11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

giovedì 28 febbraio 2013

1866


In momenti come quello, Midda sarebbe stata pronta a scommetterlo, Nessuno doveva star amaramente rimpiangendo di non aver più neppure una singola mano in grazia all’aiuto della quale potersi massaggiare il mento e, più in generale, il viso indolenzito, aiutando la propria mandibola, posta in seria difficoltà da quell’offensiva, a ritrovare la propria giusta collocazione a completamento del suo volto.
Privato, suo malgrado, di ogni possibilità in tal senso, egli dimostrò allora sufficiente autocontrollo da non lasciarsi completamente conquistare dall’ira, in misura tale per cui non soltanto semplice, ma addirittura banale, sarebbe stato sconfiggerlo, quanto e piuttosto agì e reagì con fermezza ammirevole, e tale da permettergli di ipotizzare un nuovo attacco, una nuova aggressione a suo discapito, qual quella che allora derivò da un violento montante, sotto certi aspetti non dissimile, dopotutto, da quello appena subito, e pur, indubbiamente, più pericoloso, più letale, qual solo avrebbe dovuto essere riconosciuto quello in tal modo posto in essere a opera non tanto di un pugno chiuso, quanto e piuttosto di una lunga sciabola, che, se solo l’avesse raggiunta, le avrebbe non soltanto squarciato completamente l’addome, da pube a gola, quanto e ancor peggio, ammesso che l’impiego di un tale termine avrebbe allora avuto ancora ragione di sussistere, avrebbe visto il suo cranio sicuramente trapassato da parte a parte, dal basso in alto, offrire il peggior ultimo ricordo di sé che mai avrebbe potuto ipotizzare di dedicare al proprio amato, ai propri amici e a tutti i propri sostenitori allora lì presenti all’interno della locanda. Un’eventualità, pertanto, indubbiamente spiacevole, alla quale sarebbe stata più che soddisfatta di potersi sottrarre, non soltanto mantenendosi in vita, ma anche, e non sgradevolmente, mantenendo intatto tutto il proprio fascino, insieme, quantomeno, al proprio tutt’altro che superfluo cervello.
Così costretta ad agire con inattesa repentinità, ella balzò all’indietro, quanto sufficiente a ovviare agli effetti negativi di quell’offensiva, tuttavia in ciò finendo con l’accostarsi eccessivamente, e pericolosamente, al bancone alle proprie spalle, nella negativa assenza di un adeguato spazio di movimento in disgraziata conseguenza al quale, se solo fosse stata ancora una volta obbligata a una simile reazione, si sarebbe ritrovata, spiacevolmente e inesorabilmente, posta metaforicamente con le spalle al muro, o, sostanzialmente, con il bancone nel bel mezzo della schiena, situazione in conseguenza alla quale tutt’altro che rosee sarebbero allora state le sue prospettive di vita, le sue speranze in favore a un’indomani. E, in grazia allo stesso cervello da lei desiderato qual illeso, adeguatamente saggia da cogliere il limite e la pericolosa precarietà della propria situazione, la mercenaria non rese propria alcuna esitazione nel merito della necessità di allontanarsi da lì… e di farlo nel minore dei tempi possibili.

« Non male, mio caro… non male davvero. » argomentò, allargando allora le braccia e spingendole, alla cieca, all’indietro, a cercare evidente contatto con qualcosa che era da lei ancor ricordato qual lì presente, quasi preposto in sua attesa, ma nel merito dell’effettiva posizione del quale non avrebbe potuto rendere propria alcuna certezza, non essendo stata sua premura spendere neppur un fugace momento di attenzione nell’analisi di quanto a lei circostante, temendo, così facendo, di poter altresì perdere di vista quanto a lei tremendamente frontale « Mi è piaciuta questa reazione rapida e decisa. » insistette, nel mentre in cui la punta delle sue dita, della mano mancina, unica rimastale, sfiorarono quanto da lei cercato, non senza in tal senso offrirle un moto di piacere e di soddisfazione, nel verificare quanto, ancora una volta, l’ambiente a lei circostante si stesse offrendo in suo sostegno, in suo aiuto, anche in grazie a uno sviluppato spirito d’osservazione, tale da concederle sempre una perfetta rappresentazione mentale del mondo a lei prossimo, anche quando non direttamente osservato.
« Ogni tuo tentativo volto a distrarmi sarà vano, questa volta. » specificò l’uomo, lo spadaccino, a palesare quanto, senza invero particolare sensibilità, sostanziale perspicacia, avesse colto il fine ultimo della maggior parte delle spesso facili ironie nelle quali ella aveva dato sovente riprova di amare dilungarsi, anche nei momenti apparentemente meno opportuni, evidentemente meno adatti, al pari di quello e di altre situazioni per lei anche più esplicitamente avverse « Se accetti un consiglio, sarebbe meglio per te che tu iniziassi a considerarmi un avversario degno di nota, e, come tale, a rispettarmi… finché, per lo meno, te ne è ancora concessa l’occasione. » puntualizzò, lasciando nuovamente emergere quell’arroganza per lui caratteristica che tanto gli era costata in occasione del loro primo incontro.
« Che caratteraccio… » sbuffò la donna guerriero, scuotendo appena il capo con fare di esplicita condanna a commento di ciò, nel disapprovare apertamente quel suo offrirsi, soprattutto in considerazione alla più completa assenza di quelle capacità, quell’abilità, quella bravura utile a difendere, sostenere e giustificare un simile atteggiamento « E dire che la mia sola intenzione era quella di offrirti da bere! » soggiunse, accennando appena, ora, un sorriso non tanto dedicato al proprio interlocutore, quanto e piuttosto a traguardo precedentemente raggiunto dalle proprie dita, obiettivo attorno al quale, ora, esse ebbero ordine di stringersi con decisione, con fermezza, a permetterle di catapultare il contenuto del vassoio carico di boccali da lavare racimolati pocanzi da Be’Sihl, e non ancora né allontanato da lei, né svuotato del proprio ingombrante fardello, direttamente contro il biondo damerino, con tutta l’energia della quale, in una tanto precaria postura, sarebbe stata capace.

E per quanto, nel trattenere il vassoio in questione in precario equilibrio da una sola estremità, ella non avrebbe potuto esercitare tutta la propria forza fisica in quel gesto, in quell’azione, quella pioggia di robusto coccio  non avrebbe potuto allora evitare di imporsi simile a una lapidaria condanna nei riguardi dello spadaccino, il quale, malgrado tutta la propria, sino ad allora comunque e soltanto supposta, bravura, non avrebbe mai potuto agire con tale prontezza di riflessi utile a respingere un simile quantitativo di proiettili spesi in propria offensiva.
Un’esplosione di ilarità, in conseguenza a simile azione, a una tanto impropria offensiva qual quella che, in tal modo, ella ritenne opportuno dedicargli, non poté mancare che coinvolgere l’intera locanda, praticamente ogni spettatore lì intento a seguire l’evolversi di quel duello, che, sebbene da un fronte, quello dell’uomo, fosse stato allora affrontato con serietà oltremodo drammatica, se non addirittura tragica, dal fronte opposto, quello della donna, era stata in ciò trasformata in una grottesca commedia, una pantomima, quasi, più prossima a una rissa che a una disfida mortale. Risate sincere, divertimento onesto, il loro, che avrebbe dovuto essere lì inteso più a sostegno della Figlia di Marr’Mahew e del suo operato che a demerito del suo antagonista e del fallimento di questi, ma che, manco a dirlo, dallo stesso sventurato avversario, e soltanto tale per propria esplicita iniziativa, venne lì frainteso nelle proprie ragioni, imponendogli di sbraitare qualcosa a propria difesa, a tutela del proprio onore, in tutto ciò posto in ridicolo.
Ma nell’esprimersi, allora, con eccessiva spontaneità, parlando d’istinto ancor prima che effettivamente ragionando nel merito di quanto argomentato, egli si lasciò sfuggire un’asserzione tutt’altro che prevedibile, tutt’altro che consueta o retorica in un contesto qual quello, che, sebbene venne ignorata dai più, nell’essere considerata non di più di uno sfogo isterico, non poté riconoscere altrettanto indifferente la stessa Midda Bontor, la quale, anzi, ebbe allora occasione di che colmare il quadro prima non meglio distinto delle proprie perplessità, dei propri dubbi, dei propri sospetti…

« Divertitevi! Divertitevi pure tutti quanti! » esclamò Nessuno, dolente e furente, dolente per i colpi fisici subiti, furente per quelle offensive psicologiche e morali, qual solo vennero intese dal suo personale punto di vista quelle risate, esplicite e reiterate condanne al pubblico ludibrio in sostituzione alla sempiterna gloria che egli sperava di ottenere nella sconfitta della mercenaria « Quando questa notte avrà nuovamente inizio, sarà il mio turno di divertirmi! Magari dandovi nuovamente fuoco… e questa volta bloccando ogni porta di questa maledetta locanda, affinché alcuno di voi possa sperare di fuggire. » minacciò, quasi gridando nella foga di tale maledizione… o in qualunque altro modo simile asserzione avrebbe dovuto essere intesa o fraintesa « E quando di voi non sarà rimasto altro che un cumulo di ceneri ancora fumanti, vedremo chi avrà ancora voglia di ridere! »


mercoledì 27 febbraio 2013

1865


« Beh… se questo è tutto ciò che hai da dire, forse è meglio che io ripassi più tardi. » si strinse nelle spalle la mercenaria, ora aggrottando la fronte con aria volutamente dubbiosa nel confronto con tale comportamento, con simile reazione nei propri riguardi « Quando avrai finito di pavoneggiarti, e di rovinare inutilmente il filo di quelle lame, fammelo sapere. Sempre ammesso che, nel frattempo, tu non sia rinsavito quanto sufficiente da decidere di evitare di affrontarmi. » soggiunse, speranzosamente.

Benché l’offerta rivoltagli avrebbe dovuto essere riconosciuta qual indubbiamente generosa, in misura persino maggiore rispetto a quanto chiunque altro, anche scelto a caso fra i presenti all’interno di quella vasta sala, non avrebbe avuto interesse a concedergli ove posto nelle affascinanti veci della Campionessa di Kriarya; Nessuno non volle offrire la benché minima dimostrazione di una qualsivoglia maturazione occorsa negli ultimi anni, dal loro ultimo e unico incontro, e tale da permettergli di apprezzare tale occasione, simile possibilità, in misura sufficiente, quantomeno, a ritirarsi fintanto che simile scelta avrebbe potuto essere ancora attribuita al proprio arbitrio, e non, piuttosto, a una dolorosa imposizione da parte del fato. Fato che, in tal senso, avrebbe allora ineluttabilmente assunto le stesse conturbati sembianze della donna guerriero dagli occhi color ghiaccio, quell’antagonista da lui tanto insistentemente pretesa qual tale benché, dal canto proprio, non avrebbe potuto vantare alcun genere di interesse a tal riguardo, alcuna brama di disfida nei suoi confronti… non laddove, oggettivamente, se non fosse stato lui a ripresentarsi a lei con tanta insistenza, nonché con la propria ormai consueta arroganza, ella non avrebbe avuto la benché minima ragione neppure per rammentarsi di lui o di quanto, fra loro, occorso in passato.
Così animato da un’evidente e pericolosa mancanza di istinto di sopravvivenza, di spirito di conservazione, o, quantomeno, di quella pur minimale cognizione di causa utile, in tal senso, a non permettergli di insistere ulteriormente contro un’avversaria a lui palesemente superiore; lo spadaccino mosse un primo passo in avanti, lasciandolo seguire immediatamente da un secondo e poi da un terzo, in un progresso non rapido, ben lontano dal potersi fraintendere qual una corsa o una carica, e pur, non di meno, deciso, apparentemente inarrestabile o, all’incirca, da lui in tal modo supposto, ipotizzato, creduto. Un avanzare, il suo, scandito passo dopo passo da un deciso fendente o montante, a opera della destra o della sinistra, indistintamente, imprevedibilmente, e che pur, in tal modo, sembrava voler definire lo schema di una bizzarra danza, un balletto con la morte nel corso del quale, indubbiamente, egli desiderata rappresentare tale principio ultimo, tanto letale concetto, benché, nella serena quiete dimostrata, in tutto ciò, dalla sua antagonista, dalla sua controparte, ben pochi dubbi sarebbero potuti permanere nel merito di chi avesse da doversi riconoscere qual in una posizione di forza, di superiorità, imprescindibile caratteristica di una simile, metaforica, e terrificante, figura.

« Campionessa… » esordì una voce fra i tanti eletti al ruolo di spettatori per quello scontro, per quel duello inatteso e, ormai, all’interno del nuovo corso della città del peccato, quasi blasfemo, nel volersi presentare in opposizione a colei a cui tutti avrebbero dovuto tributare lode qual segno di ringraziamento per il futuro in tal modo loro garantito « … è sufficiente una tua parola, e sarà nostra premura accompagnare questo folle alla valle del Gorleheim! » asserì, senza esitazione, senza incertezza, e senza neppur una qualche particolare eccitazione a tale prospettiva, in quell’indifferenza pressoché totale all’idea dell’uccisione, dell’assassinio di un uomo anche in assenza di una pur ipocrita morale volta al principio di autodifesa, tipica di un comune abitante di quella capitale, entro i confini della quale la vita umana non avrebbe potuto vantare alcun particolare merito, alcun concreto valore, in misura persino inferiore a quella del resto di Kofreya, di Qahr o del mondo intero.
« Restatene fuori! » avvertì Nessuno, a denti stretti, ancora una volta cercando di dimostrarsi pericoloso, di dimostrarsi aggressivo e potenzialmente letale per chiunque a lui si fosse voluto avvicinare eccessivamente, salvo, proprio malgrado, apparir più ridicolo che altro, non dissimile da un bambino desideroso di dimostrarsi uomo, benché ormai, almeno sotto un profilo fisico, l’infanzia fosse per lui trascorsa da molto tempo.
« Non è un problema. » puntualizzò la Figlia di Marr’Mahew, stringendosi appena fra le spalle in risposta a quella candidatura, a quell’offerta, pur sinceramente apprezzabile e apprezzata, ma non per questo accolta, nelle proprie implicazioni « Nessuno non è mai stato un problema. E non avrebbe senso iniziare a considerarlo qual tale in questo momento. »

Seppur non contraddistinti dalla medesima quiete che ella si stava dimostrando in grado di rendere, ancora una volta, propria; alcuno fra i presenti, alcuno fra coloro che pur, per lei, sarebbero stati disposti a levarsi in piedi e a fare letteralmente a pezzi quel malcapitato, si riservò allora occasione d’azione, non distraendosi da quanto stava accadendo e, soprattutto, da quanto stava per accadere e, ciò nonostante, neppur ancora ipotizzando di prenderne parte. Alcuno fra loro, del resto, avrebbe potuto riservarsi il benché minimo dubbio sul fatto che la Campionessa, la loro Campionessa, sarebbe stata in grado di gestire in maniera autonoma quella situazione, né, in tal senso, avrebbe dovuto essere intesa la proposta che quella singola voce aveva reso propria a nome dell’intera collettività, rappresentante non eletto, ma non per questo meno idoneo, a rendere esplicito, anche e soprattutto a livello verbale, quel diffuso sentimento.
Così, rendendo propria una tranquillità quasi obbligata, e obbligata dal rispetto, dalla stima, e dall’ammirazione che tutti loro animava nei riguardi di quell’eroina quasi epica, quella leggenda vivente per loro divenuta unica monarca alla quale offrire legittimamente la propria fedeltà, il proprio braccio e, ove necessario, persino la propria vita; tutti restarono immobili, osservando il lento ma costante avanzare dello spadaccino verso la propria ipotetica preda, sostanzialmente predatrice. E nel momento in cui la distanza fra i due contendenti, fra i due sfidanti, si ridusse entro pericolosi limiti, tali da non poter escludere ancora quell’ormai ineluttabile confronto, non una sola esclamazione trasparente di ansia, di agitazione, di eccitazione coinvolse alcuno, nella fondamentale assenza di ragioni utili a dar spazio a una tale reazione.

« Finirai per farti male, Nessuno… e lo sai. » volle concedersi un’ultima occasione di avvertimento, ennesima dimostrazione di una generosità della quale egli le avrebbe dovuto soltanto essere grato, ma che purtroppo, e ostinatamente, venne ignorata « Non ti lamentare poi con me se, la prossima volta, non avrai ulteriori appendici alle quali poter collegare delle lame… »

Non uno scherno, non un tentativo volto al canzonarlo, il suo, quanto e piuttosto una seria rinuncia a qualunque genere di responsabilità per quanto quel folle gesto l’avrebbe vista compiere. Una serietà che, ineluttabilmente, non venne apprezzata e che, anzi, lo vide scattare in un tentativo d’affondo, un gesto rapido e deciso diretto alla bocca del suo stomaco, al quale ella rispose senza una qualche reale urgenza di intervento, senza un sostanziale sentimento d’allarme, quanto e piuttosto con un sospiro.
Un sospiro con il quale ella accompagnò un duplice movimento coordinato ma indipendente delle proprie braccia, quella in metallo fra le quali, la destra, si erse a scudo per arginare i possibili effetti dannosi derivanti dal contatto di una di quelle sciabole con la propria perlacea pelle; nel mentre in cui l’altra, la mancina, ignorò estemporaneamente l’impugnatura della propria lama solo per potersi dedicare a un impetuoso attacco in corrispondenza al mento avversario, al quale dedicò tutta l’energia di tal gesto in un montante praticamente perfetto, non soltanto efficace, non soltanto efficiente, ma, addirittura, coinvolgente sotto un profilo espressamente estetico, nell’osservare il quale alcuno avrebbe potuto rendere propria occasione di distrazione o, più in generale, di subentrato disinteresse.

« Ops… questo credo ti possa aver fatto male! » definì ella stessa, ancor spingendo il proprio pugno verso l’alto, per condurlo sino a qualunque limite avrebbe potuto scoprire di conoscere e di poter raggiungere.


martedì 26 febbraio 2013

1864


Erano trascorsi anni dall’ultima, nonché prima e unica, volta che i loro cammini si erano incrociati, occasione nel corso della quale quello sventurato, e arrogante, spadaccino si era guadagnato il soprannome di Nessuno e aveva perduto entrambe le proprie mani, in entrambi i casi a opera della mercenaria alla quale aveva voluto porre sfida. Ciò nonostante, e benché Rimau Coser, tale il suo vero nome, non avesse da considerarsi propriamente al centro dei suoi pensieri, per la donna guerriero era stato naturale apostrofarlo con l’aggiunta di quell’avverbio, quasi quella sua ricomparsa in scena avesse a giudicarsi l’ennesima reiterazione di un evento ormai privo di qualunque possibilità di sorpresa, di qualunque originalità, qual pur, oggettivamente, non avrebbe potuto essere giudicato essere. Una reazione per la quale neppure ella avrebbe saputo formulare una spiegazione e che pur, da parte propria, era stata assolutamente spontanea, non di meno rispetto alla dichiarazione d’amore pocanzi rivolta verso Be’Sihl.

« Ancora…?! » ripeté il locandiere, aggrottando la fronte e cercando, in quel nome e nel viso di quell’uomo, di individuare chi egli potesse essere, dal momento in cui la propria amata aveva voluto in tal modo dimostrare, verso di lui, una certa confidenza, benché, alla sua memoria, non sembrava offrirsi in grado di suggerire l’immagine di alcun avversario da lei affrontato in tempi recenti… alcuno, per lo meno, del quale gli avesse offerto narrazione, aggiornandolo qual sempre nel merito dei propri viaggi, delle proprie imprese, delle proprie disfide e delle proprie conquiste.
« Non farci caso. » scosse il capo la donna guerriero, liberando la sua mano solo per potersi mantenere pronta a estrarre la propria spada, ove ve ne fosse stata necessità, provando un insolito desiderio di aggredire quell’uomo benché senza alcuna reale motivazione a giustificazione di ciò « Non so perché lo abbia detto… quello è solo un damerino del tutto privo di importanza. Tanto da non meritarsi neppure di essere ricordato con il proprio nome… »
« Eppure ti rammenti ancora di me. » osservò lo spadaccino, a commento di tali parole, con un sorriso tuttavia carico di minore soddisfazione di quanto, pur, in tali parole, ci si sarebbe potuti attendere avrebbe desiderato vantare « E non hai dimostrato la benché minima esitazione nel riconoscermi… » soggiunse, strizzando l’occhio sinistro con fare ora complice verso di lei, a dissimulare in tale apparente ironia le proprie effettive emozioni.

Tentativo vano, il suo, dal momento in cui ella non mancò di cogliere quel tanto fugace, quanto improprio, momento di imbarazzo, del resto abituata a condurre i propri duelli su un piano innanzitutto psicologico, ancor prima che fisico, non potendo solitamente vantare particolare superiorità fisica sui propri antagonisti, umani o no che essi fossero, e dovendo a ciò sopperire quindi con ogni risorsa utile, con ogni mezzo idoneo, a incominciare, innanzitutto, dalla propria stessa mente e dalla propria capacità di cogliere le emozioni proprie della controparte, con maggiore attenzione al crescere .Invero e comunque, l’esitazione da lui dimostrata nell’accogliere con soddisfazione, con divertimento e sarcasmo l’involontario tributo così offertogli dalla propria avversaria, nell’averlo tanto repentinamente identificato; avrebbe allora dovuto essere considerata non meno impropria rispetto all’impiego di quel “ancora” di troppo da parte della stessa mercenaria, per il quale, oggettivamente, non avrebbe saputo concedersi spiegazione alcuna, giustificazione di sorta. Non, quantomeno, senza spingere il proprio pensiero, la propria attenzione, al breve confronto avuto con Be’Wahr solo poco prima, e a quella sua denuncia di un ancor inspiegato déjà vu…

« Non sono solita dimostrare neppure la benché minima esitazione nel riconoscere lo sterco, quando lo trovo in mezzo alla strada… ma non per questo me ne compiaccio, né gioisco o riconosco in sua direzione una qualunque forma di rispetto. » commentò ella, per tutta risposta, a voler minimizzare il valore proprio di quell’interprestazione, in qualunque direzione egli avrebbe allora voluto sospingersi nel volgerla a proprio sostegno, a proprio supporto, fosse anche soltanto emotivo « E con questo non intendo voler negare allo sterco la propria utilità, differentemente rispetto a quanto non si possa dire di te. » concluse, senza lasciar trapelare una qualunque ironia nelle proprie parole, un qualunque intento di scherno nei propri toni, ma solo la freddezza propria di una condanna, di una sentenza inappellabile.

… possibile che le sensazioni di Be’Wahr, quel suo errore involontario e la reazione di Nessuno al medesimo, avessero allora a potersi considerare in qualche misura fra loro collegate?
Nel considerare quanto ella non fosse solita credere né nel fato, né nelle coincidenze, difficile sarebbe stato per lei evitare di impegnarsi nel cercare un’equazione comune nella quale riuscire a fare collimare quanto, in tal modo, in suo possesso, per quanto quasi vizioso avrebbe potuto essere considerato tal tentativo. Purtroppo, malgrado ogni sforzo, e senza precludersi alcuna possibilità, per quanto improbabile se non, addirittura, formalmente impossibile; alla sua attenzione non sembrarono riuscire a emergere dettagli utili a concedere una qualunque chiave di lettura idonea a correlare in maniera razionale o irrazionale simili eventi, in quadrandoli all’interno di un’interpretazione comune.
Una difficoltà che, ovviamente, non le avrebbe impedito di affrontare ancora una volta Nessuno, ove fosse stato necessario, né, tantomeno, di castigarlo nuovamente per la sua insolenza, se avesse continuato a offrirsi a lei con quei toni e quell’ardire che, in passato, gli erano già costati entrambe le mani.

« Rammentavo un vocabolario più forbito rispetto a questo, mia cara… » ironizzò lo spadaccino, dimentico delle parole con cui egli stesso si era appena presentato sulla scena, non più eleganti o raffinare rispetto a quelle in tal modo dedicategli « Evidentemente, quando non si hanno risorse migliori da impiegare, non si può ricorrere a null’altro che agli insulti. » puntualizzò, sollevando le proprie lame innanzi a sé nel mentre in cui allargò appena le gambe, apparentemente a cercare sfoggio per il proprio nuovo armamento, ma sostanzialmente a rendere propria una maggiore stabilità, in quella che, senza difficoltà avrebbe dovuto essere intesa qual una posizione di guardia.
« In verità ho già offerto ammenda allo sterco… » ribadì ella, scuotendo il capo a negare il senso proprio di quella critica, di quell’osservazione per così come formulata « E se solo tu prestassi attenzione anche a qualcosa di diverso rispetto alla tua stessa voce, Nessuno, forse potresti sperare di apprendere qualcosa e, perché no, di imparare dai tuoi errori. »  gli volle consigliare, ancora senza palesare particolare sarcasmo in quela definizione « Possibile, altrimenti, che tu sia così orgoglioso per le tue nuove estremità da non riuscire a cogliere lo sfregio che esse rappresentano, nella sconfitta impietosa che, l’altra volta, ti ho imposto a fronte della tua stolida insistenza? » argomentò, a concedergli quello qual ultimo, generoso avvertimento.

Con un movimento tanto plateale quanto sostanzialmente vano a qualunque fine pratico, il biondo antagonista della Figlia di Marr’Mahew lasciò allora ridiscendere verso il suolo entrambe le proprie sciabole, strofinando rumorosamente e in maniera prolungata la lama dell’una contro quella dell’altra, a generare una superflua, ma esteticamente affascinante, pioggia di scintille dorate innanzi a sé, probabilmente nell’intetno di lasciar impressionata o, addirittura, intimorita, la propria controparte.
Suo malgrado, tuttavia, né lei, e neppure qualunque altro spettatore di quella stessa dimostrazione di forza, fra tutti gli avventori della locanda lì attorno presenti e arrestatisi nei propri impegni, nelle proprie occasioni di distrazione ricreativa alle quali, erano quietamente certi, presto sarebbero ritornati a offrire attenzione; non gli concessero la soddisfazione di palesare la benché minima evidenza di coinvolgimento per quel gesto fondamentalmente privo di qualunque significato, di qualunque valore pratico, lasciandosi incantare dal medesimo allo stesso modo in cui si sarebbero concessi di lasciarsi incantare nel potenziale confronto con un suo rigurgito… al quale, forse e addirittura, avrebbero persino offerto maggior interesse.


lunedì 25 febbraio 2013

1863


Assolutamente confidente con tale pensiero, e con l’influenza della quale avrebbe potuto offrire vanto nel confronto con la psiche del proprio amato, pertanto, ella non si sarebbe certamente sottratta innanzi alla possibilità di un nuovo confronto con lui, resa in ciò addirittura dolcemente crudele al pensiero di quanto, comunque, egli non avrebbe potuto permettersi eccessiva possibilità di interazione con lei, in conseguenza a quell’editto da lei stessa impostogli e tale da costringerlo a rinnegare, almeno pubblicamente, l’esistenza di qualunque legame con lei, a prevenire il rischio di spiacevoli e tragiche ritorsioni che avrebbero potuto trasformare il loro rapporto in una danza costante con la morte.

« Considerando la tua personale esperienza nel campo dei tesori, non desidero neppure tentare di controbattere sotto un tale profilo. » replicò Be’Sihl, incrociando le braccia al petto e volgendo lo sguardo verso la sala a loro antistante, per non dimostrarsi particolarmente interessato a lei, benché, oggettivamente, il suo solo desiderio, in quel momento così come sempre, sarebbe stato quello di spingersi contro quel magnifico corpo con il proprio, cercandone con foga le labbra per uno, dieci, cento… mille baci, quasi da ognuno di essi avesse da giudicarsi dipendere la propria sopravvivenza, il proprio destino, il proprio domani così come, forse e dopotutto, realmente dipendeva, amandola oltremodo e non potendo, sinceramente, immaginare la propria vita al di fuori della luce che ella era in grado di donargli « Mi domando solo quali immani prove abbiano da considerarsi necessarie per dimostrarsi degni della conquista di un simile trofeo. » soggiunse, cercandola alla propria destra, con la coda dell’occhio, per una fugace possibilità d’incontro con le gemme color ghiaccio che adornavano il centro di quel viso adorato.
« Mmm… » sorrise ella, con aria volutamente sorniona e maliziosa, divertita dalla piega presa da quel loro dialogo e, ora, curiosa di comprendere verso quale conclusione avrebbe potuto sospingersi « Be’Sihl Ahvn-Qa… dopo tutti questi anni sei ancora capace di sorprendermi! » asserì, nel mentre in cui a propria volta incrociò le braccia al petto, sotto ai maestosi seni, benché la posizione così assunta, in conseguenza all’assenza della propria estremità destra, avesse da riconoscersi meno naturale di quanto non avrebbe potuto gradire fosse « Non avrei mai immaginato che, nel profondo del tuo animo, si celasse l’istinto dell’avventuriero, del cacciatore di tesori. Non è che ti offrirai di accompagnarmi al recupero della prossima reliquia, ora?! » lo canzonò, non animata dal desiderio di ferirlo, di offenderlo, quanto e solo da quello di scherzare con lui, quasi tornata a essere bambina in sua compagnia.
« Chi può dirlo…? » si strinse nelle spalle egli, non negandosi la possibilità di un sorriso divertito, inarcando l’angolo destro delle labbra, quasi quell’idea, effettivamente, lo sollazzasse « Tutto dipende da come andrà la conquista del tuo sorriso. » soggiunse poi, non volendo rinunciare a tale proposito, desiderando realmente poter godere di quell’occasione, e della gioia da esso per lui derivante « Hai voglia di dirmi, quindi, quali imprese mi è chiesto di compiere per ottenerlo? Presumo che debba essere qualcosa di improbo, degno degli eroi dell’epoca del mito, e…»
« Amami. » sussurrò la Figlia di Marr’Mahew, in un alito di voce, interrompendolo improvvisamente in quel proprio intervento e replicando d’istinto alle sue parole con quella richiesta spontanea, sincera, appassionata, che fuoriuscì dalle proprie labbra senza quasi che, da parte sua, vi fosse una reale intenzione di esprimersi in tal senso, e che, un istante dopo averla scandita la vide maturare consapevolezza di aver, per una volta tanto, ceduto lei a quel loro giuoco, a quella loro intima disfida, benché non ne fosse minimamente dispiaciuta, crogiolandosi in quel senso di coinvolgimento quasi adolescenziale nella passione che solo da lui sapeva ottenere « Solo questo… amami. Amami come sai amarmi. Amami come sai farmi sentire felice e completa. Amami… Be’Sihl. Amami. E il mio sorriso sarà per sempre tuo. »

Una dichiarazione audace, quella che ella si volle riservare occasione di compiere, laddove, sebbene appena sussurrata, poco più che sospirata, avrebbe pur potuto raggiungere l’attenzione di orecchie indiscrete; ma alla quale, in quel particolare momento, la Campionessa di Kriarya non volle rinunciare, frenandosi già nel proprio desiderio di dire di più, di fare di più, qual, innanzi a quell’uomo, difficile risultava trattenersi dal dire, trattenersi dal fare, maledicendosi in cuor suo per i confini da lei stessa loro imposti e, in ciò, maledicendo anche tutti coloro a lei circostanti per essere lì, in quel momento, a negarle la possibilità di esprimere liberamente quanto avrebbe voluto esprimere, in parole e in azioni.
Una dichiarazione intensa e improvvisa, addirittura inattesa, che non poté pertanto evitare di sorprendere anche il locandiere, il quale non poté negarsi occasione di voltarsi verso di lei e, quasi, di sciogliere il legame nel quale aveva bloccato le proprie braccia, per tenderle alla ricerca di quel corpo non soltanto amato ma addirittura adorato, attorno al quale nulla avrebbero desiderato se non chiudersi, stringersi con dolcezza e con foga, con tenerezza e con passione, vivendo ogni aspetto del sentimento che li univa, che li legava e che per troppi anni si era negato occasione di palesare, nella consapevolezza di quanto ogni sforzo volto a tentare di afferrarla, sarebbe equivalso a quello volto a tentare di stringere fra le dita delle mani l’acqua del mare dal quale ella era nata, del quale ella era figlia.

« Arasha sa gestire questa locanda ormai meglio di me… » definì Be’Sihl per tutta risposta, deglutendo a fatica in conseguenza all’emozione provata nel confronto con quelle parole, con quella dichiarazione all’occorrenza della quale non si sarebbe potuto definire pronto neppur nel momento in cui ella lo avesse abituato ad ascoltar simili parole continuamente, così come, loro malgrado, non avevano altresì alcuna occasione di concedersi, nelle limitate occasioni d’incontro loro concesse da un fato avverso, e dalle differenti scelte di vita compiute « Io… io credo che… »
« … andiamo. » annuì la donna, aprendosi in quell’ampio e felice sorriso da lui ricercato, da lui desiderato, e ora, a lui tributato, per lui offerto, con la stessa meravigliosa semplicità di una nuova alba al termine della notte più oscura, del ritorno del sole dopo le tenebre più fitte, nella morsa delle quali impossibile sarebbe stato sperare nel ritorno della speranza e della vita « Non servono altre parole. » sancì, allungando tanto spontaneamente quanto incautamente le dita della propria mancina, sola mano rimastale, verso la destra dell’uomo, per poterle lì intrecciare alle sue, con una spensieratezza qual rare volte si era concessa occasione di vivere nel corso della propria esistenza, e che, pur senza un’apparente, concreta ragione a giustificarla, in quella notte non voleva negarsi possibilità di godere… e di godere appieno.

Ma dove anche, in tal contatto, entrambi avrebbero potuto dirsi già certi di come niente e nessuno avrebbe potuto turbare la loro serenità; le oscure trame di una sorte crudele e perversa vollero divertirsi a negare loro simile possibilità, tale occasione, concretizzando ogni parere avverso nella comparsa, proprio in quel momento, un attimo prima che potessero lasciare la sala principale per raggiungere le stanze riservate al locandiere, di un nuovo avventore, un vecchio e ormai dimenticato antagonista per la donna guerriero, il quale, imponendo la propria voce al di sopra del normale vociare dei commensali, si rivolse proprio alla mercenaria e al suo compagno, per arginarne la silenziosa ritirata, per ostacolarne la discreta fuga…

« Midda Bontor! Figlia di Marr’Mahew! Campionessa di Kriarya! » esclamò il nuovo arrivato, un biondo vestito elegantemente con due lunghe lame ricurve, da sciabola, in luogo a mani assenti, amputate all’altezza dei polsi, a non offrire dubbi nel merito di chi avesse da riconoscersi qual sua desiderata interlocutrice, il suo obiettivo finale « Dove credi di andare, madre di tutte le cagne? Dove pensi di poterti nascondere, signora di tutte le meretrici? » questionò, con tono sarcastico, ancor prima che realmente aggressivo, parole taglienti non di meno rispetto alle sue due spade.
E la donna guerriero così apostrofata, così richiamata e così disturbata nella propria tranquillità, non mancò di voltarsi a quella pur tanto trasparente provocazione, sbuffando con aria stanca e annoiata: « Nessuno… ancora?! »


domenica 24 febbraio 2013

1862


Sorridendo e scuotendo il capo, in risposta alle parole del compagno, Midda Bontor levò entrambe le mani qual segno di resa. O, per lo meno, fece il gesto di levare entrambe le mani, benché proprio malgrado privata della destra anche nel proprio surrogato metallico stregato. E giudicando necessariamente lì conclusa la questione, si voltò e si avviò nuovamente in direzione del bancone principale, dal quale si era fugacemente separata soltanto per quella rapida incursione al tavolo dei due alleati, dei due compagni di ormai molte avventure, più di quante, solo qualche anno prima, non avrebbe più ritenuto possibile condividere con un qualche gruppo di alleati, di complici, di fratelli d’arme così come, tuttavia, con loro era avvenuto.
Proprio malgrado, però, qualcosa nel profondo del suo animo l’aveva lasciata turbata alle parole di Be’Wahr, ai suoi dubbi sulla propria percezione della realtà. E, del resto, nel considerare quanto recentemente da lei vissuto, difficile sarebbe stato per chiunque offrirle ragione di torto a tal riguardo.
Ancora troppo nitido, vivido, infatti, era il ricordo dei momenti trascorsi all’interno del tempio della fenice, alla periferia di Krezya, là dove si era trovata a confronto con ben altre sei versioni di se stessa, sei Midda Bontor, suo pari, provenienti da realtà adiacenti alla propria, sufficientemente simili alla propria per aver spinto le proprie altre se stessa a raggiungere, insieme a lei, il medesimo luogo, ritrovando in tal senso la possibilità di una reciproca collaborazione, e pur sufficientemente diverse dalla propria da aver generato, ogni volta, un’altra sé contraddistinta da particolari, fisici e non solo, sufficientemente variegati. Sempre in tale occasione, quasi la confusione imposta alla sua mente non avesse da considerarsi sufficiente o adeguata, ella aveva anche scoperto di aver vissuto almeno due diverse vite oltre a quella che, ancora, stava vivendo, in momenti storici estranei al proprio, eventi che, in maniera più o meno diretta, l’avevano condotta a percorrere un cammino che, probabilmente, prima ancora di quanto avrebbe potuto apprezzare l’avrebbe vista affrontare gli eventi profetizzati, nei suoi sogni, dall’influenza dell’onniscienza degli scettri del faraone, due futuri, tutt’altro che remoti, che la fenice, o Portatrice di Luce, qual avrebbe dovuto iniziare a definirla pensando a lei, le aveva assicurato non dover essere necessariamente considerati qual scritti nella pietra, e nel confronto con le memorie derivanti dai quali, pur, ella non avrebbe potuto considerarsi definitivamente a proprio agio.
Nel considerare, pertanto, le altre sei Midda Bontor recentemente conosciute, con i loro drammi e le loro gioie; le due vite passate vissute e, fortunatamente, non ricordate, ove probabilmente conservarne memoria le sarebbe costato il senno; le due vite future a lei anticipate e, sfortunatamente, troppo ben presenti all’interno dei suoi pensieri; nonché il carico di pressione psicologica conseguente a tutto ciò che le era stato rivelato in merito all’eterno conflitto fra la Portatrice di Luce e l’Oscura Mietitrice,  in quel momento da intendersi parte della regina Anmel, il cui spirito aveva preso residenza nel corpo della propria gemella, nonché nemesi, Nissa Bontor; umanamente comprensibile, era certa, avrebbe dovuto essere considerata la propria preoccupazione all’idea di un pur semplice déjà vu probabilmente conseguente all’effetto di troppo alcool all’interno di un pur capiente stomaco, qual quello di Be’Wahr. Una preoccupazione, pertanto, forse immotivata, e nel confronto con la quale, non avrebbe dovuto concedere a se stessa di rovinarsi quella serata di potenziale riposo e svago, come, in definitiva, giustamente ma burberamente suggerito da Howe, il quale, aveva evidentemente preferito affrontare la questione con non deprecabile pragmatismo.
Ma, al di là di tutta la propria consueta e apparente freddezza, sarebbe mai riuscita, ella, a minimizzare realmente il valore di quegli eventi? O, vittima della propria concreta e mai disprezzata paranoia, sarebbe rimasta vittima di tali negativi pensieri, di simili preoccupazioni, per tutta la serata?

« Sai… non so perché ma non mi sorprende vederti così seria. » intervenne, a distrarla dai propri pensieri, una voce da lei non semplicemente apprezzata, ma più propriamente amata e in grado, con la propria semplice presenza nella sua quotidianità, di aiutarla a obliare a qualunque problema, a qualunque ansia, restituendole tutta quella serenità da lei abitualmente scordata, quasi considerata non necessaria benché, oggettivamente, scoperta qual indispensabile insieme a lui… insieme a Be’Sihl Ahvn-Qa, suo amato.
« Mi stai dando forse della musona?! » replicò ella, con tono di voce moderato, al fine di mantenere quel loro dialogo qual riservato, al sicuro da attenzioni a loro estranee, e alle quali non avrebbe voluto concedere la benché minima possibilità di coinvolgimento in tale questione « Per tua informazione, io ho uno splendido sorriso, mio caro… » puntualizzò, allora aprendosi in maniera sincera, seppur anche provocatoria, in un amplio ed, effettivamente, magnifico sorriso, che sembrò destinato a restituire la luce negata dall’assenza del sole alla notte, rischiarandola a giorno.
« Che il tuo sorriso sia splendido è fuori da ogni possibilità di discussione. » specificò egli, consegnando il vassoio carico di boccali vuoti da lui condotto seco a un garzone dietro il bancone, per liberarsi di tale ingombro e potersi concedere completamente a lei, con tutta la propria attenzione e tutto il proprio interesse, non desiderando altro « Dico solo che, purtroppo, non lo dispensi così generosamente come, probabilmente, servirebbe per rendere questo mondo un mondo migliore. »
« Adulatore. » ridacchiò la mercenaria, costretta, addirittura, a coprirsi le labbra con le dita della mancina, a tentare di celare tale reazione « E, comunque sia, proprio perché è un tesoro tanto prezioso, è giusto che il mio sorriso sia custodito con cura, invece che condiviso incautamente con troppa gente… non trovi?! » argomentò, giuocando attorno alle stesse parole da lui dedicatele, desiderando comprendere fino a quale punto sarebbe stata in grado di condurlo adeguatamente istigato.

Da ben prima della ridefinizione del loro rapporto in quanto allora e alfine accettato qual esistente fra loro, e, probabilmente, sin dal primo giorno in cui avevano avuto occasione di incrociare l’uno il cammino dell’altra, tanto la mercenaria quanto il locandiere avevano invero sempre provato diletto in quel genere di dialoghi, in quelle particolari occasioni di confronto verbale, costituite da continue e crescenti provocazioni volte a misurare sino a qual limite tanto l’uno quanto l’altra sarebbero stati psicologicamente in grado di sospingersi, in maniera più o meno apertamente maliziosa, prima di generare concreto imbarazzo nella controparte, tale da provocarne la resa, l’abbandono di campo nell’impossibilità a trovare un’ulteriore replica utile a ribaltare la situazione in proprio favore o, comunque, a favore delle proprie argomentazioni.
In tal modo, un tempo, era speso tutto quel tempo, sempre atteso, sembra bramato, e pur sempre raro, utile a permettere alla mercenaria di consumare la colazione che il locandiere non aveva, né avrebbe mai mancato di farle trovare pronta, benché in netto anticipo sull’orario d’inizio formale della propria attività, definendo, in tal modo, delle perfette occasioni utili a entrambi per godere del piacere della reciproca compagnia senza spiacevoli distrazioni, senza sgradevoli interferenze quali pur, in altri momento della giornata, non sarebbero mancate di subentrare. In tal modo, ancora al tempo presente, era speso qualunque momento che entrambi avevano la possibilità di trascorrere insieme, ancor atteso, ancor bramato, e ancor purtroppo raro, e al quale, tuttavia, non avrebbero mai rinunciato, ora come in passato. E se in passato, nella certezza dei propri sentimenti per la donna da subito amata, sovente era proprio Be’Sihl a ottenere la meglio in simili disfide, vedendo la donna arrendersi non appena il giuoco iniziava a crescere d’intensità in una direzione che ella si poneva ancora incerta a voler esplorare, più nel timore di compromettere quanto già esistente fra loro ancor prima che in conseguenza a un qualche, e mai esistito, disinteresse da parte sua nei confronti di quell’uomo da sempre riconosciuto qual straordinario; a seguito dell’evoluzione del loro rapporto, e dell’accettazione da parte di entrambi dell’amore fra loro esistente, quasi sempre era altresì la stessa Midda a predominare sul proprio compagno, complice e amante, laddove ormai priva di freni, priva di inibizioni psicologiche, emotive o morali, lasciava puntualmente, e sapientemente, crescere la tensione fra loro sino al momento in cui, per l’uomo, risultava impossibile ipotizzare di resisterle, di celare il proprio interesse per lei, il proprio desiderio per lei, se non nelle proprie azioni, quantomeno nelle proprie reazioni fisiche, in quella sempre incontrollabile eccitazione derivante dal pensiero di come, presto o tardi, quella donna gli si sarebbe alfine offerta, per nascondere la quale soltanto un tuffo fra le nevi delle vette dei monti Rou’Farth gli avrebbe concesso una qualche speranza.


sabato 23 febbraio 2013

1861


« Ehy… tutto bene, Be’Wahr? » domandò ella, lì avvicinatasi inizialmente sospinta dal desiderio di arginare qualunque eccessivo, e potenzialmente dannoso, interessamento da parte delle quattro prostitute ai volumi citati dai due amici, e pur, in quel momento, dimostratasi più interessata a ottenere delle rassicurazioni nel merito delle condizioni di salute del biondo, ancor prima di qualunque altro particolare, fosse anche quello rappresentato da quel piccolo tesoro nel merito del valore del quale alcuno dei due sembrava aver ancora maturato sufficiente consapevolezza, così come dimostrato dalla leggerezza con la quale tale argomento era stato affrontato, quasi avesse da considerarsi una curiosità nel merito della quale dialogare amabilmente attorno a un tavolo, senza preoccuparsi delle possibili conseguenze di troppa disponibilità « Mi sembri… strano. Pallido. » cercò di esplicitare il proprio dubbio, a motivare il perché del proprio interrogativo, della questione così formulata.
« Campionessa… » la salutarono, e in ciò la omaggiarono, quasi in coro le quattro ragazze, dimostrando, qual conseguenza del suo arrivo, un momento di imbarazzato disagio..
« Io… sì… » tentò di replicare il mercenario dal corpo strettamente fasciato in ormai non più candide bende, utili non tanto a mantenere protette delle ferite, quanto e piuttosto a celare la moltitudine di tatuaggi con i quali, errore di gioventù, aveva abbondantemente e irrimediabilmente decorato tutto il suo corpo, busto, schiena, spalle e braccia.
« Più strano del solito?! » propose Howe, ancora scherzoso, e ancora intento a cercare di minimizzare quanto accaduto, non per mancanza di interesse, di premura, verso il fratello, quanto e piuttosto nell’inalterato e sempre egoistico desiderio di non veder sfumare la serata di tranquillità e di svago per così come loro inizialmente offerta, quasi il solo preoccuparsi per eventuali problemi avrebbe potuto renderli più reali, più concreti di quanto possibilmente già non fossero.
« Be’Wahr…?! » insistette la mercenaria, non offrendo alcun credito alle provocazioni del mercenario di origine shar’tiagha, e, in quelle parole, invitando anche il biondo a fare altrettanto, concentrandosi su di lei e sulla propria implicita domanda, subito riproposta in maniera esplicita « Sei sicuro di sentirti bene, Be’Wahr…? »
« Sì… sto bene… » confermò questi, offrendole ora un sorriso tirato « Per un istante mi era sembrato di essere in grado di ricordare quanto stesse succedendo prima ancora che accadesse… però ora è passato. » condivise con lei quanto, del resto, già proposto a ogni altro astante attorno a quel tavolo, non avendo ragione per negarle simile spiegazione, benché, ormai, inapplicabile, dal momento in cui quelle ultime battute intercorse fra loro non avevano stuzzicato, nel profondo della sua mente, alcuna sensazione di già vissuto, così come pocanzi accaduto.

Midda Bontor, un tempo marinaio e avventuriera, successivamente e ancor allora mercenaria e avventuriera, divenuta professionista della guerra esattamente così come già lo era dei mari, aveva vissuto troppe situazioni bizzarre, troppe avventure al limite dell’incredibile e, non raramente, anche oltre tale confine, per potersi permettere di offrire critica alla propria innata paranoia, a quel sentimento di diffidenza nei riguardi di tutto e di tutti che, da sempre, le aveva permesso di sopravvivere a tutto e a tutti, ogni qual volta che qualcosa o qualcuno aveva attentato al suo diritto a godere di una nuova alba.
In grazia di ciò ella non avrebbe mai potuto minimizzare, al pari di Howe o, persino, dello stesso Be’Wahr, quella sensazione di déjà vu: non perché necessariamente indicativa di un qualche pericolo, di una qualche minaccia, quanto e piuttosto perché potenzialmente indicativa di un problema. Ed ella, per propria esperienza, era consapevole di quanto un problema latente, presto o tardi, sarebbe diventato un problema predominante… e predominante in misura tale, certamente, da diventare fonte di pericolo, e di pericolo letale, per tutti loro.
Meglio, pertanto e dal suo punto di vista, preoccuparsi inutilmente per una questione inesistente, piuttosto che ritrovarsi con una freccia in mezzo alla schiena per non essersi adeguatamente preoccupati quando se ne aveva avuto l’occasione. E nel considerare come, con una freccia in mezzo alla schiena, la Figlia di Marr’Mahew aveva già avuto spiacevole occasione di trovarsi, avrebbe fatto tutto il possibile per evitare di replicare la questione, metaforicamente e non.

« E ora è passato? » gli fece, così, ritardato eco, ripentendo forse retoricamente quelle parole, per cercare un’ulteriore conferma, atta a garantirle relativa certezza nel merito che il fenomeno, di qualunque natura avesse da considerarsi, fosse realmente concluso « Niente più strane sensazioni…? »
« … ma dici sul serio?! » intervenne Howe, aggrottando la fronte con fare critico nei confronti della compagna, quasi non approvasse, da parte sua, tanto interesse a tal riguardo « Ha bevuto troppa birra, tutto qui. Ancora un boccale e lo ritroveremo steso a terra a contare i sorci verdi che vedrà intenti a ballargli sopra la pancia. » auspicò, storcendo le labbra verso il basso in una smorfia di disapprovazione, forse per il fratello, forse per l’amica eccessivamente preoccupata per una questione da lui considerata qual inesistente « Ti preoccuperai anche per questo, quando accadrà? »
« Fossi in te, invece di preoccuparti di cosa io mi possa preoccupare o no, mi preoccuperei della mia salute, mio caro Howe… » replicò ella, volgendo ora i propri occhi color ghiaccio verso quell’interlocutore, con aria di trasparente rimprovero, ben lontana dal porsi desiderosa di tollerare quel comportamento, così come mai l’aveva tollerato in passato, ogni qual volta egli aveva ceduto a eccessiva insolenza, non per cattiveria, chiaramente, ma per semplice incapacità a offrire a ogni cosa il proprio giusto peso e, in ciò, a offrire anche alle proprie stesse parole la responsabilità per le quali, pur, non avrebbe dovuto o potuto considerarsi esente « Passa il tempo, ma talune cose non cambiano mai… non è vero?! » sorrise poi, più ironica che sarcastica, nel tentativo di stemperare la tensione.
« Hai ragione… scusami. » commentò allora egli, chinando appena lo sguardo, sinceramente pentito di essersi lasciato andare a un comportamento tanto stolido qual quello appena reso proprio, il quale, benché non inedito, non avrebbe per tal ragione dovuto essere giustificato.

Al di là di ogni possibile discussione intercorsa fra lei e Howe, Midda era comunque consapevole di quanto, allo stesso modo in cui teneva a Be’Wahr pur non risparmiandogli alcuna occasione di scherno, egli le fosse egualmente affezionato, in un legame che, se possibile, era stato reso ancora più forte in conseguenza alla disavventura che l’aveva visto perdere il proprio mancino e guadagnare, al suo posto, quella protesi dorata fortunatamente inanimata. In tale occasione, del resto, ella aveva condiviso con lo shar’tiagho una parte significativa del proprio passato, della propria più tragica storia e, benché non gli avesse raccontato ogni dettaglio, quanto egli aveva scoperto autonomamente era stato più che sufficiente a creare, fra loro, un vincolo decisamente forte, la complicità propria dei sopravvissuti.
Per questa ragione, benché egli non mancasse ancora e sovente di offrire il peggio di sé, in toni e scelte lessicali discutibili, in alcun caso avrebbe dovuto essere considerato assente, da parte sua, sincero e vibrante rispetto per lei. Un rispetto in nome del quale, inevitabilmente, finiva per tradursi in una richiesta di scuse, onesta e carica di rammarico, non appena veniva richiamato all’ordine, fosse anche e solamente con uno sguardo, uno sguardo intriso di maggior significato rispetto a quanto non avrebbero potuto renderlo proprio mille e ancor mille altri significanti.

« Non ti preoccupare. » minimizzò quindi la Campionessa di Kriarya, a conclusione di quella breve parentesi, per riportare l’attenzione a Be’Wahr, in attesa della sua conferma finale.
« Va tutto bene! » esclamò allora il biondo, sorridendo finalmente rasserenato « Probabilmente il mio fratellone ha ragione… devo aver bevuto una pinta di troppo. Anche perché, se davvero potessi ricordare gli eventi futuri, di certo non mi sarei fatto mancare il ricordo di questo momento! » sancì, trattenendosi a stento dallo scoppiare a ridere innanzi all’espressione penitente assunta da Howe a seguito del rimbrotto subito.


venerdì 22 febbraio 2013

1860


« Cosa vorresti alludere?! » domandò Be’Wahr, con fare retorico, desiderando concedere al proprio interlocutore, al proprio amico fraterno, compagno di una vita intera, occasione di ritrattare la propria posizione, il proprio intervento, se solo si fosse dimostrato sufficientemente sensibile da comprendere di aver esagerato, di aver detto una parola di troppo… qualche parola di troppo, allorché tacere e sprecare, in tal modo, un’occasione utile a canzonarlo, a stuzzicarlo, così come, da sempre, si divertiva a fare in ogni momento, in ogni contesto, includendo in ciò anche i momenti meno opportuni.
« “Alludere”? E’ questa la parola del giorno che hai imparato dal tuo nuovo libro?! » insistette Howe, del tutto indifferente all’occasione riservatagli, sorridendo divertito dall’indispettirsi della propria vittima preferita, per la difesa del quale, beninteso, sarebbe stato disposto a sacrificare la propria stessa vita, ma a provocare il quale non avrebbe mai rinunciato, per alcuna ragione al mondo, non in quella sera, non in altre occasioni.
« Figlio d’un cane! » replicò il biondo, in parte sorpreso, in parte irato in conseguenza al colpo basso assestato, in tal senso, dal proprio compagno, dal proprio primo alleato, il quale non parve conoscere freno neppure innanzi alla presenza di una doppia coppia di splendide ragazze verso le quali sarebbe stato preferibile reindirizzare ogni proprio sforzo, in luogo a spendere vanamente energie in quella futile e infantile scaramuccia verbale « Eravamo d’accordo di non parlare di certe cose quando sia… ehy… » si interruppe, lasciando rapidamente scemare l’imbarazzo avvampato sul suo stesso viso nel confronto con le ultime parole subite, con quell’ultima offensiva pur sgradita, distratto allora da un diverso pensiero, una preoccupazione che, per un fugace istante, risultò più che esplicita nei suoi grandi occhi blu.
« Mmm…?! » esitò lo shar’tiagho, incuriosito da quella reazione, inattesa e insoddisfacente, nell’aver sperato in qualcosa di più da parte dell’altro, una risposta più intensa sulla quale potersi riservare una grassa risata, in tal modo altresì negatagli « Che ti prende ora? » domandò numi, voltandosi appena per cercare una qualche possibile ed eventuale ragione atta a giustificare quell’interruzione, quell’ilarità mancata « Hai forse visto un fantasma?! »
« Un fantasma?! » fecero eco due delle quattro professioniste in loro compagnia attorno a quel tavolo, dimostrando di non apprezzare in alcun modo una tale eventualità, loro malgrado riconosciuta qual tutt’altro che metaforica, tutt’altro che iperbolica e, anzi, per loro terribilmente seria e inquietante, soprattutto alla luce di quanto accaduto entro quelle stesse mura diversi mesi prima.

Malgrado qualche stagione si fosse ormai alternata da allora, non era ancora passato sufficiente tempo per garantire a loro, così come a ogni altro abitante della città del peccato del regno di Kofreya, occasione di obliare il ricordo del negromantico orrore che aveva invaso la stessa Kriarya per troppe notti, prendendo crudele controllo delle loro vite, e dei loro sogni, in una misura molto più profonda e inquietante di quanto alcuna fra le stesse avrebbe mai gradito ammettere.
E benché, in tale occasione, fosse stata inizialmente e ingiustamente accusata proprio la Figlia di Marr’Mahew della responsabilità per quanto accaduto, l’impegno che questa aveva posto per ristabilire il giusto ordine all’interno della propria città adottiva aveva sicuramente posto le prime basi per l’instaurarsi di quella stessa approvazione popolare che, di lì a qualche tempo, l’avrebbe fatta acclamare con il titolo di Campionessa di Kriarya, nel e dal giorno in cui, all’unanimità, i lord della città, da sempre in guerra fra loro, avevano deciso di eleggerla di tale responsabilità e di tale potere al fine di salvare tutti quanti dalla minaccia propria dei terrificanti mahkra, così come, effettivamente, per sua grazia era alfine accaduto, lasciandole conquistare, legittimamente, un posto importante nel cuore di tutti coloro che a lei dovevano la propria sopravvivenza, la propria inalterata esistenza in vita.

« No… » scosse il capo Be’Wahr, riprendendo voce dopo un attimo di silenzio e subito escludendo simile argomentazione, anche a rassicurare le ragazze a loro vicine « Nessun fantasma. Solo una strana sensazione di déjà vu. » spiegò, anche ove, così facendo, si sarebbe pericolosamente esposto alla possibilità di un nuovo attacco da parte del proprio fratello di vita « So che è assurdo, ma sarei pronto a scommettere di aver già vissuto questa scena. »
« Devi aver bevuto un po’ troppa birra per stasera, fratellino! » non lo deluse Howe, canzonandolo come previsto e, pur, intervenendo in tal senso con minor aggressività rispetto a quella che avrebbe pur potuto rendere propria, quasi frenato da un sentimento di premura innanzi a quella strana sensazione da lui dichiarata « Ti consiglio di fermarti alla quinta pinta… prima di iniziare ad avere allucinazioni ben peggiori! »

Tranquillizzate da quell’ultimo scambio di battute, le prostitute in loro compagnia, prima agitatesi, tornarono a rilassarsi e, addirittura, si concessero una collettiva, breve risata a quelle ultime parole, in ciò desiderando impegnarsi a esorcizzare l’inquietudine precedente, ancor prima che a partecipare, realmente, al giuoco imbastito fra quei due mercenari, loro clienti per quell’intera notte.

« Certo che voi due siete proprio strani… » commentò una delle ragazze sedute accanto a Howe, quella alla sua sinistra, tornando a adagiarsi, placidamente, contro al suo petto seminudo « Piuttosto… il tuo amico dice la verità?! Possiedi realmente un libro? » soggiunse poi, ritornando all’argomento rimasto precedentemente in sospeso, nel rivolgere, ora, la propria attenzione in direzione di Be’Wahr.
« Beh… sì. » annuì il biondo, ascoltando con interesse quelle parole, non tanto per il significato in esse esplicito quanto, apparentemente, alla ricerca di qualcosa di più profondo, qualcosa di poco palese e pur, non per questo, di poco importante « In effetti ne possiedo due… » confermò, quasi con distrazione.
« Mmm… » gemette un’altra delle ragazze, in particolare, ora, quella a lui stretta a destra, in ciò, ove possibile, comprimendo maggiormente contro di lui le forme dei propri seni, sodi e abbondanti e, praticamente, per nulla protetti, né alla vista, né al tatto, nell’offrirsi semplicemente avvolti in una seta tanto leggera e trasparente che nulla avrebbe riservato all’immaginazione « Non hai idea di quanto sia eccitante sapere che dietro a un corpo così magnificamente scolpito si celi anche una ment… »
« … una mente edotta?! » la accompagnò e la anticipò lo stesso Be’Wahr, sgranando gli occhi con fare ancora una volta sorpreso, e quasi disturbato, nel cercare una retorica conferma a una teoria inespressa e, in effetti, ancor neppure formulata, ove difficile, per lui, sarebbe stato cercare di comprendere cosa stesse realmente accadendo, per quale ragione, in quella serata, ogni battuta gli appariva qual terribilmente nota, in una misura tale da offrire nuovo significato al termine déjà vu da lui stesso pocanzi citato.
« Sì! Certamente! » scoppiò a ridere la giovane professionista, non cogliendo l’inquietudine del proprio interlocutore e, anzi, trovando occasione di che ridere, di nuovo e, finalmente, con sincerità, a quelle parole, a quel suo impegno ad anticiparla, inteso, ancora, qual volto a intrattenerle, e non a palesare qualcosa di diverso, e di molto più serio… almeno dal suo personale punto di vista.
« L’avevo detto io: troppa birra! » tentò di minimizzare Howe, accigliandosi all’espressione del fratello ma, forse per pigrizia, forse nella speranza di non vedere la serata prematuramente rovinata, almeno per così come da lui desiderata, non sforzandosi di riservargli eccessivo valore, particolare peso, aggregandosi, alfine e addirittura, alla risata della prostituta, con tutte le proprie migliori intenzioni.

A intervenire allora in soccorso del biondo, non fraintendendone le emozioni, né cercando di ridicolizzandole, ma, anzi, di riservare loro tutta la più corretta e giusta importanza; fu una voce rimasta sino a quel momento inedita in quel contesto, in quella scena, e che pur alcuno fra i sei protagonisti lì riuniti avrebbe potuto non riconoscere immediatamente. La voce di Midda Bontor, Figlia di Marr’Mahew e Campionessa di Kriarya… collega, alleata e amica dei due uomini, della coppia di fratelli mercenari; e, all’interno delle mura di quella specifica locanda, de “Alla Signora della Vita”, che da lei, ma non per sua volontà, aveva preso nome, anche anfitrione delle quattro donne, delle quattro professioniste.


giovedì 21 febbraio 2013

1859


« Restatene fuori, voi altri! » intimò lo sconosciuto ammantato, riprendendo parola ora in direzione dei due fratelli, di vita e d’arme seppur non di sangue, nella volontà di prevenire una qualunque possibilità di coinvolgimento da parte loro nella questione, evidentemente non desiderando condividere l’idea di essere stato lui stesso a coinvolgerli nel momento in cui aveva scelto un tanto plateale, e superfluo, metodo per richiamare a sé l’interesse della donna guerriero ricercata qual propria, sola controparte « Sono venuto qui per lei… per lei e nessun altro. Benché, non per questo, eviterò di riservare la benché minima occasione di immunità ad alcun altro, laddove mi dovesse essere posta sfida… »
« Nessuno! » ottenne finalmente possibilità di pretendere attenzione la donna guerriero, lasciando tuonare la propria voce nella notte di Kriarya, nel richiamare il proprio avversario per nome, o, quantomeno, facendo ricorso al nome che ella stessa gli aveva attribuito qualche tempo addietro, in occasione del loro primo e unico precedente incontro « Credo che questa volta tu abbia fatto i calcoli. Perché non hai cercato soltanto di uccidere me, dando fuoco alla mia locanda… ma anche tutti coloro che, come me, avevano trovato ospitalità in quelle mura per questa notte! »

Un errore di valutazione, quello già intimamente notato probabilmente dai più, e non solo dal sovente ingenuo Be’Wahr, e allora pubblicamente evidenziato dalle parole della Campionessa della città del peccato, il quale avrebbe potuto allora costare estremamente caro all’uomo riconosciuto come Nessuno, benché il suo vero nome fosse Rimau Coser. Perché, come così giustamente osservato, egli non avrebbe potuto pretendere di limitare in alcun modo lo scontro che di lì a breve lo avrebbe visto letteralmente linciato dalla folla inferocita, non avrebbe potuto pretendere in alcuna misura di ridurre la questione a un duello privato fra loro, non, per lo meno, dopo aver compiuto un gesto tanto stolido, qual quello, proprio all’interno dei confini di quelle tanto particolari dodici mura, popolate da mercenari e assassini, ladri e prostitute, nessuno fra i quali avrebbe avuto ragioni di rimorso a richiederne la testa e la vita, più in generale.
Fu però proprio in quel momento che la seconda, ancor non apprezzata, sempre non ricercata, e pur, ineluttabilmente, impostale, sorpresa, ora più emotiva che razione, venne riservata alla stessa Figlia di Marr’Mahew, con tutto il proprio tragico carico di morte. Perché, alle sue spalle, quasi a commento della sua ultima asserzione, un frastuono sordo attrasse ogni attenzione, ogni interesse, nuovamente verso l’edificio in fiamme, nel quale, così evidentemente quanto, quasi, discretamente, qualcosa ebbe a cedere, a infrangersi, vedendo la sua struttura interiore in legno implodere in un suono reso inevitabilmente raccapricciante dalle grida di dolore e di morte che, con esso, si levarono verso l’alto dei cieli, verso la luna e le altre stelle, quasi in atto di rimprovero verso tutte loro, o forse e addirittura verso gli dei lassù e oltre ancora, che alcuna premura vollero concedere a quei malcapitati, a quelle vittime senza colpa alcuna, ignari olocausti nel fuoco dell’insensatezza, di una scelta priva di ragione o significato. Un orrore che, all’attenzione della mercenaria, ebbe a riconoscersi a dir poco qual sconvolgente non tanto nel confronto con l’idea di volti sconosciuti e a lei estranei, qual sicuramente sarebbero dovuti essere riconosciuti i più là dentro, quanto e di gran lunga peggio, con il costretto, temuto e pur ineluttabile pensiero di colui che, in quel macabro conteggio non avrebbe potuto evitare di includere, dolorosamente certa di come, sin quando tutti non fossero stati evacuati dalla locanda, qual non erano stati, egli… il suo amato, non avrebbe mai accettato la mera idea di ripiegare, di porre se stesso in salvo, qual, del resto, non aveva neppure preso, per un istante, in egoistico esame.

« B…Be…Be’S… » tentennò, per un fugace istante così sconvolta, così distrutta, così prossima alla follia, da non essere neppure in grado di esprimersi in maniera adeguata, nel cercare di scandire, in un grido lì ridotto a un rantolo soffocato, il nome del proprio dolce locandiere, di colui che, in quella trappola di fiamme e fuoco, stava allor bruciando, senza alcuna speranza di futuro, senza alcuna possibilità di domani, al di là di quanto i loro progetti per quella notte fossero allora stati o meno prematuramente interrotti « Be…Sihl… » singhiozzò, tentando con tutta se stessa, con tutta la propria forza di volontà, di illudersi che quanto era avvenuto non fosse realemnte occorso, che quanto era successo non avesse da intendersi qual la fine di ogni suo sogno d’amore e di felicità, benché a poco o a nulla valse ogni sforzo in tal senso, se non, soltanto e ancor peggio, a spingerla sul baratro del precipizio, in prossimità alla più totale perdita di senno.
« Lohr! » esclamarono, quasi in coro, Howe e Be’Wahr, nell’appellarsi al loro dio prediletto, elaborando a loro volta il pensiero di quale tragica morte avrebbe dovuto essere allora conteggiata all’apice, o in coda, a una lista ancor completamente da definire, una lista di morte redatta soltanto a opera di quel Nessuno, chiunque egli fosse « Be’Sihl era ancora lì dentro…. » soggiunse il biondo, subito seguito, in tale forse inutile, forse altresì irrinunciabile, constatazione, a dar corpo nelle proprie parole, con la propria voce, a tutte le peggiori paure, a tutti i più folli incubi, del fratello, non più sereno di quanto non avrebbe potuto vantare di essere lui stesso in quel momento « … ha ammazzato Be’Sihl! Quel maledetto figlio d’un cane rognoso ha ammazzato Be’Sihl! »

E se la solidarietà per la loro Campionessa e la rabbia per il rogo nel quale erano quasi rimasti coinvolti, non avrebbero dovuto essere lì riconosciute ragioni più che sufficienti, alla folla, per pretendere la vita dello straniero; la morte quell’uomo giunto da Shar’Tiagh quasi vent’anni prima, quasi senza nulla con sé, e in grazia alle sole proprie forze divenuto una delle poche figure indipendenti all’interno della città del peccato, sembrò allora essere per tutti la dimostrazione di quanto, nel riversarsi in contrasto a quell’individuo ammantato, tutti loro non avrebbero soltanto punito un idiota, ma, soprattutto, condannato un omicida. Un omicida che, quella notte, aveva ucciso senza alcuna ragione, senza alcuna motivazione, né di denaro, né di passione, e per questo privo di qualunque possibile rispetto o, comunque, giustificazione, neppur nel confronto con l’apparente assenza di qualunque valore, di qualunque regola, caratteristica di quella tanto particolare capitale kofreyota: valori e regole, principi di convivenza civile, in verità, neppur lì mai rinnegati nella loro esistenza, seppur opportunamente epurati da tutta quell’ipocrisia, e da tutto quel perbenismo, che forse, altrove, avrebbe visto quella tragedia, quella strage, minimizzata dietro a una ben poco comprovabile definizione di incidente.

« A morte l’incappucciato! » gridò, per primo e con rabbia sincera, dolore vivo e pulsante, la voce del giovane Seem, il quale, in quell’incendio, non aveva perso soltanto un amico e un benefattore ma, entro certi sensi, la figura per lui più prossima a quella di un padre, nel considerare l’intera storia della propria esistenza « A morte l’assassino! »

Arginando con devastante impeto, ogni altra possibile ricerca di vendetta nei riguardi di Nessuno, fu, allora e tuttavia, un urlo inatteso e quasi disumano, un grido così violento, così iracondo e così terrificante da parte di colei che, oggettivamente, non avrebbe potuto evitare di condannarsi qual sua corresponsabile, per quanto, almeno nelle proprie intenzioni a lei rivolte, ricercata qual unica antagonista.
Un funereo lamento emesso, in tanto tragico contesto, dalla gola di Midda Bontor, un tempo donna gelida e controllata, fredda e distaccata…

« No! » ruggì, o forse ululò, con il volto rigato da calde e inarrestabili lacrime, che neppure si sforzò di celare, di mistificare, di negare nella propria irrefrenabile foga « Nessuno lo tocchi, perché quel Cadavere è mio! Deve essere mio! »

E, maturando tardivamente, e forse soltanto nel confronto con l’espressione della controparte, una qualche consapevolezza nel merito della reale portata del proprio sbaglio, dell’errore per così come compiuto e come privo di possibilità di rimedio; Nessuno, o Cadavere che dir si volesse, non poté ovviare a una preghiera nel confronto degli dei tutti, e di Morte, propria signora, nel comprendere quanto privo di ogni prospettiva ormai, avrebbe dovuto essere condannato il suo domani… repentinamente vanificato.


mercoledì 20 febbraio 2013

1858


Per propria fortuna, Midda non si ritrovò realmente costretta ad abbattere ogni singola porta presentatale innanzi per portare a termine l’evacuazione del personale della locanda. Evidentemente, per quanto profondo avrebbe eventualmente potuto essere considerato il sonno ristoratore nel quale i garzoni dovevano aver cercato rifugio, soprattutto a seguito dell’ennesima serata contraddistinta da molto lavoro e da troppe poche occasioni di pausa come sempre in quel particolare genere di impiego; l’atavico, il primordiale sentimento di timore, se non di terrore, conseguente al pensiero del fuoco, e di una morte a esso ricollegabile, riuscì a superare ogni possibile indolenza, ogni pur giustificabile pigrizia, svegliando tutti quanti con maggiore veemenza di quanto ella stessa non avrebbe potuto attendersi di ottenere, vedendoli, in ciò, fuoriuscire rapidi e decisi dai propri alloggi, per riversarsi in maniera sufficientemente ordinata lungo la migliore via di fuga individuata attraverso le fiamme, inaugurata, solo pochi istanti prima, dalla coppia formata da Arasha e Seem.
Malgrado ciò, e animata in tal senso, più che dalla preoccupazione per una possibile vittima innocente, dal timore di poter deludere il proprio amato, nel confronto con l’incarico che egli le aveva riservato; ella non si volle permettere di considerarsi realmente soddisfatta di quanto compiuto sino a quando non si concesse occasione di controllare l’effettivo abbandono di quell’area della locanda stanza dopo stanza, assicurandosi, in tal maniera, che alcun ritardatario o, peggio, alcun assopito, potesse essere lì involontariamente dimenticato a bruciare. Così, solo quando fu assolutamente certa che non soltanto i dormitori fossero stati abbandonati, ma, con essi, anche le cucine e la dispensa, pur serenamente ritrovate vuote esattamente quali avrebbero dovuto essere a quella tarda ora; la Campionessa di Kriarya, decisamente accaldata malgrado la propria parziale nudità, e tutt’altro che desiderosa di permanere all’interno di quell’enorme brace a lasciarsi abbrustolire, accolse con soddisfazione l’idea di allontanarsi da lì, di porre il maggior spazio possibile fra sé e l’incendio, e di riabbracciare, così come non voleva concedersi occasione di dubitare, il proprio dolce locandiere, a dispetto di ogni prudenza, di ogni tentativo di mistificazione sino ad allora reso proprio nella volontà di proteggere la riservatezza della loro relazione.

« Spero che nessuno sia rimasto indietro… » commentò ad alta voce, anche laddove, in tal modo, ella si rivolse più a se stessa che a un qualche, effettivo, interlocutore, ove alcuna controparte le era rimasta prossima in quel frangente, a lasciarsi bruciare, suo pari, la gola e gli occhi dal fumo, non di meno di quanto le fiamme non avrebbero presto potuto compiere con le carni e le ossa « L’atmosfera, da queste parti, si è fatta troppo calda. E non come speravo sarebbe accaduto questa notte. » soggiunse, ironizzando amaramente e cercando di sfogare, in quel cupo umorismo, tutta la propria frustrazione nell’osservare la locanda, la propria locanda, così rinnovata e così magnifica, per come ella l’aveva voluta erigere nuovamente, essere consumata da quell’incendio maledetto.

Un incendio, forse e dopotutto, lì propostole dal fato qual una sorta di vendetta poetica, a compenso di quando ella stessa aveva avuto l’insana idea di appiccarne un altro, entro quelle stesse mura: più modesto, ma non per questo più gradevole o meno distruttivo, meno potenzialmente letale. Ma se, in tale trascorsa occasione, ella era stata carnefice per quelle mura entro le quali, pur, sempre sicuro rifugio le era stato offerto e garantito, insieme all’affetto sincero e assoluto di quell’uomo che troppo tempo aveva sprecato prima di iniziare a considerare il proprio uomo; ora, in quel drammatico e attuale momento, la mercenaria non avrebbe potuto che essere riconosciuta qual vittima, al pari della locanda che, insieme al locandiere, aveva voluto rendere propria.

« Maledizione… » gemette e concluse, storcendo le labbra verso il basso, nell’intraprendere, a propria volta, quel cammino verso la salvezza, sperando che qualunque sadico disegno del destino, o di chi per esso, avesse da considerarsi concluso in quel già sgradevole affondo.

Per propria sfortuna, ad attendere il suo ritorno a contatto con la fresca e frizzante aria della notte nella città del peccato, a negarle qualunque ormai vana speranza di tranquillità in quelle ore di oscurità ipoteticamente dedicate al riposo e alla dimenticanza di qualunque problema, di qualunque affanno, e a ridurre ogni pensiero nel merito della prematura distruzione della locanda a un’inezia priva di valore, priva di significato; furono allora due spiacevoli sorprese, due inattesi sviluppi, che dimostrarono sufficiente tatto, adeguata premura, per non offrirsi né concorrenti, né subitanei, ma che, non in grazia di ciò, avrebbero potuto essere da lei considerati prevedibili, o previsti, nella propria occorrenza, né, tantomeno, più facilmente, più serenamente, più quietamente gestibili nelle proprie conseguenze, in quanto, per mezzo di loro, le fu non soltanto spiacevolmente, ma addirittura tragicamente destinato.
La prima non apprezzata, non ricercata, e pur impostale, ragione di disorientamento, più razionale che emotivo, fu la scoperta, né complessa né impegnativa, del responsabile dell’incendio, così come egli stesso ebbe l’arroganza di annunciare senza palesare alcun pudore, alcun imbarazzo, o, in termini indubbiamente più salubri per il mantenimento della propria esistenza in vita, alcun timore, non appena ella sopraggiunse a portata della propria voce, fuoriuscendo dall’edificio in fiamme…

« Midda Bontor! » volle attrarre la sua attenzione una voce tutt’altro che estranea alla sua memoria, benché in essa presente non dissimile da un eco lontano, e ormai quasi dimenticato, ricordo di un incontro privo di significato o valore occorso troppi anni prima « Eccoti qui, Figlia di Marr’Mahew! Eccoti qui, Campionessa di Kriarya! Eccoti, signora di tutte le cagne, madre di tutte le meretrici! » la salutò, in parte ricorrendo a due titoli già più che noti, e in parte proponendo due epiteti tanto innovativi, quanto per nulla cortesi « Nel tuo indugiare a offrirti a me, per un lungo istante, ho temuto che le fiamme dell’incendio da me appiccato avrebbero potuto privarmi del piacere di ucciderti con le mie stesse mani… se mi perdoni l’eufemismo. »

Anticipando, tuttavia e allora, ogni possibilità di replica da parte della stessa mercenaria lì pretesa qual sola interlocutrice, altre due furono le voci maschili che vollero riservarsi occasione di intervento in risposta a quella dell’incappucciato che, in tal senso, si era appena espresso.
Due voci che, a differenza di quella, non dimostrarono alcuna particolare ragione di ironia, alcun possibile sarcasmo nel proprio incedere, non riuscendo a riservare qual proprio uno stato d’animo adeguato, dopo essere stati costretti a rinunciare, a propria volta, a una lunga notte di diletto e di riposo, in conseguenza all’insana idea di trasformare una questione privata, qual pur avrebbe potuto essere gestita quella fra egli e la propria desiderata antagonista, in un caso pubblico, qual, in tal modo, era inevitabilmente divenuto…

« Chi accidenti è quell’idiota? » esclamò aspramente Howe, alle spalle della propria collega e compagna di ventura, tossendo a causa del fumo inalato « Con tutti i modi che aveva per sfidarti, doveva proprio sceglierne uno così stupido?! » domandò poi, forse rivolto alla stessa Midda, o forse a nessuno in particolare, nel formulare tale interrogativo con fare retorico « Giuro che dopo averlo ucciso, aspetterò che resusciti come zombie, solo per poterlo uccidere un’altra volta! »
« Una volta tanto sono costretto a concordare… se non nei modi, quantomeno nelle intenzioni. » ammise il biondo Be’Wahr, approvando la posizione assunta da parte del proprio fratello shar’tiagho nei confronti di quell’avversario, non dichiaratosi, esplicitamente, qual un loro avversario, e pur proclamatosi qual tale, e tale per tutti gli avventori della locanda, nel momento stesso in cui aveva cercato di farli arrostire tutti insieme là dentro « E dire che mi piaceva come Midda e Be’Sihl avevano risistemato la locanda… » soggiunse poi, offrendo evidenza di condividere, seppur in misura necessariamente diversa, il rammarico della propria amica, quasi sorella, e sorella maggiore, per la perdita di quell’edificio.


martedì 19 febbraio 2013

1857


Temprata, propria fortuna o proprio malgrado, da lunghi anni trascorsi a combattere in ogni condizione, in ogni situazione, in ogni ambiente, fosse il ponte di una nave nel bel mezzo di una tempesta, così come la frontiera fra due nazioni in guerra o, ancora, un’arida distesa vulcanica con l’aria satura di esalazioni venefiche; la Figlia di Marr’Mahew non ebbe comunque ragione di lasciarsi intimorire dal confronto con le fiamme dirompenti in misura tale da restare bloccata nei propri movimenti, nel proprio avanzare. Al contrario, ingiurie a parte, ella mosse rapidamente i propri passi in direzione delle stanze riservate al personale della locanda, ai garzoni lì impiegati e, ovviamente, alla bella Arasha, laddove era certa avrebbe anche ritrovato il proprio giovane scudiero, nonché ex-garzone, Seem.
Figlia di uno dei propri maestri d’arme, ed ascesa a un ruolo secondo solo a quello dello stesso locandiere in grazia alle proprie capacità e ai propri meriti nell’amministrazione della locanda durante il loro prolungato periodo di assenza nel corso del viaggio a nord, Arasha aveva infatti stretto un importante legame sentimentale con l’ultimo allievo del padre, al quale la mercenaria lo aveva affidato nella speranza di rendere meno probabile la sua prematura dipartita il giorno in cui, alla fine, l’avrebbe accompagnata in qualcuna delle sue avventure. Un legame, quello nato fra i due, che, per inciso, la stessa donna guerriero aveva decisamente apprezzato, assolutamente gradito, non appena le era stato reso evidente, nella consapevolezza di come, sicuramente, quella giovane donna avrebbe potuto rendere Seem un uomo molto più di quanto non lo avrebbe potuto fare il suo troppo presto dipartito padre, con i propri allenamenti, né lei stessa, con le proprie avventure. E, in ciò, non si sarebbe riferita banalmente a una questione di natura sessuale, qual sovente era minimizzato il concetto di passaggio all’età adulta da un punto di vista comune; quanto e piuttosto a quella crescita mentale e morale che, già in quegli ultimi anni, aveva dato evidenti frutti, facendo maturare quel fanciullo che, all’epoca del loro primo incontro, aveva dimostrato di ragionare per lo più in maniera infantile, al pari di un bambino, in un giovane che, finalmente, era in grado di assumersi le responsabilità di un uomo, qual ormai era diventato.

« Al fuoco! » gridò, con voce inevitabilmente resa roca dall’azione irritante del fumo, che su di lei stava evidentemente avendo maggiore effetto rispetto a quanto non avrebbe avuto piacere a considerare « Seem! Arasha! Non mi interessa se siete nudi… dovete uscire! » comandò, battendo con il pomello della propria spada contro la porta chiusa della camera della giovane, non violandola soltanto nella volontà di evitare spiacevoli momenti di possibile imbarazzo per la coppia, nel ritrovarsi possibilmente sorpresa in momenti troppo intimi, ma non per questo potendo loro concedere occasione di indolenza nella pronta risposta a quel suo ordine « Ora! »

In lode agli dei, Degan, il padre di Arasha, prima di morire aveva avuto occasione di compiere un ottimo lavoro con Seem, tale da permettergli di essere perfettamente efficiente anche ove convocato in maniera così poco canonica, come in quel momento. E, sempre in lode agli dei, Arasha aveva già offerto riprova di essere una ragazza estremamente sveglia, tale da non perdonarsi alcuna possibile esitazione nel confronto con un allarme del genere. Così, quasi in contemporanea con l’ultima esortazione scandita dalla mercenaria, la porta venne dischiusa, mostrando la coppia di giovani amanti decisamente meno vestiti di quanto non avessero avuto occasione di spingersi ad essere lei e Be’Sihl, offrendole, in tal senso, ragione di un fugace momento di invidia.

« Dei! » sobbalzò la giovane dai lunghi capelli neri e dalla pelle color della terra, rinunciando saggiamente, nel confronto con l’immagine della locanda in fiamme, a ogni senso del pudore, qual quello che, altrimenti, l’avrebbe sospinta a cercare di coprire le piccole, ma comunque femminili, forme dei suoi seni almeno dietro alle proprie mani, benché, nel confronto con la nudità della proprie interlocutrice, ciò sarebbe apparso quantomeno incoerente « Dobbiamo evacuare tutti quanti! » soggiunse, facendo propria quella stessa premura già espressa dal locandiere e comprovando, ancora una volta, ove necessario, quant’ella avrebbe dovuto essere effettivamente riconosciuta qual a lui maggiormente prossima rispetto persino alla stessa Campionessa di Kriarya, che in tal direzione non aveva speso né il primo, né il secondo e neppure il terzo dei propri pensieri.
« Se ne sta già occupando Be’Sihl. » replicò la donna, storcendo le labbra verso il basso e, in ciò, volgendo una fugace preghiera agli dei tutti affinché proteggessero il propri amato « Voi uscite… io penserò agli altri garzoni. »
« Mia signora… » esitò Seem, a sua volta accettando intelligentemente di posticipare ogni possibile imbarazzo per la propria nudità, e la propria eccitazione in rapido calo, e pur non potendo mancare di offrirsi implicitamente, in quelle parole, per non abbandonarla, per non rinunciare al proprio posto al suo fianco.
« Mi serve che ti occupi di Arasha, Seem! » lo richiamò immediatamente all’ordine ella, non ammettendo possibilità di discussione a tal riguardo « Lascia perdere vestiti o quant’altro. Prendi solo i tuoi pugnali e portala fuori di qui. E ricordati che questa è la città del peccato… e che non sai cosa vi potrà attendere là fuori, oltre queste fiamme! »

Dimenticare quella semplice e pericolosa verità in un frangente qual quello, in effetti, avrebbe probabilmente significato condannarsi a morte, laddove, a prescindere dalle intenzioni di chiunque avesse appiccato quell’incendio, questione di un attimo sarebbe stato per chiunque in fuga dalla locanda essere sopraffatto da malintenzionati lì sopraggiunti attratti dagli eventi in corso… e questione di ancor meno di un attimo, per una giovane splendida qual Arasha, sarebbe stato pentirsi di non essere rimasta a morire soffocata dal fumo, o arrostita dalle fiamme, piuttosto che fuoriuscire da quelle mura in cerca di una qualche occasione di salvezza. Tutt’altro che gratuito, pertanto, avrebbe dovuto essere riconosciuto il consiglio,  il comando, della mercenaria al proprio scudiero, in tal modo espresso non tanto per sgravarlo da qualunque responsabilità, da qualunque impegno in quei drammatici eventi, quanto e piuttosto per affidargli un compito non meno importante, qual sarebbe necessariamente stato quello della difesa della propria amata dalle possibili insidie che Kriarya avrebbe potuto riservarle.
Non osando porre in discussione gli ordini del proprio cavaliere anche senza aver ancora maturato un’effettiva consapevolezza in merito alle ragioni degli stessi, Seem pose allora immediatamente in essere quanto indicatogli, rinunciando a qualunque genere di abbigliamento o altro, tanto per sé, quanto per Arasha, e recuperando soltanto le proprie due lame, con le quali già da lungo tempo aveva preso abitudine accompagnarsi, prima di ritornare alla soglia della loro stanza e, da lì, di impegnarsi ad affrontare il non semplice percorso che li avrebbe condotto in salvo al di fuori di quella trappola mortale, qual, istante dopo istante, la locanda stava sempre più rapidamente diventando.
Soddisfatta dal risultato conseguito con Arasha e Seem, Midda proseguì allora oltre, continuando a gridare il proprio allarme e a battere con violenza ogni uscio presentatole lungo il cammino, per risvegliare chiunque stesse dormendo e per evitare che tale sonno potesse tragicamente trasformarsi in un riposo imperituro.

« Al fuoco! Al fuoco! » sbraitò, ritrovando sempre più difficile e doloroso riuscire a parlare e, soprattutto, a urlare, come pur si stava costringendo a fare, in quella che, quasi, avrebbe potuto essere fraintesa qual una sorta di imprecazione « Dannazione! Svegliatevi se non desiderate fare la fine di un branco di costine di maiale sulla brace! » definì, nel paragone più azzeccato che riuscì a formulare, sebbene non fosse suo desiderio, allora, sdrammatizzare la questione « Non costringetemi a sfondare tutte queste porte una a una… o vi giuro che la prossima volta che ricostruiremo questa locanda sarà mia premura negarvi qualunque possibilità di riservatezza! »


lunedì 18 febbraio 2013

1856


Midda Bontor non si era mai considerata dotata di particolare spirito romantico. Sin da bambina, potendo scegliere fra ballate d’amore e storie di mostri ed epiche battaglie, la sua preferenza era stata sempre estremamente definita, e tale da ben lasciar intuire verso quale futuro ella avrebbe avuto piacere di votarsi. Certo: nella sua vita non erano mancate le storie d’amore, anche prima di scegliere di impegnarsi in quella non semplice relazione con Be’Sihl, ma da ciò a parlare di romanticismo, nel senso più comune e più profondo del termine, non sarebbe mancato un certo spazio. Uno spazio che, probabilmente, avrebbe potuto quantificarsi quale quello esistente fra Kofreya e Shar’Tiagh, agli estremi opposti del continente di Qahr, o quale quello esistente fra lo stesso Qahr e gli altri due continenti del mondo conosciuto, l’orientale Hyn e il settentrionale Myrgan. E ciò a non voler essere troppo severa nella propria valutazione. Né a voler spendere eccessiva enfasi in tal senso, quanto e soltanto semplice obiettività.
Per amor di correttezza, per onestà intellettuale, ella non avrebbe potuto che riconoscere quanto lontana, nella propria esistenza, avrebbe dovuto essere considerata dalla protagonista di una romantica storia d’amore, di quelle trasognando in maniera persino troppo sdolcinata sulle quali una parte delle proprie coetanee, delle altre bambine nate e cresciute accanto a lei, avevano avuto occasione di spendere le proprie giornate, includendo in tal conteggio persino Nissa, la propria tutt’altro che compassionevole gemella. Una scelta, la sua, sicuramente il larga parte derivante dall’indole caratteristica del proprio spirito, e pur, forse e ancora, in una misura inferiore ma non per questo priva di importanza, conseguente alla consapevolezza che se solo si fosse permessa di perdersi eccessivamente nella contemplazione dei propri sentimenti più gentili, del proprio amore più casto e puro, avrebbe finito con il dover rinunciare alla propria freddezza, al gelo nel quale era solita avvolgersi, proteggersi, per sopravvivere alla propria stessa vita e alle infinite prove che, in essa, continuava a costringersi ad affrontare. Anche a costo di apparire, in conseguenza a ciò, troppo crudele, insensibile, così come era conscia di essere apparsa, fra le molte occasioni, il giorno in cui aveva simulato la propria morte dando fuoco a quella locanda.
Tuttavia, se, nel confronto con quelle ultime parole pronunciate da Be’Sihl, ella si fosse lasciata guidare da qualcosa di diverso rispetto al proprio consueto autocontrollo, difficilmente sarebbe stata allora capace di evitare di impazzire, e di impazzire per il dolore, qual pur, per un fugace istante, sentì aggredirla al cuore, serrandolo in una dolorosa morsa nel centro del proprio petto. Perché innanzi a quella dichiarazione d’amore, impossibile sarebbe stato evitare di leggere un addio. Un addio derivante dalla timorosa certezza di quanto ciò che stava venendo loro allora negato non avrebbe dovuto essere considerato soltanto un momento di intimità, quanto e piuttosto il loro futuro insieme.
Quello, purtroppo, non avrebbe potuto essere considerato il momento opportuno per recriminare sulla questione, né, tantomeno, quello adatto a permettere al proprio cuore di provare quanto, in altri momenti, avrebbe condannato sotto il termine di emozione sdolcinata. Quello era il momento di agire, e di agire con assoluto autocontrollo, per mantenersi in vita e, speranzosamente, potersi concedere, al di là di ogni timore, al di là di ogni paura, un’occasione futura di ridere di tutto quello, ritornando a trovarsi abbracciati insieme in un letto… nel loro letto.

« Ti amo, Be’Sihl Ahvn-Qa. » rispose pertanto, sforzandosi di ringoiare ogni emozione, di zittire il proprio cuore e quanto la parte più pavida del medesimo le stava allora suggerendo, nel gridarle di non permettere a quell’uomo di abbandonarla, di non permettergli di allontanarsi di un solo passo da lei e dal suo abbraccio, anche ove questo avrebbe significato farsi odiare da lui, nell’impedirgli di compiere quanto aveva chiaramente definito essere loro responsabilità fare.
E prima che egli potesse essere troppo lontano da lei, prima che egli potesse smarrirsi nelle fiamme crescenti di quell’orrida fucina di Gorl, nel quale la locanda si stava rapidamente trasformando, ancora una volta ella senti desiderio di prendere voce verso di lui, per soggiungere quanto di più romantico la sua mente ebbe allora occasione di concedersi di elaborare: « E non osare morire… o ti giuro che verrò a prenderti in gloria a tutti i tuoi dei per riportarti indietro. » gridò, cercando di non lasciar trasparire la rabbia presente ad animarla nel profondo al pensiero di quell’eventualità « Ricorda: ho già ucciso un dio e, per te, sarei disposta a radere al suolo qualunque pantheon! » promise, più sincera di quanto chiunque avrebbe potuto immaginare ella avrebbe potuto essere in un tal impegno, in una simile dichiarazione d’intenti.

Se egli sorrise a quelle parole, non le fu concesso occasione di saperlo. Anche se, conoscendolo, ella non avrebbe potuto essere più che certa di ciò, di quel dolce sorriso dischiusosi sul suo volto necessariamente tirato per la tensione del momento, a scoprire, fra quelle scure e carnose labbra che amava baciare e da cui amava essere baciata, una lunga fila di denti bianchi e perfetti, quasi, in tal contrasto, scintillanti.
E con la forse illusoria consapevolezza di quel sorriso, di quell’ennesimo cenno d’amore a lei dedicato, ella non poté permettersi di indugiare ulteriormente, di bloccare ulteriormente i propri passi, mantenendo la propria spada stretta in pugno e null’altro accompagnando seco, neppure la pelle di sfinge che tanto sangue le era costata, non avendo tempo tempo da perdere per rivestirsi, né, proprio malgrado, avendo una seconda mano con la quale, quantomeno, afferrarla prima di allontanarsi da quella stanza, per sfidare, a seno nudo, il calore delle fiamme.

« Thyres… » gemette, invocando ancora una volta il nome della propria dea prediletta, signora dei mari, in tal esclamazione in parte animata da una remissiva richiesta di aiuto, di soccorso nel confronto con un’impresa che non avrebbe mai avuto piacere ad affrontare, né allora, né in un diverso momento, e in parte animata, in tal senso, da un coraggioso, o forse soltanto folle rimprovero, a critica per quanto quella medesima divinità aveva permetto potesse accadere, a turbare la serenità di quella notte desiderata qual di ardente passione e nulla di più o nulla di meno.

A prescindere dalle intenzioni con cui aveva deciso di rivolgersi alla propria dea, Thyres, al pari della totalità degli dei e delle dee immortali, non avrebbe dovuto essere considerata solita concedersi dialogo con i propri fedeli, neppure con quelli particolarmente esuberanti, nel proprio operato, così come soltanto la Campionessa di Kriarya avrebbe potuto essere considerata. Ragione per la quale, la donna dagli occhi color ghiaccio, non si attese una qualche effettiva possibilità di risposta o di intervento da parte della dea in questione, così come mai si era concessa occasione di attendersi in passato.
Del resto, nata e cresciuta, qual era, come figlia dei mari, ella era stata abituata a rispettare il mare e i suoi dei quanto sufficiente da non rivolgersi mai a loro con insolenza, ma non al punto tale da non porre mai in discussione i termini nei quali interpretare quelle che avrebbero dovuto essere considerate le manifestazioni del loro potere e della loro potenza, in quell’atteggiamento solo in grazia al quale avrebbe potuto permettersi di sopravvivere tanto a un viaggio per mare, così come, più in generale, alla vita stessa, con le proprie prove, le proprie difficoltà e i propri imprevisti.
Purtroppo, quanto lì ora a lei circostante non avrebbe dovuto considerarsi il dolce abbraccio della fredda acqua dei mari a lei noti, con la legge dei quali ella avrebbe potuto promuoversi qual confidente; quanto e piuttosto un elemento a essa antitetico, addirittura nemico, nell’ardente stretta del quale non aveva mancato di ritrovarsi in passato, talvolta anche per propria causa, ma che, non per questo, avrebbe potuto vantarlo qual a sé vicino, a sé prossimo. Al contrario...

« … maledetto Gorl! E maledetto il tuo dannato fuoco! » esclamò, nel rivolgersi furente e indubbiamente irrispettosa verso la divinità comunemente associata alla potenza dirompente delle fiamme, una delle divinità più venerate in tutto quell’angolo di mondo, e il nome della quale, pur, ella non era solita pronunciare, non riguardandola, non coinvolgendola in alcuna misura « Aspettate che scopra chi è il responsabile di questo scherzo e non vi sarà luogo, in terra, in mare o in cielo, nel quale potrà mai nascondersi per sfuggire alla mia ira! »