Un ruolo che ella non aveva mai desiderato. E che pur, paradossalmente, era stato la ragione alla base della quale tutto ciò era accaduto, là dove, dietro a quel devastante attentato dinamitardo che aveva ridisegnato completamente il profilo della città, cancellando tutte le torri che un tempo erano state la sede del potere entro quelle mura dodecagonali, altro non avrebbe avuto a dover essere frainteso se non l’intento della famiglia reale di Kofreya di ristabilire il proprio controllo su quella capitale, sulla città del peccato, per così come Kriarya era conosciuta da decenni, un controllo che, tuttavia, era andato perduto già da molto tempo prima dell’arrivo di Midda e che, in conseguenza a tutto ciò, non avevano, né probabilmente avrebbero mai, riottenuto.
Territorio di confine verso il regno di Y’Shalf, a oriente di Kofreya, Kriarya si era ritrovata da tempo immemore, proprio malgrado, coinvolta nell’aspra guerra esistente fra i due regni, e coinvolta, almeno negli esordi, in un ruolo di centrale rilievo, ritrovandosi a essere crocevia ideale per gli eserciti regolari e meno che, da lì, avrebbero potuto muoversi verso il fronte, o che dal fronte, attraverso di lì, avrebbero potuto fare ritorno. L’incertezza, però, propria della guerra, e la sempre crescente presenza di soldati di ventura, tutt’altro che facilmente controllabili, aveva reso, nel corso del tempo, quella capitale sempre meno attraente per chiunque altro non avesse un diretto interesse nella questione bellica, vedendo, in tal maniera, occorrere un vero e proprio esodo da parte non soltanto dei suoi stessi feudatari, ma anche della maggior parte delle persone comuni, ben desiderose di non ritrovarsi a essere, più o meno involontariamente, coinvolte in tutto ciò. E così, venuto meno ogni ordine costituito e ogni senso di civiltà, l’evoluzione, o involuzione, verso il proprio fato di città del peccato era stato praticamente obbligato, vedendo la maggior parte delle persone lì ormai residenti poter essere classificate quali mercenari o assassini, ladri o prostitute. Proprio da un simile contesto, poi, nel corso dei lustri, dei decenni successivi, aveva avuto a sorgere la nuova riorganizzazione politica della città, e di una città che, in tal modo, era stata fondamentalmente spartita fra i più abili, o spregiudicati, combattenti lì radunatisi, autoproclamatisi in ciò nuovi lord di Kriarya benché, fondamentalmente, nulla di più di meri capi della criminalità locale. Ma là dove l’intera città aveva avuto così a divenire una sorta di porto franco, anche l’idea stessa di criminalità aveva avuto a evolvere, nulla mutando della propria morale quanto e, semplicemente, ritrovandosi ad adattare a essa il mondo a sé circostante.
Tale, quindi, avrebbe avuto a dover essere considerato l’ambiente in cui, diversi lustri prima, un giovane mercenario di nome Brote era riuscito a conquistare il proprio ruolo di comando. E tale, ancora, avrebbe avuto a dover essere inteso l’ambiente in cui, qualche tempo più tardi, un’ancor più giovane avventuriera di nome Midda era riuscita a ottenere il beneplacito da parte dell’ormai lord Brote per agire in qualità di sua mercenaria, e iniziare quel leggendario cammino che, successivamente, l’avrebbe fatta entrare di pieno diritto nel mito. Ma più il mito di Midda Bontor cresceva, più i passanti e mai risolti rancori della sua gemella Nissa avrebbero avuto ragione di tornare a esprimersi a suo discapito, sino, addirittura, a incastrarla in un qualche mai ben ricostruito attentato in contrasto alla famiglia reale kofreyota. Un attentato a confronto con il quale, l’interesse della stessa famiglia reale si era tornato ad accendere nei confronti di Kriarya, e di quella città da troppo tempo abbandonata a se stessa e, peggio ancora, abbandonata alle possibili ambizioni di quella temibile criminale; in termini più che utili, quindi, da motivare una vera e propria azione militare in suo contrasto, soprattutto nel momento in cui ella aveva iniziato a essere ufficialmente riconosciuta qual Campionessa della città.
Diversi, così, erano stati i tentativi della famiglia reale per riconquistare Kriarya, molti dei quali occorsi addirittura nel lustro di assenza di Midda Bontor da quelle mura, per compiere il proprio peregrinaggio siderale. Ma nessuno di quei tentativi era riuscito a concludersi con un loro trionfo, con una loro vittoria, non laddove, dopotutto, anche senza la loro Campionessa, gli abitanti della città del peccato non avrebbero avuto certamente a doversi fraintendere qual degli sprovveduti incapaci a difendersi. Il ritorno in scena di Midda, poi, e l’avvento dei ritornati e di tutto ciò che da essi era conseguito, dovevano così aver nuovamente riacceso il desiderio, e parimenti le speranze, nei reali kofreyoti di poter riconquistare quel territorio altrimenti perduto, anche nel timore di quanto, in alternativa, altre città avrebbero potuto seguirne l’esempio, per così come, del resto, temuto fosse accaduto a Lysiath, nel momento in cui a propria volta si era ritrovata a eleggere propria Campionessa la stessa donna dagli occhi color del ghiaccio e dai capelli color del fuoco. E, paradossalmente, quello che avrebbe avuto a dover essere inteso qual il provvedimento risolutivo a cancellare ogni minaccia a loro discapito, si era rivelato poi definire un risultato del tutto antitetico al desiderato, nel veder necessariamente riconosciuta la sola Midda Bontor qual nuova signora della città, sua condottiera e sua protettrice. Un ruolo che ella non aveva potuto ovviare ad accogliere qual proprio, benché, in verità, alcun desiderio in tal senso avrebbe mai avuto a doverle essere riconosciuto.
Sommando tutto ciò, quindi, chiaro non avrebbe potuto che risultare quanto il tardivo risveglio della donna guerriero di quella mattina non avrebbe avuto a corrispondere, soltanto, all’inizio di un nuovo giorno per lei... ma anche, e piuttosto, all’inizio di una nuova era per tutta Kriarya, per tutta Kofreya e, forse e persino, per tutto il suo intero mondo.
L’inizio di una nuova era che, pertanto, ella non avrebbe potuto che avere più che ragione a voler posticipare il più a lungo possibile, concedendo al proprio sonno di proseguire il più a lungo possibile... se soltanto, fra le molte responsabilità delle quali ella si era fatta carico non avesse a dover essere anche riconosciuta la maternità di due meravigliosi figli, oltre che, per la cronaca, di due nipoti, figlie della propria defunta, e or ritornata, gemella Nissa Bontor. Ma se Mera Ronae e Namile, le sue nipoti, a loro volta gemelle, di certo non avrebbero avuto motivazione utile per avventurarsi nella sua stanza di propria iniziativa, costringendola a risvegliarsi; al contrario Tagae Nivre e Liagu Ras’Meen, i suoi figli, non avrebbero avuto motivazione alcuna per non avventurarsi nella sua stanza di propria iniziativa, soprattutto dopo una tanto prolungata assenza di lei dalle loro vite, e un’assenza che, dopotutto, non avrebbe potuto ovviare a condurre seco un pesante bagaglio emotivo di ansie e paure, nel timore, fosse anche relegato nel subconscio, che ella potesse non tornare più.
« Mamma... mamma...! »
Due voci squillanti, come solo quelle dei bambini sanno essere, costrinsero la signora di Kriarya a riaprire allora gli occhi, per un fugace istante in stato d’allarme, pronta al peggio, salvo poi avere immediatamente a placarsi nel confronto con i loro visi, i loro sguardi, e l’evidenza concreta di quanto, quei due adorabili pargoli, desiderassero soltanto poterle offrire il proprio buongiorno, del tutto inconsapevoli di quanto, in verità, ella avrebbe quietamente continuato a dormire almeno per un altro paio di ore, o forse più, se soltanto non fosse stata in tal maniera costretta a ritrovare violento contatto con la realtà.
« ... e papà non lo salutate...?! Che poi è geloso... » sorrise assonnata, e divertita, la donna guerriero, scuotendo appena il capo e affondando, fugacemente, il volto nel proprio guanciale, con un gesto trasparente di tutta la pigrizia che in quel momento la stava dominando.
« ... papà lo hanno sempre a disposizione... è la mamma che si diverte a latitare... » puntualizzò allora la voce di Be’Sihl, sopraggiungendo in maniera puntuale a commento di quel tentativo da parte sua di reindirizzare verso di lui l’entusiasmo dei due bambini, nel dimostrare in tal maniera di essersi a sua volta ridestato per quanto, con maggiore pigrizia rispetto a lei, non avendo neppure fatto atto di aprire gli occhi per porsi a confronto con il mondo esterno.
« ... disse l’uomo che è stato per vent’anni lontano da casa... » commentò ella, con tono scherzosamente polemico a suo discapito, cercando di dimostrare quanto, da parte propria, quella questione non avesse a rappresentare ragione alcuna di dramma, ma potesse essere quietamente considerata parte della loro pur abitualmente folle quotidianità.