11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

martedì 31 maggio 2011

1231


« E
h, dai! » lo incalzò ella, levando le mani accanto alle proprie spalle, in un gesto volto a minimizzare la questione « Quante storie per un gruppo di debosciati… » lo canzonò « Hai già dimenticato tutti gli insegnamenti del capitano Mas Fergi riguardo a questa gentaglia? » tentò, quasi, di rigirare la questione, per essere, in tal modo, lei stessa a rimproverarlo.
« Assolutamente no… » scosse il capo, non potendo nuovamente negarsi un lieve sorriso al ricordo di quell'uomo, quel comune riferimento per lei e Midda, figura quasi paterna alla quale non avrebbero mai potuto negare tutta la propria riconoscenza « "La loro disperazione è palesata dall'idea stessa del tentativo di un abbordaggio!" » citò, con tono quasi solenne, nel rievocare le parole suggerite dall'amata « Purtroppo sono, paradossalmente, più grossi e più veloci rispetto a noi… e questo si pone a nostro svantaggio, trovandoci in mare aperto. »
« Se non possiamo sfuggire loro… » cercò, nuovamente, di ispirare le scelte del proprio compagno, lasciando volutamente la frase in sospeso e, in ciò, non rifiutando un tono maliziosamente carezzevole, quasi in quelle stesse parole dovesse essere ricercata una promessa in favore di un qualche momento d'intimità fra loro.
« … no… per favore… » provò a opporsi, scuotendo lievemente il capo, senza, tuttavia, porre in tal senso sufficiente convinzione tale da poter sostenere una posizione in contrasto a quella augurata dalla compagna « Non anche questa volta: rischiamo di diventare noiosi… »
« Ma noioso sarai tu con tutte le tue lamentele! » gli mostrò la punta della lingua, con fare simulatamente piccato in quel gesto scherzosamente infantile « Avanti, capitano. Dimostriamo anche a questi folli che cosa possa significare incrociare il proprio cammino con la Jol'Ange. » lo incalzò, stringendo i pugni innanzi a sé quasi a palesare la propria forza, la propria temerarietà, in totale indifferenza a quanto ogni barlume di saggia prudenza avrebbe suggerito loro in un tal frangente.
« Tarth… » sospirò Salge, levando lo sguardo al cielo con fare, ormai, decisamente arrendevole, conoscendola a sufficienza per essere certo di non poterle far mutare idea in alcun modo.
« Su… su… su… » sussurrò Midda, a stento trattenendosi dal saltellare quasi fosse ancora la bambina di un tempo, e stesse supplicando alla propria gemella il consenso a prendere parte a chissà quale giuoco, o marachella, da lei altresì non pienamente desiderata, apprezzata.
« E voi, razza di attaccabrighe che non siete altro, immagino che siate tutti d'accordo con lei… o no?! » sbraitò alfine, nel rivolgersi all'intero equipaggio, in quieta assenza della conclusione di quel dialogo e dell'ufficializzazione di una decisione già considerabile qual certa sin dal momento stesso in cui il loro secondo in comando, oltre che loro compagna, amica e sorella, aveva dimostrato tanta vivacità all'idea di un confronto con dei pirati.

Sei furono allora le voci che si unirono, spontaneamente, a generare un unico, energico coro che si impegnò a offrire in direzione del proprio capitano quella pur identica, forse prevedibile e pur ma mai retorica, risposta, in quella che, compatta e omogenea, si dimostrò essere la decisione di un equipaggio coeso e solido, saldo come e più di qualunque famiglia, in grazia e con la benedizione di tutti gli dei del mare.
E Salge Tresand, innanzi a tanta foga, a tanto comune entusiasmo, forse non generalmente diffuso nella medesima misura espressa dall'incontenibile euforia della propria amata, e pur ineccepibilmente riconoscibile qual tale, non poté fare altro che sospirare profondamente, scuotere appena il capo, e sorridere apertamente, ritrovandosi nel profondo del proprio animo grato a Tarth per avergli concesso uomini e donne sì fedeli e fidati da poterlo, necessariamente, commuovere se solo attorno a simile pensiero avesse indugiato troppo con il proprio intelletto.

« Che Tarth ci possa allora perdonare per essere tanto ingrati da voler rischiare nuovamente le nostre vite in questa follia… » gridò egli, a conclusione di ogni questione, di ogni discussione « Avanti, branco di lupi travestiti da agnelli: tutti ai posti di manovra! » lì incalzò, sovrastando qualsiasi suono, fosse esso del vento o dell'acqua, con la propria voce « Si va in scena… »

Così come, credo, avrete già avuto occasione di intuire nelle parole di Salge, tanto in direzione della propria amata, quanto rivolgendosi ai membri del proprio equipaggio, l'azione invocata da Midda, e pur giudicabile quasi ai confini della pazzia nell'audacia richiesta dalla medesima, non avrebbe potuto essere allora considerata qual inedita, reazione improvvisata, priva di strategia e pianificazione, all'allarme loro ipoteticamente imposto dall'avvistamento della nave di pirati. Al contrario: animati da un coraggio privo d'eguali, tanto nel confronto equipaggi di pur indomiti marinai, quanto, e persino, in quello di terribili predoni, e spronati, in tutto ciò, dall'irrefrenabile, inarrestabile e coinvolgente presenza della stessa Midda Bontor nelle loro schiere, nelle loro fila, gli uomini e le donne della Jol'Ange avevano più volte affrontato in maniera diretta, aperta, decisa, l'insidia loro imposta da un tanto negativo evento, da un sì spiacevole incontro, riportando, puntualmente ed esplicitamente dimostrato dal loro stesso essere ancora in vita, sol occasione di vittoria, di trionfo, in gloria a tutti i propri dei.
In ciò, senza ulteriori incertezze o possibili esitazioni, tutto l'equipaggio della Jol'Ange si preparò, fisicamente e psicologicamente, allo scontro, armandosi e riprendendo le proprie necessarie posizioni sul ponte della nave. Parimenti, senza particolare difficoltà o esigenza di specifico studio, Salge Tresand fece ruotare vorticosamente il timone della propria figlioletta adorata più e più volte, a invertirne la rotta e a imporle non tanto un'occasione di fuga, quanto, piuttosto, di rapida approssimazione alla nave avversaria. E ancora, senza concreta preoccupazione o necessità di intima predisposizione a una nuova lotta, con il proprio conseguente spargimento di sangue e, ove richiesto, l'eventuale imposizione di morte, Midda Bontor sorrise grata alla propria amata Thyres per averle concesso di vivere quella vita, di affrontare quelle avventure, di combattere quelle battaglie, per la conquista delle quali aveva sicuramente dovuto rinunciare a tanto, ma, in cambio, aveva anche concesso un senso pieno, concreto, assoluto al proprio stesso esistere, in una condizione tutt'altro che comune, che propria di chiunque al mondo.

« Sai, amor mio. » commentò la donna, ora ricorrendo a un tono più moderato, nel raggiungere il proprio compagno per riservarsi tale opportunità di colloquio diretto « In questi momenti mi domando sempre cosa possano star pensando di noi quei disgraziati. Chissà come ci stanno considerando. Folli? Temerari? Suicidi? O, magari, hanno intuito quanto li attende e si stanno già pentendo per la scelta compiuta in nostra opposizione? » ipotizzò, approfittando dell'occasione per schioccargli un giocoso bacio sulla guancia, quasi a ringraziamento per la scelta da lui compiuta in favore a quella strategia, all'attuazione di quel piano, per quanto, necessariamente, non privo di rischi per alcuno fra loro.

Una domanda, quella similmente formulata, che loro malgrado, in grazia di quando abitualmente definito qual senno di poi, non avrebbe dovuto essere giudicata sì retorica qual pur avrebbe potuto apparire in conseguenza del contesto quasi scherzoso nel quale essa era stata formulata, ove, dopotutto, realmente folli, o persino suicidi, tutti loro avrebbero potuto apparire in conseguenza di quella scelta, di quell'improvvisa inversione di rotta tale da portarli a invocare uno scontro diretto invece di una pur effimera speranza di fuga da qualsiasi battaglia, reazione altresì propria di qualunque nave, di qualunque equipaggio obbligato al confronto con la minaccia propria di una nave pirata. Purtroppo per la Jol'Ange, per il suo intero equipaggio, per Salge o, soprattutto, per Midda, infatti, quella nave di pirati, quell'ennesimo nemico forse troppo rapidamente giudicato del tutto pari a qualunque altro avversario già precedentemente affrontato e vinto nell'adottare una simile strategia, nel preferire ricercar la battaglia ancor prima di evadere dalla medesima, non avrebbe potuto essere ritenuto effettivamente tale, così come, entro breve, tutti ne presero spiacevolmente coscienza, con particolare riguardo per la stessa, futura Figlia di Marr'Mahew, che, in quello stesso giorno, si ritrovò coinvolta non tanto in una battaglia, quanto, piuttosto nell'inizio di una guerra della quale, per altri diciotto anni almeno, sino a oggi, non avrebbe più colto possibilità, speranza di conclusione.

lunedì 30 maggio 2011

1230


S
uo malgrado, effimera fu tanta gioia nella propria vita, tale sensazione di completezza nella propria esistenza, nell'aver, invero e in tal modo, raggiunto quanto ella aveva pur da sempre bramato, sognato, desiderato sin da quand'ancora bimba nella propria piccola Licsia, nel vederle troppo presto negata tale realtà. A distanza di solo quattro anni dall'inizio di quella nuova avventura, di quella tanto amata quotidianità a bordo della Jol'Ange, infatti, per la colpa di aver ricercato simile realtà qual via di fuga dall'eventualità di un ritorno a casa, e, in ciò, di un nuovo confronto con il padre e, soprattutto, con la sorella, con i quali non avrebbe più desiderato aver nulla a che fare per non imporsi, e imporre loro, ulteriore sofferenza; ella venne apparentemente punita per mano della propria stessa gemella, per sfuggire nuovamente alla quale si costrinse, pertanto, a tale rinuncia, a simile sconfitta, in un paradosso che, forse, un giorno qualche altro bardo diverso da me potrà persino ritenere qual poetico e che pur, al contrario, io non posso che giudicare terribilmente tragico.
Fremente è ora il mio animo nel desiderio di raccontarvi immediatamente tutti i particolari relativi alla straordinaria vittoria che, in quel volontario sacrificio da parte di Midda, Nissa non poté che considerar qual propria, distruggendole, in tal modo, la vita perfetta per realizzare la quale tanto si era impegnata, tanto aveva lavorato, tanto aveva anche e già sofferto. Ma per permettervi di comprendere in che modo Nissa ebbe occasione di ottenere tale trionfo su colei assurta al ruolo di propria acerrima nemica, tanto odiata ormai quanto amata in passato, è necessario che mi conceda almeno un'ulteriore tappa intermedia, sperando, in tutto ciò, di non abusare eccessivamente della vostra pazienza. Una tappa intermedia che, per amor di dettaglio, non ha da considerarsi quale la narrazione di un aneddoto quali altri in relazione al quasi lustro che la futura Figlia di Marr'Mahew trascorse a bordo della Jol'Ange, quanto piuttosto, e in maniera estremamente importante, vuol riportarvi cronaca di quello che, a distanza di ben sei anni dal proprio ultimo incontro con Nissa, e dalla violenta rissa che all'epoca ne era derivata, vide Midda nuovamente a confronto con lei… in lotta con lei.
Un confronto e una lotta che, nelle mie parole, potranno offrirvi l'impressione di un déjà vu, nel riproporvi un allarme non dissimile da quello che, all'inizio della propria vita a bordo della Fei'Mish, aveva posto in angosciata allerta il cuore e l'animo della Midda bambina…

« Pirati! »

Otto lunghi anni erano trascorsi dal giorno in cui la Fei'Mish aveva rischiato di subire un abbordaggio da parte di pirati, dal giorno in cui Midda aveva, forse per la prima volta nella propria vita, temuto di non sopravvivere, di ritrovarsi sola e abbandonata in balia del fato, una terribile sensazione che, per tutta e sola risposta, l'aveva incitata a reagire, a ribellarsi, iniziando a far propria l'arte del combattimento e della guerra al solo scopo di poter essere autosufficiente, autonoma e, soprattutto, di poter difendere la propria autodeterminazione innanzi alla prepotenza di qualunque avversità, di qualsiasi nemico. Otto anni nel corso dei quali ella non solo da bambina era divenuta donna fatta e completa, maturata nel corpo e nella mente, ma, anche e ancor più, si era formata allo scopo di essere sia un'impareggiabile marinaia, sia, e più pericolosamente, una straordinaria guerriera, una combattente esperta che, di fronte a un tale avviso, a un simile grido, non avrebbe più potuto concedersi la benché minima occasione di disorientamento, di smarrimento, o, persino e umanamente, di timore per il proprio domani, quanto, piuttosto e forse persino in maniera forse insana, una sensazione di concreto entusiasmo, vivace gioia per la possibilità di scontro che, in tal modo, le sarebbe stata concessa, negando a quella giornata l'altrimenti prevista possibilità di essere, purtroppo e miseramente, priva di distrazioni, di intrattenimento, di svago.
Così, ove otto anni prima la bambina era rimasta pietrificata da quell'annuncio, privata non semplicemente della possibilità di reagire ma, banalmente, anche di quella di ponderare qualsiasi azione, otto anni più tardi la donna si illuminò di una folle luce di gioia e di bramosia, seconda solo, forse o neppure, a quella che avrebbe potuto manifestare al confronto con la proposta di un nuovo e intimo giuoco notturno propostole dal proprio amante e amato…

« Sia lode a Thyres! » gridò, proiettando le propria membra, con foga trasparente del proprio stato d'animo, ad arrampicarsi in maniera rapida e agile lungo le sartie, a risalire l'albero maestro, per riservarsi migliore visibilità accanto alla vedetta e, in ciò, trovare conferma diretta e chiara di qual genere di pericolo avrebbe potuto attenderli.
« Sia lode a Thyres?! » replicò Salge, al timone della nave, apparentemente facendole eco e, ciò nonostante, modulando la propria voce in toni decisamente meno allegri rispetto a quelli della propria amata « Che Tarth mi possa affogare, al contrario, se mi dimostrerò tollerante con tanta eccitazione da parte tua! » la rimproverò, sbraitando e affidando al vento il compito di condurre le propria parole sino alla loro destinataria « Questi mari stanno diventando troppo affollati per i miei gusti… è già la terza nave di pirati che incontriamo negli ultimi cinque mesi. »
« Sai diventando un vecchio lagnoso e polemico, mio capitano. » rise ella, giunta, nel frattempo, al fianco della vedetta e, lì posizionata, finalmente in grado di poter valutare in prima persona la situazione.
« Ti rammento che abbiamo praticamente la stessa età… e se sono vecchio io, tu non puoi considerarti molto più giovane. » sottolineò l'uomo, non negandosi ora un lieve sorriso « Cosa abbiamo questa volta?! » le domandò poi, non dimentico di come ella, oltre che la propria amata e una fra i propri marinai, fosse anche il proprio secondo in comando, nonché principale risorsa strategica, ragione per la quale i suoi giudizi personali nel merito del pericolo così loro imposto non avrebbero dovuto essere ritenute trascurabili.
« Magari sarò anche vecchia come te… ma non sono lagnosa e, per di più, so essere ancora incredibilmente sensuale. » scherzò la donna, consapevole di come entrambi dovessero considerarsi, allora, anche in rapporto alle aspettative di vita comuni, nel fiore dei propri anni e delle proprie forze, ma, non per questo, rinunciando all'occasione di un breve battibecco con lui, giuoco sempre gradito e sempre stimolante anche per il loro stesso, intimo rapporto « Sembra essere un brigantino a palo... » riferì subito dopo, non mancando al proprio ruolo e sostituendosi, senza generare la benché minima protesta, alla vedetta in tal ruolo di analisi « Tre alberi. Almeno ottocento, forse novecento tonnellate di stazza. Una bella bestia. E ci sta tallonando palesando un certo appetito nei nostri confronti. »
« Già… una bestia veloce e capiente. Tarth… » commentò Salge, con tono di voce più contenuto, quasi a rivolgersi a se stesso, e storcendo le labbra verso il basso a quell'avviso, tale da prospettare una situazione tutt'altro che positiva per il loro avvenire « In quanto ci saranno addosso?! » domandò poi, levando ancora la voce per permettere all'amata di sentirlo.
« A questa velocità in tre quarti d'ora. Forse anche mezz'ora. » replicò Midda, non perdendo, altresì, il proprio sorriso, nel mentre in cui, lasciando la vedetta ora sola al proprio posto, iniziò a ridiscendere lungo il sartiame, offrendo, in effetti, quasi l'impressione di star planando sul ponte della nave, tanto fugace e leggera fu tale sua movenza « Abbiamo il vento in poppa e, dispiegando tutte le vele, potremmo forse guadagnare qualcosa. »
« E l'uso del condizionale è d'obbligo avendoli alle spalle… » sottolineò il capitano, conscio di quanto dannoso sarebbe stato illudersi in maniera particolarmente ottimistica nel merito delle loro possibilità di evasione.
« Già… il vento favorisce anche loro. » commentò la donna, approvando retoricamente la valutazione così appena compiuta e, in ciò, non celando per l'ennesima volta la propria approvazione all'idea di un confronto diretto con loro, per nulla intimorita dall'inevitabile superiorità numerica che avrebbe potuto contraddistinguere l'equipaggio di quella nave rispetto a quello della loro più modesta goletta.
« Dannazione, Midda! » tentò, nuovamente, di rimproverarla, con meno impeto di quello che avrebbe preferito dedicarle, non potendo evitare, dopotutto, di amarla anche per quell'aspetto decisamente folle del suo carattere « Potresti cercare di lasciar trasparire meno esaltazione per quanto sta accadendo? In teoria non si dovrebbe essere contenti di incontrare dei pirati… »

domenica 29 maggio 2011

1229


P
er un capitolo chiuso, un altro, ovviamente, ebbe allora inizio, sebbene in tempi e modi, probabilmente, molto diversi da quelli che già chiunque fra voi potrebbe ora attendersi. Ove, infatti, se questa fosse una leggenda, un'epica ballata come altre, più frutto di fantasia che cronaca di realtà, Midda e Salge avrebbero potuto incominciare quella nuova vita da loro similmente ricercata in maniera immediata, subitanea, nonché estremamente semplice, quasi banale nella propria concretizzazione, un attimo prima abbandonando la Fei'Mish e un istante dopo già veleggiando assieme verso nuove e meravigliose avventure a bordo di una nuova imbarcazione, di un'ancor più possente e meravigliosa nave rispetto alla corvetta sulla quale erano stati cresciuti e formati in quegli ultimi anni, la Storia mi impone di sottolineare quanto, altresì, un altro biennio, mese più, mese meno, si interpose fra l'epoca della conclusione del loro rapporto con quella nave e quell'equipaggio, e il varo effettivo della piccola, e agile, Jol'Ange, la goletta sulla quale, per altri quattro anni, entrambi vissero il loro rapporto, la loro relazione, ricoprendo, così come già stabilito ancor bambini, l'uno il ruolo di capitano, e l'altra di suo secondo in comando.
Perché tanto tempo dovette trascorrere fra l'abbandono della Fei'Mish e l'esordio della Jol'Ange?
La risposta a questa domanda, che spero vi sta incuriosendo e imponendo necessario dubbio, dal momento in cui, altrimenti, dovrei temere di avervi ormai irrimediabilmente annoiati al punto tale da farvi perdere qualsiasi interesse per il significato di tanti significanti con i quali vi sto tentando di intrattenere, nasce, né più, né meno, dalla necessità temporale allora richiesta al buon Salge per riuscire a trasformare uno scheletro informe, eroso dal tempo e dalle intemperie, qual fu quello che si accaparrò insieme a Midda una volta raggiunta la terraferma, nella splendida nave che con il proprio lavoro quotidiano, con il proprio serio impegno, egli alfine ottenne, restituendo una speranza di futuro a quanto di più lontano da tal concetto, da simile ipotesi, avrebbe potuto essere giudicato. Due anni nel corso dei quali, pertanto, egli sì costrinse a lavorare alacremente, senza concedersi occasione di tregua alcuna, per tradurre il comune sogno suo e della sua amata in realtà, e, in tutto ciò, offrendo qual sacrificio a tutti gli dei del mare non solo il sudore della propria fronte, ma anche il sangue delle proprie mani, a invocar da tutti loro una concreta benedizione per il ruolo di capitano che, al termine di tanto impegno, sarebbe stato suo di diritto.
Perché, tuttavia, tanta fatica, tanto sforzo, venne compiuto unicamente dall'uomo e non dalla sua compagna, nonché protagonista di questa lunga narrazione? Ella, forse, si mantenne in quieta disparte nel mentre in cui il proprio amato sacrificò tutto se stesso in tal direzione e per il bene di entrambi?
Assolutamente no. E voglio illudermi che alcuno di voi possa aver supposto una simile oscenità, ove, altresì, nulla a ora avreste compreso in merito all'animo, al cuore e alla mente di Midda Bontor, Figlia di Marr'Mahew. Perché se, ironicamente, si potrebbe anche supporre che ella, più naturalmente predisposta alla distruzione che all'edificazione, alla morte che alla vita, si fosse allora tenuta a distanza di sicurezza da lavori nei quali non avrebbe potuto industriarsi in alcun modo utile, in verità la giovane, giorno dopo giorno, mese dopo mese, sempre più matura, sempre più fisicamente prossima alla donna che tutti conosciamo, non si astenne dal partecipare ai lavori sulla goletta per semplice diletto, quanto, piuttosto, al fine di poter permettere agli stessi di essere effettuati, di poter garantire al proprio compagno di lavorare attorno al loro comune sogno senza preoccuparsi, nel contempo, di tutto quanto pur necessario alla sopravvivenza di entrambi, oltre che al sovvenzionamento di tale opera. Fu così, pertanto, che colei che tutti, oggi, conosciamo qual mercenaria, e attorno alla fama della quale, probabilmente, non ci è mancato di udire numerose storie anche nel merito del proprio particolare rapporto con i propri mecenati, tale da riuscire a farsi sempre ottimamente pagare ogni proprio incarico, all'epoca dovette impegnarsi in ogni genere di attività, di mestiere, utile a garantire a sé e a Salge di poter avere di che mangiare ogni giorno, di che vestirsi in ogni periodo dell'anno, nonché, e soprattutto, di che impiegare al fine di restaurare, o, in effetti, ricostruire, la loro Jol'Ange.
Pescatrice e cameriera, guardia e garzone, scrivana e commessa, taglialegna e minatrice: queste furono solo alcune fra le numerose professioni nelle quali ella si barcamenò in quei mesi, mestieri nei quali non ebbe mai occasione di eccellere, di far carriera, anche e soprattutto in conseguenza di un concreto disinteresse in tal senso, e che pur le furono necessari per non far mai mancare quel necessario e costante introito di denaro necessario per le loro esigenze. Attività che, inoltre e necessariamente, non poterono che contribuire, in maniera sicuramente rilevante, a un'ulteriore maturazione della giovane Midda, imponendole esperienze formative delle quali sempre fece tesoro. E se per due anni, pertanto, Salge Tresand si formò, con il proprio lavoro, con il proprio impegno, con la propria dedizione, sangue e sudore, a divenire il capitano che desiderava essere, e che indubbiamente meritò di essere; per due anni, contemporaneamente e parimenti, Midda Bontor si formò, con il proprio lavoro, con il proprio impegno, con la propria dedizione, sangue e sudore, a divenire… qualcosa di più, nell'accrescere non solo le proprie capacità ma, anche, la propria conoscenza del mondo, della vita, e di tutte quelle regole, scritte e soprattutto non, utili a permetterle di poter giungere a essere, con il tempo, la leggenda vivente che oggi tutti noi conosciamo.

Restituito alla Jol'Ange il proprio giovanile splendore, e con esso la capacità di solcare le onde e sospingersi a violare temerariamente, e pur mai irrispettosamente, le infinite frontiere dei mari, Salge e Midda poterono, alfine e finalmente, riprendere così quello stile di vita dal quale si erano in tal modo dovuto allontanare per un intero biennio, ritrovando la quotidianità apparentemente perduta, quasi dimentica, ormai più prossimi a esser uomo e donna che i bambini o i ragazzi di un tempo, gli stessi che pur si erano reciprocamente impegnati a trasformare in realtà quel forse infantile sogno.
Ovviamente non soli essi si impegnarono in quella nuova avventura là dove, per quanto più compatta, snella e agile rispetto alla Fei'Mish, la loro goletta non sarebbe potuta essere mantenuta in semplice grazia della loro minimale presenza. Accanto a loro, naturalmente e immancabilmente, venne costituito un nuovo equipaggio, una famiglia non poi sì dissimile da quella con la quale avevano vissuto sulla corvetta e che, tuttavia, in quella nuova realtà, in quell'evoluzione da loro stessi voluta e ricercata, a loro, e soprattutto a Salge… al capitan Salge Tresand per la precisione, offrirono quello sguardo carico di fiducia e di affidamento che loro stessi erano stati sempre soliti riservare in passato a buon Mas Fergi: fiducia e affidamento delle quali, con fiero senso di responsabilità, l'uomo accettò l'onore e l'onere, donandosi al proprio equipaggio, a quegli uomini e a quelle donne lì selezionati quale propria nuova famiglia, con tutto se stesso, in misura appena inferiore a quella ancora esclusivamente riservata alla propria amata.
Solo in tal modo, dopotutto, il legame emotivo e spirituale necessario a permettere a una qualunque nave e al proprio equipaggio di affrontare le insidie del mare, sarebbe potuto essere stabilito, raggiunto e mantenuto nel tempo, consapevolezza della quale Midda non si negò mai coscienza, non concedendosi possibilità di valutare il proprio rapporto con il proprio primo, e allora ancor unico, amore qual svalutato in conseguenza del tempo, degli anni o, fosse anche solo, della loro irrefrenabile crescita fisica e psicologica. Al contrario, ella non poté che amare ancor più il proprio compagno, coinvolta con lui non solo quale donna, ma anche qual marinaia, qual componente di quello stesso equipaggio, lasciandosi affascinare e rapire dal carisma che egli riuscì a dimostrare qual proprio, una forza, un'energia interiore di cui, forse e probabilmente, avrebbe dovuto cogliere un chiaro segno quand'ancora bambini, quando semplici amici, nelle innumerevoli sere in cui egli, primo e solo fra tutti, era sempre presente per consolarla, sostenerla e incitarla a proseguire oltre, e di fronte alla quale pur, per una volta in mancanza al proprio stesso nome, ella non si negò una piacevole sorpresa, quasi l'uomo Salge fosse per lei un compagno totalmente nuovo rispetto al bambino Salge o al ragazzo Salge, ai quali pur si era affezionata, prima, e innamorata, poi.
Lieta e meravigliosa, straordinaria e appagante, non poté che dimostrarsi per lei, nel corso degli anni, quella nuova esperienza di vita, in quella incredibile alchimia, fisica e psicologica, emotiva e spirituale, derivante dalla commistione del proprio rapporto d'amore con Salge Tresand e dell'apparentemente inesauribile possibilità di avventure che la Jol'Ange le permise di vivere in ogni angolo dei mari del sud, spingendosi indomitamente da occidente a oriente più e più volte, per nulla di più del semplice piacere derivante da quel viaggio, da quell'esistenza in lode a Tarth, Thyres e qualsiasi altro dio o dea dei mari.

sabato 28 maggio 2011

1228


« D
evo anche risponderti?! » replicò l'altro, aggrottando appena la fronte nell'osservarla in un misto di dolcezza e ironia « Avanti… parla. Tanta esitazione, altrimenti, potrebbe iniziare a farmi preoccupare e temere il peggio. »
« No. » lo volle tranquillizzare ella, piegando ancora il capo contro il petto di lui per lì depositare un dolce bacio, ancora e fuggevolmente saziandosi in grazia del suo sapore, da lei ineccepibilmente amato « Non ti devi preoccupare, non devi temere il peggio. » insistette, ancora baciandolo prima di tornare a rivolgere a lui i propri occhi color ghiaccio, indubbiamente allora incantevoli all'attenzione del suo compagno nel violento contrasto fra l'amore che in essi egli avrebbe potuto rilevare a sé destinato e il gelo con il quale, altresì, la natura li aveva voluti caratterizzare in maniera irremovibile « Non si tratta di nulla di negativo… al contrario. A voler ben vedere, sarebbe semplicemente la realizzazione di un nostro vecchio sogno. Nonché di una tua promessa nei miei riguardi… »
« Una promessa?! » ripeté egli, incuriosito da quelle parole, nel tentare di far mente locale attorno alla questione da lei in tal modo accennata, suggerita, ancor prima che concretamente introdotta « Quale promessa fra le tante? » le volle domandar numi, sincero nel proprio smarrimento a simile proposito ove, al pari di qualsivoglia innamorato con la propria amata, sino a quel giorno non aveva assolutamente lesinato in promesse verso di lei, impegni per mantenere i quali, probabilmente, le avrebbe dovuto donare l'intero Creato, benché ella nulla desiderasse di più del suo amore e della sua presenza nella propria vita, entrambi doni già per lei propri.
« La prima che mai mi hai fatto. » sorrise la giovane, ben comprendendo le ragioni della difficoltà, per lui, a individuare in maniera tanto implicita un qualche riferimento certo, e per tal motivo non condannandolo ma, anzi, venendogli incontro con un dolce sorriso « Quand'ancora bambini. Quand'appena conosciutisi. Un patto, in effetti, ancor prima che una promessa… lo rammenti? »

Per lunghi istanti egli si impegnò in una quieta e intima rievocazione del loro passato, di quanto era stato e di quale promessa, o patto, potessero aver sancito in un'epoca sì lontana, ancor prossima all'infanzia, tale da spingere la propria compagna a richiederne l'attuazione dopo tanto tempo, e tanti cambiamenti occorsi, nel frattempo, non solo nelle loro vite, ma anche e ancor più nei loro rapporti.
Malgrado l'oggettiva problematicità di un tale sforzo, soprattutto condotto a un orario sì improbabile e in una sì spiacevole condizione di stanchezza fisica e mentale, il ragazzo volle dedicarsi a tal riflessione, a simile viaggio mnemonico, con la maggior concentrazione e serietà possibile, ancor prima per la propria compagna che per una qualche propria pur innegabile curiosità, un proprio pur legittimo interesse, in tal senso, ove, in anche in un simile atto, più che in molte canzoni d'amore, egli era consapevole che avrebbe potuto dimostrarle la sincerità e la forza del proprio sentimento per lei. E proprio la sua amata, tutt'altro che sciocca o vanesia, non poté trascurare tanta dedizione da parte sua, non fraintendendo le ragioni di quel silenzio e, al contrario, sentendosi onorata dal medesimo, esplicita riprova di quanto le proprie parole, i propri desideri, persino capricci forse, non solo non erano né sarebbero da lui stati ignorati, ma, neppur, trascurati, minimizzati, banalizzati come pur, riservandole minor rispetto, egli avrebbe anche potuto fare.
Una paziente e amorevole attesa, quella di Midda, che alfine e fortunatamente non mancò di essere ricompensata, quando sul volto del proprio compagno e amante fece la propria comparsa un'espressione diversa da quella dell'iniziale confusione. Un'espressione che egli non mancò di verbalizzare con un lieve gemito di sorpresa, a meglio chiarire il raggiungimento del risultato da entrambi ricercato e sperato.

« Oh… » esclamò, tornando a rivolgere uno sguardo attivo, attento, agli occhi di lei, per riprendere il confronto là dove rimasto in sospeso « Vuoi dire… quel patto?! »
« Sì. » sorrise ella, non avendo necessità alcuna di sentirlo da lui scandire per esser certa di star riferendosi al medesimo argomento « Io… io credo che ormai sia ora di agire. »
« Ma... » esitò Salge, non potendo ignorare la lusinga propria di una tale fantasia, e pur non volendo neppur trascurare quanto ciò avrebbe significato « … la Fei'Mish? Il capitano? E tutti i nostri compagni?! » le domandò, a condividere con lei i propri dubbi, tutt'altro che reticente al confronto diretto ed esplicito con lei su qualsiasi tema, attorno a qualsiasi questione, come da sempre era stato fra loro.
« Capiranno. » sorrise Midda, sicura di tal assunto, da lei vissuto qual verità « Anzi… è probabile che stiano attendendo già da tempo questa nostra decisione. Credi forse che a un uomo come Mas possa sfuggire la reale indole dei membri del proprio equipaggio? » argomentò, ciondolando appena con la testa in tali parole « C'è chi su questa nave è destinato a trascorrere la propria intera vita. E c'è chi, al contrario, è semplicemente di passaggio… come noi. O come Degan. »
« Degan?! » sbarrò gli occhi per incontrollato stupore a tal commento della propria amata, tale da suggerire una possibile evoluzione a cui mai egli aveva offerto altresì la benché minima attenzione « Tu credi che Degan voglia lasciare la Fei'Mish? »
« Non lo credo. Ne sono certa. » annuì la giovane « E a costo di apparire egocentrica e arrogante, mi spingo persino ad affermare che non appena noi comunicheremo le nostre intenzioni, anch'egli farà altrettanto. E' un uomo straordinario, un grande maestro d'arme e di vita, nonché una persona di grande valore e, soprattutto, onore: onore, il suo, che non gli sta permettendo di proseguire nel proprio cammino, così come pur desidererebbe, solo per non venir meno al suo impegno con noi… »
« … di pure con te… » la corresse Salge, scuotendo il capo « Io sono solo un danno collaterale. » sottolineò, senza falsa modestia, nella semplice volontà di riconoscere ogni cosa con il proprio giusto nome.
« … al suo impegno con me, se questo ti fa più piacere. » sospirò ella, cercando di riprendere il senso del proprio intervento « E nel momento in cui sarò io stessa a scioglierlo da tale impegno, da simile vincolo, egli potrà finalmente agire in assoluta libertà, secondo i propri desideri e senza, tuttavia, porsi in contrasto con la propria coscienza, così come ora avverrebbe. »

E se, quattordici anni prima, a poche ore dalla propria nascita, Midda Bontor venne in tal modo chiamata da proprio padre in diretta conseguenza di quella particolare capacità volta a soppesare, a misurare l'animo delle persone che il suo stesso genitore colse intelligentemente in lei sin dal loro primo incontro; quattordici anni più tardi, abbracciata al proprio amato e amante, ella non si negò occasione per dimostrare quanto il proprio nome avrebbe dovuto essere riconosciuto appropriato, perfetto per lei, così come, il giorno seguente, gli eventi non mancarono di confermare sotto ogni aspetto, quasi quella sua previsione fosse stata frutto di mistica veggenza ancor prima che di semplice spirito d'osservazione, attenzione al comportamento, ai gesti compiuti, alle parole dette, e, ancor più, ai gesti trattenuti e alle parole taciute, di coloro a lei circostanti. Non solo, infatti, il capitano Mas Fergi si dimostrò assolutamente comprensivo nel merito del desiderio da Salge e da lei allora scandito, addirittura sottolineando quant'egli, in verità, stesse attendendo già da quasi un anno che i due si presentassero al suo cospetto per un tale annuncio: anche Degan, in maniera perfettamente puntuale, dopo aver preso atto di tale decisione, colse allora l'occasione per definire a sua volta un interesse al congedo dall'equipaggio della Fei'Mish, non per tentare a sua volta la non facile via del comando, così come desiderato dai due adolescenti, quanto, piuttosto, per ricercare occasione di nuove sfide, nuovi interessi, sulla terraferma, in una scelta non comune fra i marinai ma neppur così rara da poter esser considerata quale una straordinaria eccezione.
In tal modo, quindi, si concluse un comune capitolo nella vita di tre persone e di una nave, un capitano e un equipaggio che, con loro, avevano condiviso molte avventure, gioie e dolori, per lunghi anni. Un'esperienza tutt'altro che banale, tale da creare fra loro legami egualmente tutt'altro che banali, i quali, indubbiamente, non si sarebbero sciolti, nei loro cuori, nei loro animi, in semplice conseguenza al reciproco distacco fisico che si sarebbero in tal modo imposti: quanto il mare aveva unito, con la propria divina benedizione, alcuna distanza avrebbe potuto dividere, e all'occorrenza, ove in futuro il fato gliel'avesse domandato, tutti loro sarebbero stati pronti a fare l'impossibile l'uno per l'altro, quali membri di un'indissolubile famiglia.

venerdì 27 maggio 2011

1227


« M
mm… » gemette egli, aprendosi in un necessario e spontaneo sorriso in immediata reazione al movimento di lei, non potendo che godere intimamente di ogni suo bacio, così come di ogni sua carezza o semplice parola d'amore, quali quelle che, non senza i loro momenti di reciproca e virginale esitazione, avevano pur alfine scoperto sapersi scambiare « Dopo tutto il lavoro che il capitano ci ha imposto questo pomeriggio, e tutti gli straordinari che tu mi hai imposto questa sera, dovrei. » commentò sottovoce, in un lieve alito che chiunque altro, al di fuori di lei, avrebbe potuto confondere fra il suono delle onde, ma che pur ella seppe udire e comprendere alla perfezione.
« Straordinari… che parola grossa. » sorrise ella, sorniona e maliziosa, spingendo in tal senso i propri denti a premere delicatamente e voracemente contro la pelle di lui, il suo muscolo pettorale, per inciderlo con dolce bramosia a ideale punizione per l'abuso linguistico da lui appena compiuto « … oggi ci siamo fermati dopo appena un'ora e mezza. » denotò, in un leggero sospiro « Non è che magari stai iniziando a stancarti di me, ma sei troppo cortese per farmelo presente in maniera esplicita?! »
« Hai per caso bevuto in un momento in cui io ero distratto? » domandò Salge, per tutta e sola risposta, aprendo un occhio nella sua direzione e studiandola con un misto di ironia e di curiosità « Ti sembra possibile che io possa stancarmi di te? » questionò, con tono di voce colmo di sentimento sincero e trasparente in sua direzione « … e poi non è che a bordo ci siano molte alternative… » soggiunse, non negandosi quell'occasione di scherzoso scherno, servitagli in maniera tanto gratuita quanto irrinunciabile.
« Ma… ma… che villano infame! » esclamò la giovane, strabuzzando gli occhi a quelle parole, che pur ella stessa gli aveva coscientemente favorito, e vendicandosi, in ciò, con un morso più deciso in corrispondenza del suo capezzolo, non tanto violento da potergli nuocere, provocare dolore o ferita alcuna, e pur non sì delicato, così come era stato ogni suo gesto precedente, da non allarmarlo per simile gesto.
« Ahi… ahi… ahi… » non mancò di protestare il ragazzo, contraendo istintivamente gli addominali e sollevandosi, appena, dalla brandina divisa con lei per tentare di sfuggirle « Scherzavo… scherzavo, amore. Lo sai che scherzavo! » si difese, ridendo ora più divertito che leso dall'azione a proprio discapito.
« Tsk… uomini. Siete tutti uguali alla fin fine… » scosse il capo ella, liberandolo e riappoggiandosi in maniera quieta contro la sua spalla, nell'invitarlo implicitamente, in tal modo, a sdraiarsi nuovamente « Ve ne approfittate di noi povere e ingenue fanciulle per ottenere quanto desiderate e poi, una volta avuto, non esitate a scaricarci quasi fossimo ormai prive di valore. E noi a piangere e piangere di dolore per voi e il vostro rifiuto. »
« Ma che rifiuto e rifiuto di Shar'Tiagh! » contestò l'altro, rilassando la muscolatura e lasciandosi nuovamente abbandonare sul loro giaciglio, stringendola con dolcezza a sé quasi a contrastare tacitamente, in tal modo, l'eventualità che egli potesse effettivamente ripudiarla così come da lei dichiarato, seppur per semplice giuoco « Ma ti sembra che un'ora e mezza come quella che abbiamo trascorso anche stasera possa essere preludio a un abbandono? » le domandò, storcendo lievemente le labbra.
« Un tempo arrivavamo anche a tre ore. » sottolineò Midda, voltandosi appena, appoggiando le mani sul petto di lui e, così facendo, creandosi un punto d'appoggio per il mento, per lì posizionarsi per poterlo meglio osservare nel mentre di quel loro dialogo, ormai appurato qual fattibile, ove entrambi si erano dimostrati chiaramente distanti da possibilità di pur naturale, e genuino, riposo, qual sarebbe dovuto essere quello che avrebbero dovuto allora altresì ricercare.
« Un tempo… » ripeté Salge, fingendo per un istante profonda e intima riflessione attorno a tale stima, per meglio valutarla, soppesarla « Intendi riferirti a questa mattina, giusto?! » sorrise, subito dopo, puntualizzando « Perché io ricordo chiaramente come mi hai svegliato molto prima dell'alba, e del nostro turno, per impormi i tuoi capricci… »
« Ma sentitelo… i miei capricci. » fu il turno di Midda, allora, di riproporre le parole del proprio compagno, per ironizzare attorno alle medesime « Povera ostia sacrificale immolata sull'ara di questa terribile e crudele divinità oscura che io altro non sono. » lo compatì, non negandosi, nel contempo, di premere delicatamente con le unghie contro la pelle di lui, nuovamente a punirlo, sempre e solo pudicamente, per quelle sue parole troppo sfrontate, irriverenti nei suoi riguardi « Forse dovrei iniziare a lasciarti un po' in pace e cercare un'altra vittima per la mia sete di sangue. »
« Guai a te! » reagì, immediatamente, il giovane, strabuzzando lo sguardo a quell'eventualità « Tarth mi ha legato a te… e guai a chi si dovesse frapporre fra noi! » asserì, ora in maniera sinceramente ed estremamente seria, quasi a tal riguardo non potesse tollerare occasione di scherzo qual pur era stato quello fra loro sino ad allora.
« Ti amo, sciocco. » lo tranquillizzò ella, sorridendogli sinceramente felice della possessività da lui dimostrata a proprio riguardo e rispondendo alla medesima con un lieve movimento del proprio intero corpo, atta a condurre le loro labbra a incontrarsi nella dolcezza e nella passione di un pur fuggevole bacio, quale quella che allora gli concesse prima di proseguire, sussurrando calde parole contro di lui « Almeno a tal riguardo non avere mai dubbi, te ne prego. »
« Anche io ti amo, mia splendida nereide. » le rispose, puntualmente, egli, prima lasciandosi baciare in maniera quietamente passiva, salvo, poi, inseguirla per domandare da lei un altro bacio, ora più lungo, più intenso di quello appena scambiatosi.

Tale era il loro amore, un sentimento ancor giovane, privo della maturità che solo il tempo avrebbe loro concesso, tanto fisicamente quanto psicologicamente, e pur non per questo meno intenso, meno sincero, meno appassionato di quanto poi sarebbe divenuto o di quanto altre loro relazioni, a seguito di quella, si sarebbero dimostrate.
Un amore che, forse in quanto raccontato dalla mia voce, dalle mie parole, potrebbe esser persino giudicato qual eccessivamente perfetto per poter essere accettato qual reale, e che pur, vi giuro, effettivamente era. E chiaro desidero che questo possa esser in tutti voi, membri del mio sempre più provato, e stanco, pubblico, alfine di permettervi di apprezzare come non per soddisfare una qualche vostra curiosità a loro riguardo io abbia ora indugiato nella cronaca di un simile dialogo, in un tale momento di intimità di quella giovane coppia, quanto, e maggiormente, nella volontà di concedervi maggiore consapevolezza su quanto saldo, forte e importante avesse da considerarsi quel legame, quel rapporto, lo stesso al quale, diversi anni più tardi, Midda si ritroverà costretta a rinunciare, per ragioni che forse avrete già intuito o che, in caso contrario, non mancherò di illustrarvi più avanti, in approssimarsi della conclusione di questa mia narrazione. Poiché solo apprezzando pienamente il valore di quel loro legame, di quel loro rapporto d'amicizia, prima, e d'amore, poi, protrattosi per un decennio intero, potrete meglio apprezzare il valore del sacrificio che la nostra protagonista sarà costretta poi a compiere…
… un sacrificio in conseguenza del quale ogni sua successiva relazione umana non poté che ritrovarsi inevitabilmente sfavorita, svantaggiata, se non, persino, osteggiata, dal timore di doversi confrontare con un nuovo dolore di quella portata, di quelle proporzioni, tale da imporle quella stessa apparenza incredibilmente cinica e fredda nel confronto con il mondo che in molti sono soliti oggi associarle e della quale, tuttavia, nella profondità del suo cuore mai vi è stata, e sono certo mai vi potrà essere, traccia alcuna.

« Dimmi tutto… » la esortò Salge con dolcezza al termine del loro bacio, lasciando muovere entrambe le proprie mani lungo la schiena di lei, dal collo e dalle spalle sino ai glutei, nel ripercorrere quelle forme ormai ben conosciute e altrettanto amate, e pur sempre e comunque desiderate, con un gesto d'amore e d'affetto divenuto per lui istintivo, reazione naturale e irrinunciabile in semplice conseguenza della sua vicinanza, della sua presenza sul proprio corpo, come in quel momento « … di cosa volevi parlarmi? Perché, immagino, desideravi parlarmi di qualcosa quando mi hai chiesto se dormivo oppure no. » denotò, avendo ormai confidenza con i modi, i gesti e le parole con le quali ella avrebbe potuto da lui ricercato qualcosa di più di una semplice occasione di dialogo.
« Sì… » annuì ella, tornando ad accoccolarsi sul suo petto « In effetti desideravo… desidero parlarti. » si corresse con un lieve sorriso « E parlarti di una cosa importante. Hai voglia di ascoltarmi o preferisci rimandare a un momento di maggiore tranquillità? » gli domandò, con dolce premura, per quanto conscia di come non esistessero, per loro, occasioni di maggiore tranquillità rispetto a quelle loro parentesi di intimità notturna, intervalli invero sottratti al tempo che avrebbero dovuto destinare al riposo.

giovedì 26 maggio 2011

1226


« P
apà… » sussurrò ella, atterrita in quell'inatteso confronto, in conseguenza intervento del padre e, ancor più, dei significati che non poté evitare di associare al medesimo.

A ragione o a torto, impossibile a dirsi, la futura Figlia di Marr'Mahew, lì sorpresa in posizione di predominanza fisica sulla sorella gemella, quasi pronta a menare un colpo di grazia in suo contrasto, intese nella pronuncia del proprio nome, nel tono adottato dal padre in tanto breve intervento, non tanto un saluto nei suoi riguardi, una reazione di gioia in conseguenza del suo ritorno o, ancora e semplicemente, una richiesta di spiegazioni da parte sua per quanto stesse accadendo, nel merito del perché di quella lite e di quel sasso da lei lì stretto nella propria destra, quanto, piuttosto e tragicamente peggio, un'espressione di condanna a proprio stesso discapito, una severa sentenza per quanto probabilmente ritenuto certo ella stesse per compiere, per l'omicidio di cui sembrava avrebbe potuto macchiarsi. E, innanzi a tale giudizio nei propri confronti, espresso, per come da lei inteso, in maniera troppo semplicistica, superficiale, priva di qualunque possibilità di contraddittorio, ella non poté che sentirsi ferita nell'animo, colpita al cuore come e ancor più di quanto non fosse già stata in conseguenza delle parole a lei rivolte da Nissa.
Dopotutto, come accettare che il proprio stesso padre, da sempre amato e rispettato, quasi idolatrato nel modo in cui solo una figlia potrebbe essere capace di adorare, nonché, drammaticamente, unico genitore rimasto, potesse fraintendere in maniera tanto grave le intenzioni della propria erede, considerandola tanto folle e disgraziata da potersi macchiare le mani del sangue della propria stessa sorella e gemella? Come accettare che egli, a due anni di distanza dal loro ultimo incontro, dal loro ultimo dialogo, non riuscisse a dimostrare affetto o accoglienza nei suoi riguardi, quanto solo e piuttosto un sentimento di tanta delusione, di simile deprecazione, tale da non ricercare occasione di dialogo con lei prima di colpevolizzarla? Come accettare la rivelazione, la terribile novella di essere divenuta improvvisamente non solo orfana di madre, ma anche paria per il resto dei propri cari, di tutti coloro che in passato erano stati la sua famiglia?
Così, a ragione o a torto, insisto impossibile a dirsi, la giovane Midda si sentì allora privata di ogni energia, di ogni forza combattiva che pur, in contrasto alla sorella e alla sua rabbia era riuscita ad animarla sino ad allora, imponendole in conseguenza di tutto ciò unicamente una mesta, tragica sensazione di solitudine, di abbandono, di esilio, forse, persino e addirittura, di divina maledizione a proprio discapito, tale da farla essere non dissimile da una lebbrosa, da un'appestata, da allontanare, da isolare, da dimenticare. Forse, umanamente desidero addirittura poter persino dire probabilmente, ella, malgrado il proprio nome, il dono della "misura" che avrebbe dovuto contraddistinguerla, in quel frangente la fanciulla si lasciò dominare, e traviare, in maniera eccessiva e negativa dalle proprie emozioni, errando nell'attribuire un tanto radicale valore a sì poche sillabe scandite dalla voce paterna. Forse, e ancora spero probabilmente, se solo ella si fosse concessa meno impulsività nell'affrontare la questione, e meno autocritica a proprio stesso discapito, minor senso di colpa nel merito di quanto compiuto, non avrebbe inteso sì gravemente l'intervento del padre, leggendo, in esso, semplicemente la sorpresa nel ritrovare una figlia da troppo tempo lontana da casa, e nel ritrovarla tanto diversa, non solo esteriormente, ma anche interiormente, così come chiaramente dimostrato nella lite con la propria gemella.
Forse… forse… forse. Forse, se invece di essere la fanciulla che era all'epoca fosse stata la donna che è oggi, ella avrebbe saputo gestire in maniera completamente diversa tutta la questione, dall'annuncio dell'ignorata morte della madre, all'astio e all'ira proprie dell'animo della sorella. Ma, all'epoca, era solo, e umanamente, una giovinetta di appena dodici anni, maturata in maniera incredibile, sia psicologicamente, sia fisicamente, rispetto alla bambina che due anni prima aveva lasciato quell'isola, ma ancora, necessariamente, bisognosa di altre esperienze, di altri anni per potersi effettivamente considerare cresciuta, divenuta donna. E, in conseguenza di ciò, suo malgrado, l'unica reazione che seppe far propria innanzi a tanto dolore, a tanto abbandono e rifiuto da parte della propria famiglia, fu la fuga: una fuga, che, in tale occasione, non ebbe il piacevole ed esotico sapore di un'epica ricerca di libertà, di autodeterminazione, quanto. e peggio, il tragico e amaro gusto di un esilio, terribile sconfitta non di una semplice battaglia, non di un'importante guerra, quanto, piuttosto, della propria intera vita, di tutto ciò che era stata in passato, di ciò che era nel presente e di tutto quello che sarebbe potuta divenire in futuro.
Per grazia o per colpa delle proprie avventate azioni e della corrispettiva reazione di tutti coloro che, in passato, erano per lei stati famiglia, Midda Bontor, per come era nata e cresciuta sino a quel momento, da quello stesso giorno avrebbe dovuto quindi considerarsi, e si considerò, suo tragicamente e prematuramente estinta. E se una nuova Midda Bontor avesse effettivamente desiderato sopravvivere alla morte del proprio omonimo predecessore, avrebbe dovuto inevitabilmente fare affidamento su figure diverse, su una nuova famiglia capace di concederle quanto ella aveva perduto insieme alla prima.
Così fu. Con la nuova famiglia nella quale, per sua grazia, ella già da due anni aveva condiviso la propria quotidianità, la propria esistenza, con fiducia e solidarietà reciproca. E, ancor più, con Salge Tresand, che primo fra tutti sopperì, per lei, all'assenza dei suoi cari, di sua sorella Nissa, così come di suo padre o di sua madre.

Al di là di ogni vostra legittima domanda, di ogni vostra possibile curiosità, miei attenti ascoltatori, giunto a questo punto della mia narrazione non posso mancare a sottolineare come ogni pensiero nel merito di cosa sarebbe potuto avvenire se Midda Bontor non avesse agito in tal maniera, così come ogni supposizione nel merito di cosa, effettivamente, suo padre potesse aver pensato nel rincontrarla, non potrebbe che costituire, per tutti noi e in conseguenza di quanto vi ho appena detto, nulla di diverso rispetto a semplice elucubrazione dialettica, dal momento in cui a nessuno, nemmeno alla protagonista di tale vicenda, è mai stato dato di maturare occasione di conoscenza a tal riguardo, ove, da allora, da quella stessa mattina, mai ella pose nuovamente piede su Licsia, né nell'immediato, ricercando rifugio e isolamento a bordo della Fei'Mish, né negli anni a venire, evitando di tornare ad accarezzare l'idea di un ritorno a casa, là dove, da tal pensiero, si convinse sarebbe derivato per lei solamente dolore.
Un scelta dettata dal comune istinto di sopravvivenza, quella nel merito di tale perpetuo esilio, sulla quale ella non volle più concedersi possibilità di giudizio, non volle più riservarsi occasione di discussione, imponendosi sì salda, sì ferma al punto tale da dichiararsi pronta ad abbandonare la stessa Fei'Mish nel momento in cui la sua rotta avesse tentato di indirizzarla nuovamente verso quella meta, tanto quale specifico traguardo, così come, in maniera più generica, qual banalmente quella stessa area di mare, nella regione propria dell'arcipelago delle Licoseni. Minaccia che, sebbene mai venne similmente accolta da alcuno a bordo della corvetta, non avrebbe dovuto essere considerata espressione di vana retorica, così come, in maniera tutt'altro che casuale, due anni più tardi ella volle comunque dimostrare in maniera esplicita e trasparente, quando, all’approssimarsi dell’epoca in cui la nave avrebbe dovuto riportarla ai propri luoghi natii, non mancò di rievocare alla mente del proprio amico e confidente, fratello d'arme e di vita ormai divenuto, in maniera spontanea e naturale, anche amante, il sogno da lui stesso espresso quasi un lustro prima, nella bramosia di ambire a quel ruolo al quale probabilmente mai egli sarebbe potuto giungere a bordo di quella nave, quale membro di quell’equipaggio: il ruolo di capitano.

« Salge… » prese voce ella, una notte, proponendosi verso di lui con tono dolce, carezzevole, qual dopotutto il suo stesso nome le garantiva di fare nella propria naturale e armonica pronuncia « Stai già dormendo, pigrone? » gli domandò, sempre sussurrando e pur non negandosi un’intonazione giocosa in quelle proprie parole, ammantandosi della propria consueta irriverenza, salvo poi voltare appena il capo a posare sul suo petto, poco sotto alla spalla destra e la corrispettiva clavicola, un lieve bacio, gesto non tanto derivante dalla volontà di destarlo ove la risposta alla sua domanda si fosse rivelata tacitamente negativa, quanto, piuttosto e semplicemente, di assaporare, come aveva scoperto di amare fare, il sapore della sua pelle sulle proprie labbra, per lei simile a quello di un gustoso cibo o di un divino nettare capace di inebriarne i sensi e appagarne i desideri.

mercoledì 25 maggio 2011

1225


M
algrado la propria rabbia, l'ira in lei dominante in quel momento, sono sincero, non posso che dubitare della volontà di Midda di danneggiare realmente la sorella Nissa nel corso di quella pur violenta lite: non tanto contro di lei, infatti, quanto più contro se stessa avrebbe dovuto essere rivolto il risentimento e il dolore per quanto accaduto, ritrovando nell'altra semplicemente la perfetta candidata ad accusare le conseguenze di tale sfogo, fosse anche solo per le proprie continue accuse, per l'innegabile disprezzo che a lei stava rivolgendo sin dal proprio primo sguardo. Per quanto, infatti, ancor giovane nella propria età, e nel proprio addestramento, ella già era consapevole di non potersi lasciar trascinare in maniera impunita dalle proprie emozioni nel desiderio di poter essere realmente competitiva con qualcuno, di poter effettivamente difendere la propria vita nel momento stesso in cui qualcuno, Nissa in quella particolare situazione, l'avesse posta in dubbio con pensieri, parole o azioni. Tale insegnamento, dopotutto, era stato il primo che Degan le aveva impartito, il primo e il più importante, ove da esso e solo da esso sarebbe potuto dipendere il suo futuro. E proprio tale precetto, in maniera allora già quasi istintiva, richiese da lei la più completa, totale e immediata attenzione, il predominio sulla sua mente e, soprattutto, sul suo corpo, nel momento in cui la minaccia impostale da quel sasso venne elaborata qual reale, qual concreta ed effettiva.
Nissa non desiderava accontentarsi di picchiarla, morderla e graffiarla per ottenere soddisfazione e vendetta. No. Ella desiderava molto più. E Midda, suo malgrado, nonostante il pesante fardello derivante dal senso di colpa da lei pur provato per quanto occorso, non avrebbe potuto permetterle di spingersi a compimento in tale atto, in simile attentato, rinunciando, in una propria ipotetica resa, non solo alla propria carica combattiva, ma, ancor più, al proprio stesso futuro, al proprio amore per la vita.

« No! » ringhiò fra i denti, a rifiutare tale opportunità, a negare di voler tanto prematuramente rinunciare a tutto ciò per ottenere il quale già aveva perduto molto, nel mancato addio a propria madre e nel maturato odio della gemella per sé.

Complice l'istinto di sopravvivenza, il raziocinio prevalse così sul sentimento, e la Midda bambina, qual tale ella era dopotutto ritornata a essere in una simile lite, lasciò subitaneamente il posto alla Midda fanciulla, alla giovinetta che, da due anni, stava venendo addestrata per combattere e vincere, in una ricerca di vittoria non fine a se stessa, quanto, piuttosto, alla propria stessa sopravvivenza, all'irrinunciabile diritto a godere di una nuova alba al mattino seguente. E i movimenti di lei, prima confusi, privi dell'ordine e della disciplina che le sarebbero stati necessari per prevalere anche su una persona del tutto profana con l'arte del combattimento, divennero incredibilmente coordinati, armonici fra loro, tali non solo da permetterle di arginare l'offensiva contro di sé ma, persino, di invertire la situazione a proprio definito vantaggio.
Così, prima che il sasso potesse raggiungere il suo volto, deturpandolo per sempre qual sarebbe stato sol desiderio di Nissa, ella levò entrambe le proprie braccia a incrociarsi all'altezza dei polsi, e a costituire, in tal modo, un inviolabile blocco per l'attacco di lei, rigirando poi, immediatamente in conseguenza al successo di quella difesa, entrambe le mani, priva volgenti i propri dorsi verso il braccio dell'avversaria, allo scopo di offrirle le palme e, con esse, di afferrare saldamente quel braccio armato a proprio discapito anticipando qualunque sua possibilità di ritrarsi. E, allo stesso modo in cui, tanto rapidamente, l'altra era stata così fermata e bloccata, altrettanto rapidamente si vide sospinta con incredibile forza, con sconosciuta energia nella propria gemella divenuta rivale, verso l'alto, proiettata dall'azione delle gambe della medesima in una non desiderata, e pur lì impostale, capriola, tale da rigirarsi al di sopra della sorella e, subito dopo, da ricadere a terra nella medesima direzione, e pur in senso opposto, a quello precedentemente da lei occupato: precedentemente, ho detto bene, in quanto, nel mentre in cui Nissa piombò rumorosamente e dolorosamente al suolo, sentendo la propria schiena gemere in tal impatto, Midda terminò una propria, perfettamente coordinata, capriola, completando, in tal modo, l'inversione delle rispettive, reciproche posizioni e ponendosi, in ciò, al di sopra del corpo dell'antagonista, arma ella stessa dello stesso sasso contro di lei inizialmente levato.
Sol sorpresa, stupore e, ancora, vergogna, imbarazzo, non poterono che dominare la povera Nissa nel confronto con quella sconosciuta Midda, caratterizzata non solo da un aspetto nuovo ma, anche ed evidentemente, da nuove risorse, nuove armi che ella non aveva, sinceramente, supposto sarebbero potute esserle proprie. Tali sentimenti, simili emozioni, tuttavia, non la spronarono a un qualche recupero del proprio perduto equilibrio interiore, a una qualche riconquista del raziocinio abbandonato, così come, in maniera equivalente, era stato ricercato dall'altra, ma, spiacevolmente, si limitarono ad avvelenare in misura maggiore il suo sangue, e con esso il suo cuore, in contrasto all'amica di un tempo, alla confidente di sempre, alla complice e compagna di tanti giochi, a colei per cui, un tempo, sarebbe stata pronta a qualunque azione… persino, probabilmente, a fuggire di casa al suo fianco, se solo glielo avesse domandato, se solo gliene avesse concessa occasione.

« E' questo quello che vuoi, quindi? » sbraitò contro di lei, sputando nel mentre di quelle parole saliva e sangue, non dissimile da un serpente intrappolato fra gli artigli di un rapace « E' questa la ragione del tuo ritorno a Licsia, allora? » insistette, con sguardo folle verso di lei, già irrimediabilmente perduta nel proprio stesso dolore « Fallo. Uccidimi se è questo che desideri, se ciò ti potrà offrire soddisfazione. Dopotutto hai già rovinato la mia vita… la morte potrà solo esser per me una liberazione! »

Posizionatasi sopra di lei, bloccatala a terra sotto l'azione del proprio peso e il blocco a lei imposto dalla mancina, tale da costringerle entrambi i polsi contro al petto, nonché reggendo nella propria destra quel sasso, pronto a divenire un'arma, il quadro offerto da Midda, in tale frangente, non avrebbe potuto apparire, in effetti, particolarmente edificante a uno sguardo esterno, nel far necessariamente temere che ella, già dimostratasi superiore alla sorella in forza e preparazione tecnica, desiderasse effettivamente concludere quella furibonda lite, dopotutto da lei stessa incominciata, in un gesto sì violento e tragico.
Tuttavia, al di là delle apparenze, tali da costringere a un immobile silenzio tutti gli spettatori di quello spiacevole dramma, neppur per un istante, nel cuore della fanciulla era stato covato un sentimento utile a giustificare una simile conclusione, nella mente della giovane era stato formulato un pensiero in tal senso. Forse, probabilmente, ella non aveva dimostrato il proprio affetto verso la propria famiglia nel migliore dei modi possibili, rifuggendo dalla tranquillità della casa e dell'isola su cui era nata e cresciuta in cerca di nuove e meravigliose avventure quali, era consapevole, lì non le sarebbero mai state offerte. Malgrado ciò, forte, reale, concreto avrebbe dovuto essere riconosciuto tale sentimento in lei, per i propri genitori, per i propri nonni, per la propria sorella: un sentimento che mai, e poi mai, le avrebbe consentito di portare a compimento un'offensiva mortale in suo contrasto, a suo discapito. Anzi, nonostante la violenza con la quale ella era stata lì accusata e attaccata, in fede Midda mai avrebbe potuto neppur colpevolizzare Nissa per tanta rabbia e tanto rancore, ritenendosene assolutamente meritevole per tutto ciò che aveva compiuto.
Purtroppo, prima ancora che la sua voce potesse offrire spazio ai propri pensieri, alle proprie emozioni, definendo quanto mai avrebbe agito in contrasto a colei che più al mondo amava, un'altra voce, un altro tono, richiese l'attenzione di tutti, infrangendo il silenzio lì dominante pronunciando una singola parola, un solo nome…

« Midda. »

E pur levando il capo a seguire quel richiamo, per identificarne la fonte, la fanciulla non poté riservarsi la benché minima occasione di dubbio nel merito di chi potesse aver parlato, di chi potesse aver scandito le sillabe proprie del suo nome in quel momento, ove, in fondo, quella era stata una delle voci che per prima ella aveva avuto modo di ascoltare, e di amare, sin da appena nata: la voce di suo padre.

martedì 24 maggio 2011

1224


C
onsiglio retorico, forse persino sgradevole e sgradito, può esser quello di cui, ora, sento necessità di farmi carico: con tutte le persone a voi care, siano essi parenti o amici, madri, padri, nonni, fratelli o sorelle, mogli o marito, figli, non sprecate mai l'occasione di scandire una sincera dichiarazione d'affetto quando ne sentite il bisogno, indipendentemente dal contesto, dal momento, in cui tal necessità v'assale. Perché, se oggi ignorerete simile occasione, domani potreste non goderne ulteriormente e, in ciò, pentirvene per il resto della vostra esistenza, maledicendovi per quanto avreste potuto dire e non avete, allora, detto. In ciò, non voglio concedervi false speranze, a ben poco potranno esser utili parole di conforto da coloro che ancora vi saranno vicini, testimonianze atte a definire quanto, comunque, il caro estinto fosse a conoscenza di tal realtà: in voi, nel vostro dolore e nella vostra pena, sempre resterà il dubbio di quelle semplici dichiarazioni che avreste potuto render proprie qual ultimo, e inatteso, saluto, così come, allora, fu per la nostra protagonista.
Sconvolta, straziata, Midda restò immobile per pochi istanti, o forse per intere eternità, lì inginocchiata a terra, o forse lì sdraiata, prima di esser raggiunta dal delicato e premuroso tocco di Salge, inizialmente da lei neppur riconosciuto, se non anche addirittura ignorato. Troppi dubbi, troppo dolore e, ancor più, troppo senso di colpa fu quello che la investì con la forza di un fiume in piena, non concedendole neppur la possibilità di avvertire la propria stessa pena, sì frastornante, sì acuta e assordante, da risultare, alfine, quasi prossima a un sordo rumore nelle sue orecchie. Egoista ed egocentrica, ne era consapevole, ella era stata nel lasciare in tal modo la casa della propria infanzia, il focolare domestico che con tanta premura e protezione le aveva da sempre offerto un rifugio sicuro: tuttavia, e malgrado le quanto mai spiacevoli e inappropriate parole da lei pronunciate, la bambina, prima, e la fanciulla, poi, non avrebbe mai e poi potuto negare il valore del ruolo dei propri genitori, così come di qualunque altro familiare, nella propria esistenza, nella propria quotidianità, né, parimenti, avrebbe potuto disconoscerne l'importanza, così come, in effetti, ella non aveva compiuto. Facendo semplicemente proprio un errore sin troppo comune, Midda, senza concreta malizia, senza cattiveria alcuna, si era sol permessa di dar per ovvio, naturale, scontato quanto da sempre l'aveva circondata, quanto da sempre era stato parte della sua vita, non concependo la possibilità che tutto ciò, dall'oggi al domani, le sarebbe potuto essere tanto violentemente, e irrimediabilmente, sottratto.
Sua madre… la sua cara mamma… l'aveva perduta. Perduta per sempre. E tutto ciò che di lei le sarebbe rimasto, come purtroppo sol rimane a chiunque, sarebbe stato il suo ricordo, la sua memoria, infantili immagini impresse nella sua mente che avrebbe dovuto proteggere qual il tesoro più prezioso.

« Midda… Midda… ti prego. Dimmi qualcosa… » sussurrò Salge, abbracciandola dolcemente e delicatamente scuotendola, spaventato dalla reazione di lei, tanto forte, sì repentina, da fargli temere che ella stessa sarebbe potuta morire lì, in quel momento, fra le sue braccia.
« Quanta, inutile, tragedia. » commentò Nissa, a margine di quella scena, scuotendo il capo ancor con disprezzo a discapito della sorella o, forse, di colei che neppur riusciva più a considerare tale, come aveva precedentemente lasciato intendere nelle proprie parole « Come hai giustamente sottolineato, in fondo, in quest'isola non vi era nulla per cui valesse la pena di restare… » la derise, con malcelato dolore nella propria voce, ferita quanto e forse più di lei da tutto quello che era accaduto, per effetto, accanto al lutto, del sentimento di tradimento riservatole da chi di più al mondo aveva sempre amato e ammirato.
« Nulla per cui valesse la pena di restare… » ripeté, incalzando in quel doloroso, straziante concetto, storcendo le labbra verso il basso « … stupida… piccola… cagna arrogante. » la insultò, con spregio sempre più appassionato, veleno marcito in lei per troppo mesi, anni ormai, e che ora, alfine, stava trovando possibilità di sfogo « Mi disgusta l'idea di condividere il mio volto con te. Di osservarti e ritrovare, ancora, qualcosa in comune fra noi… »

Rabbia non immeritata, quella di cui Nissa si fece testimone, che, tuttavia, non riuscì a essere quietamente ignorata da parte di Midda, non riuscì a essere silenziosamente accolta e sopportata da parte sua, quale quell'atto dovuto che, forse, la sorella riteneva avrebbe dovuto essere.
Carica di dolore e, a sua volta, d'ira, furore non tanto a discapito di Nissa quanto più di se stessa e del proprio purtroppo ormai irrevocabile errore, qual solo, in quel momento, non avrebbe potuto che giudicare la propria fuga da casa, Midda non riuscì a restare sorta, e passiva, a tanta violenza nei propri riguardi, reagendo in maniera cieca in contrasto a colei che, in quel frangente, in quel momento di pena personale, si stava dimostrando a lei nemica, a lei antagonista, con una crudeltà, un sadismo addirittura, del quale mai avrebbe potuto concepire l'esistenza. E, così, ella reagì a propria difesa, forse senza neppur reale coscienza delle proprie azioni, scattando nuovamente in piedi e, con l'agilità felina maturata in quegli anni, proiettandosi in contrasto alla propria avversaria, sospinta in tal direzione da una sola, e subito espressa, volontà…

« Stai zitta! »

Fu allora che, quanto mai accaduto quand'ancora bambine, coinvolse le due fanciulle, sorelle e gemelle, vedendole rotolarsi a terra una sull'altra, entrambe bramose di prevalere sull'antagonista non tuttavia per semplice capriccio, non per banale giuoco, quanto, piuttosto, per una pericolosa necessità di soddisfazione personale, di appagamento in risposta al dolore allora provato. E se anche, nella propria ancor non completa formazione alla lotta, Midda avrebbe dovuto prevalere, e prevalse, con ampio scarto sulla sorella, Nissa non le si offrì qual inerme vittima, reagendo, al contrario, con tenacia e furore a ogni colpo subito, nel dimostrare, in ciò, una forza d'animo, un'energia intima non inferiore a quella della propria antagonista se non, addirittura, superiore a lei, nel combattere senza accarezzare alcuna idea di resa una battaglia che pur avrebbe dovuto riconoscere qual impossibile da vincere. Quanto permise, in tale situazione, a Nissa di sopravvivere ai colpi della sorella, per fortuna di entrambe, perché malgrado ciò che avvenne negli anni a venire impossibile sarebbe stato considerare quell'omicidio qual positivo, non fu, tuttavia, una qualche, e invero assente, preparazione fisica, quanto, piuttosto, la furia stessa che dominò la mente e il corpo della stessa Midda nel mentre di quell'offensiva, di quel combattimento, di quella disputa, tale da farle contravvenire a tutti gli insegnamenti già offertile dal proprio maestro d'arme e da farla agire, in verità, non diversamente da una bambina arrabbiata ancor prima che qual la spietata combattente che avrebbe potuto essere e che già, in altre occasioni, aveva iniziato a offrir riprova di saper essere.
I pugni, gli schiaffi, i graffi, addirittura i morsi che le due sorelle si scambiarono, rotolandosi sulla nuda terra e cercando di strapparsi i capelli e la pelle reciprocamente di dosso, con principale pena soprattutto per i loro indumenti, le fecero apparir, alfine, più simili a due animali in contesa fra loro ancor prima che due esseri umani, imponendo, in maniera naturale e spontanea, a tutti i presenti di mantenersi a distanza di sicurezza, onde evitare di poter essere sciaguratamente coinvolti in quella turbinio di colpi. Persino Salge, che già, in diverse occasioni, non aveva mancato di gettarsi senza esitazione alcuna nella mischia accanto alla propria compagna di viaggio, quand'ella, con un mai negato compiacimento personale, ricercava possibilità di rissa nelle osterie dei porti, allora si mantenne lontano, osservando, quasi inerme, quella lotta che ai suoi occhi non avrebbe potuto che risultare a dir poco paradossale nel ritrovare, qual antagoniste, due figure pressoché identiche, e sempre più apparentemente tali in conseguenza di quella stessa lotta.
Solo quand'ormai praticamente più nude che vestite, ed entrambe ricoperte più di ematomi e di escoriazioni e graffi ancor prima che di efelidi, una scelta, compiuta da Nissa, in quel momento posta di peso sopra il corpo della sorella, sembrò voler mutare in maniera radicale le sorti di quella competizione altrimenti priva di vinti e vincitori, vedendola allungare la propria destra ad afferrare un sasso presente entro i limiti del suo campo visivo e, sollevandolo con forza, prepararsi a precipitarlo sul volto della propria avversaria…

« Non ti permetterò di possedere ancora il mio viso… non te lo permetterò! » ringhiò furibonda, nel mentre di quella rapida discesa, chiaramente decisa a utilizzare quell'arma improvvisata in contrasto al volto della sorella, già dichiarato, da parte sua, come un'offesa personale.

lunedì 23 maggio 2011

1223


P
arole alle quali, pertanto, la giovane marinaia non si oppose, chinando il capo e lo sguardo con esso verso il suolo, per ammettere, prima implicitamente, in tale atto, e poi esplicitamente, con adeguate parole, quella che comprendeva essere la propria colpa e che mai avrebbe potuto in fede negare qual tale.

« Nissa. » prese quindi voce verso di lei, non tentando di avanzare nella sua direzione sebbene, dopo tanto tempo, non potesse che bramare l'abbraccio della propria pur sempre amata sorella « Hai… hai ragione. » annuì, stringendosi fra le spalle con fare inerme e forse, in tal frangente, rimpiangendo quelle pur spiacevoli meduse nel merito delle quali aveva appena finito di lamentarsi con Salge « Non so come altro poter esprimere questo concetto, dopotutto tanto semplice da risultar banale: hai ragione. E mi dispiace per non aver trovato un modo migliore per agire come ho agito… ma, ti assicuro che… »
« Taci! » la bloccò l'altra, levando entrambe le palme delle mani verso di lei per imporle il silenzio, o, forse, per allontanarla psicologicamente da sé, ove già, fisicamente, si stava mantenendo a dovuta distanza « Non insistere oltre con queste tue vane argomentazioni. » la rimproverò, con asprezza e, al contempo, inalterato disgusto, ribrezzo per l'immagine a lei allora offerta « Credi forse che tornare qui, dopo tutto questo tempo, e dire "hai ragione Nissa", "mi dispiace Nissa", potranno cancellare quanto è accaduto?! »
« No… ma… » tentò di replicare Midda, salvo essere nuovamente interrotta.
« Di cosa mi vorresti assicurare? » commentò con tono addolorato l'altra « Che è andato tutto bene? Che ti sei divertita? Che hai trovato quello che volevi? O, persino, che tu e il tuo nuovo amichetto vorreste stabilirvi qui a Licsia e trascorrere felicemente il resto della vostra vita?! » le domandò, offrendo per la prima volta riferimento diretto alla figura di Salge, pur a lei non ancora introdotta « Oh no, Midda. No. Ti sbagli. Perché quando hai lasciato la nostra casa, la nostra famiglia, fuggendo nella notte come una criminale e tradendo la mia fiducia come… non mi viene neppure in mente un paragone adeguato, tu hai tracciato un solco incolmabile fra noi. Tu ti sei estraniata da noi. E alcuna parola, alcuna scusa, alcun retorico dispiacimento, potranno permetterti di rimediare a ciò. »
« Nissa… per Thyres! » prese voce, ora con decisione e chiaro trasporto emotivo la marinaia, non gradendo tanta animosità nei propri confronti, per quanto, in minima parte, non potesse che giudicarla corretta « E' questo il modo di trattare tua sorella, dopo due anni che non la vedi?! Diamine! Di certo non mi aspettavo lacrime a cascata, e baci e abbracci a profusione, ma… cerca di calmarti! » le suggerì, con tono spontaneamente autoritario, quello che, se già da piccola l'aveva contraddistinta in maniera naturale, in quegli ultimi anni aveva appreso e raffinato nel rapporto con il capitano Mas Fergi e, soprattutto Degan « Mi dispiace di averti mentito. Mi dispiace di essere scappata di casa così come ho fatto. Ma se l'ho fatto avevo le mie ragioni. A differenza tua, per me in quest'isola non c'era nulla per cui valesse la pena di restare… io avevo bisogno di qualcosa di più! »

Un lungo, teso, nervoso silenzio fu quello che ritrovò a confronto le due gemelle al termine di quella breve arringa difensiva, a proprio stesso favore, da parte di Midda, sotto lo sguardo smarrito, e inevitabilmente preoccupato, del povero Salge, lì suo malgrado ridotto al ruolo di semplice spettatore.
Una laconicità assordante, invero, là dove carica di molte più grida, molte più urla, di quanto entrambe non avessero prodotto sino a quel momento, richiamando, necessariamente e inevitabilmente, l'attenzione di metà della popolazione autoctona, in parte incuriosita, in parte persino spaventata, da quel contendere, incapaci, in maniera immediata e naturale, di cogliere in quella marinaia appena sbarcata la stessa piccola disperata che, pochi anni prima, correva allegra e spensierata proprio insieme a Nissa in lungo e in largo per l'intera Licsia. Purtroppo per entrambe, e per chiunque lì attorno il quale, comunque, non avrebbe potuto che dichiararsi felice di poter riaccogliere quella figlia "perduta", l'ira rivoltale non avrebbe potuto essere riconosciuta qual giustificata unicamente dalle ragioni da lei ipotizzate, quelle per le quali si era anche e nuovamente espressa, quanto, piuttosto e tragicamente, per questioni più gravi e, come già dichiarato, ormai irrimediabili.

« Bene. » ritrovò alfine voce Nissa, riprendendo parola, in ciò, con tono divenuto moderato, distaccato, addirittura gelido verso di lei, carico di un freddo non inferiore a quello caratteristico del suo sguardo « Non all'errore di un'ingenua bambina, quindi, ha da addursi il tuo comportamento, quanto all'orrore di una mente malata, sì tracimante di arroganza e di fierezza da non essere in grado di ipotizzare uno sbaglio, una scelta terribilmente sbagliata, qual, altresì, è quella che hai compiuto. » commentò, storcendo le labbra verso il basso « In quest'isola non c'era nulla per cui valesse la pena di restare?... d''accordo. Allora hai fatto bene ad agire come hai agito... »
« Nissa… » cercò di intervenire Midda, rendendosi conto, tardivamente, di quanto avesse scelto i peggiori e più fraintendibili significanti possibili per esprimere un significato ben diverso da quello che, altresì, era in tal modo risuonato « … io non… »
« No. Davvero. » la zittì nuovamente, levando ancora le proprie mani fra loro « Non ti preoccupare. Hai sempre agito per il meglio, dopotutto. O no? Hai sempre saputo cosa fosse giusto e cosa non fosse giusto fare. O no? » commentò, scuotendo appena il capo « E ogni parola che hai affermato è stata, in tutto questo, meravigliosamente corretta e appropriata. » le confermò, senza quell'ironia che pur avrebbe potuto essere associabile a una simile asserzione « E hai giustamente previsto anche come, qui, non avresti trovato né baci, né abbracci, né, soprattutto e ancor più, lacrime a cascata. Perché, in effetti, tutte le lacrime che avevo le ho esaurite nel piangere, prima, la perdita di mia sorella, della mia più cara amica e confidente, e, subito dopo, di mia madre… »
« … nostra madre?! » ripeté la giovane marinaia, sgranando gli occhi e rabbrividendo necessariamente in conseguenza di quell'accenno non sì velato da non permettere di temere il peggio « Di cosa stai parlando? Che cosa è accaduto a nostra madre?! »
« Mia… mia madre. » corresse la gemella, levando l'indice della destra fra loro a enfatizzare il senso di quella sottolineatura verbale « Mia madre è purtroppo venuta meno pochi mesi dopo la scomparsa di mia sorella. Quasi due anni fa… ormai. »

Sebbene quello della morte sia un concetto intrinseco nel medesimo della vita, con il quale chiunque fra noi è costretto a confrontarsi quotidianamente, che lo desideri o no; e sebbene non possano esistere modi, frasi, gesti giudicabili qual realmente opportuni per comunicare la perdita di una persona cara, di un familiare o, ancor peggio, della propria madre o del proprio padre, a cui la stessa esistenza è dovuta; non riesco sinceramente a evitare di dubitare della possibilità, per chiunque, di ricevere in modo peggiore una tale novella, l'annuncio di una tanto tragica e prematura scomparsa, occorsa, addirittura e se possibile ancor peggio, quasi due anni prima e, sino a quel momento, ingenuamente, incoscientemente, ignorata e neppur vagamente ipotizzata, immaginata.
Midda, ancora poco più che una bambina, e sicuramente lontana dall'essere la donna che oggi tutti conosciamo, sì umana e fragile come chiunque, non poté che accusare l'incredibile violenza di quel colpo, quasi un dardo proiettato con letale precisione nel centro del suo cuore, sentendo, improvvisamente, le proprie forze venir meno e quasi svenendo, precipitando inaspettatamente, imprevedibilmente, improvvisamente a terra, sconcertata per quanto appena appreso. Sua madre, la sua cara mamma, che tanto meravigliosamente paziente era sempre stata con lei, tanto quietamente presente era sempre stata nella sua infanzia, pronta a soccorrerla in ogni momento, ad arginare ogni suo pianto con le proprie carezze, le proprie coccole, era morta. Ed ella, per propria esplicita colpa, si era negata l'occasione di poterla salutare per un'ultima volta, di poterle dare un ultimo bacio, di poterle ricordare, ancora una volta, quanto bene le volesse e le volesse veramente.
La sera prima della propria fuga, quali erano state le ultime parole che a lei aveva rivolto? L'aveva baciata gettando le proprie piccole braccia attorno al suo collo per tirarla a sé, così come abitualmente compiva? E le aveva detto quanto le volesse bene?… oppure, troppo eccitata dall'idea di quello che in quella notte avrebbe compiuto, aveva trascurato di farlo?

domenica 22 maggio 2011

1222


P
urtroppo per lei, però, malgrado quanto dato in tal modo per certo, tale da non permetterle la benché minima occasione di incertezza, di sospetto, di esitazione, il tempo trascorso non avrebbe potuto essere riconosciuto qual tale solo per lei, ma anche per la propria Licsia e tutti i suoi abitanti. E, in quegli ultimi due anni, molti, forse troppi, erano gli eventi ai quali ella non aveva avuto possibilità di assistere né nel merito dei quali di essere informata, ove tutta la corrispondenza intrattenuta in tal tempo, in maniera costante, puntuale e periodica così come accordato a tempo debito con il capitano Mas Fergi, era sempre e necessariamente rimasta vincolata in un'unica direzione e in un solo verso.
Con ingenua innocenza, pertanto, ella si ritrovò allegra, serena e, persino, sbarazzina, a trascinare con sé Salge una volta giunti in porto, nella volontà di potergli presentare la propria famiglia e, parimenti, di poterlo presentare alla propria famiglia, in conseguenza del ruolo che, in quegli ultimi mesi, aveva ricoperto con indubbio merito e successo.

« Calmati… per favore. Mi stai disarticolando la spalla così tirando. » la supplicò il ragazzo, strattonato prepotentemente da lei, sorridendo divertito a tanta enfasi da parte sua, ormai invero abituato a quei suoi momenti di particolare foga, e pur, giocosamente, mai concedendosi di assecondarla, forse per semplice ludo, forse perché intimamente timoroso di cosa ella avrebbe potuto tentare di fare se solo non le fosse stato imposto un pur minimale freno psicologico, ancor prima che fisico « Sei stata lontana da casa per due anni: un quarto d’ora in più o in meno non influenzerà di molto la situazione, non trovi?! »
« Dannazione, Salge… » sbuffò ella, aggrottando la fronte con aria contrariata e, tuttavia, non decrementando l’energia posta in quel gesto, anzi, incrementandola, nella volontà di non concedergli quella possibilità di vittoria, qual proposito del tutto fine a se stesso ancor prima che, sostanzialmente conseguente al pur concerto e nostalgico richiamo verso le mura domestiche da lei volontariamente abbandonate « Sei sempre due passi indietro rispetto a me. Come il mese scorso, al porto di Ko’Bahn. » lo rimproverò.
« Ecco, precisamente! » annuì egli, sorridendo sornione « Hai appena citato la ragione per cui dovrei stare non due, ma almeno venti passi indietro rispetto a te. »
« Cosa vorresti dire?! » commentò la ragazza, dissimulando incomprensione nel merito delle parole del compagno, per quanto ricordasse perfettamente gli eventi allora occorsi.
« Lo sai bene… » inarcò un sopracciglio, osservandola a metà fra il serio e il faceto, sinceramente sollazzato da quelle sue discussioni con lei, così come, anche se mai lo avrebbe ammesso, da tutti i guai che, puntualmente, ella sembrava in grado di attrarre a sé, non solo nello scalo appena citato, ma in quasi ogni porto, isola o, più in generale, angolo di mondo da lei raggiunto.
« No che non lo so. » protestò Midda, scuotendo il capo e storcendo le labbra verso il basso, a esplicitare la propria disapprovazione « Quello che so è che a volte sei più indolente di una medusa… e diamine se sanno essere pigre le meduse! »
« Non mi ricordo che tu fossi tanto goliardica nel confronto con loro quella volta al largo di Loomua. » ridacchiò Salge, rievocando un’altra fra le numerose avventure e disavventure da lei già vissute.
« Maledetto. Non mi ci far pensare… » replicò ella, arrestandosi a quell’idea in maniera tanto repentina al punto tale da esser travolta dal proprio interlocutore, impossibilitato a bloccarsi per tempo « … non ho mai creduto di poter essere tanto vicina alla morte come in quell’occasione. » rabbrividì, palesando i propri sentimenti a simile proposito nel far sfoggio di una violenta reazione epidermica, comunemente definita con la metafora di pelle d’oca.
« Ouch… » gemette l’altro, andando a scontrarsi, involontariamente, con il gomito mancino di lei, lì conficcatosi nel suo addome proprio all’altezza del diaframma « … quante storie… per così poco… » asserì quasi privo di fiato, e pur celando il dolore necessariamente provato in un sorriso tirato.
« Così poco?! » strabuzzò lo sguardo la prima, volgendosi a lui con aria scandalizzata « Non ho potuto sedermi per quasi cinque giorni, dopo che quelle schifose e mollicce… cannibali… hanno deciso di sbocconcellarmi il deretano! »
« Mmm… » sorrise Salge, non negandosi di cogliere con divertita malizia quel riferimento ai glutei di lei, nel piegare appena il capo a poterli osservare meglio « Incredibile. Non mi ero mai reso conto che ne mancassero dei pezzi. » ironizzò.
« Ma… » obiettò immediatamente Midda e dove anche, in verità, non avrebbe potuto che preferire tale atteggiamento nel compagno rispetto al suo abituale imbarazzo nel confronto con le proprie forme, ella non mancò di schiaffeggiare indispettita la spalla di lui, spintonandolo da parte per quel commento così privo di rispetto a discapito proprio e del proprio terribile dolore, così rievocato.

Le risate congiunte di entrambi, che esplosero ineluttabili e naturali in conseguenza di tutto ciò, vennero in breve prematuramente stroncate dalla comparsa in scena di una nuova e inattesa figura, che non poté ovviare a sorprendere, per simili e pur opposte ragioni, tanto Midda, quanto Salge. Dove infatti il secondo non mancò di osservare con curiosità e stupore l’immagine offerta da Nissa, ritrovando in lei una copia incredibilmente somigliante della propria compagna di ventura in quegli ultimi mesi e anni; la prima, contemporaneamente e contrariamente, non poté che essere sbalordita da quanto la sorella gemella, nella quale, in passato, avrebbe potuto specchiarsi al pari che in un secchio d'acqua, ora apparisse incredibilmente diversa rispetto a lei, una sorta di versione alternativa atta a dimostrarle come sarebbe potuta essere e come, invece, aveva scelto di non divenire.
Indubbiamente difficile, se non impossibile, è per noi, indiretti testimoni, così a posteriori, di simile vicenda, poter decretare chi potesse far propria maggiore ragione nelle proprie emozioni, se Salge, nel considerare le due fra loro tanto prossime, o se Midda, nel ritenersi quanto di più lontano possibile da colei che un tempo le era pari. Per puro diletto intellettuale, certamente, ci è data la possibilità di ragionare nel merito dei cambiamenti occorsi al corpo dell'una, poc'anzi citati, e non derivanti semplicemente dal passaggio degli anni, dall'alternarsi delle stagioni, e intuire, senza eccessivo sforzo, come essi dovessero aver necessariamente reso le sue fanciulle, un tempo fra loro tanto simili, ora incredibilmente diverse, soprattutto ai loro stessi sguardi. Aggiungendo poi, sempre per semplice piacere dialettico, a tale dualità, una inevitabile differenza nell'abbigliamento dell'una, il minimo indispensabile solo interesse in direzione della praticità ancor prima che dell'eleganza, rispetto a quello dell'altra, sì figlia e nipote di pescatori e pur probabilmente allora cresciuta con maggiore attenzione alla propria femminilità, o ancora nell'acconciatura dei capelli dell'una, selvaggio e ribelle così come da bambina, rispetto a quelli dell'altra, allora portati lunghi, pettinati e ordinati, a formare un delicato mantello rosso attorno alle sue virginali spalle, lo stupore proprio del giovane marinaio potrebbe anche risultare del tutto eccessivo, se non, anche, illegittimo e improprio.
Solo a noi, tuttavia, è comunque concessa occasione di tanta riflessione, elucubrazione, nel merito di simili particolari a distanza di anni, decenni, dai fatti lì occorsi, ove, all'epoca, ben diverse rispetto a quanto potessero essere divenute diverse l'una dall'altra si imposero le priorità da affrontare per la giovane Midda. Priorità che, in maniera esemplare, furono tutte descritte alla perfezione dall'espressione che, nel contempo di quelle stupite dei due marinai, comparve altresì sul viso dell'isolana, in un misto di repulsione, dolore e, forse, addirittura odio…

« Tu…?! » gemette, esclamò, forse urlò, Nissa, osservando inorridita la gemella nei confronti della quale, un tempo, era solita rivolgere solamente sguardi di ammirazione, di sostegno e di amore « Tu… come osi? Come osi fare ritorno qui, dopo quanto hai compiuto?! »

Parole dure, anche troppo, che pur Midda, improvvisamente memore della menzogna, del tradimento, dello spergiuro, addirittura triplice, a discapito della sorella, non poté evitare, in un primo istante, di considerare quali giuste e meritate, necessaria punizione a conguaglio delle proprie colpe, per l'egoismo e l'egocentrismo da lei dimostrato in passato, nonostante i due anni di lontananza trascorsi dall'epoca di tali eventi.

sabato 21 maggio 2011

1221


I
nnumerevoli, e impegnative, furono le prove a cui la piccola Midda sì volle sottoporre, nel richiedere o, addirittura e per maggiore precisione, nel pretendere di poter essere addestrata all'arte del combattimento, incamminandosi psicologicamente, e fisicamente, in quel lungo, e mai semplice, percorso che, anni più tardi, l'avrebbe vista ascendere agli onori della cronaca in grazia dei propri successi, dei propri trionfi, dei leggendari traguardi da lei raggiunti e superati, in costante sfida a uomini e dei. Giorni, settimane, mesi e, in effetti, persino anni, quelli nei quali ella ebbe modo di imparare a conoscere il proprio corpo e i propri limiti sotto l'attenta supervisione del proprio mentore, marinaio così divenuto, per lei, maestro d'armi, nel corso dei quali non mancarono molte occasioni di sconforto, diversi momenti in cui, maledicendo la propria testardaggine, ella si rimproverò non solo di aver ricercato simile tortura ma, anche e persino, di aver lasciato la tranquillità del proprio focolare domestico. Reazioni umane e legittime, le sue, in conseguenza delle quali, tuttavia, mai la bambina, prima, né la giovinetta, poi, accettarono di arrendersi, di rassegnarsi, abbandonando quanto in tal modo iniziato, dimostrando, in ciò, la vera essenza del proprio valore: non per aver ricercato quell'addestramento, difatti e dopotutto, ella ha da esser ricordata ora qual meritevole, semplice e forse ingenua ambizione che può esser propria di sin troppa gente, quanto, altresì, nell'averlo portato a compimento, nei modi e nei tempi su di lei imposti dal proprio tutore, giungendo, in grazia di ciò, non solo a eguagliarlo ma, anche, a superarlo e rendendogli, in tutto questo, il miglior tributo che avrebbe mai potuto essergli riservato.
Mio e vostro malgrado, nel merito di tal pur interessante e fondamentale periodo della vita della protagonista di questa storia, sono ora costretto a omettere integralmente qualsiasi accenno. Tirannico il tempo scorre, infatti, inesorabile in mio contrasto, negandomi la possibilità di condividere, con voi, dettagli pur interessanti, aneddoti persino divertenti, a meno di non voler sacrificare, in loro favore, la ragione portante di questa narrazione, scelta di cui mai né io potrei, né voi tutti potreste, perdonarmi se fossi sì sciocco, superficiale e scorretto da compierla. Meglio, pertanto, rimandare a un altro canto, a un'altra cronaca, il ricordo di quando Midda si ritrovò aggrovigliata in maniera imbarazzante in una rete con la quale avrebbe dovuto intrappolare un innocuo, e immobile, cassone di legno, suo antagonista in tale occasione d'addestramento; così come la memoria di quando ella, meno grottescamente e più pericolosamente, riuscì a ottenere salva la vita dall'inatteso e non voluto confronto con uno squalo, abbracciata alla pinna dorsale del quale percorse oltre due leghe nautiche prima di riuscire a liberarsi del medesimo; o, ancora, la rievocazione della prima rissa nella quale ella si lasciò coinvolgere, conclusasi con una sua meritata vittoria e, successivamente, un'ancor più meritata punizione da parte del sempre severo, e pur premuroso, Degan…
Narratovi di come ella si conquistò occasione di restare a bordo della Fei'Mish e di come e perché ella iniziò ad addestrarsi sotto lo sguardo attento del suo maestro, quindi, ora non mi resta che invitarvi a compiere, insieme a me, un salto di oltre due anni: tale, infatti, fu il tempo necessario alla corvetta del capitano Mas Fergi per compiere il proprio abituale giro attraverso i mari sud-occidentali e riservarsi occasione per far nuovamente rotta in direzione delle Licoseni e della tranquilla Licsia.

Due anni, quelli che in tal modo trascorsero, che, come ribadito e sottolineato, non avrebbero mai potuto essere descritti qual d'ozio per la bambina e che, anzi, la videro crescere, e crescere molto rapidamente, sotto numerosi punti di vista, sia in grazia del semplice e naturale passaggio alla pubertà; sia in conseguenza del proprio impegno come mozzo, e a distanza di un anno come marinaia; sia, ancora, in virtù del proprio costante lavoro accanto a Degan, nella speranza di potersi fregiare, presto, del titolo di guerriera.
La piccola Midda Bontor, audace e forse arrogante bambina dagli occhi azzurro ghiaccio e dai disordinati capelli rosso fuoco che due cicli di stagioni prima era scappata, in condizione di clandestinità, dalla propria terra natia, due cicli di stagioni dopo ritornò all'isola un tempo per lei intero mondo conosciuto quale una figura completamente nuova, e che, in assenza di quegli stessi occhi azzurro ghiaccio e di quei capelli rosso fuoco, probabilmente sarebbe risultata persino irriconoscibile. Se, infatti, la pubertà iniziò a far maturare le sue forme, arrotondando il suo corpo in maniera improvvisa, inaspettata e, persino, imprevedibile, facendole ritrovare in soli due anni una coppia di sodi seni di medie dimensioni a ornare quello stesso petto prima non dissimile da quello di Salge, e parimenti curvilinei fianchi e glutei, a non permettere più, ad alcuno, di poter esprimere dubbi nel merito del suo genere sessuale, della sua femminilità; la sua nuova professione non si limitò a rendere sempre più agili e guizzanti le sue membra, equilibrati e coordinati i suoi movimenti, ma vide anche spuntare, sulle sue braccia, i primi accenni di quelli che, con gli anni, sarebbero divenuti due complessi tatuaggi tribali, attraverso i quali potersi fregiare del proprio impegno lungo le vie dei mari al pari di qualsiasi altro marinaio; e, ancora, ultimo in ordine di citazione, ma non per questo meno importante, il suo addestramento impose una misura aggiuntiva di energia e di vigore a tale complesso, scolpendo il suo fisico in spalle sempre più larghe, in braccia e cosce sempre più forti, e in un ventre sempre più duro e robusto, necessario al fine di poter assorbire i violenti colpi ai quali non mancò di abituarla il suo maestro sin dal primo giorno di lavoro.
Insomma… se non ancora la stessa donna matura a cui oggi tutti noi siamo abituati, non sì distante dalla medesima avrebbe potuto e dovuto essere già riconosciuta allora ella, che della sua innocente e infantile visione della vita, ancora poche caratteristiche si era concessa di mantenere, la maggior parte delle quali hanno da essere riconosciute, in effetti, ancora oggi quali distintive per lei.
Una fra tutte? La sua più completa e naturale disinibizione, nell'assenza totale di quelli che, per i più, sono giudicati quali normali e legittimi pudori.
Come, infatti, due anni prima aveva iniziato a servire sulla Fei'Mish vestendosi solo con corte brache, giustificabile e giustificata, in ciò, dal una fisionomia ancor infantile e del tutto paragonabile a quella del proprio compagno e coetaneo, forse e solamente appena più esile rispetto a lui, due anni dopo ella avrebbe continuato a mantenere eguale scelta di vestiario, nell'offrirsi del tutto priva di qualsivoglia sentimento di imbarazzo per il proprio corpo o la propria ora rivelata femminilità, per la quale non comprendeva alcuna eventuale ragione di vergogna e in negazione della quale non considera di alcuna utilità, e, altresì, sol d'impiccio, la presenza di fasce o casacche aggiunte nel confronto con quanto comunque richiestole dalla vita a bordo. E così, del tutto priva di malizia in ciò, non diversamente dalla vivace bimba in costante corsa per l'intera estensione della propria isoletta, ella avrebbe continuato a vestirsi nella minor misura possibile, o anche, e più semplicemente, a non vestirsi del tutto, se non fosse stato per il serio e severo divieto impostole in tal senso dal capitano e, ancor più, per la crescente difficoltà di dialogo con il proprio sempre fedele Salge, primo amico, complice e confidente a bordo della corvetta. Proprio quest'ultimo, infatti e a differenza di lei, non era parso riuscire ad accogliere qual evento assolutamente quieto a naturale quella sua maturazione, così come, al contrario, ella aveva accettato senza particolare scandalo l'insorgere della prima, soffice lanugine a ornare il suo volto, costringendola a dover celare le proprie nuove forme per non ritrovarsi continuamente ad arrossire violentemente innanzi alla visione delle stesse.

In parte incredibilmente diversa dalla bambina che era un tempo, e in parte altresì incredibilmente simile a se stessa, allora come in passato e così anche ora, nel ritrovarsi a osservare, in lontananza, la sagoma della propria isola natia, la piccola Licsia, ingenuamente Midda non si concesse ragione di preoccupazione per quanto le sarebbe potuto essere lì riservato al suo ritorno, di dubbio per ciò che, in quell'angolo di mondo, sarebbe potuto essere occorso in sua assenza, quasi come se quegli ultimi due anni non fossero neppure trascorsi ed ella si fosse allontanata solo per uno fra i tanti giuochi innocenti e pur avventurosi propri della sua infanzia. Sicura, in ciò, ella era di poter lì ritrovare suo padre, sua madre, sua sorella, i suoi nonni, i suoi zii, i suoi cugini e tutti gli amici della sua infanzia così come li aveva lasciati, forse, addirittura, inconsapevoli di quanto tempo fosse trascorso non diversamente da come, psicologicamente, si stava concedendo lei: dopotutto quella era Licsia, l'angolo più sereno, più tranquillo, più pacifico di tutto il mondo a lei noto anche a seguito di una più matura confidenza con il Creato, e nulla, sarebbe stata pronta a scommette, lì sarebbe mai potuto mutare né in due, né in vent'anni, nulla sarebbe potuto cambiare, sebbene, parimenti, proprio lei si era pur tanto trasformata.