presente ad attenderle, al pari del resto della città. Ciò non di meno, ella voleva e doveva tentare quella strada, per quanto obiettivamente disperata: non fosse mai che, in conseguenza alla propria altezza, qualcuno negli ultimi piani di quella torre potesse essere riuscito a scampare a quel disastro, di qualunque natura esso fosse stato...

« ... ho quasi paura a chiedertelo. » sussurrò Midda verso la propria amica, verso l’unica altra persona rimasta in circolazione oltre a lei, nel momento in cui giunsero ai piedi dell’alta torre di proprietà di Brote, sede e rappresentazione fisica del suo potere in quel di Kriarya, nonché dimora sua e del suo erede, di quel bambino avuto dalla propria prematuramente scomparsa sposa, la principessa y’shalfica Nass’Hya Al-Sehliot.

L’interrogativo, non formulato in maniera esplicita, avrebbe avuto a dover essere inteso più che esplicito, nel riproporre, ancora una volta, l’unica questione che, dall’inizio di quella complicata mattina, ella stava rivolgendo in ogni modo possibile verso Lys’sh.
E laddove non originale avrebbe avuto a doversi intendere quella domanda, purtroppo altrettanto non originale avrebbe avuto a dover essere intesa la risposta che, con un lieve movimento di diniego del capo Lys’sh ebbe a concederle, escludendo, proprio malgrado, che all’interno di quell’intera torre potesse esservi anima viva.

« Saliamo. » incalzò quindi la Figlia di Marr’Mahew, pur priva di ragione per procedere in quella direzione e, ciò non di meno, non potendo fare a meno di voler sospingere i propri passi fino alla cima di quell’edificio, a constatare con i propri occhi non soltanto quanto, all’interno del medesimo, non vi fosse nessuno, ma anche, e ancor peggio, da lì in alto, quanto in tutta Kriarya non fosse presente alcun altro al di fuori di lei e di Har-Lys’sha.

E così, con buona pace della pesante porta chiusa a impedire a chiunque l’accesso non autorizzato alla torre, furono sufficienti un paio di colpi ben assestati del proprio braccio destro, neppur impegnato al massimo delle proprie potenzialità, per dischiudere loro la via e permettere l’accesso alla torre di Brote.

venerdì 27 novembre 2020

3473

 

Purtroppo all’ofidiana fu sufficiente un lieve movimento del capo per esprimere tutto il proprio più disagiato diniego, giacché né al proprio udito, né al proprio olfatto stavano giungendo percezioni utili a suggerire la presenza di alcun’altra persona a parte loro.

« Usciamo in strada... » suggerì quindi la Figlia di Marr’Mahew, sospinta in tal senso dalla duplice necessità di verificare se, là fuori, non potesse essere rimasto qualcuno in circolazione e, al contempo, di allontanarsi per un istante da quegli ambienti per lei più che noti e amati, e che pur, in simile frangente, non avrebbero potuto ovviare ad apparire paradossalmente claustrofobici nel proprio offrirsi tanto vuoti, sì desolanti.

Purtroppo, però, anche al di fuori dei confini de “Alla signora della vita” non attendeva loro uno spettacolo più edificante... anzi.

Improprio sarebbe stato definire Kriarya una città abitualmente tranquilla. In ovvia e diretta conseguenza a una popolazione prevalentemente costituita da ladri e prostitute, mercenari e assassini, la città del peccato avrebbe avuto a dover essere intesa fondamentalmente sempre animata, sempre viva, a prescindere dall’ora del giorno o della notte.
L’unica fascia oraria appena meno animata avrebbe avuto a dover essere intesa quella a ridosso dell’alba, orario in cui anche i più indomiti bevitori erano costretti a cedere, crollando addormentati, nel migliore dei casi, in prossimità alla propria abitazione, o al luogo eletto a proprio domicilio, se non, direttamente, agli angoli delle strade, là dove, sovente, finivano per essere accatastati dagli stessi osti che troppo a lungo erano stati costretti a servirli e che, francamente, non desideravano avere a correre il rischio di un solo, ulteriore rigurgito rispetto a quanto, certamente, non era già loro mancato nel corso della nottata.
Al di là, tuttavia, di quel paio di ore antecedenti e successive all’alba, ore nel corso delle quali, comunque, in molti si ponevano già all’opera per affrontare al meglio quel nuovo giorno, Kriarya avrebbe potuto essere descritta in molti modi diversi, ma, certamente, non qual “tranquilla”, “calma”, “quieta”, “placida”. In effetti, e al contrario, aggettivi come “agitata”, “frenetica”, “caotica”, “convulsa”, probabilmente, si sarebbero potuti meglio adattare a quelle strade, strade nel percorrere le quali troppo facile sarebbe stato avere a perdere i propri averi o, ancor peggio, la propria vita.
In effetti, anche per Midda Namile Bontor, rare erano state le occasioni di quiete passeggiate lungo le vie dell’urbe nel corso della propria vita: giustappunto negli anni successivi agli eventi che l’avevano veduta essere riconosciuta come Campionessa di Kriarya, ella si era veduto riconosciuto quel minimo di sostanziale rispetto utile a ovviare a dover costantemente combattere per la propria vita. E la propria prolungata assenza dalla città, malgrado una inattesa e ideale sostituzione offerta dalla sopraggiunta Madailéin Mont-d'Orb, non aveva contribuito in positivo, costringendola in più di un’occasione, anche in quelle ultime settimane, a dover chiarire quanto ella non si fosse certamente rammollita con l’età, pronta, ove necessario, ad aprire la testa di chiunque avesse osato dubitare il contrario, per avere a cacciarci dentro, a forza di pugni, il concetto.
E se pur, soprattutto in grazia al proprio arto meccanico, ella avrebbe potuto effettivamente aprire una testa con la stessa semplicità con la quale chiunque avrebbe potuto schiacciare un cachi maturo, in effetti improbabile sarebbe stata l’eventualità che ella avesse a procedere in tal senso... benché, ovviamente, si sarebbe ben guardata dall’ammetterlo innanzi a chicchessia. L’essersi ritrovata investita dei poteri della Portatrice di Luce e, soprattutto, dell’Oscura Mietitrice, infatti, l’aveva costretta a rivedere profondamente il proprio stile di vita e il proprio approccio alla vita dei propri antagonisti, soprattutto a confronto con quel puro e semplice disinteresse che, da sempre, l’aveva contraddistinta.
Nel correre, proprio malgrado, il rischio di ritrovarsi a divenire una nuova Anmel Mal Toise, nel male ancor prima che nel bene, ella non aveva potuto mancare di mal giudicare la facilità con la quale era sempre stata solita estinguere le vite altrui, figlia della morale del proprio mondo che, a differenza di altri mondi successivamente visitati, non avrebbe mai attribuito maggior valore a una vita umana in quanto tale: così ella, per qualche tempo, si era addirittura negata l’occasione di girare armata, quasi la rinuncia fisica alla presenza di un’arma al proprio fianco avrebbe potuto aiutarla a minimizzare il rischio di nuove morti. Nuove morti che, comunque, erano egualmente arrivate in taluni momenti, ritrovandola comunque in difetto di un’arma in molti altri, quando, in effetti, le sarebbe potuta essere squisitamente utile.
Era stata per tale ragione che, alla fine, aveva deciso di cercare una sostituta per la propria perduta spada, e per quella spada bastarda che l’aveva accompagnata per oltre tre lustri prima di essere smarrita irrimediabilmente in una dimensione primigenia definita da Nóirín Mont-d'Orb con l’affascinante termine di tempo del sogno, mutuato da un’antica cultura del proprio mondo natale, in una realtà completamente estranea a quella. Purtroppo, però, oltre a riservarsi un indubbio valore sentimentale, recando seco il ricordo di moltissime avventure e disavventure, nonché l’amore del fabbro che l’aveva forgiata per la figlia alla quale l’aveva destinata, salvo poi farne dono alla stessa Midda Bontor qual giusto compenso per l’impegno che molti anni addietro aveva posto nel restituire la libertà a quella stessa figlia dopo che la stessa era stata fatta prigioniera da un viscido nobile kofreyota; la propria perduta spada avrebbe anche potuto vantare uno straordinario valore materiale, in una foggia a dir poco perfetta e in una rara lega di metallo dagli azzurri riflessi, il processo di lavorazione della quale, purtroppo, avrebbe avuto a doversi intendere qual un segreto ben custodito da pochi, pochissimi mastri artigiani figli del mare. Per tale ragione, quindi, ipotizzare di sostituirla non sarebbe stato affatto banale, anche laddove il costo della stessa non avesse avuto a doversi fraintendere problematico. E così, proprio malgrado, l’Ucciditrice di Dei aveva dovuto accontentarsi di una spada qualitativamente inferiore alla propria, accettandola al proprio fianco sol qual estemporaneo rimpiazzo in attesa di avere l’occasione utile a trovare una degna sostituta del quella perduta.

Spada o non spada, volontà o meno di uccidere un proprio qualunque antagonista, comunque, in quel particolare frangente si sarebbero riservati ben misero valore, nel non poter ravvisare da alcuna parte la benché minima fonte di pericolo, nel porsi, purtroppo, a confronto con una città completamente deserta per così come non sarebbe stata facile neppure da immaginare.

« Cielo... » gemette Lys’sh, dopo aver provato a spingere i propri sensi al limite delle loro possibilità, senza rilevare alcunché e, in questo, proponendosi sufficientemente sicura di quanto, purtroppo, la situazione non sarebbe andata a migliorare neppure là fuori « Non credevo che mi sarebbero mancati i timorosi bisbigli delle persone a confronto con il mio volto... » ammise, scoprendosi, in quel frangente, decisamente nostalgica anche di tutti quei pregiudizi con i quali, quotidianamente, era solita avere a confrontarsi.

Del resto, in quel di Kriarya, di tutto il regno di Kofreya e del mondo intero, prima del suo arrivo lì non vi era mai stata né ragione, né tantomeno volontà, per alcuno, di aver ad accettare quietamente la presenza di una donna rettile all’interno delle mura, o dei confini più in generale, di una città. Al contrario: in quel mondo, all’idea stessa di una donna rettile, erano associate molte creature decisamente poco ben disposte verso la specie umana, nella stessa identica misura, del resto, entro cui anche la specie umana sarebbe stata ben poco disposta verso quelle creature, e quelle creature comunemente considerate mostri mitologici.
E per quanto, in effetti, Lys’sh non avesse ancora avuto occasione di approfondire la natura stessa di quelle creature, per capire quanto, in effetti, avrebbero avuto a poter vantare una qualsivoglia relazione con lei o, più in generale, con la specie ofidiana; ella avrebbe avuto a doversi intendere quotidianamente impegnata allo scopo di chiarire quanto, in lei, non avesse a dover essere fraintesa alcuna aprioristica brama di strappare teste a morsi... a meno, ovviamente, di non essere spiacevolmente provocata, e provocata al di sopra di un ben elevato margine di tolleranza nei confronti degli idioti.

giovedì 26 novembre 2020

3472

 

Motivo per il quale, anziché lasciar cadere il discorso nel nulla, fu la stessa Midda Bontor a rincarare la dose, soggiungendo a quanto già detto un’altra, allor gratuita, stoccata a discapito dell’amica assente...

« Iniziasse almeno a farsi pagare! » suggerì, andando a completare la propria vestizione nell’indossare i resti di una lurida casacca stracciata, che, in effetti, era in grado di coprirla in misura persino inferiore alla fascia atta a stringerle i seni al petto « Eviterebbe i malumori di molte cagnette... »

Malgrado, ormai, Har-Lys’sha non potesse più considerarsi così aliena alla cultura e alle logiche proprie di quel mondo come lo avrebbe avuto a dover essere riconosciuta nei giorni e nelle settimane immediatamente successive al loro arrivo; ella non avrebbe potuto negare quanto, ancora, alcuni particolari aspetti della visione del mondo presenti su quel pianeta e, più in particolare, in quel di Kriarya, città del peccato, ancora non le fossero di così immediata possibilità di comprensione, in termini tali per cui, per comprendere talune logiche, ella aveva francamente bisogno di qualche istante di riflessione, salvo, sovente, decidere di accettarle come dato di fatto, a confronto con quella che, comunque, persisteva come personalissima incapacità a capire il senso delle cose.
Così, anche in quel frangente, Lys’sh non avrebbe potuto dirsi certa del senso di quell’affermazione. E di quell’affermazione che, comunque, era certa essere un ritratto sincero delle meccaniche sociali all’interno della città del peccato. Per quale ragione, allora, delle prostitute potessero avere in antipatia Duva per le proprie scelte in camera da letto nel momento in cui ciò avveniva a titolo gratuito; ma, altresì, nulla avrebbero avuto a poterle rimproverare ove lo stesso comportamento fosse stato conseguenza di un’attività professionale... beh... francamente esulava dalle proprie personali possibilità di comprensione di quella mentalità. Benché, per l’appunto, non avrebbe avuto dubbio alcuno nel merito che quanto allora scandito dalla propria sorellona corrispondesse al vero.

« Non credo di comprendere il senso logico di tutto ciò... » ammise pertanto, scuotendo appena il capo.
« E chi ha mai detto che vi debba essere una logica nei comportamenti delle persone...?! » ammiccò la Figlia di Marr’Mahew, finendo di fasciarsi i piedi con dei calzari così rappezzati che, francamente, appariva dubbio il pensiero che avesse a esserci effettivamente qualcos’altro a parte le fasce e le corde atte a legarli alle sue estremità inferiori « Se tutti agissero in maniera logica, il mondo sarebbe un posto estremamente noioso... non trovi?! » concluse, levandosi in posizione eretta e spostandosi a recuperare anche il fodero della propria spada, come ultimo dettaglio a completamento del quadro d’insieme così offerto, e un quadro d’insieme che in quel di quelle terre ella era solita offrire praticamente da tutta la vita.

Chiunque avesse avuto occasione di incontrare Midda Bontor dieci, quindici o vent’anni prima, in effetti, avrebbe potuto quietamente testimoniare quanto, nel corso del tempo, il suo abbigliamento e, più in generale, il suo aspetto, fosse stato pressoché sempre lo stesso, in una quieta coerenza che, da sempre, era solita contraddistinguerà, tanto esteriormente quanto interiormente.
Certo, qualcosa era cambiato in lei, soprattutto durante gli anni trascorsi fra le immensità siderali. Il colore dei suoi capelli, innanzitutto, che dal nero corvino che molti anni addietro ella aveva adottato nella speranza di avere a distinguersi dall’immagine della propria sorella gemella, era finalmente tornato al proprio rosso naturale. Ma anche il suo braccio destro, quel braccio destro che le era stato portato via quand’ancora fanciulla, e che ella aveva rimpiazzato, per lungo tempo, con un grezzo arto d’armatura, in metallo nero dai rossi riflessi, animato da mistiche energie, ma che, in quegli ultimi anni, aveva a sua volta sostituito con qualcosa di decisamente più efficace ed efficiente, un arto in lucente metallo cromato, mosso da piccoli servomotori e alimentato da un nucleo di idrargirio, che era stato disegnato in tutto e per tutto speculare al corrispettivo mancino, e in grado, inoltre, di concederle una spaventosa forza sovrumana, essendo, in effetti, stato concepito per il lavoro pesante.
Piccole differenze, piccoli dettagli, utili più che altro a ravvisare lo scorrere del tempo e, idealmente, a distinguere le varie fasi della vita della Figlia di Marr’Mahew. Una vita che, ormai, forse e finalmente, aveva raggiunto un proprio equilibrio in misura utile da non avere a rendere necessarie ulteriori evoluzioni.
Un equilibrio, il suo, che tuttavia era appena stato violentemente turbato da quegli eventi e da quella misteriosa sparizione di massa...

« Vado bene così, o preferisci che abbia a indossare un abito da sera e un mantello...?! » domandò in direzione dell’ofidiana, con tono volutamente provocatorio, quasi la richiesta formulata dalla medesima fosse stata, a propria volta, un’assurdità priva di qualunque logica, uno sciocco capriccio che ella, in tal maniera, aveva voluto accontentare.
« Perché...? » esitò tuttavia Lys’sh, non potendo negarsi una certa improvvisa curiosità « Possiedi davvero un abito da sera...?! »
« ... andiamo. » la spronò quindi, riponendo la spada nel proprio fodero solo per poterle afferrare il destro con la propria mancina, in carne e ossa, e tirarla con sé verso l’uscita dalla sua camera da letto « E comunque no. Ovvio che non ho un abito da sera: che accidenti me ne potrei mai fare...?! » replicò, aggrottando la fronte a confronto con quell’idea quantomai ridicola.

Chiudendo, in tal maniera, quella breve parentesi faceta, al pari della porta della medesima camera ormai alle loro spalle, le due compagne d’armi, le due sorelle, tornarono immediatamente a focalizzarsi sul tempo presente, rinvigorite, nel proprio spirito, proprio da quel fugace momento di distrazione, necessaria valvola di sfogo a margine di un inizio di giornata decisamente troppo ricco di emozioni... e di emozioni tutt’altro che positive. E così, senza concedersi alcuna occasione di fiato, per non avere a rischiare di smarrire una qualunque evidenza sonora della presenza di qualcun altro vicino a loro, le due presero a perlustrare l’intera locanda, persino rivisitando le stanze già controllate da Lys’sh, non tanto per mancanza di fiducia nella sua capacità di riconoscere un ambiente vuoto, quanto e piuttosto nella purtroppo vana speranza di poter ritrovare un qualsivoglia indizio utile a comprendere cosa diamine potesse essere accaduto.
E per quanto “Alla signora della vita” non fosse una locanda così piccola, non soprattutto dopo la sua parziale ricostruzione a seguito dell’incendio con il quale, molti anni addietro, la stessa Midda Bontor aveva sostanzialmente distrutto l’intero livello superiore della costruzione originaria; la loro verifica ebbe a concludersi molto rapidamente, là dove, purtroppo, risultò estremamente evidente quanto non una sola anima avesse a essere lì presente, eccezion fatta per loro due.

“Duva... Be’Sihl... Seem... Arasha...” gemette in cuor suo l’Ucciditrice di Dei, spingendo il pensiero a tutti i volti amati di cui purtroppo non vi era traccia alcuna, inclusa persino la piccola Midda Elisee nell’innocenza dei suoi neppur cinque anni di vista, figlia di Seem, un tempo suo scudiero, e Arasha, la di lui sposa.

Per la donna guerriero, in tutto ciò, aggrapparsi alla speranza di non essere in alcun modo responsabile per quanto lì stava accadendo, e per quel potenziale genocidio, non avrebbe avuto a dover essere intesa soltanto un’eventualità, quanto e piuttosto una necessità, e una necessità per non avere a perdere completamente il senno per così come, altresì, sarebbe probabilmente stata giustifica a fare.

« Niente...?! » domandò in un alito di voce verso Lys’sh, nella speranza che almeno i suoi sensi acuti potessero essere in grado di percepire qualcosa di diverso da quel lugubre e assoluto silenzio.

mercoledì 25 novembre 2020

3471

 

« E’ possibile...?! » domandò quindi Lys’sh, non desiderando voler credere a una simile eventualità e, ciò non di meno, non potendola neppure escludere a priori, non dopo quanto accaduto in tempi recenti a Lysiath con i ritornati.
« Non mi sento di escluderlo. » commentò Midda, terribilmente seria nella propria voce, a confronto con uno scenario che definire terrorizzante sarebbe stato dir poco « Ciò non di meno, se così fosse, non capirei perché tu ne sia uscita indenne... » soggiunse poi, in quell’osservazione che, forse, sarebbe potuta essere intesa qual critica mossa a discapito della generosità riconosciutale dagli dei nel concederle, quantomeno, quella presenza amica al proprio fianco e che pur, ovviamente, non sarebbe voluta essere tale, più che felice, in un momento tanto disperato, di non essere completamente sola a confronto con tutto quello.

In effetti, partendo dal presupposto che tutto ciò stesse accadendo in conseguenza a un nuovo intervento del vicario dell’altra Anmel, difficile sarebbe stato offrire un qualche significato alla presenza di Lys’sh accanto a lei in quel frangente. Ove, infatti, in qualche modo, il secondo-fra-tre a lei avverso avesse trovato un modo per scatenare i poteri dell’Oscura Mietitrice allo stesso modo in cui, tempo addietro, l’aveva spinta a ricorrere, inconsapevolmente, a quelli della Portatrice di Luce; difficilmente avrebbe risparmiato anche una sola persona a lei vicina e, soprattutto, una persona a lei così amica come Lys’sh, pur andando, nel contempo di ciò, a colpire chiunque altro.
No. Quell’ipotesi non la convinceva per nulla...

« Prima di alimentare falsi convincimenti, riprendiamo a guardarci attorno. » invitò ella, pertanto, in direzione della sorellina, scuotendo appena il capo « Controlliamo il resto della locanda. E, se necessario, il resto della città intera, a verificare se, veramente, siamo le uniche rimaste in circolazione in tutta Kriarya... »

E, detto questo, fece atto di avanzare in direzione del corridoio lungo il quale era appena sopraggiunta la medesima ofidiana, ancora spada alla mano, pronta, all’occorrenza, a compiere quanto sarebbe stato necessario per riappropriarsi della propria vita.
Tuttavia non ebbe occasione, in effetti, di superare la soglia della propria stanza senza che Lys’sh avesse a fermarla, accennando un lieve colpetto di tosse per richiamarne l’attenzione...

« Ehm... » esitò quindi la giovane donna rettile, rendendosi conto di quanto potesse apparire veramente superficiale, da parte sua, avere a rivolgere riferimento in direzione di un simile tema in un tale momento, benché, proprio malgrado, non ne avrebbe potuto fare a meno « ... non è che, magari, stai dimenticando qualcosa...?! » accennò un lieve sorriso, il primo dall’inizio di quella storia, e un sorriso contraddistinto più da un certo senso di imbarazzo che non di divertimento.

Imbarazzo, quello così provato da Har-Lys’sha, forse utile a compensare quello che, in generale, e soprattutto in un tale frangente, non avrebbe altresì mai provato Midda Bontor innanzi all’idea della propria totale nudità e dell’eventualità di avere a perlustrare l’intera città senza neppure un velo a celarne le grazie.
Non che, ovviamente, Lys’sh non avesse avuto precedenti occasioni utili a ritrovarsi a confronto del corpo nudo della propria amica e non che, questo, quindi, avrebbe potuto ancora averle a riservare disagio alcuno, ammesso che mai gliene avrebbe potuto imporre: a motivare quel senso di imbarazzo, in lei, avrebbe piuttosto avuto l’eventualità, pur sperata, di avere a incontrare, presto o tardi qualcun altro e qualcun altro che, pertanto, avrebbe potuto avere di che intimidirsi innanzi alla tutt’altro che spiacevole avvenenza di quella tanto carismatica figura.
Insomma... per così come, malgrado tutto, ella stessa si era preoccupata di avere a rivestirsi prima di lasciare la propria camera; in quel frangente non avrebbe potuto ovviare a preoccuparsi che anche Midda avesse a fare altrettanto, in nome di quel quieto senso di vivere civile che, forse gratuitamente, pur prevedeva l’impiego di abiti, o di quanto utile a celare, per lo meno, alcuni punti più facilmente associabili a fraintendimenti di natura sessuale nei propri possibili interlocutori.
Tuttavia, allora come sempre, e soprattutto nel ritrovarsi a confronto con una crisi, per la Figlia di Marr’Mahew il senso del pudore avrebbe avuto a doversi riconoscere qual un’inutile fonte di disturbo, a cui non avere, pertanto, a dedicare la benché minima attenzione. Non esibizionismo, quindi, avrebbe potuto essere giudicato il suo, quanto e piuttosto puro e semplice disinteresse attorno alla questione, in misura tale per cui, in quel frangente, ella non si sarebbe neppure resa conto di essere nuda se non fosse stata proprio Lys’sh a farlo presente. Né, almeno in un primo istante, ebbe realmente a ricollegare a cosa l’altra potesse star riferendosi, nel sollevare la mancina a mostrare la spada bastarda, a evidenziare quanto, in ciò, ella avesse tutto ciò che avrebbe potuto esserle utile.
Solo a confronto con un nuovo sorrisetto, ora in effetti divertito, della propria amica, ella ebbe a rendersi conto di star comunque dimenticando qualcosa di decisamente palese. E palese quanto gli abiti che, allora, non stava indossando.

« Stupidi preconcetti puritani... » sbottò quindi, rialzando lo sguardo dopo aver verificato la propria nudità, e voltandosi in direzione del baule posto ai piedi nel letto nel quale era solita conservare i propri abiti.
« Se soltanto Duva fosse qui, in questo momento, non ti risparmierebbe qualche battutaccia... » commentò quindi Lys’sh, non potendo fare a meno di immaginare le frecciatine che l’altra loro sorella avrebbe rivolto a Midda se soltanto ne avesse avuto allor l’occasione, magari sottolineando come, per lei, sarebbe stato sicuramente più facile avere a muoversi dopo essersi fasciata i seni, a ovviare al rischio di avere, altrimenti, a inciampare in essi.

Una possibile, e tutt’altro che inedita, nota a discapito della sua generosissima circonferenza toracica che, comunque, non avrebbe potuto ovviare al rischio di essere letta anche con una certa invidia nel porsi a confronto con forme tanto imperiose e, malgrado le proporzioni e la non più fanciullesca età, ancor decisamente sode, in misura tale da apparire quasi qual una sfida alle consuete leggi di natura.
Una possibile, e tutt’altro che inedita, nota a discapito della sua generosissima circonferenza toracica a confronto con la quale, pertanto, Midda non avrebbe allor mancato di rispondere a tono, rinfacciando all’amica la palese invidia presente a ispirare quelle parole, benché, in verità, Duva non avrebbe potuto avere nulla per cui rammaricarsi, potendo vantare, comunque e a propria volta, un’avvenenza e un fascino difficilmente eguagliabile.

« Se soltanto Duva fosse qui, in questo momento, le farei notare quanto con le scollature che sta indossando in questo periodo, l’ultima cosa che può permettersi di fare è una battutaccia a riguardo dei miei seni... » ironizzò allora Midda, iniziando a infilarsi i pantaloni dopo aver appoggiato, estemporaneamente, la spada sul letto « Senza dimenticare che, se a un certo abbigliamento sommiamo il viavai di amanti che entrano ed escono dalla sua camera, non c’è da stupirsi se alcune libere professioniste iniziano a lamentarsi per la sua concorrenza sleale. » osservò, serrando la cintura alla vita, prima di iniziare a fasciarsi i seni, anche per poter essere, obiettivamente, più comoda in battaglia... per quanto mai lo avrebbe ammesso, pena il ludibrio eterno.

Benché in quel momento nessuna fra loro avrebbe avuto a poter vantare l’umore giusto per dedicarsi a simili e facete chiacchiere, quella piccola parentesi non avrebbe potuto che essere riconosciuta quantomai gradita proprio in virtù di quanto stava accadendo, a permettere, per un fugace istante, alle loro menti di trovare un’occasione di effimera distrazione dall’altrimenti imperante follia dell’inizio di quel nuovo giorno.

martedì 24 novembre 2020

3470

 

Se ineluttabile gioia animò, per un attimo, il cuore della Figlia di Marr’Mahew a confronto con l’immagine offerta dalla splendida donna rettile che era ben felice di riconoscere al pari di una sorella, immagine che ebbe a suggerirle l’ipotesi di aver forse equivocato ogni cosa e di aver presunto una realtà ben più grave di quanto non fosse realmente; le fu purtroppo sufficiente un fuggevole attimo per comprendere quanto non fosse ancora giunto il momento di rallegrarsi. Non, quantomeno, a confronto con l’espressione colma d’ansia impressa sul volto della propria amica, espressione appena contrastata dall’evidenza di un altrettanto insperata felicità conseguente, anche per lei, al loro ricongiungimento.

« C’è qualcun altro oltre a noi...?! » domandò quindi la donna guerriero, ovviando a ogni inutile tergiversare e affrontando la questione in maniera diretta, nel prevedere, proprio malgrado, la risposta che le sarebbe stata offerta a tale interrogativo.
« Non su questo piano. E non che il mio udito e il mio olfatto possano percepire. » rispose Lys’sh, per nulla sorpresa che la propria sorellona avesse già compreso la gravità della situazione.

Se Har-Lys’sha fosse stata una donna comune, l’evidenza riportata dal suo udito o dal suo olfatto, sinceramente, avrebbero avuto ben misero valore a confronto con il giudizio dell’ex-mercenaria dagli occhi color del ghiaccio e dai capelli color del fuoco, giudicando simile analisi non più significativa di quella che avrebbe potuto esserle concessa da parte dei propri stessi sensi, e di sensi che, in effetti, ella aveva affinato in lunghi anni, lustri addirittura, di avventure letali, nel corso delle quali, sovente, aveva avuto salva la propria vita soltanto in grazia degli stessi.
Ma Har-Lys’sha non era una donna comune. Non, quantomeno, nel senso umano del termine.
Lys’sh, infatti, era un’ofidiana, un’esponente di una razza non umana fra le molteplici che, nell’universo infinito, avevano avuto occasione di svilupparsi in una civiltà tecnologicamente progredita, e sì tecnologicamente progredita da potersi conquistare le stelle per così come, in verità, ancora, nel mondo di Midda Bontor nessuno aveva compiuto.
Al pari di Duva Nebiria, altra amica, questa volta umana, da lei amata al pari di una sorella, quella giovane donna dalle fattezze simili a quelle di un rettile aveva incrociato il cammino della Figlia di Marr’Mahew durante il periodo da lei, per l’appunto, trascorso fra le immensità siderali, stringendo con lei un rapporto così saldo, così forte, da non voler accettare l’eventualità di una prematura conclusione nel giorno in cui, conclusa la lunga caccia alla regina Anmel Mal Toise, unica ragione per la quale ella si era sospinta tanto lontana da casa, la stessa Midda aveva deciso di fare ritorno al proprio mondo natale. Un rapporto così intenso a non voler rinunciare al quale, quindi, tanto Duva, quanto Lys’sh, avevano preso la non banale decisione di arrivare a rinunciare, piuttosto, a tutto ciò che per loro era sempre stata quotidianità per avere a seguirla, e a seguirla in un viaggio privo di possibilità di ritorno, in quello che, agli occhi della donna guerriero, era stato al pari di una vera e propria dichiarazione d’amore per lei: un amore sororale, il loro, qual neppure in relazione alla propria sorella gemella, Nissa, aveva mai avuto possibilità di percepire o di provare, neppure negli anni più innocenti della loro infanzia, ben prima che, fra loro, avesse a iniziare una terrificante e sanguinosa faida protrattasi per lunghi, lunghissimi anni.
Har-Lys’sha, quindi, non era una donna comune. E nella sua mirabile straordinarietà ofidiana, ella avrebbe potuto vantare un udito e un olfatto estremamente sensibili, in misura utile non soltanto a sopperire a una vista, altresì, inferiore a quella di un semplice umano, quanto, e addirittura, a permetterle qualcosa che facilmente avrebbe avuto a essere frainteso con un potere magico, sovrannaturale, per quanto, invero, nulla di magico o sovrannaturale avesse.
In ciò, ove né l’udito, né l’olfatto di Lys’sh erano stati in grado di percepire nulla attorno a loro... beh... quantomai improbabile sarebbe stato ritrovare qualcuno.

« Cosa mi sai dire...? » insistette Midda, con tesa fermezza, nel cercare di raccogliere ogni informazione utile nel merito di quanto lì potesse star succedendo allo scopo di affrontare la cosa con maggiore pragmatismo possibile, onde evitare di uscire di senno per così come, altrimenti, troppo facile sarebbe stato per lei in quel particolare frangente « Fai conto che mi sono appena svegliata... »
« Non molto, purtroppo. » scosse il capo l’altra, escludendo maggiori informazioni rispetto a quelle così già condivide « Anche io mi sono svegliata da poco e, subito, ho notato l’inquietante silenzio. »

Per una persona dotata del suo udito, in effetti, quel silenzio avrebbe avuto a dover essere inteso persino più inquietante rispetto a quanto non sarebbe potuto risultare a chiunque altro, Midda Bontor inclusa.
Costretta, infatti, a scendere a patti con una specie quasi sorda a proprio confronto, Lys’sh aveva dovuto abituarsi, proprio malgrado, a vivere in uno stato di continuo frastuono e vociare, giorno e notte. Quando, quindi, quella mattina si era svegliata e, ad accoglierla, era stato quel silenzio tombale; seppur per un fugace istante addirittura gradevole, immediatamente esso aveva offerto ragione di indubbia inquietudine per lei, nella medesima misura nella quale, per la Figlia di Marr’Mahew o per chiunque altro sarebbe stato aprire gli occhi e ritrovarsi a confronto con un’oscurità assoluta.

« Ritrovandomi sola in stanza, mi sono subito rivestita e sono uscita a cercare di comprendere cosa stesse accadendo. » continuò quindi, con tono necessariamente preoccupato « Per un istante ho persino creduto di aver perso l’udito... ma è stato sufficiente verificare la stanza di Duva e qualche altra stanza lì accanto per confermare quanto, purtroppo, non fossi io il problema. » spiegò, ancora tornando a scuotere il capo « E’ stato allora che ho percepito la presenza di qualcuno da questa parte e sono subito corsa verso la tua stanza, sperando di incontrarti. »

Una versione dei fatti non poi così dissimile da quella appena vissuta anche da Midda, a confronto con la quale, anziché trovare occasione di conforto, la donna guerriero non poté ravvisare altro che motivo di disperazione, nel non riuscire ancora a cogliere il benché minimo indizio nel merito di quanto potesse essere accaduto o del perché ciò fosse accaduto.

« Praticamente la stessa cosa anche per me. » confermò quindi la donna guerriero, annuendo gravemente, voltando gli angoli delle proprie labbra verso il basso, in una smorfia di disapprovazione a confronto con quella situazione « Mi sono svegliata sola... ma quello avrebbe potuto anche essere normale. Ravvisando l’inusuale silenzio, sono corsa a controllare Tagae e Liagu, i quali, purtroppo, non sono nella loro camera. » riassunse a beneficio dell’amica « Quando mi hai incrociata, stavo giusto per andare a perlustrare il resto della locanda, a cercare di capire cosa diamine sia accaduto... »

Un fugace istante di silenzio seguì il proprio resoconto, nel mentre in cui Lys’sh si ritrovò evidentemente a soppesare quelle parole e a tentare di valutare quella situazione. Un silenzio conseguente a un dubbio, e a un dubbio che ella non desiderava esplicitare, nell’amore e nel rispetto che provava per la propria sorella maggiore.
Purtroppo, quel dubbio era lo stesso che già aveva attanagliato anche il cuore della stessa Midda Bontor, e che, in effetti, non aveva ancora trovato alcuna occasione di smentita. Ragione per la quale fu la medesima donna guerriero a invitarla a dar voce a quell’interrogativo...

« Dillo pure. » la incalzò quindi, reiterando la smorfia precedente « Stai pensando se tutto questo non possa ricondursi ancora a secondo-fra-tre... non è vero? »

lunedì 23 novembre 2020

3469

 

Fu necessario tutto l’autocontrollo della Figlia di Marr’Mahew per evitare che ella si mettesse a gridare, in quella che sarebbe allor stata una reazione assolutamente legittima e a dir poco giustificata nel confronto con quanto lì stava accadendo. Una reazione assolutamente legittima e a dir poco giustificata, la sua, che pur non le avrebbe concesso il benché minimo beneficio, in termini tali per cui, quindi, ella si sforzò di ovviare all’isteria del momento, nella volontà, nella necessità di mantenere quantomeno il controllo su di sé, là dove, evidentemente, l’aveva già perduto nel confronto con il resto del mondo a lei circostante.

“Thyres...” gemette di nuovo nella propria mente, or non con intento di imprecazione, quanto e piuttosto con intento di supplica “... fa che non sia io la responsabile di tutto questo!”

Chiunque avesse avuto possibilità di ascoltare un simile pensiero, sicuramente avrebbe considerato quantomeno egocentrico un simile approccio al problema da parte della donna guerriero, e di quella donna che, a prescindere dalla straordinaria portata di tutte le proprie imprese passate, non avrebbe potuto ovviare a riconoscere, pur, semplicemente qual una donna, e qual una donna mortale, priva di qualunque possibilità di annichilire un’intera città in così breve tempo e, soprattutto, dormendo. Purtroppo però il suo non avrebbe avuto a dover essere frainteso qual egocentrismo.
Qualche tempo prima, infatti, Midda Bontor aveva finalmente posto la parola fine a una lunga e controversa vicenda in contrasto alla regina Anmel Mal Toise, una leggendaria figura, propria di un’epoca ormai dimenticata, ricordata dal mito in maniera estremamente controversa tanto qual la Portatrice di Luce, quanto l’Oscura Mietitrice. Il tutto aveva avuto inizio nel giorno in cui ella aveva recuperato una perduta reliquia proprio offerente riferimento a tale terribile figura, soltanto per scoprire quanto, purtroppo, così facendo, ella aveva liberato un’oscura minaccia a discapito non soltanto del mondo intero, quanto e piuttosto dell’universo intero. E se per anni ella aveva quindi dovuto combattere contro simile avversaria, sospingendosi addirittura a superare, sulle ali della fenice, i confini del proprio stesso pianeta, per immergersi nelle immensità siderali; alla fine di tutto aveva avuto possibilità di maturare consapevolezza con un’inimmaginabile verità: quella contro cui aveva lottato non era mai stata, realmente, la regina Anmel Mal Toise, quanto e piuttosto un’emanazione del suo malvagio potere, legato alla corona e in attesa di essere accolto da colei che, recuperandola attraverso una lunga serie di prove mortali, se ne era dimostrata degna, qual legittima erede della medesima. Così, quindi, ella aveva potuto porre fine a quella lunga vicenda accogliendo in sé tale potere, simile retaggio, soltanto per iniziare a vivere, in ciò, un nuovo, terribile incubo.
L’appellativo di Portatrice di Luce, e di Oscura Mietitrice, infatti, non avrebbero avuto a dover essere fraintesi qual enfatiche definizioni per Anmel Mal Toise: il potere da lei posseduto, infatti, avrebbe avuto a doversi intendere pari, se non addirittura superiore, a quello di una divinità e di una divinità della Creazione e della Distruzione, incarnando, in sé, entrambi tali principi. Un potere, invero, troppo grande per una singola persona, troppo grande per qualunque persona: un potere che, quindi, nei millenni passati aveva corrotto Anmel Mal Toise e che, se ella non fosse stata prudente, avrebbe corrotto anche lei.
Onde evitare di correre rischi in tal senso, Midda Bontor si era ripromessa di ovviare a fare ricorso a tale potere, benché, in immediata conseguenza all’acquisizione del medesimo, non si fosse riservata scrupolo a creare, addirittura, un’intera, nuova dimensione, e a resuscitare un’intera civiltà, da lei stessa, in passato, estinta, per abitarla. Ciò non di meno, e proprio malgrado, l’impegno da lei preso in un tale voto non aveva avuto occasione di perdurare a lungo. E così, in tempi decisamente recenti, la Portatrice di Luce era tornata a colpire, seppur involontariamente, resuscitando chiunque fosse mai stato ucciso per mano sua nel corso della propria lunga, e purtroppo sanguinaria, esistenza. Migliaia e migliaia di non morti che, letteralmente dalla notte al giorno, si erano ritrovati nuovamente a piede libero, non quali consueti zombie, quanto e piuttosto trasformati in creature immortali dotate di intelletto e ricordi della propria esistenza passata: i ritornati. E per quanto, a differenza rispetto all’occasione precedente, in tale nuova occorrenza ella non avesse avuto la benché minima intenzione di agire in tal senso, i suoi poteri erano stati attivati, a sua insaputa, da un tranello onirico tesole da un vicario di Anmel Mal Toise, secondo-fra-tre: non il secondo-fra-tre, tuttavia, che ora avrebbe avuto a dover essere inteso al proprio servizio, e che, in maniera scherzosa, era stato ribattezzato come Bob da Nóirín Mont-d'Orb, versione alternativa della propria defunta gemella Nissa proveniente da un universo parallelo; quanto e piuttosto un altro secondo-fra-tre, facente riferimento a un’altra Anmel Mal Toise, e un’altra Anmel Mal Toise proveniente da un’altra realtà all’interno della complicata varietà del multiverso, per dare la caccia alla quale, nel suo mondo, prima ancora di Nóirín, era già giunta un’altra se stessa di nome Madailéin Mont-d'Orb.
Il fatto, quindi, che esistesse un precedente, e un precedente tutt’altro che di trascurabile importanza, nell’aver, proprio malgrado, mutato per sempre gli equilibri interni al proprio mondo con l’avvento dei ritornati, e di ritornati, oltretutto, in taluni casi neppur effettivamente oriundi di tale pianeta ma provenienti da altri mondi contraddistinti da un ben diverso livello di progresso tecnologico; non avrebbe potuto concedere serenità all’animo della donna guerriero. Non, quantomeno, all’idea che, ancora una volta, secondo-fra-tre potesse aver trovato un modo di sfruttare i suoi poteri, e di sfruttare i suoi poteri di Oscura Mietitrice per cancellare la vita da Kriarya... se non dal mondo intero!

“Calma...” sospirò ella, scuotendo appena il capo e cercando di imporsi di continuare a ragione in maniera razionale a confronto con tutto ciò “Se non sogno, secondo-fra-tre non può accedere alla mia mente. E se non può accedere alla mia mente, non può sfruttare i miei poteri.”

Onde ovviare all’eventualità di nuovi “incidenti” pari a quello dei ritornati, Midda Bontor si era negata la possibilità di sognare nuovamente, ricorrendo all’uso di particolari sostanze, droghe, atte ad alterare i suoi processi mentali e a impedirle, in ciò, di sognare: una rinuncia importante, la sua, e che pur ella non aveva esitato a rendere propria anche, ed egoisticamente, con una certa serenità d’animo, giacché, proprio malgrado, nel corso della propria esistenza aveva già avuto troppe pessime occasioni di sogni da cui erano derivati spiacevoli problemi, in misura tale per cui, ove non avesse più avuto la possibilità di sognare... beh... forse sarebbe stato meglio per tutti, a iniziare proprio da lei.
Mitigando in tal maniera, quindi, l’eventualità che l’Oscura Mietitrice potesse aver compiuto un nuovo genocidio, il semplice fatto che ella fosse tuttavia la sola persona ancora in giro, in quel momento, non avrebbe propriamente deposto in suo favore. Anzi. A dirla tutta avrebbe avuto ad alimentare nuovi sospetti, nuovi timori in merito a una sua possibile responsabilità a tal riguardo.

“Forse non sono sola...” si volle costringere a pensare, a escludere nuovamente l’eventualità di essere stata proprio lei responsabile per tutto ciò.

E così, cercando di soprassedere sull’immagine offerta dal letto vuoto dei propri figli, immagine che l’avrebbe potuta spingere a perdere il senno per l’orrore implicito in essa; ella decise di muovere i propri passi in direzione dell’altra porta della propria camera da letto, e la porta che l’avrebbe condotta verso il corridoio e verso il resto della locanda, nella volontà, se necessario, di perlustrare ogni singola stanza per verificare se non vi fosse qualcun altro in giro oltre a lei.
Una scelta, la sua, che si rivelò psicologicamente provvidenziale, nel momento in cui, aprendo la porta della propria camera, ebbe a ritrovarsi a confronto con la mai così sublime immagine offerta dalla sua amica, e sorella d’arme, Har-Lys’sha, in rapido avvicinamento proprio verso di lei...

« Midda! » esclamò la giovane ofidiana, nel mentre in cui la sua voce quantomai gradita ebbe a risuonare quasi assordante nel silenzio lì imperante.

domenica 22 novembre 2020

3468

 

Kriarya: città del peccato.
Non esisteva, né era mai esistita, un’altra capitale simile in tutta Kofreya. E, forse, in tutto l’intero continente di Qahr.

Kriarya: città di ladri e prostitute, di mercenari e assassini.
Il declino di Kriarya, o, forse, la sua gloria, aveva avuto inizio in un’epoca ormai dimenticata da tutti, in concomitanza all’inizio dell’interminabile guerra fra il regno di Kofreya e il vicino regno di Y’Shalf. Simili in tutto, e pur diversi sotto ogni aspetto, Kofreya e Y’Shalf avrebbero potuto essere intesi al pari di due fratellastri, figli di medesima madre e pur di padri estranei: una condizione che non avrebbe necessariamente dovuto porli in antagonismo e che pur avrebbe potuto essere considerata più che giustificativa di qualunque inimicizia fra loro.
Così, in un’epoca ormai dimenticata da tutti, Kofreya aveva dichiarato guerra a Y’Shalf... o, forse, era stata Y’Shalf a dichiarare guerra a Kofreya, difficile a dirsi. E Kriarya si era improvvisamente ritrovata a essere la provincia più prossima al fronte bellico, con tutte le più spiacevoli conseguenze possibili.
Divenuta ben presto luogo di transito per le truppe, fossero esse regolari o meno, Kriarya aveva necessariamente veduto crescere, entro le proprie mura dodecagonali, un clima di violenza e di incertezza, che, ben presto, aveva veduto la maggior parte degli artigiani, dei contadini e degli allevatori abbandonare il campo, soltanto per essere sostituiti da locande, taverne, alberghi e, soprattutto, postriboli, all’interno dei quali, i prodi difensori del regno, avrebbero potuto trovare occasione per sfogare le proprie tensioni, le proprie ansie senza, in questo, ricorrere necessariamente ad atti di violenza a discapito di fanciulle meno disponibili rispetto a quelle professioniste. Ovviamente, ben presto, anche i mercenari iniziarono a prendere Kriarya come riferimento per i propri affari, fossero questi al fronte, fossero, altresì, di diversa natura. E accanto ai guerrieri e agli avventurieri in senso più lato, ineluttabile fu la comparsa degli assassini, gente priva di qualsivoglia parvenza di moralità e, in questo, non soltanto disposta a uccidere propria madre per un soffio d’oro, quanto e piuttosto desiderosa che qualcuno avesse a domandargli di farlo. E, ultimi ma non meno importanti, anche i ladri elessero ben presto quella capitale a propria dimora prediletta, nell’affinità elettiva che, in fondo, avrebbero potuto vantare con molti mercenari, e, soprattutto, nella prospettiva di facili guadagni a discapito di sprovveduti di passaggio.
Fu così che Kriarya iniziò a essere conosciuta come una città di ladri e prostitute, di mercenari e assassini: la città del peccato.


Ovviamente, in quel di Kriarya, non avrebbe avuto a dover essere fraintesa una sì assoluta omogeneità di popolazione. Per quanto, in effetti, ladri e prostitute, mercenari e assassini, rappresentassero la parte più significativa della popolazione locale, molto avrebbe avuto a dover essere comunque riconosciuto l’indotto circostante, a incominciare, ovviamente, da tutti i locandieri, tavernieri e albergatori, con relativo personale di servizio, per proseguire poi con i mercanti, nonché, inutile a dirsi, con un comunque elevato numero di fabbri e maniscalchi, il cui operato non avrebbe mai avuto a ritrovarsi privo di domanda da parte di un tanto peculiare pubblico.
A dominare una tanto particolare situazione, ovviamente, non avrebbe potuto essere alcun aristocratico smidollato, alcun rappresentante di quell’incapace, pigra ed egocentrica organizzazione feudale che pur, in tutto il resto di Kofreya, spadroneggiava in maniera pur razionalmente incomprensibile sotto ogni punto di vista, forte soltanto di un evidente e sostanziale disinteresse da parte della gente comune nei riguardi di chi fosse al potere, almeno fino a quando lo stato delle cose veniva mantenuto inalterato, tanto nel bene quanto e soprattutto nel male. No. Ciò che avrebbe potuto essere riconosciuto adeguato per Kirsnya e Krezya, per Karesya e Lysiath, e ovviamente per Kerrya, sede della famiglia reale, non avrebbe potuto più essere adeguato per soddisfare il nuovo stato dell’arte di Kriarya. Ragione per la quale, nel corso degli anni, avvenne una quieta transizione verso un ben diverso sistema di governo, e un sistema di governo che, proprio malgrado, la famiglia reale di Kofreya dovette, alfine, tollerare: non che, da parte loro, ebbe a essere mai riconosciuto; ma, comunque, fu tollerato, nella consapevolezza che qualunque tentativo volto a ristabilire l’ordine costituito avrebbe, necessariamente, provocato disordini con i quali mai avrebbero avuto interesse a confrontarsi.
All’aristocrazia kofreyota, e alla gerarchia feudale, con il passare del tempo, si sostituì quindi un’oligarchia di supposti lord, che di tale avevano soltanto un formale titolo, non potendo vantare, nelle proprie vene, una sola goccia di sangue blu. Né, tantomeno, volendolo vantare, nel ritrovarsi, piuttosto, ben fieri del colore scarlatto del proprio sangue, e di quel sangue che, chi più, chi meno, tutti avevano versato in numerosi campi di battaglia, contro innumerevoli avversari, prima di giungere lì in quel di Kriarya e accoppare le persone giuste per conquistarsi il proprio territorio, il proprio dominio all’interno di una tanto caotica realtà. Violenti e sanguinari criminali, invero, ancor prima che flaccidi e vanagloriosi nobili, avrebbero avuto a dover essere presto riconosciuti i nuovi signori della città del peccato, in una tradizione che ebbe a riproporsi nel tempo, con volti sempre nuovi, nomi sempre nuovi, e, ciò non di meno, interessi del tutto simili.
E in un tanto particolare e inedito frangente, quella nuova e improbabile società basata su valori del tutto atipici, ebbe comunque a trovare il proprio equilibrio non soltanto per ovviare a facili collassi, quanto e piuttosto per avere addirittura a prosperare, crescendo e fortificandosi nel corso degli anni, dei decenni e, persino, dei secoli.

In assenza di un censimento preciso della popolazione della città sin dall’epoca del feudalesimo, da ben prima che Kriarya fosse quindi la città del peccato, difficile sarebbe stato per chiunque offrire una stima, fosse anche molto aleatoria, dell’attuale numero di abitanti di quell’urbe.
Dovendo essere costretti, lama alla gola, a offrire un numero, probabilmente questo non sarebbe stato inferiore alle diecimila anime, senza, tuttavia, spingersi a superare le trentamila: un numero di assoluto rispetto, per quella che, in effetti, avrebbe avuto probabilmente a dover essere intesa la più densamente popolosa città di Kofreya, seconda, in termini assoluti, soltanto a Kerrya, che pur si espandeva su una superficie più che doppia, se non tripla, rispetto a Kriarya.
Un numero importante, quindi, che ebbe a rendere ancor più inquietante quello che, in maniera del tutto inattesa, accadde una mattina. E una mattina in cui una fra le residenti più famose di tutta Kriarya, Midda Bontor, leggenda vivente conosciuta con molti appellativi fra i quali Figlia di Marr’Mahew, Ucciditrice di Dei, Campionessa di Kriarya e Lysiath, ebbe a risvegliarsi dopo una serena notte di sonno trascorsa fra le braccia del proprio amato Be’Sihl Ahvn-Qa. Ed ebbe a risvegliarsi sola nella propria stanza da letto.
Nulla di sconvolgente, in verità, avrebbe avuto a dover essere inteso nel fatto che Midda Bontor potesse essersi risvegliata sola nella propria camera da letto. In effetti, anzi, ciò avrebbe avuto a dover essere riconosciuto qual la più quieta normalità, nell’essere Be’Sihl il comproprietario, nonché primo gestore, della locanda “Alla signora della vita”, e, in questo, nell’essere solito svegliarsi ben prima dell’alba per iniziare una lunga, lunghissima giornata lavorativa, che difficilmente sarebbe terminata prima di almeno diciotto ore più tardi. Inoltre, impossibile minimizzarlo, Be’Sihl era anche solito dedicarsi a prepararle la colazione, con una dedizione che, obiettivamente, era stata anche una delle ragioni per cui ella aveva finito di innamorarsi di lui, molti anni addietro.
Ma se l’essere sola nel proprio letto non avrebbe avuto a poterla turbare, di ben diverso intendimento avrebbe avuto a dover essere un altro dettaglio. E un dettaglio che ebbe a risaltare immediatamente alla sua attenzione, e all’attenzione di colei che, pur, difficilmente era solita lasciarsi sfuggire qualcosa, laddove ogni distrazione, ogni superficialità, avrebbe potuto costarle la vita.

“C’è silenzio.”

Un pensiero agghiacciante, il suo, nel confronto con l’evidenza non di “troppo silenzio”, rispetto a un ben diverso livello di consueto rumore di fondo proveniente dalla città attorno a lei, quanto e piuttosto di puro e semplice “silenzio”.
Un silenzio assoluto. Un silenzio totale. Un silenzio nel quale, quindi, persino il suo respiro, e il battito del suo cuore, apparivano frastornanti.
Portando istintivamente la mancina al fodero della propria spada, appeso alla testata del letto, ella sguainò la propria spada bastarda con un gesto elegante ma deciso, nel mentre in cui, nuda così come era, si levò dal letto senza alcun fugace senso di pudore. Il pudore, del resto, non le era mai stato proprio in passato, vedendola addirittura spingersi a combattere nuda vere e proprie battaglie. E, di certo, il pudore non avrebbe iniziato a esserle proprio in quel momento, all’interno di quella che, oltretutto, avrebbe avuto a dover essere intesa qual la propria camera da letto.
Con passi leggeri, praticamente impercettibili in una condizione di normalità, e pur terribilmente rumorosi in quel silenzio assoluto, ella ebbe a muoversi, spada alla mano, verso la finestra, e quella finestra che, affacciandosi sulla città, avrebbe dovuto mostrarle una via probabilmente non ancor brulicante di vita, ma, ciò non di meno, già percorsa, in diverse direzioni, da tutti coloro che, di buon ora, si stavano preparando ad affrontare una nuova giornata.
Ma, costringendosi a trattenere un gemito spontaneo a confronto con l’assurdità di quella visione, ella non poté che sbarrare gli occhi color ghiaccio con un inconsueto senso di terrore nel momento in cui, là fuori, non vide nessuno. Non poche persone... ma nessuno.

“Thyres...” imprecò mentalmente il nome della propria dea prediletta.

Le sue gambe, a quel punto, si mossero ancora prima che la sua mente potesse formulare qualunque altro pensiero, al fine di condurla, in maniera istintiva, in maniera automatica, fino a una delle due porte della propria camera da letto. E non alla porta che l’avrebbe condotta al corridoio, quanto alla soglia che l’avrebbe collegata a un’altra stanza, di poco più piccola, abitualmente occupata da Tagae e Liagu, i propri figli.
E aprendo con forse eccessiva forza quella porta, in termini tali da scardinarla in virtù della forza del proprio braccio destro in lucido metallo cromato, ella non poté che constatare, con orrore crescente, quanto quella stanza fosse, allora, oscenamente deserta.

sabato 21 novembre 2020

3467

 

Fu così che Korl Jenn’gs e Lora Gron’d lasciarono Nuova Korrynia, dopo essere stati la principale, se non l’unica, ragione per cui essa venne fondata.
E fu così che Korl Jenn’gs e Lora Gron’d lasciarono Nuova Korrynia nella maniera più improbabile possibile, in misura tale per cui, se soltanto qualche mese prima avessero loro suggerito simile eventualità si sarebbero probabilmente messi a ridere divertiti se non, addirittura, scandalizzati da simile prospettiva: al seguito della loro assassina, al seguito di Midda Namile Bontor.

Midda Namile Bontor era, e sempre sarebbe rimasta, la donna che li aveva uccisi. Ciò era avvenuto in un momento imprecisato di una mai meglio chiarita epoca passata in quel della città di Thermora, nel quarto pianeta del sistema binario di Fodrair, quand’essi erano impiegati all’interno della sicurezza della sede locale della Loor’Nos-Kahn.
In quell’epoca essi non avevano idea di qual genere di esperimenti e traffici illegali e, soprattutto, immorali, stesse conducendo la Loor’Nos-Kahn nella stessa Thermora, a discapito di poveri bambini innocenti. Per loro quello era soltanto un lavoro, e un lavoro che avevano accolto con quieto entusiasmo non qual prospettiva di vita futura, quanto e piuttosto come occasione per conquistarsi una qualche migliore occasione di vita futura. E quanto certamente non avrebbero potuto immaginare sarebbe stato che quel lavoro, per loro, avrebbe sol rappresentato la prematura fine delle proprie vite e la prematura fine delle proprie vite nel giorno in cui, sciaguratamente, ebbero a incrociare il cammino di Midda Namile Bontor.
Midda Namile Bontor era, e sempre sarebbe rimasta, la donna che li aveva uccisi. E nulla avrebbe potuto cambiare simile dato di fatto.
Ciò non di meno, per ragioni a loro ignote, la loro esistenza non era terminata con la prematura conclusione della loro vita. E attraverso dinamiche che forse mai sarebbero state chiarite, essi si erano ritrovati, improvvisamente e inaspettatamente, a riprendere coscienza di sé e del mondo a sé circostante in quel mondo. E in quel mondo così primitivo, così alieno, così estraneo a tutto ciò che avrebbero mai potuto immaginare possibile.
In effetti, non fossero stati nuovamente posti a confronto con la loro assassina, essi avrebbero potuto anche presumere che tutto ciò avesse a doversi intendere qual l’Aldilà. Un bizzarro Aldilà, ben lontano da qualsiasi immagine mentale si sarebbero mai potuti riservare a tal riguardo. E pur un Aldilà. Del resto, la loro stessa condizione di immortali avrebbe avuto a riservarsi una qualche ragion d’essere nel confronto con l’idea di un Aldilà. Ma quanto non avrebbe mai potuto avere ragion d’essere sarebbe stata la presenza della loro assassina, e della loro assassina nelle vesti di donna mortale, al pari di molti altri uomini e donne lì autoctoni, nativi di quel mondo, e di un mondo nel quale, chiaramente, estranei avrebbero avuto a doversi intendere proprio loro.
Quello non era quindi l’Aldilà. Ed escludendo l’eventualità che fosse l’Aldilà, l’unica considerazione, pur paradossale, che avrebbero potuto riservarsi l’opportunità di compiere sarebbe stata quella che, malgrado la propria morte, la loro esistenza stesse andando avanti. Quasi, in fondo, la morte avesse a doversi intendere qual un temporaneo imprevisto nel proprio personale cammino.
In questo, quindi, per quanto Midda Namile Bontor fosse, e sempre sarebbe rimasta, la donna che li aveva uccisi; avere a incancrenirsi stolidamente attorno a quell’idea, a quel pensiero, non avrebbe potuto che nuocere loro. E così eccoli lì, al seguito della loro assassina, improvvisamente eletta a loro, improbabile, alleata. Una socia in affari, quasi.

Lasciare Nuova Korrynia, per Korl Jenn’gs e Lora Gron’d fu, invero, più emotivamente complesso di quanto non avrebbero potuto immaginare sarebbe stato.
Quella cittadina, sotto un certo punto di vista, era quasi una loro figlia, un frutto del loro talento, del loro impegno creativo, e della loro volontà di contribuire in maniera positiva e propositiva all’interno di quel mondo. E, probabilmente, se soltanto avessero voluto, avrebbero potuto vivere lì per sempre, e nel loro caso non sarebbe stato soltanto un modo retorico di esprimersi, come i patriarchi di quella nuova concezione del mondo, e di un mondo che avrebbero potuto plasmare senza problemi secondo i propri capricci.
Lasciare Nuova Korrynia, in effetti, avrebbe rappresentato non soltanto lasciare tutto ciò, ma anche lasciare quella sicurezza psicologica di accettazione che ormai li contraddistingueva. Perché per quanto nessuno, in città, fosse consapevole della loro reale natura, oramai da tempo non erano più considerati stranieri entro quei confini e la loro opinione, le loro idee, non soltanto erano ben accette, ma addirittura richieste, invocate, ricercate.
Ma era giunto il momento di andare oltre a Nuova Korrynia. Oltre i limiti di quel piccolo esperimento personale, non cercato e non pianificato, per provare a iniziare a fare sul serio. E a iniziare a fare sul serio per così come avrebbero forse avuto la possibilità di compiere in quel di Kriarya, della grande e famigerata città del peccato.

Ovviamente, ed entrambi ne erano perfettamente consapevoli, non sarebbe stato semplice ricominciare tutto da capo.
Quasi come giocatori di squadra amatoriale desiderosa di esordire in un campionato professionistico, Korl Jenn’gs e Lora Gron’d si sarebbero allor avventurati a confronto con dinamiche nuove ed estranee a quanto avrebbero mai potuto immaginare esistente, con un livello di difficoltà sicuramente maggiore e, soprattutto, con maggiori possibilità di fallire, in quella che, forse, non avrebbe neppure potuto essere realmente qualcosa per cui avrebbero avuto a potersi intendere psicologicamente pronti.
Ma proprio come giocatori di una squadra amatoriale desiderosa di esordire in un campionato professionistico, Korl Jenn’gs e Lora Gron’d erano pronti a sopperire alle proprie carenze atletiche con un maggiore entusiasmo, e con l’entusiasmo proprio di chi, in fondo, desideroso non soltanto di divertirsi entro i confini della propria zona di conforto emotivo, ma anche di osare qualcosa di più. Dopotutto erano entrambi già morti, erano pressoché immortali e, in ciò, sarebbero stati forse costretti a trascorrere l’eternità in quel mondo: tanto valeva, quindi, cercare di vivere nella maniera più intensa possibile ogni occasione loro concessa... o, in caso contrario, non sarebbero stati diversi da quelle immote bambole prive di volontà che, alcuni mesi prima, Nissa Bontor aveva schierato all’esterno delle mura di Lysiath, lasciandoli lì per ore, giorni addirittura, in immobile e indifferente attesa di un ordine, di un comando, senza che lo scorrere del tempo potesse avere minimamente a influenzarli, né nel bene, né nel male.
Non sarebbe stato semplice ricominciare tutto da capo. Ma sia Korl Jenn’gs, sia Lora Gron’d erano pronti a farlo. E non erano soltanto pronti a farlo. Ma volevano farlo. E lo volevano al punto tale, quindi, da accettare quello che avrebbe potuto essere considerato un terrificante compromesso ma che, in fondo, sarebbe stato semplicemente il fondamento dell’inizio di un nuovo capitolo in quel secondo, e inatteso, volume della saga delle proprie esistenze: l’alleanza con la loro assassina.

Un’alleanza così inconsueta, per non dire innaturale, che evidentemente non avrebbe potuto ovviare a risultare tale anche innanzi al giudizio della stessa Midda Namile Bontor.
La quale, la prima sera in cui ebbero ad accamparsi dopo essere partiti da Nuova Korrynia, non mancò di rivolgere loro una domanda diretta a tal riguardo...

« Non vi pare strano tutto questo...? » questionò, aggrottando appena la fronte « Cioè... non per tirarmi la proverbiale zappa sul piede da sola, ma... credo che non vi siate dimenticati quanto io sia stata colei che vi ha ucciso. » sottolineò, a dimostrazione di quanto anch’ella non avesse obliato a tale dettaglio tutt’altro che insignificante « Siete certi, quindi, che vi possa andar bene... andare oltre? »

La questione, in sé, avrebbe dovuto essere intesa pressoché retorica, laddove, in fondo, ormai i giuochi erano fatti, il viaggio aveva avuto inizio e, a meno di non voler improvvisamente fare marcia indietro, difficilmente avrebbe potuto essere espressa una qualche perplessità a tal riguardo.
Ciò non di meno, Korl non poté che apprezzare l’onestà intellettuale con la quale la Figlia di Marr’Mahew volle affrontare la questione... e la volle affrontare in un momento in cui, oltretutto, avrebbe potuto anche essere considerata in una spiacevole minoranza. Dopotutto, soli nelle pianure di Kofreya, loro erano due ritornati contro tre donne mortali: tre donne sicuramente non comuni, certamente temibili avversarie, e, ciò non di meno, tre donne mortali che, a meno di non possedere allora un cannone al plasma, così come non avevano dato evidenza di star conducendo seco, non avrebbero mai potuto nulla a loro reale discapito.

« Non dico che sia semplice... o naturale. » ammise quindi egli, per tutta replica « Ma nel considerare quanto, per l’appunto, siamo morti, andare oltre è obiettivamente l’unica cosa che ci può permettere di vivere serenamente la nostra esistenza. »
« Mmm...? » domandò Lys’sh, incuriosita da quelle parole.
« Cosa accomuna tutte le storie di spettri? » domandò quindi Korl, scuotendo appena il capo « L’incapacità per lo spirito del defunto di andare oltre, superando l’idea della propria morte e cercando di trovare un senso nella propria nuova condizione d’esistenza. » analizzò, con voce quieta e pacata, in quella che era una riflessione tutt’altro che improvvisata da parte sua, avendo già avuto molte occasioni di confrontarsi a tal riguardo con Lora « Quindi... o ci dimostriamo pronti ad andare oltre, o tutto quello che ci può attendere è la vita dannata di uno spettro, legato a un mondo che ormai non gli appartiene più, a una vita che non è più propria, e a una visione viziata di tutto ciò che lo circonda. »

Un momento di silenzio non poté che seguire quelle parole, nel mentre in cui le tre sorelle d’armi ebbero a concedersi un’opportunità di riflessione attorno alle stesse.

« Per maggiori informazioni, si prega di consultare la mia gemella... » ironizzò alfine Midda, con un lieve sospiro, non riuscendo a concepire un esempio migliore a tal riguardo.
« Già! » esclamò allora Lora, incuriosita da quell’accenno « Avete poi scoperto che fine ha fatto...?! »

venerdì 20 novembre 2020

3466

 

« Abbastanza... » aggrottò la fronte Korl, per tutta replica « Noi ritornati non siamo propriamente un’associazione. E se anche la fossimo, saremmo una di quelle associazioni così ampie da non consentirci neppure di immaginare l’effettivo numero totale degli iscritti. » commentò, scuotendo il capo « Mi dispiace. » soggiunse poi, non desiderando rischiare di apparire eccessivamente ironico con quella propria ultima uscita, con la quale aveva soltanto cercato di cavalcare i toni già resi propri dall’interlocutrice.

Se Midda e le sue compagne si erano sospinte sino a lì animate dalla speranza di avere a riservarsi occasione di chiarezza nel merito del mistero di quelle armi, purtroppo, tale viaggio avrebbe avuto quindi a doversi intendere il proverbiale buco nell’acqua, dal momento che né Korl, né Lora avrebbero potuto essere loro di qualsivoglia aiuto. Ma se ciò ebbe a scontentare le medesime, nessuna fra loro ebbe a palesarlo, probabilmente già più che sicure di quanto, effettivamente, non sarebbe stato così semplice venire a capo di quel non banale interrogativo.
Quanto, tuttavia, la mente di Korl non poté ovviare di constatare, fu l’evidenza di un particolare tutt’altro che fine a se stesso: il fatto che, fra tutti i ritornati a cui avrebbero potuto appellarsi, quelle tre donne avessero deciso di provare a rivolgersi proprio a loro due. Improbabile, dopotutto, sarebbe stato ipotizzare che, in Kriarya o nei dintorni della stessa, non fossero stati smistati altri ritornati loro pari, del gruppo di coloro un tempo estranei a quel mondo e alle sue primitive regole. Anzi. Nel ben considerare il loro numero, e il loro numero tutt’altro che banale, facile sarebbe stato ipotizzare come pressoché in ogni villaggio di tutta Kofreya, e probabilmente non solo, fossero stati smistati il loro “simili”, se così si fossero voluti apostrofare, a distribuire il più possibile la presenza degli stessi sul territorio, massimizzandone le speranze di integrazione e, parimenti, minimizzandone quelle di ghettizzazione, volontaria o coatta che potesse essere. Se pur vero, quindi, che quelle tre potevano aver fatto tanta strada per giungere fino a Nuova Korrynia in conseguenza a tutti gli sforzi da loro due compiuti in quel luogo per il progresso del medesimo, non escludendo a prescindere l’eventualità di un loro coinvolgimento; tutt’altro che improbabile avrebbe avuto comunque a poter essere inteso un qualche senso di fiducia dalle stesse provato a lor riguardo. Un senso di fiducia utile a giustificare l’essersi rivolti proprio a loro, fra le centinaia, se non migliaia, di alternative possibili.
E per quanto l’ultima cosa che mai avrebbe potuto prevedere di fare sarebbe stata avere a volersi schierare in favore della propria assassina, e di quella donna che, se pur magari non avrebbe odiato, certamente non si sarebbe neppure spinto ad apprezzare; Korl Jenn’gs ebbe lì a maturare rapidamente un pensiero, una decisione, abbracciandola con forse eccessiva spontaneità, e rendendola propria con tanta convinzione da avere subito a volersi esprimere a tal riguardo, prima che, se pur in maniera decisamente improbabile essendo appena arrivate, le tre potessero decidere di girarsi e andarsene per la propria strada...

« Vi aiuteremo. » dichiarò, annuendo con ferma convinzione, quasi in risposta a un interrogativo esplicitamente espresso a tal riguardo, e un interrogativo che, tuttavia, non era mai stato scandito da alcuno sino a quel momento.
« Eh...?! » domandò Lora, decisamente colta in contropiede da quell’annuncio, e da quell’annuncio l’eventualità del quale, evidentemente, non aveva preso in esame.
« Eh...?! » le fecero eco, o forse accompagnamento, anche Duva e Lys’sh, non attendendosi ovviamente una simile reazione da parte del loro interlocutore né, tantomeno, avendo preso in esame una simile opportunità prima di allora.

La sola a non esprimersi in maniera tanto spontanea e immediata ebbe allora a essere la stessa Figlia di Marr’Mahew, la quale, a differenza delle proprie sorelle, e della feriniana, volle mantenere una certa neutralità emotiva a confronto con quell’annuncio, quasi, in fondo, egli non avesse detto nulla di strano.
Addirittura dimostrando quel suo consueto approccio pragmatico alla realtà, Midda Bontor non soltanto ovviò a dimostrare stupore o disorientamento a confronto con quelle parole, ma, al contrario, ebbe addirittura a contestarle, richiedendo da parte sua un ulteriore precisazione nel merito delle proprie intenzioni...

« In che maniera...? » domandò ella, accennando un nuovo, e sempre quieto, sorriso nei suoi riguardi, per poi soggiungere, a scanso di qualunque possibilità di fraintendimento del senso della propria questione « In che maniera pensi che potreste aiutarci...? In fondo hai appena dichiarato di non avere la benché minima idea nel merito di chi possa aver fatto qualcosa del genere... »

Fu allora che Lora comprese. E comprese il perché di quell’intervento da parte del proprio amico e amato, dandosi della sciocca per averci messo un istante di troppo a capirlo.
Perché egli, chiaramente, non aveva scordato il proprio intento iniziale, e quell’intento nel seguire il quale aveva deciso di rivoluzionare la vita della piccola Korrynia. Tuttavia, e per così come riconosciuto sin dall’inizio, per quanto gli sforzi compiuti lì a Nuova Korrynia avrebbero avuto a riservare loro un certo palcoscenico utile a farsi conoscere, e, in ciò, a riservare loro un’occasione migliore; Nuova Korrynia non avrebbe mai avuto a poter essere fraintesa qual l’obiettivo finale dello stesso Korl, nella sua ricerca di persone utili a garantirgli l’occasione di far realmente progredire quel mondo, e di farlo progredire ben più in là di quanto allor utile per creare un motore a vapore o un rudimentale telefono.
E in quel preciso istante, in quell’esatto frangente, la loro stessa assassina, la responsabile principale per tutto ciò che era loro accaduto, laddove se ella non li avesse uccisi, nulla di tutto ciò sarebbe mai stato tale, si era appena presentata offrendo loro l’occasione perfetta per garantire un primo, importante salto di qualità. E un salto di qualità come quello utile a passare da un piccolo villaggio di provincia a una capitale, e a una capitale tanto particolare come la stessa città del peccato, Kriarya.
Che Korl potesse allor avere in mente una qualche effettiva possibilità di aiuto alla donna guerriero e alle sue amiche nella loro impresa, avrebbe avuto persino a doversi intendere un particolare secondario, e un particolare allor sol utile per replicare in maniera adeguata all’interrogativo della medesima. Quanto, di certo, egli non avrebbe allor mancato di cogliere, sarebbe stata quell’occasione di trasferirsi in un nuovo ambiente, e in un ambiente nel quale sarebbe stato loro assicurato non soltanto maggiore possibilità d’azione, ma anche di contatti, e di contatti con altri ritornati loro pari, con i quali poter sperare di cooperare nella realizzazione di quell’assurdo proposito volto alla riconquista dell’infinito siderale.

« E’ vero. » confermò quindi il giovane, all’indirizzo dell’interlocutrice « Non abbiamo la benché minima idea di chi possa aver realizzato una simile arma. Ma, comunque, appare evidente che il mondo attorno a noi sta cambiando e sta cambiando, se non per il nostro operato, per l’intervento di terzi a noi sconosciuti, e pur, palesemente, animati da pessime intenzioni. » evidenziò, proseguendo nella propria personalissima arringa « E’ un cambiamento già in atto, in termini palesemente meno affascinanti di quanto possiamo aver tentato di realizzare qui a Korrynia. Ed è un cambiamento che, ora, potente subire... oppure potete decidere di cavalcare. » sancì, con risoluta fermezza « E se deciderete di cavalcarlo, credo proprio che due persone come noi vi potranno essere d’aiuto, visto e considerato quanto abbiamo realizzato qui a Nuova Korrynia sino a oggi. »

Un discorso assolutamente razionale, quello che egli aveva deciso di offrire in risposta al pragmatismo della propria controparte, che non avrebbe potuto che essere apprezzato dalla medesima. E che, in effetti, venne apprezzato dalla stessa, nel riconoscerne il giusto merito, fosse anche e soltanto per la lucidità dell’analisi così da lui compiuta.

giovedì 19 novembre 2020

3465

 

« No. » escluse la donna guerriero, accennando un quieto sorriso « Non lo credo. » ribadì, a scanso di ogni possibilità di fraintendimento « Ciò non di meno, credo che concorderete con me come questo deve essere frutto dell’opera di un ritornato come voi, alieno a questo mondo. »

Volendo essere gratuitamente polemici, Korl e Lora avrebbero potuto obiettare a quelle ultime parole domandando in maniera piccata se, per caso, ella desiderasse imputare a loro discapito la colpa di qualcun altro, magari decidendo di ucciderli nuovamente per il solo fatto di essere, per l’appunto, dei ritornati.
Ciò non di meno, in quel frangente, né Korl né Lora avrebbero potuto riservarsi ragione alcuna per essere gratuitamente polemici nei riguardi della donna guerriero. E, anzi, avrebbe avuto a dover essere inteso loro interesse assicurarsi che quel clima di serena collaborazione fra loro potesse trovare occasione di divenire qualcosa di consueto fra loro, non desiderando arrivare a immaginarsi grandi amici della loro assassina e, ciò non di meno, neppur necessariamente nemici. Anche perché, dopotutto, quanto interessava loro avrebbe avuto a dover essere riconosciuto in un’occasione di quieto vivere, e un quieto vivere del quale ella avrebbe potuto essere fautrice oppure oppositrice... ma che, ovviamente, essi speravano avesse a volersi riconoscere, per l’appunto, fautrice.
Così, allorché sollevare facili polemiche a confronto con quell’affermazione, essi si limitarono allora ad annuire. E, dopo un breve istante di silenzio, Korl si riservò addirittura occasione di prendere parola, esprimendosi in totale solidarietà con la loro interlocutrice.

« Assolutamente d’accordo. » confermò egli, annuendo con convinzione a quelle parole « Anzi... nel considerare l’eleganza di questo prodotto, non credo neppure che abbia a doversi fraintendere privo di arte o di parte nostro pari. » commentò, nel dover riconoscere quanto, effettivamente, quell’arma fosse decisamente di una classe superiore a quanto mai egli potesse essere stato in grado di progettare, nel proprio approccio purtroppo elementare alla materia « Cioè... senza nulla togliere ai risultati che siamo riusciti a conseguire finora, abbiamo avuto più fortuna che abilità nel riuscire a reinventare le basi del progresso industriale, approcciando a tutto ciò che abbiamo fatto con l’ingenua inconsapevolezza di un bambino desideroso di fare bella figura a una fiera delle scienze. » dichiarò, in un paragone tutt’altro che gratuito, nello spingere la propria memoria agli anni della sua infanzia, e a tutte le fiere delle scienze a cui aveva ben volentieri partecipato all’epoca « Chi ha disegnato quest’arma, invece, era perfettamente consapevole di come dover gestire il suo meccanismo... che per quanto semplice possa essere, comunque, può riservare pericolose insidie ove affrontato senza una certa cognizione di causa. »
« Poco ma sicuro. » concordò Duva, annuendo a quelle parole « Anche fabbricare i proiettili non è qualcosa di banale, nel considerare quanto, un semplice errore, potrebbe portare a perdere una mano, laddove il proiettile esplodesse malamente o laddove il revolver si inceppasse nel modo sbagliato... » osservò, dimostrando di aver già riflettuto a tal riguardo e, probabilmente, di aver già condiviso anche simili riflessioni con le proprie sorelle « Malgrado il mio passato militare, e la mia dimestichezza con le armi, francamente non avrei la benché minima idea di dove iniziare a progettare qualcosa di così primitivo. »
« Perché invece a progettare un cannone al plasma saresti capace... vero?! » ironizzò la Figlia di Marr’Mahew, aggrottando la fronte a quelle parole, ammiccando poi verso di lei con fare scherzosamente complice.

Duva non le rispose, limitandosi, in un gesto probabilmente troppo infantile per la sua decisamente matura età, a mostrarle la lingua.
E se Midda ridacchiò ancora a confronto con tutto ciò, Korl sembrò desideroso di ritornare ad affrontare il discorso principale, non concedendo spazio a facezie di sorta.

« Credo che colui o colei che state cercando sia un esperto nelle armi d’epoca... » osservò egli, riportando tutti metaforicamente in carreggiata « Per quanto possa apparire strano definire arma d’epoca qualcosa che, in questo mondo, ha a doversi comunque riconoscere qual straordinariamente avanzato. »
« Anche troppo avanzato... » annuì Lys’sh, piegando gli angoli della bocca e tendendo le mani ad accogliere nuovamente la pistola, nel richiederne, in tal maniera, la restituzione « Fate conto che è stato sufficiente un solo proiettile a mettere a repentaglio la vita di due dei lord più importanti di tutta Kriarya, rischiando di alterare irrimediabilmente gli equilibri interni della città del peccato. » spiegò, aggiungendo un piccolo dettaglio prima non riportato nell’introduzione a quell’arma « Potete immaginare da soli quanto danno potrebbe fare un piccolo esercito di uomini equipaggiati con armi come questa, laddove decidessero di impiegarle per conquistare potere... »

Korl Jenn’gs e Lora Gron’d non conoscevano Kriarya, la città del peccato, se non di fama.
Sapevano, ovviamente, essere la città adottiva della loro assassina, la quale, dopotutto, non avrebbero potuto che immaginare perfettamente integrata all’interno di una capitale popolata quasi integralmente da ladri e assassini, mercenari e prostitute, e sapevano essere considerata, all’interno di Kofreya, in termini estremamente critici, non avendo neppure un reale feudatario effettivamente riconosciuto dalla famiglia reale kofreyota, là dove, altresì, era mantenuta da un sistema oligarchico di potere frazionato fra un certo numero di signori, i lord della città, tali per meriti di sangue, ma non per il sangue ereditato dai propri antenati, quanto e piuttosto perché conquistatisi tale potere nel sangue dei propri avversari, e di coloro che avevano dovuto affrontare e sconfiggere per assurgere alla propria posizione di potere.
Sapevano, inoltre, che per quanto sarebbe potuto apparire strano, Midda Bontor non ricopriva un vero e proprio ruolo di dominio politico all’interno della città, sebbene, in passato, fosse stata riconosciuta qual Campionessa di Kriarya e, in ciò, avesse avuto per un breve periodo il controllo assoluto di tutta la capitale, nella necessità di difenderla da una terrificante minaccia esterna. Evento, in fondo, non dissimile da quello più recentemente occorso anche a Lysiath, e nel corso del quale proprio loro due facevano parte della terrificante minaccia esterna alla città.
Altro, tuttavia, essi non sapevano. E, in questo, non avrebbero potuto immaginare quanto, fra i due signori coinvolti nell’attentato, avesse allora a doversi riconoscere anche un certo lord Brote, uno dei più cari e vecchi amici della stessa Ucciditrice di Dei, oltre che il suo storico mecenate, artefice, a modo proprio, della straordinaria fama di quell’avventuriera mercenaria, in quanto, comunque, colui che nel corso del tempo l’aveva spronata a compiere le proprie imprese. E se anche, ormai, erano anni che Brote non poteva più fare affidamento alla straordinaria Midda Bontor per le proprie necessità, il rapporto fra i due non era minimamente mutato, in termini tali per cui mai l’ex-mercenaria avrebbe potuto perdonare qualcuno colpevole di aver attentato alla vita del proprio ex-mecenate.

« Colui che era in possesso di queste pistole non vi ha detto nulla...? » domandò, quindi, con una certa innocente ingenuità Lora, aggrottando appena la fronte per cercare di comprendere perché non avessero iniziato dall’approccio più semplice al problema.
« Diciamo che non ne ha avuto la possibilità... » minimizzò Duva, non desiderando che Midda avesse a doversi rimproverare nuovamente per essere ricorsa, ancora una volta, all’omicidio come risoluzione dei propri conflitti, in una scelta che, purtroppo, anche in quell’occasione era stata quantomai affrettata, avendo loro negato, per l’appunto, la possibilità di comprendere qualcosa di più nel merito dell’origine di quelle rivoltelle « E comunque, sciocco a chiedersi, non avete idea di chi potrebbe essere stato in grado di realizzare una simile arma...?! » insistette, in un azzardo improbabile, laddove assurdo sarebbe stato che proprio loro potessero avere la risposta giusta a quel tanto generico interrogativo.