Quando Raska, figlia della trecentoventiquattresima moglie del semidio Desmair, figlio del dio Kah e della regina Anmel Mal Toise, unica figlia dell’ultimo faraone dell’antico regno di Shar’Tiagh, ebbe a svegliarsi quella mattina, non poté che scoprirsi felice della propria vita. E di quella vita che mai avrebbe potuto immaginare potersi sviluppare in quella direzione, dopo che per secoli interi era rimasta costretta entro ben diversi confini.
Raska, come le sue duecentoquarantasette sorelle, l’intero gruppo dei Rossi, per così come si erano poco fantasiosamente denominate in opposizione ai loro fratellastri, i Bianchi, aveva lasciato ormai da qualche tempo il mondo nel quale era nata e cresciuta, quella realtà ricavata in una sorta di tasca di una realtà superiore, a opera della stessa Anmel Mal Toise animata, in tal senso, dall’unico scopo di imprigionare il proprio tutt’altro che amato erede. E se Desmair non si era visto amato né da propria madre, né tantomeno dal brutale dio suo padre, parimenti non si era sforzato di riversare il benché minimo interesse nei riguardi della propria progenie, e di quella progenie che, a conti fatti, null’altro che un incidente di percorso avrebbe avuto a considerare. Tale, quindi, si era dovuta da sempre considerare Raska, al pari di ogni altra propria sorellastra o fratellastro: un incidente di percorso, una figlia non voluta e non amata, ma che, in quanto contraddistinta da sangue divino, non avrebbe potuto trovare facilmente occasione di morte... neppur morendo fra atroci sofferenze.
Ritrovarsi a crescere in un mondo prigione, avvelenato nella propria stessa essenza, nella terra sotto ai propri piedi, nel cielo sopra la propria testa, e in quasi ogni frutto che, da tutto ciò, avrebbe potuto derivare, non aveva potuto che indurire il cuore di Raska, facendolo diventare simile a pietra. E non perché ella non desiderasse qualcosa di diverso per se stessa o per le proprie sorelle. Ella avrebbe ben volentieri vissuto un’altra vita se soltanto gliene fosse stata concessa l’occasione. Ma in quel mondo, in quella realtà, l’unica occasione per lei propria sarebbe stata quella di soffrire e di morire, e di tornare in vita e di soffrire ancora una volta e di morire, e così per anni, per decenni, per secoli e persino per millenni, sino alla fine dei tempi e anche oltre, in una prerogativa divina terribilmente simile a una condanna divina a loro imposta per colpe mai commesse. Una condanna già spiacevole, e che non avrebbe potuto che ritrovarsi a essere resa ancor più grave dalla blasfema deriva abbracciata dai propri fratellastri, coloro i quali, corrotti dall’ambiente a loro circostante, nel corso dei secoli si erano visti tramutati in albini, i Bianchi, per l’appunto, e avevano iniziato a vivere una vita brutale e violenta, che alcun rispetto, che alcun freno, si sarebbe mai riservato, neppure in direzione delle proprie sorellastre, di quelle proprie consanguinee. Fra i Bianchi e i Rossi, così, ineluttabilmente aveva avuto inizio la guerra. E una guerra che sarebbe durata per sempre se soltanto, un giorno come altri, nella loro realtà non fossero inaspettatamente comparsi due mortali, due esseri umani provenienti dalla realtà esterna, e disposti a condividere con loro tale realtà se soltanto avessero stretto un’alleanza, un patto di reciproca solidarietà.
A differenza di sua sorella maggiore Siggia, figlia della centotredicesima moglie, la quale subito aveva avuto a offrire fiducia a quei due estranei; Raska, con il cuore ormai divenuto simile a pietra, non aveva accettato quell’ipotesi e, anzi, si era resa protagonista di una sfida all’ultimo sangue con uno dei due, sol desiderosa di avere a dimostrare la totale infondatezza della loro storia. Quei due, infatti, erano a loro sopraggiunti vantando di conoscere l’Ultima Moglie, e di essere dei suoi compagni d’arme... impossibile! Non che Raska non credesse all’Ultima Moglie: come tutte le proprie sorelle, anzi, ella venerava l’Ultima Moglie, la numero novecentoundici, Midda Namile Bontor, l’unica donna che si era dimostrata in grado di tenere testa a Desmair. Ma il fatto che ella credesse nell’Ultima Moglie non avrebbe avuto a dover essere frainteso qual condizione necessaria e sufficiente affinché ella avesse parimenti a credere a chiunque si presentasse a lei vantando di conoscere l’Ultima Moglie e, addirittura, di esserne compagno d’armi. No: Raska non ci aveva creduto, e non ci aveva creduto almeno fino a quando, effettivamente, il proprio avversario, un biondo dal fisico possente, almeno per essere un semplice umano, non era riuscita a batterla a duello, dimostrando con l’evidenza concreta dei propri fatti, ancor prima che con la futilità delle proprie parole, la propria identità.
Così, alla fine, anche Raska non aveva potuto che accettare di collaborare con quei due, in una scelta che, a posteriori, avrebbe avuto sicuramente a dover essere ricordata qual la migliore che avrebbero mai potuto prendere: una scelta in grazia alla quale, alfine, tutte e duecento e quarantotto poterono permettersi di abbandonare il loro mondo natale, l’unica realtà da loro mai conosciuta, per immergersi in qualcosa di più grande, di più bello, di più completo... il mondo vero. E in quel mondo vero, a Raska e alle sue sorelle era stata concessa l’occasione di essere guidate sino alla città dove risiedeva la stessa Ultima Moglie. Anzi: non semplicemente la sua residenza, quanto e piuttosto il suo dominio, giacché in quella città, nota come Kriarya, ella era riconosciuta come unica signora, di fatto regina.
In quel di Kriarya, per quanto straniere, per quanto non umane, per quanto, in effetti, persino mostruose agli occhi di semplici esseri umani, Raska e le sue sorelle erano state, tuttavia, ben accolte.
Quella popolazione, e quella popolazione composta da tutti coloro i quali erano considerati essere la feccia dell’umanità, e dell’umanità di quell’angolo di mondo, non si era fatta problemi ad accettare il loro arrivo. E non si era fatta problemi ad accettare il loro arrivo in nome di una quieta fiducia nella loro signora, in Midda Bontor, e nel fatto che ella avrebbe saputo certamente gestire quella situazione nel migliore dei modi possibili. Così, allora, era stato. E Midda Bontor, l’Ultima Moglie, si era offerta qual punto di contatto fra due mondi fra loro potenzialmente antitetici, garante di una concreta possibilità di pacifica convivenza, e di una pacifica convivenza che avrebbe permesso, finalmente, alle stesse desmairiane di poter vivere una vita vera, coltivando i propri interessi, i propri sogni, le proprie aspirazioni, e contribuendo, a proprio modo, al benessere di quella città, e di quella città che, sotto la guida della sua regina, avrebbe potuto ambire a diventare una vera e propria utopia, là dove, da sempre, era considerata al pari di una discarica, e di una discarica indicata con il nome di città del peccato.
Avendo, così, a poter scegliere per la prima volta in quale direzione muovere i propri passi, cercare un modo di dare un senso alla propria vita, Raska, al pari di altre trentacinque proprie sorelle, non aveva avuto esitazione alcuna a esprimere la propria richiesta: quella di venir accolte dalla stessa Ultima Moglie come proprie allieve, come proprie discepole, per essere da lei formate all’arte della guerra, da lei che, sola fra tutti, era stata in grado di tenere testa persino a Desmair, nonché, addirittura e forse ancor più incredibile, di uccidere lo stesso dio Kah e di dominare il potere della regina Anmel Mal Toise. Non che Raska, o le sue altre sorelle, avessero a doversi fraintendere quali delle guerrafondaie, in conseguenza a tale propria richiesta. No: esse semplicemente non potevano ovviare a riconoscere l’incredibile valore di quella donna in assenza della quale la loro vita immortale non sarebbe mai potuta mutare, e volgere in meglio. E, conseguentemente, esse non avrebbero potuto che desiderare riservarsi un’occasione per restare vicino a quella donna, quantomeno per l’effimera durata della sua esistenza mortale, un battito di ciglia per chi, come loro, promesse all’eternità, cercando di apprendere, da lei, tutto quanto sarebbe stato possibile apprendere, non soltanto sull’arte della guerra, ma su ogni cosa.
E sebbene, inizialmente, l’Ultima Moglie non era parsa particolarmente convinta di ciò, un evento imprevisto nella di lei vita l’aveva condotta ad avere necessità del loro aiuto, della loro collaborazione. Ragione per la quale quel desiderio si era così tradotto rapidamente in realtà. E ragione per la quale, Raska e le sue sorelle avevano così potuto iniziare il proprio percorso di apprendistato accanto alla leggendaria Midda Bontor.
Così, quelle trentasei semidee immortali, quelle trentasei principesse di Shar’Tiagh, si erano ben volentieri asservite a colei che, pur priva d’ogni lignaggio, pur priva di ogni potere, era divenuta regina. E colei che, con la propria sola forza di volontà, allora come in passato, avrebbe potuto plasmare la realtà stessa, traducendo l’impossibile in possibile e creando, realmente, quell’utopia alla quale pur ambiva.
Un’utopia che, purtroppo, non aveva avuto a poter partire comunque nel modo migliore, nel vederla entrare in duro contrasto con alcuno fra coloro i quali, per anni, avevano rappresentato tutta la sua famiglia... ed entrare in duro contrasto per difendere, malgrado tutto ciò, le proprie convinzioni e il proprio sogno. Un sogno che, per tradursi in realtà, non avrebbe allor potuto trascendere dal negarsi lo stolido reiterarsi di errori del passato. E quegli errori che, nel suo caso specifico, avrebbero avuto quasi sempre a doversi ricondurre a un’unica figura, a un’unica persona: la sua sorella gemella Nissa Bontor.