11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

domenica 30 giugno 2019

2957


Ora è tutto un po’ più chiaro, nel merito del perché cinque idioti avrebbero avuto a doversi riconoscere là presenti in quel particolare frangente…?!
Un ladro y’shalfico abbastanza in gamba da infiltrarsi in Kofreya, da attraversare mezzo regno per giungere alla capitale, da entrare nel palazzo sede della famiglia reale, ipoteticamente il luogo più protetto e custodito dell’intera nazione, e da rubare uno dei gioielli più grossi e importanti di tutta la corte, nonché da fare ritorno sino al fronte di guerra, si era dimostrato alfine tanto stolido da tentare di riattraversare il confine con il favore delle tenebre. E, in quelle tenebre, ovviamente, egli era ineluttabilmente scomparso, portando seco il proprio bottino…
… un bottino il destino del quale, allora, avremmo dovuto essere proprio noi a recuperare, ovunque fosse stato trascinato insieme alle spoglie mortali del malcapitato!

« Per Lohr… più ci penso e più non mi do pace. » sbuffò Howe, strabuzzando gli occhi e scuotendo il capo con fare inquieto, non riuscendo ad accettare tutto quello « E dire che dovrei considerarmi un esperto in tema di imbecilli… ma questo tizio, chiunque egli fosse, è stato il più imbecille fra tutti gli imbecilli! » evidenziò, non mancando di riservarsi, in tal senso, l’ennesima, implicita, frecciatina a discapito del fratello, come quasi sempre in maniera del tutto gratuita « Con tutti i modi che ci sono per attraversare il confine, perché scegliere proprio questo…?! Avrebbe potuto fare ritorno a casa attraverso mille altre strade… e invece no! Questo imbecille ha voluto proprio sfidare la sorte attraversando in piena notte una zona infestata da gula! »
« … già. » confermò M’Eu, aggrottando appena la fronte nel cogliere al volo il senso di quell’affermazione e il soggetto protagonista della questione… lo stesso a cui, del resto, stavamo indirettamente dando allora la caccia « Ma chi è peggio…? Lui che è passato di qui una solta volta sperando di farla franca… o forse, e piuttosto, noialtri, che ogni notte ci ostiniamo a ripercorrere i suoi passi, nella speranza di comprendere ove i gula trascinino le proprie vittime…?! »

Cinque idioti. Per l’appunto.

« Basta questo pessimismo, Howe! Stai iniziando a risultare contagioso! » rimproverai lo shar’tiagho, scuotendo il capo e invitandolo, in tal maniera, a mutare approccio, onde evitare che altri potessero subire la sua influenza, come lì sembrava star accadendo al buon M’Eu « E tu… torna a sorridere come sempre, che alle donne non piacciono i musi lunghi! » soggiunsi poi, in direzione del figlio di Ebano, ben consapevole di quanto, al pari di qualunque maschietto, non mancasse di essere particolarmente sensibile all’argomento, ragione per la quale, certamente, avrebbe mutato immediatamente approccio una volta riflettuto attorno a tale dettaglio « Secondo te perché fra questi due ho scelto proprio Be’Wahr…?! » incalzai, strizzando l’occhio sinistro con fare complice in direzione di H’Anel, a cercare in lei un aiuto a sostenere tale mia tesi femminile « Un animo positivo è sempre la chiave del successo! »

Errore mio.
Avevo dimostrato troppa ingenuità in quella mia uscita, al tempo stesso sia giocando con l’orgoglio di Howe, sia ponendo sul piatto un argomento troppo complicato per poter essere affrontato al termine di una lunga giornata di combattimenti. E così, in risposta a quella mia scherzosa provocazione, il caso proprio di troppe voci sovrapposte ebbe a travolgermi e a sommergersi, come un’onda improvvisa…

« Ti amo tanto anche io… » sorrise felice il mio biondo compagno, accogliendo positivamente quella mia affermazione come una dichiarazione nei suoi riguardi, qual, in effetti, avrebbe anche potuto essere quietamente interpretata, benché a margine del discorso principale.
« Ah… e io che ero convinto fosse semplicemente dimostrazione di quanto tu possa amare gettarti a capo chino nelle imprese disperate. » protestò contemporaneamente Howe, sorridendo sornione a quell’ultima mia battuta « Invece a quanto pare sei attratta dal sorriso proprio di chi inconsapevole persino del mondo a sé circostante… »
« Pensa a papà… e al suo sorriso migliore. » commentò H’Anel verso il fratello, offrendomi il sostegno sperato e adducendo l’esempio proprio del loro genitore a mio sostegno « Non puoi negare quanto riesca a essere affascinante… e ad aver successo con le donne! »
« Ah… quindi non sono i muscoli quelli che contano…?! » ridacchiò tuttavia M’Eu, scuotendo il capo con aria poco convinta in favore di tanto risalto attorno al tema del sorriso « Perché io rammento che, soprattutto un tempo, papà fosse famoso per il proprio fisico, ancor prima che per qualunque possibile aspetto del proprio carattere… » ammiccò, non mancando di evidenziare implicitamente quanto, fra i presenti, anche Be’Wahr avesse a doversi considerare quello dotato di un fisico più scultoreo fra tutti, non avendo egli stesso ereditato quella caratteristica paterna e potendo, piuttosto, vantare un fisico muscoloso ma atletico, agile, longilineo, al pari di quello della propria sorellona, e tale da farli idealizzare prossimi a due meravigliosi felini, a due potenti pantere, a confronto con le quali mai si avrebbe avuto piacere a scontrarsi.
« Ma certo che sono i muscoli che contano… soprattutto quando ci si ferma all’aspetto fisico, ancor prima che scendere a confronto con la profondità intellettuale del proprio interlocutore. » intervenne Howe, a dar manforte al giovane figlio dei regni desertici centrali, annuendo a sostegno di quella sua affermazione « Che poi, nel caso di questo qui, la profondità in questione è quella propria di una pozzanghera… e di quelle dove non ci si riesce neppure a bagnare i piedi camminandoci dentro. »
« Considerando quanto tu vada in giro scalzo, mi viene difficile a immaginarlo… » tentò di protestare Be’Wahr, avendo spiacevolmente colto l’insulto a proprio riguardo e, in tal senso, non potendo ovviare a replicare, e a replicare facendo riferimento a quel particolare proprio della tradizione shar’tiagha, l’offrirsi sempre scalzi per ricordarsi il valore dell’umiltà, e di quell’umiltà in assenza della quale, nell’epoca dei miti, Shar’Tiagh si era quasi condannata all’estinzione.
« Proprio perché vado in giro scalzo, questa mia dichiarazione dovrebbe spingerti a riflettere su quanto potessi voler intendere. » replicò il primo, ridacchiando « Ma, per l’appunto, qualunque genere di attività intellettuale non ricade esattamente fra le tue prerogative… »
« Pensare che una donna sia attratta soltanto dai muscoli di un uomo, sarebbe come dire che un uomo è attratto soltanto dai seni o dai glutei di una donna! » decise di intervenire H’Anel, dimostrando una certa ingenuità nel voler porre sul metaforico tavolo della discussione un tale argomento, e un’ingenuità per lei abitualmente non propria e probabilmente, allor, sol giustificata dalla comprensibile stanchezza accumulata.
« Eh! » confermò ironicamente M’Eu, annuendo nei riguardi della sorella.
« Eh! » gli fece compagnia Howe, indicando con le mani l’esemplificazione più evidente lì a disposizione che, nell’assenza di una particolare abbondanza toracica da parte di colei che si era appena espressa in tal direzione, non avrebbe potuto ovviare a coinvolgere proprio la sottoscritta, e la sottoscritta che in quel momento stava ancor cercando di venire a capo del marasma involontariamente generato con la propria ultima affermazione.
« E-… » sembrò quasi voler offrire maschile solidarietà anche Be’Wahr, salvo ritrovarsi stroncato sul nascere da una mia occhiataccia, e da un’occhiataccia che lo spinse a dimostrare tutto il proprio acume nel riuscire a frenare appena in tempo quell’indole volta al cameratismo nel preferire, allorché dimostrare la propria appartenenza al branco, conservare i propri diritti acquisiti nei miei confronti, in termini tali per cui, quindi, ebbe a mutare al volo quanto avrebbe potuto dire di sbagliato « … -norme errore banalizzare in questo modo la questione! »

sabato 29 giugno 2019

2956


« Probabilmente ancora la conosci troppo poco per poterla realmente comprendere, ma Kofreya, al pari di Y’Shalf, non sono nazioni complicate. In questo mondo, e in questo mondo antico, esistono altri regni che possono vantare una Storia decisamente più lunga di quella di Kofreya o di Y’Shalf. E più è lunga la Storia di un popolo, necessariamente più complicato diventa rapportarsi con la stessa, con le sue sfumature, con i suoi intrecci. » aveva voluto quindi iniziare a spiegarmi, invitandomi ad accomodarmi in quello che, a tutti gli effetti, era il suo studio « Ma per due regni, come quelli di Kofreya e di Y’Shalf, la cui origine non affonda nella leggenda, nel mito, ma soltanto nella Storia… beh… tutto diventa necessariamente più facile da comprendere. Nel bene o nel male. »
A quelle parole non avrei potuto fare altro che annuire, e così feci, prendendo posizione là dove mi era stato richiesto di fare.
« Prendi questa guerra… questa guerra eterna fra le nostre due nazioni. » aveva continuato, accomodandosi a sua volta, dopo che io mi fui seduta « Praticamente nessuno sa perché abbia avuto inizio e non poche sono le spiegazioni con le quali, in molti, tentano di dare un senso a tutto questo: c’è chi parla di antiche faide familiari; c’è chi riversa ogni colpa sulla palude di Grykoo, che già, maledetta di suo, non può che prestarsi alla perfezione a una tale chiave di lettura; c’è chi inventa maledizioni e quant’altro. Ma la verità è solo una… la guerra è un affare conveniente. » aveva dichiarato, stringendosi appena fra le spalle, in una frase che, probabilmente, per chiunque, in quel mondo, sarebbe risultata di difficile comprensione, ma che per me, proveniente da una realtà meno epica rispetto a quella, non avrebbe potuto che apparire praticamente retorica « Tanto per il re, quanto per il sultano, tanto per Kofreya, quanto per Y’Shalf, la guerra è un affare conveniente: utile a rendere più coeso il proprio popolo in opposizione a un nemico comune; utile a distrarre il proprio popolo da altre e più gravi questioni, come, banalmente, la povertà e la fame che pur, in molti, devono patire in favore della ricchezza di pochi; utile a contenere la crescita demografica, evitando che in troppi possano sperare di raggiungere la mia veneranda età; utile, ancora, a giustificare qualunque decisione più o meno arbitraria argomentandola qual necessaria in funzione della lotta contro l’avversario. Insomma… comunque la guardi, la guerra non può che essere qualcosa di positivo per chi è al potere e per chi, al potere, desidera restare. »
« E’ un discorso... che dimostra estrema sagacia. » non avrei potuto fare altro che constatare, e così constatai, sorprendendomi, in verità, di quanto straordinariamente moderna avrebbe avuto a potersi ritenere quell’analisi e, soprattutto, di quanto tale analisi stesse provenendo, allora, non soltanto da un uomo di quel mondo, ma, ancor più, da un guerriero, e, in ciò, da qualcuno che della guerra non aveva voluto ovviare a rendere il proprio stile di vita.
« Ti sorprende che un ex-soldato mercenario possa arrivare a dichiarare simili parole?! » aveva quindi ridacchiato Brote, scuotendo appena il capo « Beh… se sono arrivato alla mia età, e alla mia posizione, è proprio perché un giorno, letteralmente immerso fino al collo nelle viscere dei miei avversari, ho avuto modo di comprendere quanto, dietro a tutto quello che stavo facendo avrebbe avuto a doversi intendere una simile ragione. E una ragione a confronto con la quale soltanto stolido sarei stato a continuare la mia vita come guerriero, senza cercare, a mia volta, di approfittare della situazione, e di iniziare, a mia volta, a guadagnare dalla guerra. E a guadagnare veramente da tutto questo. » aveva allor confessato, in un’ammissione assolutamente sincera e trasparente da parte sua, una confidenza che, probabilmente, si era potuto così concedere sol perché lì posto a confronto con il volto di una vecchia amica… il volto di Midda Bontor « Ma sto decisamente uscendo fuori dal seminato… e, per tutti gli dei, in questo non posso che iniziare a sentirmi davvero vecchio, smarrendo la concentrazione su quanto desideravo dire per rincorrere altri pensieri, altre idee, altre riflessioni! »
« Se ti può consolare a me succede continuamente… anche senza essere poi “così” vecchia. » avevo quindi ridacchiato, a stemperare la questione, non che, in verità, avrei potuto considerare Brote “così” vecchio, benché nel confronto con l’aspettativa di vita media di quel mondo, obiettivamente, anche Howe e Be’Wahr non avrebbero più avuto a doversi fraintendere qual due giovanotti… e, con loro, io stessa.
« Comunque sia… come stavo dicendo, Kofreya e Y’Shalf non sono due nazioni complicate. » aveva quindi ribadito, cercando di ricollegarsi al discorso iniziale « Ciò non di meno, in un mondo decisamente più antico e più complicato rispetto a quanto mai questi due regni potrebbero sperare di essere, o di diventare, il fatto di non essere poi due nazioni complicate non può che risultare, a tratti, decisamente svilente. In termini tali per cui, allora, anche in Kofreya e Y’Shalf non si può ovviare a tentare di ritrovare, o addirittura di inventare, una Storia antica, un’origine mitica, là dove, altresì, assente. »
« Posso comprendere… » avevo confermato a confronto con tali parole, mentre esempi di molte situazioni assimilabili nel mio mondo d’origine non avrebbero potuto ovviare ad affollare la mia mente nel confronto con quella narrazione « … anche da dove vengo io non sono mancati, nel corso del tempo, nazioni desiderose di promuovere la propria identità nel ricercare nell’epica classica un senso alla propria stessa esistenza. »
« Bene… in questo, allora, ti potrà essere anche più facile apprezzare il resto della questione. » aveva sorriso egli, ammiccando appena « E ti potrà essere anche più facile comprendere perché la famiglia reale di Kofreya possa essere disposta anche a offrire indulgenza plenaria per tutte le colpe imputate alla Figlia di Marr’Mahew laddove la missione dovesse essere condotta a compimento. » aveva ribadito, in un’affermazione quanto mai interessante, se non direttamente per me, quanto e soprattutto per la mia corrispettiva, e la mia corrispettiva il cui nome, comunque, stava lì venendo accomunato alla sottoscritta, provocando un pericoloso cortocircuito nel confronto con il quale, pertanto, troppo facilmente avrei potuto essere io stessa riconosciuta colpevole di colpe non mie « E tutto al solo fine di recuperare un gioiello… e un gioiello antico. Una gemma, grossa come un pompelmo, il cui valore, ancor prima che economico, ha da esser riconosciuto in termini di fama, di prestigio, nell’essere stato da sempre promosso, da parte della famiglia reale, qual evidenza di un mandato divino in loro favore, di una benedizione celeste a loro vantaggio, dono del dio Gorl in persona, da lui plasmato nella fucina del monte Gorleheist. »
« Rammento male o un’avventura di Midda ebbe a riguardare proprio il recupero di qualcosa di simile…?! » lo avevo così interrotto, sicura di aver già sentito qualcosa di simile o, quantomeno, di aver già sentito pronunciare quei nomi in riferimento a una gemma… o erano due?!
« Ti stai probabilmente riferendo alle gemme di Sarth’Okhrin, che la tua… sorella maggiore… ebbe a recuperare per me molti anni or sono. » aveva quindi replicato egli, faticando a esprimere verbalmente il concetto di corrispettiva dimensionale, e, in tal senso, preferendo semplificarlo nell’indicare la Figlia di Marr’Mahew, piuttosto, qual una sorta di mia sorella maggiore, per l’appunto « Quello è un altro discorso… e, soprattutto, un discorso decisamente più veritiero rispetto a quello di cui stiamo parlando ora. Perché l’Occhio di Gorl, così come è tale gemma è stata enfaticamente soprannominata, non ha nulla di speciale a parte il fatto, per l’appunto, di essere una pietra preziosa di dimensioni improbe: nessun potere, nessuna magia, è in verità connessa a quel gioiello. Benché, ovviamente, i reali di Kofreya preferiscano lasciar credere una realtà decisamente diversa. »
« Capisco… » avevo annuito, salvo poi soggiungere « E immagino che questa gemma, questo Occhio di Gorl, sia scomparso in qualche zona non propriamente salubre… in termini tali per cui, allora, il nostro intervento possa avere un qualche significato. »
« Esattamente. » aveva confermato Brote, annuendo con quieta soddisfazione innanzi alla mia perspicacia, per così come lì appena dimostrata « Per quanto gli inquisitori della famiglia reale sono stati in grado di ricostruire, pare che un ladro al soldo di Y’Shalf sia stato in grado di infiltrarsi a palazzo, nella capitale, e di sottrarre l’Occhio di Gorl dalla teca entro la quale era custodito. Tuttavia, la fortuna che proverbialmente arride gli audaci, non è stata d’aiuto al ladro nel mentre in cui ebbe a tentare di fare ritorno in Y’Shalf… »

venerdì 28 giugno 2019

2955


Nel merito della nostra piccola avventura nel tempo del sogno, durante la quale mi era già stata concessa, all’epoca di questi fatti, una fugace occasione di contatto con la mia controparte locale, in effetti, né io, né tantomeno Be’Wahr o Seem, egualmente presenti, avevamo avuto ragione di proferir verbo, di condividere testimonianza con alcuno, nel riconoscere quanto, in fondo, tutto ciò avrebbe avuto a doversi considerare così estraneo a ogni consueto raziocinio al punto tale da poter risultare quietamente folle… pur in un mondo ove la follia, obiettivamente, avrebbe avuto a doversi riconoscere pressoché di casa.
In ciò, quindi, lord Brote, al pari di chiunque altro, non avrebbe potuto sapere che, in effetti, io e Midda, la “sua” Midda, ci eravamo già incontrate: un incontro fugace, invero, fugace e particolarmente movimentato, tale da offrirsi privo di particolari momenti di introspettivo confronto, e, ciò non di meno, un primo, e allor ancor unico, momento d’incontro fra noi. Un momento d’incontro nel corso del quale, in verità, a stento ero stata in grado di presentarmi a lei e di esplicitare le ragioni della mia presenza in quel mondo, in quella realtà, nel ritrovarci, altresì, troppo impegnate a fronteggiare un pericolo inedito per entrambe, e il pericolo allor rappresentato da un vicario della regina Anmel, e della “mia” regina Anmel, e un vicario allor intenzionato, in maniera forse un po’ carente di senso della misura, a sfruttare il tempo del sogno per un solo e semplice scopo: eliminare non soltanto me o Midda, ma, attraverso di noi, qualunque altra Maddie o Midda esistente nell’intero multiverso. Insomma… una cosina da nulla.

« Deve essere davvero una persona interessante… » mi volli limitare pertanto a dichiarare, restando sufficientemente generica, nella mia asserzione, in termini tali da non poter giudicare effettivamente quella qual una menzogna da parte mia, neppure per omissione: il mio commento, infatti, avrebbe avuto a doversi ritenere così lontano da qualunque presa di posizione nel merito del mio eventuale, o non, rapporto con la Figlia di Marr’Mahew, tale per cui, allora, anche il più attento scrutatore dell’animo umano non avrebbe potuto che ritenersi quietamente soddisfatto da ciò, e proseguire oltre.

Una scelta, quella con la quale, in buona sostanza, ebbi a ingannare il mio mecenate, allor motivata da una certa stima nei suoi riguardi, e nei riguardi del suo intelletto, e di un intelletto che, certamente, non avrebbe avuto a doversi fraintendere qual privo di limiti e che, ciò non di meno, avrebbe avuto a doversi altresì giudicare sufficientemente confidente con l’animo umano in misura tale per cui una qualunque menzogna, e una qualunque menzogna pronunciata in maniera diretta e aperta innanzi a lui, ben poca aspettativa di successo avrebbe avuto a potersi riservare. Dopotutto, se sino a quel giorno era sopravvissuto in una città qual Kriarya, e lì era sopravvissuto nel ruolo di signore della stessa, di “lord” di quella capitale kofreyota, egli non avrebbe avuto a doversi fraintendere qual propriamente un poco di buono… anzi.
Il mio trucco, comunque, ebbe a funzionare e, ancora una volta, egli non ebbe la benché minima ragione per sospettare che, nel confronto con la mia verità, qualche parte della storia mancasse. E non una porzione antica, quanto e piuttosto qualcosa di quietamente recente.

« Sì. In effetti lo è. » aveva semplicemente annuito, sorridendo appena, con malcelata tenerezza, nonché malinconico rimpianto, all’idea della distanza allor esistente fra lui stesso e quella cara amica, quella donna che, a modo suo, era comunque stata per molti anni protagonista della sua quotidianità, in termini tali per cui, allora, difficilmente non avrebbe potuto essere al centro di forti sentimenti d’affetto, se non, addirittura, d’amore, benché, ovviamente, un amore diverso da quello che egli doveva aver provato per la madre di suo figlio, per l’altrettanto sempre amaramente rimpianta Nass’Hya « Ma veniamo a noi… » aveva scosso il capo, come ad allontanare un certo senso di disagio nel confronto con il ricordo della mia corrispettiva, e di colei che, per quanto avremmo potuto tutti sapere, avrebbe potuto anche non fare più ritorno a casa, non fare più ritorno dai propri amici, dai propri cari, partita per un viaggio che, non diversamente dal mio, avrebbe avuto a intendersi in buona sostanza di sola andata « … ho un nuovo incarico per te e per i tuoi amici. Un incarico molto particolare e il successo del quale, forse, potrebbe contribuire a ricucire un antico strappo fra la famiglia reale di Kofreya e la figura propria della Figlia di Marr’Mahew. Uno strappo di cui, sia chiaro, non era stata Midda a essere protagonista, benché ufficialmente accusata di ogni colpa, quanto e piuttosto la sua gemella Nissa. » aveva quindi dichiarato, non potendo ovviare a una smorfia di disappunto nel pronunciare il nome di colei responsabile per l’assassinio della sua sposa, nonché madre del suo unico figlio.

Nelle dinamiche proprie della storia di quella Midda, e di quella Midda la cui storia, ancora, per me avrebbe potuto ovviamente vantare molte zone d’ombra, pur essendosi impegnati tutti i miei nuovi amici, e, in particolare, Howe e Be’Wahr, a cercare di sanare tali lacune; la tematica che, sicuramente, non avrebbe potuto ovviare ad attrarre il mio interesse, la mia curiosità, avrebbe avuto a doversi riconoscere proprio quella legata alla storia di Nissa Bontor, deceduta corrispettiva locale della mia amata Rín.
Forse in conseguenza a permanenze sempre troppo brevi per potermi concedere occasione di approfondire in tal senso, quel mondo, quella realtà, avrebbe avuto a doversi considerare la prima nella quale, in effetti, mi era stata concessa l’opportunità di ritrovare una tale anomalia, e un’anomalia non secondaria alle vicende che avevano contraddistinto la Storia di quel luogo… anzi. La trentennale faida intercorsa fra Midda e Nissa, infatti, avrebbe avuto a doversi riconoscere qual uno degli eventi che più avevano contraddistinto la Storia recente di quel mondo, in un lungo, lunghissimo conflitto nel corso del quale molte persone, e persone amate, su ambo i fronti, avevano perduto la vita, e, particolare non da poco, in virtù del quale persino la geografia politica stessa di quell’angolo di mondo aveva avuto a essere riscritta, nella nascita, per mezzo di Nissa, di una grande e potente nazione di pirati, per così come, prima di lei, neppure avrebbe potuto immaginarsi essere possibile.
Affascinante, per me, tutto quello non avrebbe potuto ovviare a essere, e ancor non può mancare di essere, nel riflettere, per l’appunto, su quelli che dovrebbero essere i parallelismi fra gli universi del multiverso e, in particolare, fra Midda e me, e fra Nissa e Rín. Ma laddove, ad animare il rapporto fra me e Rín null’altro avrebbe potuto essere giudicato se non amore, a contraddistinguere quello fra Midda e Nissa doveva essere stato, piuttosto, un profondo risentimento, e un profondo risentimento della stessa Nissa nei riguardi della sorella che l’aveva abbandonata allo scopo di partire per vivere straordinarie avventure attraverso le vie dei mari…
… un profondo risentimento…
… l’aveva abbandonata allo scopo di partire…
… non credo di dover sottolineare ulteriormente le ragioni del mio interesse, e di un interesse, allora, quanto mai personale, nel non poter ovviare a domandarmi se, per caso, con la mia partenza, e la mia partenza sulle ali della fenice, non potessi aver posto i semi, nel profondo del cuore della mia amata Rín, per un’eguale evoluzione, e un’evoluzione a confronto con la quale, presto o tardi, ella non avrebbe mancato di fare la propria ricomparsa innanzi al mio cammino, e di farla per pretendere, in tal senso, il mio sangue, la mia vita e, magari, privarmi del mio braccio destro e sfregiarmi il volto, per così come, a tempo debito, era stato anche fra le nostre corrispettive locali.
No… Rín non avrebbe mai potuto fare qualcosa del genere. Non la mia Rín. Non la mia amata sorella.

« Dimmi tutto. » non avevo potuto allora ovviare a invitare il mio mecenate a esprimersi, a proseguire oltre, offrendo verso di lui un dolce sorriso d’incoraggiamento, speranzosamente utile a superare l’ombra di Nissa, improvvisamente calata non soltanto su di lui ma, incredibile a dirsi, anche su di me, nel porre nel mio cuore ineluttabili dubbi su quanto, con la mia partenza, non avrei potuto aver causato, e aver causato a danno dei miei cari, della mia famiglia, e, soprattutto, della mia amata gemella.

giovedì 27 giugno 2019

2954


Come credo di aver già illustrato adeguatamente nel definirci un gruppo di cinque idioti intenti a restare lì a zonzo durante la notte, non soltanto contraddistinti dal rischio di essere esposti agli assalti dei gula, quanto e piuttosto desiderosi di averli, addirittura, a studiare nel proprio ambiente naturale, il nostro intento, in quel momento, in quelle chiacchiere e in quei giuochi, sarebbe stato quindi quello di ingannare la stanchezza e la tensione conseguente a una lunga giornata di battaglie, per riuscire ad attendere in termini quanto più sereni possibili l’arrivo dei nostri obiettivi, o, eventualmente, dei nostri potenziali carnefici.
Quanto, tuttavia, probabilmente ancor non ho avuto occasione di esprimere, e di esprimere in maniera esplicita, a margine di tutto ciò, è la ragione per la quale, appunto, in quel frangente, in quel momento, ci stavamo comportando da cinque idioti straordinariamente desiderosi di morire. Perché se già, implicitamente, dovrebbe essere passata l’idea di quanto, allora, fossimo lì presenti qual animati da puro e semplice spirito mercenario, e quello stesso spirito mercenario che già, per una vita intera, aveva contraddistinto una buona parte delle scelte e delle avventure della mia corrispettiva, della vera Figlia di Marr’Mahew; esplicitamente non credo di aver ancora espresso la ragione alla base del nostro interesse in quel luogo, e a confronto con quel particolare genere di avversari.
E, in ascolto ai più classici canoni della narrazione, per quanto non mi voglia fregiare di particolari abilità da romanziera o simili, per meglio comprendere la ragione della presenza di noi cinque idioti in quel luogo, ancor più che raccontarla mi riserverò l’occasione di mostrarla, e di mostrarla nel riportare un dialogo occorso soltanto poche settimane prima, in quel di Kriarya, la città del peccato del regno di Kofreya, nonché mia nuova residenza…

« Maddie… » mi aveva salutato lord Brote, uno dei principali signori di Kriarya, là dove con “lord” o con “signore” si avrebbe avuto a intendere un concetto estremamente simile a quello di un capofamiglia mafioso del mio Paese natale, in una città allor dominata non tanto da un qualche corrotto sistema politico, quanto e piuttosto da un solido sistema criminale, e da un solido sistema criminale qual unica reale possibilità di aver a gestire, a controllare, una popolazione costituita, per lo più, da ladri e assassini, mercenari e prostitute « … grazie per essere venuta da me con così poco preavviso. »

Brote, a tutti gli effetti, ha a doversi riconoscere qual un bell’uomo. Malgrado la propria età non più giovanile, avendo superato quietamente il mezzo secolo di vita e correndo, probabilmente, ormai verso il decennio successivo, egli si offre qual ancor contraddistinto da un animo estremamente giovanile, e un corpo che, nel proprio palese vigore, poco o nulla avrebbe avuto a invidiare a molti guerrieri più giovani di lui. Un tempo guerriero e mercenario, poi lì insidiatosi come lord di Kriarya e asceso rapidamente a una posizione di prestigio anche e soprattutto in grazia alla lungimirante fiducia che egli era stato in grado di offrire a una giovane Midda Bontor, prima ancora che ella divenisse la leggenda vivente che, successivamente, era diventata; Brote conserva ancora intatto tutto il piglio del combattente di quel passato ormai lontano anche e ancora al tempo presente.
Ad aiutarlo, probabilmente, a sentir meno il peso degli anni, ha a doversi riconoscere, oltre al proprio ruolo pubblico che mai avrebbe potuto perdonare qualunque evidenza di debolezza, anche il proprio ruolo privato, e quel ruolo di genitore, di padre vedovo, che lo sta vedendo impegnato a crescere un bambino di circa nove-dieci anni d’età: il figlio della sua defunta moglie Nass’Hya Al-Sehliot, principessa y’shalfica, un tempo promessa sposa al sultano d’Y’Shalf e, tuttavia, sol in nome dell’amore, fuggita dal proprio Paese, fuggita dalla propria casa e dal proprio ricco destino, per attraversare accompagnata e protetta da Midda Bontor il confine fra le due nazioni, sino a giungere a poter coronare, in tal modo, il suo sogno d’amore. Un sogno d’amore, tuttavia e purtroppo, solo dopo pochi anni infranto sulla punta della spada di Nissa Bontor, la sorella gemella della mia corrispettiva, la quale, a margine di una trentennale faida fra loro, decise di vestire i panni della Figlia di Marr’Mahew soltanto per poter giungere ai suoi amici, alla sua famiglia, e lì, violentemente, colpire con tutta la propria rabbia, con tutta la propria furia, strappando la povera Nass’Hya all’amore di suo marito e all’affetto di un figlio che di lei, in ciò, null’altro avrebbe potuto vantare di conoscere se non il nome, null’altro avendo occasione di ricordare, ancor infante quando tutto ciò era avvenuto.
Anche in questo, la storia di Brote, e della sua famiglia, non potrebbe ovviare a riconoscersi strettamente legata a quella di Midda e della propria, in termini tali per cui, quasi, egli potrebbe riconoscersi qual un suo parente, un fratello, o forse un cugino, di quella donna con cui tanto aveva avuto occasione di condividere, nella buona e nella cattiva sorte. E anche in questo, necessariamente, Brote non aveva potuto ovviare a concedermi una certa simpatia, lasciandomi entrare nelle sue grazie, per il solo, e tutt’altro che semplice fatto della mia stessa natura, e della mia natura di “Midda”. Simpatia, grazie, le sue, che, a tempo debito, non avevano mancato di tradursi, ovviamente, nell’opportunità di vedermi offerte interessanti occasioni di impiego mercenario, ereditando, in ciò, in tutto e per tutto il ruolo della mia controparte locale, benché, a differenza sua, la mia storia, e con essa la mia fama, avrebbe avuto ancor a dover essere costruita, e costruita in grazia alle vittorie che, allor, avrei saputo riportare.

« Mio signore… » avevo quindi replicato, accennando appena un inchino del capo, non potendo ovviare, in quel contesto medievaleggiante, a ritrovarmi vittima di una certa impostazione mentale probabilmente conseguente a qualche pomeriggio di troppo al cinema, e di un’impostazione mentale che, allora, non avrebbe potuto ovviare, al mio interlocutore, di riconoscermi, al di là di ogni possibile fraintendimento, qual una persona diversa dalla “sua” Midda, e da quella Midda che, tutt’al più, tali parole avrebbe potuto scandire soltanto con malcelata ironia « Siete entrato in possesso di qualche novità sulla regina Anmel…?! » avevo poi domandato speranzosamente, a lui e alla sua rete di contatti essendomi affidata nella speranza di comprendere ove la “mia” Anmel potesse essere finita in quel vasto mondo, e, soprattutto, nella speranza di comprendere cosa potesse star architettando, prima che, ineluttabilmente, avesse a diventare troppo tardi per tutti noi.
« Purtroppo no, mia cara. Purtroppo no. » aveva scosso egli il capo, non potendo poi negarsi un fugace momento di divertito silenzio nel confronto con quelle mie parole, non tanto per il loro contenuto, quanto e piuttosto per la loro forma, e quella forma così ossequiosa alla quale, continuavo a dimenticarmi, egli non avrebbe avuto a doversi considerare abituato… e, non di certo, da un volto qual il mio « Dovresti stare più attenta, Maddie. Se continuerai a rivolgerti in questa maniera al sottoscritto, finirò per abituarmici. E il giorno in cui Midda avrà a fare ritorno, tutto ciò potrebbe finire per creare problemi fra noi… » aveva ridacchiato, con tono necessariamente scherzoso nello scandire quelle parole e, ciò non di meno, tornando a sottolineare un argomento ricorsivo nei nostri confronti, troppo abituata, nel mio mondo, a dover attribuire un certo rispetto ai miei datori di lavoro per non ritrovarmi, anche lì, anche in quel momento, a farlo, ovviamente in termini adeguatamente riadattati al contesto locale.
« Avete… hai ragione. » non avevo potuto ovviare ad annuire, sforzandomi di rivolgergli toni più informali, e, in tal senso, di riportare quel dialogo a dinamiche riconoscibili qual più consuete, almeno nel rapporto con la Figlia di Marr’Mahew della quale, mio malgrado o mia fortuna, io possedevo in quel frangente il volto « E grazie per ricordarmelo pazientemente ogni volta. » avevo aggiunto, quasi in imbarazzo nel riconoscere quanto, quella correzione, quel consiglio, non avrebbero avuto a doversi fraintendere qual inediti fra noi, quanto e piuttosto, ormai, persino abitudinari.
« Non ti preoccupare, mia cara… non ti preoccupare. » aveva nuovamente scosso il capo egli, a banalizzare l’importanza del suo impegno in tal senso « Fino a quando non conoscerai Midda, non potrai realmente comprendere quanto, al di là della vostra somiglianza fisica, i vostri caratteri siano estremamente diversi... e per quanto, anche, tu possa vestirti come lei, e agire come lei, arrivando agli stessi traguardi e agli stessi risultati, qualcosa, nel profondo del tuo cuore, del tuo animo, non potrà mai rinnegare il tuo passato, le tue origini, e, soprattutto, questa tua innata gentilezza a confronto con la quale, non me ne si voglia, la nostra Midda, figlia di questo mondo, non potrebbe che dirsi semplicemente aliena. »

mercoledì 26 giugno 2019

2953


« Scusaci! » mi invitò H’Anel, pur non rinunciando a concedersi la possibilità di ridacchiare ancora, in conseguenza, ora, probabilmente più alla mia reazione alla situazione che alla situazione in sé, a quello scherzo di cui Howe mi aveva voluto rendere estemporanea protagonista.
Quasi a voler porre la proverbiale ciliegina sulla torta, proprio in quel momento, quando il tutto avrebbe potuto andare lì a scemare e a esser quietamente dimenticato, non mancò di intervenire anche Be’Wahr, domandando, con mirabile ritardo: « … che mi sono perso…?! »
« Per Lohr… siete veramente perfetti l’uno per l’altra! » commentò sornione lo shar’tiagho, scuotendo appena il capo.
… e a quel punto, neppure io potei evitare di scoppiare a ridere, nel confronto con l’assurdità propria di quel momento, e con l’evidenza di quanto, fra me e Be’Wahr, probabilmente nessuno dei due si sarebbe salvato.

Sì. Non fosse stata, la nostra compagnia, lì immersa fra sangue e budella, stringendo in mano le proprie armi grondanti egual materia organica, facile avrebbe potuto essere fraintendere quel nostro dialogo, quella nostra conversazione, qual una semplice chiacchiera fra amici, e qual una semplice chiacchiera fra amici quali, dopotutto, lì veramente eravamo. Ciò non di meno, non potendo prescindere la situazione dal contesto, forse inopportuno, forse addirittura malato, avrebbe avuto a dover essere giudicato il nostro scherzare, e il nostro scherzare a così stretto contatto con la morte, dopo essere sopravvissuti alla morte e, soprattutto, dopo averne dispensata parecchia attorno a noi.
Cosa eravamo…? E, soprattutto, cosa ero diventata io…?!
Figlia del mio mondo, un tempo non avrei mai potuto prendere neppur lontanamente in esame l’idea di uccidere un’altra persona. Non laddove questi fosse esplicitamente mio nemico, per questioni personali; non laddove, ancor meno, questi avesse a dover essere riconosciuto qual un semplice estraneo, e un estraneo che, per ragioni a noi estranee, era finito semplicemente sul lato opposto di una barricata rispetto alla mia. Tuttavia, quel giorno, al pari dei giorni precedenti, e di molte altre non dissimili occasioni, avevo agito, e avevo agito senza esitazioni, dimentica di ogni morale in me inculcata sin da bambina, in termini utili a trasformarmi in un’assassina, e in un’assassina del tutto indifferente alla sorte di quelle mie sconosciute vittime, persone ai miei occhi prive di volto, prive di nome, prive di storia.
Era sbagliato tutto quello…? Ero sbagliata io…?!
Possibile. Probabile. O, quantomeno, probabile secondo la morale del mio mondo natale, e di quella realtà entro la quale, giustamente, il valore della vita umana è posto al di sopra d’ogni altra cosa. O, quantomeno, vorrebbe essere posto al di sopra d’ogni altra cosa, salvo poi, ipocritamente, scontrarsi con la realtà di tutti i giorni e, in ciò, ritrovarsi a discutere sulla possibilità di poter uccidere impunemente entro i confini della propria abitazione in nome di una difesa sempre legittima. O, ancora, ritrovarsi a decidere che lasciar annegare dei disgraziati in mare non avrebbe avuto a dover essere considerata una colpa, non laddove l’errore avrebbe avuto a doversi considerare soltanto loro, non avendo essi dovuto partire in primo luogo. O, ancora e ancor peggio, non avere neppure a discutere o a decidere, ma semplicemente disinteressarsi, di tutte quelle persone che, per mille ragioni, possono finire a dormire per terra, magari in un parco, magari in pieno inverno, a pochi metri da un presidio di primo soccorso, e lì morire, neppur dimenticati dal mondo in quanto dal mondo stesso neanche mai conosciuti.
Insomma… quanto io, e i miei amici, allor stavamo commettendo, e commettendo con quieta leggerezza d’animo, avrebbe avuto a dover essere considerato sicuramente un omicidio, e un omicidio lì contestualizzato in un fronte di guerra. E non avrebbe avuto a dover essere considerato universalmente giusto, nella medesima misura in cui la guerra non avrebbe avuto a dover essere considerata universalmente giusta. Ma ritenere che, nel confronto con la morale che mi sarebbe dovuta essere propria, in quanto figlia del mio mondo, e di un mondo decisamente diverso da quello, la mia realtà avrebbe avuto a dover essere considerata migliore, e considerata migliore in quanto formalmente impegnata a proclamare il valore della vita umana sopra ogni cosa, probabilmente sarebbe stato soltanto straordinariamente ipocrita. E straordinariamente ipocrita nella misura in cui, alla fine, nel confronto con la regola d’oro “non uccidere”, mille e più eccezioni avrebbero avuto a poter essere moralmente sollevate a ogni singolo istante: “E se dei ladri mi entrano in casa devo aspettare che mi stuprino e mi uccidano…?”, “Nessuno ha detto loro di salire su quei barconi… fossero rimasti a casa propria non sarebbero morti.”, “Certo che quest’anno fa veramente freddo… quanti barboni sono già morti?!”. Bene. Benissimo. O, forse e piuttosto: che schifo!
Era sbagliato tutto quello…? Ero sbagliata io…?!
Possibile. Probabile. O, quantomeno, probabile secondo la morale del mio mondo natale. Ma in quel mondo, in quella realtà, sotto molti aspetti meno ipocrita della mia, la regola d’oro “non uccidere” non era mai stata coniata. E, nel ritrovarmi a giuocare secondo le regole proprie di quel mondo, se non avessi posto a tacere ogni mio retaggio di passata morale, probabilmente sarei morta già da molto tempo… e sarei morta in maniera estremamente stupida.
Cosa eravamo…? E, soprattutto, cosa ero diventata io…?!
Facile rispondere: figli di quel mondo. E di un mondo diverso dal mio. E di un mondo nel quale, forse, un giorno, sarei stata abbastanza brava da poter sconfiggere ogni mio antagonista senza arrecargli danno, imponendo in maniera a dir poco umiliante la mia straordinaria superiorità su di lui. Ma che, sino ad allora, mi avrebbe vista accettare la possibilità di sottrarre una vita per preservare la mia. O, banalmente, per raggiungere i miei scopi.
Perché, in fondo, in quel momento, nessuno di noi avrebbe avuto lì a doversi riconoscere qual realmente interessato all’andamento di una guerra senza inizio e senza fine, qual quella fra Kofreya e Y’Shalf, quanto e piuttosto ad altri aspetti propri di quel particolare angolo di mondo e, in particolare, della sua infestazione di gula… un’infestazione che lì, così come in ogni altra assimilabile zona di guerra, non avrebbe mancato di esprimersi in maniera vivace all’immancabile calar della notte.

« Combattere abbiamo combattuto, divertiti ci siamo divertiti… » dichiarai, cercando quindi di riportare l’attenzione del gruppo alla nuova impresa che ci avrebbe atteso « … se poi, questa notte, riuscissimo finalmente a trovare quello che ci serve, magari domani potremo evitarci di trascorrere un’altra giornata a falciare la meglio gioventù di Y’Shalf… »
« … e qualche Confratello… » ammiccò M’Eu, in riferimento a tutti i membri della Confraternita del Tramonto che, pur, nel corso di quelle giornate, allorché incontrare la morte per mano di spade y’shalfiche, avevano preferito ricercarla nel confronto con le mie scuri, confidando stupidamente nell’occasione di legare il proprio nome a quello dell’uccisione della Figlia di Marr’Mahew… senza neppur avere, in tal senso, la premura di aggredire la giusta Figlia di Marr’Mahew.
« … lasciamo perdere. » scossi il capo, sospirando e levando gli occhi al cielo, francamente infastidita da tutto quello, e dalla necessità, per l’appunto, di dover avere a uccidere degli stupidi neppur in grado di distinguermi dalla mia corrispettiva autoctona… malgrado un braccio in più e una cicatrice in meno!
« Se vuoi possiamo provare ad appenderti un cartello al collo con scritto: “Io non sono Midda Bontor”. » propose scherzosamente Howe, sorridendo divertito all’idea propria di quel cartello e di un cartello che, allora, avrebbe avuto più il fine di rendermi ridicola allorché di prevenire effettivamente l’opportunità di quelle aggressioni… soprattutto a confronto con un mondo nel quale, in effetti, una ben minima percentuale della popolazione avrebbe avuto effettivamente a vantare la capacità di saper leggere.
« Howe! » dichiarai per la terza volta il suo nome in un arco temporale estremamente ristretto, in termini tali per cui, già, avrebbe avuto a dover essere inteso un certo premuroso avviso da parte mia in favore della sua incolumità « E se appendessi io un cartello al tuo collo, con scritto: “Picchiatemi”?! » proposi, socchiudendo appena gli occhi nell’osservarlo « Ops… che sciocca! Ma io non so scrivere nella vostra lingua. » soggiunsi poi, accennando a colpirmi la fronte con il palmo della destra, a sottolineare la mia sbadataggine, per arrivare quindi a proporre « Magari, a questo punto, potrei risparmiare tempo ed energie, picchiandoti io stessa!  »

martedì 25 giugno 2019

2952


Il tramonto, in ciò, ebbe a rappresentare per tutti un’occasione di estemporanea tregua, utile a permettere, a entrambe le parti, di concedere riposo alle stanche membra dei sopravvissuti, di fare la conta dei morti, bruciandone i cadaveri prima che questi potessero avere possibilità di ritornare alla vita, e di ritornare alla vita in termini nei quali alcuno avrebbe avuto piacere a incontrarli, e, soprattutto, di pianificare l’operato per il giorno successivo. Una fase, quest’ultima, nel merito della quale troppo facile sarebbe stato ritenere un impegno non poi così marcato da parte di coloro i quali avrebbero avuto a prendere simili decisioni, nel considerare come, in fondo, in quell’angolo di mondo, il tempo sembrava essersi fermato e, malgrado il passare dei giorni, delle settimane, dei mesi e degli anni, e l’alternarsi di intere generazioni impegnate su quel confine, nulla avrebbe avuto apparentemente a poter mutare, e a ogni nuova alba tutto sarebbe ricominciato esattamente secondo le dinamiche proprie del giorno precedente.
Una tregua quasi obbligata, quella propria del tramonto, giacché alcuno, fossero figli di Kofreya, fossero figli di Y’Shalf, o fossero figli di madre ignota, avrebbe avuto piacere a restare là fuori nella notte, e a restare là fuori in compagnia di coloro i quali avrebbero potuto animare quelle notti. Che li si volesse definire gula, secondo la pronuncia kofreyota, piuttosto che ghūl, seguendo altresì quella y’shalfica, le creature che, calate le tenebre, avrebbero preso il posto dei soldati in quel confine di guerra non avrebbero avuto a dover essere riconosciuti qual antagonisti piacevoli, né, tantomeno, quel genere di compagnia con la quale qualcuno avrebbe potuto augurarsi di avere occasione di intrattenersi. Attratti dall’odore del sangue, inebriati dal sapore proprio del dolore dei moribondi e bramosi di carne umana, i gula o ghūl che dir si sarebbe voluto, avrebbero lì imperversato sino ai primi raggi della nuova alba, quando il sole li avrebbe ricacciati ovunque avesse a doversi riconoscere il loro rifugio, il loro covo, cercando, in quelle ore di oscurità, occasione di nutrimento, in qualche sventurato soldato rimasto indietro, o, all’occorrenza, in qualche cadavere dimenticato. E guai a coloro i quali fossero lì stati sorpresi da quel branco di bestie affamate: in loro contrasto, anche la violenza più brutale, anche le armi più affilate, avrebbero potuto poco, perché, ad animare l’incedere di quei mostri alcuno spirito di conservazione sarebbe stato riconoscibile, non in misura maggiore a quello proprio di un branco di zombie, benché, a differenza di questi ultimi, i gula possono morire… con tanto impegno, con tanta fatica, ma possono comunque morire.
Date simili premesse, in un tale contesto, solo un idiota non avrebbe fatto rapido ritorno al proprio accampamento, nel rinunciare alla sicurezza là offerta, al ristoro e al riposo lì presentato, nel preferire piuttosto restare lì fuori, non tanto ad affrontare i gula quanto, e addirittura, a volerli studiare. E, a dirla tutta, in quegli ultimi tre giorni, di idioti su quel confine di guerra, avrebbero avuto a potersene contare addirittura cinque: una donna dai capelli color del fuoco e dagli occhi color del ghiaccio, un biondo belloccio e muscoloso, uno shar’tiagho dallo spirito affilato forse più della spada, e due giovani i quali, nella propria bellezza e nella propria straordinaria fisicità, avrebbero avuto sicuramente a rappresentare l’esemplificazione perfetta di quanto l’incrocio fra diverse etnie avrebbe potuto sol produrre i frutti migliori, figli dei regni desertici centrali, sì, da parte di padre, così come la bronzea pelle non avrebbe potuto ovviare a rendere evidente, e pur, di madre forse kofreyota, forse tranitha, forse y’shalfica… e comunque allor utile a donar loro, appunto, quella bronzea pelle, in luogo al manto color della notte proprio del loro illustre genitore.
… sì… insomma: i cinque idioti avremmo dovuto essere riconosciuti proprio noi!

« Stiamo tutti bene…?! » domandai, al calar del sole, quando, per l’appunto, i due eserciti avversari iniziarono a ritrarsi e soltanto noi ci ritrovammo, in tal maniera, lì apparentemente smarriti, nonché necessariamente ansimanti, almeno nel mio caso personale, in conseguenza alla nuova lunga, lunghissima, ed estenuante giornata appena trascorsa « … accidenti: da queste parti le… mmm… come potreste dire “palestre”?!... vabbè… dicevo, da queste parti non vi serve proprio preoccuparvi di fare esercizio fisico: ho bruciato così tante calorie nelle ultime ore da farmi sentire autorizzata a mangiare come una fogna nei prossimi tre mesi! »
« “… mangiare come una fogna…”?! » ripeté Howe, aggrottando appena la fronte nel confronto con quel modo di dire, che avevo cercato di riadattare nella lingua locale, commettendo, forse, un errore nella scelta di qualche termine o nella composizione finale della frase « Cosa intendi dire…? Perché mai dovresti mangiare come una fogna…?! » mi guardò con serio sospetto, nonché con un certo disgusto, evidentemente non apprezzando l’immagine così rievocata.

In effetti, come già avrebbe potuto accadere nel tentare di tradurre letteralmente alcuni modi di dire da una lingua all’altra nel mio mondo natio, non sempre la resa finale avrebbe avuto a doversi considerare comprensibile o, eventualmente, apprezzabile: basti pensare quanto l’italiana “pioggia a catinelle”, in inglese abbia a diventare “piovono gatti e cani”… con ben poco riguardo per le bestie in questione.
Così, non senza darmi della stupida, non potei allor ovviare a rimproverarmi per aver connesso il cervello con qualche istante di ritardo, e qualche istante di ritardo allor atto a concedermi di dire una frase che, decontestualizzata, avrebbe potuto farmi apparire animata da qualche insalubre intento coprofago. E, subito, ebbi a scuotere il capo e a sollevare le mani, a tentare di arginare la questione…

« E’ solo un modo di dire del mio mondo… si usa per indicare chi mangia senza ritegno, ingurgitando qualsiasi cibo gli venga posto innanzi! » tentai di esplicitare, a contenere l’equivoco.
« “… qualsiasi…”?! » incalzò l’altro, continuando a guardarmi con stranito sospetto e sempre più palese disgusto nei miei riguardi « Per Lohr… ringrazio gli dei tutti di non essere io a baciare quelle labbra, a questo punto! » sottolineò, riservandomi tutto il suo più marcato dissenso all’idea di avere in qualche modo a che fare intimamente con me.
« Howe! » protestai, per un momento spaventata all’idea del fraintendimento che, da quella semplice frase, poteva star venendo in tal maniera alimentato… salvo, ancora una volta, collegare il cervello con qualche istante di ritardo, e solo allora comprendere quanto, alla base di quel botta e risposta, altro non avesse a doversi intendere che il suo divertito desiderio di prendersi giuoco di me, in termini a confronto con i quali stavo chiaramente più che collaborando, a mia insaputa.

E proprio nel mentre in cui, entro i confini del mio allor chiaramente rallentato intelletto, ebbi a maturare consapevolezza nel merito dello scherzo del quale mi ero resa destinataria, il mio interlocutore non poté mancare di scoppiare a ridere fragorosamente, accompagnato da un sommesso sghignazzare a opera di H’Anel e M’Eu, i quali, lì prossimi, avevano assistito alla scena senza pensare di intervenire…
… infami!

« Howe! » ripetei, ora con tono a metà fra il divertito, l’arrabbiato e l’imbarazzato, nel capire quanto, posta innanzi a quelle risate, egli avesse avuto modo di guidarmi in quel giuoco a mio discapito non diversamente rispetto a quanto non fosse solito riservare al proprio fratello d’arme e di vita.
« Ti avevo capita sin da subito… » ammise egli, scuotendo appena il capo a cercare di lasciar scemare l’ilarità che ancora stava caratterizzando le sue parole e il suo volto « … ma non ho potuto evitare di cogliere l’occasione al volo per divertirmi un po’ a vederti imbarazza! »
« E voi due cosa avete da ridacchiare…?! » mi rivolsi allora verso i due figli di Ebano, accigliandomi con fare inquisitore a loro discapito « Avreste potuto intervenire subito e siete rimasti zitti! Accidenti a voi! » li rimproverai, pur non potendo, ovviamente, non capire e giustificare la loro posizione e il loro divertimento a confronto con tutto quello… dopotutto me l’ero cercata!

lunedì 24 giugno 2019

2951


Al di là di simili gratuite recriminazioni, tuttavia, difficile sarebbe stato per me potermi ergere a giudice della mia controparte, soprattutto a confronto con l’evidenza di quanto, da parte mia, non avessi poi agito in termini migliori… anzi! Con manifesta stolidità, anche io avevo lasciato il mio “Ebano”, per inseguire la mia missione, e, in ciò, per concedere un senso alla mia vita e a quella vita che sino a quel momento, malgrado il suo amore, malgrado la sua tenerezza, malgrado la sua straordinaria virilità, non aveva ancora avuto occasione di sentirsi realmente vissuta, non in tutta la propria pienezza, non così come l’inebriante gusto proprio dell’adrenalina nelle mie vene, e di quell’adrenalina conseguente alla sfida propria a situazioni e ad antagonisti sempre più forti, sempre più pericolosi, non avrebbe potuto ovviare a impormi.
Al di là di tale parentesi, la giovane figlia dei regni desertici centrali, tale più che altro per il proprio sangue, ancor prima che per una reale confidenza con quei lontani territori nordici, non avrebbe potuto vedersi attribuire alcun torto nella propria affermazione: il retaggio di loro padre, del prode Ebano, rifulgeva in ogni singola azione di quei due giovani, i quali, lì come in ogni altra avventura da noi sino a quel momento vissuta insieme, non avrebbero potuto ovviare a dimostrarsi assolutamente a proprio agio, e più che degni, in ciò, di quel riferimento alla passata gloria del loro genitore. Anzi… dal mio personale punto di vista, nell’ammirazione che non avrei potuto ovviare a provare a confronto con l’eleganza di quei loro gesti mortali, francamente H’Anel e M’Eu avrebbero anche potuto fregiarsi di lodi ancor maggiori, qual, per l’appunto, quella propria del nome che, talvolta, per puro fraintendimento, mi veniva attribuito: Figlia di Marr’Mahew, dea della guerra. Un nome, per così come ho già sottolineato, nel merito del quale non avrei potuto vantare alcun credito, essendo stato conquistato dalla Midda titolare di questa dimensione, e in relazione al quale, quindi, non desideravo minimamente poter essere associata.
Ciò non di meno, la fama propria di Midda Bontor, in queste terre pari a una vera e propria leggenda vivente, non avrebbe potuto ovviare a precederla e a precederla anche fra coloro i quali, altresì, non avrebbero avuto a poter vantare alcuna reale confidenza nei suoi riguardi, né, tantomeno, di averla effettivamente mai conosciuta, o, anche e soltanto, incontrata, seppur di sfuggita. In ciò, quindi, il mio aspetto necessariamente assimilabile a quello proprio del mito, e la mia complicità con le persone e, ancor più, le situazioni proprie della vera Figlia di Marr’Mahew, non avrebbero potuto ovviare ad alimentare spiacevoli equivoci in tal senso. Spiacevoli non soltanto perché atti a suggerire un qualche mio interesse di indebito approprio di crediti della mia controparte, quanto e piuttosto perché in fin troppi giovani mercenari, nel desiderio di farsi un nome, e di legare la propria fama all’idea propria di colui o colei che aveva sconfitto e ucciso la Figlia di Marr’Mahew, l’Ucciditrice di Dei, la Campionessa di Kriarya, non avrebbero mancato di pormi alla prova, di sfidarmi e, in ciò, di attentare alla mia esistenza, costringendomi, mio malgrado, a calarmi ancor più nelle vesti di colei da cui, altresì, avrei anche gradito poter prendere le distanze, non essendo mio interesse poter essere scambiata per lei o, peggio, ad appropriarmi della sua vita.

« Dietro di te! » mi avvisò M’Eu, intervenendo con tempismo perfetto per concedermi la possibilità di proiettarmi a terra e, subito dopo, di rialzarmi roteando rapidamente con il mio intero corpo e, soprattutto, con le due scuri con le quali, allor, mi stavo impegnando a combattere quella battaglia, e quelle due scuri che proiettai, allora, in pieno petto a un giovane vestito con i colori propri della Confraternita del Tramonto, il quale, non mi fossi mossa per tempo, avrebbe affondato la propria spada nella mia schiena, trapassandomi da parte a parte.
« … ancora?! » mi lamentai con necessario fastidio, sgranando gli occhi nel riconoscere quanto, il mio attentatore, non avesse lì a doversi considerare un membro dell’esercito y’shalfico, quanto e piuttosto un supposto alleato kofreyota, e un alleato kofreyota che, evidentemente, si doveva esser lasciato guidare, in tal senso, dall’avidità, e da quell’avidità volta a costringerlo a cercar, per l’appunto, un confronto con la Figlia di Marr’Mahew, allorché impegnarsi nel compito per il quale stava allor venendo pagato, ossia l’opposizione al nemico invasore « Ma vi sembro, per caso, una figlia di Y’Shalf?! » protestai, scuotendo il capo « Non posso sembrarvi una figlia di Y’Shalf per il semplice fatto che, se fossi una figlia di Y’Shalf, non sarei certamente qui a combattere, nel ritrovarmi, piuttosto, rinchiusa in qualche harem, con uno scomodo burqa in testa! » argomentai, in direzione della mia ultima vittima, nel mentre in cui, con un duplice movimento di polsi, ebbi a disincastrare le mie armi dal suo petto, lasciando sprizzare da esso due violenti getti di sangue e lasciando quel corpo morto libero di afflosciarsi al suolo, vittima non tanto della mia controffensiva, quanto e piuttosto della sua stupidità « Senza contare che, a causa del vostro stupido maschilismo, non è che le donne abbondino in questo campo di battaglia! » soggiunsi, a puntualizzare quanto, allora, avrebbe dovuto essere sufficientemente semplice ricordare che le uniche due donne visibili nel raggio di mezzo miglio fossero schierate con Kofreya.

Sono perfettamente consapevole del fatto che se mio padre e mia sorella, o anche il mio amato Eliud, mi avessero vista in quel momento, probabilmente avrebbero fatto fatica a riconoscermi. Perché in luogo alla giovane timida di un tempo, a quella donna insicura e impacciata che ero sempre stata, al punto tale dal ritrovarmi a frequentare in maniera regolare una terapista, in quel contesto, in quello scenario di guerra, circondata dalla morte, calpestando corpi e budella sparse, e, soprattutto, mostrandomi in buona parte ricoperta da sangue e da altri generi di sgradevoli fluidi corporei, mi stavo ergendo con assoluta sicurezza, in compagnia dei miei nuovi amici, dei miei nuovi alleati, di quella piccola squadra nella quale, ormai, avrei avuto a dovermi riconoscere perfettamente integrata e che, da mesi, era divenuta per me quanto di più prossimo a una famiglia, se non, appunto, la mia nuova famiglia.
In ciò, della Madailéin Mont-d'Orb di un tempo, ben poco avrebbe avuto a dover essere lì riconosciuto qual ancora presente, sostituito, in effetti, da qualcosa probabilmente di ben più prossimo a quella Midda Namile Bontor con la quale stavo continuamente venendo confusa, stavo insistentemente venendo scambiata. O, più probabilmente, e come mi piace pensare, la vecchia Maddie, insoddisfatta di sé e della propria vita, si era finalmente evoluta nella propria versione definitiva, e in quella versione che, in altri universi, altre se stesse avevano già avuto occasione di raggiungere per in tempi diversi. Come per la mia mentore, o come per la titolare di quel piano di realtà…

« Grazie, M’Eu! » sorrisi, grata al giovane figlio di Ebano « Te ne devo una! » riconobbi il mio debito nei suoi riguardi, laddove, senza quell’avviso, molto probabilmente in quel momento avrei sgradevolmente concluso la mia avventura.
« Scaliamola dalla lista dei miei debiti e andiamo in pareggio… » suggerì egli, ridacchiando e scuotendo appena il capo, a escludere la necessità, o l’interesse, di un qualche credito nei miei riguardi.

Quella, ormai, era quindi divenuta la mia vita. E una vita nella quale mi sarei potuta ritrovare quietamente impegnata a dialogare con i miei amici nel cuore di una battaglia, schivando assalti, a volte da parte di avversari, altre persino di supposti alleati, nel mentre in cui, quasi con estraneazione psicologica falciavo vite attorno a me, e le falciavo non per un qualche reale interesse in tal senso, ma, semplicemente, per la necessità di sopravvivere a quella battaglia, e a quella battaglia dalla quale non avrei potuto trovare occasione di domani senza agire in tal maniera, senza accettare di mettermi in giuoco e di mettermici con tutta me stessa, e con forse immorale indifferenza nei confronti di così tanti omicidi dei quali, in tutto ciò, mi stavo macchiando.
E sol quando, alfine, il sole ebbe a precipitare alle nostre spalle, verso occidente, entrambi gli schieramenti, ormai decimati, ebbero a preferire ritirarsi, ognuno verso il rispettivo fronte, non avendo interesse a combattere di notte e, soprattutto, non avendo interesse a esaurire completamente le proprie risorse, in quella che, in fondo, null’altro avrebbe avuto a dover essere riconosciuta se non un’altra, consueta giornata, come tante, su quel fronte di guerra. Una giornata come un’infinità vi erano lì state negli anni, nei decenni precedenti, e così come ancora, non avrebbero mancato di continuare a essere per gli anni, e i decenni successivi, in una guerra forse priva di una reale ragione d’origine e, ciò non di meno, altrettanto priva di una qualche reale speranza di conclusione.

domenica 23 giugno 2019

2950


Perché complicata…?!
Beh… tanto per iniziare, complicata perché Be’Wahr e io non apparteniamo neppure al medesimo piano dimensionale. E questo, credo, avrebbe a poter essere considerata un’ottima motivazione a tal riguardo sotto molteplici punti di vista, tale per cui, in effetti, addirittura sconsigliato sarebbe stato ipotizzare un simile rapporto, una tale relazione, tanto per lui, tanto per me.
Ma ancor più di tutto ciò, perché, in fondo, il mio incarnare una versione alternativa, e, fra l’altro, persino un po’ più giovane, della loro antica amica e compagna, di quella loro sorella d’arme, sodale in così tante avventure passate, non avrebbe potuto offrire altro, a quei due, se non la possibilità di una seconda occasione con lei, e un’occasione nel merito della quale, evidentemente, non si erano mai negati opportunità di speranza, senza, ciò non di meno, neppur osare sperare. Un dettaglio, questo, del quale sarei stata stolida a non dimostrare coscienza, a non comprendere quanto, almeno all’inizio, chiunque, fra gli alleati di Midda, e fra coloro che non ebbero problemi a riconoscermi fiducia, simpatia, se non, addirittura, amicizia, ciò ebbe a occorrere, invero, non tanto per qualche mio merito, quanto e piuttosto, semplicemente, per il mio volto, per la mia voce, e per quel volto e per quella voce che, in fondo, non avrebbero potuto ovviare a ricordare loro la mia corrispettiva, e, sotto molteplici punti di vista, a potermi considerare, in ciò, per l’appunto, l’evidenza di una rinnovata occasione per avere occasione di trovare, in me, quanto non si erano potuti, o voluti, concedere occasione di vivere accanto a lei.
E se, allora, nel confronto con Howe e Be’Wahr, la questione in sospeso avrebbe avuto a doversi chiaramente riconoscere in un sentimento mai esplicitato nei suoi riguardi, e in un sentimento che, altresì, con me, il mio belloccio e muscoloso biondo non ebbe esitazione a tentare di esprimere, venendo, oserei dire, più che ricompensato nel proprio ardire, con buona pace per il suo fratello d’arme, dimostratosi, per una volta tanto, meno attento rispetto a lui a cogliere una fortunata occasione; in altri casi, innanzi ad altre persone, e alle relative vicende personali, la questione in sospeso avrebbe avuto, magari, a esplicitarsi in termini a confronto con i quali, probabilmente, la stessa Midda non avrebbe avuto alcuna possibilità di intuizione, di immaginazione, e a confronto con i quali, allora, dovetti essere io stessa a trovare possibilità di scendere a patti, sperando, in tal senso, di non aver a compiere troppi danni.
Danni, per esempio, qual avrebbero avuto a poter essere compiuti nel confronto di una coppia di giovani, ai miei occhi nulla più di semplici ragazzi benché, nel confronto con le ridotte aspettative di vita di quel pianeta già, a tutti gli effetti, una donna e un uomo del tutto adulti e più che pronti a poter vivere le proprie vite per così come avrebbero potuto preferire, che, scoprii, avere una questione in sospeso con la mia corrispettiva locale da ben più di un decennio, e da quando, per la precisione, ella ebbe a salvare le loro vite in un periodo molto particolare della reciproca storia personale, e in un periodo così particolare che, se soltanto Midda avesse avuto a compiere una sola, semplice scelta diversa, quei due bambini, i bambini che essi erano all’epoca, avrebbero avuto più che piacere persino a poterla iniziare a chiamare “mamma”. E proprio quei due giovani, poco più che ragazzi, nel vedermi fare ritorno nelle proprie vite, nella propria quotidianità, non avevano voluto rinunciare all’occasione di provare a vivere, in mia compagnia, quel rapporto che, in passato, per molteplici, e sicuramente corrette motivazioni, e pur motivazioni esterne alla loro possibilità di azione, di intervento, non avevano potuto, ancor più che voluto, riservarsi opportunità di vivere. Ragione per la quale, in effetti, in quella sconfinata marea di testosterone, alimentata dai soldati di Kofreya, dai soldati di Y’Shalf, e dai mercenari della Confraternita, almeno un’altra esponente del gentil sesso avrebbe avuto a dover essere identificata qual presente, e qual presente a non più di un paio di metri da me… anzi… a non più di sei piedi da me, per esprimermi nel rispetto della corrente unità di misura, alternativa al sistema metrico decimale: una giovane, e sicuramente affascinante, donna di nome H’Anel. La quale, a sua volta, avrebbe avuto a doversi riconoscere qual a non più di un paio di passi da un altrettanto giovane, e altrettanto affascinante, uomo di nome M’Eu, suo fratello.

« Come va, ragazzi…?! » apostrofai al loro indirizzo, non potendo ovviare a sentirmi responsabile, e a sentirmi responsabile per la loro presenza lì, insieme a noi, in quel particolare momento, una presenza che, in fondo, avrebbe allor avuto a doversi giustificare solo ed esclusivamente in conseguenza alla mia sopraggiunta presenza nella loro realtà, e alla mia sopraggiunta presenza accompagnata dal fuoco della fenice, e di quella fenice che già, nel loro lontano passato, aveva giuocato un ruolo a dir poco chiave per la loro stessa salvezza.
« Ce la caviamo, Maddie… non ti preoccupare! » cercò di sorridere M’Eu, a mostrare quanto allora avesse a doversi riconoscere a proprio agio in quella situazione, e in quella situazione contraddistinta da sudore, sangue e altri liquidi che avrebbero fatto meglio a restare all’interno dei corpi dei rispettivi proprietari, benché, allora, strappati a forza da essi insieme alle loro vite, saturando l’aria a noi circostante di un fetore a dir poco nauseante, e un fetore con il quale, pur, ero dovuta da tempo scendere a patti, per permettermi di vivere quel genere di vita.
« Impossibile non preoccuparmi per voi! » esclusi categoricamente, non potendo ovviare, in quel momento, a temere più per le loro vite ancor prima che per la mia, e, in tal senso, a combattere in maniera sin troppo meccanica, nel ritrovare la mia attenzione costantemente riportata a loro, ad assicurarmi che stessero bene… per quanto, ovviamente, star bene nel cuore di una battaglia avrebbe avuto a dover essere riconosciuto qual un concetto sufficientemente relativo.
« Non dimenticarti il sangue di chi scorre nelle nostre vene! » sancì, giustamente orgogliosa, la splendida H’Anel, scuotendo appena il capo, a escludere la necessità di tanto interessamento da parte mia « Tu potrai essere la Figlia di Marr’Mahew, ma noi siamo i figli di Ebano! » dichiarò, promuovendo orgogliosamente il nome di loro padre, nel contempo in cui ebbe ad attribuirmi un titolo, invero, non mio e del quale non avrei mai voluto, né potuto, appropriarmi, in quanto appartenente alla mia controparte.
« Spiacente, ma non conosco questa Marr’Mahew… » ridacchiai per tutta risposta « Se proprio vuoi appellarmi come la figlia di qualcuno, dovrai accontentarti di mio padre Jules! » soggiunsi, per quanto, con tutto il rispetto che mai avrei potuto provare per il mio genitore, certamente il suo nome non avrebbe avuto a poter competere con quello proprio del celebre Ebano… non, quantomeno, all’interno di quel contesto e, soprattutto, in quella specifica realtà e in quel particolare mondo.

H’Anel e M’Eu, in quel particolare contesto bellico, avrebbero avuto infatti a dover essere considerati qual contraddistinti da una certa aura di celebrità, e da una certa aura di celebrità allor conseguente al loro genitore, il quale, ironia della sorte, o del multiverso, io avevo già avuto occasione di conoscere in diverse versioni alternative, fra cui, addirittura, quella propria del mio stesso mondo natale. Nel mio mondo d’origine, infatti, Ma’Vret Ilom’An, il padre di H’Anel e M’Eu, già noto alle cronache con il nome di Ebano, in riferimento al nero della sua pelle e di quella pelle da figlio dei regni desertici centrali, avrebbe potuto vantare un nome diverso, Eliud Jeptoo, e qualche anno in meno, seppur, in fondo, una storia contraddistinta comunque da un comune rapporto con… beh… con me!
Eliud, infatti, il mio bel paramedico di origine keniota, altri non avrebbe avuto a dover essere ricordato, nel mio cuore, qual l’unico altro addio che mi ero dovuta concedere prima della partenza, accanto a quelli volti all’indirizzo di mio padre e di mia sorella, e che mi ero dovuto concedere qual necessaria chiusura a una storia d’amore nel confronto con la memoria della quale alcun genere di critica avrei mai potuto muovere, alcun genere di negatività avrei potuto identificare, alcun genere di rimprovero avrei mai potuto sollevare. Un addio sufficientemente doloroso, il mio, a confronto con la memoria del quale, al di là di una doverosa simpatia nei riguardi della mia controparte locale, non avrei mai potuto ovviare a interrogarmi su come Midda avesse potuto rinunciare, in più di un’occasione nel corso della propria vita, al proprio di rapporto con Ma’Vret… e a quel rapporto, accanto al quale, avrebbe potuto godere anche dell’incommensurabile affetto indiscriminato di quei due pargoli. O pargoli, quantomeno, essi era ancora quand’ella li aveva incontrati per la prima volta, conquistandosi un posto importante nei loro cuori e nelle loro vite.

sabato 22 giugno 2019

2949


Avevo già avuto modo di apprendere quanto quella facile ironia fra i due, e, in particolare, da Howe in direzione di Be’Wahr, avrebbe avuto a doversi riconoscere, obiettivamente, qual una mera dimostrazione d’affetto. Il belloccio e muscoloso Be’Wahr, infatti, quasi a voler rispettare ogni stolido pregiudizio sulle bionde, era solito concedersi delle uscite quanto mai sfortunate, come in quell’occasione, tali da scatenare in tal senso gli attacchi del proprio amico fraterno, e di quell’amico che, più alto e slanciato di lui, avrebbe avuto tuttavia a vantare tratti somatici decisamente più affilati, tipici della propria etnia di riferimento, quella shar’tiagha. Tratti somatici, quelli propri di Howe, che non lo rendevano, necessariamente, spiacevole allo sguardo, concedendogli anzi un certo fascino esotico, ma che, comunque, nel confronto con la bionda barbetta incolta del proprio compare, e con quegli occhi intensamente azzurri tendenti al blu, suo malgrado, non avrebbero potuto riservarsi facile possibilità di competizione. In ciò, probabilmente anch’egli consapevole di tutto questo, Howe non avrebbe potuto ovviare a infierire a ogni occasione utile a discapito del proprio compare, a compensare, quindi, una minore possibilità di attrattività fisica.
Una consuetudine, quella così esistente da sempre fra loro, al pari della loro stessa amicizia o di quel loro legame fraterno sancito ancor prima della loro stessa nascita dalle rispettive famiglie, e dalle loro famiglie così amiche, così reciprocamente legate al punto tale da decidere di attribuire, ai propri figli, l’uno il nome destinato all’altro e viceversa, che non avrebbe quindi avuto a doversi considerare turbata in alcun modo dal mio subentrato intervento nella loro quotidianità, e da quel mio intervento involontariamente atto, seppur in maniera indiretta, ad alterare i loro equilibri interni.

« Volevo soltanto dire che, a quanto pare, sembra che io sia destinata a ripercorrere certe tappe già affrontate, in altri tempi, e per altre ragioni, da Midda. » sancii, con tono premuroso nei riguardi del mio, a volte poco attento, ragazzo « Cioè… siamo passati dalla palude di Grykoo, siamo tornati ai resti della Biblioteca Perduta, abbiamo offerto visita al tempio della fenice e, persino, non ci siamo lasciati mancare una visita all’Arena di Garl’Ohr… e ora, addirittura, qui… »

Sì. Quegli ultimi mesi erano stati decisamente impegnati. E impegnati, in verità, in attività non poi così dissimili da quelle proprie della mia quasi omonima. Perché, in fondo, per poter dare la caccia ad Anmel Mal Toise in un mondo complicato e sconosciuto come quello, oltre necessariamente a degli amici, avrei avuto necessità di avere delle risorse economiche. E, in un mondo complicato e sconosciuto come quello, l’occasione migliore per potermi riservare delle risorse economiche, sarebbe quindi stata quella di cercare un’occasione di impiego nello stesso medesimo campo già proprio di colei di cui pur avrei potuto vantare il volto e il fisico, in una versione, invero, persino più integra, per mia fortuna non avendo ancor subito né mutilazioni, né sfregi.
In ciò, quindi, mi ero dovuta reinventare qual mercenaria, rinstaurando l’antico sodalizio con Howe e Be’Wahr, già compagni di ventura di colei che era venuta prima di me, rinegoziando l’antica collaborazione con lord Brote di Kriarya, suo mecenate, e, in tal senso, votandomi, in buona sostanza, a rappresentare una sorta di Midda versione 2.0, con tutti i suoi vantaggi e svantaggi. Perché se da un lato, ovviamente, avrei potuto sfruttare a mio vantaggio la fama di Midda Bontor, ormai leggenda nel suo stesso mondo natale; dall’altro, come per ogni remake cinematografico, avrei necessariamente corso il rischio di risultare inferiore all’originale, benché, obiettivamente, entrambe avremmo avuto a dover essere riconosciute egualmente originali, in grazia alla complessità propria del multiverso. Ma laddove, in un contesto da epopea fantasy sword & sorcery, e neppure di quelle particolarmente originali, difficile sarebbe stato riuscire a trasmettere all’eventuale pubblico i termini di relazione esistenti fra me e Midda, complice anche una certa differenza d’età, ineluttabile per me sarebbe stato lì apparire ai più qual una nuova, inedita parente che, sfruttando l’assenza della mia più celebre familiare, sorella o cugina che dir si voglia, stava allor tentando di riservarsi il proprio quarto d’ora di celebrità… un quarto d’ora di celebrità che, tuttavia, non mi sarebbe stato riconosciuto se non qual riflesso della luce propria della Midda “originale”.
Poco male. Fossi stata una donna orgogliosa, probabilmente tutto ciò avrebbe potuto indispettirmi o, peggio, ferirmi. Ma non avendo mai avuto, nel corso della mia vita, qualche particolare moto di amor proprio, almeno sino al giorno in cui, mandando all’aria tutto ciò che era stata da sempre la mia vita, avevo deciso di intraprendere quel viaggio senza possibilità di ritorno sulle ali della fenice; tutto quello non mi avrebbe avuto particolarmente a tangere… anzi.
Oltretutto, a margine di ciò, dalla mia avrei potuto vantare quell’indubbio vantaggio concessomi dalla scelta della fenice, e da quella scelta atta a farmi apparire, al momento del mio arrivo in quella dimensione, innanzi agli sguardi di qualunque vero amico e alleato di Midda; scelta in conseguenza alla quale, allora, tutti loro, comunque, avevano avuto possibilità di ben comprendere la situazione e di non riservarsi occasione utile a equivocarla, per così come, ineluttabilmente, sarebbe accaduto con chiunque altro. Chiunque altro, per la cronaca, al pari di tutti gli altri uomini che, in quel frangente, mi stavano circondando nel cuore della battaglia, avessero essi i colori propri dell’esercito di Kofreya, o quelli propri dell’esercito di Y’Shalf, o, ancora, vantassero il rosso tipico della Confraternita del Tramonto, la più grande associazione spontanea, o quasi, di mercenari di quell’angolo di mondo. Uomini, in quel momento, impegnati a combattere gli uni contro gli altri, e molti contro di noi, animati dall’unico scopo di mietere quante più vittime possibili fra gli schieramenti rivali. Uomini in mezzo ai quali, nel contempo di quell’amichevole chiacchierata, anche Howe, Be’Wahr e io ci stavamo ritrovando impegnati a menare colpi, a destra e a manca, nella sola speranza di riportare a casa la pelle al termine di quella giornata, e di una giornata a cui, obiettivamente, avremmo tutti preferito evitare di avere a partecipare, ma innanzi alla quale, lì ritrovandoci a dover agire, non ci saremmo comunque mai tirati indietro.

« Ahh… d’accordo! » annuì ora Be’Wahr, soddisfatto da quel chiarimento, nel mentre in cui i due coltellacci che si ostinava a impiegare come armi, e a impiegare comunque con una certa efficacia, ebbero a sgozzare un avversario, con un movimento a forbice condotto a compimento da gesto perfettamente coordinato di entrambe le mani « Ora ho compreso! » confermò, non senza un certo orgoglio in quell’affermazione, e in quell’affermazione che, ineluttabilmente, avrebbe avuto a scatenare una nuova reazione da parte del proprio compare, in un’offerta estremamente generosa da parte sua in tal direzione.
« La prossima volta prova a farla più semplice. » mi suggerì Howe, scuotendo altresì il capo « Te l’ho detto molte volte: soggetto, verbo, complemento. Inutile sforzarti a comporre frasi più complesse… tanto non le riesce a capire! » ridacchiò, affondando la propria spada dalla lama dorata nel ventre di un altro nemico in un perfetto montante, letteralmente impalandolo, nel mentre in cui, con la propria protesi mancina, deviava la di questi offensiva destinata a proprio discapito.
« Ehy… stai cercando di farmi fare brutta figura di fronte alla mia donna, per caso?! » protestò il biondo, aggrottando appena la fronte, probabilmente nell’impegno a cercare di comprendere se quell’ultima frase fosse effettivamente una sorta di insulto a proprio discapito o cosa, e pur dimostrando sufficiente acume da pregiudicare negativamente tale intervento.
« … io?! » reagì lo shar’tiagho, sgranando gli occhi con espressione profondamente sorpresa a quella prospettiva « Ma figurati! Per quello ci riesci benissimo già da solo! » soggiunse poi, escludendo categoricamente tale eventualità.

Già: come stavo accennando, in effetti, già da qualche mese mi ero concessa l’opportunità di una complicata complicità intima con il belloccio e muscolo Be’Wahr. Dopotutto era trascorso molto tempo dall’ultima volta che avevo avuto possibilità di fermarmi tanto a lungo in un sol posto, ed era trascorso ancor più tempo dall’ultima volta nella quale mi era stata concessa la compagnia di un uomo. Ragione per la quale, non me ne vanto, ma neppur me ne vergogno, un po’ approfittai di quella situazione… e di quella situazione, obiettivamente, complicata per tutti.

venerdì 21 giugno 2019

2948


Una frase, quella che ebbi un giorno a pronunciare, non tanto rivolta agli addii ai propri cari, e alle partenze sulla scia di antiche regine malvagie, quanto e piuttosto in riferimento allo scenario lì presente. E a quello scenario nel confronto con il quale, allora, difficile sarebbe stato negare l’esistenza di un’affinità fra me e la Midda titolare di quella realtà.
Si immagini, ora, il confine fra due nazioni. E fra due nazioni fra loro tanto simile quanto opposte. Due nazioni contraddistinte da una lingua fondamentalmente identica nella propria pronuncia, salvo per qualche questione di accenti, e pur completamente dissimile nella propria forma scritta. Due nazioni caratterizzate da grandi città con alte, altissime torri, ognuna delle quali preposta a rappresentare il potere, la ricchezza, la forza del suo proprietario, con buona pace di qualunque possibile metafora fallica propria di due culture profondamente patriarcali, e, ciò non di meno l’una caratterizzata da un’architettura volta a preferire forme squadrate, e l’altra forme tonde, entrambe geometricamente perfette e pur, entrambe, forzatamente opposte. E, forse ormai inutile a evidenziarsi, due nazioni in guerra fra loro… benché… insomma: quella fra Kofreya e Y’Shalf, più che una guerra imperitura, avrebbe avuto a dover essere riconosciuta piuttosto qual una faida fra fratelli, e fra due fratelli così vicini fra loro, così simili fra loro, al punto tale da voler spendere più impegno e più energie del dovuto nel cercare di distinguersi, nel tentare di porre una certa distanza, un certo distacco fra loro, in termini tali da non poter essere fraintesi, effettivamente, in quanto tali, in quanto, comunque, figli di una comune madre e di un comune padre.
In un simile contesto, quel confine fra due tali nazioni, fra Kofreya e Y’Shalf, non avrebbe potuto che essere inteso come un ineluttabile territorio di trincea, e un territorio di trincea là dove, volenti o nolenti, intere generazioni di soldati si alternavano al solo scopo di procrastinare una guerra l’origine della quale era stata persino dimenticata, e nel merito del senso della quale neppure mai si erano interrogati. Soldati, certamente, in una buona misura regolari. E soldati, altrettanto certamente, in una misura più amplia mercenari. In una differenza, in verità, fondamentalmente inesistenti, laddove, in un tale contesto, in un simile scenario, fondamentalmente impossibile sarebbe stato discriminare, allora, gli uni e gli altri, mossi, tanto i secondi, quanto i primi, più dall’idea della paga loro promessa, ancor prima che da un qualche patriottico sentimento.
In quella stessa trincea, più di vent’anni prima, aveva combattuto anche la mia corrispettiva. E difficile sarebbe stato, in tal senso, inquadrare il ruolo nel quale ella aveva lì affrontato un tale scenario, giacché, benché certamente non qual soldato regolare, ella lì neppure si era presentata, sostanzialmente, qual mercenaria: in effetti, forse, il termine più idoneo sarebbe stato quella di volontaria, e di volontaria in tal senso, mossa da un desio di ricerca e di formazione. Lì, Midda Bontor, si era infatti sospinta in gioventù, in un’epoca antecedente a quella che sarebbe poi stata enfaticamente ricordata da molte canzoni, allo scopo di meglio comprendere la guerra, e di meglio fraternizzare con essa, probabilmente consapevole di quanto, per poter essere una guerriera, non avrebbe potuto trascendere da tale prova, da tale rito di passaggio, e da tale rito di passaggio utile a metterla a confronto con gli aspetti più concreti, più reali, e più disgustosi propri del concetto stesso di guerra. E quale occasione migliore per poter capire l’orrore proprio di quella scelta di vita, per poter assuefarsi all’assordante suono della disperazione e al nauseante odore della morte, se non quello di precipitarsi lì, immergendosi, con tutta se stessa, in quella realtà…?!
Tutto ciò, tale consapevolezza nel merito delle emozioni proprie della mia controparte autoctona, non mi erano state concesse in grazia a un’illuminazione divina, quanto e piuttosto, in maniera forse banale, forse prosaica, dalla lettura di alcuni vecchi diari, vecchie lettere, vecchie riflessioni, che ella stessa aveva scritto in quegli anni e poi conservato con più cura di quanto chiunque avrebbe mai potuto attribuirgliene, fra i propri effetti personali. Effetti personali ai quali, i suoi amici… i miei amici, mi avevano voluto concedere accesso, allo scopo di meglio entrare in sintonia con lei, e, soprattutto, con il suo mondo. Per questa ragione, per esempio, avevo preso a dimorare in quel di Kriarya, la stessa città da lei eletta a propria residenza, e a dimorare in quella stessa locanda da lei posseduta in comproprietà al proprio compagno, e a quell’uomo che, il giorno in cui ella era partita per le stelle, aveva voluto accompagnarla, seppur consapevole di quanto, probabilmente tale viaggio sarebbe risultato qual un viaggio di sola andata, in una scelta indubbiamente ammirevole, e francamente inedita nel confronto con la mia personale esperienza della storia propria di altre Maddie e di altre Midda, nonché, non a caso, anche nel confronto con la mia stessa storia personale, e quella storia personale che, prima di intraprendere il mio peregrinaggio attraverso le dimensioni, mi aveva veduto, non senza necessarie remore, concludere un neonato e splendido rapporto sentimentale.
In quella locanda, quindi, avevo avuto possibilità di accedere, alfine, anche ai suoi effetti personali, e a quegli effetti che, per lo più, avrebbero avuto a doversi riconoscere custoditi all’interno di un cassapanca posta ai piedi del suo letto: una cassapanca nella quale, accanto una serie di abiti invero ben privi di particolare fantasia a livello estetico; e a pochi oggetti che qualcuno avrebbe potuto elencare alla voce cianfrusaglie ma che, ove così accuratamente custoditi, avrebbero avuto probabilmente a riconoscersi più quali non dissimili a reliquie proprie del suo passato; avrebbero avuto a dover essere elencati anche un blocco di fogli di pergamena scritti a caratteri regolari e stretti, e ordinatamente conservati all’interno di alcuni stracci, lì preposti al ruolo di inesistente rilegatura. E, per quanto, scendere a confronto con la grafia della mia controparte, e, soprattutto, l’alfabeto sillabico proprio di quelle terre, non avrebbe avuto a dover essere considerato un affare semplice, con il passare dei giorni, delle settimane, dei mesi, a poco a poco riuscii a iniziare a interpretare quelle parole, quelle frasi, e a concedermi una fortunata occasione di entrare a contatto con quella donna che, ipoteticamente, avrei dovuto considerarmi giunta sino a lì per salvare, e che, tuttavia, lì non era presente, e, per quanto avevo avuto occasione di scoprire, certamente non avrebbe necessitato del mio aiuto per essere salvata…
Lasciando tuttavia sfumare questa fugace digressione, sul perché e sul per come fossi stata in grado di riservarmi un’occasione di empatia con la mia controparte locale ancor prima di avere occasione di conoscerla, e di conoscerla fugacemente in una comune esperienza nel tempo del sogno, nel giorno in cui anche io ebbi a sospingere i miei passi sino al belligerante confine fra Kofreya e Y’Shalf, non potei ovviare a trovare diretta occasione di confronto con quanto testimoniato da Midda Bontor, e di trovare tale diretta occasione di confronto in termini persino più marcati di quanto, chiunque, non avrebbe potuto attendersi fosse possibile: un modo come un altro per dire, in buona sostanza, che in oltre vent’anni ben poco o nulla lì avrebbe avuto a doversi riconoscere qual mutato.
Ma se la mia corrispettiva locale lì si era sospinta nella volontà di scendere a patti con la guerra, e con i suoi aspetti meno gradevoli, cosa mai avrebbe potuto allora sospingere i miei passi in quell’eguale direzione? E i miei passi, in quel momento, accompagnati da coloro i quali, più di chiunque altro avrebbero potuto vantare una certa fraternità d’arme con lei, nell’essere stati, al suo fianco, per più tempo rispetto a chiunque altro?!
Perché, in quel giorno, quelle mie parole non avrebbero avuto a dover essere pronunciate alla volta di due improvvisati interlocutori, quanto e piuttosto di due antichi compagni di ventura della stessa Midda Bontor: due uomini che, in quel particolare momento, in quel particolare contesto, avrebbero avuto a dover essere riconosciuti praticamente qual antitesi vivente a quanto rappresentato dal controverso e folle rapporto fra Kofreya e Y’Shalf, in quanto fra loro completamente diversi, in tutto e per tutto, e, ciò non di meno, fra loro assolutamente vicini, accomunati da un vincolo emotivo più forte di qualunque legame di sangue, e tale da farli essere fratelli, l’uno per l’altro, anche nel momento in cui, pur, nulla avrebbe potuto evidenziare tale affinità fra essi.

« Non credo di aver compreso… » commentò il biondo Be’Wahr, socchiudendo appena gli occhi a confronto con la mia affermazione, nel cercare di valutarla nel proprio significato.
« Rischierei di apparire ripetitivo dicendo che ciò non mi sorprende assolutamente…?! » ironizzò il moro Howe, scuotendo appena il capo « Il giorno che mai dovesse accadere il contrario, probabilmente, sarà il giorno in cui avrà a sopraggiungere la fine stessa dell’intero Creato… » rincarò la dose, con un sorriso sornione a discapito dell’amato fratello.

giovedì 20 giugno 2019

2947


Mi si permettano due piccole note a margine.
La prima. Descrivendomi qual completamente nuda nel momento in cui ebbi ad apparire innanzi agli amici e alleati della mia corrispettiva locale, sia chiaro che tutto ciò avvenne non per mia libera scelta. Per viaggiare sulle ali della fenice, infatti, scoprii sin dal mio primo volo, o salto dimensionale che dir si voglia, si applicano regole non dissimili a quelle dei viaggi nel tempo di “Terminator”: carne e metallo escono indenni dal fuoco della fenice, tutto il resto, altresì, si perde. Per questa ragione, che potesse piacermi o meno, a ogni nuovo viaggio in compagnia della mia praticamente divina alleata, non avrei potuto fare a meno di ritrovarmi costretta a fare i conti con il mio senso del pudore e, soprattutto, a impegnarmi, prima ancora di capire dove potessi essere finita, nella ricerca di qualcosa utile a coprirmi. E se pur, la prima volta, tutto questo ebbe necessariamente a sorprendermi e, non lo nego, anche a infastidirmi, nell’essere partita addirittura con un pratico zainetto in spalla contenente qualche ricambio essenziale all’inizio di un viaggio verso l’ignoto, con il tempo, e con tutti i successivi salti dimensionali, non ho potuto mancare di scendere a patti con la cosa, in termini tali da concedermi, in occasione del mio arrivo in questo mondo, sufficiente autocontrollo utile a non mettermi a gridare istericamente per l’imbarazzo conseguente all’essere apparsa nuda a confronto con così tanta gente, molti fra i quali mai visti prima, e tutti che, a prescindere dai loro corrispettivi dimensionali che potevo aver già avuto occasione di conoscere in altri viaggi, non avrebbero potuto comunque vantare di conoscermi…
… o quasi. Giacché qui subentra la seconda piccola nota a margine. Come ebbi, infatti, e praticamente immediatamente, occasione di comprendere, ottenendone, in tempi successivi, conferma, la mia corrispettiva titolare di questa dimensione, la Midda Bontor locale, non avrebbe avuto a doversi fraintendere qual contraddistinta, nella propria vita, da un particolarmente marcato senso del pudore, in termini tali per cui, in verità, ben pochi fra coloro i quali ebbero a confrontarsi con la mia ignuda presenza avrebbero potuto effettivamente dirsi estranei alle forme proprie del mio corpo. O, per lo meno, del corpo di una Maddie/Midda, avendo avuto passata occasione di ritrovarsi, e non per brevi o fuggevoli istanti ma anche e addirittura per lunghe, intere battaglie, a confronto con quello proprio della mia controparte, e a confronto con quello della mia controparte non maggiormente rivestito rispetto a quanto, allora, non avrebbe avuto a poter essere descritto il mio. Insomma: in questa dimensione, mi sono scoperta essere un po’ esibizionista… anche se, probabilmente, ad animare in tal senso la mia altra me stessa non ha a dover essere inteso dell’esibizionismo in senso stretto, quanto e piuttosto del semplice menefreghismo. E del menefreghismo che, in fondo, in quell’occasione, non aveva potuto ovviare a essermi d’aiuto, e a essermi d’aiuto, in fondo, nel permettere a tutti loro di meglio riconoscermi e accettarmi qual un’altra Midda, benché, obiettivamente, più giovane, e un po’ più integra, rispetto a quella a cui avrebbero potuto considerarsi abituati.
Così, benché nessun cambio di mondo, di dimensione, mi avesse mai offerto una qualche reale possibilità di facile integrazione, quel nuovo salto, quel nuovo volo, mi ebbe a condurre, probabilmente in maniera più che intenzionale dal punto di vista della medesima fenice, a rapido confronto con una schiera di persone che avrebbero potuto essermi d’aiuto non soltanto nell’integrarmi, ma, anche e ancor più, nel dare la caccia ad Anmel Mal Toise. Anche perché, per così come, anche senza poter avere immediata possibilità di dialogo con loro, non mancai di intuire, nessun fra essi avrebbe avuto a doversi lì considerare riunito per semplice svago, quanto e piuttosto proprio in riferimento a un evento, o forse una commemorazione in relazione al ricordo di qualche tragico accadimento, coinvolgente proprio la stessa Anmel. Non la mia, probabilmente, ma comunque un’Anmel Mal Toise…
… dannazione! Davvero?! Un’altra Anmel Mal Toise?!
Per carità. Giacché avevo già avuto riprova dell’esistenza di infinite me stessa, qualcuna a me sufficientemente simile, qualcuna completamente diversa, non avrebbe avuto a dovermi sorprendere l’idea dell’esistenza di altre Anmel Mal Toise, né, parimenti, l’idea che in altre dimensioni, le corrispettive Maddie/Midda potessero aver commesso il medesimo errore di liberare la propria versione della regina Anmel e, in ciò, di dar vita a nuovi percorsi non poi così dissimili da quello della mia defunta mentore. Ciò non di meno, almeno sino a quel momento, non mi era mai capitato di giungere in una dimensione in cui fosse presente una seconda Anmel Mal Toise. E nel considerare quanta difficoltà di rapporti avrei potuto già vantare nei riguardi di una singola… figurarsi avere a dover scendere a patti addirittura con due.
Quanto, tuttavia, oltre all’esistenza di una seconda Anmel Mal Toise ebbi allora più o meno immediatamente a intuire, nel confronto con quell’assemblea di amici e alleati, e di amici e alleati chiaramente non professanti una qualche dottrina d’amore universale, nell’avermi tutti quanti accolta con le armi in pugno, e pronti a compiere qualunque azione sarebbe stata necessaria per contrastare qualunque minaccia io avrei potuto rappresentare per loro, fu come la mia corrispettiva locale non avrebbe avuto a dover essere fraintesa, a differenza di altre me stessa, qual propriamente indifesa, o, eventualmente, impreparata al confronto con Anmel Mal Toise. Al contrario: se in quel momento, se in quel mondo, ella stava allor mancando, ciò avrebbe avuto a dover essere giustificato nel fatto d’essere impegnata a inseguirla attraverso le vastità siderali, a sua volta sostenuta in tal viaggio dalla complicità, dall’aiuto della fenice… della stessa o di un’altra impossibile a dirsi. Ma tutto questo, ovviamente, non potei comprenderlo semplicemente a muto confronto con quella folla, dovendo, piuttosto, attendere le settimane seguenti per maturare quel minimo, indispensabile, di confidenza con la lingua locale per riuscire a interagire con i miei nuovi possibili amici, e a permettermi, in tal senso, un’opportunità di reciproco confronto sulle reciproche storie.
Impiegarci soltanto qualche settimana prima di essere in grado di relazionarsi in una lingua completamente aliena alla propria può sembrare un’esagerazione da parte mia, lo so. Soprattutto ove, a differenza della mia sorella gemella, Rín, non ho mai particolarmente apprezzato lo studio delle lingue. So che può sembrare assurdo per la figlia di un padre francese e di una madre irlandese nata e cresciuta in Italia, ma, a garantirmi un quieta possibilità di integrazione, i miei genitori non hanno mai voluto che io avessi a imparare a parlare il francese o il gaelico irlandese, richiedendomi, piuttosto, che riuscissi a dimostrarmi più brava di loro nell’uso della lingua italiana. Ciò non di meno, nel momento in cui la vita ti porta a balzare da una dimensione all’altra, da un mondo all’altro, da una cultura all’altra, quasi ineluttabile diventa la necessità di affinare capacità prima neppure immaginate e, soprattutto, di trovare un modo per arrangiarsi nella maniera forse meno elegante e, ciò non di meno, più semplice possibile, affinando quei nuovi percorsi mentali allor utili, come già dicevo, a fare di necessità virtù e a scoprirsi, in effetti, più confidente rispetto a quanto mai non ci si sarebbe potuti attendere con l’apprendimento di lingue l’esistenza delle quali prima addirittura inimmaginata. In tal senso, quindi, impiegarci “soltanto qualche settimana” per poter apprendere una lingua nuova, non avrebbe avuto a doversi fraintendere qual un grande risultato, quanto e piuttosto, in effetti, qual riprova di quanto, quel mondo, avesse a doversi intendere realmente alieno al mio originale, e a qualunque altro mondo avessi visitato sino a quel momento.
Alieno sì, ma non avverso. Non, quantomeno, nella già sottolineata presenza di una moltitudine di persone animate soltanto da un senso di spontaneo affetto nei miei riguardi, nel riconoscere in me, in fondo, quella loro cara amica alla quale, non in termini propriamente entusiastici, erano stati costretti a rivolgere il proprio addio, vedendola partire per un viaggio, potenzialmente, privo di ogni possibilità di ritorno. Qualcosa, in effetti, nel confronto con la quale non avrei potuto dichiararmi completamente estranea… non, quantomeno, dal momento in cui anche io, mio malgrado, impegnatami in un percorso non poi così alternativo rispetto alla mia controparte e, in tal senso, avendo anche io lasciato qualcuno dietro di me: un padre, una sorella, un compagno…

« Non so se considerarla più una questione di destino o di… » commentai, scuotendo il capo dopo un lungo sospiro « … uff… come potrei dire “genetica”…?! » soggiunsi, esprimendo quell’inciso nella mia lingua natia e, in tal senso, rivolgendomi soltanto a me stessa allorché ai miei interlocutori « … vabbé… non so se considerarla una questione di destino. E di destino predeterminato addirittura a confronto con diversi piani di realtà. Ma credo che appaia sufficientemente chiaro che noi Midda non siamo proprio in grado di evitare certe situazioni… »

mercoledì 19 giugno 2019

2946


Il mio nome è Madailéin Mont-d'Orb. A dieci anni sono stata vittima di un terribile incidente d’auto in compagnia a mia madre Deirdre e a mia sorella Nóirín. Ma se io ne uscii praticamente illesa, mia sorella e mia madre non ebbero a poter condividere una tale benevolenza da parte della sorte: la prima, infatti, ebbe a ritrovarsi bloccata in un letto d’ospedale, con la spina dorsale lesionata e ben poche speranze di poter riuscire a muovere qualcosa di più della testa per il resto della sua vita; alla seconda venne direttamente negato il resto della propria vita.
L’essere l’unica superstite illesa di una tanto drammatica tragedia non può ovviare a lasciare dei segni profondi nel cuore e nell’animo di una persona. E, così, anche io non mancai di ritrovarmi spiacevolmente segnata da tutto ciò, avendo a crescere con un mai ammesso senso di colpa, e quel senso di colpa proprio di chi, purtroppo, non è in grado di spiegarsi il perché della propria semplice esistenza in vita.
Crebbi, e crebbi proponendomi il preciso scopo di compiere tutto il possibile per aiutare mio padre Jules e, soprattutto, mia sorella, senza, ciò non di meno, aver a sacrificare l’immeritato dono riservatomi dalla sorte, e quel dono che non avrei dovuto sprecare nel non voler offendere la memoria di mia madre. Affrontai la mia adolescenza, affrontai le scuole e gli esami, e affrontai persino l’università, cercando di portare a termine tutto nel minor tempo possibile con il massimo del risultato auspicabile. E quando, alla fine, iniziai a lavorare, ebbi a concentrarmi solo e unicamente sul mio lavoro, poco curandomi di altro, ivi comprese le relazioni umane...
… e di questo ebbi a pagarne il prezzo. Ed ebbi a pagarne il prezzo nel momento in cui, purtroppo, in un mondo come il nostro, ancora troppo valore viene riconosciuto all’apparenza ancor prima che alla sostanza, e alla capacità di vendersi ancor prima che a quella di fare. Così, benché io, senza false modestie, sapessi fare bene il mio lavoro, il mio disinteresse ad apparire e a giostrare con le persone a me circostanti, non ebbe a ripagarmi, vedendo in me soltanto accumularsi sfiducia verso le mie stesse capacità, verso le mie stesse possibilità, e, soprattutto, verso me stessa, permettendo, in tal senso, alla maliziosa cattiveria di altre persone di avere a definire il mio stesso “io”.
Questo, per lo meno, fino al giorno in cui, rientrando a casa dall’ennesima, frustrante giornata lavorativa, non ebbi a ritrovarmi a confronto con la versione migliore di me stessa. Parole con le quali, “la versione migliore di me stessa”, non voglio ora sottintendere qualche apprezzamento metaforico o figurato su chi, poi, ebbe a essere per me un mentore, una maestra, e un esempio di vita da abbracciare, quanto e piuttosto, obiettivamente, la versione migliore di me stessa, per così come, allora, proveniente da un mondo parallelo, da una realtà alternativa alla mia, e da una realtà in cui il mio nome non avrebbe avuto a essere Madailéin, ma, piuttosto, Midda: Midda Namile Bontor, per la precisione, le lettere del quale, per un’evidente ironia della sorte, formano il mio stesso nome, ove opportunatamente anagrammate.
Sia chiaro: prima di quel giorno non avevo mai creduto all’esistenza di un multiverso, di realtà alternative, di mondi paralleli. E, in effetti, neppure in quello stesso giorno ebbi, non nell’immediato, quantomeno, occasione di credevi. Ciò non di meno, le prove che Midda riuscì ad addurre alla mia attenzione, oltre alla nostra somiglianza, con la sola eccezione di qualche anno in più da parte sua e un braccio destro mai perduto da parte mia, ebbero alfine a convincermi. E a convincermi della verità non soltanto nel merito dell’esistenza del multiverso, quanto e soprattutto dell’esistenza dello spirito di un’antica regina che, rimesso incautamente in libertà dalla medesima Midda, e sconfitto nel loro universo natale, aveva iniziato a vagare attraverso il multiverso nella sola e unica volontà di raggiungere altre versioni della propria antagonista, magari più indifese, come avrei potuto essere io, per ucciderle… e ucciderle, probabilmente, al solo scopo di riservarsi, in tal modo, un qualche senso di vendicativo appagamento.
Grazie a Midda riuscii a sopravvivere al primo attentato alla mia esistenza, così come anche al secondo e ad alcuni altri. Grazie a Midda, in più, ebbi finalmente occasione di comprendere qual genere di donna avrei potuto diventare… e, soprattutto, avrei voluto diventare. E grazie a Midda, ancora, ebbi finalmente occasione di diventare, anche io, la versione migliore di me stessa.
Ogni scelta ha comunque un prezzo. Così, quasi una moderna Eva incapace a ignorare la propria nudità una volta mangiato il frutto dell’albero proibito, e per questo, alfine, punita per la propria trasgressione con l’esilio dal Paradiso Terrestre, allo stesso modo io non soltanto non potei restare la stessa donna di prima ma, a mia volta, mi ritrovai a dover affrontare le conseguenze del mio gesto, della mia crescita. Conseguenze che, per iniziare, mi videro privata della mia mentore, nel momento in cui un orrido morbo mutagene ebbe a trasformarla in un mostro animato dal solo interesse di farmi del male, e di farmi del male anche passando attraverso la mia famiglia; e conseguenze che, in un secondo momento, quando quell’antico spirito vendicativo, Anmel Mal Toise, decise di abbandonare anche la mia dimensione per proseguire oltre la propria ricerca di morte, mi costrinsero a prendere il ruolo di colei che quella nuova vita mi aveva donato, non desiderando avere sulla coscienza la morte di altre mie possibilmente inconsapevoli versioni alternative.
Così lasciai la mia famiglia, lasciai il mio mondo e la mia realtà, e sulle ali della fenice iniziai a viaggiare attraverso diversi universi, ritrovandomi a confronto, ogni volta, con situazioni inedite, con mondi inesplorati, a volte anche sufficientemente prossimi al mio, altre così estranei da esso da risultare semplicemente paradossali nella propria semplice esistenza. Per più di due anni saltellai di universo in universo, di mondo in mondo, fermandomi a volte per pochi giorni, altre volte per qualche settimana, in un paio di occasioni persino per più di un mese, per proteggere la Maddie, o la Midda lì autoctona dalle insidie della regina Anmel, così come, prima di me, anche la mia maestra aveva compiuto in altri mondi, in altre realtà, ultima fra le quali la mia. E in tanti viaggi, in tanti mondi, in tante avventure, non potei ovviare a crescere, a maturare sempre di più, migliorandomi come donna e come guerriera, in un cammino apparentemente iperbolico, nel confronto con il quale soltanto la morte avrebbe potuto essere per me occasione di arresto, motivo di conclusione di tale cammino, e di un cammino nel quale, finalmente, avrei avuto a riconoscermi, a sentirmi pienamente realizzata, come mai in tutta la mia vita ero riuscita a essere… un cammino nel quale, forse e persino, i tragici eventi della mia infanzia avrebbero trovato una propria possibilità di spiegazione, volendo interpretare tutto ciò qual un semplice preludio a quella nuova vita, e una nuova vita alla quale, forse, non sarei stata così bramosa di dedicarmi se la mia vita precedente non mi avesse ritrovata contraddistinta da tanta frustrazione, da tanta insoddisfazione, da un tale senso di colpa.
E se, in tanta ritrovata pace, in tanta riscoperta soddisfazione e un tale senso di libertà, nulla avrei potuto immaginare, allora, per il mio futuro se non di continuare a saltare, di mondo in mondo, alla ricerca di nuove sfide, e di nuove me stessa da salvare; in alcuna maniera mi sarebbe potuto essere concesso di preventivare quanto, altresì e alfine, mi sarei ritrovata a vivere in maniera apparentemente definitiva in un altro, solo mondo, e in un altro e solo mondo, paradossalmente, privato della propria versione nativa di me stessa, della propria Midda Namile Bontor, qual, in tale realtà, ella aveva a chiamarsi. Perché, ormai, sono trascorsi quasi tre anni da quando ebbi a giungere in questo universo, e ancora alcuna apparente occasione di ripartire mi sta venendo qui concessa, non avendo ancora avuto la possibilità di chiudere, in questo mondo, un nuovo capitolo della mia continua disfida con Anmel.
E quindi…?! E quindi, come si suol dire, non ho mancato di fare di necessità virtù. E avendo a dover vivere in questo mondo, non ho mancato di vivere in questo mondo e di vivere in questo mondo nel quale giunsi, diversamente da ogni viaggio precedente, in maniera quanto mai priva di discrezione, nell’avere a comparire, per l’imperscrutabile volontà propria della fenice, non in un contesto isolato, non lontana da possibili sguardi estranei, quanto e piuttosto innanzi alla più completa schiera di amici e un tempo alleati della mia corrispettiva locale, ai loro occhi materializzandomi in un turbinio infuocato… e completamente nuda.

« Questo è veramente imbarazzante… » non avevo potuto ovviare ad ammettere, con un sorriso tirato innanzi a una tanto affollata platea, e da una platea composta da un’eterogenea schiera di volti, alcuni fra i quali inediti, altri altresì già conosciuti, e conosciuti, quantomeno, in loro versioni alternative.