11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

lunedì 31 marzo 2014

2235


« So che, probabilmente, non sono la figura più idonea a compiere certe osservazioni… ma… sei sicuro di star facendo la cosa giusta nell’aprirti così tanto con quella cagnetta…?! » mi domandò, una notte, Desmair, nel mentre di un nostro incontro onirico « Lungi a me volerti impedire nuove amicizie… ma neppure all’altro bestione stai confidando tutto quello che, al contrario, stai condividendo con questa Tannoinn. O qualunque sia il suo nome. »
« Tannouinn… » corressi, scuotendo appena il capo « E sì… effettivamente non sei proprio la figura più idonea a poter muovere critiche in tal senso. O, altrimenti, a ben vedere, la prima persona a cui non dovrei rivolgere ulteriormente voce dovresti essere considerata proprio tu. »
« Colpito. » ammise, chinando appena la testa a riconoscere il successo in tal modo da me appena riportato « Ciò non di meno, mi pare che tu ti stia lasciando coinvolgere un po’ troppo da questa amicizia. » riprese poi, non desiderando offrire evidenza di voler demordere sotto tale profilo « Al punto tale che, se non fosse ricoperta di pelliccia da capo a piedi, e se non avesse una testa da cane, inizierei a credere che tu possa star iniziando a fantasticare su di lei… »
« Desmair… » commentai, con un tono di voce che non desiderava offrire spazio alcuno a ulteriori esigenze di dettaglio, nell’escludere categoricamente simile eventualità « Il fatto che Tannouinn, al pari di Midda, incarni molte delle caratteristiche psicologiche che nella mia cultura, nella cultura shar’tiagha, rendono una donna indubbiamente attraente e desiderabile, non significa che, necessariamente, io stia fantasticando a suo riguardo. » mi concessi, ciò non di meno, un’ulteriore occasione di dettaglio, a non permettergli ambiguità alcuna a simile proposito « Mi fa piacere passare del tempo con lei… tutto qui. »
« E solo io trovo sospetto il fatto che, a una distanza incalcolabile dal tuo… dal nostro pianeta natale, tu abbia incontrato, immediatamente e per puro caso, una femmina capace di incarnare, perfettamente, molte delle caratteristiche psicologiche… eccetera, eccetera, eccetera…?! » mi provocò, o, con il senno di poi, tentò di farmi riflettere, benché neppure egli, in quel momento, avesse il benché minimo sospetto delle ragioni esistenti alla base di tutto ciò, né avrebbe potuto averlo « Comprendo bene che tu e io non siamo, esattamente, due volti della stessa medaglia, benché, in questo momento, ci ritroviamo a condividere un medesimo corpo… e comprendo bene che tu non possa né apprezzare, né condividere i miei metodi, né, tantomeno, le mie idee… ma, credimi, non sto parlando per semplice misoginia. E questo discorso ha nulla a che vedere con questioni come la difesa di una cultura patriarcale in opposizione a un’assurda pretesa di parità di diritti fra uomini e donne. »
« … disse il semidio immortale sposatosi semplicemente novecento undici volte. » tossicchiai, non desiderando cercare un conflitto diretto con lui e, ciò non di meno, neppure potendo evitare di ironizzare sul fatto che, in verità, quella sua argomentazione non sarebbe mai risultata obiettivamente credibile… non, per lo meno, laddove promossa dalle sue labbra « Desmair: non avercela a male, ma fra te e me, le differenze filosofiche non sono propriamente poche. »
« Il che è un modo come un altro per sfoggiare la cara e vecchia supponenza shar’tiagha, che mai è mutata nei corso dei secoli… dei millenni. » obiettò, senza evidente risentimento e, anzi, con incedere persino soddisfatto, nell’aver, in ciò, dimostrato quanto, mio malgrado, la distanza esistente fra noi non avesse, in verità, a doversi giudicare tanto elevata nei termini nei quali io stavo cercando di evidenziarla.

Che potesse piacermi o meno, che gradissi rimembrarlo o meno, infatti, non avrei potuto negare quanto, paradossalmente, fra Desmair e me avrebbe avuto, e ha, a doversi riconoscere una radice comune, in termini tali, addirittura, che, per qualche assurdo scherzo del fato, un giorno potrebbero comportare la scoperta dell’esistenza, persino, di un certo grado di parentela fra noi.
Anmel Mal Toise, nostra avversaria nonché madre naturale di Desmair, concepito qual frutto dell’unione di mera convenienza con il dio minore Kah, altro non avrebbe avuto a doversi riconoscere, infatti, che l’ormai mitologica catastrofe responsabile della caduta dell’antica e potente Shar’Tiagh, figlia dell’ultimo faraone che la nostra Storia ricordi. Come soltanto a seguito dell’inizio del mio rapporto con il mio ospite mi è stata concessa occasione di scoprire, infatti, il periodo oscuro nel corso del quale Shar’Tiagh, da terra fertile e colma di vita, ebbe a trasformarsi in un vasto deserto, non dissimile da altri regni centrali, altro non coincise che con il plurisecolare dominio di Anmel su Shar’Tiagh e su amplia parte dell’intero continente di Qahr. E fu proprio a seguito della sconfitta di Anmel che Shar’Tiagh ebbe una pur effimera speranza di rinascita… occasione che, all’epoca, venne colta dalla mia gente, dai miei avi, con l’introduzione di una serie di forti convenzioni, di solide e indiscutibili tradizioni, atte a prevenire l’eventualità che, in futuro, altri sovrani del nostro regno, mai più definiti faraoni e mai più, in ciò, considerati prossimi agli dei, pari agli dei, potessero commettere nuovamente errori già occorsi in passato e, in ciò, potessero sancire la fine definitiva della nostra cultura, della nostra gente, della nostra Storia.
La metà non divina di Desmair, quindi, altro non avrebbe potuto che dover essere considerata, in tutto e per tutto, shar’tiagha… facente riferimento, sicuramente, a un regno di Shar’Tiagh ben distante dal mio, contraddistinto da una mentalità, da usi e costumi, in gran parte successivamente ripudiati. E pur, ciò non di meno, comunque contraddistinto dal mio stesso sangue, e, in quanto tale, ben lontano dal potersi considerare, mio malgrado, qual a me del tutto alieno, del tutto estraneo.

« Colpito. » ammisi, pertanto, riconoscendo il successo da lui in tal modo ottenuto a mio riguardo.
« Ascoltami, Be’Sihl… » riprese voce egli, offrendo a quel proprio intervento un particolare valore nell’essersi, addirittura, sospinto a chiamarmi per nome, così come, generalmente, ovviava a compiere, forse a escludere, in tal maniera, l’esistenza di un rapporto paritario fra noi, tale da potermi considerare meritevole, addirittura, del mio reale appellativo « Non sto cercando occasione di discutere con te. Né, tantomeno, di criticare le tue scelte o le tue compagnie. Se dovessi impegnarmi in tal senso, punterei, ancora una volta, a convincerti della necessità di abbandonare questo dannato covo di pulci nel quale hai trovato occasione di rifugio, impegnandoti, quasi, a fingerti di avere qualcosa in comune con questi animali con i quali, pur, nulla condividi e nulla mai potresti condividere… » incalzò, accentuando, volontariamente, il proprio pregiudizioso incedere per far assumere, alle seguenti parole, una parvenza di maggior sincerità, di maggior obiettività « Ciò che sto cercando di fare è, semplicemente, di invitarti a prendere le distanze da quella cagnetta prima di offrirle la possibilità di sfruttare tutto ciò che sta imparando su di te per farti del male nel momento in cui, presto o tardi, deciderà giunto il momento di procedere in tal senso. »
« Non vedo ragione per la quale dovrebbe farlo… » tentai di negare, benché, forse vittima della paranoia abitualmente caratteristica della mia amata, in quella nuova presa di posizione in difesa di Tannouinn, non posi eguale fermezza, nel non potermi permettere il lusso di considerarmi in tutto e per tutto sicuro nell’escludere una simile eventualità.
« Non importa che tu la veda o meno. » si sforzò di spingermi a riflettere il mio interlocutore « Che tu possa crederlo o meno, io conosco le persone. Conosco il loro carattere. Conosco le loro mentalità. Ho vissuto abbastanza a lungo, e sono stato sposato, come da te evidenziato, così tante volte, da aver imparato molto sull’umanità, pur essendo rimasto, per troppo tempo, escluso da ogni occasione di pieno contatto con la medesima… » esplicitò, subito proseguendo « … e proprio per questo, so che dietro a tutta l’apparente cordialità, tutto l’apparente affetto che quella cagna ti sta dimostrando, si nasconde soltanto la necessità, per lei, di comprendere perfettamente chi tu sia, quali siano i tuoi punti di forza e quali siano le tue debolezze, per poter far leva sulle seconde ed escludere i primi nel momento in cui deciderà di attaccarti. »
« Ma come puoi essere tanto sicuro che lo farà?! » insistetti, serio in tale questione.
« E come puoi essere tu tanto sicuro che non lo farà…? » replicò egli, sorridendomi quasi con espressione compassionevole nei miei riguardi, evidentemente nel riconoscermi, mio malgrado, troppo positivamente aperto nei riguardi del mio prossimo per essere in grado di tutelarmi realmente da una simile eventualità.

domenica 30 marzo 2014

2234


Mi piacerebbe poter asserire che Desmair, o io, o entrambi, ci riservammo l’opportunità di cogliere l’evidenza di un certo preavviso nel confronto di quanto accadde. Mi piacerebbe poter ovviare ad apparire estremamente ingenuo nel mio rapporto con il mondo a me circostante e con i suoi abitanti, colpevole, mio malgrado, di non essere stato sì paranoico qual, abitualmente, e non erroneamente, si pone essere la mia amata Midda. Mi piacerebbe poter negare essere stato colto, metaforicamente, ma non per questo meno drammaticamente, con le brache calate innanzi al nemico. Purtroppo… però… fra ciò che mi piacerebbe poter dire e ciò che, al contrario, mi è effettivamente concesso di poter dire, soprattutto nel voler essere onesto con me stesso, ancor prima che con possibili interlocutori, con possibili lettori o ascoltatori di questa storia, la distanza non è breve. E, anzi, ha da considerarsi pari alla distanza esistente fra la libertà che avrebbe potuto essermi propria e, altresì, la prigionia che mi venne spiacevolmente imposta.
La cosa più sgradevole, in tutto ciò, fu scoprire, comunque, quanto Falamar avesse avuto ragione nel tentare di pormi in guardia, nell’indicarmi di prestare attenzione a non generalizzare, a non concedermi la leggerezza di considerare tutti i canissiani necessariamente delle brave persone sulla base della semplice esperienza concessami nel mio rapporto con lui. E, soprattutto, ritrovarsi costretti a ricordarsi quanta falsità e quanta ipocrisia possano essere celate dietro a comportamenti assolutamente amichevoli, persino fraterni,  in misura sufficiente, mio malgrado, da costringermi tristemente a dover rivalutare qualunque possibile rapporto, qualunque possibile legame, non tanto per mera diffidenza nei confronti del prossimo, quanto e piuttosto nella necessità di preservarsi in vita, di salvaguardare la propria autodeterminazione e, ancor più, la propria libertà, per così come, allora e al contrario, mi furono violentemente sottratte.
Premessa: di lei parlerò al passato e, in questo, non vi potrà essere particolare ragione di sorpresa nel momento in cui, di conseguenza, si giungerà a narrare della sua morte. Anzi. Mi si permetta di chiarire, immediatamente e al di là di ogni ambiguità, come, per propria fortuna, ella sia effettivamente morta. E sia morta in maniera persino sufficientemente compassionevole, nel ritrovarsi sostanzialmente decapitata qual effetto di un terrificante montate a opera della mia stessa, sempre adorata, Midda Bontor. Una paradossale fortuna, quella in tal modo riconosciutale, giacché se soltanto la mia amata avesse avuto possibilità di essere preventivamente informata nel merito dei dettagli del tradimento impostomi, difficilmente credo che sarebbe stata altrettanto sbrigativa nel formalizzare la sua condanna a morte, divertendosi, invece, a farla pentire non soltanto delle proprie azioni, di tutta la propria falsità e la propria ipocrisia, ma anche, e ancor più, di essere venuta al mondo, di essere stata concepita da propria madre e da proprio padre allorché, semplicemente, non essere mai esistita.
Il suo nome era Tannouinn… Tannouinn Reshat. Canissiana, come Falamar, mi fu introdotta insieme a molti altri esponenti della medesima razza il giorno stesso del mio arrivo al loro alloggio comune. Di sesso femminile, si presentò al mio sguardo decisamente meno pericolosa di quanto non avrebbero potuto essere Falamar e la maggior parte dei suoi simili, non contraddistinta dalla medesima corporatura, dalla stessa altezza, o massa muscolare, in misura tale da farmi sentire, innanzi a lei, istintivamente minacciato. Al contrario. Se già Midda, di per sé, non avrebbe potuto vantare una particolare statuaria presenza, con poco più di cinque piedi di altezza; Tannouinn a stento avrebbe dovuto essere riconosciuta qual distinguibile da una bambina, benché, a tutti gli effetti, donna adulta. Ciò non di meno, esattamente come per la mia amata, anche nel confronto con lei, non avrebbe dovuto essere commesso l’errore di giudicare una figura tanto minuta qual priva della propria intrinseca pericolosità, così come, io stesso, ebbi ragione di scoprire… benché, a differenza della mia succitata compagna, a una dimensione squisitamente fisica, corporale, ella palesò preferire soluzioni più psicologiche, emotive, tali da non necessitare, neppur vagamente, di un confronto diretto, a un livello sul quale, sicuramente era conscia, non avrebbe mai potuto avere speranza di vittoria, neppure in grazia alle caratteristiche proprie della sua razza.
In ciò, quindi, non si commetta l’errore di credere che Tannouinn Reshat si riservò la possibilità di dimostrare, a mio discapito, una qualche forma di antipatia. Al contrario. Sin dal primo giorno, sin dal primo momento in cui varcai la soglia dell’alloggio comune al seguito di Falamar, ella mi accolse addirittura dimostrando, nei miei confronti, una certa stima, una decisa simpatia, subito cercando, con me, occasione di dialogo, di relazione, di conoscenza reciproca, spingendomi a parlare, a confidarmi con lei, a considerarla, in tutto e per tutto, un’amica. E, non voglio negarlo, fu brava in questo. Fu molto brava in questo, ponendomi, innanzi a lei, così a mio agio, così psicologicamente ed emotivamente sereno, da riservarsi, immediatamente, un ruolo da protagonista in quella mia nuova quotidianità, in quella nuova fase della mia vita in cui, fra l’altro, ogni rapporto, ogni legame, avrebbe avuto a dover essere riscritto, a dover essere ricreato da zero. E, in tale ruolo da protagonista, ella fu estremamente abile a spingermi, senza freno alcuno, senza la benché minima inibizione, a confidarmi con lei così come, in passato, soltanto con Midda mi ero riservato occasione di aprirmi, approfittando di quella nuova amicizia per trovare anche un’occasione di sfogo, per ricercare una possibilità di sostegno, nel confronto con tutto quello che pur mi stava accadendo, con tutto quello che pur stava sconvolgendo la mia esistenza, a partire dall’ennesimo, e quanto mai allora sofferto, distacco da colei per seguire la quale sino alle stelle mi ero, allora, spinto.
Con il famigerato senno di poi, con la consapevolezza che soltanto a posteriori è capace di caratterizzare chiunque, sia egli contraddistinto da una straordinaria mente deduttiva che, altresì, da un quoziente intellettivo più comune, è facile per me evidenziare quanto, nel compiere tutto ciò, nello spingermi a confidarmi con lei, ad aprirmi innanzi a lei, ella mai si scoprì, mai ebbe parimenti a rivelarsi, acquisendo, al contrario, di istante in istante, di momento in momento, nuove informazioni utili a permetterle di offrirsi, al mio sguardo, qual un’amica sempre migliore, qual una figura sempre a me più vicina, una sorella mai conosciuta, uno spirito a me affine, per quanto, probabilmente, nulla, neppur lontanamente, avrebbe mai potuto avere ragione di accomunarci. Però, questo, ha appunto a considerarsi frutto di quella saggezza che, purtroppo, tutti contraddistingue soltanto a confronto con la verità svelata, con l’evidenza dimostrata, e non, piuttosto, in un momento antecedente, quando, sicuramente, sarebbe stato meglio, per me, scoprirlo, meglio, per me, capirlo.
Per coloro che poi, in questo momento, si possono star domandando il perché di questa mia particolare scelta espositiva, mi si permetta di chiarire, in maniera inequivocabile, come non abbia a doversi considerare mia intenzione riportare, in queste pagine, in questo resoconto, i dettagli dei nostri dialoghi, delle nostre conversazioni, delle lunghe serate da me, e soltanto da me, in effetti, spese a offrire dettaglio nel merito di quasi ogni evento della mia vita, del mio passato prossimo così come quello più remoto. Certo: impegnarmi in tal senso, in simile testimonianza, renderebbe probabilmente la narrazione più coinvolgente, amplificherebbe la possibilità di immedesimazione e offrirebbe, a un eventuale lettore o ascoltatore, una maggiore possibilità di empatia nei miei confronti al momento in cui, alfine, si giungerebbe al momento del tradimento, della rivelazione di quanto occorso. Ma, sinceramente, e spero che mi si possa comprendere per tale mia ritrosia, non è mio desiderio dedicarle maggiore spazio, maggiore protagonismo di quanto, già, ella non fu in grado di rendere proprio in ogni singolo giorno che condividemmo, in ogni singolo istante che trascorremmo fianco a fianco, a confrontarci su qualunque tema.
Proprio per questa ragione, quindi, a tutti chiedo uno sforzo di fiducia, un attestato di fede nei miei riguardi, credendomi anche senza bisogno di prove a supporto, nel momento in cui affermo che ella, al di là di tutto, fu davvero brava nel compiere ciò che compì… brava a entrare nella mia testa e nel mio cuore, come alcuna prostituta in tutta Kriarya aveva e avrebbe mai saputo compiere pur condividendo, con me, molto più di quanto ella mai tentò di spingersi a ricercare. E mai tentò di farlo, dimostrandosi ovviamente, e ancora una volta, anche in questo estremamente abile nel giuocare con la psiche delle proprie vittime, con i sentimenti dei suoi obiettivi, nel comprendere quanto, nel mio legame con Midda, nella mia relazione con lei, ciò che avrebbe allora potuto servirmi non sarebbe stata certamente un’amante, ma, piuttosto, un’amica, una confidente, una complice, una consigliera. Così come, in effetti, a me si presentò.

sabato 29 marzo 2014

2233


« Cosa intendi dire…?! » domandai, in parte in termini retorici, in parte sincero, ritenendo di conoscere quanto egli avrebbe avuto desiderio di condividere con me e, ciò non di meno, non desiderando negargli la possibilità di prendere voce autonomamente, di esprimere quanto egli poteva aver desiderio di suggerire, senza anticiparlo, senza inopportunamente definire io, per lui, quanto avrebbe avuto a poter asserire, laddove, dopotutto, se tale fosse stata, sarebbe stata da parte sua una straordinaria cortesia, nel confronto con la quale il mio debito con lui non avrebbe potuto essere in alcun modo banalizzato, non avrebbe potuto essere in alcuna misura minimizzato nel proprio valore.
« So che ci conosciamo da poco… ma… a quanto ho compreso, tu non hai esattamente un luogo ove poter pensare di andare a dormire stasera. Sei nuovo in città… su questo mondo… e non conosci nessuno. Senza contare che, oltretutto, sei anche senza l’ombra di un credito e, senza crediti, è difficile pensare di trovare un luogo ove alloggiare, fosse anche la peggiore fra tutte le bettole di questo pianeta. » argomentò, a introduzione della propria proposta, definendo, parola dopo parola, in misura sempre maggiore quanto, già, stavo attendendo avrebbe potuto avere desiderio di dire, rivolgendosi a me « Ora… se non hai particolari pregiudizi verso di me, o verso altri canissiani, penso che per qualche giorno potrei ospitarti senza problemi. Il posto dove sto non è esattamente un albergo di lusso… ma siamo tutti amici. E, te lo dico per esperienza, per chi arriva nuovo su un mondo alieno, nulla è più importante di un gruppo di amici a cui fare riferimento. »

Alla luce di quanto egli già aveva compiuto per me nel corso di quei nove giorni, senza alcuna apparente motivazione, senza alcun evidente beneficio, al di là dell’ovvia conquista di tutta la mia più sincera stima, di tutta la mia più onesta riconoscenza per tutto ciò che mi aveva riservato pur senza alcuna ragione a giustificare il suo interesse in me, l’amicizia in tal modo tributatami; quell’ennesima offerta, quella nuova concessione non avrebbe potuto che ritrovami in sincero imbarazzo, nel dubbio di non poter mai sperare di ricambiare, non allora, non in futuro, tutta la cordialità della quale egli mi aveva reso riferimento, mi aveva eletto protagonista, quasi e soltanto per una questione di simpatia innata, per un’affinità elettiva che, pur senza alcun pregresso comune, ci aveva veduto allora fare squadra, e fare squadra innanzi a una sfida comune, qual, pur, era stata quella allora riservataci all’interno dell’ufficio di collocamento.
Ciò non di meno, per quanto tutto quello non avrebbe potuto evitarmi una giustificabile, e giustificata, ragione di imbarazzo, non avrei potuto ignorare quanto, obiettivamente, quell’aiuto avrebbe avuto a dover essere riconosciuto per me indispensabile, a meno di non voler prendere in esame l’idea di dormire per strada. E dal momento in cui, per quanto ne avrei potuto sapere, dormire per strada avrebbe potuto scoprirsi, all’atto pratico, qual illegale entro i confini propri di quel mondo; probabilmente l’accettazione di quell’offerta avrebbe avuto a doversi effettivamente riconoscere qual indispensabile… senza alternative di sorta.

« Falamar… io non ho parole per ringraziarti per la tua disponibilità nei miei confronti. » asserii pertanto, non potendo avere, invero, molto altro da aggiungere a quanto, sino a quel momento, già dichiarato « Quando sono giunto su questo mondo, e sono stato separato dalla mia amata, ho temuto di poter essere solo… solo in contrasto a un intero pianeta per me alieno, contraddistinto da usi e costumi per me del tutto sconosciuti, da una tecnologia per me del tutto sconosciuta… da leggi per me del tutto sconosciute. Ciò non di meno, tu mi hai dimostrato quanto, anche agli estremi confini dell’universo, per così come fino a qualche giorno fa non avrei neppure saputo concepirlo, possono esistere persone di cuore… persone capaci di atti di sincera amicizia anche nei confronti di perfetti estranei, tali da rendere onore non soltanto al proprio nome, ma anche a tutta la propria discendenza, a tutta la propria gente, nel rapporto con la quale, da ora e per sempre, io avrò un debito incolmabile. »
« … quante parole per dire “sì, grazie!”. » ridacchiò egli, al termine del mio estemporaneo monologo a dimostrazione della gratitudine che, nei suoi riguardi, non avrei potuto ovviare a provare « E comunque non commettere l’errore di credere che tutti i canissiani siano brava gente. » soggiunse poi, quasi a volermi porre in guardia in risposta all’impetuoso attestato di stima e di fiducia che, nelle mie parole, avevo appena rivolto a tutta la sua razza « Per quanto potrebbe apparirti strano, anche fra noi non mancano dei veri e propri figli d’un cane! » concluse, scoppiando in una grassa risata, per quella battuta che, nel considerare la natura stessa del mio interlocutore, fosse stata suggerita da chiunque altro avrei trovato a dir poco razzista e che pur, nell’essere stata allora scandita a opera della sua stessa voce, non avrebbe potuto riservarsi ragione di offesa alcuna, risultando, al contrario, soltanto l’ennesima riprova di un’evidentemente marcata autoironia.
« Sei una persona straordinaria… Falamar. » conclusi, non negandomi un sincero sorriso in reazione a quel suo umorismo, per quanto, in quel frangente, difficile sarebbe stato per me riuscire a credere realmente che un qualunque esponente della medesima razza del mio nuovo amico avrebbe potuto essere meno di una persona meritevole di fiducia, di stima, di rispetto e di ammirazione.

Fu così che, dopo nove giorni trascorsi all’interno dell’ufficio di collocamento, iniziai in quel modo una nuova fase della mia vita. Una nuova fase della mia vita che, potenzialmente, avrebbe potuto durare soltanto pochi giorni e che, ciò non di meno, ben conoscendo le tempistiche abitualmente proprie della mia amata nel fare ritorno da me, non avrebbe potuto ovviare a prolungarsi per molto più tempo del previsto.
Per mia fortuna, o almeno così ancora credevo dal basso della mia ingenuità, quel periodo di attesa non mi avrebbe veduto solo, non mi avrebbe veduto affrontare la vita quotidiana senza alcun supporto da parte del mondo a me circostante. Non, per lo meno, sino a quando Falamar, e il suo gruppo di amici, mi avessero offerto ospitalità, mi avessero accettato fra loro, benché diverso da loro, senza in questo giudicarmi, senza in questo superficialmente condannarmi.
E per qualche settimana, in effetti, tutto parve andare bene. O, per lo meno, non male.
Sebbene, come prevedibile, il lavoro riservatomi non avrebbe avuto a potersi considerare propriamente all’apice delle mie ambizioni, soprattutto nel ricordarmi come, soltanto qualche mese prima, mi sarei potuto riconoscere proprietario di una florida locanda in quel della città del peccato del regno di Kofreya; la presenza di una cerchia di amici a cui poter offrire riferimento, alla solidarietà dei quali poter tornare ogni sera, avrebbe avuto a doversi riconoscere, obiettivamente, quanto di più prossimo a una famiglia avrei potuto pretendere di ottenere, e di ottenere in maniera tanto semplice, spontanea, addirittura gratuita. Degli amici, una famiglia, in tutto ciò utile a sostenermi, non tanto fisicamente, quanto e piuttosto psicologicamente, emotivamente, per permettermi di tirare avanti, di proseguire nel mio cammino quotidiano, nella mia vita di tutti i giorni, con un certo equilibrio, con una certa fiducia in me e nel mio destino, in ciò che gli dei avrebbero potuto pormi innanzi, malgrado la rivoluzione assoluta che, in tutto ciò, aveva pur coinvolto la mia esistenza… aveva pur sconvolto la mia esistenza, ogni certezza di un tempo negandomi in funzione di sempre nuove verità, tali da far apparire, addirittura, la mia vita di un tempo qual un ricordo lontano, una memoria strana e confusa, quasi frutto più dell’immaginazione che di una reale esperienza vissuta. E forse, se solo non vi fosse stato, comunque, Desmair, nella mia mente, a ricordarmi il mondo da cui effettivamente provenivo, a ricordarmi la realtà incredibilmente diversa rispetto a quella, e pur non di meno reale, dalla quale ero uscito, la mia mente avrebbe potuto anche iniziare realmente a vacillare in tutto ciò, in misura tale da rendere, alfine, la trappola di Anmel Mal Toise ancor più crudele, più terribile rispetto a quanto non avrei potuto ritenere possibile.
Purtroppo, neppure la presenza, al mio fianco, del mio semidivino ospite, fu alfine in grado di tutelarmi… di tutelarci dai giuochi nei quali la nostra antagonista ebbe la premura di trascinarci; dimostrando, anche su quel nuovo mondo, anche in quella nuova realtà così diversa da quella in cui, ella stessa, era nata e cresciuta diversi secoli prima, tutta la propria pericolosità… e tutta la propria incredibile capacità di adattamento a contesti sempre nuovi, sempre diversi e, ciò non di meno, sempre straordinariamente favorevoli a concederle quanto da lei, pur, ricercato. Il potere. E il potere assoluto.

venerdì 28 marzo 2014

2232


Nel corso della mia vita, ho avuto occasione di ascoltare la cronaca di praticamente ogni avventura della mia amata, sia direttamente dalle sue labbra, sia per così come, in maniera talvolta estremamente fantasiosa, riportate attraverso le ricercate parole di bardi e cantori. E, alla base di una buona parte delle imprese da lei compiute, il concetto fondamentale ha da ricercarsi in quello rappresentato dalle poche, apparentemente giocose, parole distintive del concetto di caccia al tesoro.
Ora… senza nulla voler negare alla straordinaria abilità dell’unica donna che mai abbia dominato in maniera tanto ossessiva i miei pensieri e i miei sogni, le mie fantasie e le mie speranze, desidero azzardare un’affermazione indubbiamente forte, e riconosciuta qual tale a partire dalla consapevolezza di quanto, effettivamente, ella abbia compiuto nel corso della propria esistenza, delle mirabolanti sfide da lei affrontate, degli straordinari traguardi da lei conquistati. E tale affermazione, che Midda mi possa perdonare, è la seguente: nulla di quanto da lei compiuto, nel corso della propria esistenza, può essere posto in paragone con la caccia al tesoro con la quale io ebbi a dovermi porre a confronto all’interno di quell’edificio, per la conquista di quanto definito qual condizione necessaria, e pur non necessariamente sufficiente, alla mia libertà… un posto di lavoro.
Nove.
Tanti furono i giorni che trascorsi segregato volontariamente all’interno di quelle mura. Nel corso della mia esistenza, oltre alle avventure della mia amata, ho avuto anche occasione di ascoltare molte narrazioni nel merito dell’origine dell’universo, secondo i più disparati credo, in accordo con i più variegati pantheon… e laddove, in molti fra essi, il tempo reso necessario per creare ogni cosa avrebbe avuto a dover essere riconosciuto inferiore alla settimana, l’idea stessa che per nove giorni ebbi a ritrovarmi rinchiuso entro quelle mura, al solo fine di vincere un’iniqua lotta contro la burocrazia, non avrebbe potuto che apparire, già di per sé, qual semplicemente folle. Ciò non di meno, nove furono i giorni che dovetti offrire in sacrificio. Nove giorni nel corso dei quali ebbi a dimenticarmi non semplicemente il calore proprio della luce del sole, o la frescura caratteristica della notte, o, ancora, le forme e i colori del mondo a me circostante, ma, addirittura, la mia stessa identità, in un’oscena alienazione in conseguenza alla quale, temo, avrei perduto completamente il senno se non fosse stato per la compagnia di Falamar, nei miei periodi di coscienza, e di Desmair, in quelli di incoscienza o di semplice riposo.
Cosa accadde in nove giorni?!
Accadde che per poter anche soltanto iniziare le pratiche per essere inserito all’interno di una lista di collocamento, come già riportato, mi venne richiesto una tessera d’identità. Accadde che per poter richiedere una tessera d’identità, avrei avuto necessità di dimostrare la mia appartenenza alla popolazione di Loicare attraverso un atto di nascita, oppure avrei dovuto dimostrare la mia regolare presenza entro i confini propri del pianeta in grazia alla dimostrazione del mio impiego in un’attività lavorativa regolare, con altrettanto regolare pagamento delle imposte e delle tasse. Accadde che, a fronte del vicolo cieco così venutosi a creare, mi venne suggerita la possibilità di presentare l’ingiunzione del tribunale in merito alla necessità, per me, di trovare un regolare impiego, per ottenere un documento di soggiorno con validità temporanea ma rinnovabile. Accadde che, per ottenere una copia dell’ingiunzione del tribunale, avrebbe avuto a dover essere considerato per me necessario riportare il codice di verbale rappresentativo del mio caso, per così come compilato a opera del mio accusatore. Accadde che per poter ottenere il codice di verbale rappresentativo del mio caso, mi fu richiesto, ancora una volta, un documento di identità o, comunque, un atto utile a dimostrare che la mia richiesta non stesse allor ledendo i miei stessi diritti alla riservatezza.
Accadde, inoltre, che per poter richiedere un documento di soggiorno con validità temporanea ma rinnovabile, a seguito dell’ottenimento dell’ingiunzione del tribunale, mi fu richiesto il numero di iscrizione nel registro dell’immigrazione della capitaneria di porto… capitaneria di porto che, tuttavia, nelle particolari condizioni proprie del mio arrivo sul pianeta non era stata minimamente coinvolta. E, come se ciò non avesse a doversi considerare un ostacolo sufficiente, mi venne richiesto un esame medico completo, utile a redigere un profilo in grazia al quale dimostrare quanto, al di là di ogni possibile dubbio, non avessi a dover essere riconosciuto qual portatore di qualche piaga conosciuta o meno su Loicare, nell’ottemperanza a un protocollo che avrebbe avuto ancora un qualche senso logico se solo fosse stato compiuto al momento del mio arresto e non soltanto dopo quasi una settimana dal medesimo.
Accadde, ancora, che per poter essere iscritto all’interno dell’elenco di coloro in cerca di un impiego, mi venne domandato di comprovare la mia regolarità nel versamento dei tributi negli ultimi dieci anni di contribuzione. Accadde che, a fronte dell’assenza di un qualunque versamento di tributi negli ultimi dieci anni, mi fu richiesto di controfirmare una dichiarazione sulla base della quale mi sarei impegnato a risarcire l’omni-governo di Loicare del maltolto a partire dal mio primo stipendio. Accadde che, stupido io, non comprendendo per quale ragione avrei dovuto versare all’omni-governo un risarcimento sui tributi mai pagati in quanto, prima di allora, mai presente sul pianeta, mi ritrovai indirizzato a pormi in coda presso l’ufficio tributario, dal quale fui rimbalzato verso l’ufficio contabile, quello amministrati e, infine e nuovamente, verso gli sportelli anagrafici, a per offrire dimostrazione di quanto, prima di una settimana prima, neppure avrei potuto essere considerato consapevole dell’esistenza di quel pianeta e del suo omni-governo.
Accadde che… dei… anche soltanto a cercare di riassumere tutto ciò che accadde, una terribile emicrania sta prendendo il controllo su di me, costringendomi a invocare sinceramente pietà nel confronto con una tanto terrificante giostra, un carosello apparentemente privo di origine e di ogni speranza di conclusione e che pur, dopo nove, terrificanti giorni, mi vide alfine vittorioso. E vittorioso, quantomeno, nella misura utile a permettermi di lasciare l’ufficio di collocamento con un indirizzo in mano… il tesoro tanto ambito, tanto ricercato, e per ottenere il quale, lo giuro, sono stato prossimo a perdere il senno, all’interno di quel luogo diabolico e profondamente malvagio.

« Complimenti, amico mio! » esclamò Falamar, nel momento in cui ci ritrovammo entrambi in piedi innanzi alla soglia, pronti ad abbandonare, speranzosamente per sempre anche se, timorosamente, soltanto per breve tempo, quel luogo nel confronto con il quale non avrei mai potuto asserire di star sviluppando la benché minima affezione, laddove, se ciò fosse avvenuto, sarebbe soltanto dovuto essere considerato segno evidente di un qualche disturbo patologico da parte mia « Ce l’hai fatta! » si complimentò, appoggiandomi un’enorme mano sulla spalla, in segno di solidarietà « Certo… è stata soltanto la prima volta e, probabilmente, l’incarico che sono riusciti ad assegnarti non ha a potersi considerare dei migliori ma… diamine… ce l’hai fatta! »
« Ce l’abbiamo fatta… » corressi, riconoscendomi non soltanto debitore con lui per quanto aveva compiuto ma, anche e ancor più, per la fedeltà che mi aveva dimostrato, restandomi vicino nel corso degli ultimi due giorni anche laddove, avendo concluso prima di me la propria personale impresa, avrebbe potuto andarsene e abbandonarmi al mio destino « … e senza di te, credimi, non credo che ci sarei riuscito. »
« Non sottovalutarti, shar’tiagho! » mi invitò, sorridendo e scuotendo il capo « Là dentro ho visto molta gente impazzire per molto meno di quanto tu hai dovuto subire. » mi volle rassicurare, in termini che, obiettivamente, avrebbero avuto a doversi intendere qual motivo d’orgoglio per me « Sei stato veramente in gamba… e, per me, è stato un piacere trascorrere del tempo in tua compagnia. Credimi. »
« Il piacere è stato mio, Falamar. » sorrisi per tutta risposta, sincero nei riguardi del canissiano « E, sinceramente, mi spiace l’idea di dover perderci di vista, dopo quanto abbiamo passato insieme negli ultimi giorni. » ammisi, sincero, quasi temendo quell’eventualità, laddove, in essa, avrei allor perso l’unico riferimento che, allora, avrei potuto vantare all’interno di quel mondo per me ancora del tutto sconosciuto, nel quale, mio malgrado, sarei così rimasto spiacevolmente solo.
« Mmm… » mi osservò socchiudendo appena gli occhi, qual conseguenza di quelle parole, di quell’ultima mia nostalgica asserzione, nel confronto con la quale, pur, non avrei potuto immaginare molte repliche tali da prevedere un simile esordio « … e se non dovesse essere per forza così?! »

giovedì 27 marzo 2014

2231


« Ehy… shar’tiagho… svegliati. »

La prima voce che ebbi a riconoscere, impegnata al fine di permettermi di recuperare coscienza di me e del mondo a me circostante, fu quella di Falamar. Un’osservazione, se si vuole sottolineare, sufficientemente retorica da parte mia, visto e considerato come, obiettivamente, alcun altro al di fuori di lui avrebbe potuto avere interesse alcuno a ottenere rassicurazione nel merito delle mie condizioni, e pur, in quel momento, un’osservazione per me utile a comprendere di aver abbandonato i confini propri del mio intelletto, della mia fantasia, per cercare nuovamente occasione di confronto con la realtà, e la realtà nella quale quell’enorme licantropo… anzi… canissiano, qual egli si era presentato essere, si poneva chino su di me, intento a cercare un qualche riscontro pratico nel merito della misura nella quale, allora, io potessi essere, o non essere, effettivamente cosciente di me e del mondo a me circostante.
Certo… riaprire gli occhi e ritrovarsi a confronto con il volto di Falamar, nell’immediato, ebbe quasi ragione di spaventarmi e, probabilmente, ci sarebbe anche riuscito se soltanto, sino a quel momento, sino a un istante prima, il volto con il quale mi stavo ponendo intento a dialogare non avrebbe avuto a doversi riconoscere qual quello di Desmair. Obiettivamente, però, nel passare dall’uno all’altro, dal semidio dalla pelle di cuoio rosso e dalle enormi corna bianche ai lati del capo, al canissiano dalla testa di lupo e dalla folta pelliccia bianca, tutt’altro che peggiorativo avrebbe avuto a dover essere considerato il cambio, ragione per la quale, per mia fortuna, non ebbi occasione utile a offendere colui che, in tutto quello, avrebbe avuto a doversi considerare, ancora, qual la mia unica figura amica, qual il mio solo alleato non tanto entro i limiti di quell’edificio ma, ancor più, di quell’intero mondo, per me ancor lontano dal potersi considerare comprensibile o, addirittura, compreso.

« Falamar… » bofonchiai, in risposta a quell’invito, nel concedergli dimostrazione, in tal senso, di essere ancora in grado di riconoscerlo e, di conseguenza, di non essere poi in condizioni così critiche, come, mio malgrado, la perdita di sensi avrebbe potuto lasciar supporre « … credo di essere svenuto… »
« Beh… amico. Hai incassato un bel colpo! »  commentò egli, rassicurato dalle mie parole, e, con esse, dalla mia ripresa di coscienza, quanto sufficiente dall’invitarmi a riassumere una posizione eretta più dignitosa, offrendosi di aiutarmi in tal senso « Però, è evidente che voi shar’tiaghi abbiate la pelle più dura di quello che sembra! » sorrise, cercando di sdrammatizzare il momento, non rilevando, dopotutto, ragioni utili a creare maggior ansia rispetto al necessario.
« E’ solo questione di abitudine… » scherzai con autoironia, nel cercare di rimettermi in piedi, servendomi senza imbarazzo del supporto offertomi « Siamo gente abituata a rialzarsi, dopo ogni caduta… »

Nel riprendermi, istante dopo istante, sempre in misura maggiore, non potei ovviare a constatare come, dimostrando un ovvio disinteresse nei miei confronti, il mondo avesse continuato a esistere, e a esistere come se nulla fosse, malgrado quanto accaduto. Eccezion fatta per Falamar, infatti, nessun altro all’interno dell’edificio ospitante il cosiddetto ufficio di collocamento, aveva accennato al benché minimo interesse per la scaramuccia occorsa, in un’indifferenza collettiva che, in effetti, ebbe a ricordarmi, quasi nostalgicamente, l’impietosa indifferenza caratteristica di Kriarya, città del peccato, entro i confini della quale avevo soggiornato nel corso degli ultimi due decenni della mia vita. Dopotutto, mio pari, tutti all’interno di quell’edificio avrebbero dovuto essere riconosciuti qual desiderosi di conquistare la propria opportunità lavorativa, e di ottenerla nel minore tempo possibile… ragione per la quale, nessuno avrebbe avuto a potersi considerare interessato a seguire le vicende di uno straniero mio pari e, in verità, loro pari, che alcun valore aggiunto, alcuna novità, avrebbero apportato al contesto generale, riproponendo, anzi e probabilmente, soltanto scene con le quali ognuno di loro aveva avuto già precedente occasione di confronto se non, addirittura, di esperienza diretta.
Dal momento in cui, comunque, un mio non secondario interesse avrebbe avuto a dover essere identificato qual quello volto al mantenimento di un profilo il quanto più basso possibile, per ovviare ad attirare spiacevoli attenzioni, sgradevoli premure, tutt’altro che disappunto avrebbe avuto a dover essere considerato il mio innanzi a tutto quello. Al contrario…

« Sicuro che va tutto bene…?! » insistette Falamar, dimostrandosi particolarmente premuroso nei miei confronti, forse avendomi preso in simpatia, malgrado, apparentemente, non potessi essergli di alcun concreto aiuto nei propri propositi « Se serve, possiamo provare ad andarci a mettere in fila per entrare in infermeria a farti vedere da un medico… »

Benché, in quel momento, stessi obiettivamente bene, non potendo accusare alcun particolare danno se non, tutt’al più, nel mio orgoglio, innanzi all’idea di essermi fatto sorprendere in maniera tanto banale, il solo pensiero di dover allungare la mia permanenza all’interno di quell’edificio aggiungendo, alle già ineluttabilmente necessarie code, anche un’altra colonna, un altro periodo di attesa nella speranza di poter giungere innanzi a un medico utile, soltanto, a confermarmi quanto da me saputo; non avrebbe potuto ovviare a sconvolgermi in misura sufficiente a convincermi di non avere alcuna necessità di aiuto, alcuna necessità di conforto, non da parte di un medico, non di chiunque altro, giacché, iniziando a entrare nella giusta prospettiva, nel corretto ordine di misura delle cose, avrei sinceramente preferito essere posto a nanna un’altra mezza dozzina di volte allorché scoprire di dover fare una sola fila in più del dovuto…
Così, persino con maggior foga rispetto al necessario, replicai allora al mio interlocutore, escludendo radicalmente una simile opportunità, con enfasi tale da convincerlo nel merito di quanto, né allora, né mai, avrei potuto riservarmi una benché minima intenzione di accettare una simile, terribile eventualità.

« Dei… no! » esclusi, quasi saltando nel rimettermi in piedi, improvvisamente dimentico di quanto appena occorso e dell’indolenzimento necessariamente conseguente al colpo subito e, ancor più, alla collisione con il pavimento, evento in grazia al quale, difficilmente avrei potuto evitarmi un qualche brutto livido prima di sera, ovunque esso avrebbe preferito palesarsi « Sto pene… credimi! » lo rassicurai, levando entrambe le mani qual istintivo atto di difesa nel confronto con tutto quello.
« Ti credo… ti credo… » confermò l’altro, per poi scoppiare in una fragorosa risata, nuovamente rigettando il capo all’indietro per offrire libero sfogo a tanta ilarità « Certo che ti credo, amico mio. Sono veramente convinto che tu non abbia la benché minima intenzione di rischiare di dover restare un solo istante in più del dovuto qui dentro… per quanto, nostro malgrado, entrambi avremo da fare ancora molte, molte più code di quante non potremmo essere desiderosi di conteggiare. »

Considerando, pertanto e in tal modo, rapidamente chiusa la questione, Falamar e io non potemmo riservarci altra opportunità rispetto a quella di ritornare, entrambi, ognuno in coda alla propria rispettiva colonna, egli per quanto avrebbe dovuto compiere e io altrettanto, allor, mio malgrado, consapevole di dover, comunque, allungare di almeno una fila la mia prospettiva di permanenza all’interno di quelle mura, nella necessità, prima ancora di poter riuscire a ottenere una qualche prospettiva di inserimento all’interno delle liste utili a trovare occasione di lavoro, di conquistare un qualche documento di identità… la tessera per colpa o per merito della quale, non soltanto ero stato rigettato a terra come una bambola priva di qualunque valore, ma anche, e ancor più, avevo spiacevolmente sprecato le mie prime ore di permanenza all’interno di quel sin troppo affollato perimetro.
Così come, tuttavia, avevo appena affermato, caratteristica della mia gente, del mio popolo, avrebbe avuto a doversi considerare proprio la capacità di saper apprendere dagli errori compiuti. Ragione alla luce della quale, da quel momento in avanti, mi sarei impegnato al solo scopo di ovviare, ancora, alle medesime ingenuità sino a quel momento, mio malgrado, dimostratesi proprie nel mio approccio alla ricerca di un impiego…

mercoledì 26 marzo 2014

2230


« … come io ero certo del fatto che ella si sarebbe messa nei guai… » non resistetti a evidenziare, storcendo le labbra verso il basso nel maledirmi per aver appena dimostrato di aver avuto ragione… mio malgrado « Dannazione… »

L’unica cosa peggiore rispetto ad avere un semidio immortale, o quasi, a capo di un’armata di spettri dentro la propria testa; probabilmente ha da essere riconosciuta avere un semidio immortale, o quasi, a capo di un’armata di spettri dentro la propria testa e non potersi permettere il lusso di prendere in esame l’idea di poter impiegare i suoi poteri, di non poter richiedere la sua collaborazione, al fine di soccorrere la donna amata. E non perché, se non glielo avessi domandato, egli non sarebbe stato più che lieto di agire in tal senso… quanto e piuttosto perché, cedendo a tale tentazione, a simile desiderio, l’unico risultato che avrei ottenuto sarebbe stato quello di offrire alla mia stessa amata una solida ragione per diffidare di me. E per diffidare di me da allora al resto dei nostri giorni…
Nel già difficile rapporto con Midda, difatti, l’ultima cosa che mi sarebbe servita, allora e, più in generale, sempre, sarebbe stata quella di dimostrarmi più o meno motivato al fine di preservare inalterato l’attuale, precario equilibrio venutosi a creare fra lei, Desmair e me, offrendole motivazioni razionali per credere che, malgrado tutto, io potessi essere entusiasta dell’idea di quella particolare situazione, al punto tale da poter vantare un rapporto di solidarietà con il suo da sempre sgradito sposo. Un rapporto di solidarietà che, in effetti, già avrebbe potuto trovare, innanzi al suo giudizio, solide argomentazioni in tutte le nostre collaborazioni passate e che, se solo si fosse ritrovato a essere allora confermato, a null’altro che a una definitiva rottura fra noi, purtroppo, non avrebbe potuto evitare di condurre… a dispetto di quanto sentimento potesse esistere, di quanto amore potesse legarci l’uno all’altra.
Così, sebbene per lei sarei stato pronto a tutto… anche al sacrificio più grande, alla rinuncia definitiva di tutto ciò che, per me, rappresentava vivere, non potei evitare, allora, di frenare le reazioni più istintive, le risposte più irrazionali alla situazione per così come riportatami da Desmair, e come, comunque, temuta; per potermi concentrare, per un istante, su quanto sarebbe stato realmente meglio impegnarsi a compiere. Che ciò avesse a piacermi o meno.

« E’ sufficiente una sola parola e richiamerò a me una dozzina di legioni di spettri, che raderanno al suolo l’intera città e porteranno in salvo mia moglie… la tua compagna. » provò a tentarmi il mio interlocutore, comprendendo il mio stato d’animo e, in ciò, desiderando approfittare del medesimo per avere la meglio su di me, per spingermi sino a concedergli il mio benestare all’impiego del mio stesso corpo per tale scopo, forte di tale scusa, così come, l’ultima volta, era occorso nel mentre della battaglia finale contro Nissa Bontor e Anmel Mal Toise… la stessa battaglia a seguito della quale quel nostro viaggio oltre i confini stessi del nostro mondo si era reso necessario, al solo scopo di dare la caccia alla seconda « Lo sai che posso farlo… sai che in meno di un quarto d’ora tutto questo potrebbe finire. »

Aveva ragione. Desmair aveva ragione e sapeva perfettamente di avere ragione. Così come, altrettanto perfettamente, sapeva che io sapevo che egli aveva ragione.
La prima volta che egli mi aveva proposto una tregua, una collaborazione al fine di salvaguardare l’esistenza in vita della mia amata, dopo che questa era stata tratta prigioniera dalla propria gemella, io avevo accettato compiendo, in tal senso, uno sforzo di fiducia, un atto di fede nei confronti delle possibilità di chi, pur, mai avevo avuto occasione di vedere realmente all’opera, non, quantomeno, in tutta la devastante energia del proprio potere, tale da poter, senza esitazione, senza incertezza, senza dubbi, distruggere ogni cosa, devastare la realtà per così come nota e, dopo averla annichilita, ricrearla a propria immagine e somiglianza. Da allora, tuttavia, molte cose erano cambiate… e, fra queste, anche la mia consapevolezza del suo potere, delle sue possibilità. Un potere che, in quello specifico frangente, ormai risiedeva, suo pari, in me, e che egli avrebbe potuto utilizzare per dare corpo ai miei sogni, ai miei desideri, alle mie speranze, traducendo in azioni concrete, in fatti, le parole che, in tal senso, stava spendendo per convincermi ad accettare, per ottenere, da parte mia, un beneplacito a procedere… e a procedere per il conseguimento di quell’obiettivo comune.
Tuttavia… tuttavia non avrei potuto concedermi l’occasione di cedere. E di cedere in maniera tanto banale, tanto ingenua, alla tentazione da lui in ciò rappresentata, dal suo potere in tal modo offertami. Non, per lo meno, desiderando realmente conservare una qualche speranza per il mio futuro con Midda, per la sopravvivenza del nostro rapporto, già sin troppo posto in dubbio, sin troppo sgradevolmente frenato dall’ostinata esistenza di quel semidio nelle nostre vite… e, soprattutto, nella mia testa. Perché se anche, accettando quel nuovo compromesso, sarei stato in grado di intervenire in soccorso alla mia amata, ricongiungendomi immediatamente a lei; spiacevolmente breve sarebbe stata per me l’occasione di poter gioire per tale risultato, per simile conquista. Breve nella misura, per lo meno, sufficiente alla medesima per prendere coscienza di quanto da me compiuto e, in ciò, per imporre un nuovo muro fra noi, una nuova barriera che, forse, non sarei più stato in grado di abbattere.

« L’importante è che ella stia bene. » commentai, sospirando e, in ciò, cercando di liberare la mia mente da ogni incauto pensiero « Non è la prima volta che si ritrova in difficoltà… non è la prima volta che viene imprigionata… e, probabilmente, non sarà neppure l’ultima. » cercai poi di argomentare, più a convincere me stesso che chiunque altro « E’ la sua vita… ed è il suo modo di viverla. Se avrà bisogno di me, mi chiederà di intervenire. Ma fino ad allora, è meglio che ella abbia a proseguire nel cammino che ha scelto in autonomia… senza che, da parte mia, da parte nostra, vi siano interferenze volte a porre in dubbio la sua autodeterminazione. »

Un istante di silenzio, volto a esprimere disapprovazione, fu quello che seguì il mio intervento da parte di Desmair, il quale, tuttavia, cercò di mantenere tutto il proprio autocontrollo, tutta la propria sino ad allora manifestata quiete, per non palesare quanto egli avrebbe preferito una ben diversa risoluzione da parte mia, una scelta volta a garantirgli libertà di azione. E non tanto, ne sono certo, al fine di garantire salvezza alla mia amata, nonché sua moglie così come aveva apparentemente amato impuntarsi a ripetere in ogni propria ultima sentenza; quanto e piuttosto, al solo scopo di tornare a godere della vita che pur, nel ritrovarsi confinato all’interno della mia mente, gli era stata spiacevolmente negata…
… non che, nel ricordarsi la sua attuale condizione di cadavere, avrebbe potuto avere ragione di che lamentarsi in tal senso, nell’essersi, mio malgrado, riservato molto più di quanto non avrebbe avuto diritto a pretendere.

« Come preferisci… » accettò alfine, stringendosi fra le spalle a comprovare, falsamente, quanto in verità nel merito di tale mia scelta egli non avrebbe avuto interesse alcuno, in una reazione attorno alla quale, pur, non volli infierire, nel non avere ragione alcuna per spingermi a voler cercare conflitto con lui, nel privarlo, in tal modo, della propria dignità, del proprio orgoglio, ossia, obiettivamente, tutto ciò che gli era, allora, rimasto, tutto ciò che, ancora, avrebbe avuto ragione di impegnarsi a difendere « La vita è la tua… e se preferisci sprecare il tuo tempo nel sottostare alle assurde regole di questo folle mondo, per elemosinare una qualche possibilità di impiego, non sarò di certo io a impedirtelo. » soggiunse, in effetti dimostrandosi maggiormente piccato di quanto, forse, non sarebbe stato per lui opportuno apparire « Anzi… credo che sia giunto il momento che tu abbia a risvegliarti! »

martedì 25 marzo 2014

2229


So bene come potrebbe apparire retorico affermarlo, ma fra Midda e me, l’intima intesa è sempre stata tale da rendere obiettivamente difficile distinguere sogno e realtà.
In un’attesa durata, per entrambi, quindici lunghi anni, i sogni, non ho vergogna ad ammetterlo, non sono mai mancati. Anzi. Ogni qual volta ella soggiornava presso la mia locanda, inevitabile era per me risvegliarmi madido di sudore, e in stati di eccitazione tale da rendere obiettivamente difficile riuscire a pensare di potermi rapportare, quietamente, con lei, di lì a breve, nel momento in cui ella sarebbe uscita dalla propria stanza raggiungendomi per il nostro, irrinunciabile, appuntamento mattutino, in occasione della prima colazione, sovente per lei anche l’unico pasto della giornata sino a sera. Non che, per quindici anni, da parte mia sia stata casta attesa del momento in cui ella si sarebbe finalmente decisa a scegliermi qual proprio compagno, beninteso: al suo pari, non mi sono mai lasciato mancare compagnia, soprattutto in occasione dei lunghi mesi, talvolta intere stagioni, nel corso dei quali ella spariva dalla circolazione, al punto tale dall’essere considerata, dai più, qual morta. Ciò non di meno, per quanto non mi sia mai sottratto alla compagnia di diverse amanti, tali per passione o, anche e soltanto, per denaro, e per quanto ad alcuna di loro potrei muovere il benché minimo rimprovero, avendo sempre, con tutte, trovato indubbia occasione di appagamento fisico; con nessuna, al di fuori di lei, ho avuto la medesima possibilità di coinvolgimento emotivo, psicologico e, persino, spirituale, tale da rendere ogni nostro amplesso, reale o, anche e soltanto, onirico, un’esperienza sempre indimenticabile, sempre meravigliosa, al confronto con la quale alcun’altra donna avrebbe mai potuto riservarsi il benché minimo significato nella mia esistenza, nel mio presente o, ancor meno, nel mio avvenire.
In ciò, per quanto consapevole della misura nella quale, tutto quello, null’altro avrebbe avuto a doversi considerare che un parto della mia fantasia, uno sfogo, mentale, al distacco fisico impostomi dalla mia amata sin dal giorno in cui, entrambi, ci rendemmo spiacevolmente conto della presenza di Desmair dentro di me; non soltanto non tentai di sottrarmi all’abbraccio di quel miraggio ma, in esso, mi sforzai, per un fuggevole frammento di eternità, di smarrirmi, abbandonandomi completamente al piacere, al desiderio, alla forza, all’estasi, in un’unione tanto straordinaria, tanto meravigliosa, da apparire persino dolorosa, nella tensione imposta a ogni mia singola membra, in termini tali da poter persino temere che, da un istante all’altro, il mio intero corpo potesse esplodere, incapace a contenere al proprio interno, tutta l’energia che, soltanto da lei e per lei, sarebbe sempre stata generata, sarebbe sempre derivata. E più, con quel simulacro della mia amata, il crescendo proprio di quell’unione ci trovava uniti, con foga rimbalzando da un tavolo al bancone, dal bancone al pavimento e dal pavimento ancora a un muro, e alle scale, e a qualunque altro genere di supporto ci sarebbe lì potuto essere offerto; più l’intera realtà a me circostante, la realtà dalla quale mi ero estemporaneamente allontanato, perdeva completamente di significato, apparendo qual un mondo lontano… e un mondo al quale non desiderare più far ritorno…
… questo, per lo meno, fino al momento in cui il mio ospite non mi riportò a necessario confronto con quanto, effettivamente, stava accadendo, e con il fatto che, purtroppo, in quel momento stavo giacendo soltanto con la mia fantasia, con un frutto della mia immaginazione, nel mentre in cui l’unica, vera Midda Bontor, ancora una volta, mi era stata sottratta da un fato avverso… e dalle proprie stesse, impetuose azioni.

« Voglio essere onesto con te, vecchio mio… » esordì, sorprendendomi immerso fra le braccia della mia amata, o, quantomeno, di quella sua onirica imitazione « … all’inizio avevo giudicato mia moglie addirittura di aspetto sgradevole, soprattutto se posta a confronto con colei che avrei, effettivamente, desiderato qual mia novecento undicesima sposa e, alla quale, ella si è sostituita con l’inganno. »
« … dei! » gemetti, quasi spaventato da quell’intervento, abbandonando rapido il calore di quel corpo soltanto per rigirarmi ed essere pronto al conflitto, in risposta a un primitivo istinto belligerante, volto a tutelare la mia compagna anche laddove, la vera Midda, mai avrebbe avuto necessità di una simile premura da parte mia.
« Però… conoscendola meglio, devo ammettere che ha sicuramente il suo fascino, il suo carisma… e, non lo nego, in tutto ciò non riesco a evitare di provare una certa gelosia nei tuoi riguardi, sapendo che a te è concesso quanto dovrebbe essere, obiettivamente, soltanto mio. » proseguì egli, con tutta serenità, per nulla dimostrandosi scandalizzato né da quanto stava avvenendo, né dalla mia nudità, a dimostrazione di quanto quell’esperienza, per lui, non avesse a doversi riconoscere qual inedita « Ti prego… non ti fermare per causa mia. » mi invitò poi, nel mentre in cui, comunque, la realtà attorno a noi iniziò a essere nuovamente rimodellata a suo uso e consumo, vedendo ricomparire il trono seduto sul quale mi aveva inizialmente accolto, e al quale, in ciò, non si negò occasione di fare ritorno « Se ti può rasserenare, ho visto scene molto più spinte di questa nei sogni della mia sposa: ti stupirà, ma, talvolta, ha fantasie decisamente… mmm… non riesco a trovare un aggettivo giusto per descriverle. »
« Desmair! » esclamai, sforzandomi di ritrovare il controllo su di me, sul mio corpo, sulla mia mente e sulle mie emozioni, nel mentre in cui, purtroppo, così come era apparsa, l’illusione d’amore che mi era stata appena concessa iniziò a svanire, lasciandomi un terrificante senso di malinconia nell’animo all’idea di quanto tempo, purtroppo, sarebbe probabilmente passato prima che, a Midda e a me, potesse essere offerta la possibilità di tornare a vivere realmente un momento come quello.
« Lieto che tu riesca ancora a ricordarti il mio nome… » commentò sarcastico, tornando ad allungare la propria destra verso il calice dorato che aveva fatto ritorno alla propria posizione originaria, là dove lo aveva lasciato prima di partire « Sai… considerando che in questo angolo della tua mente ho preso dimora, potrei considerare un’offensiva invasione dei miei spazi quanto è appena accaduto. Un gesto decisamente maleducato da parte tua, ricordando come, fra l’altro, fossi impegnato in un ruolo d’ambasciatore proprio per tuo conto… »
« Considerando come questa sia la mia mente, e come tu vi sia impiantato senza alcun permesso da parte mia, non credo che tu abbia a poterti considerare nella posizione utile a muovermi critica… al contrario! » replicai con maggiore stizza rispetto a quanto non avrei preferito riservargli dimostrazione.
« Oh… oh… » ridacchiò, piegando appena il capo di lato, quasi a cercare di osservarmi da un diverso punto di vista « E’ il testosterone che sta parlando per te, vecchio mio?! In genere, il ruolo aggressivo-dominante è quello della tua amante nonché mia sposa… non il tuo. » puntualizzò, sarcastico nei miei confronti « Se preferisci che ti lasci ancora qualche minuto in compagnia con le tue fantasie… beh… non hai che da chiedermelo. Tanto più che, fra breve, ti riprenderai… e, in ciò, se solo mi lasciassi un po’ al comando, potrei approfittare dell’occasione per semplificarci la vita. E, chissà, magari anche per andare a salvare colei al centro delle tue brame. »
« Salvare…?! » domandai spaventato, dimentico, in un istante, di ogni precedente eccitazione, all’idea che Midda potesse avere necessità di aiuto, di soccorso, prospettiva innanzi alla quale non mi sarei potuto perdonare per essermi concesso, oltretutto, quell’infedeltà onirica, seppur, comunque, con lei e soltanto con lei « Che succede, Desmair…? Midda è in pericolo…?! »
« Nulla nell’immediato. » negò, scuotendo il capo e stringendosi fra le spalle, a minimizzare il valore di quanto pur, pocanzi, lasciato intendere « In effetti, l’ho trovata decisamente tranquilla nel merito del proprio avvenire, per quanto abbia aggredito il suo accusatore e, per questo, si sia conquistata un anno di lavori forzati. » soggiunse, offrendo drammatica conferma a ogni mio timore « La sua unica preoccupazione, se ti può consolare, sei tu… e il fatto che tu possa stare bene fintanto che lei non tornerà a prenderti. »
« Io sto bene. » replicai, quasi a voler rispondere in maniera diretta a quel premuroso timore, benché, obiettivamente, ella non avrebbe potuto sentire la mia voce.
« E’ quello che le ho detto. » confermò, tuttavia, il mio interlocutore, avendo evidentemente anticipato quella mia risposta « Non che non se lo aspettasse, in verità… ti conosce, così come tu conosci lei. E, in ciò, era certa del fatto che tu saresti riuscito a cavartela. »

lunedì 24 marzo 2014

2228


Fu così che rimasi solo. E rimasi solo come soltanto lo si potrebbe essere all’interno della propria stessa mente, nel mentre in cui il proprio corpo non è più sotto il proprio controllo oltre che, in quel particolare frangente, persino privo di effettiva coscienza.
Non un’esperienza nuova, quella che in tal modo la collaborazione con Desmair mi stava offrendo, nell’essermi già ritrovato in passato a offrirgli possibilità di gestione del mio stesso corpo, per periodi limitati, in misura tale da sostituirci reciprocamente, da invertirci l’un l’altro, ritrovandomi in tal senso io prigioniero della sua gabbia dorata e lui al comando della mia stessa vita. Un comando che, nel contesto proprio di quel preciso momento, non gli avrebbe concesso in verità grandi possibilità di manovra, essendo comunque la mia mente ancora estemporaneamente separata dal mio stesso corpo, stordito a seguito del colpo ricevuto; ma che, ciò non di meno, gli avrebbe dovuto concedere la possibilità di raggiungere la mia amata… sua moglie, ovunque ella avrebbe potuto essere in quello stesso momento, per condurle la mia ambasciata e per permettermi di verificare in quale misura, purtroppo, i miei sospetti avrebbero avuto a doversi considerare concreti, effettivi, realistici, a discapito di ogni mia speranza nel merito di un maggiore autocontrollo da parte sua, benché, obiettivamente, tutto ciò avrebbe avuto a dover essere considerato addirittura qual un tradimento del proprio stesso carattere e di tutto ciò che, da sempre, l’aveva resa colei che ella era.
Quanto contraddistinse, tuttavia, quell’occasione da ogni precedente esperienza vissuta in identiche condizioni, allora, fu quello che accadde nel corso della medesima. E che, non nella ricerca di qualche facile giustificazione, credo altro non avrebbe potuto che conseguire, in maniera spiacevolmente diretta, a ogni ansia, a ogni timore, a ogni paura conseguente, in maniera non casuale, a tutta quella situazione, a tutto quel contesto, al mio imposto distacco fisico da Midda e, soprattutto, al mio imposto distacco fisico da lei in un ambiente per entrambi assolutamente alieno e, non di meno, alienante, tale da imporre alla mente, necessariamente, maggiore ragione di stanchezza, di prova, rispetto a ogni altra possibile e precedente circostanza, nel corso delle quali, pur, la mia compagna e io ci eravamo ritrovati a essere distaccati per lungo periodo l’uno dall’altra e, sempre e drammaticamente, senza alcuna reale certezza di poterci, alfine, nuovamente riabbracciare.
Cosa accadde di tanto originale…?!
Accadde che, nel ritrovarmi solo all’interno dell’ambiente fittizio ricreato proprio uso e consumo dal mio ospite all’interno della mia stessa mente, non potei evitare di provare un certo disagio nel confronto con la costante assenza di qualche mio, personale, punto di riferimento, qualche mia, effettiva, certezza alla quale sforzarmi per attingere non soltanto conforto, ma anche, e soprattutto, forza, energia, psicologica ed emotiva, per tirare avanti. Perché, per quanto potessi star allora sforzandomi di considerare, quanto a me circostante, al pari di una situazione assolutamente normale, quietamente banale addirittura, non avrei potuto evitare di accusare il colpo… i colpi derivanti da quanto mi stava accadendo, più psicologicamente ed emotivamente, ancor prima che fisicamente. Non, per lo meno, volendo ancora considerare un minimo di equilibrio mentale in una situazione che pur, sembrava, desiderare in ogni modo distruggerlo.
Così, senza che neppure potessi rendermi conto, in maniera cosciente, di essere io l’unico artefice di quanto stava avvenendo, quasi come in un sogno i contorni dell’ambiente a me circostante iniziarono lentamente a sfumare, a mischiarsi, a confondersi, impegnandosi poi ad assumere sembianze a me più consone, a me più familiari, quali quelle proprie della mia locanda, della locanda nella quale avevo vissuto e lavorato negli ultimi venti, e più, anni della mia vita, e nella quale tutta la mia relazione con Midda aveva avuto occasione di formarsi, di crescere, di maturare e, alfine, di concretizzarsi. E prima ancora che, coscientemente, potessi rendermi conto di quel mutamento, avvenuto secondo dinamiche sì oniriche da risultare, addirittura, quanto di più ordinario possibile, un altro attore subentrò nella scena in tal modo da me inconsapevolmente allestita, richiamato… anzi… richiamata all’interno della medesima dal medesimo inconscio che tutto ciò si era preoccupato di ricrearmi attorno, a mio esclusivo uso e consumo.

« … Midda?! » esclamai, ben riconoscendo le fattezze della mia amata, il suo profumo, il suono dell’incedere dei suoi passi sulle assi del pavimento, il leggero tintinnio prodotto dal movimento del suo braccio destro, di quella sua protesi in nero metallo dai rossi riflessi, accompagnata dal quale, da sempre, l’avevo conosciuta, essendo io subentrato nella sua vita soltanto a seguito dei tragici eventi che l’avevano vista perdere il proprio avambraccio « Sei veramente tu…?! »
« O sono io… o sono Nissa rediviva che finge di essere me. » replicò ella, lasciando risuonare nelle mie orecchie la melodia propria della sua voce, della quale non avrei potuto che essere perdutamente innamorato, dopo aver atteso per lustri interi, addirittura, di sentirla pronunciare il mio nome in termini appassionati, con desiderio e bramosia « A te la scelta, mio caro… » soggiunse, accostandosi a me e incrociando le braccia sotto ai propri, prosperosi seni, in attesa di una mia valutazione, di un mio giudizio, ben lontana dal potersi considerare desiderosa di apparire svenevole al mio sguardo, così come, del resto, mai avrei potuto apprezzarla essere, di lei, sin dal primo giorno, innamoratomi, per la forza del suo animo, per il suo incredibile carisma, per la sua emancipazione e, in essa, per la fiera volontà di difenderla, a prescindere da ogni dominanza patriarcale all’interno della società in cui ci eravamo entrambi ritrovati a vivere, da immigrati, stranieri in terra straniera.

Considerando quanto occorso con Desmair, che quella innanzi a me potesse essere l’ombra, lo spirito della gemella della mia amata, non voglio negarlo, avrebbe potuto essere un rischio. Così come, e in misura ancor maggiore, il mio intelletto mi volle porre in guardia dal fatto che, quell’immagine, quella presenza, altro non avrebbe potuto che essere frutto della medesima fantasia che aveva appena riplasmato l’ambiente a me circostante per offrire al medesimo le sembianze della mia locanda, un luogo in cui poter cercare occasione di conforto e rifugio.
Ciò non di meno, osservando gli occhi color ghiaccio di lei, e in essi smarrendomi come sempre, non riuscii a ovviare al richiamo della carne e, in particolare, al richiamo intrinseco in quello stesso sguardo a me rivolto, lo sguardo che, in quegli ultimi anni, era sempre stato preludio di lunghe, straordinarie, indimenticabili e appassionanti ore d’amore, e d’amore carnale; innanzi a tutto ciò, e a lei, volutamente dimenticandomi di dove realmente fossi, e di qualunque altro particolare, di qualunque altro dettaglio, per concedermi l’occasione di tendermi a lei, e alle sue braccia, che subito di allargarono per accogliermi, e alle sue labbra, che subito si dischiusero per offrirmi conforto, del tutto indifferente, egoisticamente indifferente, al fatto che quello, nel migliore dei casi, null’altro avesse che a doversi considerare diversamente da un semplice sogno, in conseguenza al quale nulla sarebbe mutato nella realtà dei fatti. E, ciò non di meno, un sogno per tutelare il quale avrei preferito morire piuttosto che, al medesimo, sottrarmi e sottrarmi per mia esplicita decisione, per mia palese volontà.

« … forse… non dovremmo… » cercai di offrirmi una scappatoia, in frasi bofonchiate a stento fra labbra saldamente intrecciate con quelle di lei, lingue difficili a distinguersi, a dividersi l’una dall’altra, in un’unione tanto profonda da risultar più simile a una fusione.
« … no… non dovremmo… » mi fece verso lei, nel mentre in cui, tuttavia, i suoi gesti, le sue mani, vollero comunicare un messaggio ben diverso, forzando le mie vesti ad aprirsi, a rivelare il mio corpo al di sotto della propria stoffa, con un impeto in conseguenza al quale, più che limitarsi a spogliarmi ella, addirittura, strappò via quegli stessi abiti dalle mie membra, con una prepotenza, un’energia, innanzi alla quale non avrei potuto evitare di cedere, e di perdere completamente ogni possibile, effimero eco di controllo, null’altro desiderando che unirmi a lei… e unirmi a lei in quel momento, in quel luogo, senza ulteriore esitazione.
« … dei… » gemetti, quasi a cercare, in ciò, un perdono divino per quanto stavo per compiere, per la foga alla quale, ero cosciente, non avrei cercato assolutamente di sottrarmi… al contrario.

domenica 23 marzo 2014

2227


« Aiutami un attimo a capire… ti sei fatto mettere davvero fuori gioco in maniera tanto stupida?! » questionò Desmair, scuotendo il capo con secco rimprovero nei miei confronti « Non ci siamo, vecchio mio… non ci siamo davvero. » ribadì, con apparente sincera commiserazione per la mia spiacevole assenza di qualsivoglia risultato a tal proposito « Non è mio desiderio infierire a tuo discapito ma… diamine… in questo modo anche la mia dignità sta venendo posta in serio dubbio. In fondo sono anche io qui dentro, sebbene sembra che tu tenda a dimenticarti di questo piccolo, e pur non insignificante, dettaglio… »

Approfittando della mia perdita di sensi nel confronto con il mondo reale, il mio inquilino, il mio ospite, il mio costretto compagno di vita, nonché, paradossalmente, anche il mio rivale in amore, l’unica ragione per la quale, nostro discapito, a Midda e a me non era stata concessa opportunità di convolare a giuste nozze, così come entrambi, pur, avrebbe desiderato poter compiere, e così come, anche, qualche mese prima di allora eravamo stati quasi prossimi a compiere, nell’illuderci che, con la presunta morte del medesimo, anche il suo matrimonio con la mia adorata fosse venuto a decadere; non si era lasciato mancare occasione di richiamarmi a confronto con lui, entro i confini propri della mia stessa psiche, della mia stessa mente, in uno spazio che egli, pur, aveva lì arredato in maniera tale da risultare in tutto e per tutto identico alla dimora nella quale, per troppi secoli, era rimasto imprigionato, esiliato fuori dal mondo. Una prigione nella quale egli era stato costretto per volere della propria stessa madre, nonché nostra antagonista, Anmel Mal Toise, e nel confronto con la quale, ciò non di meno, doveva aver evidentemente maturato una certa familiarità, un paradossale affetto, in misura tale da spingerlo, malgrado tutto, a ricercarla nuovamente, a ricrearla appositamente anche laddove, entro i confini della mia immaginazione, egli avrebbe potuto spingersi a dar vita a un qualunque scenario, a una qualunque ambientazione.
E così, che potessi apprezzarlo o meno, ancora una volta ebbi occasione di ritrovarmi al cospetto di Desmair, venendo da lui accolto qual ospite all’interno della mia stessa mente, nel coglierlo comodamente adagiato sul proprio imponente trono, intento, pur senza una qualche ragione pratica, una qualche esigenza concreta in tal senso, a sorseggiare un denso liquido di un intenso color scarlatto, da un’elegante e pregiata coppa dorata. Una scena, quella lì nuovamente offertami, alla quale non mi sarei potuto in alcun modo definire nuovo e che, in ciò, non ebbe più a sortire effetto alcuno a mio discapito, nel ritrovarmi, anzi, sostanzialmente disinteressato se non, persino, tediato da tanta grottesca teatralità da parte del mio interlocutore, il quale, malgrado la propria condizione, malgrado l’esser divenuto, ormai, l’ombra di quanto era un tempo, non sembrava essere in grado di rinunciare all’idea di essere un semidio, e, in ciò, di aver diritto a occupare una posizione di obbligato rilievo nel confronto con il mondo intero a se circostante…

« Ti posso assicurare che non potrei mai dimenticarmi della tua presenza dentro la mia testa… » commentai, storcendo le labbra verso il basso, nell’avanzare verso di lui con maggiore stanchezza, e stanchezza psicologica, rispetto a quanto non avrei preferito dimostrare di provare « Anzi. Anche senza questo imprevisto, ti avrei presto contattato… ho bisogno del tuo aiuto. »
« Intendi forse chiedermi di prendere il controllo del tuo corpo per richiamare a me le mie orde di spettri e spazzare via tutto questa oscena varietà di forme e colori delle quali ti sei circondato… e magari, con esse, l’intero mondo nel quale la fenice ha scelto di scaricarci, per ragioni che, probabilmente, non hanno a esser considerate chiare neppure a lei stessa?! » domandò con macabra ironia il mio interlocutore, sorridendo ferino, e in ciò mostrando una lunga fila di zanne nel confronto con le quali, obiettivamente, non potei che provare maggiore ritrosia rispetto a quanto mai Falamar avrebbe potuto sperare di impormi ragione, malgrado, obiettivamente, avrebbe potuto sicuramente nuocermi, a livello fisico, molto più di quanto Desmair non avrebbe potuto avere ormai ragione a compiere « Se così fosse, potrei anche iniziare a giudicare razionali le tue scelte… e apprezzabile il tuo incedere in un mondo tanto strano da non risultar neppure degno d’essere conquistato, d’essere soggiogato, quanto e soltanto d’essere annientato, eliminato per sempre dal Creato. »
« Niente di tutto questo, Desmair… » cercai di frenarlo, levando entrambe le mani a contenere, gestualmente, l’impeto proprio dei suoi propositi, per così come allora con me condivisi « Dal momento in cui temo che Midda non abbia dimostrato sufficiente autocontrollo nel corso del colloquio con Pitra Zafral, vorrei che tu potessi contattarla… e accertarti del fatto che stia bene. »
« Non stai dimenticando qualcosa…?! » mi domandò egli, inarcando un sopracciglio nell’osservarmi con incedere dubbioso « Qualcosa di tondo e dorato… che tu hai ben pensato di donarle per negarmi qualunque possibilità di entrare in contatto con lei. »

Mai dono più azzeccato, in effetti, avrebbe potuto essere riconosciuto quello che, in tutto ciò, avevo destinato alla mia amata oltre cinque anni prima quando, proprio e mio malgrado, scopertasi vittima di una pericolosa influenza mentale del proprio sposo, si era sospinta, tragicamente, a uccidere due miei cugini e, ancora, a pretendere, persino, la mia stessa vita, nel considerarmi, malevolmente, qual un mostro necrofago desideroso di renderla parte integrante della mia dieta.
Fortunatamente, al di là del vincolo mentale venutosi a creare fra lei e il suo sposo in diretta conseguenza al loro matrimonio, fra i miei bracciali, fra i miei monili dorati votati a diversi dei propri del mio pantheon, ne avrebbe avuto a dover essere riconosciuto uno dedicato al dio Ah'Pho-Is, signore delle tenebre e nemico naturale dell'ordine, il quale, al di là della propria negativa fama, non avrebbe mai permesso a degli inganni ordini da altri, e, nella fattispecie, da un semidio come Desmair, di poter avere la meglio sulla mente di colui o colei che di tale ornamento si sarebbe fatto portatore o portatrice. E così, malgrado le due tragedie che non ero stato spiacevolmente capace di prevenire ed evitare, la furia omicida della mia amata venne, allora, placata… e, soprattutto, ella venne posta al riparo da qualunque nuova possibile offensiva a proprio stesso discapito da parte del proprio osceno marito.

« Provaci lo stesso, Desmair… te ne prego. » insistetti, cercando di ovviare a cedere alla sua provocazione, malgrado tutto « Se le cose sono andate come credo, ella non ha avuto la benché minima possibilità né di rimettere mano alla propria spada, né, tantomeno, al proprio bracciale. E così nulla ti potrà impedire di raggiungerla, ovunque ella sia. »
« Sai… il nostro rapporto è già sufficientemente complesso senza che l’amante di mia moglie abbia a domandarmi di consegnare ambasciate, in suo nome, alla mia medesima sposa. » ironizzò egli, appoggiando il calice, mezzo vuoto, su un tavolinetto accanto a sé, prima di alzarsi, con fare indolente, con movimenti lenti e pesanti, dal proprio trono, per levarsi in piedi e dominare, con la propria mole e la propria altezza su di me, nella volontà di ricordarmi, probabilmente, la sol psicologica differenza di dimensioni esistenti fra di noi, dal momento in cui, venuto meno il suo corpo carnale, ogni argomentazione a tal riguardo avrebbe avuto a doversi considerare fondamentalmente futile, se non, esplicitamente, fine a se stessa « Ciò non di meno, e soltanto in nome della volontà di quieto vivere, mi sforzerò di accontentarti… per questa volta. » dichiarò poi, non senza negarsi un profondo sospiro ancora atto a evidenziare, a porre l’accento, su tutto il proprio intimo impegno per tradurre in realtà qualcosa di pur, dal suo punto di vista, incredibilmente banale « Desideri che abbia a comunicarle un messaggio in particolare…?! »
« Nulla che già tu non potresti sapere. » negai, consapevole di quanto, al di là della sua discrezione nel mentre di tutti gli ultimi eventi della mia esistenza, egli non avesse mancato di seguire, con attenzione, ognuno degli stessi, in tal senso già adeguatamente informato nel merito di qualunque dettaglio Midda avrebbe potuto avere interesse a domandarmi… o, piuttosto, a domandargli, direttamente « Spiegale cosa è accaduto… e cerca, per favore, di comprendere quanto grave possa avere ad apparire la sua situazione, ovunque ora si trovi. »

sabato 22 marzo 2014

2226


Falamar non stava scherzando. E ne ebbi evidenza nel momento stesso in cui, dopo soltanto quattro ore di attesa, riuscii ad arrivare, per la prima volta, a contatto con un burocrate impiegato all’interno di quell’ufficio di collocamento, sostenendo con lui una delle conversazioni più frustranti di tutta la mia esistenza. In termini tali che, non lo nego, per un istante presi persino al vaglio l’idea di liberare Desmair e lasciar sì che fosse egli, con il suo esercito di spettri, a occuparsi dell’intera questione.
Purtroppo quella avrebbe avuto a dover essere riconosciuta qual, semplicemente, la prima di una lunga serie di prove del tutto equivalenti, se non, anche, peggiori. Ragione per la quale, che potessi apprezzarlo o meno, perdere il controllo così presto non avrebbe avuto altro effetto che rendermi degno di ritornare a confronto con l’accusatore Zafral… e con qualunque genere di destino egli avrebbe potuto esigere per me.

« Tessera d’identità, prego… » esordì il burocrate, senza neppure sollevare lo sguardo verso di me, limitandosi a tendere una mano e a restare comodamente seduto dietro a una sorta di bancone non troppo dissimile da quello oltre il quale anche io avevo servito per decenni, se non per l’aggiunta di una specie di vetro divisorio fra me e lui, le ragioni alla base del quale mi risultarono evidenti non appena il dialogo iniziò spiacevolmente a degenerare nel proprio senso logico.
« … scusa?! » domandai, dimentico per un istante dell’impiego della terza persona qual espressione di cortesia, in tal senso rilassatomi, psicologicamente, nel piacevole confronto con il mio nuovo amico canissiano.
« La sua tessera d’identità, prego. » ripeté, enfatizzando con la propria voce l’aggettivo possessivo opportunatamente declinato al fine di essermi, non di meno, da monito nel mantenere una certa correttezza formale nei suoi confronti.
« Ehm… mi scusi. » mi corressi immediatamente, appoggiandomi appena contro il bancone per avvicinarmi, istintivamente, al vetro, nel timore di non essere chiaramente udito al di là del medesimo « Io… io temo di non avere una tessera d’identità. »
« La prego di non appoggiarsi al divisorio. » commentò, levando per la prima volta gli occhi nella mia direzione, soltanto per rivolgermi la peggiore fra tutte le occhiatacce che mai mi fossero state rivolte, lasciandomi in conseguenza della stessa sentire colpevole per ragioni di cui non avevo la benché minima idea, e che per me non avrebbe neppure avuto senso di investigare, dal momento in cui, già così, il mio unico desiderio avrebbe avuto a essere inteso quello di fare, in qualche modo ammenda.
« Mi scusi… » mi rammaricai pertanto, traendomi nuovamente indietro, quasi scottato dalla vicinanza con quel vetro… o qualunque cosa esso fosse.
« La sua tessera d’identità, prego. » insistette, tornando a riabbassare lo sguardo verso gli strani macchinari presenti sulla sua scrivania, la consapevolezza effettiva della natura dei quali, ancora, non mi era stata concessa da alcuno.
« Come le stavo dicendo io temo di non avere una tessera d’identità… » tentai di ripetermi, laddove, evidentemente, il primo avviso in tal senso non aveva sortito particolare effetto.
« … il prossimo. » cercò di concludere il burocrate, tagliando breve ed escludendo qualunque ulteriore possibilità di dialogo fra noi.
« No! Mi scusi! » mi opposi, gettando per un istante uno sguardo alle spalle, a comprendere se, chiunque fosse dietro di me, avrebbe avuto di che lamentarsi per la mia ulteriore permanenza in quel punto tanto ambito « Io sono qui per cercare un lavoro… »
« Tutti sono qui per cercare un lavoro, signore. » evidenziò il mio interlocutore, aggrottando appena la fronte e, ancora, nonostante tutto, non degnandomi neppure di un ulteriore sguardo, avendo evidentemente io già esaurito ogni diritto in tal senso « Ma senza una regolare tessera d’identità, le non ha diritto a esigerlo. Buona giornata… » mi spiegò e mi congedò in maniera che, a posteriori, avrei dovuto intendere persino eccessivamente caritatevole nei miei confronti, benché, in quel particolare momento, mi parve quantomeno irritata… e irritante.
« Aspetti! » cercai nuovamente di sostare allo sportello, ancora una volta verificando che alle mie spalle non vi fossero segnali di impazienza « Mi dica per lo meno come posso ottenere questa tessera d’identità… »
« Se ha smarrito la sua tessera d’identità, compili in triplice copia il modello quarantadue, presentandolo allo sportello diciassette accompagnato dalla denuncia di smarrimento. » illustrò, ancora sforzandosi di apparire il più possibile collaborativo nei miei riguardi, benché, dal mio punto di vista, non avrebbe potuto essere descritto esattamente così « … buona giornata. »
« Veramente io non ho smarrito la mia tessera d’identità… non l’ho mai avuta! » dichiarai, scuotendo il capo nell’aggrapparmi, quasi, a quel bancone con le unghie, e non in senso metaforico, innanzi al timore di poter essere allontanato di lì a forza « Sono arrivato soltanto oggi su Loicare… »
« Ah… questo cambia tutto. » commentò con tono sorpreso il burocrate, considerandomi degno di un nuovo sguardo, nel riportare verso di me la propria attenzione « Per richiedere una tessera d’identità, dovrà compilare in triplice copia il modello quarantaquattro, presentandosi allo sportello diciassette accompagnato da un contratto che dimostri il suo regolare impiego lavorativo. » definì, concludendo con l’ormai immancabile « Buona giornata, signore. »

Lo ammetto. Mi ci volle un istante per comprendere esattamente gli annessi e i connessi di quell’ultima indicazione. Fra numeri di modello e di sportello, qualunque cosa oltretutto volessero significare, quella spiegazione apparentemente adeguata al mio problema, alla mia situazione, mi spinse scioccamente a retrocedere di un passo, quasi sussurrando un « Buona giornata… » in risposta a quello rivoltomi. E solo quando, ormai, un’altra persona aveva già occupato il mio posto allo sportello, la mia mente riuscì a ricollegare tutte le tessere del mosaico, ponendomi davanti a un’immagine palesemente errata… incoerente… addirittura paradossale.
Così, mi concessi occasione di porre l’unica cosa che non avrei dovuto osare tentare di fare: tornare a chiedere ulteriori spiegazioni.

« Mi scusi… » esclamai, in direzione del burocrate, già impegnato con chi sopraggiunto dopo di me « Ma come è possibile che io presenti il mio contratto di lavoro per richiedere la tessera d’identità, se per ottenere un contratto di lavoro ho bisogno della tessera d’ident…?! »

Fu questione di un istante.
Prendete un sistema pensato esclusivamente per ledere l’integrità psicologica di coloro che in esso sono risucchiati. Prendete troppe ore trascorse in attesa del proprio turno. Prendete un malcapitato, come il sottoscritto, che, non per propria colpa, si ritrova disorientato innanzi non soltanto a tale sistema, ma anche alla maggior parte dei termini impiegati all’interno del medesimo, traduttore automatico a parte. E prendete molta altra gente in coda che non ha alcuna ragione per offrire sostegno al malcapitato di cui sopra, soprattutto nel momento in cui egli appare soltanto desideroso di rallentare, ulteriormente, il progresso dei lavori, dilazionando, apparentemente senza ragione, il proprio legittimo tempo di permanenza allo sportello e, addirittura, cercando di ritornare indietro dopo essersene appena allontanato.
Fu questione di un istante.
E in un istante, mi ritrovai catapultato, praticamente privo di coscienza, a qualche decina di piedi all’indietro dalla mia allora attuale posizione, qual effetto di un manrovescio da me non soltanto non previsto e non atteso, ma che sopraggiunse persino non realmente visto, non effettivamente percepito, travolgendomi e, in tutto ciò, condannandomi, semplicemente e inequivocabilmente, alla perdita dei sensi.

venerdì 21 marzo 2014

2225


A tenermi compagnia, che tale pensiero potesse entusiasmarmi o meno, non avrebbe avuto a dover essere scordato il mio più intimo alleato, in termini tali che, neppure la mia amata Midda, avrebbe potuto sperare di divenire. Non che, né lei, né io, avessimo mai avuto alcuna particolare perversa fantasia in tal senso. Perché se sicuramente intimo e necessariamente obbligato alleato avrebbe avuto a dover essere riconosciuto Desmair, nulla nel nostro rapporto, nel nostro legame, avrebbe mai avuto ragione di essere invidiato da alcuno… non da Midda, non da altri. Anche perché, particolare fondamentale e non trascurabile alla base della nostra relazione, non avrebbe avuto a dover essere ignorato il fatto che egli fosse obiettivamente e decisamente morto.
Al di là di quanto, comunque, Desmair avesse a dover essere correttamente definito morto, la sua peculiare vitalità avrebbe avuto a dover essere riconosciuta decisamente inquietante… o irritante, come sicuramente preferirebbe dichiarare la mia amata. E il fatto che, dal nostro arrivo su Loicare sino a quel momento, egli avesse preferito mantenersi in disparte, avrebbe avuto a doversi considerare, per me, soltanto ragione di preoccupazione alla prospettiva di quanto, egli, avrebbe potuto allora star architettando.
Per tale ragione, nell’approfittare di un momento di quiete, non mi sarei potuto esonerare dalla necessità di verificare io stesso quanto egli stesse allor combinando all’interno della mia mente. Un momento di quiete per riservarmi occasione del quale, pur, avrei dovuto quantomeno superare indenne quell’esordio all’interno del terrificante sottomondo rappresentato da quell’edificio, e dalla sua caotica popolazione.
Deciso, quindi, a integrarmi quanto prima all’interno di quel contesto, per poter, parimenti, quanto prima rivolgermi serenamente a Desmair e accertarmi delle sue condizioni, non che avrei mai potuto sperare in un qualche sviluppo negativo, o positivo che dir si volesse, in tal senso; mantenni tutta la mia concentrazione rivolta verso Falamar, ponendomi un duplice obiettivo: scoprire quale avrebbe avuto a doversi considerare la nostra prossima mossa, nel sperare, ovviamente, di poter fare affidamento su quella confortevole idea di plurale; e chiarire, con tutta la necessaria quiete, le ragioni per le quali tanta ironia, tanto sarcasmo, e tanto scoramento avrebbero avuto a doversi intendere nelle use parole, atte a presentare la nostra permanenza all’interno di quel complesso qual una questione non semplicemente di ore ma, addirittura, di giorni interi.

« Ti chiedo scusa se ritorno, per un momento, al tema precedente… » ripresi quindi voce, tornando a sollevare la mancina e a mostrare il dorso, là dove era stato marchiato da quella strana goccia di cera l’effettiva utilità della quale, ancora, non mi era stata chiarita « … ma, ancora, temo di non aver ben compreso l’utilità di questa… cosa…?!... qualunque cosa essa sia. »
« Hai ragione, Be’S… temo proprio di essermi perso dei pezzi di spiegazione. » ammise il canissiano, così come si era presentato essere pocanzi, arricciando appena le… labbra… in un gesto di disapprovazione a proprio stesso discapito che, pur, per un fugace istante, apparve spiacevolmente simile a un ringhio di minaccia in mio contrasto « Solo che è da un po’ che non capita, da queste parti, qualcuno così poco avvezzo alle regole del gioco da rendere necessario spiegarle dall’inizio. » si giustificò, benché, obiettivamente, da parte mia non avrei avuto la benché minima ragione di riservargli colpa per la sua mancanza, che mancanza non avrebbe mai avuto a dover essere giudicata, non, soprattutto, nel confronto con il favore che pur egli mi stava rivolgendo, senza neppure alcuna ragione a tal riguardo, a giustificazione di simile impegno « Quella è semplicemente cera sterilizzatrice, volta ad aiutare la rapida rimarginazione dei tessuti della tua mano in conseguenza all’impianto di un marcatore. »
« … un… marcatore?! » domandai, sforzandomi al fine di porre a tacere il mio stesso intelletto, il mio raziocinio, affinché, da parte propria, non prendesse iniziativa alcuna di intervento volta a sollevare dubbi, questioni o problemi nel merito di quanto mi stava allora venendo riferito, laddove se solo mi fossi concesso la possibilità di sollevare questioni, difficilmente sarei stato poi in grado, effettivamente, di venire a capo di tutto ciò, mio malgrado probabilmente perso nella difficolta ad accettare, ancor prima di qualuqnue altra cosa, il contesto stesso di quanto, allora, mi stesse circondando.
« Un piccolo dispositivo a radiofrequenza utile a identificarti all’interno di questo edificio, permettendo al sistema di rielaborare in maniera automatica i tuoi dati a ogni nuovo stadio del processo… » tentò di spiegarmi, in verità lasciandomi, mio malgrado, con più dubbi di prima, come ebbe, comunque, a rendersene conto, al punto tale da rendere necessario un ulteriore intervento esplicativo a simile proposito « E’ il modo grazie al quale i nostri ben poco simpatici padroni di casa hanno deciso di eliminare dei più classici biglietti numerati per identificarci dopo che, qualche anno fa, un tauriano, leggermente stressato da una lunga settimana, preferì incornare l’addetto allo sportello anziché ricominciare tutto da capo, nel rendersi conto di aver perso il proprio numero. »
« … comprendo. » mentii, o, quantomeno, mentii in parte, comprendendo per l’appunto soltanto una parte della spiegazione rivoltami e, ciò nonostante, non arrischiandomi a richiedergli, nuovamente, di rielaborare il concetto, nello sperare che, quanto ancora in quel momento non mi risultava immediatamente palese nel proprio significato, avrebbe iniziato ad apparire tale di lì a breve.

Non so se in conseguenza alla mia menzogna, o per il mio atteggiamento più in generale, o, ancora, a seguito delle ben poco promettenti premesse con le quali mi ero presentato, Falamar non parve del tutto convinto dal mio assenso. Anzi…
Così, dopo un breve momento di silenzio, utile a permettergli di meglio decidere in che misura approcciarmi, egli scelse di compiere un ennesimo passo indietro, metaforicamente parlando, per concedermi di ammettere quanto, in quel momento, potessi essere disorientato senza costringermi a dichiararlo apertamente e, in ciò, a richiedergli di partire, con le proprie spiegazioni, da un punto ancor antecedente rispetto a tutto quello.

« Dimmi la verità, Be’S… tu non hai la benché minima idea di cosa ti aspetterà qui dentro, non è vero?! » mi domandò, piegando il capo nuovamente di lato, e, in questa occasione, con una tensione tale da permettermi di sentir tutte le vertebre del suo collo scricchiolare in conseguenza a tal gesto, per poi muoversi sul fronte opposto, a completare quell’azione che, allora, compresi essere volta a cercare un momento di distensione psicofisica, in termini poi non troppo diversi da quelli nei quali, più volte in passato, avevo visto impegnarsi la mia stessa amata « Perché io sto provando da un quarto d’ora abbondante a trasmetterti consapevolezza del fatto che qui, che tu possa crederlo o meno, trascorreremo insieme almeno tre o quattro giorni, se saremo fortunati… e tu, sino a questo momento, non mi hai ancora prestato attenzione, quasi considerassi la mia una semplice grottesca esagerazione. »
« In effetti desideravo tenermi questa domanda per ultima… » riconobbi, in tal maniera anticipato sotto quel medesimo punto di vista che pur, sino ad allora, avevo volontariamente trascurato, minimizzato, nel considerarlo, addirittura, trascurabile, privo di importanza, soprattutto a confronto con tutto ciò che ancora non sapevo e che, probabilmente, avrei fatto meglio a sapere, senza immaginare quanto, in effetti, quel punto avrebbe avuto a doversi riconoscere fondamento alla base di qualunque altro discorso « … non stavi esagerando, non è vero?! » questionai quindi, con incedere necessariamente retorico, dal momento in cui, la risposta a quell’interrogativo mi era già stata indirettamente offerta nel suo stesso ultimo invito a esprimermi con assoluta sincerità.
« Purtroppo per te… e per tutti noi… no. Non stavo scherzando. » definì, con serietà, e quasi severità, il mio interlocutore, incrociando le gamba e lasciandosi sedere lì, per terra, nel punto stesso in cui eravamo fermi a parlare, agendo in tal senso quasi ciò avesse a doversi considerare la cosa più naturale da compiere « Qui dentro, tutti noi, colpevoli soltanto di essere delle chimere, siamo costretti a trascorrere periodicamente giorni e giorni nella speranza di riuscire a elemosinare un qualche impiego… in una vana lotta, su un fronte, contro il pregiudizio della società umana che su Loicare occupa una posizione privilegiata e dominante, e su quello opposto, come se non fosse sufficiente, con una burocrazia studiata all’unico scopo di far perdere il senno a chiunque si ritrovi a confronto con la stessa. »

giovedì 20 marzo 2014

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« Ho detto qualcosa che non avrei dovuto? » trovai il coraggio di domandare alla fine, rivolgendomi in direzione del mio solo interlocutore, dell’unico che, sino a quel momento, mi avesse concesso confidenza e che, speravo, avrebbe voluto ancora concedermene malgrado quel breve incidente conseguente, in effetti, a ragioni nel merito delle quali non avrei avuto possibilità di intendimento, almeno nell’immediato.
« L’accusatore Zafral… eh?! » commentò, osservandosi incerto attorno e accennando poi un lieve sorriso, carico di imbarazzo « Non conosco la tua razza e non so che cosa tu abbia fatto, shar’tiagho… ma se ciò ha coinvolto l’accusatore Zafral, si tratta certamente di qualcosa di pericoloso. » proseguì, invero non riuscendo a concedersi possibilità di rincuorarmi con un tale intervento « Mi domando se non abbia da doverti temere… »

L’idea stessa che una fiera di tali proporzioni potesse supporre di avere di che temere da parte del sottoscritto, probabilmente, avrebbe avuto a doversi considerare ragione d’orgoglio per il sottoscritto, se solo non fosse stata mia necessità quella di non essere, allora, lasciato completamente solo in balia del mio destino, del mio fato, così come, già in maniera eccessiva, nelle ultime ore sembrava essere occorso. Ciò senza trascurare come, se qualcuno, più prudente, avrebbe potuto interpretare le mie parole quali volte a offrire ragione di giusto timore; altri, contraddistinti da un carattere meno remissivo, avrebbero potuto avere motivo di leggere, dietro a tutto ciò, un invito a cercare confronto, a tentare la sfida, per ottenere il predominio su di me e, in tal modo, forse, proteggere una posizione già propria in tal senso.
Così, al di là dell’eventuale glorificazione che, da tutto ciò, avrebbe potuto derivare per me, includendo in tal senso anche le varie, possibili sfide a tutto ciò conseguenti, preferii di gran lunga impegnarmi allo scopo di meglio chiarire l’ambiguità occorsa, l’equivoco avvenuto, sperando di escludere, di conseguenza, la possibilità di un qualche, spiacevole e del tutto gratuito conflitto.

« Ne dubito… ne dubito fortemente! » negai, scuotendo il capo ed esprimendomi, volontariamente, con tono di voce leggermente più alto di quanto non sarebbe stato necessario, a escludere, da parte di chiunque, possibilità di fraintendimento a mio riguardo « Prima di oggi non avevo mai avuto occasione di incontrare l’accusatore Zafral… e, in effetti, sono stato condotto al suo cospetto soltanto per una serie di circostanze spiacevolmente ambigue tali per cui non è stato per me possibile ovviare a un tale incontro. » argomentai, sostenendo, a conti fatti, soltanto il vero, l’evidenza di quanto avvenuto per così come avvenuto « Ciò non di meno… credimi: sono stato ritenuto tanto innocuo da essere lasciato in libertà, in attesa di giudizio. »
« In effetti… » concordò l’altro, piegando appena il capo di lato, quasi a ricercare una diversa prospettiva dalla quale potermi osservare « Zafral non è uno di quelli che metterebbe in libertà qualcuno giudicato troppo pericoloso per restare a piede libero. Non che l’averti inviato qui, a conti fatti, abbia significato concederti di restare a piede libero… anzi… »

Nuova battuta. Nuova critica a discapito del luogo dove eravamo e dove, a sentire l’opinione da lui espressa, avremmo dovuto essere pronti a trascorrere più tempo di quanto non avrei potuto preferire banalizzare, nell’affrontare la questione con ingenua superficialità.
Nell’incredibilmente ossessiva costanza con la quale egli stava allora ostinandosi a ripetere, non dissimile da un mantra, la posizione in tutto ciò assunta, in tutto ciò resa propria, non difficile sarebbe stato per me acquisire coscienza nel merito del messaggio che egli stava, non troppo velatamente, cercando di comunicare. E, obiettivamente, non difficile in tutto ciò fu.
Al di là di quanto, tuttavia, il suo ripetitivo messaggio potesse essere stato in grado di giungere alla mia attenzione, e a essa fosse effettivamente giunto, con maggiore trasparenza di quanto egli non avrebbe forse potuto credere, anche e soltanto nel confronto con la mia apparente indifferenza; in quel momento, in quello specifico frangente, non avrebbe avuto a doversi considerare ancora mio interesse, mia premura, quella di approfondire tale aspetto della questione, nel ritrovarmi, in tutto ciò, altresì concentrato sulla necessità di fare, per un momento, ordine nella mia vita e, in tal senso, di comprendere quali carte potessi avere in mano nel corso di quella partita che non avevo chiesto di giocare e che, ciò non di meno, sarei stato costretto a giocare fino alla fine, cercando di impegnarmi al massimo per vincere o, quantomeno, per conservare ancora sufficiente credito per potermi permettere di alzarmi dal tavolo con ancora tutte le ossa intere…

« Comunque sia… permettimi di presentarmi, nel non avere desiderio, altrimenti, di passare da barbaro incivile… » riprese il licantropo, inchinandosi lievemente, quasi a volermi, in tal modo, rendere omaggio, in un gesto che, intesi, avrebbe avuto a dover essere considerato, comunque e semplicemente, un atto di cortesia, in quel mondo così come, non troppo diversamente, anche nel mio « Il mio nome è Falamar… Falamar Hithorn e, come credo che appaia più che evidente, sono un canissiano. » dichiarò il proprio nome e il proprio cognome, e quella che, allora, ebbi giustamente a intendere, avesse a doversi considerare la propria razza, seppur in un’accezione diversa da quella da me attribuita nel presentarmi quale shar’tiagho.
« Lieto di fare la tua conoscenza, Falamar… » sorrisi, compiaciuto dall’aver trovato, senza neppure dovermi sforzare a cercarlo, un possibile alleato « Il mio nome è Be’Sihl Ahvn-Qa… »
« Un nome impegnativo, se mi perdoni l’audacia. » ridacchiò nuovamente, dimostrando quanto, evidentemente, all’interno del contesto nel quale ci eravamo ritrovati, l’umorismo avesse a dover essere considerata una risorsa concreta, un’arma reale alla quale far ricorso nella speranza di non impazzire, spiacevolmente « Temo che mi potrei ritrovare la lingua annodata attorno al naso prima si essere in grado di scandirlo adeguatamente… » soggiunse poi, aggiungendo all’ironia anche una certa autoironia, a dimostrazione di quanto, tutto ciò, non avesse a doversi fraintendere qual un attacco a mio discapito, una critica a mia offesa, ma, semplicemente, un argomento di chiacchiera, né più né meno come avrebbe potuto essere qualunque altro.
« Puoi chiamarmi Be’S se preferisci… o in qualunque altro modo, non mi offendo. » lo rassicurai, quietamente « Anche se, magari, potrei non risponderti immediatamente. » sorrisi, cercando di dimostrare di aver colto il giusto stato d’animo con il quale affrontare quella prova, di qualunque natura essa fosse, nel ricorrere anche io all’umorismo quale risorsa utile a fare la differenza.

A confermare l’apprezzamento del mio interlocutore per lo sforzo così compiuto, egli gettò per un attimo la testa all’indietro, sollevando il volto… il muso da lupo verso il cielo, quasi volesse porsi a ululare, soltanto per offrire libero sfogo a una grassa risata, a esprimere quanto, quella mia pur semplice battuta, fosse stata allora perfettamente apprezzata.

« Benvenuto fra noi, allora… Be’S lo shar’tiagho… » mi accolse subito dopo, con una leggera pacca offerta dalla sua mancina sulla mia spalla destra, un gesto da parte sua volutamente controllato laddove, se così non fosse stato, avrei potuto certamente ritrovarmi catapultato diversi piedi più in là « Fa sempre piacere trovare una persona gradevole con la quale parlare… soprattutto nel momento in cui, proprio malgrado, si ha la consapevolezza di dover condividere insieme molto… molto più tempo di quanto non ci si potrebbe attendere di dover fare. »

E per quanto, ancora, non avrei potuto avere la benché minima consapevolezza nel merito di quanto, effettivamente, quell’avviso, quel ripetuto invito a mantenere la guardia, non avrebbe avuto a doversi considerare completamente gratuito, non potei che essere sinceramente lieto, a mia volta, di aver incontrato Falamar, in grazia al quale, ero certo, non mi sarei potuto più sentire fondamentalmente solo qual pur, comunque, non avrei dovuto commettere l’errore di pensare di essere… mai e malgrado tutto.