11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

giovedì 30 aprile 2009

475


« M
i spiace: alcuna fra le menzogne che potrai offrirmi, riuscirà a farmi ignorare la verità, la sola ed incontestabile realtà nella quale ho già tratto le conclusioni più corrette in merito a te ed al tuo comportamento. » le risposi con una nota di asprezza tangibile nella voce, sgradendo seriamente la falsità dietro alla quale sembrava cercare continuamente di nascondersi, di farsi scudo nel modo più becero.
« Perché ti ostini a non voler prendere in considerazione un punto di vista differente dal tuo? » mi domandò, con una certa ingenuità, la mercenaria, risultando quasi sincera in quel suo apparire « Perché non vuoi concedermi neppure una possibilità di spiegarmi? »
« Perché le tue azioni parlano in tua vece! » le replicai, scuotendo il capo, sconcertata da quanto ella sembrasse non comprendere l'evidenza di una situazione « Tutto ciò che sei stata in grado di offrirmi fino ad oggi, in fondo, è stata solo violenza ed egoismo, nell'impormi unicamente la tua volontà senza soffermarmi a prendere, per un solo istante, in esame la mia! »

Lungo fu il silenzio che cadde fra noi a seguito di quell'ultima considerazione, di fronte alla quale evidentemente anch'ella non era in grado di formulare una difesa, una risposta tale da concederle una possibilità di fuga dalle responsabilità di fronte alle quali l'avevo indubbiamente posta. Forse, addirittura, colei che solo in seguito ebbi modo di scoprire essere indicata anche con il nome "Figlia di Marr'Mahew", nel citare una divinità della guerra straniera, parve non voler neppure tentare di evadere a tale peso e, di questo, le resi comunque giusto onore. Sicuramente, infatti, il suo comportamento si era dimostrato egoista e violento, ma mai privo di una volontà di rispetto nei miei confronti: una visione forse distorta di rispetto, ma pur impossibile da non considerare tale, da non essere chiaramente riconoscibile, come in quel momento di silenzio e in quella sua espressione non desiderosa di evadere dalle proprie responsabilità.
Al contrario rispetto a lei, purtroppo, si propose l'aristocratica, non tradendo gli stereotipi derivati dal proprio livello sociale.

« Fath'Ma… è così che ti chiami? » intervenne, con una richiesta chiaramente retorica, dove il mio nome le doveva essere già noto « In questo splendido clima di cordiale confronto, desidero intervenire a mia volta per esprimere la mia visione sulla realtà in merito alla quale tanto sembrate bramose di dibattere. » commentò, con tono ironico, sprezzante soprattutto nei miei confronti « Personalmente considero la tua esistenza in vita un madornale errore, commesso in conseguenza di un eccessivo buon cuore… »
« Princip… » tentai di rispondere, non riuscendo, complice l'abitudine al servilismo, a ribattere con maggiore forza, per quanto sarebbe stata richiesta in quel momento.
« Zitta… zitta… zitta. » mi impose, al contrario, Nass'Hya, levando la propria mano destra a non concedermi ulteriore possibilità di parola « La tua voce mi tedia… le tue lamentele suscitano solo nausea in me: sei viva unicamente perché lei desidera che tu rimanga viva, altrimenti porrei io stessa fine alla sofferenza per cui tanto declami versi… »
« Ma… » esclamai, sbarrando gli occhi innanzi a tanto ingiustificato rancore nei miei confronti, dove alcun ricordo di disappunto si poneva nella mia mente in virtù di qualche errore passato da me compiuto ai danni della mia nuova interlocutrice.
« Silenzio. Entrambe. » si impose, altresì, la mercenaria, non ricorrendo ad un tono particolarmente alto, non ad un suono particolarmente forte, quanto piuttosto dotata di un gelido carisma, del tutto simile a quello presente nei suoi occhi.
« L'unica in questo momento a poter decidere della vita o della morte, qui, sono io e se simile situazione non vi aggrada, sono pronta a fornirvi armi per difendere i vostri diritti. In caso contrario, collaborative o no con me ed i miei "egoismi", non commettete l'errore di considerarvi per me qualcosa di diverso da semplici prigioniere. » proseguì, scuotendo il capo « Vi assicuro che i miei sentimenti personali non mi hanno mai impedito di portare a termine un'azione, se necessaria, e dove voi doveste rendere necessaria la vostra uccisione, io provvederò sicuramente in tal senso. »
« A voi la scelta, quindi. » concluse, osservando tanto me quanto la principessa, non sembrando voler concedere ad alcuna particolari preferenze « Potrete essere al mio fianco, libere di parlare, di agire, di muovervi come se fosse una vostra iniziativa o potrete essere dietro di me, trascinate in catene fino a Kriarya. Per me è indifferente ogni soluzione. »

Parole forti quelle gettate come pietre contro di noi, che in quel momento non apprezzai, considerandole semplicemente l'ennesima riprova di quanto sottolineato fino a poco prima.
Ripensando ora a quei momenti, però, non posso evitare di accorgermi di come simile reazione fu tutt'altro che sconsiderata, ben lontana dall'essere frutto di un'impulsività derivante da un momento di eccessiva eccitazione. Midda Bontor, proponendosi quale nostra carceriera, pur assumendosi uno spiacevole ruolo, un disgraziato fardello, aveva anche imposto sopra a quella piccola compagnia la quiete, calmando animi fra loro troppo contrapposti per poter convivere senza una costrizione a tal riguardo. E ponendosi come bersaglio tanto per il mio rancore quanto per quello, addirittura, della sua stessa complice, originale vittima, ella aveva anche, volontariamente, posto entrambe su un medesimo piano, azzerando ogni possibile privilegio o difetto preesistente tale per cui avremmo potuto continuare a discutere, a confrontarci in maniera dispari, indebolendoci vanamente l'un l'altra invece di essere compagne innanzi ad un destino comune come grazie a lei eravamo diventate.

Per quello e per molti giorni ad esso successivi, in conseguenza di quanto accaduto, della definizione di stato dettata dalla mercenaria, né a Nass'Hya né, tantomeno, a me si concesse il desiderio di offrire libertà verbale ai molteplici ed inevitabili pensieri che avevano affollato le nostre menti.
La nostra quotidianità, così, si ritrovò ad essere scandita da serrati ritmi di marcia, alternati a brevi soste durante il giorno e pause più lunghe per il riposo durante la notte. In simile frangente, di ogni necessità si faceva carico Midda stessa, provvedendo a procurare cibo ed acqua, nel cacciare selvaggina e nel ritrovare di volta in volta la posizioni di fiumiciattoli o pozzi sparsi lungo un cammino che solo nella sua mente sarebbe potuto essere considerato chiaro. Per quanto mi era dato di comprendere, non proponendosi comunque come un'osservazione particolarmente utile o inaspettata, il tragitto da noi intrapreso era rivolto alle montagne, pur mantenendosi non semplicemente verso ovest quanto, piuttosto, ascendendo parzialmente verso nord.
E quando, per prima, proprio la principessa decise di ritrovare parola, di provare a riallacciare un qualche dialogo con la nostra secondino, simile particolare si pose al centro della questione, evidentemente rilevato senza particolare difficoltà anche da lei.

« Perché verso nord-ovest e non, semplicemente, verso ovest? » domandò con tono sereno, incuriosito, privo di volontà polemiche nel rivolgersi alla mercenaria « In questo modo non ci stiamo allontanando da Kriarya invece di avvicinarci ad essa? Forse le mie nozioni di geografia kofreyota non sono eccelse, ma procedendo in questo senso credo andremo verso la provincia di Krezya… se non, addirittura, direttamente nel regno di Gorthia. »
« E' impossibile pensare di attraversare direttamente il confine di guerra. » rispose con tranquillità la donna guerriero, scuotendo appena il proprio capo in inequivocabile segno di dissenso « Improbabile, ma fattibile, lo sarebbe per me da sola: con voi due al mio seguito si tramuterebbe certamente in una missione suicida. »
« E così, invece? » richiesi, proponendomi con maggiore umiltà rispetto al mio ultimo confronto con lei, nel voler cogliere l'occasione offerta per riprendere a mia volta la possibilità di espressione prima negatami, più quale personale inibizione psicologica che in conseguenza di un divieto esplicito in tal senso.
« Verso nord la guerra non si propone più violenta come un tempo: nel rischio di coinvolgere i confini gorthesi, anche Y'Shalf ha preferito accentrare le proprie energie, i propri sforzi a meridione. » spiegò, allora, nel rivolgere anche verso di me il proprio sguardo « Nessuno, del resto, potrebbe biasimare simile decisione, nel conoscere la natura guerriera intrinseca nel sangue di ogni figlio di Gorthia. »

mercoledì 29 aprile 2009

474


C
ome già ti ho accennato ieri, per comprendere la mia storia è necessario fare qualche passo indietro, tornando almeno all'inizio dell'inverno che ormai sta per trovare la propria spontanea conclusione.
All'epoca, e da diversi anni in verità, ero impiegata come serva all'interno dell'harem di Y'Lohaf… sì… esattamente quello che voi guerriglieri avete tentato di prendere in ostaggio e sterminare in occasione delle celebrazioni del giorno di transizione. Io ero presente nel corso di quella sera, per volere o per dovere come praticamente chiunque fosse parte di quell'istituzione, e ho vissuto in prima persona eventi dei quali conserverò memoria fino alla fine dei miei giorni: probabilmente avete avuto modo di sentire molte narrazioni a tal riguardo, ballate più o meno sincere in merito a quanto occorso, ma alcuna di esse potrebbe mai trovare paragone con l'esperienza diretta davanti alla quale tutte noi ci ritrovammo ad essere protagoniste, prima in conseguenza del vostro folle attentato e, poi, dell'arrivo di quella jinn. Quella sera, in effetti, fu la prima volta che vidi in azione Midda Bontor o, per lo meno, fu la prima volta in cui fui realmente consapevole di vederla in azione, per quanto ancora il suo nome o la sua fama mi fossero ignote.
In verità, come solo per un fortuito caso scoprii in seguito, ella era stata già per settimane più vicina a me di quanto io mai avrei potuto immaginare, celata sotto le mentite spoglie di una mia pari, di una serva di nome M'Aydah: forse avrei dovuto prestare maggiore attenzione a certi comportamenti, a certi pensieri da lei espressi troppo lontani da quella che sarebbe dovuta essere la mentalità di una nomale serva, ma come anche mia madre mi ha sempre rimproverata ho il difetto di riporre eccessiva fiducia nelle persone, sentimento che troppo raramente si pone quale ricambiato. Midda, mercenaria al soldo di un signore kofreyota, era giunta fino al nostro harem con l'inganno, prefiggendosi il solo scopo di entrare in confidenza con una nobildonna y'shalfica, una possibile sposa per il nostro sultano, la principessa Nass'Hya. Non tanto verso il monarca, però, sarebbe dovuto essere inteso il suo interesse, quanto piuttosto verso l'aristocratica, nel dover assolvere un incarico di rapimento, per condurla a Kofreya, dal proprio mandante, dal proprio mecenate: un proposito tutt'altro che onorevole, di fronte al quale la meschinità dei nostri nemici non avrebbe potuto che trovare conferma evidente. Ciò nonostante, però, per ragioni personali e di non semplice comprensione, la principessa, informata in merito alla realtà dei fatti, non decise in favore di una denuncia alle autorità competenti, come sarebbe stato forse giusto compiere: al contrario ella apparve entusiasmarsi all'idea e, per questo, progettò la propria fuga insieme alla propria rapitrice. Personalmente, quando scoprii l'inganno ordito, mi ritrovai ad essere letteralmente furibonda. Mi sentivo tradita da M'Aydah, usata da una persona a cui avevo offerto senza alcuna remora la mia amicizia: forse per una mercenaria, tale comportamento sarebbe potuto essere considerato normale, consueto, ma ai miei occhi, al mio giudizio si poneva come abominevole. Non ebbi dubbi, così, a denunciarla all'intendente, contemporaneamente assolvendo ad un dovere verso il mio Paese e alla sete di vendetta che sentivo fremere nel mio cuore. Credo che nessuno mi potrebbe umanamente criticare per tale scelta, soprattutto dove dettata da un sentimento ferito, e sarei disposta a sfidare chiunque a porsi al mio posto per giudicarmi in tal senso.
A ben poco, comunque, servì il mio intervento, la mia azione, dove l'intendente si dimostrò purtroppo assolutamente incapace a gestire una simile situazione: convinto di poter risolvere il tutto senza colpo ferire nel ritrovarsi in opposizione ad un'incapace, per quanto anch'egli avesse visto la mercenaria in azione contro l'algul, egli pagò a caro prezzo la propria supponenza, il proprio errato giudizio, rimettendoci la vita e fallendo in ogni intento di gloria sperata in conseguenza di uno sventato piano kofreyota. Sempre a seguito di tale sbaglio, anche io mi ritrovai a dover rendere conto delle mie scelte, delle mie azioni, forse avventate per quanto giustificabili: ritenendosi a propria volta tradita, infatti, Midda ricercò immediatamente la mia presenza per poter ascoltare la mia versione dei fatti, per potersi confrontare direttamente con me sulle ragioni delle mie scelte, per lei di difficile comprensione non diversamente da quanto per me risultavano essere le sue. E dove io cercai di difendere la mia posizione, ella reagì ancora una volta con la stessa brutalità che l'aveva contraddistinta fino a quel momento, disinteressata alla volontà, alla libertà di chiunque al di fuori della propria: colpendomi con energia, mi privò di sensi e mi trascinò con sé nella propria assurda evasione, legata, imbavagliata e rinchiusa all'interno di un sacco per non concedermi alcuna speranza di ribellione e di fuga.
Spaventata dall'idea di morte, benché il mio essere ancora viva avrebbe dovuto rasserenarmi a tal riguardo, dal mio punto di vista le ore che seguirono furono vissute con un'inquietudine seconda solo a quella provata di fronte alle letali condanne sancite prima dai guerriglieri e poi dall'algul pochi giorni prima, tale da farmi percepire quel periodo quasi come indefinito, forse durato addirittura giorni se non mesi interi. Come già accaduto, però, nuovamente la mia esistenza e la mia salute furono preservate, vedendomi improvvisamente tornare libera… o quasi: la mia rapitrice, infatti, non si era assunta l'onere di quell'assurdo trasporto quale fine a se stesso, ma spronata in ciò da un ancor più assurdo desiderio di confronto con me, forse addirittura a riprendere un dialogo lasciato in sospeso nell'enfasi dei sentimenti da entrambe provati reciprocamente.

« Siamo sole, lontane da ogni centro abitato, da ogni insediamento umano ed avvantaggiate di almeno una giornata di cammino rispetto a qualsiasi inseguitore avrebbe mai potuto ricercarci… » mi spiegò, con apparente tranquillità, forte in tali considerazioni a suo vantaggio « Pensi di potermi evitare grida isteriche o banali tentativi di fuga se ti consento nuovamente di parlare e di muoverti?! »

Ovviamente io annuii, accogliendo l'alternativa migliore innanzi ad una richiesta più retorica che sostanziale: che io avessi voluto o non voluto, quella mercenaria aveva già dimostrato di saper perfettamente come trasformare le proprie volontà ed i propri desideri in azione e, di certo, non si sarebbe concessa dubbi prima di agire nuovamente in tal modo, rimandando inevitabilmente ad un futuro prossimo quel dialogo per me quanto meno improbabile.

« Molto bene… » sorrise ella, quasi volendo dimostrarsi realmente soddisfatta dalla mia scelta « Mi spiace di essermi ritrovata costretta a ricorrere a certi estremi, ma l'altra sera non saremmo riuscite comunque a proseguire il nostro discorso. »
« E così hai pensato bene di trascinarmi con te verso la morte?! » le rinfacciai, con asprezza nella voce per ciò di cui ero, oggettivamente, vittima non per mio desiderio, non per mia responsabilità « Lasciatemi andare… ormai, come anche tu hai detto, siamo lontani da ogni pericolo. E prima che io possa giungere ad un centro abitato voi altre avrete raggiunto traguardi ancora più lontani, tali da evitarvi qualsiasi possibilità di problema. »

Una richiesta azzardata la mia e di ciò avevo chiara percezione, ma chi avrebbe, al mio posto, evitato di proporla?
In verità, per quanto frastornata dalle condizioni in cui avevo riversato, nel corso del viaggio all'interno del sacco avevo avuto comunque modo di udire alcuni scambi di opinioni fra Midda e la principessa sua compagna di fuga tali da rivalutare ogni mia possibile considerazione negativa nei meriti della prima. Innanzi alla spiacevole proposta dell'aristocratica di liberarsi di me senza porsi eccessivi dubbi, la mercenaria aveva apertamene preso le mie difese, annunciando addirittura la sua intenzione ad offrirmi la possibilità di ritornare alla mia vita consueta una volta risolta ogni questione fra noi.
Desiderio, il suo, che non mancò di esprimermi con chiare espressioni…

« Ora no, Fath'Ma. » replicò la donna, scuotendo il capo ornato da scomposti capelli corvini, osservandomi con i suoi già noti occhi color ghiaccio, tali da poter forse penetrare fino al livello più profondo dell'anima di chiunque « Abbiamo ancora molti discorsi da concludere, diversi fraintendimenti che desidero dirimere per il mio bene ed anche per il tuo, nel desiderio di offrirti uno sguardo d'insieme superiore a quello da te fino ad oggi posseduto, sulla base del quale hai formulato giudizi tanto negativi verso di me… »

martedì 28 aprile 2009

473


L
e successive ventiquattro ore furono trascorse fra sonno e veglia per la fanciulla, ancora troppo stanca per potersi mantenere cosciente a lungo o, anche, per riuscire a formulare più di poche, semplici parole. Attorno a lei, comunque, permase sempre la figura del cerusico, attento ad ogni sua minima richiesta, discreto anche innanzi alle situazioni fisiologiche per le quali ella avrebbe potuto porsi in maggiore imbarazzo.
Per quell'uomo, in effetti, il proprio non era un semplice impiego quanto piuttosto una filosofia di vita, una fede nella quale riversare tutto il proprio impegno, tutta la propria passione: formato nella prestigiosa accademia di Y'Rafah, altra capitale di provincia y'shalfica lontana dal confine e dal conflitto in corso, egli era giunto fino ad Y'Lohaf con l'esplicito desiderio di servire il proprio sultano e la propria nazione, partecipando a nei limiti delle proprie competenze alla guerra, impegnando in essa le proprie capacità. Pur essendo stato indottrinato, fin dal giorno della propria nascita, a ricercare in Kofreya e nel suo popolo un acerrimo nemico, una bestia con la quale non poter avere alcuna possibilità di dialogo, gli erano occorsi pochi mesi trascorsi al fronte per comprendere come su entrambi gli estremi di quell'insensato confronto armato altro non vi fossero che uomini, e donne, fra loro assolutamente uguali, animati dalla medesima propaganda e disposti a morire senza alcuna ragione, per quanto tutt'altro che bramosi di abbandonare la vita, affezionati ad essa e alle infinite gioie che il destino avrebbe potuto loro riservare. A differenza di molti propri compagni, di altri suoi pari o coetanei, egli aveva fortunatamente compreso come non attraverso quella scelta avrebbero mai potuto onorare i propri dei: così aveva disertato, approfittando di un breve periodo di licenza aveva abbandonato la propria guarnigione ed era fuggito, ricercando fra la guerriglia un'alternativa. E per quanto non fosse tanto cieco da non accorgersi dei difetti comunque presenti anche in quel movimento, delle ideologie estremiste che avrebbero potuto corrompere anche un ideale apparentemente perfetto quale quello della pace da loro proposta, egli aveva deciso di fermarsi lì, continuando ad esercitare la propria professione ovviamente non solo in aiuto dei guerriglieri.
Nella naturale esigenza di cercare approvazione non tanto nelle alte classi della società y'shalfica, del resto, la guerriglia doveva obbligatoriamente rivolgere la propria attenzione verso i ceti minori, verso i contadini, gli allevatori, gli artigiani, i quali, nel vasto territorio della provincia, avrebbero potuto ritrovare in essi non tanto un pericolo, minacciosi terroristi, quanto un aiuto, un supporto costante. In virtù di ciò, anche la figura del medico si sarebbe dovuta concedere quale offerta a tutti, a chiunque ne avesse avuto bisogno e fosse riuscito a giungere a lui, preferendolo ad alternative più convenzionali.

« Il mio nome è Al'Ehir. » si presentò, nel corso di uno dei molteplici piccoli pasti della fanciulla, impegnata ancora ad assumere lentamente il latte di capra presentatole innanzi alla bocca attraverso il panno umido « Sono un cerusico, come avrai forse intuito. »
« Fath'Ma… » rispose la giovane, tentennando sul proprio nome, ancora priva di un completo controllo sulla propria voce « … mi chiamo… Fath'Ma. »
« E' un piacere conoscerti, Fath'Ma. » sorrise egli, dimostrandosi sincero in quell'affermazione come in ogni altra offertale « Hai per caso cognizione del luogo in cui ti trovi e di come sei arrivata fino a noi? » aggiunse poi, con intento in parte retorico, non attendendosi da parte sua una qualche reazione positiva in tal senso.
La giovane, in effetti, scosse il capo, negando tale conoscenza dove, date le condizioni in cui era giunta a loro, ogni altra ipotesi sarebbe stata paradossale.
« Sei in un campo della guerriglia… nelle colline fra Y'Lohaf e i monti Rou'Farth. » le presentò, senza mezzi termini, nell'adempiere in ciò anche ad una richiesta di Ra'Ahon, nel cercare di comprendere qualcosa in più in merito alla donna ancor prima dell'inevitabile incontro formale fra i due.

Ed ella, semplicemente, restò in silenzio, a succhiare il proprio latte con lentezza, concedendosi ancora troppo dominata dalla stanchezza e da emozioni contrastanti per offrire una qualsivoglia possibilità di interpretazione utile a tal riguardo.
Fu necessario un ennesimo tramonto e una nuova alba per permetterle di ritrovare sufficienti forze per porsi in grado di affrontare la prova propostale non tanto dal volto bonario, ed ormai quasi familiare, del medico quanto da quello più serio, riflessivo, appartenente al comandante di quell'accampamento.

« Sono… prigioniera? » domandò, esordendo nei confronti del nuovo interlocutore, nel dimostrare di averne intuito il ruolo, forse anche in conseguenza del suo portamento, del suo carisma, trasparenti dell'incarico di responsabilità che rivestiva in quell'insediamento.
« Sei nostra nemica? » replicò l'altro, proponendosi serio nel confronto con lei, prendendo posizione su un cuscino accanto al giaciglio ove era adagiata.
« Non ne sono sicura. » ammise lei, forse con eccessiva onestà nel considerare la situazione in cui si poneva essere « Un tempo avrei detto di sì… ma molte cose sono accadute da allora. »
« Apprezzo la tua trasparenza a tale proposito. » annuì l'uomo, pur senza offrire a sua volta alcuna informazione in merito ai propri pensieri, alle proprie emozioni in quel dialogo, nel merito della propria interlocutrice « Attualmente sei nostra ospite, paziente del nostro cerusico almeno fino a quando non sarai in grado nuovamente di alzarti e camminare. Poi vedremo… »
« Grazie. » approvò ora ella, chinando gli occhi e successivamente rialzandoli verso l'altro.

In effetti, considerarla prigioniera o non, in quel momento, sarebbe stata una mera sfumatura espressiva, dove le sue condizioni non le avrebbero permesso in alcun modo di allontanarsi di lì, trattenendola più di quanto non avrebbero potuto fare corde, catene o gabbie. E di tale particolare, entrambe le parti in causa avevano assoluta consapevolezza, piena coscienza: la chiarezza ricercata, in verità, avrebbe quindi dovuto intendersi rivolta solamente a comprendere le reciproche posizioni, psicologiche e politiche, e non a definire un reale stato, una concreta definizione di ruoli, nonché eventuali condanne.

« Senza volermi porre quale eccessivamente indiscreto nei tuoi riguardi… » riprese Ra'Ahon, dopo un istante di silenzio « … posso domandarti la ragione che ti ha spinto ad essere incerta in merito ai tuoi sentimenti nei confronti della nostra causa? Puoi considerarla quale una mera curiosità personale. »
« L'incontro con una donna molto particolare mi ha costretta a riprendere in esame molti miei principi, concetti sopra i quali avevo da sempre fondato ogni mia scelta di vita, ogni mia decisione quotidiana, per quanto banale… » rispose ella, proponendosi involontariamente enigmatica per quanto non avesse offerto dimostrazione di avversione di fronte a quell'interrogatorio.
« E' a causa di questa donna che sei giunta a noi tanto martoriata? » insistette l'uomo, aggrottando appena la fronte nel non comprendere esattamente in quali termini avrebbe dovuto interpretare simile frase « E' stata lei a ridurti in fin di vita? »
« Oh… no. » scosse appena il capo Fath'Ma, accennando un sorriso « Solo per merito suo, anzi, sono ancora viva… per quanto a lei potrei addurre la responsabilità di avermi coinvolta in un'avventura da me non ricercata, non desiderata. »
« Confesso di essere confuso. » commentò, pur cercando di conservare ancora la maschera di freddo distacco con la quale si era presentato a lei.
« Che giorno è oggi? » domandò la giovane, inaspettatamente, nel cambiare apparentemente il corso di quel confronto, prendendone per la prima volta il controllo.
« Siamo al ventottesimo di Farph. » rispose l'altro, quasi senza rifletterci sopra, considerando comunque normale simile curiosità dopo un periodo di incoscienza lungo quale quello da lei subito.
« Ciò significa che per permetterti di comprendere, sarebbe necessario che io iniziassi la mia narrazione da almeno tre mesi fa… » sottolineò ella, quasi a premettere l'intenzione di proseguire in tal senso, salvo poi scuotere il capo « Purtroppo ora sono troppo stanca. Spero vorrai pazientare… »
« Solo una questione ancora… » intervenne il comandante, evadendo al silente invito del cerusico a rispettare quel desiderio, a non insistere ulteriormente nei confronti della fanciulla nel rispetto dell'ospitalità offertale « … come si chiama quella donna? Colei che ha posto il dubbio nella tua mente? »
E chiudendo gli occhi, nel ricercare nuovamente il protettivo abbraccio del sonno, ella sussurrò quietamente: « Midda… Midda Bontor… »

lunedì 27 aprile 2009

472


P
er quanto alcuni fra essi non si sarebbero potuti considerare del tutto innocenti davanti ad un'ipotetica accusa di stupro ai danni di povere disgraziate innocenti, per nulla coinvolte o coinvolgibili all'interno delle questioni politiche per le quali essi avrebbero dovuto altresì lottare, fortunatamente per tutti gli occupanti di quell'accampamento nessuno venne poté essere imputato per quanto occorso alla fanciulla condotta dal coraggioso asino.
In verità, difficile sarebbe stato considerare un qualsivoglia livello di coinvolgimento da parte di uno qualsiasi dei membri di quel gruppo, di quell'insediamento, dove l'animale era giunto a loro non provenendo dall'interno della nazione, quanto piuttosto discendendo proprio dai monti Rou'Farth, quel confine dilaniato da continuo conflitto, verso il quale alcun guerrigliero avrebbe avuto ragione di spingersi, fosse solo per una semplice ricognizione. Addirittura, poi, apparve difficile anche solo comprendere per quale ragione una giovane donna sarebbe mai potuta arrivare all'accampamento proprio lungo tale direzione, in quel particolare verso, dove non vi sarebbe dovuto essere alcuno spazio per lei là dove la guerra stava imperversando da anni, decenni, in maniera distruttiva ed incontenibile. Solo l'eventualità nella quale ella sarebbe potuta essere considerata quale una mercenaria al soldo kofreyota, in assenza di simili figure femminili impiegate dall'esercito y'shalfico, avrebbe potuto concedere un qualche senso a tal riguardo ma, evidentemente, una fanciulla della gracilità da lei dimostrata non avrebbe potuto essere mai impiegata quale mercenaria in un qualsivoglia scontro armato, soprattutto sopravvivendo al medesimo come ella era riuscita a fare. Volendo essere oggettivi, nell'analisi delle sue membra e delle sue mani, quella ragazza non avrebbe potuto considerarsi completamente estranea a lavori pesanti, ad attività di tipo fisico non quale semplice evento stocastico, ma quale impegno quotidiano, praticamente continuo e perpetuo: nulla che però l'avrebbe mai potuta qualificare quale una combattente, una guerriera, quanto piuttosto, probabilmente, una serva.
Ma, a conclusione di simili ragionamenti, comprendere per quale ragione una serva avrebbe mai dovuto giungere all'accampamento trasportata quasi completamente nuda sul dorso di un asino stremato, provenendo proprio dalle montagne, dalla zona di conflitto, resto razionalmente impossibile. Così, tanto a Ra'Ahon, nel proprio ruolo di responsabile per la sicurezza di dei suoi compagni e subordinati, quanto a tutti gli altri guerriglieri interessatisi nel volerlo scoprire, incuriositi da quell'originale vicenda i cui dettagli si diffusero in rapido tempo presso tutti loro, non restò altro da fare che attendere con pazienza il momento in cui Am’Dahr, dio del sonno, avrebbe deciso di allentare la propria costrizione attorno a lei, concedendole di ritrovare la coscienza altresì perduta.
Un'attesa che vide scanditi addirittura cinque giorni, prima di poter scoprire il colore degli occhi di quella ragazza, ritrovando in grandi iridi un perfetto equilibrio fra toni castani e rossastri, a creare in essi un incanto tutt'altro che spiacevole.

« Bentornata fra noi… » sussurrò con tono tranquillo, volutamente moderato, il cerusico, primo ad assistere a tale evento, favorito dalla propria occupazione nonché dalla posizione occupata dalla medesima da quasi una settimana, all'interno della sua ampia tenda.
Evidentemente frastornata, forse anche abbagliata dall'incontro inatteso con la luce del giorno dopo un così intenso sposalizio con le tenebre del torpore, la ragazza restò immobile, forse incapace ancora a farlo e, in conseguenza, anche a parlare.
« Riesci a sentirmi? E, soprattutto, puoi capirmi? » domandò l'uomo, mantenendo la modulazione già adottata, giustificato in quella domanda dove non gli sarebbe stato possibile intuire la nazionalità della propria paziente, per quanto ipoteticamente y'shalfica « Se non riesci a muoverti o a parlare, sposta lo sguardo verso l'alto per lasciarmi comprendere una risposta negativa o verso il basso per una positiva… »
Dopo un lungo istante di incertezza, nel quale la giovane non sembrò riuscire a formulare alcuna sentenza, forse non avendo neppure avuto modo di intendere la questione propostale, gli occhi di lei si mossero lentamente a rivolgersi verso il basso, sostando in quella posizione per un istante prima di risalire a rincontrare quelli del medico.
« Ottimo… » annuì egli, non celando una certa soddisfazione in conseguenza di tale reazione « Pensi di riuscire a parlare? Oppure a muoverti, anche minimamente? »
Ancora silenzio da parte della paziente, la quale dopo una chiara indecisione, forse riservandosi il tempo necessario a comprendere quanto tutto il suo corpo fosse in grado di risponderle o meno, sollevò ora i propri occhi, puntando verso l'alto e negando la prova richiestale.
« Non ti preoccupare di questo: hai attraversato un periodo veramente critica e solo in grazia a qualche divinità benevola sei riuscita a sopravvivere… » le spiegò, poi, ancora con quiete nel proprio tono e nei propri modi « Te l'ho domandato solo per cercare di ottenere un quadro clinico sufficientemente completo sulla tua salute. »

Soddisfatto o meno che potesse essere nei confronti delle informazioni ottenute fino a quel momento, il cerusico avrebbe dovuto accontentarsi, dove gli stessi occhi attraverso i quali era stato in grado di stabilire un minimo contatto con la giovane gli si celarono tornando protetti sotto le palpebre della stessa, in un'esigenza di riposo a cui ella non poté sottrarsi, non poté cercare evasione. Il suo corpo, forse, aveva superato la fase più critica ma altro risposo gli sarebbe stato necessario prima di ritornare in forma e di questo il cerusico era ovviamente a conoscenza.
Trascorsero così altri due giorni, più tranquilli rispetto ai precedenti, dopo i quali la fanciulla tornò nuovamente ad offrire il proprio sguardo al mondo, ora accompagnato anche da un flebile richiamo identificabile quale sua voce.

« Acqua… » richiese, offrendo un'evidente intonazione y'shalfica nella propria pronuncia, oltre ovviamente all'utilizzo del termine adeguato nel formulare tale domanda.
Il suo consueto interlocutore si ripropose puntuale innanzi a lei, proponendole contro le labbra un pezzo di stoffa bianca, inumidito, dal quale poter ottenere i liquidi a lei necessari: « Suggi da questo panno… » la incitò, con la propria consueta cortesia « Comprendo tu possa sentire l'esigenza di bere abbondantemente, ma non credo che il tuo stomaco sia già in grado di accettare molto più rispetto a questo. Almeno per ora spero che potrai accontentarti di questo… »

Ella acconsentì a tale richiesta, non rinnegando quanto offertole e, altresì, impegnandosi a succhiare, lenta ma costante, da quella stoffa, apparendo simile a un'infante posta accanto al seno materno nella ricerca del proprio latte, cibo di vita per se nella propria ancor fragile natura. E in quella stoffa, paradossalmente nel confronto con simile figura retorica, non fu semplice acqua ad esserle offerta, quale quella da lei richiesta, quanto piuttosto il sapore chiaramente identificabile di latte di capra, scelto dal medico come alternativa migliore, e per questo maggiormente necessaria, a qualunque altra: tale era stato, non a caso, il nutrimento fornitole in quegli ultimi giorni, a sua insaputa, lasciando delicatamente scivolare lungo le sue labbra dormienti per alimentare un corpo bisognoso di sostentamento per quanto impossibilitato a procurarselo.

« Forse preferiresti latte bovino… » ipotizzò egli, sorridendole con serenità contagiosa, incarnando chiaramente tutto ciò che un uomo, nel suo ruolo, avrebbe dovuto essere per incoraggiare i propri pazienti a non abbandonarsi alla sfiducia, nonostante condizioni non favorevoli ed al di là di ogni sorte apparentemente avversa « Purtroppo, nel non poter ignorare ragioni di sicurezza, mantenere con noi delle mucche si proporrebbe decisamente complicato. »
Interrompendosi, appena, in quel pasto così concessole, ella sussurrò un flebile « … grazie… », quasi volesse negare ogni possibilità di imbarazzo nell'uomo per quanto postole innanzi alle labbra.
« E' un dovere e un piacere, per me. » concluse il medico, restando ora tranquillo al suo fianco e rimandando alla successiva occasione la possibilità di approfondire meglio quel dialogo, nel non voler affaticare eccessivamente la propria protetta.

domenica 26 aprile 2009

471


A
rrestando il moto dell'asino, o forse semplicemente accogliendo a sé la bestia sfinita e ad un passo dalla morte per stenti, nell'assenza di acqua e cibo oltre che nella stanchezza accumulata in un viaggio evidentemente troppo lungo e continuato, Y'Ahalla sollevò delicatamente il braccio destro della ragazza, a sé più prossimo, per cercarne il polso e lì il battito cardiaco: se vi fosse stato ancora un anelito di vita, forse avrebbero potuto salvarla, curarla, concederle una possibilità di recupero; in caso contrario avrebbero potuto solo offrirle un rito funebre, ignorando non solo le ragioni di quella morte ma, addirittura, il nome della vittima medesima. Fortunatamente gli dei vollero concederle una speranza, lasciando scoprire, sotto ai polpastrelli ruvidi dell'uomo, un lievissimo battito cardiaco, estremamente fragile, decisamente debole, ma pur presente. In virtù di tale segnale, senza attendere l'arrivo del comandante che pur aveva mandato a richiamare, egli decise di agire rapido e tempestivo, levando delicatamente il corpo leggero della fanciulla dal dorso dell'animale per condurlo, senza ulteriori esitazioni, fino alla tenda del loro cerusico. E proprio in conseguenza a quell'azione, alla propria liberazione dal compito condotto a termine con tutte le proprie energie, l'asino levò un ultimo raglio, un gemito di dolore o, forse, di ringraziamento, prima di crollare al suolo, privato completamente di vita.

« Che Dahi'Nas possa accoglierti nella sua gloria… » commentò l'uomo, invocando la dea protettrice degli equini, tanto cara alle truppe di cavalleria leggera e pesante prima di ogni battaglia, sinceramente colpito dall'evidenza di quel sacrificio, dall'amore incondizionato che il quadrupede aveva posto nei confronti del proprio prezioso carico con passione ed orgoglio degno del migliore fra tutti i destrieri « Nell'ammirare la tua determinazione, sarà mia premura renderti omaggio conducendo in salvo colei che tanto fedelmente hai servito. »

Abbandonando il corpo dell'asino fra l'erba delle colline, nel ripromettersi di offrirgli una sepoltura adeguata a tempo debito, Y'Ahalla ebbe giusto il tempo di voltarsi ed iniziare ad incamminarsi in direzione del loro accampamento prima di scorgere la figura di Sa'Meehr in rapido avvicinamento a lui, seguito a breve distanza da Ra'Ahon. La sentinella, evidentemente, non aveva perso tempo ed aveva trascinato il comandante con sé, nell'accorrere nuovamente su quel limitare dell'accampamento, nella volontà di scoprire le verità celate dietro a quella strana apparizione.

« Y'Ahalla! » esclamò con voce forte, avanzando nella direzione dell'altro « Che accade, amico mio?! »

In opposizione a ciò che un'abbondante e disordinata chioma di capelli compattamente neri avrebbe potuto dimostrare, Ra'Ahon aveva lasciato alle proprie spalle ben quattro decenni di vita, raggiungendo un'età decisamente superiore a quella che sarebbe stato altresì capace di dimostrare allo sguardo di chiunque a lui fosse rivolto, ingannandolo nel mostrarsi detentore di un'energia, di una giovinezza che, al contrario, avrebbe dovuto ormai iniziare a dimenticare. E dove probabilmente avrebbe anche dovuto, nel proprio ruolo all'interno della guerriglia, cedere il passo ad altri, rifiutando ogni possibile elezione seppur a furor di popolo e spingendo affinché membri più giovani fossero scelti in propria vece, concedendo loro l'occasione per dimostrarsi più abile di quanto lui non avrebbe dovuto più essere, nel riuscire a superarlo nonostante la sua indubbia esperienza maturata su campo, nessuno, però, si era ancora concesso quale degno di tale successione, di simile eredità, non riuscendo a superare il proprio comandante, non riportando alcun successo nei suoi confronti in agilità, freddezza, costanza, forza o velocità. Non quale semplice caso, in virtù di tali considerazioni, sarebbe potuto essere idealizzato il colore ancora pieno, ancora splendente, non sbiadito, non imbiancato o brizzolato, di quei capelli e della curata barba, conformata attorno al suo mento in un pizzetto a punta, quanto piuttosto chiara dimostrazione, evidente simbolo di tale condizione.
Il suo volto, oltre che dalla chioma e dalla barba, si poneva ornato anche a due occhi verdi, splendenti e simili a gemme di giada, in contrapposizione ad una pelle resa scura dal sole e, peggio ancora, drammaticamente rovinata lungo le guance da numerosi butteri. Questi ultimi erano, invero, una pesante eredità, un triste ricordo lasciatogli permanentemente da una malattia dalla quale egli aveva trovato salvezza ma nella quale tutta la sua famiglia era stata, purtroppo, sterminata: un evento lontano nel tempo, del quale egli non avrebbe, forse, potuto incolpare nessuno al di fuori degli dei, ma che lo aveva, invece, sospinto proprio nella via della guerriglia, non perdonando alla propria nazione di essere rimasta inerme di fronte all'epidemia tanto violentemente scatenatasi in quasi tutte le proprie province, nel voler mantenere concentrate le proprie energie e le proprie forze verso i problemi sul confine invece che impiegarle per fronteggiare quelli presenti internamente.

« Questa donna… questa ragazza… ha bisogno di aiuto. » riferì il responsabile delle sentinelle, non arrestandosi, non indugiando neppure alla vista del compagno, continuando nel proprio deciso cammino verso la propria meta, là dove la giovane avrebbe forse potuto avere salva la vita « E' giunta fino a qui condotta da un asino, morto per la fatica nell'adempimento del proprio ruolo. »
« Sappiamo chi sia? » domandò retoricamente Ra'Ahon già consapevole della risposta negativa, giungendo al fianco dell'altro nell'osservare, senza malizia alcuna, le forme della sconosciuta per tentare di identificarla.

Nel mentre in cui il suo braccio destro si concedeva, in conseguenza di un banale e recente incidente, ancora saldamente fasciato da bende bianche, nella mancina egli mostrava una lunga alabarda, a chiara riprova di quanto, nonostante l'assenza di una mobilitazione di massa da parte degli uomini dell'accampamento, non avesse voluto sottovalutare l'allarme condottogli dalla giovane sentinella e si fosse predisposto a fronteggiare qualsiasi eventualità.
Vestito con una casacca gialla, sdrucita nella propria stoffa al punto tale da non conteggiare neppure il braccio sinistro e dal mostrare, sul destro, giusto un avanzo, una parvenza di manica nella parte superiore, il comandante dei guerriglieri di quell'area presentava sopra la stessa un panciotto scuro, ornato da un motivo a righe verticali, e più in basso bianchi pantaloni, rattoppati e rammendati al punto tale da apparire mantenuti insieme unicamente dagli interventi voluti a rimediare ai danni riportati, e vecchi calzari color terra, in pelle morbida e dalle forme appuntite alle estremità. Un abbigliamento sostanzialmente povero, il suo, il quale pur non concedendo alcuna chiara idea del proprio ruolo all'interno di quell'accampamento, si poneva in fondamentale aiuto nel corso di missioni presso i centri abitati minori e presso la città di Y'Lohaf, capitale di quella provincia, dove egli riusciva pertanto ad apparire quale un semplice mendicante, uno straccione butterato non meritevole di particolari attenzioni.

« Nell'ipotesi che riesca a riprendersi, potrà essere lei stessa a dirci chi è e cosa le è accaduto… » commentò Y'Ahalla, in risposta alla domanda postagli « … sempre ammesso che possa esserci gradito scoprire la verità celata dietro al suo stato. » aggiunse, poi, condividendo con il proprio comandante ed amico i timori che già aveva avuto modo di esprimere rivolgendosi alle proprie divinità.
« Non ho mai tollerato certi comportamenti e mai li tollererò. » negò l'altro, scuotendo il capo innanzi a tale affermazione « Se dalle sue labbra dovesse emergere qualche accusa a dei nostri giovani, sarà mia premura impegnarmi affinché possano essere puniti secondo la legge. »
« La legge…?! » intervenne, disorientato, il giovane Sa'Meehr, temendo di non comprendere le parole del proprio comandante.
« Nessuno fra noi deve commettere l'errore di sentirsi superiore alla legge, per quanto proprio contro coloro che ne hanno le sorti fra le mani ci impegniamo a combattere ogni giorno. Non l'anarchia è quanto da noi ricercato… solo la pace. E la pace non può tollerare stupri e violenze. » espresse Ra'Ahon, con serietà assoluta nei confronti del ragazzo « Ricordalo bene e rammentalo anche a tutti i tuoi compagni, se mai vi ritrovaste nell'opportunità di decidere sulla vita di una giovane indifesa, per quanto a noi avversa. »

sabato 25 aprile 2009

470


« Y
'Ahalla! Y'Ahalla! » gridò la sentinella posta sul margine dell'accampamento, riprendendosi dallo stato quasi di torpore nel quale si era ritrovato ad essere in maniera naturale, nell'essere stato incaricato ormai da mesi, alternandosi con altri suoi pari turni definiti, di osservare un orizzonte notoriamente sempre uguale a sé stesso, almeno fino a quel momento « Y'Ahalla! Presto vieni! » insistette, richiamando il nome del suo responsabile a gran voce.
Y'Ahalla, non più desto del proprio subalterno, si alzò di soprassalto, confuso e per un istante spaventato, nel temere il peggio in concomitanza ad un allarme tanto concitato: « Per gli dei… cosa accade, Sa'Meehr?! Siamo sotto attacco? »
« No… guarda… » replicò l'altro, scuotendo il capo ed indicando l'immagine in virtù della quale il panorama solitamente offerto loro non appariva essere più il medesimo.
« Ma cosa…?! » commentò esterrefatto in conseguenza di quella negazione, non riuscendo a comprendere per quale altra ragione vi sarebbe potuta essere tanta agitazione nella sentinella « Ma ti sembrano scherzi da fare? Pezzo d'asino che non sei altro… desideravi davvero tanto che ti indicassi un tuo simile? » aggiunse, immediatamente dopo, identificando il quadrupede per cui era stato creato quell'estemporaneo stato d'allerta assolutamente ingiustificato « Sa'Meehr… »
Ma l'altro non accettò quietamente il rimprovero rivoltogli ed, anzi, interruppe il proprio superiore prima che egli potesse aver modo di offrirgli nuovi improperi: « Osserva meglio! Ti prego! »

L'uomo, padre di un giovane coetaneo al proprio subordinato, avrebbe ben volentieri gradito imporre la propria autorità di fronte a quell'irriverenza, all'insubordinazione con la quale sembrava farsi beffe di lui nel richiedere nuovamente attenzione verso qualcosa del tutto privo di simile necessità, ritrovandosi ad essere incerto fra adottare metodi propri del ruolo militare o propri del ruolo genitoriale, dove entrambi sarebbero potuto essere validi. Ma dove simile volontà non avrebbe potuto trovare alcun ostacolo nella propria attuazione, a prescindere dall'alternativa votata quale favorita, egli decise di non riservarsi alcuna possibilità di errore di giudizio nei confronti di Sa'Meehr, decidendo di dimostrarsi prudente in conseguenza all'insistenza offertagli con apparente sincerità d'intenti. Così, tornando pazientemente ad osservare la figura in lento avvicinamento alla loro posizione, riconobbe nuovamente l'evidente profilo di un asino, il quale, con maggiore attenzione, gli si rivelò essere particolarmente stanco, apparentemente privato di ogni forza e, forse, ugualmente in movimento per pura forza di volontà. E per tale dettaglio, al di là dell'irritazione derivata naturalmente dal riposo interrotto, Y'Ahalla dovette riconoscere come simile immagine non si sarebbe potuta considerare nella norma. Quando poi, oltre all'animale, egli ebbe modo di intravedere, di riconoscere, identificare una seconda figura, abbandonata forse priva di sensi sul dorso del medesimo, e per questo quasi indistinguibile rispetto ad un banale cencio lì dimenticato a simile distanza, non poté che ritirare ogni giudizio negativo prima addotto nei confronti del giovane.

« Ora l'hai vista? » gli domandò la sentinella, certo di aver colto nell'espressione del proprio responsabile l'intendimento da subito ricercato e solo ora da lui ottenuto, non senza una certa insistenza.
« Per Gau’Rol! » ammise, storcendo le labbra « Credo di doverti delle scuse. Corri a chiamare Ra'Ahon… è meglio che venga anche lui a vedere! »

Il nome del loro comandante, eletto in maniera democratica a dirigere tanto le attività del loro gruppo come guerriglia, quanto della loro piccola realtà sociale umana, fece scattare immediatamente le membra ormai completamente ridestate del giovane, il quale senza indugi si diresse di corsa, nell'esecuzione degli ordini ricevuti, verso il centro dell'accampamento alla ricerca dell'uomo.
Y'Ahalla, rimasto così solo su quel fronte, quel confine del loro accampamento comunque non ossessivamente sorvegliato dove non vi sarebbero state ragioni di insistere a tal riguardo, ricondusse la propria attenzione verso l'asino ed il proprio carico, rimanendo indeciso sulle azioni da intraprendere.
Certamente avrebbe potuto restare lì immobile, in attesa dell'arrivo di Ra'Ahon, scaricando su di lui ogni responsabilità decisionale, non tanto per ignavia o codardia quanto per rispetto verso il ruolo ricoperto da quest'ultimo: se quello spettacolo, del resto, si fosse rivelato essere una qualche, originale ed imprevedibile, trappola loro riservata dall'esercito, non avrebbe voluto di certo assumersi la colpa di averla fatta scattare prima del tempo. In verità benché da anni, decenni la loro causa si impegnasse con ogni sforzo nel contrasto all'ordine costituito, fino a quel giorno non avevano mai ottenuto eccessiva attenzione da parte del medesimo, non avevano riscosso particolare interesse dai visir o dallo stesso sultano: al contrario, si sarebbe potuto credere, forse anche a ragion veduta, che vi fosse una chiara ed esplicita decisione da parte dei potenti y'shalfichi per non offrire loro il minimo risalto, alcuno spazio, quasi non volessero neppure riconoscerli come ipotetica minaccia. Una reazione comprensibile dove concedendo loro una qualche importanza avrebbero forse spingo anche altre frange, attualmente pacifiche, della popolazione a prendere in considerazione gli ideali proposti dalla guerriglia, compromettendo l'equilibrio esistente.
L'idea di una trappola, agli occhi maturi di un uomo come Y'Ahalla, sufficientemente disilluso da non commettere l'errore di ritagliarsi un valore da altri non riconosciutogli, si proponeva pertanto decisamente improbabile, tanto da spingerlo a prendere in esame alternative più fattibili, più concrete e, in ciò, da invitarlo a procedere verso l'asino ed il suo ignoto carico, nella volontà di comprendere se e come poter prestare aiuto al malcapitato dal quadrupede così trasportato.

« Ehy… puoi sentirmi? » apostrofò ad alta voce, in direzione dello sconosciuto, per tentare un qualche contatto verbale ancor prima di giungere all'incontro fisico.

Nessuna risposta, però, riuscì ad essergli offerta e, nel mentre di quell'avvicinamento, nuovi dettagli gli vennero offerti, facendolo propendere sempre più a favore dell'idea di un poveraccio svenuto o, peggio, morto… anzi… una poveraccia per amore di precisione.
Lunghi, infatti, si posero i capelli neri di lei, dondolanti nel lento moto dell'animale e striscianti, con le proprie stesse punte, a terra, là dove neanche le dita della medesima sarebbero riuscite a giungere. Scura, su quegli arti nudi, si concesse poi la sua pelle, in tonalità sufficientemente abbronzate da lasciar intuire un'etnia di sangue misto, probabilmente y'shalfica, per quanto impossibile sarebbe stato definirlo prima di averne accolto un qualche accento. Delicato ma temprato, il fisico di quella donna, sufficientemente giovane da poter essere apprezzata senza dubbio alcuno da molti uomini poco più che fanciulli, si mostrò sempre più chiaramente provato da troppi sforzi, da profonde piaghe che ne avevano segnato una pelle quasi completamente scoperta lungo l'intero corpo, in un'assoluta mancanza di pudicizia che non le sarebbe comunque potuta essere rimproverata dato lo stato in cui riversava.
Pur ammettendo, in un'ipotesi ancora priva di conferme, che ella fosse ancora in vita, infatti, probabilmente quella sua condizione non le sarebbe potuta essere imputata, non sarebbe potuta essere considerata quale derivante da una sua volontà: per lo stato impietoso nel quale si donava allo sguardo e, soprattutto, per la posizione con cui cavalcava in maniera del tutto innaturale quella povera bestia, appoggiata sul dorso della medesima come un sacco di canapa privo di ogni umana coscienza, era evidente come quella donna fosse stata lì posta nell'intervento di qualcun altro, forse proprio allo scopo di donarle una speranza di salvezza in conseguenza da qualche pericoloso destino.

« Dei… fate che questo scempio non sia colpa nostra. » sussurrò Y'Ahalla.

Egli era, infatti, purtroppo tristemente consapevole delle abitudini di molti loro giovani, eccessivamente disinibiti nell'esercizio delle proprie filosofie di guerriglia al punto tale da giungere, spesso e volentieri, allo stupro di giovani serve indifese, abbandonandole poi prive di vita o quasi lungo percorsi noti, frequentati, quasi esse potessero essere simbolo perfetto per gli ideali di pace che avrebbero dovuto, altresì, diffondere.

venerdì 24 aprile 2009

469


A
lfine anche l'ultimo inverno stava giungendo alla propria naturale conclusione, accompagnando l'anno ormai terminato ad essere parte della memoria, a unirsi a quel bagaglio di eventi lontani normalmente indicati con il termine di “passato”, per offrire spazio alla rinascita della primavera e, con essa, al ritorno delle speranze, dei sogni e della vita. Un ciclo perpetuo, conseguenza inevitabile di quello altrettanto irrefrenabile del giorno e della notte, che mai alcun mortale avrebbe potuto arrestare, che mai alcuna volontà, fosse anche quella di un re, avrebbe potuto impedire o fosse solo rallentare: l'alternanza delle stagioni avrebbe sempre spinto l'umanità verso il proprio futuro, forse nell’assurda speranza di donare alla medesima una consapevolezza maggiore sulla propria essenza, sulle proprie ragioni d'essere e su ciò a cui sarebbe stato giusto o sbagliato ambire.
Purtroppo però non era mai apparsa quale caratteristica della natura umana quella di riuscire ad aprirsi agli insegnamenti offerti loro attraverso simili meccanismi, di poter apprendere i concetti più semplici in virtù dei quali avrebbero potuto tendere verso un sostanziale progresso, un'evoluzione ad un livello di benessere condiviso e superiore. Nonostante tanto impegno da parte di tutti gli dei per concedere simile opportunità alle proprie creature, al frutto di un bizzarro ludo dal quale la mortale esistenza aveva avuto origine, che in tale condizione sarebbero sempre rimasti fossero essi sufficientemente umili da riconoscere la presenza dei propri artefici o fossero anche tanto arroganti da giungere a negarla spudoratamente, egoismo, codardia, menzogna, verso se stessi ancor prima che verso i propri fratelli e sorelle, avevano purtroppo da sempre segnato l'animo di uomini e donne, negando loro ogni possibilità di comprendere i propri errori, di riuscire a maturare come altrimenti sperato.

A rappresentare una chiara riprova di simile triste fato, condanna autoimposta e non conseguenza di un qualche arbitrio divino come troppo ingenerosamente spesso i mortali erano comodamente abituati accusare, nel vano tentativo di rifiutare qualsiasi genere di responsabilità sulla propria miserabile condizione, si poneva, innanzitutto, l'esercizio letale all'interno del quale interi popoli apparivano contenti di rigettare vanamente le proprie vite: in nome di valori vuoti, se presenti, o, altresì e peggio ancora, semplicemente nel perpetrare qualcosa di cui non sarebbero stati in grado di giustificarne le cause, dimenticate molte generazioni prima di quella dei loro nonni, la guerra incarnava certamente l’apice negativo dell’involuzione umana. Tanto abbondanti quanto privi di ragioni, i conflitti armati si presentavano in maniera equamente distribuita sull'intera superficie dei tre continenti, ovviamente trovando in determinate zone, al loro interno, una spontanea concentrazione, naturali fulcri di aggregazione nei quali le energie e le volontà di tutte le popolazioni lì abitanti o confinanti avrebbero potuto riversare uno psicotico, ma assolutamente vivo, interesse. Nel funereo censimento di simili sconfinati altari innalzati in onore della morte, della distruzione, dell'annichilimento di ogni civiltà, spesso da tempi remoti al punto da rendere difficile ricordare una realtà diversa da quella ormai impostasi, un'area particolarmente attiva in tal senso si poneva essere quella sul confine di due nazioni, due regni fra loro estremamente simili nella cultura, nella religione, nella società, nella lingua, eppur ugualmente e paradossalmente rivali: Kofreya e Y'Shalf.
Poste in contrapposizione sui due fronti della catena composta dai monti Rou'Farth, come molte altre loro pari, quelle rivali non sembravano poter sperare nella pace almeno fino all'annientamento di una delle due parti in causa, alla caduta di una delle di loro, proseguendo ciecamente in un conflitto che, anche dove un giorno portato a compimento, non avrebbe potuto ritrovare alcun reale vincitore, nell'enumerare tutti i soldati e le vittime civili cadute nel corso del tempo, non solo in virtù della violenza nemica ma, addirittura, della propria stessa furia. Tanto su un fronte quanto sull'altro, sebbene forse in termini più rilevanti ad occidente, nei confini kofreyoti, che ad oriente, nei confini y'shalfichi, la guerra aveva purtroppo creato disequilibri interni tali da giustificare ogni sorta di violenze, ogni sorta di abusi. A ponente, in conseguenza di ciò, si era da tempo giunti all'incredibile apoteosi rappresentata dalla provincia di Kriarya, città del peccato: lì ogni autorità nazionale, ogni potere sovrano, era venuto da lungo tempo meno, lasciando la gestione della città e del territorio circostante affidata alla brutalità criminale e vedendo, in conseguenza, la popolazione locale essere rapidamente sostituita da ladri e assassini, prostitute e mercenari, asserviti ad una "nobiltà" di fatto, non basata come altrove sulla discendenza di sangue o sulla semplice influenza economica, quanto piuttosto sulla capacità di dominare quel caos, gestendo ogni traffico all'interno di quelle vie corrotte. A levante, parallelamente, non vi era stata invero tale degenerazione nella provincia di Y'Lohaf, più esposta verso il conflitto come già Kriarya: tale diversità, in effetti, era riuscita ad essere tale solo in conseguenza di un controllo maggiore, sui propri sudditi, esercitato dai vari sultani nel corso del tempo, dove essi si erano dimostrati evidentemente in grado, attraverso i propri visir, di mantenere la quiete ed il vivere civile come sul fronte opposto non erano stati in grado di fare i vari sovrani, attraverso i propri feudatari. Ma tanto in Kofreya quanto in Y'Shalf, per ragioni simili pur con determinazioni ovviamente diverse, si erano venuti a creare movimenti di resistenza locale, un’opposizione al potere sovrano sorta direttamente dalle fasce più basse del popolo allo scopo di rivendicare il diritto alla pace, alla conclusione di ogni conflitto all'interno dei quali, inevitabilmente, non sarebbero stati gli aristocratici i primi a cadere o a subirne un qualche danno quanto la povera gente, volente o nolente vittima di tanta follia: ad ovest, così, era nato il brigantaggio mentre ad est la guerriglia.

In quel mese di Pharfe, o Farph a seconda del vocabolario prescelto per riferirsi al medesimo periodo dell'anno morente, nel rispetto della propria natura nomade uno dei diversi accampamenti minori della guerriglia y'shalfica aveva trovato temporanea sistemazione all’interno della zona collinare anteposta ai monti di confine. All’interno di tale area, per quanto tanto vicine alla frontiera ed all’inarrestabile confronto fra le due nazioni, essi avevano cercato rifugio, per ritemprare le proprie energie in attesa della primavera, della nuova stagione nel corso della quale avrebbero ripreso l’operato in sospeso. Un periodo che era stato utile, necessario più a livello psicologico che fisico, nel desiderio di dimenticare non solo la totale assenza di risultati di quell'ultimo anno quanto, peggio ancora, la tremenda disfatta subita in quell’ultima stagione.
All'inizio dell'inverno, spronati purtroppo solo apparentemente da ideali di pace, dietro ai quali paradossalmente ormai avevano ormai celato la stessa affezione all’omicidio, alla strage, contro la quale avrebbero voluto offrire la propria protesta, un gruppo scelto dei loro compagni aveva tentato di prendere in ostaggio il futuro dell'aristocrazia di Y'Lohaf, rappresentato dai figli e le figlie delle famiglie nobili locali. Tale tentativo, però, era stato clamorosamente soffocato, nonostante in un primo momento fosse apparso rivolto verso un apparente e completo successo: approfittando di uno dei momenti sociali più importanti per colpire, in occasione della celebrazione del giorno di transizione all'interno dell'harem della capitale, essi erano riusciti ad arrivare al proprio obiettivo, salvo poi essere sterminati dall’intervento di una creatura sovrannaturale, una jinn vampira, un’algul. E la comparsa di quel mostro non aveva semplicemente negato alla causa della guerriglia la possibilità di portare a termine il proprio piano, ma aveva, peggio, negato loro qualsiasi risalto pubblico, dove ogni cronaca a tal riguardo era stata altresì concentrata su una misteriosa straniera, una donna guerriero giunta al momento giusto per salvaguardare gli interessi del regno, preservando la vita dei giovani nobili nell’uccisione della jinn. A questa imprevedibile salvatrice, per quanto di ignota origine, erano stati offerti onori e clamore, nella diffusione di diverse ballate, all’interno delle quali era stato anche preciso interesse politico far emergere la guerriglia a livelli assolutamente ridicoli, grotteschi, a non concedere alcun vago ricordo della loro pur solo iniziale vittoria.
Ma dove ormai quei giorni cupi sembravano essere così lontani, anche i guerriglieri avevano ritrovato la propria quiete ed attendevano con serenità l’inizio della nuova stagione e del nuovo anno. La tranquilla esistenza concessa loro all’interno dell’accampamento, nell’illusione di pace proposta loro dalle proprie famiglie, dalle proprie mogli e dai propri figli, aveva permesso loro di ritrovare uno sprone utile a non concedergli di arrestare la missione prepostasi, per riservarsi il diritto di godere di tale sogno non in poche effimere fughe dalla realtà quanto piuttosto nella vita di tutti i giorni.
E proprio in tali giorni di riposo, in quell’ultimo scampolo di inverno, fu l’arrivo di una sconosciuta, quasi nuda e svenuta sul dorso di un asino stremato, al limite delle proprie energie, ad attrarre l’attenzione di tutti, nell’implicita e naturale richiesta d’aiuto che, pur incosciente, ella parve loro supplicare.

giovedì 23 aprile 2009

468


P
er ovviare agli inevitabili controlli alle mura, la mercenaria votò infine a favore della soluzione di più semplice attuazione, elementare nella propria forma e nei propri contenuti, preferendola ad alternative più complesse.
Approfittando della notte e della sua involontaria ma onnipresente complicità in favore di amanti, ladri ed assassini, ella si impossessò pertanto del carro di un mercante, nonché, addirittura, del suo stesso proprietario e della famiglia del medesimo, al fine di ottenere un passaggio sicuro in uscita dalla città. Due donne sole, prive di ogni compagnia o di ogni custodia, in fondo, non avrebbero potuto mostrarsi in partenza dalla capitale senza attirare eccessiva attenzione, non avrebbero potuto evitare qualche domanda da parte delle guardie y'shalfiche a riguardo di simile decisione, innanzitutto in ragione dei loro burqa, comunque indispensabili a mantenerne al sicuro le identità, poi, sicuramente, in conseguenza della presenza dell’ingombrante fardello voluto dalla donna guerriero al loro seguito, che sarebbe apparso quanto meno sospetto nelle proprie proporzioni e forme chiaramente umane. Considerando tutto ciò, il rischio che ella aveva deciso di correre, pur presente nella scelta di coinvolgere ulteriori ostaggi, di trascinare altre persone al loro seguito, si sarebbe potuto considerare comunque relativamente ridotto ed accettabile rispetto alle alternative altrimenti loro proposte: adottando la copertura offerta da un carro mercantile, le due donne avrebbero potuto infatti allontanarsi senza neppure essere identificate, spronando il povero malcapitato, loro cocchiere, a non indugiare eccessivamente nel proprio percorso attraverso adeguati incentivi psicologici.
Così avvenne e poco dopo l'alba e la riapertura delle grandi porte a protezione dell'urbe il mercante condusse il proprio carro fuori dai confini della medesima, non prendendo neppure per un istante in considerazione l'idea di tentare di avvisare le guardie di quanto stesse accadendo, nel timore che la sua avversaria dagli occhi color ghiaccio avrebbe potuto sgozzare l'amata moglie ed il loro figlioletto senza alcun indugio, quale punizione per il suo tradimento. Solitamente, in verità, Midda non era abituata a ricorrere alle minacce per servirsi di fortuiti collaboratori, per ottenere la temporanea fedeltà di un improvvisato complice, preferendo il linguaggio universale rappresentato dall'oro, chiave capace di aprire ogni porta, di lubrificare ogni cardine senza la necessità di alcuna violenza: purtroppo, nella particolare situazione derivante da quella missione, accanto all'esigenza di lasciare quanto prima quelle mura si poneva anche una naturale limitatezza delle risorse a lei offerte, da cui, sfortunatamente per le sue provvisorie vittime, era derivata la necessità di riconoscere quale virtù simile comportamento.
Naturalmente ella non aveva alcuna intenzione a nuocere al mercante e alla sua famiglia: al contrario, una volta raggiunta sufficiente distanza dalla città, tale da garantire a sé ed al suo seguito la possibilità di non essere facilmente rintracciate a posteriori, si sarebbe impossessata di uno dei due muli posti innanzi al carro per proseguire autonomamente il cammino verso Kofreya, liberando dalla propria presenza quei collaboratori. Non solo: ella aveva anche previsto di ricompensarli per quanto da loro comunque concesso, al di là della coercizione di fondo presente, con un ninnolo in oro e pietre preziose che, senza alcun indugio, aveva requisito a tal fine dal leggero bagaglio personale della principessa: ovviamente, proprio quest'ultima non si era dimostrata particolarmente soddisfatta della scelta della compagna, per la perdita di quel gioiello per lei pur privo di qualsivoglia valore sentimentale.
Peggio, addirittura, l'aristocratica aveva addirittura iniziato a cercare polemica in conseguenza di tale scelta, dubitando apertamente della serietà della propria rapitrice quale professionista nel proprio ruolo, dove ai suoi occhi eccessivi sembravano apparire i limiti che ella gradiva concedersi nel rispetto di non meglio chiariti principi.

« Prima decidi di accollarti il peso derivante da quell'inutile serva. » commentò stizzita, nel corso del tragitto all'interno del carro « Ed ora, addirittura, non solo vuoi lasciare in vita questi pezzenti ma, peggio, hai intenzione anche ricompensarli per qualcosa che li hai costretti a fare sotto il peso di una minaccia? » proseguì senza porsi alcuna remora ad esprimersi in simili termini, incurante la presenza della madre e del suo figlioletto ad ascoltarla « Che razza di mercenaria pensi di essere, Midda Bontor?! Inizio a credere che le storie che ho sentito a tuo riguardo siano il frutto di mera immaginazione… »
« Sul fatto che quelle ballate derivino in gran parte dalla fervida fantasia di coloro che le hanno composte, non sono in grado di offrirti alcuna contestazione: la gente ha la strana abitudine di cogliere qualsiasi evento appena estraneo alla norma e spingerlo a livelli mitologici in una strana ricerca di eroi, in un bisogno forse ancestrale di epica anche dove non sussista minimamente. » le rispose con tono inizialmente tranquillo la Figlia di Marr'Mahew, salvo poi concederle una voce improvvisamente gelida, incapace di offrire spazio a eventuali repliche « In merito alla "razza di mercenaria" che io dovrei essere, invece, ti consiglio di non lasciarti cogliere da eccessivo entusiasmo, da troppa enfasi per quanto sta accadendo, lasciandoti traviare in simili sentimenti verso giudizi errati… »

Nass'Hya riconobbe immediatamente quella modulazione vocale e comprese, da essa, di aver agito forse dimostrando un'eccessiva confidenza con colei che fino a pochi giorni prima si era abituata a considerare quale una semplice serva: ella era sicuramente una mercenaria, ma ben diversa da altri esponenti di simile categoria con i quali in passato aveva avuto modo di incrociare casualmente il proprio cammino, gente priva di ogni ideale, di ogni interesse al di fuori della ricompensa con la quale sarebbero stati pagati. Evitando di ricercare una qualche forma di perdono da parte della sua, per non apparire piegata da lei, per non lasciarle intendere alcuna possibile vittoria su di sé, la giovane decise comunque di non ritornare più sull'argomento, considerando la perdita del proprio gioiello quale un necessario pegno per l'avventura nella quale aveva audacemente deciso di imbarcarsi.
Effettivamente quel viaggio stava presentandosi, innanzi al suo sguardo, simile ad una vera follia, più che derivante da un atto di coraggio, dove in esso ella stava offrendo il proprio addio all'intera realtà nella quale era nata e cresciuta, ai propri titoli, al futuro un tempo ambito ed alla propria stessa famiglia. Probabilmente anche l'innegabile peso derivante da tale posizione, dalla decisione che tanto impulsivamente aveva preso e che, forse, prima o poi le avrebbe presentato un pesante conto, in un carico di rimorsi e rimpianti, la stava rendendo meno indulgente rispetto alla propria norma. Ma di tali problemi non desiderava provare a cercare confidenza con la donna guerriero, dove la medesima, che lei fosse volente o nolente, avrebbe dovuto proseguire con la propria missione senza porsi problemi o, peggio ancora, avrebbe potuto decidere di abbandonarla, in nome di qualcuna delle proprie regole di vita, lungo il cammino per non costringerla a giungere fino a Kriarya, ad un destino che avrebbe potuto essere male interpretato come da lei sgradito.

Seguendo le intenzioni già annunciate, nel primo pomeriggio la mercenaria liberò il mercante e la sua famiglia dalla propria scomoda presenza, ritagliandosi, a conti fatti, oltre una giornata di cammino nel confronto con eventuali inseguitori, i quali avrebbero potuto porsi sulle loro tracce solo la mattina seguente, dopo il ritorno in città dell'uomo e la sua, inevitabile, denuncia a loro discapito, nonostante il risarcimento riconosciutogli con il il braccialetto prezioso della principessa.
Soddisfatta comunque dal risultato ottenuto, la donna guerriero caricò sul dorso del mulo la propria unica, reale prigioniera, riservando a sé e all'aristocratica un cammino a piedi. Tale sarebbe stata la disposizione in quel viaggio almeno fino a quando, a sera, non fosse tornata a concedere libertà anche a Fath'Ma. Fino ad allora, quella di mantenerla strettamente legata, imbavagliata e chiusa all'interno di quel sacco era stata da lei giudicata essere la scelta migliore: in tal modo sperava di offrirle la possibilità di scaricare in vani sforzi tutte le proprie energie per giungere già stremata, assetata e affamata, all'inevitabile confronto che avrebbero dovuto riservarsi, quasi quale inevitabile e necessario proseguo di quello iniziato all'interno dell'harem. Sicuramente nella valutazione relativa a simili metodi, la donna guerriero avrebbe guadagnato ulteriori critiche da parte della controparte, ma sua speranza, nonostante tutto, restava quella di vincere, con il tempo, nel corso del viaggio, ogni pregiudizio, ogni ritrosia, da parte dell’altra, per poterle finalmente far comprendere la questione anche dal proprio punto di vista e rimediare, forse, alle ferite emotive che poteva averle involontariamente offerto con il proprio comportamento, con le proprie menzogne.
Dopo di che, se la serva avesse voluto far ritorno a casa, alla propria Y'Lohaf, la mercenaria le avrebbe anche lasciato l'asino per aiutarsi nel viaggio, non pretendendo altro tempo da parte sua, altra attenzione ulteriore a quella già sottrattale con la forza.

« Ora cosa pensi di fare? » le domandò Nass'Hya, senza volontà polemica, quanto sinceramente incuriosita dai piani non completamente condivisi dalla propria compagna, nel merito del comune futuro che le avrebbe attese ancora per almeno qualche settimana.
« Mi pare ovvio. » sorrise l'altra « Il mio incarico, per quanto ti riguarda, si concluderà solo nel momento in cui ti avrò posta innanzi al mio mecenate… »
« Ci attende un lungo cammino verso Kofreya. » denotò la giovane, con un velo di preoccupazione al pensiero di tutte le prove che, in effetti, avrebbero caratterizzato la conclusione di quell'avventura, paradossalmente simile al principio di una ancor più imponente, almeno per quanto la potesse riguardare.
Serenamente, Midda annuì verso di lei, stringendo le redini dell'asino nella mano destra prima di avviarsi verso ponente: « E questa è un'ottima ragione per non concederci troppi indugi, non ti pare? »

mercoledì 22 aprile 2009

467


I
n conseguenza alle conferme che la conclusione di quell’esperienza le aveva fornito, la Figlia di Marr’Mahew non si sarebbe più potuta considerare confidente con l’arte del travestimento, dell’infiltrazione, dell’inganno. In tale campo, in futuro, avrebbe volentieri lasciato operare altri mercenari e mercenarie, impegnandosi personalmente a ritornare a svolgere missioni per sé più consone, più vicine al genere di attività nelle quali avrebbe potuto ritenersi a ragion veduta una delle maggiori esperte. Una scelta non dettata dal timore del confronto con nuove sfide, quanto dalla consapevolezza dei propri limiti, con i quali un vero guerriero avrebbe sempre dovuto sapersi confrontare, avrebbe dovuto sempre sapersi misurare.

Nonostante il momento di tensione vissuto in quella notte, in conseguenza al proprio smascheramento, ella era comunque riuscita ad uscire vittoriosa, ricorrendo non tanto alla mistificazione quanto ad alcune fra le proprie abilità maggiormente consolidate, pubblicamente riconosciute: da un lato l’omicidio e dall’altro l’evasione. Se con la morte violenta, era stata costretta a scendere a patti da troppo tempo, per la propria stessa sopravvivenza, quale necessario tributo da riconoscere alla realtà a sé circostante, a regole severe ed intransigenti di un’esistenza nella quale nulla sarebbe mai stato concesso gratuitamente ad alcuno, ed il semplice diritto ad assistere a una nuova alba sarebbe dovuto essere difeso strenuamente, a colpi di spada; con le abilità utili e necessarie per fuoriuscire dai luoghi più improbabili era divenuta confidente solo nel corso del tempo, in virtù e naturale conseguenza delle proprie leggendarie esperienze. Abituatasi, infatti, a confrontarsi con dedali oscuri e cripte maledette, luoghi all'interno dei quali alcuno avrebbe dovuto spingersi e dai quali nessuno sarebbe dovuto poter uscire una volta violatone con blasfemia il perimetro esterno, la donna guerriero aveva effettivamente maturato una sicura esperienza nei confronti di quelle sfide. Anche nel corso di quell'ultimo anno, invero, aveva dimostrato tale bravura, simile dote, nel riportare straordinario successo nell’evadere da una delle carceri più segrete e protette di quell’intero angolo di continente, dopo essersi fatta lì imprigionare volontariamente in conseguenza di una personale necessità a raccogliere alcune informazioni necessarie. Lasciare l’edificio dell’harem, pertanto, nonostante la compagnia della principessa Nass'Hya ed un ulteriore ingombro non preventivamente pianificato, non aveva rappresentato una difficoltà tale da impedirle di ottenere successo, da non consentirle di compiere quanto inizialmente prepostasi: addirittura, nel compiere ciò, era riuscita anche ad evitare di ricorrere nuovamente alla propria lama, dove un abuso della medesima avrebbe comunque rischiato di dare origine a segnali d'allarme da parte di coloro che ella non fosse rapidamente riuscita a raggiungere. E, sinceramente, non aveva intenzione, né avrebbe avuto possibilità, di sterminare l’intera popolazione dell’edificio o, peggio, della città.
Pur celate sotto i propri burqa, la cui presenza si concesse un'ultima volta per entrambe quale utile, se non addirittura indispensabile, a mantenere il massimo riserbo, le due compagne di ventura evitarono di esporsi apertamente al controllo offerto dalle guardie, non limitandosi semplicemente ad aggirare le barriere protettive proposte dagli eunuchi dell'harem, rivolte più verso un pericolo proveniente dall'esterno che verso uno eruttante dall'interno del complesso, ma, anche, ingannando l'attenzione delle numerose ronde cittadine all'interno di Y'Lohaf, formata da uomini di maggiore esperienza e formazione che pur poco poterono per ostacolare il loro cammino, dettato dall’esperienza di Midda. E proprio complici gli abiti lunghi ed avvolgenti, scelti per l'occasione in tonalità scure quali quelle della notte stessa, esse scivolarono nelle tenebre delle strade della capitale, muovendosi con decisione e discrezione, con rapidità ed efficienza, nel consumare rapidamente il tragitto verso le mura, solide ed inviolabili nella loro massiccia presenza attorno alla città, a preservarla da ogni possibile violenza, a difenderla innanzi ad ogni ipotetica minaccia.
Fosse stata sola, la mercenaria non si sarebbe forse fatta arrestare neppure da quella pur straordinaria erezione, soprattutto dove le fosse stato necessario lasciare quanto prima quei confini, per riguadagnare la libertà offerta oltre gli stessi: la presenza della principessa al proprio fianco e dell'ingombrante sacco sulle proprie spalle, al contrario, la dissuasero a ricorrere a particolari opzioni pur possibilmente riservatele, nel preferire vie più sicure, che avrebbero richiesto minor impegno pur offrendo un certo grado di rischio superiore, di azzardo nel permanere ancora all'interno della città e nell'abbandonarla solo attraverso percorsi convenzionali. In verità, nel merito della presenza di Nass'Hya, la donna guerriero non avrebbe potuto assolutamente sollevare alcuna critica, alcuna protesta di sorta: la giovane aristocratica, abbracciata con trasparente sincerità la prospettiva di nuove possibilità fino a quel momento neppure prese in considerazione per lo sviluppo, il proseguo della propria esistenza, si stava dimostrando più collaborativa che mai con la propria rapitrice, seguendo con accurata precisione ogni comando impostole, senza presentare in conseguenza ad essi la benché minima opposizione. E, di ciò, la donna guerriero, non avrebbe potuto che essere onestamente grata alla medesima, comprendendo quanto dovesse comunque non essere facile, in conseguenza del carattere e della storia personale propri di quella fanciulla, ritrovarsi a seguire una persona quale lei, non semplicemente straniera in quanto proveniente da una terra diversa, da un confine estero, ma piuttosto aliena in quanto parte di una realtà assolutamente incompatibile con quella nella quale l'altra era nata e cresciuta, imparando a prendere le proprie misure nei confronti del mondo e della vita stesse. Neppure nel merito della presenza del sacco sulle proprie spalle, nel voler analizzare con raziocinio la situazione, ella avrebbe potuto trovare ragione di lamentela. Dove, infatti, l'aristocratica, al contrario rispetto a quanto proposto, non si fosse dimostrata tanto ben predisposta innanzi all'idea di quel rapimento, entro quella stoffa ruvida sarebbe dovuta essere proprio lei, giacendo legata e tramortita quale un peso morto, almeno fino a quando la distanza dalla "civiltà" non fosse stata tale da riservare alla mercenaria la possibilità di estrarre nuovamente ed apertamente la propria spada, per proporle un solido incentivo all'ubbidienza.
Nel non poter ignorare, comunque, la collaborazione concessa dalla fanciulla, la presenza di quel sacco si stava proponendo inevitabilmente quale un onere straordinario per il quale ella, forse, avrebbe potuto addirittura averne presto a pentirsene, come in almeno due occasioni anche Nass'Hya non evitò di sottolineare.

« Sinceramente non ti capisco… » aveva obiettato, scuotendo il capo « Che scopo può avere trascinarci dietro quella stupida serva? Avresti potuto ucciderla esattamente come hai fatto con gli altri… »

Purtroppo o per fortuna, a seconda dei punti di vista, la Figlia di Marr'Mahew, sebbene fosse indubbiamente capace di uccidere senza porsi eccessive remore come aveva avuto occasione di dimostrare in molteplici occasioni, non aveva mai ceduto alla tentazione di provare un qualche piacere in conseguenza all'assassinio: per tale ragione, dove non strettamente necessario, nel garantirle la propria sopravvivenza o la conclusione di una missione, ella era comunque solita evitare tale via, simile opportunità, volgendo in favore di possibilità sicuramente più complicate, meno elementari, ma proprio per questo anche più entusiasmanti da affrontare nell’incognita che le avrebbero potuto riservare per il futuro. Del resto chiunque, anche un ragazzino troppo impulsivo, sarebbe stato in grado di superare un ostacolo semplicemente eliminandolo a livello fisico dal proprio cammino, meritevole o meno che fosse di simile destino: pochi, al contrario, sarebbero stati capaci di concedere ad un potenziale ma non degno avversario il diritto di sopravvivere, fosse anche solo per riservargli la possibilità di ritornare a combattere in futuro, rafforzato, rinvigorito e, per questo, in grado di accrescere sostanzialmente il valore derivante dalla propria sconfitta, dalla propria uccisione per il suo stesso vincitore. E proprio onorando una simile filosofia, spesso ella aveva concesso vita invece di imporre morte a coloro che pur avevano abusato della sua pazienza, del suo tempo, non una sola volta ma anche in più occasioni, posticipando ad un ipotetico futuro una nuova opportunità d'incontro e di morte.

« Devi comprendere che dato l’apprezzamento da te concessomi in conseguenza all’idea di rapirti, lasciare la città senza un minimo di difficoltà non mi avrebbe offerto soddisfazione. » aveva commentato puntualmente la donna, con fare volutamente divertito, nel rispondere alle proteste della compagnia pur non volendo comunque offrire particolari spiegazioni nel merito delle proprie scelte, delle proprie decisioni.

martedì 21 aprile 2009

466


« M
… Ay… dah… » sussurrò la serva, ritrovandosi, suo discapito, vittima nella stretta imposta della mano destra della mercenaria attorno al proprio collo, una morsa di metallo da cui non avrebbe potuto trovare alcuna possibilità di evasione, se anche avesse tentato.
« Interessante come tu non abbia avuto difficoltà a riconoscermi, pur non avendomi mai vista in faccia… » sorrise la mercenaria, piegando appena la testa di lato nell'osservarla con evidente ironia e mal celata irritazione « Devo dedurre che quando affermato dall'intendente… dal fu intendente ormai… non sia stato completamente casuale. »
« I… i… io… non… » replicò l'altra, non riuscendo però a trovare alcuna possibilità di esprimersi in conseguenza al principio di soffocamento derivante dalla trappola in cui era stata gettata.
« Stai forse cercando di dire che non riesci a parlare? » domandò la donna guerriero, aggrottando la fronte come incerta a tal riguardo, ovviamente giocando violentemente con lei « Eppure non mi sembra che tu sia stata tanto povera di parole nel denunciarmi. Come dovrei intendere simile comportamento, secondo te? »
« … re… s… sss… » sibilò, nel mentre in cui i suoi occhi si mostrarono ora socchiusi, forse a segnalare una prossima perdita di sensi da parte sua.
« Ahh… » annuì la controparte, dando segno di aver compreso cosa ella stesse tentando di esprimere « Non riesci a respirare! » precisò, con tono comunque moderato ma esplicitamente divertito in conseguenza di tale situazione « In effetti deve essere sgradevole … anche se, dimostrando maggiore senso pratico, avresti dovuto riflettere accuratamente sui rischi a cui la tua salute sarebbe sicuramente andata incontro prima ancora di decidere di parlare. Ora non puoi lamentarti con me di questo! »

Nonostante, in apparenza, solo fredda decisione sembrasse animare il cuore e le azioni di Midda, determinata a pretendere la vita della serva traditrice a compenso del danno da lei subito, ella stava al contrario mantenendo un controllo assoluto sul proprio corpo e, in particolare, sulla propria mano destra per non correre alcun genere di rischi in tal senso, almeno per il momento, offrendo al collo della propria prigioniera una pressione tale non prevedere non solo la possibilità di morte, ma anche, semplicemente, quella di perdere i sensi. Del resto era andata a cercarla per ottenere delle spiegazioni, desiderando una qualche delucidazione nel merito di quanto fosse accaduto e delle ragioni celate dietro a simili fatti, prima ancora di ricercare la propria giusta e necessaria vendetta.
Per tale motivazione, quando considerò sufficiente quanto già impostole, un incentivo a non concederle volontà di rivolta contro di sé, allentò di poco la propria presa, a concederle occasione per riprendere a respirare, per recuperare il fiato per un momento perduto.

« Mi hai delusa, Fath'Ma. Dico sul serio… » commentò, socchiudendo gli occhi e scuotendo appena il capo, trasparente nei propri sentimenti di sfiducia verso di lei « Avrei potuto sospettare di chiunque in questo posto, ed in effetti l'ho anche fatto, ma non di te. Ti sei dimostrata sempre così cordiale, così amichevole nei miei confronti, innocente nella profondità del tuo animo, priva di malizia nei confronti del mondo intero. Perché mi hai spiata? Perché mi hai denunciata? »
« Io… » tentò di rispondere l'altra, tossicchiando nel ritrovare aria attraverso la propria gola, nei i propri polmoni dopo l'apnea forzata a cui era stata costretta.
« Più ci penso, meno riesco a comprendere le ragioni di quanto hai compiuto… le motivazioni che possono averti spinta ad un tale atto nei miei confronti. » spiegò sinceramente turbata la mercenaria, sconvolta nel proprio intimo per l'ennesima riprova di quanto l'umanità non fosse meritevole di alcun genere di fiducia, neanche negli elementi apparentemente più innocui, più puri quale era sempre apparsa essere la serva, ingannando i suoi sensi « In cosa ho meritato simile trattamento da parte tua? »
« Tu… tu non sei… una di noi… » sussurrò finalmente Fath'Ma, nell'accontentare quella richiesta di spiegazioni, quella necessità di chiarezza.
« Io… non sono una di voi?! » ripeté assolutamente stupefatta Midda, sgranando gli occhi verso di lei « Per Thyres… sei forse indottrinata al punto tale da non riconoscere un essere umano? Da non saper distinguere una donna tua pari da… boh… cosa dovrei essere, scusa la curiosità?! »
« Non sei… y'shalfica… » si spiegò meglio la serva, seria nei propri toni, convinta nelle proprie affermazioni, incurante della morte incombente su di sé nonostante quelle parole avrebbero potuto condannarla « Sei giunta fino a qui… unicamente nell'adempimento di un empio dovere… per portare discordia e dolore. Sei tu… ad avermi tradita! Ad aver tradito… la mia fiducia! »

E per quanto quelle frasi si ponessero in conseguenza di un'evidente xenofobia, di una guerra che da troppo stava dividendo due popoli altresì fraterni, nel volerle analizzare con un certo raziocinio la Figlia di Marr'Mahew non poté addurre ogni torto alla propria preda. Dal punto di vista della medesima, infatti, la scoperta della menzogna perpetrata dalla mercenaria per lunghe settimane, al solo scopo di poter rapire una principessa e trascinarla quale sposa innanzi ad un signore straniero piuttosto che concederle di restare votata al proprio sultano, sarebbe chiaramente potuto essere vissuto in maniera più che corretta quale un tradimento o, forse, anche peggio. Dal punto di vista di Fath’Ma era stata la donna guerriero stessa ad aver permesso ad un rapporto quasi d'amicizia di fondarsi su una menzogna, su una completa falsità, tradendone ogni sentimento, mancandole di rispetto ad ogni livello possibile.

« Ma come mi hai scoperta?! » incalzò la donna guerriero, ancora colma di dubbi nel merito di un discorso così complesso, ricco di più sfumature di quante non ne avesse inizialmente previste « Perché hai iniziato a sorvegliarmi di nascosto? »
« Non l'ho fatto… » scosse il capo la prigioniera, ritrovando ancora maggiore voce, maggiore scioltezza nell'esprimersi.
« Dici di no? » negò retoricamente l’altra, storcendo le labbra innanzi a quell’affermazione.
« Dico di no: non ti ho spiata. Informata di quanto era appena accaduto con il sultano, io stavo solo venendo a cercarti, per poterti essere vicina, per poterti sostenere anche in un momento che avevo reputato non essere semplice per te, data la fuga della quale ti eri resa protagonista. » spiegò con parole semplici, dirette, che non avrebbero potuto celare alcuna trappola, evidentemente considerandosi dalla parte della ragione al punto tale da non aver alcuna necessità di celarsi dietro a inganni o doppi sensi di varia interpretazione « Ed è stato allora che ho avuto modo di ascoltare dalle tue stesse labbra ogni verità in merito alla tua vita, alle tue origini, ai tuoi scopi… condividendoli con colei che desideravi strappare alla propria terra, alla propria famiglia, al proprio sposo. »

Impossibile considerare completamente nel torto la serva, dove interpretando i fatti attraverso simile sguardo, l’unica reale empia figura presente in quel momento sarebbe dovuta essere proprio quella della mercenaria. Prestando attenzione a restare sempre coerente con se stessa, con la propria natura, con i propri incarichi, Midda aveva commesso la leggerezza imperdonabile di non considerare eventuali danni collaterali, le vittime innocenti che avrebbe potuto lasciare sul proprio cammino, nell’avventurarsi in una missione lontana dai propri consueti canoni. Ormai, purtroppo, impossibile sarebbe stato recriminare su quelle proprie colpe, sulle responsabilità derivanti dal proprio tradimento della fiducia ingiustamente richiesta a Fath’Ma: la serva rappresentava per lei e per il successo della propria missione un ostacolo, l’unica avversaria la cui sopravvivenza avrebbe potuto procurare loro più danni che benefici, dove comunque l’intendente e le guardie informate dei fatti erano già stati giustiziati.

« Mi dispiace… » sussurrò la Figlia di Marr’Mahew, osservando funerea la serva « Per quanto non riesca a riconoscerti più le medesime imputazioni per le quali ti avrei condannata fino ad un istante fa, offrendo ragione alle emozioni per le quali hai agito, non posso permettermi che tu rimanga in circolazione… sai troppe cose. »

lunedì 20 aprile 2009

465


« B
eh… » sospirò la donna guerriero, sorridendo divertita nel ritrovarsi così concessa ai propri avversari, sotto lo sguardo proposto da occhi sbarrati, in un misto di incredulità e sbalordimento « Io ho tentato di avvertirvi, ma non mi avete voluto ascoltare. » sottolineò ancora scherzosa, sollevando le spalle in un gesto di chiara minimizzazione, salvo poi concludere con tutto il gelo di cui una voce umana si sarebbe mai riuscita a rivestire, nell'offrire una sentenza incontestabile « Ora dovrete morire. »

Non fu tanto lo stupore, pur preponderante nelle guardie e nell'intendente lì presenti, che segnò il loro destino di disfatta, condannandoli a cadere uno dopo l'altro sotto i colpi proposti dalla mercenaria senza neppure tentare di opporle la minima difesa, quanto e piuttosto la totale impreparazione caratterizzante di tutti loro, nonostante gli incarichi formalmente ricoperti, nel ritrovarsi in una simile situazione.
Come già era stata offerta chiara riprova durate l'assalto dei guerriglieri, benché apparentemente perfetti per un compito di custodia, di sorveglianza all'interno di un ambiente comunque naturalmente protetto quale era, e forse sempre sarebbe stato, quello di un harem, nessuna di quelle guardie aveva mai ricevuto un reale e completo addestramento all'arte della guerra, nella previsione di dover affrontare combattimento corpo a corpo con un avversario bramoso di uccidere e non, semplicemente, di dover riportare all’ordine una ragazza incapricciatasi nel voler disobbedire ad un ordine perentorio. Probabilmente l'origine, la causa di tale limite, che sarebbe risultato assolutamente paradossale ad occhi esterni a quella particolare società, sarebbe dovuta essere ricercata ed identificata quale conseguenza di una decisione consapevole da parte del resto di quella stessa nazione, nella volontà di porre un chiaro ostacolo in contrasto agli eunuchi da loro stessi preposti a custodia di simili ambienti. Da un lato, forse, tale decisione era stata assunta per sciocca vanità, presunzione nel non voler concedere a coloro considerati quali "mezzi uomini" la possibilità di essere competitivi in un eventuale confronto con dei "veri maschi"; da un altro lato, però, essa era stata votata sicuramente per garantire che ogni possibilità di rivolta da parte degli stessi eunuchi sarebbe potuta essere scoraggiata, preventivamente, e comunque facilmente contenuta, dove si fosse arrivati a concretizzare una tale follia, onde evitare che potesse degenerare fino ad una vera e propria guerra civile. Difficile sarebbe stato ritrovare un sereno riposo per coloro i quali, proprio attraverso tale espediente, quelle amputazioni imposte in giovane età ad ognuno degli eunuchi, avevano trovato occasione per mantenere i propri privilegi, i propri poteri, nel creare artificialmente un’ulteriore classe sociale verso cui potersi sentire liberi di offrire ogni umiliazione, in ruolo più prossimo alla schiavitù che all’asservimento: ma il prezzo realmente conseguente a tale crudele scelta, inevitabilmente, tornava ad emergere in ogni situazione nella quale un intervento da parte di guardie veramente addestrate sarebbe stato necessario, in contrasto ad uno o più nemici, dove questi ultimi, fatalmente, avrebbero goduto di assoluta libertà nel disporre non tanto solo della vita degli eunuchi stessi, per i quali nessuno avrebbe dimostrato preoccupazione, quanto piuttosto della vita di coloro che sarebbero dovute essere da loro protette.
Nel confronto, in quel particolare momento, contro una donna come la Figlia di Marr'Mahew, confidente con guerra e morte quasi essi fossero i suoi due migliori compagni di ventura, alcuna delle guardie ebbe occasione di formulare il più banale pensiero offensivo, limitandosi ad un vano tentativo di invocazione divina in loro soccorso, in loro difesa. Simile ad un turbine, ad una creatura composta da aria in movimento ancor prima che da carne ed ossa, la mercenaria agì fra loro con leggerezza e rapidità, prima, estraendo elegantemente la propria lama dal fodero pendente al proprio fianco e, subito dopo, altrettanto elegantemente ponendo il proprio letale sigillo sulla sentenza formulata contro ognuno di quegli avversari. Colpendo con efficacia e razionalità solo i punti vitali, ella dimostrò contemporaneamente sia un desiderio forse generoso di non proporre loro alcuna sofferenza, sia la volontà di non attirare ulteriori attenzioni, di non dar spazio ad nuovi allarmi, nei quali la conclusione di quell'avventura avrebbe altrimenti previsto una strage decisamente maggiore. Anche l'intendente, pietrificato dal terrore alla vista dell'operato di quella donna simile a sua volta a jinn, quasi fosse un'algul incarnata, non ebbe la forza di pronunciare alcuna parola, prima di incontrare a propria volta la morte pur non coinvolto direttamente nello scontro. Non crudeltà, quella che spinse a quel massacro la donna guerriero, quale appunto una scelta razionale, nel quale il sacrificio di pochi avrebbe potuto contribuire alla salvezza di molti altri, se questi ultimi fossero rimasti inconsapevoli della realtà occorsa in quell'angolo dell'edificio.

« Thyres… » sussurrò al compimento di quella mattanza, scuotendo il capo per nulla soddisfatta da ciò che era stata costretta a compiere « Almeno avessero tentato di difendersi... » commentò, tristemente consapevole delle ragioni per le quali comunque in loro non avrebbe mai potuto ritrovare avversari degni.

Liberatasi così dalla propria scorta, ella si osservò per un istante attorno, spingendo i propri sensi a rilevare eventuali segnali di pericolo, suoni d'allarme inevitabili dove quella sua ribellione fosse stata scoperta. Fortunatamente, però, il silenzio sembrò altresì gravare sull'intero complesso, come era stato fino a poco prima: nessuno, forse, aveva avuto occasione di prestare attenzione a quegli eventi, ai fatti lì compiuti, ed in questo ella avrebbe potuto concedersi di proseguire con una certa libertà e serenità. E dove altri, al suo posto, sarebbero rapidamente corsi alla ricerca della principessa, per proseguire nell'evasione programmata, Midda decise in favore di una via diversa, alternativa, non gradendo concedere ad alcun proprio affare di restare in sospeso, ad alcuno dei propri debiti o crediti di restare non saldato o non riscosso.
Così, riponendo la lama nel proprio fodero dopo averla pulita dal sangue dei caduti, ella trascinò con discrezione, movimenti felini atti a non turbare la quiete imperante, i corpi morti delle guardie e dell'intendente nella stessa cella entro la quale lei sarebbe dovuta essere segregata, liberando in tal modo il corridoio all'interno del quale, almeno fino al sorgere del nuovo sole, nessuno avrebbe potuto notare le tracce di sangue che sarebbero rimaste comunque presenti, non essendole concesso tempo e modo di ripulire completamente quell’ambiente. Fortunatamente per lei, comunque, non prevedendo la possibilità che in orari notturni sarebbe stato necessario circolare all'interno dell'harem, fatta eccezione per pochi gruppi di guardia i quali avrebbero ovviamente condotto seco lampade personali, gli architetti di quel complesso pur maestoso avevano ridotto ai minimi termini le fonti di illuminazioni presenti, predisponendo in ciò, inconsapevolmente, un ambiente più che proficuo per azioni riservate, caute, quali quelle che la mercenaria aveva già condotto in passato nei confronti dei guerriglieri, prima di giungere alla sala centrale ed al successivo scontro, e quali quelle che, ora, si era nuovamente ritrovata a compiere. Senza l'aiuto delle tenebre lì imperanti, invero, tanto le guardie, quanto l'intendente avrebbero avuto immediata consapevolezza della presenza di qualcosa sotto al suo burqa, della spada che, normalmente, non aveva mantenuto al proprio fianco proprio perché impossibile da celare ad uno sguardo esterno, ed in ciò essi avrebbero potuto proporre un'evoluzione del tutto alternativa a quanto altresì avvenuto.
Concluso il riordino del corridoio, ella si mosse simile ad ombra nell’intraprendere una direzione nota, estremamente similare a quella che l'avrebbe ricondotta a Nass'Hya, eppur lievemente diversa, proponendosi un obiettivo alternativo ad essa. In tal modo si ritrovò innanzi ad una porta chiusa, che non si concesse comunque complessa da forzare nella futile presenza di una serratura inefficace al proprio compito: nella propria variegata attività mercenaria, del resto, ella si era ritrovata a dover apprendere dei rudimenti basilari nel merito della tecnica del furto, utile spesso ad aggirare ostacoli solo apparentemente insormontabili come sarebbe potuto essere quell’uscio. Ancora discreta, leggera di natura ma anche in virtù anche dei propri calzari di pelle morbida, preferiti proprio in quanto utili a consentirle di muoversi come fosse scalza, ella si addentrò nelle stanze private di una giovane aristocratica e della sua serva, entrambe profondamente addormentate, probabilmente votatesi già da qualche ora a Am’Dahr, dio del sonno y’shalfico. Ignorando la prima, la donna guerriero si diresse decisa verso la seconda, tappandole la bocca ad evitare ogni possibilità di suono, ogni grido, per poi trascinarla con forza, quasi violenza, nel corridoio esterno, lasciando la sua padrona profondamente addormentata nel proprio letto, del tutto ignara di quanto accaduto nel non produrre più rumore di quanto non avrebbe fatto un alito di vento attraverso la finestra.

« E ora, tu e io, dobbiamo parlare… » commentò, sottovoce, nello spingere contro un muro la propria prigioniera, nell’osservare con occhi di ghiaccio Fath’Ma, la sua traditrice.