11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

sabato 31 marzo 2012

1533


D
etto questo, non voglio negare il contributo di mio fratello all'interno di quella battaglia, da lui affrontata, malgrado le reticenze iniziali, con il proprio consueto impeto, la propria abituale professionalità, tale da non far assolutamente pesare il proprio intervento nella questione e, altresì, da rendere addirittura impercettibile, ai due sventurati suoi avversari, la consapevolezza di essere morti quando, ormai, già tali. Dopo aver affrontato troppe battaglie al suo fianco, una vita intera di scontri accanto a lui, sciocco sarebbe del resto per me ora negare la sua abilità nell'arte della guerra, a me non superiore e, ciò nonostante, neppur inferiore. Probabilmente, anzi, se Howe non fosse solito smarrire la propria attenzione nel cercare nuovi modi per beffeggiarmi potrebbe anche essere un guerriero migliore, un combattente più efficiente di quanto già non sia, e, in ciò, persino migliore di me. Fortunatamente, comunque, una simile eventualità, l'idea che egli possa cambiare destinatario per il propri scherni, ha da considerarsi sì remota da non pormi nel dubbio di una qualche, pur possibile, considerazione di inferiorità nel confronto con lui.
Così, allora come sempre, Howe e io combattemmo alla pari, e, per una volta tanto, io riuscii a impormi su di lui, predominando la scena con movimenti agili, rapidi e letali… o che, per lo meno, tali risultarono in confronto a tutti i presenti, per quanto non mi voglia arrogare il diritto di considerarli altrettanto in senso generico o, tanto per dirne una, nel confronto con la stessa Figlia di Marr'Mahew.

« Lenti e goffi… » evidenziò, a tal riguardo, anche il mio compare, sorridendo con soddisfazione a simile constatazione « Dopo aver affrontato degli angeli, dopotutto, non può che essere così con questi trogloditi. » puntualizzò, a offrire una solida ragione a riprova della nostra definita superiorità, qual tale si rivelò essere sin dal primo istante di combattimento a seguito del confuso inizio, del fallito attentato.
« Finiamoli in fretta, allora. » suggerii, non desiderando protrarre quella situazione troppo a lungo, privo di brama di giuoco in tal confronto e animato dalla più semplice, istintiva e primordiale brama di sangue, utile allora a sancire il nostro potere su quella mezza città del peccato a noi affidata da Midda, sua campionessa.

A evidenziare la sincerità di tal mio consiglio, di simile mio sprone, intervenne allora il mio coltellaccio, il quale, ergendosi ad arginare la discesa di una mazza in contrasto al mio capo, si riservò, oltre alla difesa, una possibilità d'offesa. Offesa allora rivolta, nel dettaglio, prima al braccio possessore dell'arma in mio contrasto levatasi, aprendo longitudinalmente al medesimo un profondo squarcio; e subito dopo al volto, e al cranio, del suo proprietario, attraverso il quale si concesse occasione di penetrare con un violento montante. Non un solo viso, pertanto, fu in conseguenza di tali gesti a disposizione di quel malcapitato, ormai defunto, quanto due metà irregolari, in un macabro miscuglio di carne, ossa, sangue e cervella, nel quale difficile sarebbe stato riconoscere quanto sino a un istante prima era stato un uomo, aitante e pronto a difendere chissà quale principio, probabilmente l'egoismo e la brama di gloria e oro, a costo della propria vita.
Nel contempo in cui la mia lama pose in essere simile punizione per tanta, troppa brama, con la coda dell'occhio potei cogliere l'immagine di una prima, prevedibile vittima anche per il mio compare, la spada del quale, malgrado dimensioni nettamente superiori a quella della mia lama, si mosse con ammirevole agilità, lodabile destrezza, intrattenendo nei propri movimenti ben due lame avversarie e, fra una difesa e l'altra, non mancando di riservarsi l'opportunità di un affondo, penetrando in maniera elegante e, persino, gradevole alla vista, nel torace di uno dei suoi antagonisti, cogliendo con maestria uno spazio intercostale lì offertogli e giungendo, senza alcuna difficoltà, senza il benché minimo sforzo, al cuore dello sventurato, del disgraziato, il quale ebbe solo il tempo di chinare lo sguardo verso il suolo e, silenziosamente, spirare, troppo sorpreso per concedersi un'ultima parola.
Distratto da tale scena nell'esigenza di ovviare all'azione di un'ascia in contrasto al mio collo, dal quale semplice sarebbe allora stato spiccare il mio intero capo, venni per opera di un terzo volontario suicida in mio contrasto, al quali non offrii soddisfazione alcuna nel chinarmi rapidamente verso il suolo e, in ciò, nel liberare la traiettoria della sua arma da qualunque possibile contatto con il mio corpo. Un gesto, il suo, che ovviamente non mi permisi di lasciare privo di reazioni, muovendo nel contempo della mia evasione la mia lama in direzione del suo stomaco, risalendo lungo il quale sarei, a mia vola, potuto giungere al cuore. E, nel non voler riscrivere la storia in questa mia narrazione, non posso ora evitare di riportare come quanto mi prefissi in tal atto non avvenne e, invece di giungere al suo stomaco, vidi, inaspettatamente, il mio braccio essere catturato dalla sua mano libera, la mancina, a dimostrazione di quanto egli non avrebbe voluto concedersi di morire senza combattere.
Ma se il mio antagonista, già convinto di avermi tratto in trappola, rese proprio un intervallo eccessivamente lungo per sollevare nuovamente la propria ascia prima di lasciarla precipitare contro di me, ora lì offertogli troppo generosamente; io non mi riservai tanta indolenza, simile pigrizia, nel rispondere altresì con impeto furibondo a chi, per un fugace istante, si era convinto di avermi sconfitto, proiettando allora la mia mano libera, egualmente la mancina, verso la parte più sensibile del suo corpo, i suoi genitali. E, per quanto a ripensarci ora non riesca a ovviare a un certo disagio, allora li strinsi con violenza tale fra le mie dita da spappolarli… non trovo un termine più indicato, senza che all'altro potesse essere concessa la benché minima possibilità di reazione al di fuori di gridare tutta la sua pena volgendo la testa verso l'alto dei cieli, dimenticando nel contempo, ogni azione offensiva e, peggio, liberando istintivamente il mio braccio che, allora, poté finalmente concedersi di giungere a destinazione, offrendogli pietosa morte in luogo a una vita da eunuco che mal si sarebbe sposata con la sua eccessiva ostentazione di virilità.
Accorgendomi, allora, che Howe, non facendo proprio alcun ozio, aveva già avuto successo in una seconda uccisione, squarciando dall'alto verso il basso, dalla gola al pube, un altro avversario, e si stava dirigendo verso l'ultimo fra i nostri attentatori ancora in vita, desideroso di raggiungere una situazione di pareggio con me; reagì con infantile egoismo, non desiderando concedere al mio fratellone simile occasione e, in ciò, slanciando il mio coltellaccio, ancora sporco di sangue, verso la comune preda, nella volontà di ottenerne la morte prima di lui. E dove, in quel momento, il condannato aveva già rivolto tutta la propria attenzione verso il mio compare, per la mia arma sin troppo semplice fu volteggiare nell'aria sino a lui, cogliendolo alla base del collo, con non poca fortuna da parte mia, e lì conficcandosi con forza, con violenza tale da fuoriuscire tra le sue spalle, terminandone la vita all'istante, quasi fosse stato colpito da un fulmine.

« Quattro a due! » esclamai trionfante verso Howe, non riuscendo a moderare il mio entusiasmo per quella vittoria, duplice vittoria ove non solo nel confronto con i nostri antagonisti ma, anche, con il mio stesso interlocutore, lì vinto con un distacco indubbio e incontrovertibile.
« Tre a tre! » tentò di protestare, nella vana volontà di sollevare dubbio e scatenare controversia su una questione che non ne avrebbe potuto prevedere « L'ultimo l'hai ucciso solo perché me l'hai strappato di mano in termini sufficientemente discutibili! »
« Quattro a due… e non iniziare a insinuare che io non sappia contare o che quello era tuo. » insistetti, fermo nelle mie posizioni « Non importa chi inizia. Importa chi finisce! » gli ricordai, citando quella che egli, sovente, adduceva come giustificazione per azioni assolutamente meno onorevoli rispetto alla mia, e tali, sì, da giustificare una dubbio e una controversia, a differenza di quanto lì accaduto.
« Fole. » minimizzò Howe, scuotendo il capo « Senza dimenticare come quanto è accaduto è stata tutta colpa tua! Tua e della tua dannata linguaccia! Luogotenenti di Marr'Mahew… accidenti a te! »
« Beh… comunque sia è vero. » protestai, non accettando quel rimprovero, per quanto, probabilmente, corretto, laddove eccessiva era stata la mia insistenza in tal senso « E ora, quanto meno, ci siamo accertati che tutta Kriarya lo sappia… » soggiunsi, in riferimento a coloro che, distanti da noi, fingevano di non interessarsi a quanto appena occorso, sebbene, probabilmente, non avessero mai distolto lo sguardo da noi e dai nostri avversari.

venerdì 30 marzo 2012

1532


G
li eventi secondo Howe


Credo che sia quasi superfluo sottolineare come il mio compare, nonostante fosse appena sopravvissuto solo in grazia al mio intervento, non si definì per nulla soddisfatto da quanto compiuto sotto il suo naso, evidentemente più per invidia, per gelosia nei confronti di quanto da me compiuto, ancor prima per la necessità di una qualche critica verso il mio sublime operato, verso quella difesa tanto energica quanto reattiva, e verso la conseguente offensiva tanto rapida quanto pietosa, nel condannare, quel disgraziato, a una morte rapida e indolore. Dopotutto, ove quell'idiota di Be'Wahr aveva dichiarato guerra all'intera Kriarya, qual pur si era dimostrato intenzionato a fare ancor più degli stessi mahkra, l'unica occasione verso la quale avremmo potuto destinare le nostre speranze di sopravvivenza sarebbe stata, allora, quella di riuscire a uccidere quanti più candidati suicidi a noi offerti, per convincere altri a non imitarli, a non offrire, a propria volta, un eguale tributo di sangue in nostro onore.

« Maledizione, Howe! » protestò, con tono paradossalmente arrabbiato, quasi non avesse avuto piacere a ritrovare salva la propria vita « Non dovevi ucciderlo! Così scateneremo solo la loro ira… »
« Certo. » volli inizialmente approvare, caratterizzando comunque il tutto con un tono fortemente ironico, sarcastico, nel non voler, effettivamente, offrire alcuna importanza a tale osservazione « Scateneremo l'ira di chi, a ben vedere, non conosce neppure il nome del propri compagno. E, ciò nonostante, dovrebbe arrabbiarsi in conseguenza della morte del medesimo. » puntualizzai, cercando di porre l'accento sul luogo entro il quale stavamo combattendo, e sull'identità dei nostri avversari, non fratelli d'arme nostro pari, ma semplici approfittatori, unitisi semplicemente all'idea di poter in tal modo farci più rapidamente a pezzi « Non per offrirti una brutta notizia… ma non ci possiamo permettere di tollerare alcuna insubordinazione. Non, per lo meno, se desideriamo mantenere la nostra pelle al proprio legittimo posto. »

Ho sempre giudicato Be'Wahr quale esempio di quanto la natura possa essere incoerente nelle proprie scelte, o forse animata, in ciò, da una bizzarra perversione. Solo in tal senso, infatti, si potrebbe comprendere come un omaccione qual io mio compare, più basso di me ma almeno due volte più largo di me, e non per un improbabile accumulo di grassi ma per un ottimo accumulo di muscoli tale da renderlo più che adeguato agli standard di una buona parte dei mercenari della città del peccato, possa essere stato tanto penalizzato sotto un profilo intellettuale, al punto tale da permettergli di smarrirsi in chissà quali elucubrazioni anche in un momento sufficientemente tragico qual avrebbe potuto tranquillamente rivelarsi quello innanzi al quale ci stavamo allora confrontando.
Non so cosa potesse star attraversando il cervello del mio compagno in quell'occasione, forse distrattosi nell'osservare il sangue versato al suolo venir assorbito dalla terra e dalla polvere lì presenti al di sopra di quella che, qualche decennio prima, o forse più ancora, avrebbe potuto essere riconosciuta qual una strada; forse nel riflettere su quanto possibilmente errato avrebbe dovuto essere il mio comportamento, arrivando addirittura a condannarmi qual indegno della fiducia attribuitaci dalla Figlia di Marr'Mahew, sebbene proprio ella, per prima, avrebbe agito come me, non permettendo ad alcuno, sufficientemente folle da ostacolarla, di sopravvivere in un momento di crisi qual quello. Dopotutto, Be'Wahr ha sempre avuto la capacità di perdere di vista i particolari importanti in favore di quelli del tutto irrilevanti, quali, a esempio, quelli che avrebbero potuto permettergli, diversi mesi prima di allora, di distinguere Nissa Bontor dalla nostra amica Midda, uccidendola per tempo e impedendole non solo di dare il via a questa assurda corsa contro il tempo nel recupero degli scettri, ma, ancor più, di trapassarmi l'avambraccio mancino con la propria lama, lì massacrandomi impietosamente il muscolo e, in ciò, indicando qual obbligatoria la via dell'amputazione.
Alla fine, tuttavia, anche il mio biondo fratellino si riscosse dal proprio stato di torpore, complici, sicuramente, le immagini concessegli da una mazza e un'accetta proiettate nuovamente verso di noi, verso di lui e verso di me, in contrasto alle quali, ora, egli volle concedersi occasione di intervenire, sguainando la propria lama così simile a un coltellaccio e, solo allora, tardivamente e pur non per questo spiacevolmente, intervenendo in quel confronto, intercettando l'azione avversaria e arrestandola prima che essa potesse andare a compimento.
Al di là della sua pur ammirevole muscolatura, la posizione impostagli dalla necessità di sorreggere le conseguenze di quei due falliti attacchi si concesse sufficientemente scomoda da costringerlo a ricercare quanto prima un disimpegno, che egli volle allora attuare nel respingere le armi avversarie e, subito dopo, nel ricercare quei due ventri con il filo del proprio acciaio, in un ampio arco sufficientemente evidente nella propria esecuzione da costringere le controparti a un repentino ritiro, non definitivo, ovvio, e pur utile a ovviare all'idea di ritrovarsi con le pance squarciate.

« Bravissimo, fratellino! » approvai compiaciuto da quella tardiva, e pur apprezzabile, presa di posizione, in grazia alla quale non mi dovetti più considerare qual solo in quella battaglia, in quel confronto, ma, finalmente, accompagnato da colui che, sono costretto ad ammetterlo, solo fra tutti avrei apprezzato al mio fianco, avrei desiderato accanto a me.

Destatosi dal proprio iniziale stato di torpore, infatti, Be'Wahr si dimostrò nei momenti successivi, nei nuovi sviluppi di quel da me non desiderato, e pur da lui incentivato, confronto, il consueto e gradevole compagno di una vita intera, alleato di infinite battaglie, qual pur erano state quelle che, l'uno con la schiena appoggiata a quella dell'altro, avevamo affrontato insieme, avevamo superato, sopravvivendo contro ogni aspettativa e tornando, sempre prima del dovuto, a combattere, a cercare nuove occasioni per porre in dubbio il nostro futuro e, in grazia alla nostra attività di mercenari, per guadagnare quanto tuttavia necessario al fine di rendere possibile un qualsivoglia domani. Dopotutto non credo debba celare quanto io non sopporti la sua apparentemente inaccettabile stolidità per una qualche caritatevole beneficienza nei suoi confronti o innanzi allo sguardo del nostro dio Lohr; quanto, e piuttosto, per il suo apporto raramente criticabile a ogni nostro conflitto, a ogni nostra pugna, nel culmine più violento della quale, improvvisamente e miracolosamente, ogni suo difetto sembrava venir meno in favore del più profondo, inalienabile e sacrosanto istinto di sopravvivenza, sopravvivenza non solo personale ma, ovviamente, collettiva… entro i limiti della nostra accoppiata.
In ciò abbia tuttavia da essere posto in dubbio il mio personalissimo contributo allo sviluppo di quella lotta, di quel confronto, dal momento che, a conti fatti, ben quattro su sei avversari ottennero una prematura occasione di incontro con le loro divinità, o con qualunque altra sarebbe stata realmente presente al momento della loro, e nostra, morte. Tre, infatti, furono i corpi le aggiunsi al primo, nel mentre in cui, forse egoisticamente, forse per semplice giuoco, al mio compare concessi unicamente l'occasione di porre la propria firma su due uccisioni, due uccisioni che, comunque, non avrebbero potuto concedersi di dimenticare la sua critica preventiva all'impiego di tanta violenza in reazione a un simile assalto.

Gli eventi secondo Be'Wahr

Al di là di quanto Howe potrà avere il piacere di mentire a raccontare, cercando di esaltare il proprio ruolo in quella battaglia nonostante ogni sua iniziale critica al mio comportamento, desidero puntualizzare sin da ora, prima ancora di definirne in termini precisi le circostanze, che il conteggio di vittime, al termine di quella battaglia, vide la mia personale posizione qual su di lui vittoriosa, con ben quattro caduti in confronto a solo due, qual volli comunque concedergli a non offendere la sua dignità e il suo onore.

giovedì 29 marzo 2012

1531


A
ncora non riesco a capacitarmi dell'ottusità dimostrata da Be'Wahr, il quale non cercò neppure per un istante di mantenere il silenzio, di serbare tante idiozie nel proprio cuore senza condividerle con me, e con, peggio, il mondo a noi circostante.
Purtroppo così fu, e dal canto mio, l'unica cosa che mi potei permettere di compiere fu quella di chinare lo sguardo verso il mio braccio dorato, il quale, al di là della propria apparente inutilità, diversamente da quello di Midda, riserva qual propri alcuno sostanziali vantaggi, fra cui quello di potermi permettere di volgere la mia attenzione anche dietro di me senza, in ciò, girarmi o compiere gesti particolarmente appariscenti. E solo in grazia a simile atto, per fortuna mia e del mio non straordinariamente geniale compare, ebbi la possibilità di accorgermi di quanto, nel contempo di quelle parole, stava predisponendosi alle nostre spalle, nella presenza di un gruppetto di sei, massicci mercenari, o comunque guerrieri, con la mano già prossima alle impugnature delle proprie armi, fossero essere spade, asce, mazze o quant'altro, nella volontà di sorprenderci e, possibilmente, di finirci prima ancora che ci fosse concessa l'occasione di difenderci.

« Attento, fratellino… ci vogliono fare la pelle… » suggerii al mio pur colpevole alleato, sospirando per la monotona prevedibilità di quella battaglia e per quanto da essa sarebbe conseguito.

Prima che, tuttavia, Be'Wahr fosse in grado di interpretare adeguatamente il mio allarme, fu mia ineluttabile prerogativa quella di estrarre la mia spada dal proprio fodero e voltarmi, repentinamente, a levarla, in concomitanza al mio braccio mancino, qual scudo tanto a protezione mia, quanto più a quella dello stesso addormentato camerata, onde prevenire l'eventualità di trovarci gradevolmente decapitati.
Un movimento a dir poco superbo, praticamente maestrale, il mio, che vide la mia spada arginare la violenza di ben due altre lame e una mazza, mentre il mio mancino bloccare la discesa di un'ascia, una seconda mazza e una terza, e ultima lama, quella di un grosso spadone a due mani. Un movimento che, al di là della propria maestrale esecuzione, mi pose in una postura che non avrei mai potuto mantenere a lungo, ove l'intensità del'energia caricata in mia opposizione avrebbe dovuto riconoscersi qual spiacevolmente eccessiva, drammaticamente letale.
Il primo a essere disimpegnato, così, fu il mio mancino il quale, con un colpo deciso, respinse dalla propria inanimata, e pur, nonostante tutto, utile superficie dorata quanto lì posto in contrapposizione; venendo seguito, in un solo istante, dalla spada, in un elegante movimento della quale non solo mi volli liberare dall'offensiva di chiunque accanto a me, ma, ancor meglio, mi concessi di raggiungere una prima gola, attraversandola di netto così come un coltello caldo sarebbe stato in grado di attraversare del burro fresco.

Gli eventi secondo Be'Wahr

Perso nella nostalgica contemplazione del proprio braccio perduto, probabilmente Howe non avrebbe mai colto l'immagine che, pur nel medesimo, gli… ci stava venendo allora presentata, destinandoci, in ciò, a morte certa, qual solo ci sarebbe voluta essere offerta a coloro che, su quella superficie dorata, erano tanto nitidamente rappresentati. Per mia e sua fortuna, tuttavia, anche il mio sguardo corse nella direzione di quella protesi metallica, permettendomi di rilevare la minaccia su noi incombente e, naturalmente, contenerla per tempo.
Per tal ragione, prima ancora che al mio compare fosse concessa l'opportunità di apprendere quanto stava per accadere e di tentare, vanamente, di pormi in guardia con una frase a effetto…

« Attento, idiota… ci vogliono fare la pelle… »

… il mio coltellaccio, qual tutti sono soliti descriverlo, era già comparso fra le mie mani e si era rapidamente levato in aria allo scopo di deviare la traiettoria di una prima spada lanciata proprio in offesa di Howe e, con essa, arginare le possibilità d'offesa anche degli altri componenti di quella squadra, di quel ristretto battaglione forse illusosi di poterci, effettivamente, ammazzare in maniera tanto semplice, qual pur stavano per riuscire a compiere. Addirittura, per quanto può sembrare paradossale a raccontarsi, una seconda lama deviata per effetto della prima andò a trapassare il collo di uno dei sei uomini alle nostre spalle, sei poveracci con un chiaro fato di morte scritto in faccia, ove sarebbe bastata una mia carezza, sufficientemente energia, per riordinare loro le ossa in nuove e variegate combinazioni.
Del mio intervento, tuttavia, Howe non parve riuscire a dimostrarsi soddisfatto, al contrario, seppur tardivamente, girandosi e accusandomi per quanto compiuto, seppur, non lo nego, involontariamente…

« Dannazione, Be'Wahr! » gridò, con tono sinceramente arrabbiato « Non avresti dovuto ammazzarli! Ora ci toccherà farli tutti a pezzi per evitare che gli altri possano decidere di tentare di vendicare il loro compagno. »
« Ma fra questa gente, probabilmente, neppure è noto, l'un l'altro, il nome dell'uno, piuttosto che quello dell'altro! » obiettai, stringendomi fra le spalle e ritirandomi quanto sufficiente a concedere a Howe occasione per subentrare al mio fianco, ove da lui desiderato « Non ci possiamo permettere di tollerare insubordinazioni, se desideriamo sopravvivere! »

Mi stupii, sinceramente, della ritrosia allora dimostrata dal mio compare. Abitualmente, infatti, egli non si era mai proposto particolarmente rispettoso della vita di chicchessia. Non più di me, per lo meno. E, sicuramente, molto meno rispetto alla nostra amica, a Midda Bontor.
Forse, tuttavia, gli ultimi mesi trascorsi accanto a lei avevano iniziato a influire sulla sua indole più di quanto non avrebbe mai gradito ammettere, trasformandolo, a poco a poco, in un uomo indubbiamente migliore. Non tanto perché, prima, pessimo, quanto, e semplicemente, perché maggiormente in grado di apprezzare la vita e il suo significato, tanto negli altri, quanto e più in se stesso. E dire che solo pochi mesi fa, quando siamo stati costretti ad amputargli il braccio per evitare che morisse dissanguato, egli si era dichiarato più entusiasta all'idea della morte ancor prima che di quella di una qualsivoglia menomazione qual quella, purtroppo, impostagli.
Menomazione, comunque, che Howe, sempre nel proprio cammino di miglioramento, era alfine riuscito a trasformare in una risorsa, non al pari di quella della Figlia di Marr'Mahew, rinunciando, diversamente da lei, a un qualche mai meglio esplicitato patto con una qualche non meglio specificata razza aliena a ogni barlume di umanità; ma non per questo meno efficace o utile rispetto al braccio destro di lei. Con il proprio mancino dorato, infatti, egli si concesse allora possibilità di intervenire, in difesa sua e mia, elevando quella superficie priva di qualunque sensibilità a protezione del proprio corpo e, accanto a esso, del mio, in contrasto a ben una mazza e un'accetta.
Una pressione decisamente sgradevole, quella così impostagli da ben due armi, nel confronto con la quale non si volle riservare particolare insistenza, disimpegnandosi quanto prima da tali avversari in grazia all'intervento della propria destra, allora armata con la sua consueta lama, per costringerli ad allontanarsi volontariamente da sé, pena l'inevitabile sventramento.

« E' questo il fratellone che adoro! » sorrisi più che soddisfatto da quella sua riscossa, non solo perché già utile ad allontanarlo dai propri altresì cupi pensieri, ma anche perché dedicata a liberarci quanto prima dell'ingombro offertoci da quegli stolidi sei… cinque disgraziati che avrebbero, a lungo andare, potuto ispirare altri, nei dintorni, a intervenire in nostra offensiva, concentrando l'attenzione e le forze di Kriarya in nostro contrasto ancor prima che in quello dei pur temibili mahkra.

mercoledì 28 marzo 2012

1530


G
li eventi secondo Be'Wahr


Nel momento in cui ci separammo da Midda, compresi immediatamente come per Howe e per me non sarebbe stato semplice affrontare la città del peccato ancor prima dei nemici che la assediavano. Se, infatti, sino a quel giorno la nostra presenza all'interno di Kriarya era sempre risultata in conseguenza a quella della Figlia di Marr'Mahew, e in ciò quasi autorizzata dalla medesima, in quel momento sarebbe stato solo nostro onere, nostra responsabilità, riuscirci a dimostrare degni dell'incarico che ella ci aveva affidato e, ancor più, capaci di guidare gli uomini e le donne figli di un'urbe abitata quasi esclusivamente da mercenari e assassini, ladri e prostitute, così come noto in tutta Kofreya e, credo, anche qui da voi in Tranith.
L'idea di dover affrontare di petto quella situazione, in un momento, per lo più, teso qual solo sarebbe potuto necessariamente essere quello conseguente all'avvento di orrori pari a quelli lì presentatici, non avrebbe potuto mettermi di buon umore, non avrebbe potuto rasserenarmi o rallegrarmi, per quanto fosse nostra abitudine, mia e di mio fratello, quella di tentare di sdrammatizzare anche i momenti peggiori, in una prerogativa che ci aveva sempre posto più affini a Midda di quanto non avremmo mai potuto sperar essere. Per tal ragione, quindi, volli anche allora tentare di prendere voce verso Howe e provare a confrontarmi con lui, fra il serio e il faceto, su quanto di lì a breve avremmo dovuto dimostrare essere in grado di compiere.

« E con questo siamo divenuti luogotenenti di Midda… » osservai, per nulla sgradendo una simile posizione, soprattutto nel considerare la fama di colei in oggetti « In pratica potremmo essere ricordati come i luogotenenti della Figlia di Marr'Mahew… i Luogotenenti di Marr'Mahew! » sorrisi, tentando di obliare, per un istante, quanto ciò avrebbe potuto significare per noi.
« Dei… dove accidenti hai appreso questa parola?! » protestò mio fratello, non perdendo occasione di schierarsi, giocosamente, in mia avversione « Spero bene non vorrai divertirti a ripeterla per tutta la giornata, o altrimenti vado e mi faccio inghiottire dal primo di quei mostri che mi capita a tiro… » minacciò, simulando disperazione « … anzi no! Faccio inghiottire te dal primo dei mostri che mi capita a tiro. »
« Esagerato. » commentai a labbra strette « A parte che è una bella parola. Ha un suono estremamente fluido… »
« … si… come le unghie di un gatto su una superficie di ardesia... » puntualizzò egli fra sé e sé, parlando con tono sufficientemente basso da voler indicare un discorso intimo, e pur sufficientemente alto da non escludermi da simile accenno.
« E poi lascia intendere un ruolo di assoluto rilievo. » proseguii, fingendo di non averlo udito, di averlo del tutto ignorato « Diamine… siamo praticamente divenuti i generali della figlia della guerra. Ti pare poco?! »
« Non è il mio genere. Generalmente i generali terminano le loro generiche vite in termini tutt'altro che apprezzabili… genericamente intendo. » mi canzonò, giuocando attorno a molteplici inflessioni di una comune radice, probabilmente a riprendere le eccessive ripetizioni da me propostegli attorno all'altro termine da me adoperato « Ed essere Luogotenenti di Marr'Mahew, come ti sei divertito a classificarci, sono certo che non ci condurrà a nulla di buono. » concluse, chinando lo sguardo verso il proprio braccio mancino e, probabilmente, perdendosi in cubi pensieri a tal riguardo.

Purtroppo, per quanto successivamente reso partecipe degli eventi in questione per mezzo della testimonianza di Midda e del mio stesso fratello, io non sono stato presente nei giorni in cui egli conquistò, a sua volta, il proprio braccio metallico, non stregato come quello della nostra amica, ma semplice, inanimata prosecuzione di quello che altrimenti sarebbe apparso qual un braccio mutilato, sgradevolmente sacrificato in una delle nostre ultime disavventure, ove difficile sarebbe stato considerare tanto quella, quanto le successive, quali avventure. E, in ciò, in ogni momento in cui Howe volge la propria attenzione a quel surrogato, a quella protesi, io resto senza parole, non riuscendo a scegliere in che termini esprimermi per consolarlo, incoraggiarlo o chissà cos'altro sua necessità.

Gli eventi secondo Howe

Ricevere l'incarico di presidiare, in autonomia, il fronte settentrionale della città del peccato, non voglio negarlo, è quanto di meglio non avrei potuto sperare di ricevere da parte di Midda in conclusione a troppe chiacchiere e a poca sostanza, sebbene difficile sarebbe stato immaginare una qualche scena d'azione in contrasto ai mahkra senza, necessariamente, un momento di pianificazione strategica utile a scegliere con quale tattica affrontarli. Ovviamente, come sempre, tale momento non era effettivamente occorso, là dove neppure la tanto celebrata Figlia di Marr'Mahew avrebbe potuto immaginarsi come sconfiggere tali obbrobri. E così eccomi, con quell'idiota del mio compare a seguito, dirigermi verso nord, domandandomi in quali stramaledettissimi modi avremmo mai potuto sopravvivere a una qualunque battaglia. O, parallelamente, in quali modi avremmo mai potuto convincere qualcuno ad affiancarci nel corso di quella battaglia, al di là di tutta la fiducia che la nostra compagna aveva voluto riconoscerci.
Fiducia, dopotutto, che non avrebbe di certo avuto il benché minimo valore nel confronto con uno qualunque fra i pendagli da forca a noi circostanti, negli sguardi dei quali difficile era leggere qualcosa al di fuori della brava di strappare i nostri cervelli dalle loro legittime sedi e usare lo spazio restante qual pitale. E in una tale condizione, inutile a dirsi, il genio di mio fratello, il cui cervello, chiaramente, deve essere stato rimosso troppo tempo fa, non riuscì a trovare alcun argomento più interessante rispetto a quello nel quale porre eccessivo entusiasmo verso un titolo che da alcuno sarebbe mai stato riconosciuto.

« E con questo siamo divenuti logo… luoghi… luogotenenti di Midda… » osservò, a fatica riuscendo a scandire una parola troppo complessa per le sue elementari capacità verbali « Siamo i luoghi tenente… i luogotenenti di Mida, della Figlia di Marr'Mahew! In pratica i… Quelli di Marr'Mahew! » insistette, concedendomi a coronamento di tale dimostrazione di inettitudine anche un sorriso tanto stupido da riuscire ad apparire persino intelligente, nel proprio grottesco eccesso.
« Ti prego, mio caro Be'Wahr… risparmia le tue energie per qualcosa di più costruttivo. » lo invitai, con assoluta serenità, cercando di far leva sull'affetto risaputo qual esistente fra noi per costringerlo al silenzio e, in ciò, a ovviare al pur forse inevitabile scontro con la città del peccato, del quale eravamo stati nominati, senza titolo alcuno, difensori… campioni per interposta persona « Continuando a vantarti eccessivamente di tutto questo, rischierai solo di inimicarci i nostri allegri anfitrioni, gli autoctoni di questa simpatica città. E non desideriamo che ci prendano e ci diano in pasto ai mahkra… non è vero? »
« Esagerato! » protestò egli, non accettando il mio consiglio « Perché mai dovrebbero prendersela per una semplice parola… »
« … disse prima di essere sollevato di peso e gettato in un braciere ardente… » ironizzai, cercando di stemperare, in ciò, la tensione crescente avvertita in me, purtroppo non trattenendomi dal condividere con il mio compare simile elucubrazione.
« Una semplice parola che lascia trasparire tutta la nostra importanza! » insistette Be'Wahr, non cogliendo il mio tentativo volto a farlo tacere prima di arrivare a un irrimediabile punto di non ritorno « Diamine… siamo praticamente divenuti i generali della figlia della guerra. Ti pare poco?! »
« No. Mi pare anche troppo. » suggerii in maniera più esplicita « In genere chi si vanta troppo dei propri titoli non conclude la propria esistenza in maniera apprezzabile. » volli sottolineare, a rendere ancor più trasparente quel concetto « Ed eviterei di sbandierare ai quattro venti il fatto di essere diventati Luogotenenti di Marr'Mahew… o di chiunque altro! »

martedì 27 marzo 2012

1529


P
rima di proseguire oltre, giungendo al momento della battaglia e, con essa, alle scelte strategiche che Midda volle riservar qual proprie per trasformare una completa disfatta, qual sola sarebbe potuta essere loro auspicabile, in uno straordinario trionfo, qual, invece, fu, così come testimoniato dalla semplice esistenza in vita di coloro che parteciparono a tanto cruciali, in grazia ai racconti dei quali questa raccolta sta prendendo forma e corpo; ritengo necessario spendere qualche parola anche su coloro che, separatisi dalla Figlia di Marr'Mahew per volere della medesima, vennero inviati sul fronte settentrionale, a rappresentarla, a parlare e agire in suo nome per quanto, evidentemente, distanti da lei e da qualunque possibilità di comunicazione con la medesima.

Howe e Be'Wahr, da me conosciuti solo al termine delle circostanze qui narrate, non hanno da considerarsi qual due semplici mercenari, così come da me ritenuto sino al momento dell'incontro con gli stessi, né, effettivamente, due fratelli, così come sarebbe potuto essere inteso nell'ascolto delle testimonianze già riportate. Dopotutto, laddove uno è stato spesso descritto con il termine di shar'tiagho, e l'altro con quello di biondo, difficile sarebbe ipotizzare un qualche reale collegamento di sangue fra i due. Collegamento che, pur inesistente, è emotivamente presente fra loro molto più di quanto non lo sarebbe potuto essere in qualunque altra circostanza, ove cresciuti, sin dal momento della loro stessa nascita, e prima ancora, qual fratelli. Figli di due famiglie molto legate fra loro, il destino dei due pargoli era stato segnato sin dalla scelta dei loro nomi, ove il padre e la madre dell'uno diedero al corrispettivo figliuolo il nome che i genitori dell'altro avrebbero gradito per il proprio: Be'Wahr, nome shar'tiagho, al biondo; e Howe, nome comune tanto in Kofreya quanto in Tranith, al figlio della lontana terra di Shar'Tiagh che da lui non sarebbe mai stata conosciuta.
Sovente in apparente contrasto reciproco, in fittizio insanabile conflitto interno; i due fratelli, amici e compagni da una vita intera, condividono da sempre ogni passione, ogni interesse, ogni sogno, combattendo l'uno accanto all'altro in una reciproca integrazione tale da renderli, uniti, avversari sensazionali, sebbene divisi sarebbero potuto essere considerati assolutamente nella media, non mediocri ma neppure degni di plauso. Con Midda, oltre a quell'ultima avventura, hanno condiviso diversi altri viaggi, diverse altre imprese, tali per cui essi potrebbero anche menar vanto di essere gli unici compagni d'arme che la Figlia di Marr'Mahew abbia mai voluto al proprio fianco. Vanto ovviamente vano, e, in effetti, anche distante dalla realtà, laddove essi, per quanto comunque accettati, apprezzati e talvolta persino da lei ricercati, non possono considerarsi detentori di alcun primato, detenuto a ben vedere da diversi altri protagonisti. Tuttavia e comunque, essi hanno da considerarsi gli attuali compagni d'arme preferiti della mercenaria dagli occhi color ghiaccio, ragione nel confronto con la quale non casuale avrebbe dovuto essere riconosciuta la loro presenza al suo fianco in quel frangente. Né, parimenti, la fiducia da lei dimostrata nei loro riguardi, ragione per la quale essi si erano incamminati, seppur privi di particolare entusiasmo, verso la porta settentrionale della città, per prendere il comando, una volta lì sopraggiunti, in nome della campionessa di Kriarya.
Ma già laddove alla stessa Midda Bontor, malgrado la sua straordinaria fama e i suoi numerosi meriti e demeriti, non era stata concessa vita facile nel proprio tragitto verso sud, tributandole, comunque, quella minimale avversione tale da rendere la sua supremazia più sincera, più autentica, e non semplice inganno; ai due fratelli d'arme, estranei alla città del peccato per quanto non sconosciuto nella medesima, alcun riconoscimento sarebbe mai stato offerto. Al contrario… sarebbe stato loro richiesto tutto l'impegno possibile per dimostrarsi degni della fiducia loro destinata dalla Figlia di Marr'Mahew e, in ciò, indirettamente, dai signori della città.

A seguire, per concedere il giusto spazio a entrambi, riporterò la testimonianza tanto di Howe quanto di Be'Wahr, cercando di permettere agli stessi di narrare quanto avvenne dal loro punto di vista nella maniera più completa e puntuale possibile.
Purtroppo, come chi leggerà questo documento avrà modo di verificare, talvolta, in determinati punti, le due versioni non offriranno la medesima verità, interpretando quanto avvenne da punti di vista estremamente personali. E se, sul fronte meridionale, una simile incoerenza non ha mai avuto ragione di verificarsi, rendendo assolutamente intercambiabile il racconto dei fatti offerto da Seem con quello proposto da Av'Fahr; sul fronte settentrionale simile incoerenza rende del tutto impossibile comprendere cosa avvenne di preciso in tali situazioni, lasciando persino intendere l'esistenza di una terza versione, estranea a quelle da me raccolte, in grado di offrire la verità su ciò. In assenza di tale terza, solo ipotetica, versione, alla mente le lettore è affidato il giudizio nel merito di quanto qui riportato, e delle ragioni dell'uno piuttosto di quelle dell'altro.
Dal mio personale punto di vista, al di là della mia posizione neutra e volta unicamente a proporre i fatti e non a sceglierli o valutarli, ritengo che, al di là di tali problemi, la parola di Howe e di Be'Wahr abbia da considerarsi sufficientemente responsabile da non creare nulla di nuovo, da non inventare di sana pianta fatti non occorsi, limitandosi, ove possibile, a tentare di rendere il proprio intervento negli stessi il più elegante e fondamentale possibile. In ciò, quindi, mi sento sufficientemente sicuro nell'offrire queste narrazioni parallele quali testimonianze di quanto avvenne, da non intendersi nella precisa puntualità di ogni singolo movimento dei due protagonisti, o di ogni loro singola battuta, quanto, e semplicemente, nella propria generalità, nella propria complessità e nei propri risultati, nel traguardo finale.
Questa premessa ha da considerarsi valida non solo per il racconto che ora seguirà, ma anche, e ancor più, per la cronaca della battaglia serale, nel resoconto della quale, è facile intendere, molte più possibilità di fantasiose reinterpretazioni sono state concesse alla coppia dalla semplice, e incontestabile, verità del loro essere sopravvissuti a quelle drammatiche ore, a quella potenzialmente vana lotta per il proprio diritto a esistere e a godere, ancora una volta, dei raggi del sole.

Un'ultima osservazione ritengo doveroso aggiungere a questo testo, per correttezza proprio verso Howe e Be'Wahr: al di là di tutto, al di là del loro carattere spesso rissoso non solo internamente ma anche nei confronti del resto del mondo, e al di là dell'assenza di obiettività dei loro resoconti, quanto ho potuto apprezzare in ciò che hanno detto, e fatto, soprattutto dopo averli conosciuti personalmente, è lo spirito che entrambi hanno comunque conservato per tutto il tempo. Lo stesso spirito, in effetti, che li ha caratterizzati in ogni singolo giorno della loro vita, permettendoli di divenire ciò che poi sono divenuti, ossia i soli due mercenari sufficientemente abili, onesti e modesti, da potersi conquistare un posto accanto a Midda Bontor.
In tale loro spirito, in simile espressione del loro animo, delle loro emozioni e dei loro pensieri, probabilmente per deformazione professionale, io non ho potuto ritrovar altro che lo stesso ardore e lo stesso cameratismo che ha da sempre contraddistinto, e che sempre contraddistinguerà, qualunque equipaggio fedele agli dei del mare. Il loro essere fratelli, e forse essere parte di una famiglia comune insieme a Midda e a Seem, non può non essere accomunato a quanto unisce, protegge e rafforza ognuno di noi, figli del mare, in ogni giorno della nostra vita, nell'affrontare i pericoli costantemente imposti sul nostro viaggio non tanto lasciandoci dominare dalla preoccupazione per quanto potrebbe a noi stessi essere addotto, quanto, e piuttosto, per il male, per il dolore e la morte, che potrebbe essere imposta ai nostri compagni, ai nostri amici, fratelli e sorelle, per la salvezza dei quali saremmo disposti a sacrificare, sinceramente, la nostra stessa vita.
E malgrado il proprio consueto sarcasmo, il proprio apparente distacco da tutto e da tutti, in primo luogo dal proprio biondo fratello, Howe ha da essere obiettivamente riconosciuto qual esempio perfetto di quanto ho appena definito, nella terribile mutilazione da lui subita non tanto qual conseguenza di una qualunque battaglia, quanto, e piuttosto, qual conseguenza del suo intervento in difesa tanto della stessa Midda Bontor quanto, e ancor più, del proprio sì troppo spesso schernito, deriso, mai, oggettivamente, mai tradito compare… Be'Wahr.

lunedì 26 marzo 2012

1528


« O
gni volta è così… » si lamentò Midda, al mio fianco, concedendosi un lungo sospiro « Possibile che sia tanto dura, per loro, comprendere la lezione?! »
« Come dobbiamo comportarci? » tentai di domandare, nell'incertezza fra dovermi semplicemente difendere o dover attaccare per uccidere… e uccidere il prima possibile, onde evitare di protrarre troppo a lungo quella inutile perdita di tempo e di energie, in vista della vera battaglia che di lì a breve ci avrebbe atteso.

Vorrei ora cercar vanto per la mia presenza accanto alla donna guerriero in quel frangente, per la mia superba collaborazione con lei al fine di riportare la pace in quell'angolo di Kriarya, a ridosso delle mura e dei mostri al di là delle medesime, sì colossali da non riuscir neppure a essere interamente coperti dalla pur ammirevole altezza di tali erezioni. Vorrei ora poter dire quanto lesto e puntuale si offrì ogni mio movimento, non per uccidere ma, quantomeno, per privare dei sensi i rivoltosi, nella speranza che al loro risveglio gli stessi si sarebbero dimostrati più tranquilli e collaborativi, tributando un minimo di rispetto verso chi avrebbe potuto ucciderli ma in tal modo aveva volontariamente deciso di non agire. Vorrei ora dire questo e molto altro ma, se lo facessi, il mio sarebbe infantile revisionismo ove, in quanto accadde allora, io non potei riservarmi alcun ruolo da coadiuvante per quegli splendidi occhi color ghiaccio, quanto, e semplicemente, di spettatore, nella rapidità dell'azione della stessa Figlia di Marr'Mahew in contrasto a quegli stolti.
Nel mentre in cui, ancora, io stavo sillabando l'avverbio introduttivo della mia pur breve questione, Midda si era già materializzata, non riesco a trovare un termine migliore per definire la rapidità del suo movimento, innanzi a chi proclamatosi nostro… suo avversario, sguainando in ciò la propria lama e subito correndo a sventrare, senza la benché minima esitazione, chiunque animato da intenti bellicosi, chi con tondi dritti e roversi, tali di aprire da destra a sinistra, o viceversa, i loro ventri; chi con fendenti e montanti, tali da squarciare dal collo all'inguine, o viceversa, i loro addomi. E, come sempre accade in conseguenza a tanto violente azioni, non fu il sangue, pur abbondante, a richiedere l'interesse dei nostri sensi, quanto, e peggio, l'odore conseguenza del riversamento, a terra, di feci, urine e altri non gradevoli liquidi corporei, il cui accumulo, senza enfatizzare i semplici fatti, trasformò quel campo di battaglia in una nauseante latrina a cielo aperto, in misura maggiore di quanto già non potessero essere i vicoli dell'intera città, priva di un sistema fognario o assimilabile come tutte le capitali kofreyote.

« Dei… » gemetti, più per la nausea conseguente a quell'improvvisa, e inaspettata, tempesta di nauseanti odori, che per la sorpresa derivante dalle azioni della mercenaria, con le quali confrontarmi sarebbe stata facile impegno, dopotutto psicologicamente preparato a simili prese di posizione sin dall'epoca dei favolosi racconti di Salge sui tempi andati, a riempire le nostre serate.
« Non te la prendere… » sussurrò Seem verso di me, quasi a volermi consolare per la mia palese inutilità in quel momento, così come impostami dall'azione della donna suo cavaliere, ritenuta ragione per la mia esclamazione « Se ti può consolare… è sempre così per me! »

Della battaglia o, più precisamente, del macello che lì si consumò, conclusosi ancor prima del termine del brevissimo scambio di battute fra me e lo scudiero, non ho concreta memoria, ove il tutto sì consumò, invero, in tempi tanto rapidi da non concedermi alcuna reale possibilità di assimilazione di quelle immagini, di quelle evoluzioni. Ciò che posso testimoniare, semplicemente, è come un istante prima la donna guerriero fosse al nostro fianco e, un istante dopo, ella si fosse ritrovata al fianco della propria precedente interlocutrice, della giovane donna, ipotetica prostituta, causa della morte di ben undici uomini, alcuni di stazza comparabile alla mia, lì ormai riversi a terra privi di vita o, ove ancor morenti, bramosi di perdere quanto prima coscienza per non soffrire un solo, altro istante.
Così spintasi prossima alla propria controparte, la Figlia di Marr'Mahew mantenne nella mancina la propria spada ancor grondante sangue rivolta con la punta verso il basso, sollevando allora la destra, in nero metallo, ad appoggiarsi attorno alle spalle dell'altra, in un gesto di intima confidenza, qual, ovviamente, fra loro non avrebbe potuto essere, nell'ignoranza, persino, del nome di quella sprovveduta. E proprio quest'ultima, devo tuttavia riconoscere, malgrado la strage offertale innanzi allo sguardo e la presenza della responsabile di tante morti al proprio fianco, non offrì la trasparenza della benché minima emozione, evidentemente a sua volta abituata da una vita intera a camuffare i propri reali sentimenti dietro una maschera di indifferenza, o di altro, a seconda della richiesta del contesto a margine.

« Spero tu sia soddisfatta… » mormorarono entrambe, praticamente all'unisono, sospinte in tale affermazione dall'evidente sapor interrogativo da ragioni ovviamente diverse, seppur facenti riferimento ai medesimi eventi, a quanto appena consumatosi lì innanzi.
« In verità no. » commentò per prima Midda, accettando di offrir replica alla propria stessa questione, ovviamente interpretandola dal punto di vista della controparte « Non sono soddisfatta di aver massacrato un gruppo di idioti che pur avrebbe potuto offrire una qualche utilità alla difesa di questa città, fosse anche con la propria inderogabile morte. »
« In verità no. » replicò la giovane, non più entusiasta della propria controparte, a cui, paradossalmente, stava lì assomigliando più di quanto non avrebbe potuto gradire « Non sono soddisfatta di non poter fare o dire nulla per evitare che questa intera città possa evitare il medesimo destino di coloro che hai appena massacrato con le tue stesse mani, quasi metaforica dimostrazione di ciò che avverrà a breve. »
« Non posso fare o dire nulla affinché tu possa credere alle mie parole nel merito del destino di tuo padre e del reale svolgimento dei fatti di quella battaglia? » domandò la donna guerriero, in un sussurro che con estrema difficoltà giunse alle orecchie mie e di Seem, a loro figure più prossime « Immagino che tu comprenda come non possa permettermi che una voce di dissenso interferisca in un momento tanto cruciale per il destino di tutti noi. »
« Nulla. » confermò la giovane, dimostrando estremo coraggio, o estrema incoscienza, a dichiararsi tanto apertamente in contrasto alla propria interlocutrice, così stretta a lei e ancor impugnante la propria temibile lama, con la quale estremamente semplice sarebbe stato permetterle di ricongiungersi al genitore perduto.

Un nuovo, necessario e inevitabile momento di silenzio coinvolse allora la coppia, nel mentre in cui Midda Bontor si ritrovò costretta a decidere nel merito delle sorti di quella incosciente, e pur apprezzabile giovane donna, sicuramente più degna di vivere rispetto agli idioti da lei obbligatoriamente sacrificati ove altrimenti, seguendo il loro esempio, altri avrebbero potuto mettere in dubbio la sua autorità e condurre la città a una guerra civile che li avrebbe distrutti ancor prima dell'avvento dei mahkra.
Se uccidere quegli undici era stata una scelta spiacevole ma probabilmente inevitabile, giustiziare quella donna ancor priva di nome non sarebbe stato egualmente giustificabile ove priva di una qualunque minaccia diretta alla sua e nostra sopravvivenza e al successo dell'imminente battaglia. Certamente, però, tollerare in vita chi in grado di seminare tanta discordia non avrebbe dovuta essere riconosciuta qual una decisione da prendere a cuor leggero, indifferenti alle conseguenze che da ciò sarebbero purtroppo derivate.

« Potrei ucciderti e chiudere qui la questione. Lo potrei fare in un qualunque giorno dell'anno e, più che mai, oggi, ove ora vige legge marziale e a me è stato destinato ogni potere da parte dei signori di Kriarya. » sussurrò nuovamente la mercenaria, non con tono di minaccia ma nella volontà di esprimere una semplice constatazione dei fatti.
« Fallo. » provocò l'altra, storcendo le labbra verso il basso e sfidando, in ciò, la propria potenziale carnefice.
« No. » si rifiutò Midda, liberando la donna dal proprio abbraccio e spingendola lontana da sé « Noi due riparleremo dei tuoi problemi domani mattina, quando quei dannati mahkra saranno storia passata. » definì, con tono tanto autoritario tal da lasciar apparire le sue parole simili alla promulgazione di una legge « Sino ad allora, se vuoi combattere… combatti. Se vuoi nasconderti… nasconditi. Ma non ti mostrare più innanzi a me se non animata dalla volontà di ubbidirmi. » sancì a conclusione « Non ti chiedo di rispettarmi. Odiami se vuoi… ma ubbidisci alle mie parole, ai miei comandi, se desideri concederti una speranza di futuro! »

domenica 25 marzo 2012

1527


U
n breve e necessario momento di silenzio caratterizzò il tempo necessario alla mente della Figlia di Marr'Mahew per ricollegarsi a quanto accaduto all'epoca degli eventi così evocati dall'accusa rivoltale. Breve, in quanto, come successivamente ella non mancò di specificare, ella non aveva assolutamente dimenticato gli eventi in questione. Né avrebbe potuto anche volendo dal momento in cui, suo malgrado, uno dei pochi sopravvissuti alla battaglia in questione non si era mai stancato di ricordarle tale propria omissione, così come tutti l'avevano voluta considerare, in quel giorno ormai lontano. Non troppo lontano, comunque, per chi in tal occasione poteva aver perduto una persona cara, così come riuscii subito ad apprezzare e condividere, dal momento in cui ciò non avvenne molto prima rispetto all'assassinio di mia sorella, e del capitano Salge dopo di lei.
Così, nel caso in cui quella giovane donna avesse realmente perduto una persona a sé cara, non avrebbe mai potuto essere oggetto di una mia qualche condanna per il proprio dolore, o per il proprio rimorso; ove anche, comunque, non avrei potuto certamente ignorare la necessità per tutti noi, in quel momento, di lasciar la mercenaria dagli occhi color ghiaccio libera di agire nei modi e nei tempi da lei prediletti, al fine di ovviare a una qualche, sgradevole, catastrofe.

« Tu non sei tuo padre. E questa situazione non è quella di allora. » definì Midda, decidendo, in una tanto criptica affermazione, di tentare di concludere, in maniera rapida e decisa, ogni discussione, a ridurre al minimo l'eventualità di degenerazione di quel dialogo in un qualche, allora inutile, conflitto fisico.
« Dici bene. » annuì la giovane « Io non sono mio padre… e per tale ragione non accetterò di seguirti solo in grazia alla presenza di quei due meloni che sfoggi come seni! » puntualizzò, a offrire una corretta interpretazione su quanto appena detto « Tu sarai anche Midda Bontor, la Meretrice di Marr'Mahew… ma io non ti permetterò di portarci ancora una volta tutti al macello, così come hai già compi… »
« Complimenti! » la interruppe la mia compagna, levando le mani al cielo, con i palmi nella sua direzione, un un gesto di resa « Sei appena riuscita a dimostrarti noiosa e ripetitiva come la maggior parte di coloro che si vantano di essere miei avversari! » specificò, imitando i toni dall'altra appena offertile forse nella volontà di renderla partecipe nel merito di quanto sgradevole, se non, addirittura, infantile, avesse da considerarsi il suo comportamento « Ti prego… non cercare di esprimerti su argomenti nel merito dei quali non possiedi alcuna confidenza. Rischi solamente di apparire ridicola. »
« Tu sei ridicola, oh campionessa di Kriarya! » replicò la prostituta, dimostrando tutto il proprio risentimento verso di lei nel chiamarla in tali termini « Tu che ti atteggi a salvatrice di questa città, nel mentre in cui, non appena avrai via libera, te ne andrai come se nulla fosse, lasciando noialtri a gestire tutte le disgrazie che tu ci hai donato! »

Malgrado quanto ho detto pocanzi nel merito di una mia solidarietà psicologica con la nuova arrivata, voglio ora riconoscere a Midda un indubbio ruolo di protagonista positiva, di eroina e non di antagonista negativa, di personaggio crudele e violento. Se, infatti, così fosse stato, la reazione della mercenaria a tanta, ferma insistenza da parte dell'interlocutrice non avrebbe condotto a null'altro che a una sua decapitazione o altra morte rapida e discreta, in grazia alla quale sarebbe stato per lei in tal modo possibile liberarsi da un tale fastidio, da una simile, inutile e, anzi, pericolosa distrazione, nell'ascoltare la quale, fra l'altro, altri lì attorno, e poi in tutta l'urbe, avrebbero potuto rivedere le proprie posizioni iniziali nei suoi riguardi e revocarle quel mandato pur riconosciutole.
Ma laddove così non fu, laddove la mia compagna d'arme si volle proporre qual esempio positivo innanzi allo sguardo mio e del suo scudiero, ella non pose mano alla propria temibile lama, né, tantomeno, levò il proprio pugno destro, in nero metallo dai rossi riflessi, a fracassare quel cranio quasi nulla fosse di più rispetto a un frutto maturo. Nulla di tutto questo accadde. Ed ella, semplicemente, inspirò ed espirò profondamente aria attraverso il naso, lasciando all'altra il tempo di sfogare tutto ciò che avrebbe potuto ancor voler aggiungere prima di riprendere la parola e, in ciò, chiarire definitivamente la propria posizione.

« Tu sei libera di pensare quello che vuoi, così come chiunque altro in questa città e nel mondo intero: nulla di quanto ora dirò desidera tentare di modificare il pensiero tuo o di chicchessia. » premesse, riprendendo voce nel cogliere solo silenzio nella controparte « Ciò nonostante sappi che, in questa occasione a dispetto dell'ultima, io ho accolto qual mia questa missione e ho preso solenne impegno di liberare questa città dall'assedio impostole o, se necessario, perire nel tentativo. L'altra volta, gli unici ad aver liberamente deciso di prendere parte a quella battaglia erano stati tuo padre e tutti i suoi compagni. Ma non io. »
« Menti… »
« Non mento. » negò fermamente, non alzando la voce, non tentando di imporsi con la violenza, ma continuando a scandire ogni propria singola sillaba con freddezza e controllo totale « Non ho ragione di mentire dal momento in cui potrei uccidere te e chiunque altro in questa città se solo tentasse di… farmela pagare. Quindi non sto parlando nel tentativo di preservare il mio stato di salute ma, solamente, nella volontà di offrirti chiarezza nel merito di quanto avvenne. »
« Vuoi forse negare di esserti disimpegnata dalla battaglia nel suo culmine e di aver, in tal modo, abbandonato allo sbaraglio tutti coloro che a te avevano offerto affidamento?! » chiese in maniera esplicita la giovane, non in quanto in minima parte convinta dalle parole udite, ma semplicemente nella volontà di costringere la propria interlocutrice ad ammettere pubblicamente la propria mancanza e, con essa, la propria colpa, forse dimenticata dai più ma non da lei, alla luce della quale assurdo sarebbe stato affidarsi ancora a quella figura qual condottiero, qual guida o, tantomeno, campionessa.
« No. Così fu. » ammise Midda, subito riprendendo « Ma, prima di andarmene, il mio consiglio rivolto a tuo padre e a chiunque altro al suo fianco, fu quello di abbandonare quella folle battaglia dalla quale non sarebbero potuti uscire vincitori… non saremmo potuti uscire vincitori, dal momento in cui anch'io sarei stata miseramente ridotta a pezzi, nell'essermi ritrovata coinvolta in quella battaglia priva di qualunque possibilità di vincerla, ancora troppo debole, e impossibilitata all'uso dell'unica mano rimastami, in conseguenza a una freccia scoccatami nelle spalle da un ignoto attentatore solo pochi giorni prima. »
« Stai tentando di reinventare quanto avvenne! » protestò la giovane, ancor lontana dal lasciarsi infatuare dalla mercenaria e pur, forse, in minima parte colpita dalle parole di lei, da quanto da lei asserito, soprattutto nel merito di una propria debolezza, di una propria caducità, ammissione che mai si sarebbe potuta attendere da una guerriera di cotale fama « Nessuno ha mai riportato notizia di un tuo ferimento. E se tale fosse stato, puoi star certa che tutti lo avrebbero subito saputo! »
« E se lo avessero saputo, si sarebbero precipitati a tentare di farmi la pelle! » completò la donna, nel seguire le parole da lei così suggerite, aggiungendo di proprio quanto pur, probabilmente… certamente, sarebbe allora avvenuto se una tale novella si fosse diffusa all'interno della città del peccato « Per questa ragione coloro a me vicini sono stati ben attenti a divulgare tale notizia. Se ciò si fosse saputo, la locanda di Be'Sihl, nella quale ero stata soccorsa e protetta nei giorni in cui sono rimasta priva di coscienza, sarebbe stata data alle fiamme nella sola volontà di uccidermi… non che ciò, successivamente, non sia avvenuto. »

Ove, però, nella propria logica, nella razionalità delle proprie asserzioni, la Figlia di Marr'Mahew stava allora riuscendo a far breccia nella difesa emotiva della propria interlocutrice, superando l'incredibile rancore verso di lei provato dalla stessa; tale successo non avrebbe potuto riconoscersi qual condiviso in direzione di ogni ascoltatore lì presente, di ogni spettatore a tale conflitto verbale, fra i qual, in molti, venne apparentemente dimenticata la colossale minaccia su tutti noi lì pendente in favore di scocchi istinti, di una imperdonabile stolidità, tal da giustificare un improvviso, e suicida, attacco a colei nella quale, altresì, avrebbero dovuto riporre ogni speranza per il futuro.

sabato 24 marzo 2012

1526


L'
affezionato scudiero della Figlia di Marr'Mahew non avrebbe mai potuto immaginare come la propria signora, colei da lui praticamente idolatrata al pari di una dea, non immeritatamente, si potesse essere lasciata cogliere da pensieri suicidi, dall'insana volontà, per come l'avevo voluta inizialmente interpretare io, e per come ella non aveva tentato di smentirmi, di sottrarsi alle proprie responsabilità, soprattutto nei confronti delle persone da lei amate, verso le quali, con tal gesto, era certa non sarebbe potuta nuocere. Un'assurdità, quella alla base di una tale logica, che pur non avrebbe potuto considerarsi priva di qualunque fondamento, dal momento in cui, suo malgrado, la mercenaria aveva assistito, in maniera diretta o no, alla morte di sin troppe persone a lei care, e la maggior parte di esse per mano della propria gemella, per potersi permettere di escludere una propria corresponsabilità da tutto ciò. Il pensiero di una lista di vittime prive di colpa alcuna al di fuori di una vicinanza emotiva a lei, fosse per amore o per amicizia, era apparso evidentemente eccessivo per poter essere sopportato, per poter essere accettato o tollerato, lasciandole pesare sull'animo la propria esistenza non dissimile a una colpa e, in ciò, spingendola a desiderare di comportarsi nei termini in cui io l'avevo voluta condannare: da codarda.
Ma ove il primo giudizio a suo discapito era stato troppo rapido a definirsi, in tanta repentinità esso aveva dimostrato tutti i propri limiti, aveva comprovato tutta la mia stolidità, qual sola sarebbe potuta essere riconosciuta quella utile a permettermi di giungere a una conclusione tanto affrettata nei riguardi di un'altra persona, una persona che mi ero arrogato il diritto di conoscere, probabilmente in tal direzione sospinto da rancori personali mai dichiarati neppure innanzi a me stesso, e che pur non conoscevo e, probabilmente, mai avrei potuto conoscere pienamente a meno di non vivere accanto a lei per settimane, mesi, anni interi, condividendo con lei ogni momento, nella buona e nella cattiva sorte. E già in quel momento, nel pur scherzoso ricordo che ella aveva rivolto in direzione di quella mia infelice uscita, io non potei ovviare a un senso di colpa per le mie parole, a un sincero ripensamento per quanto mi fossi permesso di infierire nei suoi riguardi, nei confronti di chi, a ben vedere, non aveva neppure tentato di contrastarmi, nel riconoscere quanto vano sarebbe stato cercare di scendere a compromessi con me in una tale situazione.

« Stiamo scherzando, Seem… » minimizzai, cercando di celare il mio imbarazzo nel confronto con quanto la mia mente mi volle far considerare « Stiamo solo scherzando. Non ti preoccupare: nessuno cercherà di suicidarsi. » lo tranquillizzai, ora aprendomi in un ampio sorriso « Anche perché, considerando la presenza di questi simpatici mahkra, sarà loro gradevole premura provvedere alla nostra eliminazione prima ancora di poter prendere in seria considerazione qualunque prospettiva autodistruttiva. »
« Basta scherzare. » intervenne Midda, scuotendo il capo e troncando, in tal modo, ogni nuovo confronto sul nascere « Non siamo noi a dover temere quelle creature ma sono loro a dover temere noi. Io non ho permesso ad alcun altro essere di accopparmi in passato e non intendo, certamente, concedere tale possibilità a mostri tanto brutti quanto questi. »
« Già! » concordai « Rifiutare di lasciarsi uccidere da un akero per poi farsi fare a pezzi da quei tentacoli sarebbe a dir poco grottesco… »

Grottesca, in effetti, avrebbe dovuto essere riconosciuta anche l'evidenza di come la Progenie della Fenice, chiunque essi fossero, fosse in grado di relazionarsi serenamente tanto con creature quali gli angeli, superbi e praticamente divini, e quei mahkra, antitesi perfetta di tutta l'armonia e la bellezza dei primi, senza in ciò porsi la benché minima esitazione, senza dimostrare alcuna particolare reticenza ad agire servendosi degli uni o degli altri, quasi entrambi fossero in linea con la propria natura.
Comprendo come ancora superficiale abbia da considerarsi un qualche giudizio nel merito della natura positiva o negativa degli angeli piuttosto che dei mahkra, nel non dimenticare, fra l'altro, quanto entrambi si siano posti in nostro contrasto, in nostra avversione. Ma, complici tutte le ballate, siamo abituati ad associare il bello al buono, e il brutto al malvagio, ragion per la quale un akero può apparire qual una figura positiva anche ove impegnato a tentare di ucciderti, nel mentre in cui una strige qual una figura negativa anche ove accorsa, apparentemente, in proprio soccorso, così come, paradossalmente, a noialtri era incomprensibilmente occorso.
Probabilmente nel considerare tanto gli angeli quanto i mahkra quali semplici orrori carichi di violenza e di brama di morte, la loro presenza al fianco della Progenie non avrebbe dovuto considerarsi in contrasto, in conflitto reciproco. Tuttavia, nel vivere quegli istanti, quegli spiacevoli momenti, improvvisamente gli angeli avrebbero potuto apparire qual antagonisti apprezzabili, persino desiderabili, ove anche invincibili e, in passato, vinti solo eliminando il loro evocatore e non loro stessi.

« Grottesco sarebbe accettare di seguire chi già in passato ha accolto la guida di questa città e l'ha poi tradita, abbandonandola nel momento decisivo e sancendo, così, una strage priva di giustificazioni! » asserì con forza e decisione una voce a noi estranea, intervenendo in chiaro contrasto alla nostra compagna, sebbene citando eventi da me allora sconosciuti.

A parlare in tali termini era stata una giovane donna comparsa a meno di sei piedi da noi, con sguardo furente e braccia incrociate al petto, sotto a seni generosi seppur non competitivi con quelli della Figlia di Marr'Mahew. L'assenza evidente di armi, la forte presenza di trucco a definizione del suo volto, e un'ampia scollatura triangolare, sufficientemente profonda da mostrare, addirittura, parte del piatto ventre della medesima, sembravano collocarla lontana da una qualunque professione guerriera e, probabilmente, prossima a quella di una prostituta, come molte in Kriarya. Prostituta che, in quanto tale e in quanto in attivo all'interno della città del peccato, così come illustratomi dalla mia compagna, difficilmente avrebbe dovuto essere considerata un'inerme vittima delle circostanze, e, soprattutto, priva di possibilità di arrecare dolo a chicchessia. Al contrario, ella avrebbe potuto essere ritenuta persino più pericolosa di molti valenti guerrieri operanti in città, ove in grado di sedurre e uccidere, tornando un istante dopo a cercare nuove prede quasi nulla fosse avvenuto.
Ovviamente, in un contesto qual quello nel quale si era presentata a noi, la giovane non stava dimostrando alcuna brama di seduzione nei nostri riguardi e, in verità, neppur d'offesa fisica, in assenza, come detto, di evidenti armi o di una qualche postura di guardia. La sua offensiva, ove pur chiaramente presente, avrebbe così dovuto essere riconosciuta, solo e semplicemente, a livello verbale. E indubbiamente ben calcolata nella propria esecuzione, dal momento in cui, a differenza di ogni altra precedente, a difesa dell'onore della campionessa di Kriarya non si levò allora alcun braccio, proponendo, altresì, numerosi sguardi interrogativi e, altri, inquisitivi nei nostri riguardi… o, meglio, nei riguardi della nostra compagna.

« Prego…?! » domandò la mercenaria, aggrottando la fronte a tale asserzione, quasi per lei stesse risuonando qual priva di qualunque significato « Non credo di essere riuscita a cogliere quanto da te appena blaterato… » soggiunse, con tono che non risuonò carico di ironia o sarcasmo, ma che, neppure, venne animato da alcuna altra emozione, ove a lei offertosi del tutto privo di qualunque inflessione, gelido e distaccato così come solo Midda era mai stata capace di presentarsi.
« Hai davvero già rimosso gli accadimenti della piana di Kruth? Hai davvero già dimenticato la strage conseguente alla tua indifferenza nei confronti del destino di questa città e dei suoi combattenti?! » insistette l'interlocutrice, la probabile prostituta, mantenendo le braccia incrociate sotto i seni e ricorrendo a inflessioni vocali di indubbia accusa nei riguardi della sua controparte « Sono felice per te se la tua coscienza ti permette di riposare serena malgrado tali eventi. Per quanto mi riguarda, però, in quell'occasione hai già ucciso mio padre e, puoi star certa, non è mia intenzione permetterti di concludere l'opera uccidendo anche me… »

venerdì 23 marzo 2012

1525


P
arole estremamente serie, quelle rese proprie dalla Figlia di Marr'Mahew, che ancora oggi non so come giudicare, incerto fra considerarle qual espressione di una forte critica in contrasto alla città e ai suoi abitanti o, forse e al contrario, dimostrazione di un amore incondizionato verso gli stessi, per quanto tutto ciò assurdo e contraddittorio sarebbe potuto apparire. Probabilmente, comunque, in simile asserzione avrebbe dovuto essere effettivamente riconosciuta la presenza di entrambe le emozioni, di entrambi i giudizi, sì condannando Kriarya e i suoi figli per tutte le proprie colpe e, ciò nonostante, non riuscendo a trovare nulla di meglio rispetto a quella città nella pur vasta terraferma, né, a tutti gli effetti, ponendosi in qualche modo interessata a cambiare, ad allontanarsi da quell'area, anche nell'eventualità di raggiungere un luogo migliore, una migliore condizione di vita rispetto a quella per lei attuale.
Dopotutto, nella vita di ognuno di noi vi sono alcune certezze, poche o molte, che amiamo considerare immutabili, e che ci garantiscono l'idea di un rifugio familiare entro il quale poter fare ritorno, bello o brutto che esso possa invero essere. Così, ove anche agli occhi di qualcun altro, la Jol'Ange non potrebbe apparire nulla di diverso da una goletta qualsiasi, ai miei occhi è solita apparire, invece, quale la sola nave sulla quale potrei avere piacere di servire e vivere, con il proprio carico di ricordi positivi e negativi. E allo stesso modo, sebbene consapevole di ogni difetto del proprio mondo, io credo che Midda Bontor non abbia desiderio alcuno di cercare una realtà diversa da quella di Kriarya, da lei non vissuta quotidianamente, da lei non occupata in maniera stabile per tutto l'anno, e pur, nella propria sporadica presenza, egualmente punto fermo, fisso, immobile e inamovibile nella sua vita, a tutti gli effetti per le divenuta tutto ciò che mai avrebbe potuto definire casa o patria non di meno rispetto al suo scudiero, lì pur nato e cresciuto.
Ovviamente, al di là di quanto da lei asserito, l'immagine allora offertami non avrebbe potuto ottenere facile o immediata smentita né, in quel momento, avrebbe potuto serbarsi un qualche valore un eventuale intervento in tal senso ove, a prescindere da tutto quello, da quanto gli abitanti della città del peccato avrebbero potuto ricordarsi o meno di quello che in quel giorno noi, e soprattutto lei, avremmo compiuto per loro e insieme a loro; il presente, il momento attuale e solo importante, avrebbe comunque accolto con braccia tese tanta collettiva e, apparentemente, irrefrenabile solidarietà, ove solo in grazia di ciò, probabilmente, ci sarebbe stata concessa una speranza per il futuro, e non per un futuro lontano, ma per il giorno seguente al quale, sgradevolmente, avremmo potuto non giungere.

Ritornando alla narrazione degli eventi di quel giorno, e posizionandoci allora sotto le mura della città, sul loro lato interno ovviamente; lo spettacolo che ci venne lì offerto apparve al tempo stesso sconvolgente, osceno e, incredibile a dirsi, eccitante, qual solo avrebbe potuto essere una simile esperienza, un'esperienza riconosciuta qual unica e irripetibile, potenzialmente letale e che pur ci avrebbe concesso l'occasione di vivere qualcosa che alcun altro avrebbe potuto permettersi di narrare qual propria storia.
Se i mahkra, visti da lontano, erano apparsi quali ammassi informi di tentacoli sovrapposti uno all'altro; da vicino non erano allora riusciti a concederci una prospettiva migliore, risultando esattamente ciò che sembravano e, anzi, probabilmente persino peggio. Ove pur, infatti, dalla nostra posizione inferiore, e in ciò speranzosamente protetta, alla base di una pesante porta chiusasi prontamente alla comparsa dei mostri, non ci sarebbe potuta essere concessa una visuale d'insieme su quell'orrida schiera; risultò immediatamente evidente come ognuno di quei mostri fosse un'entità estremamente più complicata di quanto mai avremmo potuto attenderci: un'entità costituita non solo da bocche e tentacoli, ma, ancor peggio, da iterazione degli stessi, tale da proporre su ogni tentacolo la presenza di infiniti altri tentacoli e altrettante piccole bocche, ove con questo termine intendo qualcosa di dimensioni inferiori a quelle caratteristiche dei tentacoli e delle bocche maggiori, e ancor, comunque, sufficientemente grandi da poter decapitare chiunque fra noi con un semplice morso. E, per quanto non avrei potuto avere alcuna razionale brama di avvicinarmi a essi, sarei allora stato disposto a scommettere che una tale oscenità, in termini ancor più ridotti, avrebbe potuto essere individuata anche su ogni tentacolo secondario, e ancora un'altra volta… e un'altra volta ancora, definendo quell'ipotetico dio qual pur degno di un tale attributo, ove impossibile sarebbe stato riuscire a immaginare l'esistenza in vita di una creatura mortale dotata di simili caratteristiche e di una complessità di tale livello.
Non un semplice mostro, ognuno di quelli avrebbe così potuto essere descritto, quanto un mondo intero… un piccolo universo popolato da mostri, da centinaia, migliaia di mostri. E contro un universo, per quanto relativamente piccolo, improbabile sarebbe stato per chiunque sperare di confrontarsi e vincere, così come, tuttavia, noi tre stavamo arrogandoci il diritto di pensare.
O quasi…

« Ti prego. Dimmi che hai un piano. E che questo piano preveda qualcosa di più originale del nostro suicidio… » supplicai verso la Figlia di Marr'Mahew, non per mancanza di fiducia in lei, o per critica nelle sue scelte, quanto, e piuttosto, nella sincera speranza di sentirla offrirmi quella certezza ormai non sperata e pur, ancora, desiderata.
« Non credo di poterti accontentare… » commentò ella, scuotendo lentamente il capo con fare decisamente sconsolato « Personalmente non saprei neppure da che parte iniziare per cercare di ammazzare queste… montagne. » specificò successivamente, in un'asserzione che avrebbe potuto anche ovviare dal mio personale punto di vista, ove non avrei potuto vantare alcuna necessità in tal senso, e che pur non volle rifiutarmi « Thyres… questa volta sarà dura. Decisamente dura. »
« Dannazione. » protestai, non riuscendo a distogliere lo sguardo dai mahkra e, ciò nonostante, sentendo in me crescere un incredibile senso di nausea nel confronto con quella mole inarrestabile e in costante movimento, così come da quella breve distanza appariva evidente « Avresti potuto mentirmi e rassicurarmi nel merito che andrà tutto bene e che prima ancora di accorgermene questi mostri apparterranno al passato. Senza possibilità di ritorno! »
« Non sono solita mentire nelle mie valutazioni… » premesse la mercenaria, aggrottando la fronte alla mia osservazione, forse neppur colta qual scherzosa, ammesso che fosse scherzosa ove neppure io avrei potuto definirla con esattezza « … ma se proprio insisti: non ti preoccupare, Av'Fahr. Andrà tutto bene! » ubbidì alla mia richiesta, offrendomi quanto io stesso le avevo suggerito di dirmi e dimostrando, in ciò, come ella avesse effettivamente colto il mio giuoco ancor meglio di me « E prima ancora che potrai accorgerti di qualcosa, questi mostri apparterranno al passato. Senza alcuna possibilità di ritorno! »
« Non sei molto convincente… » storsi le labbra, non ancor soddisfatto dal suo impegno nei miei riguardi.
« Sarà forse perché non sono molto convinta io stessa di questa fola?! » sorrise divertita Midda, scuotendo il capo « Ti prego, Av'Fahr… ho scelto te proprio per evitarmi i facili interventi di Howe. Non tentare di prendere il suo posto. »
« Non desideravo imitarlo o rimpiazzarlo. » negai, levando le mani in segno di resa a quelle parole « Ed ero assolutamente onesto nella mia richiesta nei tuoi confronti, dal momento che, ora come ora, l'idea di confrontarmi con uno di questi mostri mi sembra meno salubre rispetto a quella di lasciarmi cadere di petto contro la punta della mia lancia. » esplicai, argomentando le mie posizioni con toni probabilmente eccessivi, e pur allora più che giustificabili… o almeno credo.
« Ma come…?! » intervenne ella, togliendomi la parola e guardandomi con aria al contempo stupita e smarrita « Una manciata di giorni fa mi rimproveravi per possibili pensieri suicidi e ora, per così poco, sei tu ad accarezzare l'idea? Mi deludi! »
« Pensieri… suicidi?! » domandò Seem, prendendo voce in conseguenza al riferimento così accennato dalla sua signora, rimasto sino ad allora sì in silenzio, ma non per tal ragione distratto, disattento nel confronto con gli eventi a sé circostanti e con le parole da noi pronunciate per ultimo in quel breve dialogo.

giovedì 22 marzo 2012

1524


P
rima di proseguire oltre con la narrazione di ciò che avvenne, desidero concedermi la possibilità di un nuovo, breve ed estemporaneo intermezzo per illustrare ciò che ebbi l'occasione di osservare nella mia terza traversata attraverso la città del peccato, in confronto alle precedenti due, a definire quale, incredibile mutazione fosse avvenuta in sì breve tempo nel comportamento degli abitanti di quell'urbe, una cambiamento troppo radicale e troppo repentino per poter essere giudicato qual semplice conseguenza di quel contesto di crisi e, altresì, probabilmente rivelatore di quanto, al di là delle convenzioni caratteristiche di quel particolare ambiente, anche entro quelle mura non avrebbero potuto essere ritrovati animi troppo diversi da quelli propri di un qualunque equipaggio a bordo di una nave, per quanto, lì, abitualmente pronti a sgozzarsi a vicenda anche e solo per uno sguardo mal offerto.

Nella prima passeggiata attraverso le vie di Kriarya, quella, nella fattispecie, che aveva condotto un paio di ore prima il nostro piccolo gruppo dalla porta orientale della città sino alla residenza di lord Brote; gli sguardi con i quali avevo avuto occasione di confrontarmi si erano rivelati per lo più sfuggenti, disinteressati a cercare un qualunque rapporto verso di noi, o,in qualche rara eccezione, apertamente avversi, e bramosi unicamente di dichiararci guerra aperta, di sfidarci e, possibilmente, di ucciderci, non tanto per depredare un qualche bottino, qual pur il nostro aspetto decisamente provato non sarebbe stato in grado di promettere, quanto piuttosto nella speranza di guadagnarsi il merito della nostra uccisione. Uccisione che se, nel caso proprio mio e di Seem, a ben poca gloria avrebbe condotto, nel caso di Howe e di Be'Wahr, e ancor più di Midda Bontor, a indubbio vanto avrebbe potuto spingere, per la fama collegata ai loro nomi, in minor misura per i due fratelli e in misura disarmante per la donna guerriero. Tuttavia, e probabilmente, proprio il nostro aspetto estremamente provato aveva disincentivato una qualunque azione nei nostri riguardi ove, nel migliore e più improbabile dei casi, sopraffacendoci, il merito per tale uccisione sarebbe risultato compromesso da tale condizione di partenza; mentre nel peggiore e più prevedibile dei casi, venendo da noi sopraffatti, difficilmente avrebbero potuto ritrovarsi salva la vita, non, quanto meno, nel confronto con uno sguardo tanto cupo e carico di morte qual quello che la Figlia di Marr'Mahew aveva voluto rendere proprio in tale cammino.
Nella seconda traversata lungo le strade della città del peccato, poi, quella che aveva condotto noi e lord Brote, con la sua guardia al seguito, dalla sua torre al palazzo del feudatario; gli sguardi da me rilevati erano apparsi già differenti, e, oramai, del tutto privi di disinteresse nei nostri riguardi. Al contrario, la corvina capigliatura scombinata di Midda, la sua candida e purtroppo sudicia pelle sulla quale impossibile sarebbe stato cogliere alcuna pur presente spruzzata di efelidi, e, ancora, le sue sempre appassionanti e ineguagliabili forme, avevano attratto completamente ogni attenzione verso di noi, ancor, tuttavia, dividendoli fra due principali e contrapposte correnti. Se, infatti, una parte predominante di tali sguardi erano animati da un misto di curiosità e fiducia, nella speranza che ella, ancora un volta, potesse risolvere una tanto sgradevole situazione così come già era stato alcuni mesi prima; una minore, e pur non indifferente, parte del nostro pubblico non voleva nascondere il proprio astio, incolpandola apertamente, eppur tacitamente, per quanto avvenuto, e dichiarandosi in ciò più che disposti a incatenarla e a gettarla in pasto ai mahkra e a chiunque altro l'avrebbe potuta pretendere. Tale minoranza, pur ardimentosa nei propri pensieri, così come espressi dai loro sguardi e dalle espressioni stampate sui propri visi, non si volle dimostrare egualmente coraggiosa nelle proprie azioni, audace nel momento della verità, non trovando la forza di sfidare la mercenaria ove affiancata, in tale occasione, dal proprio mecenate e dalla guardia armata di lui: fossimo stati soli, probabilmente un agguato non avrebbe potuto essere evitato ma in tal modo accompagnati gli animi riuscirono a restare calmi, placando la propria altrimenti suicida furia.
In occasione di quel terzo itinerario nell'urbe, nuovamente soli e, ora, persino in numero inferiore, ove rimasti privi del supporto di Howe e Be'Wahr per volere della stessa Figlia di Marr'Mahew, ancora nuovi, e forse imprevisti, furono gli sguardi che quasi tutti vollero riconoscerci… vollero riconoscere, anzi, a colei eletta loro campionessa. Non più potenziale avversaria, non più bramata preda, quanto comandante della città o, forse e addirittura, sua sovrana, Midda e noi suoi accompagnatori, al suo seguito, vedemmo le folle aprirsi alla nostra destra e alla nostra sinistra… alla sua destra e alla sua sinistra, lasciandoci passare senza il minimo ostacolo e, anzi, presentando le proprie armi innanzi a sé a dimostrazione della propria disponibilità a combattere, a combattere per difendere il proprio diritto alla vita e all'autodeterminazione, così come l'estate precedente nessuno aveva dimostrato sufficiente amore per sé per agire in egual misura. E anche chi osò tentare di rivolgere uno sguardo negativo nella direzione della nostra compagna, venne allora immediatamente condannato a morte, quasi la sua fosse stata blasfemia nei riguardi di una dea, ancor prima che avversità nei confronti di una semplice donna.

Fu in quel momento che, al mio sguardo, risultò evidente come la vera potenzialità di Midda Bontor, la reale ragione per la quale i lord di Kriarya l'avevano voluta loro campionessa, non avrebbe dovuto essere ricercata nelle sue pur indubbie abilità guerriere, ma in quella sua spontanea attitudine al comando, in quella sua innata capacità di riunire uomini e donne ai propri ordini e, ove anche sino a poco prima anche a lei avversi, ora sol desiderosi di seguirla in battaglia e, accanto a lei, di combattere per una salvezza comune, a raggiungere la quale anche un eventuale sacrificio umano sarebbe stato assolutamente accettabile.
In un viaggio iniziato per la riconquista dei due scettri simbolo terreno del potere degli antichi faraoni, un flagello per proteggere il proprio popolo e un pastorale per guidarlo, ella sembrò allora non abbisognarne, ove, ormai, incarnazione di tali simboli.
Per salvare la città del peccato Midda era stata eletta qual flagello dai signori della medesima, ma, in quelle vie, ella era chiaramente stata riconosciuta qual suo pastorale, condottiera al seguito della quale quella popolazione avrebbe potuto ritenere accettabile persino dichiarare guerra agli dei tutti, gridando contro gli stessi la propria furia, del tutto indifferenti alla propria pur intrinseca e inalienabile caducità mortale. Volendo, pertanto, riprendere l'esempio iniziale, il rapporto fra la popolazione di Kriarya e un equipaggio, come il nostro; ove ella era stata elevata, per volere dei lord, al ruolo di capitano, al tempo stesso gli uomini e le donne di quella città l'avevano, altresì, definita qual propria nave, la propria Jol'Ange, nel cui abbraccio sarebbero stati disposti ad affrontare ogni viaggio, ogni sfida.

« Midda… » non riuscii a trattenermi dal sussurrare nella sua direzione, praticamente costretto in ciò dagli eventi in corso « Io… io non so come tutto questo andrà a finire. » premessi, probabilmente ribadendo l'ovvio, e pur non trovando un modo migliore per introdurre quanto desiderato affermare « Tuttavia, non credo che mai ci sarebbe potuta essere riconosciuta un'occasione migliore per affrontare qualcosa come questo. E che, se sopravvivremo, questa città resterà tua per sempre! »
« Non esagerare. » sorrise ella, scuotendo appena il capo con fare divertito « Parli così perché ancora non conosci Kriarya. » minimizzò, in riferimento alle mie parole e a quello che, in tal modo, avrebbe dovuto essere giudicato qual un ingenuo ottimismo « Questa città dimentica molto in fretta… nel bene come nel male. E se oggi sei un eroe, acclamato e osannato, domani puoi ritrovarti pugnalato alla schiena quale l'ultimo degli infami, privato di ogni rispetto o valore. »
« Non posso credere che tutto questo abbia da considerarsi effimera gloria, da spendersi in un sol giorno e da dimenticarsi il seguente! » protestai, insistendo nella mia ingenuità.
« Meglio per te… » mi tranquillizzò Midda, stringendosi fra le spalle « Significa che queste settimane a terra non ti hanno ancora fatto dimenticare la vita in mare, e con essa i suoi valori, i suoi principi e la sua genuinità. » sospirò, cedendo a un tono quasi nostalgico per quelli che, dal suo punto di vista, avrebbero dovuto essere considerati quali tempi passati che mai sarebbero ritornati « Rallegrati per tal ragione, e spera che mai questa città riesca a entrarti nel sangue quanto sufficiente a permetterti di vederne il suo vero volto e, ciò nonostante, non riuscire a evitare di apprezzarla per tal ragione come me. »

mercoledì 21 marzo 2012

1523


« H
owe… per favore… » sospirò la mercenaria, tollerando quel comportamento più di quanto non avrebbe compiuto abitualmente forse e solo in conseguenza alla situazione attuale, nella quale cercare un confronto a testa bassa fra di noi sarebbe risultato non semplicemente compromettente, quanto, piuttosto, decisamente stupido.
« No. Davvero. Sto parlando sul serio! » protestò egli, cogliendo il rimprovero implicito nelle parole di lei e, tuttavia, negando una qualunque, propria legittima responsabilità a tal riguardo, nel non riconoscersi colpevole di alcun atto meritevole di tal richiamo « Io sono disposto ad andare al fronte settentrionale, così come a quello orientale o occidentale. O, anche, a mettermi a fare un pisolino nel palazzo del feudatario, qualunque sia il suo nome… ma, ti prego, dimmi cosa reputi che io… che noi dobbiamo fare una volta raggiunto il luogo in questione. » argomentò la propria posizione, esprimendosi in toni ovviamente canzonatori, apparentemente desiderosi di giuoco ancor prima che di serio confronto, per quanto, in verità, dissimulando in tali termini quella che avrebbe dovuto essere riconosciuta, da parte sua, una sincera ansia, probabilmente nel timore di commettere una mossa sbagliata e rimetterci qualcosa di più del proprio braccio mancino, perduto meno di un anno prima in combattimento contro Nissa Bontor perché, al di là di ogni consiglio da parte della propria compagna, aveva agito insieme a Be'Wahr con eccessiva leggerezza nel confronto con un'avversaria di tale livello.
« Howe… Be'Wahr… ascoltatemi, vi prego. » richiese la Figlia di Marr'Mahew scuotendo appena il capo e ancor sorridendo, non diversamente da come, pocanzi, aveva sorriso in direzione del proprio mecenate « Se io desiderassi definire in maniera puntuale ogni vostra azione, non mi rivolgerei a voi due, ma a due idioti qualsiasi come molti in città. » spiegò, parlando in maniera assolutamente onesta « Io ho bisogno che voi saliate lassù e facciate tutto ciò che valuterete necessario fare. Agiate così come riterrete più opportuno agire. Perché, al di là di quello che si può pensare, io sono una sola persona, e non sono dotata del dono dell'ubiquità, ragione per la quale è necessario che voi, a nord, agiate in mio nome, difendendo quel fronte come sono certa siete in grado di fare… o non ve lo domanderei neppure. »
« Questo significa che hai fiducia in noi? » sorrise sornione Howe, sforzandosi chiaramente di proseguire nel proprio giuoco ove pur, ormai, non vi sarebbe stata più alcuna necessità in tal senso « Significa che ci ami e che vuoi trascorrere le prossime ore chiuse in una stanza insieme a me, dimenticandoti di tutto e di tutti?! » incalzò, a rendere il proprio intervento praticamente grottesco, in tale, assurda proposta.
« Significa che ho fiducia in voi… e che vi amo abbastanza da evitare di massacrarti di botte per quanto hai appena detto. » rispose ella, sorridendo a propria volta e offrendo nella propria espressione la metafora perfetta di un gatto selvatico sollazzato innanzi all'immagine del topino di campagna, proprio prossimo pasto, intento a dibattersi nella vana speranza di salvarsi « Non so se mi sono spiegata… »
« Oh.. sì. Assolutamente! » annuì Be'Wahr, intervenendo nel porre la propria destra a coprire la bocca del fratello prima che questi potesse tentare di replicare ancora e, in ciò, peggiorare la propria già precaria posizione, andando a cercare una stolida forma di suicidio qual quella che si stava apparentemente tanto impegnando a ricercare.
« Bene. » conclude la donna, tornando a sospirare, ora per la soddisfazione derivante dalla chiusura di quella breve parentesi « Siamo già in pochi e mi sarebbe dispiaciuto diminuire ulteriormente il nostro numero per un'inezia simile. » scherzò, insistendo nelle proprie minacce pur prive di intenti concreti, come chiunque fra noi avrebbe potuto capire… e capì.

Al di là della scena creatasi a contorno di quel breve dialogo, le ragioni proposte dallo shar'tiagho non avrebbero dovuto essere giudicate qual errate, al pari, tuttavia, di quelle replicate dalla donna guerriero, la quale, effettivamente, seppur insignita di potere assoluto da parte dei lord della città, non avrebbe mai potuto fronteggiare in tempo reale ogni minaccia per così come presentata su dodici diversi lati, tanti quali erano quelli di Kriarya. Invero, già l'idea di dividere tanto vasto territorio in due sole parti, una settentrionale e una meridionale, così come ella aveva suggerito, avrebbe potuto essere considerata sufficientemente azzardata, eccessivamente ardita, e potenzialmente fallibile nelle proprie prerogative.
In verità, comunque, così come ella, successivamente, illustrò a fronte di una mia domanda diretta in tal senso, speranza di Midda avrebbe dovuto essere riconosciuta quella che, nell'interesse esclusivo della Progenie della Fenice per lei e non per altri, le oscenità presenti all'esterno delle mura della città del peccato si sarebbero naturalmente concentrate vicino a lei, loro obiettivo, e non in maniera disordinata per l'intero perimetro loro offerto. L'invio di Howe e Be'Wahr a nord, in ciò, avrebbe dovuto essere riconosciuto qual una scelta precauzionale, volta a dislocare i due elementi nel confronto con l'esperienza strategica dei quali aveva maggiore fiducia, in quello che, a suo vedere, sarebbe alfine rimasto il fronte più sguarnito e, proprio per questo, il più vulnerabile in conseguenza ad attacchi a sorpresa.

« Quindi… questo è un addio? » riprese voce il biondo, nel rendersi conto di quanto, in effetti, il nostro saluto in quel momento avrebbe dovuto essere riconosciuto qual potenzialmente l'ultimo, nell'eccessiva possibilità di morte per qualcuno fra i presenti, fossero loro o fosse Midda o fossimo lo scudiero e io, in verità candidate eccelse per tale opportunità nell'essere quanto di più lontano indicati per affrontare una tale sfida.
« Non dice scempiaggini. » lo rimproverò Howe, ritornato libero dalla sua mano e, allora, desideroso di esorcizzare qualunque ipotesi di conclusione negativa per quella nostra nuova avventura, incredibile a dirsi e pur, forse, peggiore della precedente, di quella nel corso della quale ci eravamo ritrovati in contrasto a una compatta schiera di angeli bramosi di ridurci in cenere, o in quanto più vicino possibile a ciò « Non saranno una manciata di polpi deformi e troppo cresciuti a impedirci di proseguire nel nostro viaggio e di ritrovare anche quel secondo, dannato scettro… ovunque esso sia finito. »
« No di certo. » approvò la mercenaria, sorprendentemente concorde con l'opinione dello shar'tiagho « E, anzi, a scanso di equivoci, tengo a ricordare a tutti i presenti l'importanza di condurre entrambi gli scettri alla Jol'Ange, non appena saranno riuniti. La vita di due brave persone dipende da questo. »

Un promemoria, il suo, che, tragicamente, risuonò più simile a un lascito testamentario che ad altro, ove apparentemente desiderosa di imporre su chi, fra noi, sarebbe riuscito a sopravvivere a quanto ci avrebbe atteso, il compito di concludere la sua missione, la nostra missione, riconducendo il prezzo della libertà di Camne e Hui-Wen sino a chi in grado di giungere all'isola di Rogautt, per pretenderne la liberazione e, chissà, forse per vendicare, con un'incredibile assassinio, le troppe vittime della regina dei pirati, sua sorella.
Così, ove anche i toni di Howe avrebbero voluto risuonare qual carichi di ottimismo, prossimo persino all'incoscienza, quelli della Figlia di Marr'Mahew ci giunsero… o, per lo meno, mi giunsero simili a un pugno alla bocca dello stomaco, tale da farmi desiderare di gridare verso di lei un invito alla fuga, alla ricerca della libertà e della vita lontano da lì. Purtroppo, però, a nulla sarebbe valso un tale grido, una simile isteria, ove, anche volendo, ed ella mai avrebbe allora voluto, non dopo la supplica di Brote, non vi sarebbe stata alcuna possibilità di fuga da Kriarya. Non tanto oscenamente assediata.

« Arrivederci, amici miei… » mi costrinsi a prendere voce, per quanto le parole sembrarono allora soffocarsi in gola, incapaci ad esprimersi ove timorose di influenzare, in senso negativo, l'esito della battaglia che ci avrebbe presto visto coinvolti « … e che Gah'Ad possa stendere la sua mano misericordiosa su di voi, proteggendovi da ogni avversità e permettendoci di ritrovarci, domani, qui riuniti per brindare della nostra vittoria, ridendo d'ogni preoccupazione che or ci domina. »
« … così sia… » udii la voce del giovane Seem sussurrare accanto a me, unendosi a quella mia invocazione, a quella mia preghiera, con incredibile dimostrazione di fede, qual solo sarebbe potuta essere testimoniata, in quel momento, da chi mai educato a una qualche religione e al concetto stesso di divino.

martedì 20 marzo 2012

1522


E
se Midda Bontor aveva richiesto la mobilitazione di chiunque in città, esplicitamente definendo, nelle proprie parole, come ognuno, in Kriarya, avesse da intendersi di base qual un guerriero, qual un combattente già pronto alla pugna senza neppur la necessità di essere armato; ve lo giuro, così avvenne e così fu, non osando smentirla.
In un mondo qual il nostro, in una realtà qual la nostra, come anche noi, a bordo della Jol'Ange, abbiamo sempre saputo e, ove flebilmente obliato, ove leggermente dimenticato, siamo stati costretti a ricordare nei modi peggiori, nelle vie più crudeli e impietose; raro al punto tale da divenire evento straordinario, è l'occasione in cui qualcuno, a prescindere dalla propria attività, dalle proprie ambizioni di vita, riesca a ovviare a impugnar almeno una volta un'arma, ergendola innanzi a sé per propria difesa e, in ciò, nella volontà di offendere un avversario, un nemico talvolta neppur atteso e, purtroppo, ugualmente incontrato qual tale, nonché fermamente deciso a sovvertire per sempre, drammaticamente e tragicamente, l'ordine tanto faticosamente costituito nella propria vita, nella propria quotidianità. Conscio di ciò, e conscio della fama della città del peccato, reputazione che, al fianco della Figlia di Marr'Mahew, protetto dalla sua straordinaria aura, non lo nego, mi era apparsa eccessiva e immeritata; avrei dovuto attendermi, e mi attesi, una certa collettiva reattività in conseguenza al suo invito, al suo richiamo… ma mai nelle proporzioni in cui ciò avvenne, non nella stessa, folle misura che mi si presentò innanzi allo sguardo.
Solo allora, solo in quel momento, sono sincero, presi coscienza della realtà caratteristica della città del peccato, e, in ciò, mi ritrovai non sorpreso, non stupito, ma… onestamente… intimorito.

« Uomini e donne di Kriarya… » esclamò la donna guerriero facendo capolino a una trifora del palazzo del feudatario, accompagnata alla propria destra da Brote, e alla propria sinistra da Bugeor, a rappresentanza di tutti i lord lì riuniti « … alla guerra! »

Non termini più complessi, non discorsi più elaborati, non frasi più altisonanti, furono allora necessarie alla nostra compagna per ottenere l'attenzione collettiva e, soprattutto, una reazione collettiva, in una straordinaria sequenza che, a catena, vide la notizia rapidamente diffondersi in ogni angolo della città del peccato, e, soprattutto, vide chiunque all'interno dell'urbe offrirsi già pronto alla pugna, e alla morte, al servizio di colei che sino a un momento prima, avendone l'occasione, avrebbero piacevolmente massacrato, nella sola volontà di ereditarne il retaggio, la nomea, il potere.
Così come alcuno, me escluso, avrebbe mai ritenuto possibile, la presenza di un nemico tanto osceno, tanto estraneo a ogni possibilità di razionalizzazione, agì sulla coscienza collettiva della città negli stessi termini in cui aveva già agito su quella dei vari mecenati, dei vari signori di Kriarya, imponendo a tutti di dimenticare qualunque dissidio interno, qualunque antipatia passata, e, così come già all'origine del regno di Tranith, riunire tutti in una sola, compatta, coesa e, speranzosamente, invincibile nazione. Una nazione che, forse, mai sarebbe riuscita a contrastare l'osceno nemico lì evocato nella volontà di sterminarli tutti; e che pur non avrebbe accettato in maniera passiva il fato deciso da un nemico a sé straniero e sconosciuto, combattendo sino all'ultima stille di sangue per rivendicare il proprio diritto a esistere nei modi che, da sempre, erano per tutti loro stati propri.

« La città è tua… Midda. » commentò lord Brote, forse evidenziando l'ovvio o, forse, sottolineando l'incredibile potere, e in conseguenza a ciò l’incredibile responsabilità, che la sua amica avrebbe dovuto avvertire sulle proprie spalle, volente o no « Ora, ti prego, cerca di salvarla. »

Una richiesta, una supplica in effetti, nella quale apparve evidente un inoppugnabile affetto da parte dello stesso mecenate nei confronti della propria città, di quella che, altri, avrebbero potuto considerare una semplice risorsa da spremere, da mungere qual una vacca e nulla più, ma che, per lui, era… è probabilmente ormai divenuta quella che per noi è la Jol’Ange: una casa; la sola, ormai, conosciuta.
Ripensando alla storia personale di Brote, dopotutto, elementare sarebbe risultata una simile deduzione. Come anche la Figlia di Marr’Mahew ben comprese e, probabilmente, persino condivise, la maggior parte dei ricordi, delle memorie, quelle ancora rimastegli, dell’uomo, trovavano un naturale riferimento proprio entro quegli stessi confini, entro quelle mura erette su base geometrica che, per la maggior parte del mondo erano sinonimo di perdizioni, violenza e morte, ma che per lui, e per lei anche, erano dienute sinonimo di vita, di quotidianità, e, forse, persino di speranza per il futuro. Senza Kriarya, dopotutto, Brote non avrebbe mai potuto divenire chi era divenuto, non avrebbe mai potuto emergere dal fango caratteristico del semplice mercenario per divenire un signore, un lord, un mecenate; né, tantomeno, avrebbe mai incontrato Midda Bontor, colei divenuta mezzo concreto per la sua ascesa, per la sua conquista di un posto nella Storia e, soprattutto, per la definizione del suo matrimonio, della sua unione con l’amata Nass’Hya, che sempre avrebbe rimpianto, che sempre avrebbe ricordato in un misto di gioia e di dolore, gioia per i momenti vissuti insieme, dolore per la sua prematura, violenta e ingiusta scomparsa. Kriarya, per Brote, è una casa, è la sua casa, il luogo ove albergano i suoi ricordi e i suoi affetti.
Solo un sorriso non sufficientemente carico di serenità, e privo di quella trasparente sicurezza che sarebbe stata utile a placare gli animi in quel momento, fu la risposta che la donna guerriero dagli occhi color ghiaccio reputò corretto riconoscere al proprio signore e amico, a colui la fiducia del quale, mai come in quel momento, avrebbe desiderato tradire, ragione per la quale, innanzi al medesimo, non si sentì in grado di esprimere di più. Perché suggerire in chiari termini la certezza di una propria vittoria, di un proprio trionfo, dell’ennesimo, sconvolgente successo della propria carriera, sarebbe quasi certamente equivalso a mentire, non potendosi arrogare un’onniscienza propria solo degli dei, e allora indispensabile per potersi esprimere, seppur ottimisticamente, sul futuro proprio e dell’intera città. Un sorriso, quindi, non animato da una qualche ferma certezza, da un azzardo allora improponibile ove inaccettabile, e pur colmo di tutto il sincero affetto da lei vissuto nei suoi confronti, da lei provato verso chi, in quel momento, pur di un decennio più anziano rispetto a lei, a lei affidatosi non dissimile da un infante con la propria madre, da un pargolo con colei fra le braccia delle quale solo avrebbe avuto timore alcuno per il mondo a sé circostante.

« Seem, Av’Fahr… seguitemi. Andiamo a ispezionare le mura sul versante meridionale. » riprese alfine voce la donna guerriero, rivolgendosi non al suo mecenate e interlocutore, quanto a noi, definendo in tali termini quanto avremmo dovuto allora compiere, non attendendo passivamente l’avvento dei mostri, ma, ovviamente, agendo in qualche modo… quale impossibile a dirsi, in quel momento « Howe, Be’Wahr… a voi il fronte settentrionale. » proseguì, destinando in tal modo il nostro gruppetto a separarsi, a dividersi su fronti opposti all’interno della città.
« Come desideri… » annuì immediatamente Howe, apparendo sin troppo subordinato al suo volere, nel negarsi, estemporaneamente, qualunque obiezione sarcastica, qual suo abituale carattere « ... ma… » esitò, subito correggendosi, subito ovviando a qualunque dubbio nel merito del suo stato di salute, ove solo gravemente ammalato avrebbe potuto rifiutarsi di ironizzare in merito a una tale richiesta « … una volta là sopraggiunti, cosa preferisci che facciamo? Ci mettiamo a chiacchierare con uno di quei mehkra… »
« Mahkra. » lo corresse Be'Wahr, una volta tanto ritrovandosi gradevolmente in un tale ruolo, solitamente a lui negato, nell'essere egli stesso troppo spesso corretto.
« Ci mettiamo a chiacchierare con uno di quei mahkra, mehkra, mihkra… o come accidenti si chiamano… » riprese lo shar'tiagho, dimostrando lieve irritazione per l'intervento del fratello in proprio appunto « … oppure cerchiamo di intrattenerli con qualche canzone?! » propose, dimostrandosi decisamente meno accondiscendente di come era voluto apparire inizialmente « Non credo di conoscere i loro gusti e potremmo finire per contrariarli… »