11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

mercoledì 17 settembre 2014

2262


Per un istante ebbi a temere l’eventualità di una devastante deflagrazione. O un terremoto. O una folgore divina volta a imporre dirompente distruzione attorno a noi. O… non saprei ora elencare di preciso tutte le eventualità che, in quell’eterno e pur fuggevole attimo scolpito nel tempo ebbero ad attraversare la mia mente. Di certo, molte, persino troppe prospettive attraversarono la mia mente, spingendomi a prendere in esame i più variegati motivi, le più originali soluzioni e, di volta in volta, paventando soltanto scenari catastrofici, nel migliore dei casi. Ciò non di meno, quanto accadde ebbe occasione di sorprendermi, offrendomi l’unica evoluzione che mai avrei potuto prevedere… il silenzio e l’oscurità.
Dove, un momento prima, una pioggia di laser ci stava promettendo una fine forse rapida e indolore, o più probabilmente lenta e dolorosa, nell’avvelenamento da necrosi che avrebbe potuto conseguire a una ferita non immediatamente letale, assediandoci in quella stanza, nel cuore di uno degli ultimi piani dell’immensa torre all’interno della quale ancora non avevo, né avrei potuto avere, effettiva consapevolezza di essere stato rinchiuso; un semplice battito di ciglia dopo, soltanto silenzio e oscurità ci avvolse, sorprendendo sicuramente il sottoscritto, a maggior ragione i nostri antagonisti, e pur in alcuna misura turbando né Midda, né Lys’sh, le quali, al contrario, non avrebbero potuto che dichiararsi più soddisfatte per quanto occorso. Per le conseguenze dell’impiego del bagatto, il quale, improvvisamente, permise loro di capovolgere la situazione precedentemente a nostro sfavore, decretando, in maniera persino banale, la completa disfatta delle nostre controparti. Ad agire in tal senso, per dovere di cronaca, non fu tanto il bagatto stesso, che si limitò a concederci tale possibilità, quanto e piuttosto la nostra compagna ofidiana, la quale ebbe a dimostrarmi, in maniera squisitamente pratica, quanto per lei minimale avesse a doversi considerare l’ostacolo allora rappresentato da quelle tenebre e da quello che, al mio udito, apparve, almeno nell’immediato, un ambiente incredibilmente tranquillo, nell’improvvisa quiete imposta dall’inattesa, imprevedibile, e allor imprevista, svolta nel conflitto in corso. Un silenzio che, in effetti, scoprii non essere mai stato percepito qual tale dalla stessa… non laddove nel petto di troppe persone era allor impegnato a battere, oltremisura, il rispettivo cuore, e attraverso le labbra di troppe persone era parimenti scandito il rispettivo respiro: un concerto, quello che alla sua attenzione ebbe quindi soltanto a risultare, che le permise di agire con straordinaria rapidità in contrasto a tutti i nostri assedianti, sancendone una misericordiosa sconfitta. E mi concedo l’impiego di tale termine, laddove soltanto misericordiosa ebbe a potersi considerare le sopravvivenza da lei loro garantita, a dispetto della sicura condanna a morte che, altresì, non sarebbe stata risparmiata entro i confini del diverso approccio morale proprio tanto della mia amata, quanto e non di meno di coloro che, malgrado tutto, si videro lì riservare una prospettiva di futuro.
Così, quando dopo poco, pochissimo, alcune flebili lampade d’emergenza ripresero a illuminare l’ambiente a noi circostante, seppur manifestandosi palesemente diverse da quelle che, pocanzi, erano state preposte a un più quotidiano impiego; quanto ebbe a concedersi alla mia attenzione fu un paesaggio decisamente diverso dal precedente, e indubbiamente sgombro da ulteriori minacce. Un paesaggio al centro del quale, persino maestosa al di là di un fisico indubbiamente longilineo, ebbe a predominare la figura di Lys’sh, sola al centro della pacificazione imposta dalla sua rapida, e non impietosa, azione.

« … ma cosa…?! » non potei evitare di domandare, pur non attendendomi, almeno nell’immediato, una qualunque spiegazione e pur non riuscendo a trattenere l’imporsi di tale questione all’attenzione comune, prevaricato nel mio raziocinio, nella mia capacità di controllo, dalla sorpresa per quanto avvenuto, per quell’oscuro lampo nel quale tutto era stato così repentinamente stravolto.
« Ricordami di spiegarti che cosa è un impulso elettromagnetico… » commentò la mia amata, accennando un lieve sorriso e invitandomi, con un cenno del capo, a seguirla e a seguirla animato dalla medesima, assoluta fiducia che in lei avevo da sempre riposto e avrei per sempre riposto, non potendo agire diversamente, non volendo agire diversamente se non vivendo la mia intera esistenza come se, entro i confini del suo essere tutto fosse per me, e nulla, al di fuori di lei, potesse esistere « Ora muoviamoci… tutti i sistemi dell’edificio sono fuori uso, e abbiamo da cercare di uscire di qui il prima possibile. »

Nelle sue mani riponendo, in tal modo, nuovamente la mia vita e il mio domani, rimandando a un secondo momento qualunque genere di spiegazione e, in cuor mio, sperando… pregando ogni dio e dea a me noti affinché, al di là della condanna a morte annunciatami qual gravante sopra l’immediato futuro della mia amata, potesse ancora esservi un indomani per noi, non soltanto in un secondo momento, ma, al suo seguito, in un terzo, un quarto, un quinto e, ancora, un’infinità a seguire.
In tutto ciò, addirittura, non ebbi neppure a prestare concreta attenzione al fatto che il suo nuovo braccio destro, in lucido metallo cromato, si stava lì dimostrando del tutto inerme, inanimato, peso pendente lungo il suo fianco, in incomprensibile opposizione alla vivacità che, malgrado la propria artefatta natura, aveva dimostrato sino a un momento prima, sino a prima di quel repentina interruzione di tenebra, mostrandosi addirittura contraddistinto non soltanto da forme, ma anche da movenze tanto naturali che, non vi fosse stata la complicità dell’estetica propria di quell’arto, avrei potuto persino illudermi di star assistendo a una sorta di miracolo, un’inspiegabile rigenerazione occorsa a sanare l’amputazione che, purtroppo, l’aveva contraddistinta fin da prima del nostro primo incontro e che, a seguito dell’ultima battaglia in contrasto alla propria gemella, e con essa ad Anmel Mal Toise, era persino, tragicamente, peggiorata nella propria estensione, privandola, dell’intero braccio al di sotto della spalla. Di quella stessa spalla che, in quel frangente, si stava concedendo alla mia vista lucente e scintillante, nel metallo che l’aveva ricoperta, adattandosi perfettamente a lei, alle sue forme e alle sue proporzioni, e che, tuttavia, a seguito dell’impiego del bagatto, e del conseguente impulso elettromagnetico, era stata nuovamente privata di ogni funzionalità, non diversamente dai sistemi dell’edificio e, più esplicitamente, dalle armi di tutti i nostri avversari, di tutti gli assedianti in contrasto ai quali tanto serenamente si era potuta riservare opportunità di intervento la sempre più straordinaria Lys’sh.

« Andiamo. » confermai, ancor godendo dei benefici propri di tutta l’adrenalina allor distribuitasi all’interno delle mie membra e, soltanto in grazia all’azione della medesima, potendomi riservare tanta reattività in risposta a quell’invito, all’esortazione rivoltami, soltanto estemporaneamente dimentico di tutto quanto impostomi nel corso della lunga prigionia che, entro quelle mura, mi aveva visto segregato… estemporaneamente dimentico di tutto quanto non avrebbe mancato di riversarsi violentemente a mio discapito nel momento in cui gli effetti benefici di quella droga naturale mi avrebbero abbandonato.

Con il mio corpo e la mia mente, quindi, concentrati sulla mia amata e sulla sua compagna, al solo scopo di poter riconquistare nel minor tempo possibile la libertà perduta, e con il mio cuore e il mio animo, parimenti, fortemente legati alla più sincera e appassionata preghiera della mia vita, per poter credere di avere ancora un futuro insieme a colei per solo la quale, senza esitazione alcuna, avevo abbandonato tutto ciò che in passato aveva contraddistinto la mia esistenza; seguii le mie due salvatrici, raccogliendo, strada facendo, una daga da una delle guardie abbattute allo scopo di poter essere pronto ad agire nel caso di bisogno, all’occorrenza di un nuovo assalto qual, sicuramente, non sarebbero mancati prima di poterci considerare effettivamente in salvo.
E nel contempo di tutto ciò, non ebbi né il tempo, né, tantomeno, la lucidità, di riflettere su quanto fosse lì accaduto e su come, nella violenta negazione dell’operatività di qualunque dispositivo tecnologico a noi circostante, inclusa addirittura la protesi della mia amata, anche altri due congegni degli effetti dei quali pocanzi beneficiavamo avrebbero avuto a doversi considerare non di meno perduti, tanto nel bene, quanto nel male: il traduttore automatico, in sola grazia al quale a Midda, e a me, poteva essere stata concessa una possibilità di relazione verbale con il mondo a noi circostante, Lys’sh inclusa, e il collare inibitore, in sola conseguenza alla presenza del quale a Midda, e a me, era stata negata l’altrimenti sempre presente, e pur sempre celata, ingombrante ombra di Desmair.

martedì 2 settembre 2014

2261


Al di là di facili e gratuite ironie, tuttavia, la tensione propria e caratterizzante quel frangente non ebbe alcuna possibilità di scemare. Anzi. Istante dopo istante, momento dopo momento, la chiara percezione della crisi, del fallimento incombente su di noi e, con esso, della tragedia che ne sarebbe conseguita, rese la nostra ricerca un supplizio al contempo eterno e pur fugace, perché, se su un fronte, lo scorrere stesso del tempo parve arrestarsi, e con esso l’incedere stesso dei nostri respiri, e forse dei nostri stessi battiti cardiaci, su quello opposto, purtroppo, l’intervallo di tempo garantitoci dal capitano sfumò in quello che non riuscii a definire se non in altro modo diverso da un rapido battere di ciglia. Un battere di ciglia nel quale, tragicamente, ebbe a dissolversi ogni speranza di salvezza per la mia amata. Così, ancor prima che potesse essermi concessa la possibilità di scendere a patti con l’idea dell’ineluttabilità del nostro fallimento, non che tale compromesso avrebbe mai potuto essere quietamente accolto, non fu neppure la voce di Lange Rolamo a richiamare all’ordine Midda e Lys’sh, quanto e piuttosto il suono dell’incedere di una dozzina di guardie, armate oltremisura, che con passo celere giunsero sino all’ingresso delle stanze della defunta signorina Calahab, non levando il benché minimo avvertimento nei nostri confronti, non intimandoci in alcun modo la resa, ma limitandosi, banalmente, ad aprire il fuoco, e il fuoco di una commisurata dozzina di precise armi laser, che cercarono le nostre carni e che bramarono, in tal modo, la nostra morte.
Non senza una necessario sentimento di vergogna, mi ritrovo ora ad ammettere come, mio malgrado, il primo a morire, in simile frangente, sarebbe stato proprio il sottoscritto, se in mio soccorso non si fossero gettate, quasi contemporaneamente, entrambe le mie compagne di ventura: in risposta a un qualche istinto primordiale, probabilmente, ancor prima che a un qualunque genere di raziocinio, Midda e Lys’sh ebbero evidentemente a valutare, in seduta stante, l’evidenza di quanto, in assenza di un proprio intervento, non mi sarebbe stata concessa alcuna prontezza di riflessi utile a salvaguardare il mio domani. E, non errando in tal analisi, ebbero quindi a premurarsi, entrambe e in maniera persino speculare, di preservare la mia esistenza in vita, l’una agguantandomi per il braccio destro, l’altra per il sinistro, ed entrambe cercando effimero riparo al di là del letto appartenuto alla trapassata padrona di casa, lì dietro celandomi, e celandosi, non tanto nella speranza di poter ovviare, in tal maniera, alla violenza dell’offensiva così scatenata a nostro discapito, quanto e piuttosto, di rendere appena più complicata la ricerca di un concreto bersaglio per quei colpi, i quali, palesando un approccio più rivolto alla quantità che alla qualità, ebbero a preferire pioverci contro in maniera continua e ossessiva, trascurando l’accuratezza nella fase di mira nella speranza di sopperire, a ciò, con la propria devastante abbondanza.
In verità, con la lucidità che soltanto ora può contraddistinguere la rilettura di tali eventi, facile è comprendere quanto addirittura banale avrebbe avuto a dover essere valutata, in tutto ciò, la possibilità di estinguere l’ardente fiamma delle nostre esistenze, laddove almeno uno fra i nostri antagonisti si fosse concesso la possibilità di approcciare a quell’incombenza con la freddezza di un sicario, allorché lo spaventato entusiasmo di chi, comunque, non aveva evidentemente saputo accogliere con distacco l’immagine del sanguinario scempio condotto, sino a lì, dalla mia amata, nella disfatta di altre dozzine di guardie loro pari, prima di loro. Non che, in tutto ciò, abbia a dover essere ora considerata qual espressa una mia qualche critica a discapito dell’inadeguatezza psicologica di tali possibili carnefici, in sola grazia alla quale, allora, potemmo avere estemporaneamente risparmiate le nostre vite. Tuttavia, per quanto, almeno nell’immediato, quell’approccio ci vide offerto qualche istante in più di mortal esistenza, difficile sarebbe stato per noi perdurare a fronte di quell’assedio, soprattutto ove, come non avrebbe potuto esservi dubbio alcuno, palese avrebbe avuto a dover essere giudicata l’inadeguatezza del nostro riparo a fronte della devastazione propria di quelle armi laser.
Fu, quindi, nella consapevolezza di quanto, nostro malgrado, impossibile avrebbe avuto a poter essere riconosciuta mantenibile quella posizione di arrocco che la mia amata si vide costretta a ricorrere all’ultima risorsa disponibile, all’ultima mossa che avrebbe potuto permettersi di giuocare in quella battaglia e che, necessariamente, avrebbe segnato la fine di quell’assalto che si era prefisso un triplice obiettivo e che, purtroppo, a stento stava dimostrandosi capace di difenderne almeno uno. Perché se lì, Midda e l’equipaggio della Kasta Hamina avevano guidato i propri passi desiderando affrontare e sconfiggere la regina Anmel Mal Toise, liberare il sottoscritto e, ultimo ma non per questo meno importante, offrire una qualunque aspettativa di futuro alla stessa mercenaria da me amata; purtroppo, anche se per mia fortuna, soltanto la questione a me direttamente concernente avrebbe potuto essere riconosciuta qual, almeno fino a quel momento, conquistata con relativo successo, a fronte di un insoddisfacente e frustrante fallimento sotto ogni altro punto di vista. Giunti a quell’ultima, e potenzialmente fatale, evoluzione del conflitto, in uno stallo che, al di là di ogni possibile e straordinaria abilità guerriera da parte tanto della mia amata, quanto della sua compagna, avrebbe potuto garantirci possibilità di sopravvivenza e vittoria, pertanto, forse e proprio allo scopo di preservare quell’unica, minore vittoria riservatasi nella mia liberazione, e, in ciò, qual estremo atto d’amore nei miei confronti, Midda riprese voce e, così facendo, ebbe a rivolgersi proprio in direzione di colui la cui interpellanza stavamo tutti attendendo, e temendo, da un momento all’altro, e che, lì, fu altresì da lei direttamente apostrofato…

« Capitano! » richiamò, con impeto tale che, probabilmente, egli ebbe allora a poterla sentire anche senza la mediazione del dispositivo di comunicazione « E’ giunto il momento di far intervenire il bagatto! »

Mi si voglia perdonare, ora, per l’impiego reiterato di questo termine, che i più attenti fra i possibili lettori, e gli eventuali ascoltatori, di questo resoconto, di certo ricorderanno essere già stato impiegato in un momento precedente a questo. Causa il costretto impiego, da parte di Midda e mio, di dispositivi di traduzione automatica e istantanea, utili a concederci la possibilità di comprendere e di essere compresi, almeno in relazione al linguaggio verbale, dai nostri interlocutori; non mi è data alcuna certezza nel merito del corretto impiego di tale termine in questo contesto. In effetti, non soltanto non potrei vantare confidenza alcuna con la coerenza di un tale significante rispetto al proprio significato in mera relazione alla lingua abitualmente impiegata da Midda e da me, la stessa parlata in Kofreya e, con minime differenze di pronuncia, negli stati confinanti del nostro pianeta natale; ma, addirittura e ancor peggio, non dovrei neppure essere in condizione di poter essere certo nel merito del fatto che, posto a confronto con la stessa parola, nella sua versione originale, da parte del mio traduttore avrei potuto ottenere il medesimo adattamento che, chiaramente, doveva essere stato selezionato da quello della mia amata, nella gestione euristica del funzionamento stesso di tali dispositivi. A posteriori, tuttavia e quantomeno, posso escludere questa seconda eventualità, dal momento che, effettivamente, anch’io ho poi avuto occasione di essere posto a confronto con simile riadattamento… che esso avesse a considerarsi giusto, o meno.
Al di là, comunque, di ogni ulteriore digressione di ordine didascalico, il bagatto invocato da parte della mia amata, altro non avrebbe avuto che a dover essere considerato un’arma. E un’arma, come avrei scoperto di lì a pochi istanti, utile a garantirci l’occasione di fuga di cui, nella trappola in cui eravamo stati rinchiusi, non avremmo potuto evitare di abbisognare non di meno rispetto all’aria stessa…

« Midda… il tuo braccio… » tentò di suggerire Lys’sh, avendo, a differenza del sottoscritto, ben chiaro il significato di quella richiesta e, in ciò, quanto da essa sarebbe conseguito.
« Non c’è tempo. » negò l’altra, scuotendo il capo e spingendo la mia testa ancor più in basso nel momento in cui una nuova raffica di laser rischiò di decollare tutti e tre, dimostrando quando, nostro malgrado, il tempo a nostra disposizione avesse a doversi giudicare scaduto « Ora, capitano! »
« Ora, Ragazzo! » comandò il capitano, senza porre in dubbio le esigenze della mercenaria, e a lei offrendo tutta la propria fiducia così come, già, le aveva tributato nell’insistere per seguirla, per accompagnarla, in quell’impresa, insieme a tutto il proprio equipaggio « Ora! »

lunedì 1 settembre 2014

2260


« Quando stavo cercando la mia spada… » rifletté ad alta voce, nel riabbassare lo sguardo verso la propria lama che ancora, saldamente e possessivamente, stringeva nella propria mancina, tutt’altro che animata dal pur minimo desiderio di separarsi da essa, a essa legata, emotivamente e fisicamente, in misura non inferiore rispetto alla stessa mano che lì la tratteneva con tanta forza, con inoppugnabile fermezza, se non, forse e persino, in misura addirittura maggiore, soprattutto a seguito del prolungato periodo di separazione loro imposto « … ho compreso come il mio principale errore, nel confrontarmi con questo mondo per me nuovo e ancora ampiamente inesplorato, con questa realtà così distante da quella che, sino a un anno fa, era stata la mia, l’unica che avessi avuto occasione di conoscere e di immaginare esistente; altro non avrebbe avuto che a dover essere considerato che… l’approccio. Il mio approccio. Un approccio tale da ignorare le risorse qui esistenti, e quindi qui potenzialmente e variegatamente utili, per giungere in breve, e con straordinaria comodità, a verità rivelate per ottenere le quali, in passato, altro non avrei potuto compiere che appellarmi a qualche dio o dea, e nella sua pietade confidare per il mio domani. E un approccio tale, pertanto, dal vedermi faticare, in maniera eccessiva e inappropriata, se non, addirittura, futile, in sol conseguenza alla mia ingenua ignoranza su quanto, più comodamente, avrebbe potuto essermi concesso, riconosciuto, destinato. »

In silenzio, e con assoluto interesse, seppur forse per motivazioni non propriamente comparabili, Lys’sh e io ascoltammo quel nuovo intervento, quel breve monologo, attendendo di poterci ritrovare, quanto prima, edotti nel merito del messaggio a cui ella avrebbe voluto condurre nella certamente non retorica scelta di determinate espressioni, di talune argomentazioni quali quelle che, in ciò, stavano venendo individuate quali significanti utili a trasmettere il significato da lei ricercato, da lei accuratamente valutato, allora, qual lì idoneo a offrire un concreto contributo alla comune ricerca di una soluzione alla mortale minaccia su lei stessa gravante. Poiché, dopotutto, retorico a commentarsi, nessun altro più di lei avrebbe avuto, obiettivamente e incontestabilmente, interesse a preservare la sua medesima esistenza in vita…

« Partendo, ora, da un nuovo presupposto, qual quello concessoci dal caro Be’Sihl e del tutto estraneo a qualunque precedente ipotesi, atto a considerare, qual mia ormai trapassata candidata assassina, e mecenate, non tanto la sospettata regina Anmel Mal Toise, quanto e piuttosto la non meglio conosciuta Milah Rica Calahab; e, di conseguenza, atto a giustificare, alla base di quanto occorso, non tanto un approccio similare a quello che avremmo potuto, e potremmo ancora, riservarci lo stesso Be’Sihl o io, entro il limitare delle consuetudini proprie del nostro mondo, ma, in effetti, qualcosa di più prossimo al tuo modo di vedere il mondo e di interagire con esso, Lys’sh… » premesse, conducendo in tal modo tale flusso di pensiero in direzione della giovane ofidiana, ancora in suo attento ascolto « … credo che potrebbe essere più che indicato porti un certo interrogativo: avendo ricercato ricorso a un qualche genere di veleno, o un’altra arma comparabile, se non nella propria natura, quantomeno nei propri effetti, nella propria letale conclusione, dove custodiresti un antidoto utile a vanificarne le aspettative, a nullificarne la mortale pericolosità?! »
« Da nessuna parte… » replicò la donna rettile, dopo un fugace momento necessario a riflettere attorno alla questione riservatale « Ogni informazione relativa a qualunque cosa avrei mai potuto sintetizzare a tal scopo, di certo, sarebbe gelosamente custodita in un mio archivio personale, tale da garantirmi il più assoluto riserbo a discapito di possibili tentativi simili a quello che, ora, è nostro interesse condurre a compimento. » tentò di meglio ampliare il concetto appena introdotto « E quindi, se davvero vogliamo sperare di concederti un qualunque domani, dobbiamo ora cercare l’archivio segreto della defunta Calahab… la scheda di memoria in cui possa aver consideravo i dati relativi a quanto ha compiuto a tuo discapito e, soprattutto, a quanto avrebbe potuto riservarsi opportunità di compiere per concederti grazia, all’eventuale conseguimento del compito che ti aveva destinato! »
« Esattamente… » annuì la mia amata, con palese soddisfazione per la comune deduzione condivisa con la propria compagna di ventura, con la quale appariva più che evidente un palese affiatamento, una complicità già estranea a ogni possibilità di dubbio « Anche perché, escludendo che avesse a dover essere realmente considerata qual Anmel, ella avrebbe potuto riservarsi interesse a mantenermi al proprio servizio, se solo mi fossi dimostrata, per lei, di una qualche, concreta, utilità! » concordò, accennando quindi un lieve sorriso alla prospettiva di poter dirimere, quanto prima, la complicata matassa di quell’inghippo « Ora… senza perderti in troppe spiegazioni su cosa sia una scheda di memoria, illustraci soltanto come è fatta, affinché la si possa tutti cercare. » concluse, pertanto, escludendo in quel momento, in quel particolare frangente, ulteriori perdite di tempo quali, purtroppo, già avrebbero potuto essere considerate le chiacchiere entro le quali ci eravamo dilungate in quel mentre.
« Sempre ammesso che Anmel non se ne sia impossessata nel momento in cui ha scelto di chiudere il proprio rapporto di affari con la sua anfitrione… » non potei evitare di commentare, per nulla desideroso di offrire spazio a quella prospettiva e, ciò non di meno, necessariamente obbligato a non poterla escludere… non, quantomeno, a non volermi dimostrare, per riutilizzare le medesime parole già scandite dalla mia amata, terribilmente ingenuo nel mio approccio alla realtà e a ogni suo aspetto, per quanto apparentemente e concretamente spiacevole, in una reazione che, dall’altro della maturità propria della mia purtroppo non più giovanile età, non avrebbe potuto, in alcun modo, essere giustificabile, o giustificata.
« Speriamo non abbia a essere così… oppure, temo, dovremo rassegnarci all’idea di veder prematuramente concluso il nostro appassionato rapporto. » annuì la mercenaria, nell’offrire voce a quelle parole che, sole, non avrebbero ovviato a concedere ragionevolezza al mio obbligato intervento, e che pur, necessariamente, non avrebbero potuto che impegnarsi al fine di esorcizzare l’eventualità in esso sottintesa, sviluppo al quale, per più che retoriche ragioni, anch’ella non avrebbe avuto desiderio alcuno di tendere.

Informati, pertanto, per mezzo della voce di Lys’sh, sulle forme e sulle dimensioni tipiche di una scheda di memoria, tutti e tre concentrammo i nostri sforzi al solo fine di offrire un senso a tutto l’impegno, a tutta la dedizione, a tutti gli sforzi che, sino a quel momento, erano stati posti a sostegno della mia amata e della sua sopravvivenza. Un compito, comunque e obiettivamente, tutt’altro che banale, dal momento in cui, a differenza di quanto non avremmo probabilmente preferito scoprir essere, una scheda di memoria avrebbe avuto a doversi riconoscere in misure e dimensioni estremamente più compatte rispetto a quelle di un qualunque diario, di un qualunque registro, di un qualunque libro, pur potendo, al proprio interno, contenere una mole infinitamente maggiore di informazioni.
E così, pur cercando di porre all’opera il nostro acume, ancor prima che la violenza dei nostri gesti, ineluttabile fu la ripresa di un’opera di devasto, e di devasto sistematico, di ogni suppellettile, e mobilio, presente all’interno di quella stanza, nella speranza di riuscire a individuare qualcosa di dimensioni non maggiori rispetto a uno scarafaggio. Uno scarafaggio normale, ovviamente, e non, sfortunatamente, almeno in tale occasione, una blatta gigante come quelle contro le quali, in passato, la mia amata aveva già avuto passata possibilità di sfida.

« Credo che abbia a dover essere considerata la prima volta nella quale non mi sento profondamente contrariato all’idea che non tutti gli scarafaggi siano sufficientemente grandi da poter divorare un cavallo, con tanto di cavaliere qual pietanza di contorno. » suggerii, avvertendo l’esigenza di spendermi in quella facile e gratuita ironia, l’implicito principale della quale soltanto la mia amata avrebbe potuto concedersi occasione di cogliere, al fine di sdrammatizzare e, in ciò, offrire sfogo all’ansia crescente in me.