Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.
Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!
Scopri subito le Cronache di Midda!
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E siamo a... QUATTROMILA!
Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!
Grazie a tutti!
Sean, 18 giugno 2022
Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!
Grazie a tutti!
Sean, 18 giugno 2022
domenica 31 maggio 2020
3293
Avventura
063 - Il peso dei propri errori
Sebbene quello fosse solo un sogno, un brivido percorse la schiena di Rín a confronto con la possibilità così prospettata da secondo-fra-tre: se, infatti, l’idea di avere a che fare con i poteri della Portatrice di Luce e dell’Oscura Mietitrice, per così come in possesso a Midda, avrebbe potuto essere quietamente sostenibile nel pieno controllo delle sue facoltà mentali; l’eventualità di avere a che fare con quegli stessi poteri fuori da ogni prospettiva di controllo, per così come, all’occorrenza, avrebbe potuto avvenire nel confronto con un qualche momento onirico, e un qualche momento onirico per lo più turbato dall’influsso negativo di un vicario come secondo-fra-tre, non avrebbe potuto lasciar presumere nulla di positivo. Anzi: la parola che, in quel frangente, non avrebbe potuto ovviare a risuonarle nella mente non avrebbe potuto che essere, allora, semplicemente: « Disastro! »
« Dannazione! » gemette, scuotendo il capo e storcendo le labbra verso il basso « Sì… assolutamente! » confermò quindi « Devo svegliarmi… e devo metterla in guardia! »
Già. Svegliarsi: pensiero banale nel confronto con un sogno comune, pensiero un po’ meno scontato innanzi a un sogno lucido, qual quello che in quel momento ella stava vivendo. Perché se in un sogno comune, svegliarsi sarebbe stata uno sviluppo quasi obbligato conseguente alla sopraggiunta consapevolezza della natura stessa di quel sogno in quanto tale; in un sogno lucido qual il suo era divenuto nel momento stesso in cui Bob era subentrato nel medesimo, non sarebbe stato sufficiente avere a concentrarsi sull’idea che tale avesse a essere un semplice sogno per prospettarne l’interruzione, in una complicazione quantomeno spiacevole a confronto con la quale ella ebbe a maturare consapevolezza di lì a pochi istanti.
« D’accordo… » esitò quindi, mordicchiandosi il carnoso labbro inferiore con aria imbarazzata « … come faccio a svegliarmi?! »
« In genere come funziona…? » domandò Bob, non comprendendo il senso di quella questione, anche e soprattutto nel confronto con la sua più assoluta mancanza di confidenza con il concetto stesso di sonno, almeno applicato a se stesso.
« In genere funziona che o suona la sveglia o il cellulare, o un gatto miagola, o i vicini si mettono a strillare e cose di questo genere… » sospirò Rín, incrociando le braccia al petto a sorreggere più comodamente il lenzuolo, guardandosi poi attorno, nel cercare, nell’immobile ambiente a sé circostante, un qualche appiglio utile a ritrovare il perduto contatto con la realtà « E, soprattutto, in genere funziona che non mi trovo un vicario dentro la testa nel mentre in cui sto sognando… »
« Può essere che la mia presenza influenzi negativamente i tuoi processi mentali. » ipotizzò quindi egli, incerto a tal riguardo, dovendo fare i conti, evidentemente, con una situazione per lui anomala « In tutta franchezza, è la prima volta che entro nel sogno di qualcuno senza intenzione di avere a distruggere la sua mente e la sua anima… »
« Posso ritenermi fortunata, allora! » sorrise con aria tesa la donna, trattenendo a stento un gemito e un gemito di raccapriccio a confronto con tale prospettiva, nella quieta consapevolezza di qual terribile antagonista egli sarebbe potuto essere se soltanto avesse voluto « Ti ringrazio allora per l’informazione… e ti assicuro che sarà mia premura fare tutto il possibile per far risvegliare Midda non appena anche io tornerò in me! » soggiunse, a titolo di congedo da lui.
Secondo-fra-tre annuì e, senza avere ad aggiungere altro, ancora decisamente spaesato nel confronto con un incedere per lui quantomeno inedito, scomparve nel nulla per così come era comparso.
E, con la sua scomparsa, il flusso di quel sogno riprese, e riprese con un balzo di sorpresa e di spavento da parte di quell’immaginario compagno di letto, e di quell’immaginario compagno di letto che, dal proprio personale punto di vista, aveva veduto mutare improvvisamente, e in maniera del tutto innaturale, posizione alla propria controparte, e a quella controparte che, lì in piedi, stava allor tentando di coprirsi pudicamente le voluttuose forme…
« Ma cosa…?! » esitò egli, con gli occhi sgranati.
« … non ho idea di chi tu fossi, mio caro. » ammise ella, non senza un certo imbarazzo « Ma finché è durato non è stato affatto male. »
Ella non ebbe neppure il tempo di terminare di scandire quella frase di saluto, e di ringraziamento, verso il proprio sconosciuto amante che il mondo attorno a lei iniziò a svanire prima nelle tenebre, e poi nella luce di un nuovo giorno, nel mentre in cui, nella realtà, ella tornava ad aprire gli occhi, non scevra di un certo, naturale, disorientamento nel confronto con il mondo circostante, e un mondo che, per un fugace istante, aveva quasi dimenticato nelle proprie forme e nei propri colori.
E, in tutto ciò, fu allora il sorriso di Duva ad accoglierla, nel mentre in cui, sul fuoco da campo allestito la sera prima, e rinvigorito per l’occasione, stava preparando la colazione
« Bentornata fra noi! » la salutò, rendendosi conto del fatto che fosse sveglia « Spero che tu abbia dormito bene, stanotte… » la accolse, necessariamente inconsapevole di cosa potesse essere accaduto nel corso di quello stesso, supposto riposo.
« … » esitò per un istante, ancora disorientata dal risveglio, nel mentre in cui all’interno della sua mente le idee stavano sforzandosi di ritrovare un qualche ordine di sorta « … Midda! » esclamò poi, ritrovando coscienza della situazione e dell’urgenza propria del momento, e di un momento nel quale, allora, avrebbe dovuto intervenire per evitare il peggio « Dov’è?! »
« Sta ancora dormendo, la pigrona… » sospirò Duva, scuotendo appena il capo, con aria scherzosa e, ciò non di meno, con tono affettuoso, in fondo lieta che la compagna potesse star godendo dell’occasione di qualche ulteriore minuto di riposo, soprattutto a seguito della notte particolarmente vivace che aveva avuto, per così come Lys’sh le aveva già offerto testimonianza.
Il brivido provato, pocanzi, all’interno del sogno, si ripropose ora nella realtà lungo la schiena di Rín. Ed ella, rialzandosi in piedi di scatto, più che felice per non essere ancora del tutto ignuda come pocanzi, si guardò attorno, a cercare la posizione dell’amica, nella volontà di raggiungerla, e, in ciò, di adempiere all’incarico affidatole da Bob prima che fosse troppo tardi.
Purtroppo, e per l’appunto, era già troppo tardi.
E di questo non soltanto Rín ebbe a rendersene conto, ma anche Duva e Lys’sh, accanto a lei, nel momento in cui si ritrovarono improvvisamente a essere poste in ombra, e a essere poste in ombra, nel confronto con la luce proveniente da est, da un improvviso, inatteso, e impossibile ostacolo prima non presente lungo la traiettoria, ancor quasi parallela al suolo, dei raggi del sole: un ostacolo che, in tutto e per tutto, avrebbe avuto a doversi intendere qual un enorme edificio di architettura tranitha. E un enorme edificio sorto, da un istante all’altro, in luogo alle macerie prima là presenti della distrutta Biblioteca di Lysiath. E un enorme edificio che, allora, pur inedito nelle proprie forme e proporzioni, in alcun altro modo avrebbe potuto essere interpretato se non qual una rinnovata Biblioteca di Lysiath, restituita al mondo dalle macerie nelle quali era andato distrutto. Ma, anche, un enorme edificio purtroppo caratterizzato da una strana aura di oscurità, per così come anche i propri smalti, e quegli smalti che si sarebbero potuti attendere brillanti, lucenti, persino fastidiosi nelle proprie accese tonalità, non mancarono di trasmettere, proponendosi, altresì, cupi, scuri, desolanti...
sabato 30 maggio 2020
3292
Avventura
063 - Il peso dei propri errori
L’alba di un nuovo giorno giunse e trovò, alfine, Midda Bontor profondamente addormentata.
Proprio malgrado ella avrebbe dovuto ammettere di aver perso parte della propria antica abitudine volta a non concedersi, mai, occasione di sonno profondo e, forse per la non più giovanissima età, forse per le cattive abitudini di pigrizia maturate nel corso del proprio periodo siderale, ella non avrebbe potuto che riconoscere di aver abbassato di non poco la propria consueta guardia, in termini tali da dover essere più che lieta di avere, accanto a sé, delle fedeli amiche e sorelle d’armi su cui poter fare cieco affidamento. In caso contrario, infatti, la situazione avrebbe sicuramente finito per dimostrarsi estremamente più complicata.
Così, in parte per la stanchezza fisica, ma, soprattutto, per la stanchezza emotiva, ella finì per addormentarsi realmente, profondamente. Un sonno profondo, certo, e che pur non si riuscì a dimostrare scevro di inquietudini e disagi, che non mancarono di tradursi in incubi.
Fu in questo modo che Midda tornò a trovarsi all’interno della Biblioteca di Lysiath, dopo averla riportata indietro, dopo averla restituita al mondo intero, e lì, tuttavia, in luogo ad ambienti solari e ricchi di speranza per il futuro, e di quella speranza che soltanto la gioia della conoscenza avrebbe potuto loro concedere, ella si ritrovò a confronto con qualcosa di diverso, di più inquietante. Uno scenario non dissimile alla palude di Grykoo, e uno scenario, in ciò, popolato dall’orrore proprio di tutti i morti che ella, nel corso della propria lunga esistenza, si era lasciata alle spalle. Morti recenti e morti antichi, morti apparentemente integri e morti orribilmente dilaniati, che fra quei corridoi, fra quelle stanze, fra quegli scaffali, si muovevano in maniera disordinata e priva di una reale direzione, di un qualche effettivo scopo, esattamente al pari degli zombie che, abitualmente, popolavano quella palude maledetta. O, per lo meno, in tal maniera essi avrebbero potuto essere riconosciuti agire nell’immediato, laddove, dopo la sua apparizione, il suo ingresso in scena, nessuno di loro poté mancare di rivolgerle tutta la propria più sincera attenzione, tutto il proprio più motivato interesse, nella ricerca di una qualche occasione di vendetta, e di vendetta per l’impietoso fato di morte al quale si erano quindi visti destinati per merito suo. E alla testa di quell’orda di non morti, ineluttabile forse, avrebbe avuto a dover essere riconosciuta proprio sua sorella Nissa, la sua amata gemella e quella gemella che aveva incontrato la propria fine lungo il filo della sua spada bastarda, e di quella lama che, ormai, ella non possedeva più.
« … Thyres… » gemette ella, invocando, in quell’incubo non poi così inverosimile, l’aiuto della propria dea prediletta.
All’alba di quel nuovo giorno, comunque, non soltanto Midda stava dormendo. Anche la versione alternativa della sua stessa gemella, Nóirín Mont-d'Orb, avrebbe avuto a doversi intendere quietamente e profondamente addormentata, senza neppure poter vantare, a margine di tutto ciò, un qualche, eventuale, senso di colpa, ancor psicologicamente estranea ai pericoli del mondo, e di quel particolare mondo fra tutti, un mondo nel quale ci si sarebbe potuti risvegliare con la gola tagliata da orecchio a orecchio non in conseguenza a chissà quale profondo antagonismo, quanto e piuttosto per un puro e semplice capriccio.
Ma se pur, Rín non avrebbe potuto vantare particolare confidenza con quel mondo e con le sue regole, più di chiunque altra fra le presenti, e probabilmente più di chiunque altro in senso generale, ella avrebbe potuto allor vantare un senso di confidenza con il tempo del sogno, e quella dimensione a confronto con la quale, fin dalla propria prima esperienza onirica, aveva offerto dimostrazione di una quieta capacità di conscia e costruttiva interazione. E forse fu proprio in grazia a tale affinità elettiva con tale dimensione primigenia che ella poté rendersi conto, prima di chiunque altro, che qualcosa non stava andando, non per merito di chissà quale improprio senso del pericolo, quanto e piuttosto per l’inatteso aiuto da parte di un imprevisto collaboratore, e di un collaboratore che, allora, ebbe a raggiungerla nella profondità più recondita della propria psiche, là dove ella aveva appena iniziato a sognare, e a sognare un galante incontro con uno sconosciuto, ma indubbiamente piacevole, accompagnatore.
Purtroppo il tempismo che contraddistinse l’evolversi della situazione non fu dei migliori, e nel mentre stesso in cui ella si stava ponendo avvinghiata al proprio inedito amante, l’inquietante voce di secondo-fra-tre ebbe a sorprenderla, raggiungendola alle spalle e invocando la sua attenzione…
« Lady Nóirín. » l’apostrofò, dimostrandosi, in quella forma di rispettosa cortesia verso di lei, di volerle anche riconoscere un certo rispetto, anche e soltanto in conseguenza alla di lei amicizia con la propria regina, se non, più direttamente, per l’aiuto che allora desiderava richiederle.
« Ommamma! » gridò ella, per un attimo comprensibilmente turbata, per non dire giustamente spaventata, da tutto ciò, e da quella sopraggiunta presenza in un momento tanto intimo.
Improvvisamente dimentica della passione che pur, lì, stava vivendo, a cavalcioni qual era del proprio occasionale compagno in quel sogno, ella scartò lateralmente, ruzzolando poco elegantemente a terra ma trascinando seco il lenzuolo, e quel lenzuolo con il quale si affrettò, pudicamente, a ricoprirsi, non potendo vantare il medesimo, e inesistente, senso del pudore della propria gemella alternativa, di Midda Bontor, la quale, certamente, in quella medesima situazione, non avrebbe riconosciuto ragione utile a celare il proprio corpo, le proprie forme, da sempre quietamente fiera delle medesime.
E se pur, in tutto quello, ella si era inizialmente mossa più per istinto che per una qualche effettiva e maturata consapevolezza nel merito di quanto potesse star accadendo, un ulteriore istante le permise di riordinare i propri pensieri in maniera sufficiente da comprendere di ben conoscere l’intruso all’interno della sua camera… o, per meglio dire, di quella camera che ella stava evidentemente sognando, per così come comprovato, fra tutti, proprio dalla presenza di quel peculiare interlocutore.
« Bob! » esclamò quindi, sgranando gli occhi e rialzandosi in piedi, nel mentre in cui, attorno a loro, il mondo parve bloccarsi… o, se non il mondo, quantomeno il sogno « Come accidenti sono finita nel tempo del sogno…?! »
« In verità non sei nel tempo del sogno, ma soltanto in un sogno. E un sogno tutto tuo. » puntualizzò egli,, escludendo la conclusione alla quale ella si era sospinta in maniera forse un po’ troppo precipitosa « Ciò non di meno, tu più di chiunque altro, puoi ben comprendere quanto labile sia il confine fra un sogno e il tempo del sogno… un labile confine attraverso il quale, quindi, io posso riservarmi l’occasione di muovermi, all’occorrenza. »
« Ah… » esitò l’altra, non sapendo se avere a essere più contenta di non essere finita nel tempo del sogno a propria insaputa, con tutti i pericoli a esso connessi, o essere più intimorita dall’idea che quel vicario potesse realmente muoversi attraverso i sogni delle persone, anche senza un maglione a spesse righe rosse e verdi, e un borsalino marrone calcato in testa « … ottimo… » commentò con un sorriso tirato, cercando di non palesare eccessivo disagio, per quanto, obiettivamente, ella non potesse mancare di sentirsi allor decisamente turbata da tutto ciò « … e a cosa debbo il… piacere… di questa tua visita?! »
« Devi svegliarti, Nóirín. » le comandò egli, con tono serio « Devi svegliarti e devi svegliare la mia regina prima che sia troppo tardi… »
« … troppo tardi per cosa?! » domandò ella, non comprendendo di cosa egli potesse star parlando.
« Anch’ella sta dormendo. Ma il suo sogno sta venendo manipolato dall’altro vicario, dall’altro secondo-fra-tre, che fa capo alla vostra avversaria… » tentò di esplicitare la questione nella maniera più semplice e coincisa possibile, anche a costo di banalizzarla eccessivamente nella propria complessità « Con i suoi poteri, e l’avverso intervento del mio corrispettivo, i suoi attuali incubi potrebbero presto tradursi in realtà. E non credo proprio che ciò le potrebbe fare piacere! »
venerdì 29 maggio 2020
3291
Avventura
063 - Il peso dei propri errori
Come dimenticarlo…?!
Degli anni della propria più tenera infanzia, Tagae e Liagu, i suoi amati figli, nulla erano stati in grado di ricordare se non i loro nomi, ammesso e non concesso che tale ricordo fosse, in effetti, corretto. Tutto il resto delle loro vite, delle loro identità, era stato altresì cancellato brutalmente dall’azione di un’empia organizzazione criminale che, impiegandoli come cavie in una serie di esperimenti, li aveva ribattezzati come Diciannove-Cinquantadue e Diciannove-Cinquantotto, codici in luogo a veri e propri nomi, e codici identificativi delle armi nelle quali essi erano stati loro malgrado trasformati. Armi di distruzione di massa, armi batteriologiche, in grado di sterminare un intero pianeta nel giro di pochi giorni, senza che nessuna protezione, senza che nessuna precauzione potesse altresì valere.
In effetti, soltanto Tagae avrebbe avuto a dover essere inteso qual il principio di morte, laddove, altresì, la propria sorellina altro non avrebbe avuto che a essere considerata il suo complemento, la sua cura, e quella cura che, normalmente, nella costante vicinanza quotidiana, manteneva sotto controllo la maledizione del proprio fratellino. L’innesco, infatti, per quella terribile piaga sarebbe stata la loro separazione, il loro allontanamento, fosse anche e soltanto di una sola stanza o poco più: in quel caso, la piaga con la quale egli era stato maledetto avrebbe iniziato a operare senza più alcuna inibizione, senza più alcun limite, seminando dolore e morte attorno a sé, e vedendo salvi, da tanto tragico destino, soltanto coloro i quali si fossero allor ritrovati, per scelta o per caso, accanto a lei.
Sì: i suoi figli erano delle armi. E delle armi di distruzione di massa che, potenzialmente, da un momento all’altro avrebbero potuto condannare a morte l’intera Kriarya, tutta Kofreya, e poi il continente di Qahr, prima di estendersi al mondo intero: una minaccia terrificante, quella da loro così rappresentata la quale, ovviamente, avrebbe avuto a doversi intendere un segreto, e un segreto gelosamente custodito all’interno della loro famiglia, e di quella famiglia alla quale, a modo loro, anche le sue amiche appartenevano, uniche in grado di comprendere per davvero la bizzarra dinamica di quanto disgraziatamente imposto a discapito di quella coppia di pargoli innocenti, e di quella coppia di pargoli innocenti il cammino dei quali ella aveva incrociato per puro caso, in un giorno ormai lontano, lasciandosi rapire dalla loro storia, dalla loro vicenda, e dalla loro meravigliosa dolcezza.
E così ella che, da sempre, era rifuggita all’idea della maternità, soprattutto da quando la propria gemella, neppur ventenne, le aveva negato per sempre con un violento colpo di spada la speranza di poter un giorno dare alla luce una vita, a confronto con Tagae e Liagu si era convinta a voler essere per loro una madre, per nulla spaventata dal loro avverso potenziale, per nulla intimorita dalla loro maledizione, nella quieta consapevolezza di quanto, in fondo, per quanto male mai essi avrebbero potuto causare, anche involontariamente, sarebbe sempre stato inferiore al male che ella, nel corso della propria esistenza, aveva causato, sovente con piena cognizione di causa e ferma volontà in tal senso.
« Sei estremamente scorretta a tirare in ballo i miei bambini… » sbuffò la donna guerriero, storcendo le labbra con aria contrariata « … non è certamente colpa loro se hanno una madre tanto disgraziata! »
« Per lo meno hanno una madre, una madre che loro amano e una madre che li ama. » sorrise per tutta replica la donna rettile, con incedere dolce verso di lei « Pensa che vita miserabile rischierebbero di correre se tu li abbandonassi, per così come stai pensando di fare… »
« Ancora più scorretta. » socchiuse gli occhi l’altra, per rivolgerle un’occhiataccia incattivita « Per essere una convinta di non poter influenzare nessuno, stai giocando estremamente sporco in questa partita… »
« … faccio quello che posso. » minimizzò l’altra, stringendosi appena fra le spalle a banalizzare il proprio ruolo nella questione « E, soprattutto, mi limito a ricordarti quello che già sai… e quello che, in fondo, sono convinta che tu voglia che io abbia a ricordarti, per evitare che tu possa avere a commettere un’idiozia. »
Dall’alto del proprio orgoglio personale, e di un orgoglio a tutti gli effetti degno di una regina da molto prima che ella ne acquisisse il titolo, Midda Namile Bontor avrebbe profondamente odiato doverle offrire ragione in quel momento, anche e soprattutto in virtù del fatto che, offrendole ragione, ella altro non avrebbe fatto che riconoscere la propria appena citata idiozia, in quell’approccio tanto discutibile che sarebbe stata pronta a porre in essere quella stessa notte. Per sua fortuna, comunque, non soltanto l’orgoglio avrebbe avuto a dover essere riconosciuto qual una sua caratteristica fondante. E accanto a tanti difetti, anche qualche pregio ella avrebbe avuto a poterlo vantare. Qualche pregio fra cui, comunque, una certa razionalità… e quella razionalità allor utile non soltanto ad ammettere i propri errori, ma anche e ancor più ad accettare di impegnarsi per non avere a ripetersi così scioccamente come allor Lys’sh aveva evidenziato avrebbe finito probabilmente per compiere se soltanto non vi fosse stata ella a frenarla, e a ricordarle quanto, effettivamente, ella già avrebbe potuto vantare di sapere.
Così, ancora una volta, la questione ebbe a scemare quietamente nel nulla e, con un profondo sospiro, Midda si arrese.
« Grazie. »
Una parola semplice, e pur quanto mai adeguata per tutto quello, per esprimere il sentimento che ella, in quel frangente, non avrebbe potuto ovviare a provare nel profondo del proprio cuore per l’amica sororale.
Mai come in quel momento, mai come in quel frangente, sarebbe potuto essere chiaro quanto alla base dell’amicizia non avrebbe avuto a dover essere fraintesa un mero spirito di cameratismo, una mera complicità, quanto e piuttosto la capacità, all’occorrenza, di discutere, di confrontarsi, di scornarsi se necessario, animati, pur, in tal senso, soltanto da rispetto reciproco e da quel profondo legame di affetto a confronto con il quale ogni problema sarebbe stato quindi risolto, ogni situazione sarebbe giunta autonomamente a compimento, vedendo riappianato ogni possibile conflitto. E tanto più intensa sarebbe stata l’amicizia, tanto più intensi avrebbero potuto anche essere i litigi, gli scontri, per poi avere, comunque e ineluttabilmente a scemare, e, magari, come in quel caso, a tradursi nel quieto riconoscimento dell’una nei riguardi dell’altra di una ragione prima non riconosciutale e per la quale, al contrario, alfine non avrebbe potuto che esprimere tutta la propria più onesta e intima gratitudine.
« E di cosa…?! » minimizzò Lys’sh, non riconoscendo alcuna necessità a giustificare il senso di quel ringraziamento.
E se pur molte avrebbero potuto essere lì le risposte utili, forse a tratti persino melensi, Midda Namile Bontor preferì allor semplicemente tacere, non avendo a dover giustificare in alcuna altra maniera la propria riconoscenza per l’amica, e per quell’amica alla quale avrebbe avuto a dover essere grata anche e soltanto per la propria pura e semplice presenza nella propria vita quotidiana.
« Ora torniamo al campo… e vediamo di riposare un po’. » suggerì la giovane ofidiana, rialzandosi con un movimento quieto ed elegante pari a quello reso proprio nel porsi a sedere « Domani ci aspetta una lunga giornata, qualunque cosa potrai decidere di voler fare con la questione della Biblioteca e di Nissa. » citò, non escludendo aprioristicamente nessuna delle due ipotesi formulate nel corso della giornata, e quelle ipotesi il rischio delle quali, pur, avrebbe avuto ancor a dover essere ben discriminato in tutti i propri possibili aspetti, tanto in quelli positivi, quanto e maggiormente in quelli negativi « E non credo abbia a essere consigliabile arrivare al mattino più stanche rispetto alla sera precedente… »
« … andiamo. » annuì Midda, sorridendo ora serenamente verso la propria sorellina, prima di levarsi a sua volta in piedi e tendere verso di lei proprio braccio sinistro, nell’intento di volerla abbracciare, intenzione a confronto con la quale l’altra non ebbe allor a sottrarsi, stringendosi ben volentieri al suo fianco.
giovedì 28 maggio 2020
3290
Avventura
063 - Il peso dei propri errori
« Inizio a capire cosa possa aver provato Be’Sihl nei mesi in cui sono rimasta in coma, quando tu e lui avete vagabondato soli fra le stelle… » aggrottò la fronte la Figlia di Marr’Mahew, ricordando la testimonianza del proprio amato, e una testimonianza affettuosamente critica, o criticamente affettuosa, nei riguardi della giovane donna rettile, e di quella donna che, mai desistendo, aveva tentato il tutto e per tutto per salvarlo, per impedirgli di precipitare nei meandri più oscuri del proprio animo « … ma non ti stanchi mai di interpretare il ruolo della coscienza con tutti noi…?! » domandò quindi, francamente incuriosita dal perché di tanto impegno da parte sua nei loro riguardi.
« Diciamo che è il mio modo per ringraziarvi. » banalizzò tuttavia l’altra, stringendosi appena fra le spalle a minimizzare la questione « Del resto, a tempo debito sei stata proprio tu ad aiutarmi a superare i miei demoni inferiori, con Nero, e mi sembra giusto avere a ricambiare il favore. » rievocò l’altra, sincera in quella propria affermazione e nei propri intenti in loro favore.
« Non mi ricordo di aver fatto chissà cosa… » scosse tuttavia il capo la prima, escludendo di aver giocato qualche ruolo di rilievo nella questione « Quello che hai fatto, l’hai deciso e l’hai compiuto in totale libertà. Io ti ho solo aiutata ad avere l’occasione utile per vendicarti… ma, di certo, non mi sono eletta, né mai mi sarei eletta, a tua coscienza. » sancì, più che sicura a tal proposito, nell’aver sempre agito, in tutta coscienza, in difesa della libertà personale di chiunque, soprattutto delle persone a lei più care, a lei più vicine e, in questo, escludendo categoricamente la possibilità di influenzare, in una direzione o in un’altra, le scelte di qualcuno.
« E’ una maniera interessante per dirmi di farmi i fatti miei…?! » sorrise, a modo suo, Lys’sh, piegando appena il capo « La cosa potrebbe avere senso soltanto se le mie parole fossero in grado di influenzarti. Ma a oggi non mi pare di aver mai avuto evidenza alcuna in tal senso… anzi. »
« Dici…? » domandò quindi l’Ucciditrice di Dei, incerta a tal riguardo « Eppure mi pare che tu e Duva stiate facendo un ottimo lavoro nell’influenzarmi, nel bene o nel male. » constatò, incrociando le braccia sotto al voluminoso petto con aria critica a tal riguardo.
« Questo vorrebbe dire che la grande Midda Bontor è così facilmente plagiabile…?! » osservò in termini assolutamente critici l’altra « Sinceramente mi viene davvero difficile da credere… anzi. »
« Beh… » esitò quindi la diretta interessata, ritrovandosi in scacco a confronto con quell’ultima frase, laddove se ella avesse negato la questione, avrebbe finito per dare ragione a Lys’sh, nel momento in cui ella sosteneva che nulla di quanto avrebbe potuto dirle le avrebbe mai fatto cambiare idea senza che lei desiderasse cambiare idea, mentre se ella avesse approvato quella posizione, avrebbe finito comunque per sminuirsi, e per ammettere di poter comunque cambiare idea dietro l’opportuno sprone da parte di chicchessia « Oh… uff… » sbuffò, non sapendo francamente di che morte avere quindi a morire.
Lys’sh ridacchiò e, incrociando le gambe, si lasciò sedere elegantemente a terra, invitando la propria amica a fare altrettanto, per proseguire in maniera più rilassata quel confronto, quella chiacchierata.
E Midda, non riconoscendo altre possibilità che non avessero a imporre un qualche genere di sgarro alla propria amica, si limitò allora ad accettare quell’invito, posizionandosi a sua volta al suolo, di fronte a lei, seduta a gambe incrociate seppur, obiettivamente, con minor eleganza e compostezza rispetto alla propria interlocutrice. Perché se Lys’sh, in quel frangente, avrebbe avuto a risultare praticamente perfetta nella propria postura, con la schiena eretta, il capo dritto, la fronte alta, le braccia parallele al corpo fino ai gomiti, per poi ripiegarsi in un perfetto angolo retto e vedere le mani quietamente adagiate sulle ginocchia, in maniera trasparente di una straordinaria e innata eleganza; la regina Midda, di fronte a lei, avrebbe avuto a doversi intendere decisamente molto poco regale nella propria apparenza, lì presentandosi con i gomiti appoggiati sulle ginocchia, il mento pigramente sorretto dalla macina e la schiena conseguentemente inarcata in avanti, in maniera trasparente di un approccio alla vita forse più verace, per quanto, sovente, più scomodo o, comunque, dannoso a lungo andare.
« Allora…?! » riprese voce Har-Lys’sha, con tono quieto « Posso domandarti dove pensavi di andartene sola soletta…? Anzi… no. Lasciami indovinare… » le propose poi, certa di potersi perfettamente esprimere a tal riguardo.
« Sentiamo… » le concesse l’altra, tutt’altro che desiderosa, del resto, di avere a vuotare il metaforico sacco, e, parimenti, curiosa di comprendere dove ella avrebbe potuto andare a parare in tutto ciò.
« Beh… escludendo che tu possa prendere in esame l’idea di suicidarti, eventualità che, francamente, non ti si confà, ipotizzerei che tu sia intenzionata a trovare il modo di salpare sulla prima nave disponibile diretta a un altro continente, a est, a Hyn, magari, oppure a nord, fino su a Myrgan, in ambienti nuovi, che a oggi non hai ancora esplorato, che non conosci e che, soprattutto, non conoscono te. » rifletté ad alta voce la donna rettile, con aria quietamente confidente nel confronto con quanto allora suggerito « Una volta giunta lì, ti potresti allor reinventare una vita inedita, magari eremitica, ascetica, lontana da tutto e da tutti, introvabile per chiunque, fondamentalmente morta per il mondo e, in questo, speranzosamente capace di escluderti per sempre dal mondo… e dal rischio di poter mai levare la mano contro qualcuno di a te caro. » concluse, annuendo appena a confermare quanto avesse a doversi intendere sicura della propria idea.
« Uhm… » esitò Midda, restando per un attimo colpita da tutto ciò.
« Dimmi… sono tanto lontana dalla realtà…?! » la incalzò l’altra, certa del contrario.
« In verità stavo puntando a qualche isoletta sperduta nei mari del sud: Tranith è vastissima… ed esistono interi arcipelaghi che non appaiono in alcuna mappa, lontani da ogni qual genere di rotta commerciale e pressoché disabitati. » commentò la donna guerriero, volgendo per un istante gli occhi al cielo « Anche perché, dovessi davvero andare in Hyn o Myrgan, probabilmente la mia curiosità mi spingerebbe a esplorarle in lungo e in largo… e probabilmente finirei, allora, per lasciarmi coinvolgere in qualche problema, vanificando il senso della scelta. »
« Eh, sì. » annuì Lys’sh, riconoscendo l’assennatezza di quel dettaglio « In effetti non ci avevo pensato… ma sicuramente andrebbe così, con buona pace ai tuoi propositi di una vita ascetica e ritirata. »
« Già! » confermò nuovamente l’altra, stringendosi appena fra le spalle.
Un nuovo istante di silenzio ebbe lì a calare fra le due donne, dopo che, chiarite le intenzioni, avrebbe allor avuto a dover essere affrontato il discorso di quanto, in concreto, sarebbe quindi stato messo in atto dall’una e di come, altrettanto in concreto, l’altra si sarebbe potuta impegnare per cercare di porle un freno.
« Allora…?! » riprese voce Midda, questa volta, avendo a incalzare in maniera quieta la propria interlocutrice « Non mi dici nulla…? Non cerchi di dissuadermi dall’attuare la mia idea…?! »
« Se hai deciso di partire, non potrò dire o fare nulla per dissuaderti. A meno che io non decida di tentare di bloccarti con la forza, per riportarti fino in catene dal tuo amato locandiere e dai vostri figlioletti, in speranzosa attesa di ascoltare una nuova storia dalla voce della loro mamma… » dichiarò l’altra, con fare simile a resa, nel riconoscere la propria più semplice impotenza a confronto con la propria amica sororale, quella sorella maggiore che tanto amava e per seguire la quale era stata disposta, al pari di Duva, a lasciare tutto ciò che, un tempo, era stata per lei vita « … ma che senso potrebbe mai avere una simile decisione?! A parte quello di condannarti a una non-vita peggiore di quella di un qualunque zombie della palude di Grykoo, intendo…! »
« Fossi sola, in un posto disabitato e isolato da tutto e da tutti, magari riuscirei a contenere il rischio proprio derivante da questi assurdi poteri di Creazione e di Distruzione… » argomentò quindi ella, giustificando in termini umanitari la propria ipotesi.
« E, quindi, è questo che pensi sarebbe giusto anche per Tagae e Liagu? Per i tuoi figli? » domandò Lys’sh, accettando quella dichiarazione e insistendo proprio a riguardo di ciò « In fondo, non dimenticarlo, anche loro rappresentano un devastante potenziale di distruzione per l’umanità: non per l’intero universo, magari… ma certamente per questo intero pianeta. »
mercoledì 27 maggio 2020
3289
Avventura
063 - Il peso dei propri errori
« Forse dovremmo andarcene tutte a dormire per un po’… e ragionare di nuovo insieme di questo argomento a mente lucida domani mattina. » propose Rín, cercando di dimostrarsi quantomeno pragmatica a confronto con tutto ciò.
« Ricordiamoci solo che abbiamo un paio di giorni, al massimo, da poter spendere qui… » sottolineò Lys’sh, non perdendo di vista il fine ultimo di quel loro viaggio, e di quel viaggio che era stato concepito non tanto per un qualche desiderio di scampagnata in quel di una nuova provincia kofreyota per loro inesplorata al pari della quasi totalità di quel mondo nuovo, quanto e piuttosto a garantire alla loro amica occasione di ricongiungersi alle proprie nipoti, e a quelle nipoti che, pertanto, sarebbe stato abbastanza spiacevole deludere nuovamente, nel mancare all’appuntamento fissato « … poi dobbiamo per forza ripartire, per andare al porto a incontrare le figlie di Nissa. »
« Che bello viaggiare con un gruppo di attendenti… » ironizzò Midda, sorridendo sinceramente divertita per la premura dimostrata dalle sue amiche nello scandirle in maniera così puntuale i propri tempi e le proprie possibilità d’azione « … questa sì che è un’esperienza inedita. »
« Beh… visto che ora sei una regina, è anche sensato che tu abbia il tuo gruppo consiliare. » constatò Duva, piegando appena il capo, nel ben comprendere il senso dell’osservazione sollevata dall’amica e, al tempo stesso, nel decidere di prestarsi a quel giuoco verbale per così come da lei proposto, nell’additare tutte loro, sue amiche, quali sue attendenti « E, per inciso, dovresti anche pagarci… e pagarci molto bene. A meno che tu non voglia apparire come una regina taccagna e perdere di credibilità fra i tuoi pari… »
« … ah, anche?! » esclamò ella, non negando un certo sconcerto a confronto con un approccio così materialistico da parte loro « Cioè… vi sto riconoscendo l’onore di prestare servizio al seguito della potente regina Midda Namile Bontor, Portatrice di Luce e Oscura Mietitrice… e dovrei anche pagarvi?! »
« Ricordo male o eri proprio tu la mercenaria…?! » sorride sorniona l’altra, stringendosi appena fra le spalle « Chi meglio di te potrebbe comprendere il valore del denaro…?! »
« In effetti. » annuì Lys’sh, offrendo ragione all’amica dalla pelle bronzea e dagli occhi dorati.
« Tradimento! » insorse la donna guerriero, elevando un alto e grottescamente enfatico grido di disappunto a confronto con quell’allineamento in sua opposizione « Guardie… arrestatele! Gettatele nelle segrete e che non abbiano più a rivedere la luce del sole…! »
« Quasi quasi, a questo punto, potrei essere disposta a rivedere le mie posizioni nel merito della tua uccisione… » rifletté ad alta voce Duva, inarcando un sopracciglio « Se devi uscire di testa in questo modo, forse potrebbe essere anche un gesto di misericordia nei tuoi riguardi, in effetti. »
« Tradimento! » insistette ancora Midda, trattenendosi a stento dallo scoppiare a ridere per la farsa nella quale era evoluta quella loro conversazione « Guardie… ho cambiato idea! Niente segrete: tagliate direttamente loro la testa! Tagliate loro la testa! »
« Oh, mamma! » scosse il capo Rín, portandosi una mano alla pancia per la tensione che i suoi addominali stavano dolorosamente subendo in conseguenza al continuo ridere a lei imposto « La regina di cuori, no… ti prego! » commentò, in una citazione che nessuna delle proprie interlocutrici avrebbe potuto ovviamente intendere, non conoscendo di certo Lewis Carroll, e, ciò non di meno, non potendo ovviare a denotare quanto, nel proprio incedere volutamente ben sopra le righe, Midda stesse finendo involontariamente per rassomigliare al personaggio in questione.
Forse assurda avrebbe avuto a dover essere giudicata quella deriva totale del discorso che, dalla serietà drammatica iniziale, aveva in tal maniera deviato verso una farsa assoluta, e una farsa così calcata da superare persino il ridicolo e scadere nella follia più totale.
Ciò non di meno, la Figlia di Marr’Mahew, nel ben riconoscere quanto, proprio malgrado, la questione stesse allor finendo per strozzarsi in un budello privo d’uscita, non avrebbe potuto ovviare a impegnarsi in tal senso, e a impegnarsi al fine di garantire alle proprie amiche il ritorno a un clima di quieta serenità dopo le proprie sicuramente gravi ultime affermazioni. Un modo come un altro, quindi, per chiedere loro scusa, e per dimostrare, ancora una volta, quanto ella ci tenesse alle proprie compagne e sorelle, e quelle sorelle alle quali non avrebbe voluto certamente imporre una notte insonne nel timore che, durante il torpore del sonno, ella potesse approfittarne per compiere qualche scelta quantomeno avventata…
Un timore, il loro, a confronto con un’eventualità che difficilmente avrebbe potuto dirsi remota e che, anzi, aveva sovente contraddistinto il proprio modo d’agire a confronto con scelte controverse e discutibili sin dalla propria più tenera età, quando, ancora bambina, ebbe a sfruttare proprio la notte per cercare la propria via di fuga, e la propria via di fuga dall’affetto della propria famiglia, dall’amore dei propri cari, dalla sicurezza del proprio focolare domestico per…
… per cosa?
Per una vita che di certo non avrebbe mai rinnegato nelle proprie scelte. Ma che difficilmente si sarebbe potuta considerare pregna di decisioni azzeccate. Decisioni a confronto con la colpa delle quali, del resto, proprio in quel frangente ella stava spingendosi a invocare persino la morte, a tentare di arginare l’eventualità di uno sviluppo ancor peggiore.
Ma se pur, una simile e intima consapevolezza di sé, avrebbe avuto a doversi intendere necessariamente positiva in un ottica di crescita personale; positiva avrebbe avuto a dover essere intesa, invero, soltanto nel momento in cui l’avesse condotta, nel tempo presente e in quello futuro, a rendere proprie scelte differenti dal passato, e scelte, allor, atte a condurre a risultati speranzosamente inediti e, così, meno caratterizzati da sensi di colpa. Qualcosa, quindi, che avesse a prevedere uno sviluppo inedito rispetto a una qualche fuga di mezzanotte, per così come da lei già ripetutamente e ostinatamente sperimentato in passato. E non qualcosa, altresì, che avesse a veder reiterato, in quel tempo presente, quanto già compiuto in passato…
Purtroppo, benché desiderasse davvero impegnarsi a diventare una persona migliore, ella non avrebbe potuto neppure negarsi di essere, forse, ormai troppo ostinatamente legata ai propri vecchi modi di fare, ai propri vecchi modi di agire, in misura tale per cui, volente o nolente, posta in una situazione di evidente difficoltà, l’unica soluzione che il suo cervello avrebbe potuto elaborare sarebbe stato proprio il reiterare negli errori del passato… e in quegli errori a confronto con i quali, malgrado tutto, ella era ancora viva, del resto!
Per sua fortuna, o per sua sfortuna, a seconda dei punti di vista, ella non era la sola a conoscersi abbastanza bene da sapere di non avere possibilità di cambiare senza un aiuto esterno. Ragione per la quale, a concederle tale aiuto, non mancò di presentarsi, pur non richiesta, l’esotica e serpentina figura di Lys’sh, sopraggiungendole silenziosamente alle spalle nel cuore di quella notte nella quale ella stava sperando di allontanarsi non vista da lì, sussurrandole nell’orecchio…
« … dove pensi di andare?! »
« Thyres! » quasi gridò ella, costringendosi a soffocare poi quel grido in un gemito di spavento a confronto con la voce della propria amica, e quella voce che era stata in grado di raggiungerla senza che ella potesse essere in grado di percepirla, muovendosi con quella discrezione propria degli ofidiani, la specie alla quale ella apparteneva « Stai cercando davvero di uccidermi…?! » domandò poi, con gli occhi fuori dalle orbite per la sorpresa « Nel qual caso ci sono modi migliori rispetto a procurarmi un infarto, sai…?! »
Lys’sh sorrise a confronto con quell’accusa e, muovendosi leggera fino ad affiancarsi a lei, sotto la flebile luce delle stelle, chinò appena il proprio capo a esprimere le proprie scuse.
« Mi dispiace… » sottolineò la giovane donna rettile « … però ero certa che stanotte avresti tentato la fuga, e, questa volta, non desidero permettertelo! E’ un errore su cui ti sei eccessivamente ostinata in questi anni, in un circolo vizioso che, ormai, è ora di interrompere! »
martedì 26 maggio 2020
3288
Avventura
063 - Il peso dei propri errori
« Io credo che sarebbe meglio se voi mi uccideste… »
Parole pronunciate non a cuor leggero, le sue, che avrebbero avuto a doversi intendere più che trasparenti del profondo disagio conseguente a quella situazione, e alle scoperte occorse.
Parole pronunciare non a cuor leggero, le sue, che tuttavia ebbero a veder Duva esplodere in una fragorosa risata, più che esplicita della sua personalissima posizione sull’argomento.
« Non era una battuta la mia… » tentò di evidenziare la donna guerriero, aggrottando la fronte innanzi a quella reazione, e a quella reazione atta a suggerire quanto, da parte sua, potesse esservi stata una qualche volontà di scherzo a favore delle compagne.
« Non importa. » scosse il capo l’altra, smuovendo l’abbondante criniera di sottili treccine « Faceva comunque ridere! »
« Se davvero ho tutto questo potere, se davvero in me vi è la capacità di Creare e di Distruggere a questi livelli… probabilmente la cosa più sensata che voi potreste mai fare sarebbe quella di uccidermi. » ribadì la prima, storcendo le labbra verso il basso « E probabilmente proprio in questa direzione aveva a intendersi l’ultima prova utile per recuperare la corona perduta di Anmel, la stessa prova con la quale mi guadagnai il diritto di succederle: una prova di sacrificio, a verificare se sarei stata disposta a morire per il bene dei miei compagni… »
« Non ho mai offerto particolare credito alle logiche a scoppio ritardato… » minimizzò tuttavia Duva, stringendosi appena fra le spalle « … una cosa o appare immediatamente logica, o non lo diventa tale a posteriori. E l’idea che tu abbia a dover morire e quanto di più illogico potremmo mai ipotizzare… »
« Quindi preferiresti correre il rischio che io abbia a poter distruggere l’intero Creato piuttosto che prevenire tale eventualità…?! »
« Scusami… » intervenne allora Lys’sh, dimostrandosi a propria volta quantomeno titubante a tal riguardo, nel merito delle motivazioni così sostenute dall’amica sororale « … ma non mi è particolarmente chiaro per quale ragione tu dovresti distruggere l’intero Creato. Finora non mi pare che tu abbia mai espresso particolari smanie nichilistiche… »
« A parte che, finora, non ero l’Oscura Mietitrice… » ricordò la donna dagli occhi color del ghiaccio e dai capelli color del fuoco « … ma, oltretutto, non è che non abbia le mie belle responsabilità pregresse in tal senso. Non a caso vi ho chiesto di accompagnarmi fino a qui proprio per tentare di riportare indietro la Biblioteca di Lysiath, dopo che io l’ho distrutta! » sottolineo ella « E, ora, vi prego di non chiedermi di rifare l’elenco di tutte le stragi delle quali mi sono resa più o meno consapevolmente protagonista nel corso degli anni! » incalzò, a tentare di stroncare, sul nascere, l’eventualità di quell’osceno censimento.
« Mettiamola così… » tentò ancora di ragionare la donna rettile, piegando appena il capo di lato « Hai mai fantasticato sull’eventualità di distruggere il mondo…? Di sterminare tutte le creature che lo abitano…? Di porre la parola fine sulla vita per così come la conosciamo…?! »
« Mi sembra un ragionamento francamente ridicolo… » obiettò tuttavia Midda, non condividendo quell’approccio al problema.
« Disse la donna che aveva appena domandato di essere uccisa. » sorride Duva, trattenendosi a stento dall’esplodere nuovamente in una fragorosa risata « Per lo meno concordi con noi sul fatto che sia una questione ridicola… »
« E’ ridicolo partire dal presupposto che solo perché non abbia mai supposto di distruggere un pianeta io non mi potrei ritrovare a farlo in futuro… »
« E’ ridicolo, piuttosto, partire dal presupposto che solo perché in un qualche futuro non meglio definito potresti avere a distruggere un pianeta, allora tu possa meritare la morte. » prese voce Rín, cercando di intervenire a sua volta nella questione « E per quello che può concernere il mio umilissimo punto di vista, negli universi che ho avuto occasione di visitare prima di arrivare qui, e di incontrarvi, non ho mai avuto occasione di incontrare delle tue versioni alternative psicotiche con manie distruttive. »
« Forse perché, nell’infinita varietà propria del multiverso, questo è quell’universo nel quale una Midda perde la testa e distrugge ogni cosa! »
« Oh, cielo! » sospirò Duva, volgendo gli occhi verso le stelle sopra di loro « Ma che ti è preso oggi…? Non è che mi stai entrando in menopausa…?! » la canzonò, non sapendo in quali altri termini giustificare tanta depressione da parte sua.
« Secondo me tu hai fatto male a lasciar perdere l’idea di possedere una spada… » intervenne la donna rettile, offrendosi pensierosa a tal riguardo « E’ questo che ti sta condizionando. E ti sta condizionando nel male ancor prima che nel bene… »
« Cosa intendi dire…? » domandò Rín, anticipando di poco anche la stessa Midda e, probabilmente, persino Duva, con quell’uscita così apparentemente priva di qualche palese riferimento alla situazione corrente.
« Nel senso che tu hai rinunciato a possedere una spada partendo dal presupposto che avendo una spada avresti rischiato di adoperarla e di uccidere qualcuno… ragione per la quale, a minimizzare tale eventuali, hai deciso di non affiancarti più con alcuna arma. » ragionò l’attenta Lys’sh, seguendo il filo logico di quel pensiero « Tuttavia, così facendo, tu sei partita da un presupposto fallace, errato: dall’idea che, soltanto perché possiedi un’arma, tu abbia a doverla utilizzare. E soltanto perché tu non possiedi un’arma, tu non abbia a poter uccidere qualcuno… direttamente o indirettamente. »
« Beh…. » esitò la Figlia di Marr’Mahew, inarcando un sopracciglio « La questione mi pare obiettivamente abbastanza retorica. »
« Certo… » annuì l’altra, con aria quantomeno critica a tal riguardo « Come sarebbe retorico evirare un qualunque uomo in quanto tale, perché qual possessore di un membro potrebbe altrimenti trasformarsi, un giorno, in uno stupratore. » continuò ad annuire, a dimostrare sarcastico sostegno al ragionamento dell’amica, applicandolo a un diverso punto di vista e a un punto di vista che potesse rendere più palese l’assurdità del medesimo.
« Ottimo esempio! » approvò Rín, ridacchiando e accennando un applauso in direzione della donna rettile.
« Che spreco smisurato… » sospirò Duva, scuotendo appena il capo nell’immaginarsi una tanto drastica risoluzione a livello globale « … che poi neppure risolverebbe il problema, giacché certamente troverebbero ugualmente il modo di sfogare i propri desideri malati anche senza più... un’attrezzatura adeguata. »
« Probabile… » confermò Lys’sh, non escludendo simile eventualità.
« Credo che stiate un po’ travisando la situazione… » tentò di controbattere Midda, salvo poi lasciar sfumare la propria replica nel nulla, nella consapevolezza di quanto, alla fine, quel discorso non avrebbe mai portato a un qualche risultato utile… non, quantomeno, nella direzione propria di quanto da lei desiderato.
E se pur, in quel frangente, la fedeltà, l’amicizia, l’affetto proprio delle sue amiche sororali non avrebbe dovuto mancare di compiacerla, ritrovandola ben felice di quanto esse non avessero a potersi fraintendere desiderose di accontentarla nel proprio desiderio suicida; una parte di lei non poté mancare di riconoscersi quantomeno insoddisfatta per la mancanza di attenzione, di ascolto, che esse le stavano riservando, banalizzando la questione in una maniera così superficiale in misura tale da offenderla a confronto con tutto ciò. In fondo ella non avrebbe avuto a doversi fraintendere qual una mera invasata improvvisamente impazzita e, in ciò, desiderosa di morire: ella era ben attaccata alla propria vita… e in virtù di simile attaccamento, ella non avrebbe potuto mancare di desiderare di morire, se non per il proprio bene, quantomeno per quello delle persone a lei più care, fra le quali sarebbero dovute essere annoverate anche quelle medesime amiche.
lunedì 25 maggio 2020
3287
Avventura
063 - Il peso dei propri errori
Trascorse la notte, e il giorno successivo, prima che Midda Bontor decidesse di affrontare il discorso con le proprie amiche, e il discorso nel merito di quanto era accaduto.
Non che ella desiderasse tagliarle fuori, non che ella avesse volontà di isolarsi da loro e di non aver a condividere le proprie impressioni, i propri pensieri, le proprie emozioni a tal riguardo con loro: tuttavia, prima di poter ipotizzare di avere a confrontarsi con chiunque nel merito di quanto accaduto, ella avrebbe dovuto necessariamente chiarirsi le idee internamente, autonomamente, formando un’impressione, un pensiero, un’emozione da porre poi al centro del metaforico tavolo con esse.
Quanto suggerito da secondo-fra-tre, in effetti, non avrebbe avuto a dover essere inteso poca cosa… anzi.
Innanzitutto, elevare la figura della Portatrice di Luce e dell’Oscura Mietitrice a un rango divino, e a un rango di dea della Creazione e della Distruzione, avrebbe avuto a non doversi intendere in senso stretto qual una banalità.
Certo: ella aveva già sentito molteplici riferimenti, in tal senso, tanto dalla fenice, quanto dalla stessa Anmel Mal Toise, prima della loro fusione, della sua accettazione del di lei retaggio. Ciò non di meno, un conto avrebbe avuto a intendersi un’indefinita elucubrazione su qualche straordinaria responsabilità in una sorta di costante disfida fra tali contrapposti principi alla base dell’equilibro stesso dell’universo, per non dire del multiverso, e un altro conto sarebbe stato andare a confrontarsi con la concretezza pratica di quanto ciò avrebbe potuto significare. Una concretezza pratica che, in quello specifico frangente, stava quindi proponendo una parte, non meglio definita nella propria integrità, delle creature mitologiche esistenti nel suo mondo, e di quelle creature mitologiche in contrapposizione alle quali ella spesso si era anche schierata, quali frutto non dell’opera di un qualche capriccio divino, quanto e piuttosto dello specifico capriccio, pseudo-divino, della propria predecessora. Un capriccio utile, nella fattispecie, persino a generare, a quanto dichiarato dal vicario, quella stessa progenie aracnide in contrapposizione alla quale ella si era ritrovata a combattere all’interno della Biblioteca, e per sfuggire alla quale, sciaguratamente, aveva dato fuoco alla Biblioteca stessa.
Certo: ella, nel proprio piccolo, si era già impegnata in qualcosa di idealmente assimilabile, sfruttando i poteri propri del tempo del sogno, e del vicario, nonché anche quelli di Rín, per avere addirittura a generare un intero nuovo universo, e un universo da destinarsi a ospitare i Progenitori, e quei Progenitori che ella stessa aveva riportato in vita per tal scopo, sempre in grazia a quanto sopra. Tuttavia, e malgrado il divino miracolo del quale, a modo proprio, si era resa in tal maniera protagonista, ella non avrebbe potuto in alcuna maniera avere a porsi in confronto con una qualsivoglia dea Creatrice. Del resto, quanto aveva fatto, era stato più che altro sfruttare e coordinare fra loro poteri esterni ai propri, ancor misconosciuti, per dar vita a tutto ciò, traendolo direttamente dalle memorie dell’unico Progenitore ancora in vita. Non una vera opera di Creazione, quindi, quanto e piuttosto una sorta di modesta e limitata imitazione di Creazione, e una Creazione che nulla di nuovo avrebbe realmente aggiunto nell’universo, tentando solo di restaurare quanto prima perduto, in un discorso non dissimile da quello che, sfruttando le medesime risorse, ella non avrebbe disdegnato di ripetere tanto per la Biblioteca stessa, quant’anche, e addirittura, per la propria perduta gemella Nissa.
Quanto, però, in tutto ciò, il vicario aveva suggerito, aveva testimoniato, avrebbe avuto a doversi intendere decisamente a un livello più elevato.
In accordo alle parole di secondo-fra-tre, Anmel Mal Toise era stata, ripetutamente e consciamente, in grado di plasmare nuova vita, e soprattutto nuove forme di vita, direttamente traendo dalla propria fantasia, dalla propria immaginazione, e generando, in tutto ciò, non qualcosa di semplice o, magari, di inanimato, ma, addirittura, delle vere e proprie coscienze. E delle coscienze che, alla propria creatrice, erano sopravvissute per secoli, millenni addirittura, riproducendosi, moltiplicandosi, al pari di qualunque altra creatura.
Ovviamente secondo-fra-tre avrebbe potuto mentire: invero Midda non si sentiva di considerarla un’ipotesi sensata, non nel vincolo di obbedienza che sembrava legare i vicari alla sovrana, e un vincolo di obbedienza in virtù del quale, in quello specifico frangente, il vicario si sarebbe ritrovato legato a lei. Ciò non di meno, egli avrebbe potuto mentire e, in questo, quanto da lui dichiarato non avrebbe avuto a dover essere accolto necessariamente qual verità, e qual verità assoluta. Tuttavia, quella particolare verità, avrebbe avuto a potersi intendere sufficientemente comprovata dai fatti… e da alcuni fatti che, soprattutto alla luce della propria recente esperienza siderale, avrebbero altrimenti reso quantomeno anomala la realtà propria del loro mondo, a confronto con quella di ogni altro mondo dell’universo che ella aveva esplorato. Una realtà anomala nella misura in cui, nel suo mondo, nel suo pianeta natale, sembravano sussistere una varietà a dir poco straordinaria di forme di vita e, soprattutto, di forme di vita evolute, in grado addirittura di comunicare in maniera intellegibile fra loro, per così come, ultimo e più banale esempio, la donna ragno avrebbe avuto a dover essere riconosciuta essere.
Entro certi versi, in effetti, sembrava persino che tutta la più straordinaria varietà propria dell’universo potesse trovare una zona di raccordo entro i piccoli e limitati confini del proprio mondo, e di quel mondo, tuttavia, posto a distanza sì elevata dal resto delle civiltà a confronto con le quali ella si era ritrovata a essere negli anni di peregrinaggio stellare. E se, tanta varietà, nelle loro mitologie, avrebbe trovato giustificazione in un altrettanto variegata pletora di divinità, numerosi pantheon fra loro coesistenti e concorrenti, in misura tale da poter attribuire ognuna di quelle creature a un diverso dio o dea, e alle sue peculiari caratteristiche; nel confronto con uno scenario più amplio, e lo scenario che ella aveva avuto occasione di esplorare al di fuori dei confini del proprio pianeta, difficilmente sensato avrebbe avuto a poter essere giudicato un qualunque genere di appello a ragioni di fede e a ragioni di fede a confronto con le quali, allora, sarebbe venuto a mancare un qualunque senso nella meno incredibile eterogeneità propria del resto del Creato.
Un potere decisamente più straordinario di quanto ella avrebbe mai potuto immaginare, a confronto con il quale non avrebbe potuto ovviare a provare, necessariamente, un certo, intimo timore. E un certo, intimo timore conseguente a una chiara mancanza di fiducia in se stessa. E una chiara mancanza di fiducia in se stessa non in virtù di qualche particolare modestia psicologica, quanto e piuttosto in virtù della quieta consapevolezza dei propri errori, e di quegli errori che ella, nel corso della propria vita, non aveva mancato di commettere, sovente mascherati da decisioni intraprese con eccessiva leggerezza, e decisioni in conseguenza alle quali veri e propri massacri erano conseguiti.
Quanti morti, in maniera diretta o indiretta, avrebbero avuto a dove esserle attribuiti già e soltanto come semplice donna mortale…? Impossibile a dirsi, in un quantitativo tanto elevato da sconvolgere il raziocinio di chiunque mai avrebbe potuto tentare di impegnarsi in un simile censimento. E se un quantitativo tanto elevato di morti avrebbe avuto a doverle essere imputato, direttamente o indirettamente, come semplice donna mortale… a quali folli vette ella avrebbe, più o meno consapevolmente, potuto sospingersi nelle proprie nuove vesti di regina, di Portatrice di Luce e di Oscura Mietitrice…?
Se realmente suo era il potere di Creare e di Distruggere, e di Creare e di Distruggere con tanta banalità, una persona con il suo pregresso avrebbe avuto probabilmente a dover essere intesa qual potenziale minaccia per la sopravvivenza stessa dell’intero universo, se non addirittura del multiverso, in una misura a confronto con la quale alcuna Anmel avrebbe mai potuto vantare di essersi sospinta…
… nulla di cui essere fiera.
Così, quando ella, alla sera successiva, ebbe a cercare un contatto con le proprie amiche, dopo quella giornata di intima analisi della situazione, il risultato a cui avrebbe potuto vantare di essere giunta non avrebbe avuto a poter entusiasmare alcuna di loro: non Duva, non Lys’sh, e neppure Rín.
domenica 24 maggio 2020
3286
Avventura
063 - Il peso dei propri errori
Per quanto quelle parole ebbero a risuonare allora estremamente chiare nell’aria, squisitamente definite nel loro quieto incedere, Midda Bontor e le sue amiche, e forse persino la regina dei ragni, non parvero essere immediatamente in grado di elaborarle, nell’assurda realtà che esse desideravano allora suggerire. E un necessario momento di silenzio ebbe così a calare su di loro, nel mentre in cui si impegnavano a scendere a patti con tutto ciò.
« Aspetta un attimo… » esitò l’Ucciditrice di Dei, aggrottando appena la fronte, con necessaria incredulità a confronto con tutto ciò « … puoi ripetere quello che hai appena detto…? »
« Ho detto che la tua misericordiosa benevolenza verso queste parodie di vita è lodevole, mia sovrana. Denota la tua forza d’animo, nel non voler dispensare gratuitamente morte neppure fra coloro immeritevoli della vita. » confermò quietamente secondo-fra-tre, chinando appena il capo.
« Immeritevoli della vita…? » non poté ovviare a prendere voce la regina dei ragni, superando la propria inibizione iniziale nei confronto di quello spettro, o qualunque cosa esso fosse, per intervenire a difesa propria e dei propri uomini « Chi credi di essere, tu, o spirito, per poter discriminare quali creature siano degne o indegne dell’esistenza…?! »
E se, in buona sostanza, quasi paradossale avrebbe avuto a dover essere intesa quell’osservazione da parte di chi già dimostratasi sol animata dal desiderio di uccidere, e di uccidere gratuitamente chiunque considerato qual proprio avversario, e, in ciò, chiunque e basta, tutti considerando quali propri avversari; quell’argomentazione non poté essere giudicata del tutto priva di fondamento… al contrario. L’assennatezza propria di quella replica non poté che lasciare sorpresa tanto Midda, quanto le sue amiche, ma ancor più Midda, e Midda che quella regina aveva già affrontato una volta, giudicandola, sicuramente complice il suo mostruoso e ripugnane aspetto, nulla di più di una bestia sol meritevole di essere uccisa prima che avesse a ucciderli e ucciderli tutti.
Così, per un istante, ella spostò il proprio sguardo al vicario all’avversaria, e poi ancora al vicario, in un teso temporeggiare che ebbe a sciogliere ogni riserba di lì a qualche momento dopo, nell’attimo in cui ella decise di riprendere voce nel silenzio che allor era conseguito alla dichiarazione della donna ragno, e a quella dichiarazione che, evidentemente, non dove essere stata riconosciuta degna della benché minima possibilità di replica da parte dello stesso secondo-fra-tre, rimasto impassibile quasi ella non avesse neppure avuto a prendere voce.
« Cosa intendevi dire suggerendo che la loro esistenza non fosse realmente tale…? » questionò ella, cercando di meglio esplicitare il senso del proprio interrogativo « Perché dici che queste creature sono state plasmate dalla fantasia della mia predecessora…?! »
« Perché è esattamente ciò che è occorso. » sorrise egli, divertito da quel dubbio, e da quel dubbio così apparentemente privo di senso alla sua attenzione « Questi esseri, o, per meglio dire, i loro corrispettivi esistenti nel tuo mondo, sono stati plasmati dalla fantasia della regina Anmel Mal Toise, l’Oscura Mietitrice prima di te. » si strinse nelle spalle, a minimizzare il senso della propria frase, per quanto assolutamente sconvolgente essa avrebbe avuto a doversi intendere « E come loro, la maggior parte delle creature più straordinarie sparse per il tuo intero mondo sono opera dell’estro creativo della tua predecessora… o davvero credevi che certe oscenità potessero essere nate dal nulla?! » commentò, con un tono che, ora, parve voler esplicitamente canzonare la propria sovrana, tono per il quale egli stesso ebbe subito a pentirsi, invocandone il perdono « Ovviamente non è mia intenzione, mia signora, farmi beffe di te. Ti domando perdono se il tuo umile servo può averti mancato di rispetto… e sono pronto ad accettare qualunque punizione tu vorrai impormi a espiazione della mia colpa. »
« Nessuna offesa. » scosse il capo ella, in quel frangente decisamente più interessata alla follia di quanto egli stava così suggerendo che a qualunque possibile opportunità di fraintendimento attorno alle sue parole « Però… vuoi davvero suggerirmi che queste creature non siano naturali…?! »
« Oh… no. » scosse il capo secondo-fra-tre, a negare fermamente tale interpretazione « Non vi potrebbe essere nulla di più naturale in loro. Così come in qualunque altro essere vivente… dopotutto la Portatrice di Luce e l’Oscura Mietitrice sono a fondamento stesso della natura e dei suoi equilibri. La Creazione e la Distruzione, l’origine e la fine di ogni cosa: quale altro concetto, meglio di questo, potrebbe definirsi naturale…?! »
« Quello che state dicendo non ha senso! » protestò la donna ragno, ancor palesemente turbata da quel discorso e da quanto, in esso, stava venendo suggerito « Come potete dire che noi siamo stati creati e non generati? Come potete sostenere che la nostra vita non sia degna di essere considerata tale…?! »
« Tacete… » sbuffò con aria indispettita il vicario, storcendo appena le labbra e lasciando avvolgere dalla propria nebbia quella fastidiosa interlocutrice e tutto il suo seguito, facendoli sparire nel nulla.
« Bob! » gemette Rín, a confronto con quella scelta arbitraria da parte sua, e una scelta che avrebbe potuto suggerire il peggio.
« Ti avevo detto di non far loro del male! » intervenne la Figlia di Marr’Mahew, sgranando gli occhi a confronto con tutto ciò.
« E questo umile servo ha rispettato il tuo volere, mia regina. » chinò egli il capo « Ciò non di meno, continuare a sentire quel tono lamentoso in sovrapposizione alle nostre voci stava iniziando a disturbarmi… e così mi sono riservato l’opportunità di agire secondo i tuoi voleri anche in assenza di una nuova, esplicita, richiesta in tal senso. »
Midda era confusa. Era molto confusa. E Duva e Lys’sh, accanto a lei, non sapevano realmente cosa poter pensare, in che modo potersi esprimere per poterle essere d’aiuto, esulando, tutto ciò, dalla loro quieta possibilità di gestione.
Che i poteri della Portatrice di Luce e dell’Oscura Mietitrice avessero un che di divino, o forse persino superiore al divino stesso, era stato un implicito sempre presente a margine di tutto il discorso della regina Anmel Mal Toise. Ma che ciò avesse a significare che al mondo potessero esistere creature tali in conseguenza ai capricci della stessa avrebbe avuto a spingere, improvvisamente, il tutto a un livello superiore, abbandonando l’indefinitezza di un’ambigua definizione in favore della concretezza della verità, e di una verità non facile da comprendere o elaborare.
Midda aveva bisogno di tempo per riflettere attorno a tutto ciò. E, così, per come la Biblioteca era apparsa attorno a loro, essa scomparve, vedendo le quattro compagne restare al cospetto del vicario nel neutro nulla caratteristico del tempo del sogno. Una scelta, quella allor da lei compiuta, che non avrebbe avuto a poter essere interpretata in molti altri modi dalle altre donne se non qual evidenza del fatto che non fosse, allor, più suo interesse proseguire in quella direzione, almeno per il momento…
« Rín… puoi riportarci a casa…? » domandò la donna guerriero, palesemente pensierosa, confermando in ciò il desiderio di abbandonare la faccenda, almeno per il momento « Credo che sia meglio per noi avere a riordinarci un attimo le idee prima di mettere in atto un qualunque piano d’azione… »
« Sì, certo. » annuì l’altra, preparandosi al ritorno alla realtà.
« La mia signora desidera altro…? » la interrogò secondo-fra-tre, piegando appena il capo di lato.
« Non per il momento, grazie. » minimizzò ella, congedandolo, quindi, con un cenno della mano « E’ possibile, comunque, che si abbia a tornare prima di quanto tu possa credere… »
« Entro questi confini, prima e dopo non hanno particolare significato. » sorrise egli, stringendosi fra le spalle « Quando vorrai, sarò qui in attesa dei tuoi comandi. » concluse, prima di scomparire anch’egli, nella propria nebbia e con la propria nebbia, per così come era pocanzi apparso.
sabato 23 maggio 2020
3285
Avventura
063 - Il peso dei propri errori
… e una regina che, pertanto, avrebbe avuto i propri campioni da schierare all’occorrenza, allorché sporcarsi personalmente le mani per qualunque banalità di sorta, qual, a modo proprio, anche quella avrebbe avuto a poter essere intesa.
« Vicario! » esclamò quindi ella, invocando l’attenzione di quella creatura antica e misteriosa, probabilmente di molto antecedente persino alla stessa Anmel Mal Toise, e nel merito del quale ben poco avrebbe potuto vantare di conoscere o di comprendere, ma che, in grazia al proprio attuale stato, al retaggio proprio della succeditrice dell’ultima regina e, quindi, regina a propria volta, avrebbe avuto a doverle offrire ascolto e, ancor più, ubbidienza.
Fu questione di un istante e una nuova, strana nebbia fece la propria apparizione questa volta non a negare l’immagine della Biblioteca attorno a loro, né dei loro nemici, quanto e piuttosto ad aggiungersi a essa, anticipando di poco l’ingresso in scena della sempre inquietante figura di secondo-fra-tre… Bob, come si era divertita a ribattezzarlo Nóirín.
Non un corpo, quanto e piuttosto una porzione di corpo. Non una figura, quanto e piuttosto una parte di una figura, avrebbe avuto a dover essere intesa quella propria del vicario. Un torso indefinito e indefinibile sotto molti punti di vista, a partire dalla sua età, al contempo apparentemente giovane e, ciò non di meno, palesemente anziano, sino a proseguire con il suo stesso genere sessuale, uomo o forse donna, impossibile a dirsi nelle sue proporzioni e nelle sue forme, nel suo volto o in qualunque altro dettaglio, così incredibilmente neutro da poter suggerire tutto e il contrario di tutto, da poter ipotizzare qualunque realtà e al tempo stesso nessuna, in nulla offrendo evidenza di sorta, laddove, del resto, tale era soltanto un torso, un busto, privo di fianchi, privo di pube o genitali, privo di gambe o di piedi e, addirittura, persino privo di mani. E se inquietante avrebbe obiettivamente avuto a dover essere inteso quel corpo glabro e privo di capelli, sospeso nel vuoto innanzi a loro, in quella nebbia sicuramente non priva di una propria malefica aura; non più rassicurante avrebbe avuto a dover essere intesa la sua voce, e quella voce che, al parti di tutto il resto, si proponeva ambigua, suggerendo qualunque possibile interpretazione e, obiettivamente, nessuna di esse…
« Mia regina. » omaggiò egli, o ella, che dir si volesse, accennando un lieve inchino al cospetto dell’Oscura Mietitrice o, quantomeno, di colei destinata a ricoprire tal ruolo « Che piacere inatteso il tuo ritorno in questa dimensione. » proclamò, con un tono che avrebbe anche potuto essere sincero, ma che difficile sarebbe stato a poter essere in tal maniera giudicato nell’estrema neutralità di tutto quell’insieme, e, in questo, persino dell’inflessione della sua voce o delle espressioni del suo volto, a confronto con le quali simile asserzione avrebbe potuto al contempo risultare una sincera manifestazione di rispetto al cospetto della propria regina, così come una sorta di sardonica presa per i fondelli della medesima, per quanto improprio ciò avrebbe avuto necessariamente a doversi intendere da parte sua.
A confronto con l’apparizione di quella nuova figura, e quella nuova, strana figura, i ragni si arrestarono necessariamente disorientati e persino la loro sovrana parve interdetta, non riuscendo a definire in quali termini avere a gestire quella che, sicuramente, avrebbe avuto a dover essere intesa qual una nuova minaccia a loro discapito e, ciò non di meno, una minaccia obiettivamente inconsueta rispetto al solito.
Che diamine era quella creatura? Sembrava umano ma non avrebbe potuto essere umano. Non nel senso più consueto del termine, quantomeno. Ma non fosse stato un umano come avrebbe avuto a dover essere considerato? Forse uno spirito…?!
« Ovviamente non sono qui in visita di piacere… » sottolineò per tutta risposta la donna guerriero così apostrofata dal nuovo arrivato, e apostrofata allor nel proprio ruolo, nel proprio nuovo ruolo di regina, per così come egli l’aveva non a caso appena identificata senza pur la minima esitazione, senza la più fugace incertezza « Tuttavia, prima ancora di parlare con te, avrei necessità che tu ci possa liberare di queste creature, qui rievocate per errore… »
« Lì annienterò per te, mia regina. » proclamò con audacia Bob, in un’affermazione che probabilmente non avrebbe avuto a doversi fraintendere in alcuna maniera qual gratuita « Estinguerò loro, e ogni loro incarnazione, dal Creato… da ogni Creato, affinché nulla, in tanto orrore, abbia ancora a disturbarti… »
E se, per un istante, Rín si dimostrò prossima a intervenire nella questione, non volendo certamente restare in quieta disparte nel confronto con un’opera tanto drastica, in quell’assurda prospettiva di genocidio pan-dimensionale, fu ancor la Figlia di Marr’Mahew a riprendere voce in risposta al proprio vicario, invocando da parte sua un approccio decisamente più moderato di quello che stava allor proponendo.
« Non desidero nulla di tutto ciò, secondo-fra-tre. » negò quindi la mercenaria dai capelli color del fuoco e dagli occhi color del ghiaccio, escludendo qualcosa di simile « Per così come li ho evocati, lascia che ritornino a… boh… qualunque limbo primigenio nel quale tutto sussiste e niente è entro i confini di questa folle dimensione. »
A margine di tutto quello, la donna ragno si ritrovò non soltanto ad ascoltare quella bizzarra condanna che stava allor venendo scandita a discapito suo e del suo popolo, quanto e anche a restare, in tutto ciò, necessariamente attonita, fosse anche e soltanto per la banalità con la quale, lì, in quel frangente, lei e i suoi figli, fratelli e sorelle, stavano lì venendo così trascurati nella propria tutt’altro che ideale minaccia.
Un deciso livello di confuso disorientamento, il loro, che non avrebbe potuto ovviare a estendersi anche a tutti gli altri presenti, con particolare attenzione a Duva e Lys’sh, tutt’altro che abituate all’idea di veder la propria amica contrattare con tanta semplicità con Bob o con una qualunque altra creatura suo pari, definendo come fosse la questione più banale del mondo la sopravvivenza o l’estinzione dei loro avversari. Forse anche l’altra Anmel, quando tempo addietro aveva scatenato in loro contrasto il proprio secondo-fra-tre, era partita da un dialogo non poi così diverso. E un dialogo nel quale, quindi, la loro estinzione non soltanto dal mondo dei vivi, ma, e ancor più, da ogni mondo, era stata quindi sancita con la semplicità propria di un mero capriccio infantile.
Tale, quindi, era il potere dell’Oscura Mietitrice? O, per meglio dire, una parte del suo potere, e di un potere che, lì, ella avrebbe avuto a manifestare neanche in maniera diretta quanto e piuttosto per interposta persona, per tramite del proprio vicario…?
E se tale, quindi, era una parte del potere dell’Oscura Mietitrice, in quale misura avrebbe mai avuto a doversi intendere la sua pienezza? Sarebbe mai stato qualcosa di gestibile dalla loro amica, o, piuttosto, avrebbe finito per dominarla, per corromperla, per così come, palesemente, ella stava temendo potesse accadere al punto tale da volersi inibire qualunque incedere nella violenza…?!
« La tua misericordiosa premura per l’esistenza di questi esseri è lodevole, mia sovrana. E degna della potente e illuminata regina che tu sei. » dichiarò allora secondo-fra-tre, sempre contraddistinto da quella criptica ambiguità tale per cui quella frase avrebbe potuto intendere, al contempo, quanto sembrava desiderosa di esprimere e, anche, il suo esatto opposto « Ciò non di meno, davvero desideri concedere misericordia a queste grottesche parodie di vita, per così come plasmate dalla fantasia della tua predecessora? » questionò dubbioso « Personalmente non sono neppure sicuro di poterle definire realmente vita… » puntualizzò, palesemente critico, e critico in maniera quasi sprezzante, a tal riguardo.
venerdì 22 maggio 2020
3284
Avventura
063 - Il peso dei propri errori
« L’ultima volta hanno finito per rotolarsi insieme sul pavimento come due cuccioli… » sospirò la giovane donna rettile, stringendosi appena fra le spalle e alzando le mani, con i palmi verso il cielo, a dimostrare tutta la propria più quieta impossibilità ad agire per arginare in qualunque modo la situazione.
« Speriamo bene per questa volta… » commentò quindi l’altra, storcendo appena le labbra in segno di preoccupata insoddisfazione « … non dimentichiamo che il tempo del sogno è sempre incredibilmente sensibile a ogni genere di stimolazione emotiva. E non vorrei che, in questo loro battibeccare, potessero far comparire in scena qualcosa di inatteso… »
Difficilmente una frase, nella storia delle ultime parole famose, avrebbe mai potuto vantare un tempismo pari a quanto, allora, quell’ultima ebbe a dimostrare in quel frangente.
Perché, forse in conseguenza al battibecco, o forse no, difficile a dirsi, qualcosa attrasse il finissimo udito della stessa Lys’sh, la quale fu costretta a voltarsi di scatto, potendo giurare di aver colto qualcosa muoversi attorno a loro, benché in maniera estremamente delicata, leggera, eterea quasi.
« Che accade…?! » domandò quindi Rín, non avendo di certo mancato di cogliere quella reazione, e quella reazione a confronto con la quale non avrebbe potuto mancare di porsi necessariamente allarmata a confronto con quel pur ignoto ambiente circostante.
« Non siamo sole… »
E sebbene Midda e Duva stessero ancor proseguendo nel proprio scherzoso litigio, in un crescendo di sfide reciproche, il fugace dialogo fra Rín e Lys’sh non ebbe a passare loro inosservato. Anzi. E così come avevano iniziato a discutere, entrambe si interruppero di colpo, volgendo in ciò ogni attenzione all’amica nel ben sapere di non potersi permettere di banalizzare un qualunque segnale di allarme da parte sua.
Così fu solo in grazia ai sensi di Lys’sh, e all’immediata attenzione che le sue amiche ebbero fiduciosamente a rivolgerle, che quella che avrebbe avuto a dover essere un’imboscata riuscì a non imporsi sì gravemente per così come avrebbe potuto occorrere.
Perché, di lì a un battito di ciglia dopo, la sala si ritrovò improvvisamente gremita di ragni, dozzine di ragni di varie dimensioni, da quelle proprie di un gatto a quelle proprie di un cavallo, ragni pelosi e palesemente tutt’altro che animati da buone intenzioni, a capo dei quali, ancora una volta come già in passato, la loro regina, un osceno ibrido fra una donna e un ragno…
« Uccidetele! » comandò la regina, incitando la propria numerosa compagine ad attaccare quelle donne, e a ricercarne il sangue e la morte senza remora alcuna « Uccidetele tutte! »
Una tutt’altro che incredibile sensazione di déjà vu, quella così imposta alla Figlia di Marr’Mahew, nel confronto con una scena che non sarebbe potuto sembrare uscire dai suoi ricordi… ma che, a tutti gli effetti, avrebbe avuto a doversi lì riconoscer qual uscita, direttamente, dai suoi ricordi in conseguenza alle peculiari caratteristiche di quel luogo, di quella dimensione primigenia. E laddove, pur, l’idea che tutto ciò altro non avesse a derivare se non da un ricordo, avrebbe avuto, forse, a potersi fraintendere qual priva di particolare possibilità di valore o di pericolo, una tale considerazione sarebbe stata pericolosamente errata, laddove entro i confini propri del tempo del sogno, troppo facile sarebbe stato, anche e soltanto per un semplice ricordo, avere a uccidere il proprio proprietario.
« Dannazione… » gemette quindi ella, portando d’istinto la mancina al fianco destro, là dove un tempo avrebbe avuto a dover essere identificata la sua lama, e là dove, al contrario, ormai non era presente più nulla, in conseguenza a una chiara e definita decisione, da parte sua, di avere a ovviare all’uso delle armi nei propri scontri, non desiderando rischiare, più o meno involontariamente, di causare altri morti, altre vittime, e vittime che, unendosi al già sterminato annovero delle proprie colpe, l’avrebbe sempre più precipitata verso la sorte propria dell’Oscura Mietitrice altresì che in favore di quella della Portatrice di Luce, e pur una chiara e definita decisione nel merito della quale, in quel particolare frangente, non avrebbe potuto ovviare a rimproverarsi « … doppia dannazione! »
« Questa volta non chiedi chi li abbia evocati…?! » ironizzò Duva, aggrottando la fronte e, ciò non di meno, subito schierandosi innanzi all’amica, pronta a combattere anche per lei con la propria spada, con la lama che, altresì, ella reggeva già saldamente in pugno, e nel pugno della propria destra « Magari siamo state Lys’sh o io anche ora. » commentò, in un’eventualità non soltanto improbabile, ma addirittura impossibile, essendo, fra loro quattro, soltanto Midda la sola ad aver mai avuto passata occasione di confronto con quelle creature.
Anche Rín, di per sé, non avrebbe potuto vantare al proprio fianco alcuna particolare arma, ancor decisamente troppo poco confidente con tecniche di lotta e di lotta con armi bianche, per potersi permettere di affiancarsi a una qualche arma di sorta, e un’arma in grazia alla quale, allora, avrebbe avuto a rischiare di imporsi persino più danno rispetto a qualunque antagonista. Ma, per quanto, allora, non avesse seco alcuna arma, fra le sue mani non mancò di manifestarsi, improvvisamente, un cannoncino al plasma, imitazione di quelli che aveva veduto e utilizzato nel corso della propria fugace parantesi siderale al fianco di quelle stesse amiche: un cannoncino che, riemergendo dai suoi ricordi e in grazia della sua volontà, ella non esitò a sollevare in direzione dei ragni, pronta ad aprire il fuoco.
Ma, accanto a lei, fu Lys’sh a intervenire per invitarla prontamente ad abbassare l’arma, laddove già nel corso della loro ultima esperienza nel tempo del sogno, Midda Bontor aveva espresso il desiderio di ovviare a uccisioni gratuite a discapito di chicchessia, ancor troppo poco confidenti con le regole proprie del tempo del sogno per non avere a escludere qualche ripercussione anche in altre dimensioni, fosse anche e soltanto attaccando delle semplici ombre del passato, come in quel frangente.
« Un’arma al plasma è un po’ eccessiva… » sottolineò la giovane donna rettile, aggrottando la fronte con aria perplessa « … magari è meglio un cannoncino sonico, no?! » propose, andando a rievocare, nell’altra propria mano, quanto così suggerito, e quanto così suggerito in termini decisamente meno drastici rispetto all’alternativa inizialmente proposta.
Del resto, dettato sgradevolmente chiaro fin dalla loro prima avventura lì, avrebbe avuto a doversi intendere quanto morire entro il tempo del sogno avrebbe avuto a corrispondere non soltanto a una morte anche nella realtà, quanto e ancor peggio a una completa estinzione da qualunque realtà, da qualunque spazio e da qualunque tempo, tale per cui, improvvisamente, una persona non avrebbe semplicemente cessato di essere ma, peggio, non sarebbe mai esistita. E per quanto, allora, simile principio non avrebbe avuto a dover essere necessariamente automaticamente esteso a quanto, allorché essere lì presente di propria iniziativa, fosse stato lì rievocato in grazia di qualche ricordo, ancor troppa incertezza, ancor troppi dubbi avrebbero avuto a dover essere obiettivamente presi in considerazione, in termini tali per cui, allora, sarebbe sicuramente stato meglio procedere con maggiore cautela onde evitare qualche inatteso danno collaterale.
Ma a margine di quella lotta, e di quella battaglia che, in tal maniera, non sembrava poter essere ovviata nella propria occorrenza, Midda Bontor ebbe a imporsi di non perdere ulteriormente il controllo della situazione, per così come ovviamente doveva aver già fatto nel portare lì anche i ragni di quella tragica notte. E, in questo, decise di impegnarsi ad agire non come la donna guerriero che era da sempre stata, come la straordinaria e indomabile combattente che più di un mondo aveva imparato a conoscere, quanto e piuttosto qual la regina che era di recente divenuta…
giovedì 21 maggio 2020
3283
Avventura
063 - Il peso dei propri errori
Che l’architettura tranitha avesse a vantare proprie caratteristiche peculiari, anche Duva, Lys’sh e Rín avevano avuto già occasione di comprenderlo, anche e soltanto nel varcare i confini propri della provincia di Lysiath, e di quella provincia che, in fondo, non aveva ancora completamente dimenticato le proprie origini, il proprio retaggio storico. In questo, a differenza della squadrata regolarità propria delle costruzioni kofreyote, un edificio tranitha avrebbe potuto vantare una sorta di quieto impegno a tentare di svilupparsi in maniera naturale, quasi come ci si sarebbe potuti attendere da una pianta, o da un frutto, non sorgendo improvvisamente, quanto e piuttosto crescendo, attraverso strati successivi, attraverso nuove mirabili diramazioni, il tutto riccamente adornato da una deliziosa e sempre inedita copertura smaltata che, con caratteristiche non dissimili da quelle proprie di un mosaico, non avrebbe mancato di risplendere in mille tonalità diverse a confronto con la luce del sole.
Cosa, tuttavia, tale architettura, già tanto particolare e complessa nei proprie esterni, avrebbe mai potuto implicare nei propri interni, difficile sarebbe stato a immaginarsi per chiunque fra loro, non avendo avuto passata occasione di porsi a confronto con nulla del genere. Ragione per la quale quando, all’improvviso, dall’interno della sala mensa della Kasta Hamina ebbero a ritrovarsi proiettate all’interno della Biblioteca di Lysiath, per così come rievocata dai ricordi della loro amica, ineluttabile non poté che essere il disorientamento, e il disorientamento innanzi all’assurda e labirintica struttura nella quale, allora, ebbero a scoprirsi.
Concepita in forme e dimensioni non dissimili da quelle che avrebbero potuto essere proprie per uno straordinario tempio dedicato al dio di tutti gli dei o, ancor di più, da un incredibile palazzo reale proprio del re di tutti i re, quel santuario della cultura sembrava voler sfidare, con le proprie forme così naturali e, al tempo stesso, così aliene, ogni umana possibilità di intendimento della tridimensionalità, accavallando stanze una sopra l’altra, una dentro l’altra, in maniera confusa, disordinata, caotica, esplicitamente negando ogni qualunque speranza di orientamento fisico in termini tali per cui, forse, persino il tempo del sogno avrebbe avuto di che potersi considerare geloso. Impossibile sarebbe stato, per chiunque, poter vantare di comprendere quel palazzo. Impossibile sarebbe stato, per chiunque, poter sperare di mappare quel palazzo. Eppure quel palazzo era, lì davanti a loro, innanzi ai loro occhi, rievocato nel suo straordinario patrimonio di volumi e pergamene, cartigli e codici, in grazia ai ricordi di colei che ultima si era lì avventurata, sancendo poi la fine di tutto che, allora, stavano osservando così incredibilmente ripristinato.
« Woah! » esitò Lys’sh, sgranando gli occhi e guardandosi attorno con aria sorpresa, stupita, meravigliata, in termini più che giustificabili e comprensibili, per così come, allora, non mancarono anche d’esser quindi condivisi da Duva e Rín, accanto a lei.
« Eh, sì. » confermò Midda, accennando un quieto sorriso e annuendo innanzi a tale, chiaro apprezzamento « Questo luogo ha sempre il suo perché… »
Con prudente titubanza, Duva ebbe allora a muoversi in direzione della soglia più vicina a loro, per poter sbirciare meglio in una stanza attigua. E se già straordinaria avrebbe avuto a doversi intendere la quantità di testi conservata in quella prima sala, la seconda sala non avrebbe avuto a poter lamentare alcun limite, dischiudendosi, oltretutto, sul proprio soffitto, o lì dove avrebbe avuto a dover essere il suo soffitto, su una terza sala, a sua volta immediatamente riconoscibile qual connessa ad almeno altre due sale, in un vero e proprio grappolo di enormi stanze, ed enormi stanze colme di ogni qual genere di scritto.
« Certo che ti sei dovuta veramente impegnare per riuscire a distruggere tutto questo… » osservò quindi, in direzione della propria amica sororale, colpevole della distruzione di quell’incredibile tesoro, forse lì loro manifesto in meno della decima parte di un decimo della propria pienezza, e pur già sufficiente per ammirare quanto straordinario tutto ciò avesse a dover essere inteso.
« Neppure vivendo un’eternità e mezza, credo, sarei mai in grado di leggere tanto… » incalzò Rín, non mancando a propria volta di esprimere tutto il proprio più sincero apprezzamento nei riguardi di ciò « … senza contare che, prima di tutto, dovrei imparare a leggere questa scrittura. » sorrise, accarezzando con la punta delle dita i dorsi di alcuni volumi, riccamente decorati con caratteri dorati del tutto incomprensibili da proprio persona punto di vista.
« Usa pure il plurale… “scritture”. » puntualizzò la Figlia di Marr’Mahew, ancora sorridendo « I testi qui contenuti provengono da ogni parte del mio mondo e da ogni sua epoca. Molti di questi alfabeti fanno riferimento a lingue morte, la cui conoscenza è andata perduta da secoli, se non, addirittura, millenni! »
« Ancora più impressionante! » ribadì Duva, per poi aggrottare la fronte a tornare verso le proprie amiche non desiderando, certamente, perdersi in quel dedalo « E, comunque, tu non hai avuto esitazione alcuna a darlo alle fiamme per salvarti la vita in contrasto a qualche ragnetto troppo cresciuto…?! » insistette, dal momento in cui la propria prima nota a tal riguardo era andata praticamente perduta nel nulla « Complimenti! Sei decisamente più spregiudicata di quanto non potessi credere, sorella! »
Che l’Ucciditrice di Dei fosse una persona spregiudicata, entro certo versi, avrebbe avuto a doversi considerare persino retorico, banale addirittura, nell’evidente confronto con la sua professione e il suo stile di vita. Che ella, in ciò, potesse avere a fraintendersi in qualunque misura fiera di quanto compiuto in quello specifico frangente, al contrario, non avrebbe avuto a doversi giudicare egualmente scontato… o non avrebbe avuto ragione di impegnarsi tanto al fine di tentare di rimettere a posto le cose.
Purtroppo, dopo aver distrutto qualcosa di così monumentale, ben poche possibilità vi sarebbero state per lei per espiare la propria colpa. E quella avrebbe avuto a doversi intendere la sola che, obiettivamente, gli era venuta in mente, per quanto a tratti assurda, a tratti persino folle.
« Per quanto ancora vorrai ribadire il mio errore…?! » inarcò quindi un sopracciglio la donna dagli occhi color del ghiaccio e dai capelli color del fuoco, un po’ annoiata dal reiterarsi di quell’accusa « Non è che continuando a ripetere che persona orrenda io sia stata, contribuirai in maniera positiva all’esito di questa impresa… lo sai?! » commentò, a metà fra l’ironico e il sarcastico, cercando di definire la fine di quella spiacevole parentesi.
« Se non erro, è stato proprio nel continuare a ribadire l’errore che stavi per commettere che, l’ultima volta, siamo riuscite a evitare il peggio… » obiettò tuttavia Duva, evidentemente più che convinta di quel proprio ruolo in direzione ostinata e contraria.
« Ogni giorno che passa assomigli sempre più al tuo ex-marito! » la accusò pertanto la prima, nel desiderio di portare a segno almeno una stoccata morale a suo discapito, andando a pungerla nel vivo, nel ben sapere quanto ella non avrebbe mai potuto gradire quell’associazione psicologica al buon Lange Rolamo.
« Per tutti le lune di Ronn-Ha’G… questo è colpire basso! » protestò l’altra, storcendo le labbra verso il basso « La mia è solo una critica costruttiva… »
« Sono certa che avrebbe detto così anche lui! » ridacchiò quindi Midda, scuotendo appena il capo « Se vuoi possiamo rievocarlo e provare a sentire la sua opinione! »
A margine di quel vivace dialogo, ormai divenuto esclusivo fra quelle due interpreti, le altre due figure presenti non poterono ovviare che a guardarsi reciprocamente con fare interrogativo, a domandarsi l’un l’altra in quale maniera sarebbe stato più opportuno avere a intervenire nel discorso.
« Secondo te andranno avanti ancora a lungo così? » sussurrò quindi Rín in favore di Lys’sh, la quale, conoscendole senza dubbio meglio, avrebbe quindi potuto esprimersi più sensatamente a tal riguardo.
mercoledì 20 maggio 2020
3282
Avventura
063 - Il peso dei propri errori
« Quando vuoi tu, Rín. » sancì pertanto, a invito verso la loro via di accesso al tempo del sogno.
Nóirín Mont-d'Orb annuì e iniziò a concentrarsi. E come già più volte in passato, ella squarciò quell’invisibile velo fra la loro attuale dimensione e il tempo del sogno e, senza esitazione, lo attraversò, seguita dalle proprie tre compagne di ventura.
Ella avrebbe voluto rammentare alle proprie amiche la regola fondamentale nel relazionarsi con il tempo del sogno, e quella regola che avrebbe avuto a mantenere quanto più possibile sgombra la mente da ogni emozione o ricordo, onde evitare che la sensibile malleabilità del tempo del sogno si riadattasse a tale contesto. Ma, proprio malgrado, finì per dimenticarsi tale sensato proposito, ragione per la quale, non appena si ebbero a trovare nelle indistinte nebbie proprie di quella dimensione primigenia, tali nebbie non mancarono di diradarsi, e di condurle dritte all’interno della sala mensa della cara vecchia Kasta Hamina, il primo luogo in effetti in comune a tutte e quattro e, forse, in questo, il più facile da finir per essere rievocato, anche e soltanto involontariamente.
La Kasta Hamina era stata una nave stellare di classe libellula. La nave a bordo della quale Midda Bontor aveva vissuto, insieme a Duva e Lys’sh per ben un lustro della propria esistenza prima di decidere di fare ritorno a casa. Tale nave, invero, ormai non esisteva più. Ed, entro certi versi, non avrebbe più potuto esistere… non laddove, quantomeno, neppure il suo equipaggio non avrebbe più potuto essere considerato qual tale, dopo la partenza di Midda, e con lei di Duva e Lys’sh, e dopo la scelta del capitano Lange Rolamo di ritirarsi a vita privata, per godere, insieme alla propria splendida moglie, la giovane Rula Taliqua, della gioia conseguente alla nascita di un figlioletto.
Ma che la Kasta Hamina non esistesse più, o il suo equipaggio si fosse disciolto, ben poca importanza avrebbe potuto preoccupare il tempo del sogno, non laddove, entro quei confini, il presente, il passato e il futuro, la realtà e l’immaginazione, avrebbero avuto a perdere ogni ragion d’essere, e d’essere distinti, amalgamandosi in maniera confusa e dando vita a qualcosa di antico e moderno al tempo stesso, di reale e di fasullo, che tutto avrebbe potuto essere e che niente sarebbe stato, almeno fino a quando fosse rimasto entro quei confini. Sol lasciando il tempo del sogno, infatti, l’indistinta indefinitezza di quella materia prima si sarebbe concretizzata in una forma definitiva, in una nuova realtà, per così come era occorso alle gambe della stessa Rín, un tempo bloccata su una sedia a rotelle e, in conseguenza, involontaria, all’azione del tempo del sogno, tornata a camminare, a correre e a saltare, in un improbabile miracolo e in un miracolo divenuto realtà.
E così, in conseguenza a una qualche nostalgica rimembranza di un passato ormai più non esistente, Midda e le sue amiche si ritrovarono ancora una volta proiettate in quel della Kasta Hamina, in una fantasia identica alla realtà, se pur a una realtà ormai estinta.
E la cosa non ebbe a sorprendere alcuna di loro, proprio malgrado ormai tutte più che confidenti con le particolari dinamiche proprie del tempo del sogno in misura tale per cui, allora, che avessero a ritrovarsi in quel della Kasta Hamina o in un qualunque altro tempo e luogo del Creato o dell’Increato non avrebbe potuto avere importanza…
« Beh… avrebbe potuto andarci peggio. » commentò Midda, arricciando appena le labbra a confronto con tutto ciò « E, per evitare di mettervi in imbarazzo, eviterò di chiedere chi di voi abbia nostalgia di casa… » ammiccò, in direzione di Duva e Lys’sh.
Le due donne in tal maniera provocate restarono per qualche istante interdette, nel guardarsi a vicenda con aria interrogativa, intimamente e separatamente consapevoli di non aver a dover essere considerate in alcuna maniera particolarmente nostalgiche di casa, per così come, altrimenti, giocosamente accusate da Midda. Ma se alcuna fra loro avrebbe avuto a dover essere fraintesa, allora, nostalgica, per così come i reciproci sguardi interrogativi avrebbero potuto testimoniare, il campo delle alternative avrebbe avuto a ristringersi, e a ristringersi necessariamente in una peculiare direzione.
Giacché escludendo loro due, e necessariamente ponendo da parte Rín, il cui rapporto con la Kasta Hamina, comunque, avrebbe avuto a dover essere inteso troppo superficiale, troppo effimero, per poter dare spazio a tutto ciò, soltanto una candidata avrebbe avuto a doversi riconoscere ancora in giuoco. E la stessa da cui quella noncurante clemenza era stata loro offerta…
« Senti un po’… » esitò quindi Lys’sh, aggrottando la fronte all’indirizzo della propria amica sororale.
« … non sarà che magari la nostalgica sei proprio tu?! » completò la frase Duva, piegando appena il capo di lato, quasi a meglio misurare la propria amica, per tentare di intendere meglio quella situazione.
« … io?! » commentò sorpresa la prima, aggrottando la fronte e sgranando gli occhi.
« Oh già! » confermò quindi Duva, sorridendo sorniona.
« Sì, sì. » ribadì Lys’sh, annuendo ripetutamente con aria divertita.
Possibile…?!
Negli anni trascorsi a bordo della Kasta Hamina, Midda Bontor non si era trovata male. Anzi. Avere occasione di sfuggire, per un momento, alla propria fama, alla fama della Figlia di Marr’Mahew, dea della guerra, alla fama della Campionessa di Kriarya, alla fama dell’Ucciditrice di Dei, che tanto faticosamente ella si era costruita nel proprio mondo, e che, tuttavia, le aveva anche posto un bersaglio luminoso al collo per qualunque cacciatore di teste in cerca di una qualche rapida occasione di gloria; ed avere occasione di godere di indubbie comodità proprie di un progresso inimmaginabile nel proprio pianeta natale, a partire dalla gioia propria di una banalissima doccia a inizio o a fine giornata, con la possibilità di ottenere dell’acqua della temperatura ideale soltanto premendo un semplice bottone; avrebbero avuto a doversi intendere ragioni più che sufficienti per avere ad apprezzare tutto quello. Aggiungendo a ciò, poi, un nuovo, meraviglioso gruppo di amici lì inaspettatamente trovato, a partire proprio da Duva e Lys’sh, per poi includere tutto l’equipaggio della nave; una nuova famiglia lì realizzata, non soltanto nella propria relazione con il sempre amato Be’Sihl, ma ancor più nell’incontro con Tagae e Liagu, divenuti poi suoi figli adottivi… beh… in effetti, forse, ella non avrebbe potuto ovviare ad apprezzare in cuor suo tutto quello forse e anche più di quanto non fosse razionalmente in grado di elaborare.
« Oh… » aggrottò la fronte ella, sorpresa da tutto ciò « Ops… » ridacchiò quindi, portando la mancina dietro la nuca, grattandosi la testa con aria imbarazzata « Mi sa che, forse, le comodità della parentesi siderale della mia vita mi hanno coinvolta in misura decisamente maggiore rispetto a quanto non possa credere! » si giustificò, ammiccando in favore delle amiche « Scusatemi! Ora mi concentro…! » promise, e subito chiuse gli occhi, cercando di allontanare da sé l’immagine propria della Kasta Hamina per avere, al suo posto, a richiamare quella della Biblioteca, e della Biblioteca di Lysiath, per così come l’aveva conosciuta prima di lasciarla consumare dalle fiamme.
E lo spazio proprio della sala mensa della Kasta Hamina, per così come ripropostosi innanzi a loro, emergendo in maniera spontanea dalla nebbia indistinta del tempo del sogno, tornò a dissolversi nel nulla, in una transizione sfumata verso una realtà ben diversa.
Una realtà antica molto più di lei e, forse, persino degli stessi regni di Tranith o di Kofreya, e una realtà perduta nelle pieghe del tempo e della sua memoria. Ma una realtà nel merito della quale, proprio malgrado, la sua memoria non avrebbe potuto vantare una conoscenza completa e assoluta. E questo non avrebbe potuto ovviare a entrare in contrasto con le dinamiche propria del tempo del sogno, per così come, allora, tutte loro si sarebbero presto rese conto.
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