11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

sabato 31 dicembre 2011

1442


H
ui-Wen fu il primo a colpire. E nel sangue versato dal dardo proiettato dalla balestra di quell'audace figlio di Hyn oltre il tratto di mare che ancora separava le due navi, sembrò voler essere sancito quanto, da parte propria, l'equipaggio della Jol'Ange non avrebbe accettato di essere facile preda per la Mera Namile, non avrebbe accettato, se morte sarebbe dovuto essere il proprio destino, di accoglierlo con quieta rassegnazione.

Sul ponte della goletta, accanto al fiero Hui-Wen, con l'immagine di un rosso dragone di mare emergente dalle onde ritratto sul proprio braccio destro e su parte dell'atletico e agile torso nudo, tutti i suoi compagni erano lì schierati e pronti a dimostrare, ancora una volta, di quale tempra fossero i veri figli di Tarth, i suoi fedeli e rispettosi credenti, che al dio signore e padrone di tutti i mari erano pronti a offrire il proprio sangue qual dimostrazione di quanto mai avrebbero permesso a qualcuno, fosse anche la regina di tutti i pirati, di definire in vece loro il fato a cui si sarebbero dovuti votare, negando loro quella libertà fondamentale per qualunque marinaio con la minaccia delle proprie armi e, peggio ancora, dei propri uomini, privi di qualunque rispetto, privi di qualunque senso delle famiglia, quali solo sarebbero potuti essere giudicati coloro che già avevano ucciso, cinque anni prima, Ja'Nihr e capitan Salge.
Alla sua destra Masva, sempre splendida, sempre adorabile nel proprio femminile volto, e pur, lì, armata di una spada tipica dell'artigianato del lontano continente di Hyn, lama un tempo appartenuta a colui che, senza pietà, aveva privato della vita il loro capitano e che, da quel giorno, ella si era impegnata a imparare a adoperare, nella volontà, presto o tardi, di restituire il giusto prezzo di sangue a coloro i quali avevano complottato un tale orrore, un simile tradimento. Accanto a lei Av'Fahr, con una lancia dalla punta dorata, un'arma fiera e potente e che, pur, qualcuno avrebbe potuto criticare fra le mani di un uomo tanto possente, e alla quale, tuttavia, mai egli avrebbe rinunciato in quel momento, per ragioni, in verità, non dissimili a quelle della propria rossa compagna, ove quell'arma era appartenuta alla propria defunta e tanto amata sorella Ja'Nihr. E ancora, sempre più a destra, Berah, la bellezza della quale avrebbe incantato qualunque fra i pirati loro avversari, e la lama della sciabola della quale, caratterizzata da forme curve all'estremità di una lunga e agile impugnatura, atta a permetterle di giostrare con essa, mai avrebbe comunque concesso ad alcuno la benché minima ipotesi di pietà, desiderosa di gridare il nome del proprio amato qual invocazione a un dio, nel mentre in cui di chiunque avrebbe fatto macello.
A sinistra di Hui-Wen, dai corti capelli corvini e dalla pelle e dai connotati tipici della propria origine orientale, di quel lontano continente che aveva abbandonato ancor bambino nell'intraprendere, come qualunque figlio del mare, un diverso cammino rispetto a quello della maggior parte della propria gente, erano poi, ancora, la rossa Camne, così diversa dalla giovinetta salvata da Midda Bontor oltre un lustro prima, e lì facente sfoggia della propria spada qual già pronta a richiedere la morte di chiunque a lei fosse stato offerto. E infine, accanto a lei il buon capitano della nave stessa, Noal, il quale, dopo aver lasciato il timone al proprio giovane mozzo Ifra, non aveva rinunciato a stringere fra le mani una pesante mazza chiodata, animato anch'egli, al pari del proprio intero equipaggio, da quell'unico, implacabile e insaziabile, desiderio di vendetta, che mai avrebbe potuto vederli appagati se non dopo la sconfitta di Nissa Bontor e di chiunque, innanzi a lei, si fosse schierato in sua difesa, a sua protezione.
In sei, tre uomini e tre donne, erano i fratelli e le sorelle della Jol'Ange, allora pronti a dichiarar guerra alle numerose dozzine di pirati che l'ampio ventre della Mera Namile avrebbe potuto contenere al proprio interno. Sei impavidi marinai, e guerrieri, che, immediatamente, si erano lì disposti, non appena, sorprendendo ogni loro aspettativa, era stata la stessa nave dei pirati, da loro sino a quel giorno inseguita, a richiedere per sé un ruolo di inseguitrice, invertendo la propria rotta e decidendo di affrontarli, quasi avesse avuto modo di maturare coscienza a tal proposito. Una coscienza, in effetti, maturata dalla stessa sovrana lì imperante, la quale, a seguito della propria onirica avventura con Be'Sihl, aveva avuto modo di identificare quegli improbabili inseguitori e la quale, a ovviare a qualunque possibile imprevisto, aveva quindi deciso di concludere ogni giuoco ancor prima del proprio possibile inizio.
Alla base della scelta della regina, facilmente intuito da parte dello stesso shar'tiagho, non sarebbe potuta che essere riconosciuta anche un'esplicita volontà non tanto in suo diretto contrasto, troppo egocentrico sarebbe stato a ritenerlo, quanto e peggio in contrasto alla sua amata. Ove, infatti, le parole di Desmair fossero state sincere, e alcuna ragione di dubbio avrebbe potuto ormai avere a tal riguardo, l'eventualità di affrontare e sottomettere la Jol'Ange avrebbe consentito alla loro principale antagonista, alla possibile antagonista dell'intera umanità, invero, di conquistare numerose occasioni di utile ricatto morale nei riguardi della Figlia di Marr'Mahew. Quest'ultima, infatti, sebbene indifferente sarebbe restata nel confronto con minacce rivolte al proprio stesso futuro, al proprio destino, non tale sarebbe potuta egualmente essere nel momento in cui, a pagarne il prezzo, sarebbero potute essere persone a lei care: egli stesso, innanzitutto, e poi, sicuramente, tutti coloro che ella aveva già avuto modo di conoscere e di apprezzare a bordo di quella goletta, e a cui mai avrebbe voluto addurre altro danno, non dopo quanto logo già, purtroppo, imposto.
Una battaglia, quella così inevitabile, ineluttabile, che tutti, per proprie legittime ragioni, non avrebbero potuto evitare di desiderare, di pretendere: gli uni per vendetta, gli altri per predominio, e lui… beh… lui per amore.

« Uomini e donne della Jol'Ange. Amici. Fratelli e sorelle. » aveva preso voce Noal un istante prima dell'inizio della fine, in quello che, sapeva, essere il suo momento, la sua ora, forse l'ultima occasione concessagli per potersi rivolgere al proprio equipaggio in quanto capitano, onore e onere il cui peso, la cui colpa, se solo non fossero usciti vivi da lì, sarebbe necessariamente gravata sul suo animo per l'eternità, dannandolo « Non voglio mentirvi. Non voglio ingannarvi. Non voglio dirvi che non ho paura. » aveva ammesso, con fierezza tale da rendere impossibile associare quell'immagine, quell'uomo lì a torso nudo come ogni proprio compagno, a un qualunque concetto di timore, di ritrosia innanzi all'imminente scontro.
« Io oggi ho paura. » si era concesso occasione di ripetere, a non permettere ambiguità attorno alla sua affermazione « Io oggi ho paura di poter sopravvivere a quanto abbiamo deciso di compiere senza riuscire a concluderlo. Io oggi ho paura di veder morire uno solo fra voi, sangue del mio sangue, senza essere in grado di evitarlo o di vendicarvi. » aveva specificato, nulla negando al valore della propria iniziale ammissione e, anzi, meglio definendola per non lasciarla apparire qual vuota asserzione, qual vana retorica priva di qualunque utilità « Io oggi ho paura di non rendere onore al mio nome, al nome di mio padre e del padre di mio padre prima di lui. Io oggi ho paura di non riuscire a concedere giustizia e pace allo spirito dei nostri amici uccidi dalla bestia che si nasconde su questo vascello, forse dietro a cinquanta uomini, forse dietro a cento uomini, o forse, e ancora, dietro a molti più ancora. Io ho paura di non riuscire ad avere ancora così tanto da vivere per compiere quanto so di dover compiere, per concludere, finalmente, una guerra iniziata cinque anni fa… una guerra da noi non desiderata, da noi non ricercata, e che pur, per Tarth, io voglio oggi concludere! »
« Fratelli. Sorelle. » aveva ripreso, dopo un momento di silenzio, forse utile a concedere all'eco delle sue parole di non rendere incomprensibile quel suo discorso alle orecchie dei loro avversari, che desiderava potessero udire quanto stava scandendo a pieni polmoni « Che Salge, Ja'Nihr e lo stesso Tarth, signore dei mari e nostro padre, possano essere tutti orgogliosi di noi in questo giorno. E che ci possano accogliere nella loro gloria al momento della nostra morte! »
« Per la Jol'Ange… » aveva quindi incitato Berah, prendendo voce a conclusione di quelle parole, nel levare la propria lama verso il cielo « Oaaah! »
« Oaaah! » avevano alfine risposto tutti, in quello che, nei loro cuori, sapevano sarebbe potuto essere il loro ultimo saluto, il loro testamento, rivolto a tutti gli dei, del mare così come del cielo, della terra e del fuoco.

Fu allora che, sollevando la propria balestra, meravigliosa arma di tutt'altro che banale utilizzo, soprattutto a bordo di una nave, di una goletta sempre in balia dei capricci del mare e delle sue correnti, Hui-Wen aveva preso la mira e, con un colpo perfetto, impeccabile e impietoso, aveva trapassato l'occhio sinistro di uno dei pirati presenti sul ponte della Mera Namile, per offrire a quel loro grido già carico di un impeto privo d'eguali, la letale concretezza di una macabra promessa di morte per tutti i loro avversari.

venerdì 30 dicembre 2011

1441


M
a ancor prima che quel monito potesse essere concluso nella propria stessa definizione, ancor prima che Midda Bontor, morente, potesse esprimere quel proprio testamento all'attenzione di colui alle orecchie del quale, solo, evidentemente, si sarebbe fidata di scandirlo, una terza voce si impose all'attenzione dello shar'tiagho, richiamandone l'interesse con prepotenza, con urgenza, addirittura simile ad allarme nella propria premura…

« No, Be'Sihl! » esclamò la voce di Midda Bontor, di un'altra Midda Bontor, per lo meno, provenendo da dietro le sue spalle, dalla medesima porta d'ingresso alla cella « Non ascoltarla! Non dare retta a quella megera! » lo incitò, impietosa nei riguardi di se stessa o, meglio, della propria esatta copia, o, forse, della propria versione originale « Non è chi tu pensi che sia! »

Midda e Midda. O forse Nissa e Midda. O, addirittura, Nissa e Nissa. Se quello era veramente un sogno, così come avrebbe dovuto essere, un incubo, così come aveva sperato che fosse, ognuna di tali combinazioni avrebbe potuto essere accolta qual egualmente valevole, laddove, spiacevole a ricordarsi, Nissa aveva già avuto occasione, nella realtà, di interpretare il ruolo della propria gemella, e di interpretarlo con straordinaria efficacia, al punto che chiunque, in Kriarya, aveva inizialmente colpevolizzato la stessa Figlia di Marr'Mahew per l'attentato a lord Brote e il conseguente omicidio di lady Nass'Hya.
Ma ove tutto quello avesse da considerarsi il frutto di una sua perversione onirica, priva di qualunque collegamento con la realtà, qual genere di messaggio avrebbe dovuto essere inteso dietro a quell'evoluzione, agli eventi per così come da lui lì vissuti? E, peggio, se invece tutto quello non avesse dovuto essere giudicato qual espressione di una qualche contorta fantasia, magari a sfondo vagamente sessuale, ma avesse dovuto essere accolto qual un'impropria preveggenza su quanto sarebbe accaduto, qual futuro lo avrebbe così atteso? Avrebbe dovuto realmente affrontare tale dualità, simile duplicità? E se così fosse stato, quale sarebbe stata la sua scelta?
Per propria fortuna, o sfortuna, come avrebbe avuto a rimproverarsi a breve, Be'Sihl non era uno stupido e, nel confronto fra una Midda assolutamente riposata, serena, magnifica nelle proprie forme e nel proprio carisma; e un'altra Midda altresì distrutta, piegata ma non ancora, forse, spezzata, per quanto ormai tragicamente morente; egli non avrebbe mai potuto riservarsi dubbi di identità, non avrebbe mai potuto confondere Nissa, ammesso che tale ella fosse, con Midda. Non, di certo, nella consapevolezza del lungo periodo di prigionia dalla prima imposto sulla seconda, dalla propria nemica addotto a discapito della propria amata in conseguenza di un odio ingiustificato, non commisurato al torto comunque subito.
Ragione per la quale, senza offrire il minimo riguardo alla nuova Midda, potenziale Nissa, egli tornò a volgersi in direzione della Midda prigioniera, di colei che, per quanto prossima alla fine, aveva cercato di sussurrargli qualcosa, nel volergli affidare un qualche genere di compito, evidentemente giudicato di importanza fondamentale, seppur secondo ragioni che, in quello specifico momento, non riuscivano a essere individuate dal raziocinio dell'uomo.

« Sono ancora qui, amore mio. » scandì, tornando a sfiorare il volto dell'amata con le proprie mani, incerto, persino, sulla possibilità di toccarla senza imporle, in ciò, ragione di sofferenza « Gli scettri del faraone… cosa dev… »
« Dannazione, Be'Sihl! » incalzò, ora chiaramente alterata nelle proprie emozioni, la voce dell'altra Midda, a esprimere quanto quel suo ottuso disinteresse gli fosse sgradito « Non voglio credere che tu possa davvero essere così facilmente tratto in inganno da una messinscena tanto patetica. E' vero che hai anche creduto alla mia sincera collaborazione, dopo che ti ho fatto catturare dagli schiavisti… ma ora, dannazione, in giuoco vi è qualcosa in più che la tua inutile vita! »

Quella frase, quell'affermazione tanto energica scandita dalla voce di Midda, risuonò nella mente dello shar'tiagho qual pur definita da un bel diverso interlocutore: un interlocutore che ben conosceva; che, in quella confessione, stava rivelando in quali termini dover realmente interpretare alcuni eventi del suo recente passato; e che, malgrado ciò, ora non sembrava non desiderare farsi beffe di lui quanto, piuttosto, evitare che qualcun altro potesse riservarsi una simile occasione.
Ma chi, al di là dello stesso Desmair, avrebbe allora potuto avere ragione di tentare di ingannarlo in quel modo? Chi avrebbe potuto avere ragione di invadere l'intimità dei suoi sogni per cercare di estorcergli una qualche informazione? E, ancora, qual valore avrebbe potuto effettivamente avere una simile informazione, per ottenere la quale tanto impegno stava evidentemente venendo posto in essere?
Anticipando, tuttavia, qualsiasi possibile replica a una sola di tali questioni, qualsiasi possibilità, per l'uomo, di maturare allora una maggiore consapevolezza nel merito di quella situazione, per lui non semplicemente nuova, inedita, ma addirittura aliena, estranea a quanto, per lui, era sempre stata la realtà, la quotidianità, qualcosa intervenne in maniera estremamente prepotente e violenta a richiedere, da parte sua, di ovviare a qualunque possibile distrazione qual quella lì appena impostagli. Qualcosa, o, meglio, qualcuno, che si era già presentato al suo sguardo con le fattezze della propria amata, quella prigioniera e in fin di vita, la quale, allora, mutò improvvisamente incedere, nel riprendere voce e nell'imporla, lì, qual fredda e altera, sprezzante e distaccata da tutto e tutti, quasi non fosse ancor appesa a testa in giù, ricoperta del proprio stesso sudiciume, quanto, piuttosto, seduta con eleganza e supponenza su un alto trono, qual pur era solito apparire lo stesso Desmair nei loro confronti quasi quotidiani…

« Chi sei tu? » domandò, scandendo lentamente ogni sillaba e rivolgendosi all'altra Midda, a colei che il locandiere aveva avuto ragione di identificare qual il proprio semidivino compare, a lui ancora una volta accorso con incredibile puntualità nel momento del bisogno « Non puoi essere una proiezione del subconscio di questo mortale. Sei qualcosa di diverso… qualcuno di diverso. Chi sei tu?! »
« Ora, Be'Sihl… » annunciò il demone, in quello che apparve prossimo a un ordine « Devi svegliarti. »
« C-cosa?! » esitò questi, sinceramene confuso da quanto stava avvenendo.
« Svegliati! »

E Be'Sihl si destò. Madido di sudore, qual solo sarebbe potuto essere al termine di un sogno tanto orrendo, confuso, qual solo sarebbe potuto essere al termine di un'esperienza sì allucinante, e pur sveglio e, fortunatamente, ancora vivo, ringraziando in cuor suo gli dei tutti per quell'opportunità, temendo, in cuor suo, l'eventualità forse paradossale, o forse terribilmente concreta, che da quell'incubo gli sarebbe potuta essere negata una qualche occasione di ritorno, di risveglio, di riconquista della realtà.
Un risveglio, il suo, che lo vide a bordo della Jol'Ange solo per un fugace istante, il tempo di elaborare un pensiero in tal senso, di apprezzare la propria concreta e veritiera posizione, prima di essere nuovamente sbalzato in una realtà diversa e pur non nuova, venendo richiamato, come prevedibile, a concilio da Desmair: convocazione in assenza della quale, probabilmente, sarebbe stato egli stesso a domandarne esigenza, a costo di gridare a squarciagola il nome del proprio compagno in quella folle notte…

« Che accidenti è accaduto?! » questionò lo shar'tiagho, non concedendosi occasione di stupore o di disorientamento per quel nuovo, rapido trasferimento in un teatro ancor diverso dagli ultimi due visitati « Chi era quella donna? E come è possibile che sia entrata nel mio sogno? E come è possibile che tu ci sia entrato?! »
« Non lo hai ancora compreso? » replicò Desmair, seduto sul proprio consueto scranno e pur, lì, apparendo insolitamente affaticato, o, forse, preoccupato « Quello non era un sogno, razza di idiota. Non è mai stato un sogno. Mia moglie l'ha risvegliata. L'ha riportata nel vostro mondo. Ha, persino, recuperato i suoi scettri. E, ora, ella li rivuole, per poter riedificare il proprio regno ed evitare di essere nuovamente sconfitta! » definì, forse dando per assoldate troppe conoscenze da parte del proprio interlocutore, il quale, tuttavia, riuscì a seguirlo in maniera sorprendente anche per se stesso, rabbrividendo al pensiero di quanto sarebbe potuto essere se solo, in quelle parole, vi fosse stata una vaga ombra di verità.

giovedì 29 dicembre 2011

1440


N
uovi sogni. Nuovi incubi.
Ogni momento di riposo, ove non interrotto da un'eventuale riunione clandestina con il proprio compagno, o committente, Desmair; per Be'Sihl si tramutava con incredibile puntualità, con imperturbabile costanza, in un'occasione per rivivere la medesima scena, la stessa terribile sequenza dal sapore vagamente profetico che, senza mai concedergli un'occasione utile a giungere a una qualche conclusione, a una qualche verità sulla sorte alla quale la propria amata sarebbe potuta essere già stata condannata dietro la porta da lui mantenuta costantemente chiusa, oltre quella soglia che non sembrava essere in grado, o avere concreto desiderio, di dischiudere. Ciò nonostante, a ogni nuovo sonno, a ogni nuovo sogno, con il passare dei giorni e con l'avvicinarsi, speranzosamente ineluttabile, del momento in cui quel sogno sarebbe necessariamente divenuto realtà, lo shar'tiagho si ritrovò posto in condizione di reagire alla passività con la quale quegli stessi eventi gli erano stati sino ad allora proposti al punto tale da venire persino a noia, allo scopo di impegnarsi ora realmente nella volontà di superare quell'ultimo ostacolo, abbattere quell'ultimo muro e, in ciò, essere posto a confronto con quanto aveva deciso essere solamente un prodotto della propria stessa psiche, conseguenza della psicologica stanchezza in lui accumulata allo scopo di non cedere alla follia, di non perdere del tutto il controllo con la realtà in un mondo nel quale, paradossalmente, la realtà sembrava star perdendo sempre più di significato, soprattutto nel rapporto con un essere qual il semidio.
E così, a ogni nuovo sogno, a ogni nuovo incubo, ripetendosi ossessivamente quanto nulla di tutto ciò avrebbe dovuto essere confuso qual ritratto di un evento reale, non presente né, tanto meno, futuro, egli si sforzò di ignorare tanto la battaglia a sé circostante, quanto la fuggiasca figura di Nissa Bontor, divenutagli, in tanto puntuale confronto, incredibilmente familiare, al solo fine di poter raggiungere quanto prima quella soglia e, alla fine, persino di aprirla. L'attuazione di un tale piano non fu semplice, non fu immediata e, soprattutto, non fu gratuita, apparentemente vanificando nel proprio impegno in tal senso ogni effetto di quello che pur avrebbe dovuto essere considerato un suo periodo di riposo. Alla fine, comunque, egli riuscì a riservarsi il tempo utile per iniziare a sfiorare la maniglia di quella porta e, via via, addirittura di toccarla e di abbassarla, facendo proprio, a ogni nuovo giorno, un piccolo ma importante progresso, una conquista sudata e più che meritata che, alla fine, era certo, gli avrebbe permesso di violare definitivamente quel limite, quella soglia.
Un traguardo, il suo, che nel non dipendere apparentemente da altri fattori estranei alla sua stessa mente, alla sua sola volontà, qualcuno avrebbe potuto giudicare a dir poco scontato, ovvio, banale e, in ciò, del tutto privo di valore alcuno, soprattutto se posto in confronto con il più concreto e complesso traguardo rappresentato dall'azzeramento della distanza fra la Jol'Ange e la Mera Namile, fra la loro goletta e il vascello della regina di Rogautt. Una conquista, ancora e tuttavia, che, come solo a posteriori anch'egli poté comprendere e apprezzare, si ritrovò a essere, paradossalmente, espressione della stessa difficoltà fisica da loro impiegata per il raggiungimento del loro altro obiettivo, e di quanto, mai sicuramente gradevole, ne sarebbe conseguito. Purtroppo, nella notte in cui, finalmente, la sua mano riuscì non solo a spingere completamente verso il basso la maniglia di quella porta ma, anche e addirittura, a spingere la porta stessa in avanti, per aprirsi la via verso l'interno della cella, della prigione entro la quale la propria amata era stata richiusa, egli non ebbe immediata occasione di comprendere, di apprezzare quanto i due obiettivi avrebbero dovuto essere riconosciuti quali assolutamente paralleli, addirittura vincolati l'uno all'altro, e, purtroppo, non qual mera espressione di un suo intimo disagio, di una sua nevrosi ormai non più trattenuta.

« Midda! » esclamò, quasi grido, nello spingersi all'interno di quell'ambiente ancor prima di poterne effettivamente prendere visione, non avendo ragione per temere, dal medesimo, una qualche possibile minaccia e, anzi, temendo che una qualche sua ulteriore esitazione avrebbe potuto significare rimandare al giorno successivo il compimento, così a lungo rimandato, di quell'esperienza onirica « Midda! »

E l'immagine che, oltre quella soglia, gli venne offerta, non poté essere per lui considerata qual già nota, qual già anticipatagli, magari a opera della voce di Desmair, laddove, come solo in quel momento ebbe ragione di rendersi conto, sino ad allora il proprio compare non gli aveva mai riferito dettagli precisi sull'effettiva condizione nella quale la propria amata poteva lì star vivendo quel sequestro, quella condanna. Quasi il demone avesse dovuto mantenersi a debita distanza dal vascello, le informazioni condivise con lui sulla Mera Namile e su Midda, erano sempre rimaste estremamente generiche, non facendo, di certo, riferimento alcuno al fatto che la mercenaria dagli occhi color ghiaccio potesse essere stata addirittura appena a testa in giù, saldamente vincolata all'interno ambiente a sé circostante da forti catene metalliche, che i suoi stessi arti stavano lì costringendo in posizione radiale. Una circostanza estremamente spiacevole, resa ancor peggiore, nella propria evidenza, dal sudiciume nel quale ella era stata lì abbandonata, della quale forse il semidio non gli aveva offerto piena trasparenza per non imporgli eccessiva pena, ma che, forse e altrimenti, lo aveva visto preferire il silenzio alla piena esplicazione per motivazioni ben diverse e, paranoico forse a pensarsi, alle reali ragioni, ancor taciute, per le quali tanto impegno aveva voluto porre sino a quel momento in tale missione.
Vedendola lì sofferente in tal postura, difficile fu per lo shar'tiagho trattenere il proprio istinto, che nelle sue orecchie non si limitava a suggerire, ma addirittura gridava a squarciagola, la necessità di accorrere a lei, di salvarla da un altrimenti ingeneroso fato. Tuttavia, al di là di quanto i suoi occhi, o, meglio, quelli che credeva essere i suoi occhi, si ostinavano a mostrargli, ella era solo un sogno, un incubo, e come tale avrebbe dovuto essere trattata, fosse anche e solo al fine di riuscire ad abituarsi a quell'inevitabile dolore che non avrebbe potuto ovviare a tempo debito, in previsione di quanto sarebbe, presto o tardi, potuto avvenire, nel giorno della loro reale riunificazione. Non immediato, non ovvio e non indolore, comunque, fu per lui costringersi a simile concetto, a tale solida idea, ove il suo cuore, folle, non sembrava voler concedere spazio alcuno alla sua mente per elaborare un tale concetto e, in conseguenza a simile consapevolezza, per impedirgli di compiere un gesto sicuramente stupido, privo di significato, se non, anche, pericoloso, per seppur difficile sarebbe stato per lui immaginare una situazione di pericolo in quel contesto.
E prima ancora che la sua razionalità potesse prevalere sulle sue emozioni, la sua mente, pur consapevole della reale natura di quanto a lei circostante, potesse imporre al suo cuore il necessario silenzio, nel desiderio di potersi riservare occasione di comprendere qual fine, quale scopo avrebbe dovuto essere apprezzato al sopraggiunto termine di un tanto ossessivo sogno; gli occhi confusi della donna guerriero, fino a quel momento apparsi quasi ciechi nell'assenza di una qualunque reazione alla sua presenza, si mossero ad abbassarsi, ossia ad alzarsi, per poterlo fissare in volto e, forse, cercare con non poca difficoltà di riconoscerlo…

« … chi…?! » gemette una voce irriconoscibile, tanto quella prigionia l'aveva piegata nella propria più intima essenza, nella propria stessa natura di donna e di guerriero.
« Io, Be'Sihl, amore mio! » esclamò egli, gettando alle ortiche ogni senso di prudenza e di razionalità per spingersi a inginocchiarsi davanti a lei, ad avvicinarsi maggiormente a quel volto, per poterne meglio ascoltare la voce e per potersi far meglio identificare.
« … Be'… Be'Sihl…. » sussurrò ella, persino errando nel porre i giusti accenti sulle corrette sillabe, così come non accadeva praticamente dal momento del loro primo incontro « … Be'Sihl… Thyres sia lodata… a… asco… ascoltami, ti prego. Prima… prima che sia… troppo tardi. »
« Sì. » annuì l'uomo, pronto non solo ad ascoltarla, ma persino a morire per lei, se solo ciò sarebbe potuto servire a concederle un solo ulteriore istante di vita « Sono qui, amore. Sono qui. Parlami… »
« Gli… gli scettri. » richiese la donna, sempre con tono spezzato, qual solo sarebbe potuto essere quello di chi troppo pericolosamente vicino alla fine dei suoi giorni, qual pur, senza troppo impegno, sembrava purtroppo essere la mercenaria « Gli scettri… del faraone… devi… devi recuperarli… e distrug… distruggerli, prima che… prima che… »

mercoledì 28 dicembre 2011

1439


N
on per altruismo, quindi, né, tanto meno, per amore, il semidio aveva ricercato quell'unione. Unione alla quale, a prescindere dal proprio stesso incarico, dietro il quale aveva pur ricercato una formale scusa, la Figlia di Marr'Mahew non avrebbe mai acconsentito, non laddove sarebbe andata a distruggere la vita, il futuro e i sogni di una giovane donna alla quale, pur, aveva imparato ad affezionarsi. Per la salvezza di Nass'Hya, innanzitutto, di Fath'Ma, ancora, e infine propria, Midda si era sostituita alla sposa sotto il suo burqa nuziale, estorcendo una promessa di immunità per tutte loro ma, subito dopo, ritrovandosi costretta a celebrare per intero quell'infausto rito, in conseguenza al quale si era legata a quel demoniaco marito più di quanto non avrebbe potuto gradire essere.
Purtroppo, al di là di tutti gli sforzi da lei compiuti per la felicità di Nass'Hya, Desmair non avrebbe dovuto essere giudicato in torto nella propria critica al risultato conseguito dalla propria ultima moglie. La principessa y'shalfica, divenuta sì sposa per Brote nonché madre per un suo erede, era infatti poi rimasta tragicamente uccisa in una violenta e crudele offensiva contro di lei ordita dalla stessa Nissa Bontor, la gemella dell'esistenza della quale alcuno, persino lui, pur sì legato a Midda, aveva prima di allora avuto occasione di semplice supposizione, ove appartenente a un passato che, forse per tutelare la propria serenità, la mercenaria aveva completamente obliato nel corso degli anni, nel cercare una nuova vita lungo vie totalmente estranee a quelle proprie della sua giovinezza, all'adolescenza spesa accanto a Salge Tresand, anche e soprattutto a bordo di quella stessa goletta ora coinvolta in quella missione di vendetta e di salvezza, la Jol'Ange. E proprio nel riconoscere, ormai, qual insopportabile il troppo gravoso fardello delle morti a lei purtroppo collegate, per le quali lei avrebbe dovuto essere considerata responsabile, colpevole suo malgrado solamente di essersi affezionata a qualcuno, Midda aveva deciso di non tollerare ulteriormente l'esistenza in vita della propria gemella, stabilendo in ciò di ucciderla per poter vendicare non solo Nass'Hya, Ja'Nihr e Salge, ma anche tutti coloro che, oltre a loro, erano rimasti vittime di quell'insensata e crudele follia omicida.

« Credi davvero che Nass'Hya avrebbe goduto di un destino migliore accanto a uno sposo non desiderato? Accanto a un… un mostro tuo pari, per il quale ella non sarebbe stata altro che un mezzo, uno strumento da utilizzare e nulla più?! »
« Per lo meno sarebbe stata viva… » insistette Desmair, sovrastando il proprio interlocutore con una mole smisurata, che avrebbe dovuto seriamente preoccupare Be'Sihl se solo quell'incontro non fosse stato irreale, privo di qualunque valenza fisica.
« Meglio morire liberi, piuttosto che vivere da schiavi! » esclamò il locandiere, non lasciandosi comunque intimidire da quello spettacolo, non arretrando dalle posizioni psicologiche assunte sino a quel momento « E se tu credi che, in grazia al tuo aiuto, Midda potrà dimostrarsi animata da sentimenti diversi dall'orrida ripugnanza e dal disprezzo che ora prova al confronto con il tuo nome… beh… sappi che ti sbagli. E ti sbagli in proporzioni madornali. »

E proprio quando, in tale sviluppo, lo shar'tiagho si sarebbe potuto dire praticamente certo di un'irrimediabile esplosione d'ira da parte del proprio interlocutore, reazione in conseguenza alla quale, nel migliore dei casi, la propria coscienza sarebbe ritornata nel proprio legittimo spazio all'interno del suo corpo, o per la quale, peggio, sarebbe stato ucciso da uno o più degli spettri a lui circostanti, senza che alcuno avrebbe potuto ipotizzare di intervenire in suo aiuto, in suo soccorso; Desmair rispose a tanta provocazione, a tanta offensiva verbale, semplicemente concedendosi una grassa e sentita risata, nel gettare il capo all'indietro e nel lasciar riecheggiare la propria voce all'interno di quella sala qual trasparente messaggio di incontenibile divertimento. Un'ilarità che non durò poco, non si concesse rapida occasione per scemare, ma che, anzi, proseguì per tutto il tempo necessario al semidio per ritornare seduto sul proprio trono e lì, lentamente, quasi con difficoltà, ritrovare un minimo controllo, almeno sufficiente a permettergli di prendere nuovamente parola in risposta a un intervento tanto ameno qual era stato quell'ultimo per lui.
Un intervallo di tempo, quello così richiesto, che non concesse a Be'Sihl alcuna possibilità di ulteriore voce o, tanto meno, azione, nel costringerlo ad attendere quietamente, quasi tediato, il momento opportuno per riprendere l'argomento lì rimasto in sospeso e, soprattutto, per comprendere le ragioni di una sì violenta e irrefrenabile risata a proprio implicito discapito.

« Oh, no. No, mio piccolo e fragile amico. » rise, ancora, il Figlio di Kah, scuotendo l'enorme rosso capo ornato da bianche corna « Non sono io quello in errore, quanto, piuttosto, tu, nel ritenere verità quanto appena scandito. »
« Cosa intendi dire…?! » domandò numi il locandiere, desiderando che l'interlocutore chiarisse le proprie posizioni e sperando, in ciò, di spingerlo a definirle in maniera univoca e non più ambigua qual pur erano rimaste sino ad allora « In cosa io starei sbagliando? »
« Erri… » ridacchiò « Erri nel pensare che a me, Desmair, progenie del dio Kah e della regina Anmel, possa esservi qualche pur vago interesse nei riguardi del giudizio di una mortale come altre qual, dopotutto, sempre è stata, e sempre resterà, la mia fedifraga sposa. » sancì, sorridendo divertito « Lo ammetto: è una donna speciale, dotata di un corpo indubbiamente accattivante, e di uno spirito ammaliante, capace di spingersi a tradurre in realtà quanto, per molti, non riuscirebbe neppure a essere fantasia. » proseguì, osservando Be'Sihl senza rancore alcuno per quanto da lui prima imputatogli « Ciò nonostante, nulla di quanto lei potrebbe offrirmi rientra nei miei desideri, nelle mie necessità, e, in questo, per quanto indegnamente divenuta mia moglie, di cosa ella possa pensare di me non vi può essere alcuna importanza, alcun interesse da parte mia. »
« E allora per quale assurda ragione stai impegnandoti tanto nella sua salvezza? Per quale ragione mi hai guidato e, addirittura, protetto sino a oggi, lasciandomi incontrare l'equipaggio della Jol'Ange affinché assieme a loro potessi raggiungerla e salvarla? » incalzò, tutt'altro che soddisfatto da quella risposta.

Un'eventualità, un'eventualità tutt'altro che remota e che, anzi, sin dal primo giorno non aveva mancato di rimbalzare nella testa dell'uomo, mantenendosi, ciò nonostante, da lui non ascoltata, era stata quella per la quale, in effetti, interesse di Desmair potesse essere, inizialmente, la sua morte e, più tardi, anche quella di tutti gli uomini e le donne della Jol'Ange, in una strage che, tuttavia, se pur avrebbe ferito in maniera profonda la Figlia di Marr'Mahew, al tempo stesso l'avrebbe anche scatenata contro di lui animata da tale spirito di vendetta che difficilmente, malgrado la propria apparente immortalità e invincibilità, avrebbe avuto una qualche possibilità di scampo. Forte di tale consapevolezza, e folle per il timore di perdere la propria amata, Be'Sihl non aveva voluto prestare interesse a una simile eventualità, a un tale, e pur non impossibile, risvolto qual reale scopo di un piano in tal caso anche sin troppo inutilmente complesso, ove, per avere le loro vite, al semidio non sarebbe occorsa tanta fatica, tanto sforzo qual pur avrebbe dovuto essere riconosciuto quello da lui sinora speso in loro apparente collaborazione.
Ragione per la quale, comunque, la domanda non sarebbe potuta che essere sempre la stessa, inalterata nella propria formulazione e, purtroppo, rimasta ancora prima vi risposta: perché?

« La verità che cerchi altra non è che la stessa che già anima le tue azioni sin dal giorno in cui hai lasciato la tranquillità della tua locanda per incamminarti in questo lungo e difficile viaggio insieme a me, mio caro Be'Sihl Ahvn-Qa. » espresse egli, a voler, forse, accontentare il proprio interlocutore, per quanto non in maniera diretta, in termini espliciti e finalmente privi di possibilità di dubbio sulle sue intenzioni, in merito alle sue ragioni « Perché hai accettato questa alleanza, questa tregua fra noi, ove pur tanto difficile e innaturale è per te fidarti di chi, ai tuoi occhi, appare solo quale un orrendo mostro? » lo interrogò, sorridendogli con serenità, con il volto ancora illuminato dagli effetti dell'ilarità appena vissuta « Per quale assurda ragione, nel momento in cui mi hai saputo qual schierato in contrasto a Nissa Bontor, non hai esitato ad accettare la mia presenza al tuo fianco e, ancor più, a seguire le mie istruzioni, la mia guida, sebbene io abbia già tentato di ucciderti e, peggio ancora, abbia causato la morte di due tuoi parenti poco più di un anno fa? »

martedì 27 dicembre 2011

1438


« P
robabilmente tutto questo starà compromettendo la mia capacità di intendere e di volere, lasciandomi impazzire… eppure credo di star iniziando ad abituarmi a questi nostri incontri clandestini. » si concesse possibilità di premettere, quando comprese che Desmair stava per liquidarlo, dopo averlo aggiornato nel merito delle correzioni di rotta che la Jol'Ange avrebbe dovuto prendere al fine di non smarrire la giusta via « Purtroppo, per quanto mi renda conto che è un'idiozia pensare di arrivare a fidarsi di una creatura oscena e abietta qual tu sei, potrei anche finire per accettare il tuo positivo contributo a tutto questo… se solo tu me ne offrissi una valida ragione, qual, prima fra tutte, spiegarmi il motivo per il quale hai improvvisamente deciso di schierarti dalla parte di Midda, dopo tutto quello che in passato è occorso. »
« Creatura oscena e abietta?! » ripeté il semidio, arricciando l'estremità mancina delle proprie labbra, in una smorfia sarcastica e divertita per la descrizione così rivoltagli « Una definizione che oserei dire quanto meno discutibile. » obiettò, ancora esprimendosi, in verità, non qual animato da un qualche rancore per quell'offensiva verbale, quanto, piuttosto, da una genuina ilarità, nel non avere alcuna trasparente motivazione per poter riconoscere peso alcuno all'opinione personale del proprio interlocutore.
« Innanzitutto, per quanto riguarda l'oscenità, dovresti incontrare mio padre prima di parlare… e poi, magari, comprenderesti che sarei potuto apparir ancor peggiore al tuo tanto pregiudizievole sguardo… » argomentò con incedere tranquillo, sereno, offrendo riferimento esplicito alla figura del dio Kah, un dio minore di un empio culto passato, ormai pressoché dimenticato, e pur suo genitore, almeno secondo quant'egli stesso andava proclamando e quanto era stato comunicato a Midda e alle sue compagne nel periodo di prigionia nella sua fortezza dalle sue stesse spettrali servitrici.

Un riferimento, quello da lui così proposto, che tuttavia e comunque Be'Sihl non avrebbe potuto cogliere pienamente e apprezzare nei propri sottintesi, dal momento in cui, a differenza della propria amata, mai si era trovato a confronto con una qualche raffigurazione del medesimo Kah, se pur, intuibile in quelle parole, qual tutt'altro che attraente, non migliore, anzi peggiore, ove possibile, rispetto alla propria semidivina progenie, generata, sempre nella leggenda, dal ventre della celebre regina Anmel.
Il dio Kah, incarnazione degli istinti primordiali, in effetti, nelle incisioni, nelle raffigurazioni e nelle statue a lui dedicate, non avrebbe potuto offrire vanto di un particolare fascino e, anzi, particolarmente difficile sarebbe stato apprezzare in virtù di quale insana pazzia una figura tanto controversa qual quella di colei che, al tempo stesso, era ricordata qual Portatrice di Luce e Oscura Mietitrice, potesse aver deciso di unirsi carnalmente a un tale essere per dare alla luce un figlio necessariamente mostruoso, oltre che, ovviamente, semidivino e, in ciò, apparentemente immortale e invincibile, oltre che estremamente potente. Tale divinità era sempre stata palesata agli sguardi dei suoi fedeli, e non, quale una figura di aspetto umanoide, caratterizzato da un corpo scarlatto completamente nudo, nella sola eccezione dei lombi cinti da un corto perizoma utile a celarne le vergogne, e da una struttura fisica assolutamente disarmonica, nel porre risalto due enormi arti superiori, smisurati rispetto al busto e al resto del suo corpo, al quale sembravano essere stati uniti più per errore che per una effettiva utilità. Accanto a ciò, come se tale primo e più evidente tratto non potesse essere accettato qual sufficiente a distinguerlo da qualsiasi altro dio del proprio pantheon, Kah avrebbe potuto far sfoggio di un capo ovviamente minuscolo nel confronto con le proprie braccia, con, ciò nonostante, un volto e delle proporzioni interne praticamente assimilabili a quelle di un qualunque uomo, nell'unica eccezione rappresentata da una sorta di corona di corna posta a circondarne l'intera nuca priva di capelli, corona che, in effetti, non avrebbe dovuto essere considerata qual estranea alla sua stessa fisiologia, quanto, piuttosto, parte integrante della medesima, corna a lui appartenenti non diversamente dalle due più imponenti proprie del suo semidivino retaggio.

« Poi, per quanto riguarda un mio eventuale essere abietto, ti consiglio di riflettere sull'unica, vera responsabile di quanto sta oggi qui accadendo, nonché della mia stessa presenza nella tua effimera e inutile esistenza, per quanto indegno di tanto onore… » proseguì, approfittando dell'apparentemente quieta propensione all'ascolto che, finalmente, stava caratterizzato lo shar'tiagho « O ti sei già dimenticato come la tua tanto cara amante, nonché mia sposa, si sia conquistata con l'inganno il privilegio di essere mia moglie, approfittando di un mio, evidente, momento di ingenuità? Di una mia sottovalutazione nel merito delle sue possibilità non tanto in mio contrasto, dal momento in cui nulla di ciò che potrebbe mai pensare di fare potrebbe danneggiarmi, quanto più, e peggio, in contrasto ai miei progetti? »
« Tu le avevi catturate. Tu le avevi praticamente condannate a morte! » protestò, ora, Be'Sihl, non potendo restare in silenzio a troppa arroganza espressa a discapito della propria amata « Midda ha fatto quanto sperava sarebbe stato utile a salvare la vita a tutte loro… e così è stato! »
« Io le avevo catturate? » ripeté Desmair, aggrottando la fronte con aria sorpresa ancor prima che divertita, quasi il proprio interlocutore gli avesse appena annunciato che la terra era solita disporsi sopra il cielo e non viceversa « Oh no. No mio caro Be'Sihl. O Be'S, come preferisci farti chiamare ora. » sorrise il semidio, non mancando di sottolineare come, ovviamente, non avesse smesso di mantenere sotto controllo ogni istante della sua vita, anche a bordo della Jol'Ange « Sei assolutamente fuori strada: io non ho catturato nessuno. Sono state la mia cara mogliettina e le sue due amiche ha invadere il mio territorio, a penetrare nella mia abitazione senza alcun permesso, violando delle porte che mai avrebbero dovuto dischiudere. E, ancora, sono state loro a spingersi sino al mio quadro e a interrompere la monotona tranquillità di un mio banchetto. O, forse, Midda a omesso alcun particolari molto importanti nell'offrirti resoconto di quanto accaduto?! »
« E anche se fosse?! » replicò, ancora, il locandiere, non volendo accettare quell'ascesa al ruolo di vittima da parte del proprio interlocutore, nel merito dei quale, allora più che mai, si impegnò a rimembrare le ragioni per le quali mai avrebbe potuto realmente concedergli fiducia, al di là delle parole pocanzi scandite « Nulla toglie al fatto che tu, successivamente, le abbia imprigionate. E le abbia minacciate di morte se solo non si fossero piegate ai tuoi voleri… »
« E' stata Midda a cercare, per prima, la mia morte. E' stata la tua ipoteticamente innocente vittima a scagliarsi in mio contrasto, infliggendomi ferite che sarebbero state letali per qualunque creatura mortale, qual fortunatamente io non sono. » negò il mostro, cercando di imporre la propria versione dei fatti, di quanto occorso, quasi fosse or diventata una questione d'onore, emotivamente sì coinvolgente al punto tale da vederlo levarsi in piedi, sollevandosi da quel consueto trono sul quale si era abituato a concedere udienza allo shar'tiagho « Se conosci la storia, per così come è realmente andata, rifletti prima di parlare. » lo invitò, piegando le labbra verso il basso, in un gesto di evidente condanna « Il mio solo desiderio era quello di offrire a Nass'Hya l'occasione di ascendere al ruolo di regina che le sarebbe spettato, regnando al mio fianco quale signora di tutto il vostro mondo sino all'ultimo dei suoi giorni. L'avrei protetta da ogni male e chiunque, vivo o morto, si sarebbe dovuto prostrare ai suoi piedi. E di lei, ora, cosa resta? Dimmi a quale meraviglioso fato l'ha consegnata Midda, nel momento in cui ingannandomi si è sostituita a lei nel ruolo di mia sposa! »

Be'Sihl conosceva la realtà dei fatti e mai, mai avrebbe potuto riservarsi dubbi su quanto compiuto dalla propria amata per il bene di coloro elette a proprie protette, per quanto questo avrebbe potuto significare, e alla fine aveva effettivamente significato, un danno a proprio discapito, qual solo avrebbe dovuto essere considerato quello derivante da quel indesiderabile, e indesiderato, matrimonio.
Be'Sihl conosceva la realtà dei fatti e, in essi, di come, per ripagare un debito contratto con il proprio mecenate, Midda aveva rischiato la vita infiltrandosi sotto mentite spoglie entro i limiti del nemico regno di Y'Shalf, con l'incarico inizialmente di rapire, poi, scoperta la sua condiscendenza, semplicemente di scortare una certa principessa lì natia sino al regno di Kofreya, e alla città di Kriarya, per concedersi in sposa al proprio stesso committente, lord Brote. Purtroppo, nel mentre del viaggio verso Kofreya, attraversando i monti Rou'Farth, Midda, Nass'Hya Al-Sehliot, quella principessa, e Fath'Ma, una serva loro compagna di viaggio, erano incappate in una fortezza volontariamente dimenticata dal mondo intero e, lì cercando un'insperata rifugio, riparo dalle intemperie della notte a una sì elevata altitudine, avevano fatto sgradevole conoscenza con il loro involontario anfitrione. E Desmair, che pur avrebbe potuto semplicemente ucciderle tutte senza rimorso alcuno, nel ritrovare proprio nella stessa Nass'Hya un sino allora inesplorato potenziale negromantico, aveva imposto la possibilità di un loro matrimonio, nozze a seguito delle quali un non meglio chiarito, e pur sicuramente non positivo per l'umanità intera, tornaconto gli sarebbe stato proprio.

lunedì 26 dicembre 2011

1437


« … m
orire prima di lei? » concluse la donna, in un interrogativo più retorico che concreto.
« Sì… » annuì, chinando ora egli lo sguardo verso il suolo, quasi gli occhi si fossero fatti troppo pesanti per riuscire a mantenerli sollevati « E' così… »
« Bene. » sorrise ella, non priva di inalterata amarezza « Ora puoi asserire di comprendere, almeno in parte, il mio dolore, la mia angoscia, il mio patimento… »

E Be'Sihl si guardò bene dall'affermarlo, ove, realmente compreso, almeno in parte, quel dolore, quell'angoscia, quel patimento, non si sentì più in diritto di poter aggiungere una sola, singola e ulteriore parola di conforto verso quell'interlocutrice, accanto alla quale, per un lungo istante, restò in semplice, e pur mai ovvio, silenzio, riflettendo su tutto e su nulla, disorientato da quell'inattesa evoluzione di un discorso che pur, nella propria mente, aveva provato più volte, e che pur, in alcuna occasione, aveva previsto una simile conclusione. Sciocco, anzi e addirittura, egli non poté fare a meno che sentirsi per l'infantile enfasi con la quale si era riservato opportunità di affrontare quell'argomento, con un entusiasmo ingiustificato, con un allarmismo privo di concrete ragioni e, ancor più, pretendendo da parte della donna lì offertasi a lui attenta un maggiore coinvolgimento, una più emotiva reazione, quasi fosse sufficiente, per loro, desiderare di raggiungere la Mera Namile per poterci riuscire: un'illusione ridicola, soprattutto considerando come, se ciò fosse potuto realmente avvenire, non solo egli, ma l'intero equipaggio della Jol'Ange si sarebbe catapultato repentinamente in aperta offensiva di quel vascello e della sua sovrana, sospinti, in tal senso, non solamente dal pur apprezzabile desiderio di riscatto per Midda, quanto, e maggiormente, dalla volontà di vendetta per Salge Tresand e per Ja'Nihr, vittime innocenti di un giuoco a loro sconosciuto.
Quando il silenzio del locandiere, tuttavia, iniziò a pesare in maniera spiacevole sul cassero, e sul clima lì presente, Berah volle invocar qual propria l'occasione di smuovere un poco le acque lì ormai ristagnanti, nel ricercare, da parte dell'interlocutore, na qualche ripresa, una riscossa dal torpore psicologico che sembrava essersi impadronito di lui a seguito delle ultime parole…

« Be'S… manca ancora un po' al tuo turno. » volle ricordargli, con un sorriso sereno e sincero « I casi sono due: o te ne torni a dormire, o ti metti a lavorare. » soggiunse, non ammettendo alternative a quella duplice possibilità, a quel dilemma così come imposto da una tale definizione « Le regole, dopotutto, ormai le dovresti conoscere… »
« … niente ozio a bordo di una nave. » annuì egli, ritrovando voce e dando riprova, in tali parole, di aver ben compreso il messaggio rivoltogli « Dopotutto, la vostra, non è poi diversa dalla vita in una locanda… puoi credermi! » soggiunse, con tono giocoso, per quanto sostanzialmente seria fosse quell'affermazione « Solo che, invece di scrostare lo scafo di una nave dalla salsedine, i miei garzoni si devono impegnare a grattare i fondi delle pentole dagli avanzi di cibo. » sorrise sornione.
« Ci stai forse rimproverando di averti degradato?! » domandò la donna, piegando appena il capo di lato, osservandolo ora divertita dal suo tono e dal suo paragone.
« Oh, no… assolutamente. » levò le mani, a dimostrare la propria immediata resa di fronte a qualsiasi ipotesi di conflitto con lei « Al più posso considerarla una lezione d'umiltà… »

Una lezione di umiltà, come da lui pur descritta, della quale alcuno avrebbe comunque potuto addurgliene necessità, ove, così come chiunque a bordo della Jol'Ange poté avere opportunità di rilevare e apprezzare sin dal primo giorno di quella loro imprevedibile collaborazione, del suo pur temporaneo inserimento nell'organico di quell'equipaggio, difficile sarebbe stato riuscire a individuare, al mondo, una persona meno orgogliosa, altezzosa o egocentrica rispetto a quello shar'tiagho, troppo spesso, anzi, sì modesto nel giudizio sulle proprie stesse azioni da apparire surreale, quasi tale umiltà avesse da essere intesa qual un tentativo volto a canzonare i propri interlocutori. Tentativo, tuttavia, a lui del tutto estraneo, ove, da parte sua, ogni espressione in tal senso si poneva assolutamente sincera, in una caratteristica più unica che rara, quasi in contrasto con quanto avrebbe altresì dovuto essere riconosciuto il consueto comportamento umano: caratteristica che, fra le altre cose, doveva probabilmente avergli permesso di riuscire ad affascinare persino una donna dello stampo di Midda Bontor, al punto tale da indurla a ricercare una relazione, e una relazione sentimentale, con un uomo quanto meno a lei completamente antitetico per carattere e stile di vita, come, obiettivamente, le rispettive quotidianità non avrebbero potuto nascondere in alcun modo.
Conclusa con quelle parole l'occasione di confronto con Berah da lui desiderata, il buon locandiere non tradì i propositi implicitamente formulati e, in ciò, non mancò di porre tutto il proprio impegno nei propri compiti da mozzo a bordo della Jol'Ange, trascurando di offrire nuovo accenno a quanto da lui ufficialmente sognato non solo in quella stessa giornata per lui appena incominciata, ma anche nei giorni successivi, nella sola eccezione di quando, a tal riguardo, si ritrovò a essere direttamente interrogato, così come non mancò di avvenire a opera di Camne, di Masva e anche di Av'Fahr, se pur in momenti separati e in modalità differenti, ognuno di loro animato da una diversa emozione, da un diverso sentimento a tal riguardo, chi per sincera preoccupazione per la sorte di Midda, chi, ancora, per semplice curiosità nel merito di quanto occorsogli, e, in tal senso, probabilmente più interessati alla sua stessa salute che a quella della prigioniera per la libertà della quale tutti loro si stavano pur impegnando. Fatta eccezione per simili occasioni, comunque, da parte dello shar'tiagho il confronto con la seconda maggiore autorità in comando a bordo della goletta si era dimostrato più che sufficiente a negare qualsiasi ulteriore bramosia di dialogo, di discussione attorno a simile argomento, tanto con Noal, quanto con altri, ove, come già emerso, la sola, evidente possibilità di azione che sarebbe stata loro riservata, nella confermata prigionia della Figlia di Marr'Mahew, sarebbe stata quella di proseguire nella loro navigazione così come avevano compiuto sino a quel giorno, con il medesimo impegno, già massimale nel confronto con le loro umane e limitate possibilità.
E in tal direzione, in effetti, non mancò di muoversi la Jol'Ange con tutto il proprio equipaggio, dedicandosi senza concedersi requie o distrazione alcuna a quell'inseguimento e, così facendo, necessariamente recuperando terreno nei riguardi della Mera Namile.

Più snella, più leggera, più piccola, più agile e, in tutto ciò, sicuramente più veloce, in effetti, avrebbe dovuto essere riconosciuta la goletta originariamente appartenuta al capitano Salge Tresand nel confronto con un più ingombrante, pesante, grosso, impacciato e, indubbiamente, lento vascello, quale quello che la regina di Rogautt aveva scelto qual propria nave ammiraglia. Ragione per la quale, nonostante diverse settimane di indubbio vantaggio proprie di quest'ultima, da parte di Desmair, unica possibile fonte di informazioni sempre aggiornate all'attenzione di Be'Sihl, positivi riscontri non mancarono di essere puntualmente offerti da parte sua al proprio umano interlocutore e collaboratore.
Una complicità, quella così inevitabilmente instauratasi fra i due, che, giorno dopo giorno, settimana dopo settimana, non avrebbe potuto evitare, seppur involontariamente da parte di entrambi, di definirsi nella forma di un rapporto sempre più stretto, più vincolante, nel porre paradossalmente due avversari, che mai avrebbero potuto dimostrare simpatia o affetto l'uno nei riguardi dell'altro, augurandosi, altresì, solo una rapida e impietosa morte, quali intimi alleati, lì consociati per un fine comune, per un obiettivo condiviso, qual quello della salvezza di Midda Bontor, moglie dell'uno e amante dell'altro. Un obiettivo, in verità, a riguardo del quale da parte del semidio non era stato ancora offerto il benché minimo ragguaglio, la benché minima spiegazione, utile a definire il perché di un sì repentino cambio di politica nei riguardi della medesima donna, a sua volta da scomoda e indesiderata sposa della quale liberarsi quanto prima, se pur impossibilitato ad agire in maniera diretta e aperta in suo contrasto in conseguenza di un inviolabile giuramento a tal riguardo, a risorsa di fondamentale importanza, da tutelare e proteggere a ogni costo, qual allora sembrava essere paradossalmente diventata.
Una situazione quanto meno ambigua, la loro, nel merito della quale, nel corso di un ennesimo confronto su quell'astratto piano d'incontro fra loro, Be'Sihl non volle ovviare a esprimere i propri dubbi, le proprie perplessità, pur non volendo rinnegare l'indubbio profitto per sé derivante da tutto ciò…

domenica 25 dicembre 2011

1436


U
na frase potenzialmente ambigua, quella appena scandita dalla donna, che pur non si impose, né si sarebbe mai potuta imporre, qual tale, dal momento in cui entrambi gli interlocutori di quel dialogo non avrebbero mai potuto equivocare il reale significato di quell'espressione, non rivolta a sottintendere una qualche relazione fra le parti in causa, quanto, e piuttosto, le rispettive relazioni l'una con il defunto capitano della goletta, l'altro con colei a cui tutti speravano di negare una qualche possibilità di ricongiungimento con il proprio perduto amico d'infanzia, nonché ex-amante.
Forte di tale consapevolezza, di simile impossibilità di fraintendimento per le parole da lei così pronunciate, Be'Sihl non poté ovviare a spendere un pensiero in direzione del fu Salge Tresand e, in ciò, del dolore inevitabilmente proprio per la stessa Berah, così apparentemente forte, energica, salda nei propri propositi e nelle proprie posizioni. Se, infatti, trascorso pressoché un lustro dagli eventi che avevano condotto alla prematura dipartita di Ja'Nihr e dello stesso Salge, qualcuno avrebbe potuto facilmente ipotizzare, da parte dell'equipaggio della Jol'Ange, il completo superamento di tale lutto, in un mondo sì frenetico, e impietoso nelle proprie evoluzioni, da lasciar apparire un simile arco di tempo più prossimo a quello di una vita intera, di un secolo o anche più; Be'Sihl era pur certo di come non cinque anni, non quindici e neppure cinquanta sarebbero stati sufficienti a ognuno di loro per scordare la violenta e prematura fine di due compagni tanto amati, di due amici, due parenti, fratello e sorella, per tutti a bordo di quella goletta, non di meno, certamente, coloro che agli stessi più avrebbero potuto legittimamente definirsi legati, quali Av'Fahr e la stessa Berah. Dopotutto, anch'egli, se solo avesse perduto Midda, se solo non fosse riuscito a giungere in tempo per salvarla, seppur ancora incerto su come poter concretizzare tale proposito, non si sarebbe potuto perdonare per il proprio fallimento, non si sarebbe potuto concedere requie per il proprio insuccesso, piangendo, nel proprio cuore, la perdita della propria amata non solamente nei giorni e nei mesi successivi alla sua scomparsa, ma anche, e addirittura, negli anni a venire.

« Pensi a lui ancora di sovente, non è forse vero? » domandò dopo un prolungato momento di silenzio, riprendendo parola ora con tono quasi timido, discreto nel proprio incedere, non desiderando potersi imporre qual ragione d'offesa a suo discapito.
« No. Non sovente. » negò ella, rabbuiandosi in volto a quell'interrogativo tanto diretto, nell'abbandonare il contatto con la sua spalla e nel riportare la propria mano a fondersi con il legno del timone, in una tonalità quasi equivalente fra il colore della sua pelle e quello proprio di tale lucido e importante strumento di navigazione « Sempre. » corresse, sforzandosi di sorridere, seppur in tal senso carica di amarezza.
« Io… non credo di poter immaginare il tuo dolore. » espresse egli, cercando di dimostrarsi il più solidale possibile con lei, non per semplice formalismo, quanto, e piuttosto, perché realmente triste per quella sua perdita, persino in misura maggiore di quanto, probabilmente, non avrebbe potuto definire razionalmente.
« E tu auguro di non poterci mai riuscire… » scosse il capo, risollevando lo sguardo, per un istante precipitato verso il suolo, in direzione del proprio interlocutore « E' facile scendere a patti con la morte quand'ella colpisce dei perfetti estranei, semplici nomi privi di volto, o addirittura numeri privi di nome in qualche conteggio a noi lontano. » commentò, apparendo, in tale asserzione, incredibilmente più vittima degli anni rispetto a quanto la sua ancor sufficientemente giovane età non le avrebbe concesso ragione di essere « Meno immediato, invece, è accettarla quando giunge impietosa accanto a noi, risparmiandoci non per un qualche sentimento di grazia, quanto, e piuttosto, per costringerci a domandarci, per il resto della nostra vita: "Perché non io?!" »

Da troppi anni residente nella città del peccato, da troppi anni posto a confronto con la violenza propria dell'intero regno di Kofreya, così come delle nazioni a esso confinanti, e lì, in Kriarya, espresse senza ipocrisie di sorta, senza celare l'evidenza dei fatti dietro assurde e inconsistenti maschere, rifiutandosi di definire la realtà con il proprio legittimo nome; Be'Sihl, probabilmente, si era assuefatto alla morte in termini che, nella sua natia Shar'Tiagh o in altre parti del mondo, non sarebbero stati considerati sì normali, consueti, qual quelli a cui, per propria libera scelta, egli aveva accettato nella propria quotidianità.
In conseguenza a tale, particolare e acquisita visione del mondo, l'idea di un assassinio, volontario o no, premeditato o no, per vedetta o per denaro, non avrebbe dovuto essere riconosciuta qual nulla di straordinario, qual nulla di estraneo al comune incedere del Creato sin dal giorno stesso del proprio concepimento, non più innaturale di quanto, per lo meno, non sarebbe stata l'uccisione di una preda durante una battuta di caccia o di un capo di bestiame nel momento in cui le sue carni fossero state richieste: in Kriarya, dopotutto, la media quotidiana di morti ammazzati si poneva sufficiente a giustificare la presenza di un'enorme pira funebre perennemente accesa, una montagna ardente, ricavata all'interno di un avvallamento poco distante le mura della stessa capitale, in cima alla quale, quotidianamente, venivano riversati tutti i cadaveri accumulatisi nelle strade, al duplice scopo di ovviare al fetore derivante dalla putrefazione di sì tanti corpi e, ancora, di prevenire un loro eventuale ritorno quali non morti, piaga già, malgrado ogni impegno in tal senso, troppo spesso accusata in quel particolare angolo di mondo.
Malgrado tutto ciò, al di là di ogni possibile abitudine alla morte egli potesse aver sviluppato, le parole così malinconicamente pronunciate dalla donna sua interlocutrice non avrebbero potuto ovviare a far breccia nel suo cuore così come in quello di qualcuno più refrattario di lui a un certo genere di emozioni, colpendolo profondamente e non ovviando a far risuonare nella sua mente quella stessa fatidica domanda: "Perché non io?!". Egli, pur non privo di qualunque preparazione al combattimento, di qualunque formazione alla lotta, qual sola gli era risultata indispensabile per riuscire ad attraversare, indenne, l'intero continente di Qahr, da nord a sud, da est a ovest, nell'emigrare da Shar'Tiagh sino a Kofreya, mai avrebbe potuto ipotizzare di competere con un guerriero esperto la decima parte di quanto non fosse Midda Bontor e, tuttavia, era riuscito a sopravvivere a un suo attacco, a una sua dichiarata offensiva, nel momento in cui l'osceno giuoco nel quale Desmair, tempo addietro, l'aveva coinvolto, l'aveva posto, senza colpa alcuna, qual avversario della propria amata, bersaglio per i movimenti della sua terribile lama dagli azzurri riflessi. E ora, nel mentre in cui egli ancora godeva di quel dono negato a una netta maggioranza di suoi predecessori al fianco della Figlia di Marr'Mahew, nonché della quasi totalità di coloro che ella era giunta a considerare propri nemici, l'esistenza della stessa mercenaria era stata violentemente posta in dubbio, promettendogli l'orrore di quell'angoscia or presente sull'animo di Berah, quel sentimento di inadeguatezza a una condizione che, tutto sommato, non gli sarebbe dovuta essere propria.

« Quanto è accaduto non è colpa tua… » sussurrò egli, cercando di offrire, in ciò, una stolida occasione di conforto alla propria interlocutrice, ricorrendo, suo malgrado, a parole forse eccessivamente inflazionate in un contesto qual quello delineato dal loro stesso dialogo.
« Saresti in grado di dirlo per te stesso? » replicò ella, con amarezza, non nella volontà di aggredirlo verbalmente, ove la rabbia incontrollata, attorno a tale morte, era stata già superata da tempo, quanto in quella di spingerlo a riflettere sulla vacuità di quell'ultimo intervento, suo malgrado privo di qualunque speranza di essere apprezzato qual vero, qual concreto, qual valevole « Non voglio pensare che possa accadere… ma se Midda non dovesse farcela, saresti realmente in grado di consolarti con un tale pensiero? Difendendoti nell'asserire com… »
« No. » negò il locandiere, non permettendole neppure di concludere la propria questione, nel non avere, purtroppo, dubbio alcuno nel merito dell'unica replica possibile a un tale quesito « No. Non riuscirei. »
« Perché?! » insistette Berah, spronandolo a spiegarsi meglio, ad approfondire la questione.
« Perché mi tormenterei convincendomi di non aver fatto abbastanza per impedire quanto è accaduto, di non aver insistito abbastanza per evitare che ella potesse organizzare uno stupido piano volto a confrontarsi con la propria gemella. » argomentò Be'Sihl, avvertendo il proprio cuore colmarsi di angoscia a tale ipotesi « O, anche, mi rimprovererei di non averla seguita, di non esserle stato accanto nel momento in cui tutto è avvenuto, anche ove questo avrebbe potuto significare… »

sabato 24 dicembre 2011

1435


« N
on riesci a dormire, Be'S?! » lo apostrofò ella, vedendolo sopraggiungere e ben sapendo come quello sarebbe dovuto essere il suo turno di riposo, nella formulazione di quella domanda abbreviando il suo nome così come si era concessa già occasione di abituarsi a compiere, non nella volontà di mancargli di rispetto, quanto, e piuttosto, di riconoscergli una posizione di maggiore familiarità nella propria vita e, soprattutto, nella propria famiglia, nell'equipaggio della Jol'Ange « Ancora i soliti incubi? » si informò, avendo già avuto occasione passata, così come chiunque altro a bordo della goletta, di confrontarsi con lui nel merito della sua inquietante e ricorrente esperienza onirica notturna, quella che spesso lo portava a svegliarsi gridando il nome della propria amata.
« No. Anche se, probabilmente, sarebbe stato meglio fosse effettivamente così… » nego egli, storcendo le labbra verso il basso con incedere di sincera disapprovazione per se stesso e per la propria apparente incapacità a un sereno riposo, sebbene conscio come, in quella particolare occasione, responsabile per l'interruzione del suo sonno non fosse stato realmente un incubo, quanto, piuttosto, un'esperienza di natura ben diversa « Credo… sono certo, in effetti… di avere avuto un altro sogno. Un altro come quello che già mi ha condotto a voi. » suggerì, a introdurre in maniera quieta l'argomento in questione, pur non potendo, ovviamente, negare l'evidenza dell'ansia per lui derivante da tutto ciò.
« Uhm… » si limitò a commentare la donna, in quel momento sostanzialmente ricoprente il ruolo di capitano in conseguenza all'assenza, dal ponte, di Noal « Parlamene. » lo invitò poi, senza lasciar trasparire, in simile esortazione, particolare frenesia per l'annuncio rivoltole, né, al tempo stesso, particolare disinteresse verso il medesimo, saggiamente rifiutando di prendere una qualunque posizione a tal riguardo sino al momento in cui non fosse stata chiarita l'effettiva portata di simili nuove, ove realmente si fossero dimostrate tali.

Avendo ampiamente previsto tale reazione, tanto da parte di Berah, così come da quella di Noal, entrambi, sino a quel giorno, dimostratisi quali estremamente pragmatici nelle proprie valutazioni, nelle proprie espressioni; Be'Sihl non si volle concedere occasione di scoramento, non considerando quella scelta, nella propria interlocutrice, qual necessario segnale di preventiva condanna verso qualunque argomento le avrebbe saputo sottoporre, quanto, piuttosto, di semplice e legittima ricerca dei fatti ancor prima della formulazione di qualunque sentenza, positiva o negativa che essa potesse essere. In tal senso, in grazia a tale decisione volta all'acquisizione di tutti gli elementi utili prima di qualunque elaborazione attorno a tali dati, al contrario, Berah risultò agli occhi incredibilmente simile alla propria amata Midda, al punto da negare qualunque ragione di sorpresa nel confronto con il pensiero di come Salge Tresand, in tempi passati, potesse aver ricercato in lei una nuova compagna dopo l'abbandono della propria originale amica e complice: fra le due donne, in verità, salvo indubbie differenze fisiche, non molte sarebbero potute essere riconosciute le differenze caratteriali… non, per lo meno, a un primo contatto, a un primo superficiale rapporto, in conseguenza al quale, ove anche eventuali anomalie fossero state riscontrate, difficilmente sarebbero potute essere tanto disapprovate da spingere un qualunque maschio adulto disimpegnato, già infatuato di Midda, a rifiutare l'idea di una relazione duratura con Berah.
Condizione quella così dichiarata, maschio adulto disimpegnato, che per sua fortuna non lo avrebbe potuto allora coinvolgere, ove ogni suo pensiero, ogni suo interesse, ogni sua fantasia erano rivolte verso un'unica, esplicita direzione, dalla quale non avrebbero avuto né volontà, né ragioni per distogliersi.

« Forse anche Noal potrebbe essere interessato a sentire quanto ho da dire… » suggerì, prima di riprendere il discorso, a non voler escludere dal proprio annuncio colui che, in fondo, per primo si era espresso a favore della possibilità di una collaborazione fra loro.
« Noal in questo momento è con Hui-Wen… e credo che tu possa ben immaginare come preferisca non essere disturbato. » sorrise con fare malizioso l'altra, non facendo mistero nel merito di quell'intima relazione fra il capitano e uno dei loro ultimi acquisti, verità dopotutto, più che nota a bordo della Jol'Ange e gestita con non minor rispetto di quella che, un tempo, era stata la relazione fra lei stessa e Salge « Inizia a parlarne con me e, poi, vedremo se sarà il caso di coinvolgerlo. » gli suggerì, confermando, ancora, quella caratteristica predisposizione d'animo già sottolineata pocanzi.
« Midda… Midda ha tentato la fuga dalla nave di Nissa… dalla Mera Namile, per quanto ella ne ignori ancora il nome. » annunciò pertanto, definendo finalmente le ragioni proprie dell'urgenza di quel confronto verbale, per così come da lui ricercato « Era drogata, e resa debole da un prolungato digiuno. Ciò nonostante è riuscita a liberarsi, a uccidere diversi pirati, e a gettarsi in mare, nella speranza di potersi allontanare da quella dannata galera. » elencò, non riassumendo, in effetti, le informazioni in suo possesso ma riportandole nella loro integrità, ove Desmair, come di consueto, non si era sforzato nel concedergli dettaglio alcuno.
« Ammesso che sia vera, questa è una buona notizia… » sorrise Berah, ancora mantenendosi quieta nel dialogo con lui, non distogliendo la propria attenzione, nel contempo, dal mantenimento della rotta, nel confronto con un mare, in quella particolare giornata, lievemente agitato « Questo, infatti, significherebbe non solo che ella è ancora in vita, ma che non è ancora arrivata a destinazione e, soprattutto, che non è ancora stata completamente piegata, malgrado tutto ciò che possono averle fatto. » esplicitò, forse a voler, in tal modo, non solamente offrire chiarificazione sulle proprie ultime parole ma, ancor più, concedere al proprio interlocutore una ragione di speranza, di positività, quanto mai necessaria per lui in quel momento.
« Sì… è vero. » annuì Be'Sihl, costretto in quelle parole a doversi ricordare come, in effetti, agli occhi dei propri compagni di viaggio egli non avrebbe dovuto avere quelle garanzie che, altresì, Desmair non gli aveva mai rifiutato a ogni loro incontro, non lasciandogli libertà di fantasticare incubi sul possibile fato a cui la propria amata potesse essere stata destinata « Hai perfettamente ragione… »
« E… quindi?! » lo incalzò ella, alla ricerca della conclusione di quella sua narrazione, compresa qual tutt'altro che terminata « E' riuscita a farcela? »
« No. » negò il locandiere, focalizzando nuovamente la propria attenzione sul tempo presente e su quel loro dialogo, dal quale, per un istante, si era psicologicamente allontanato « E' stata nuovamente catturata, con delle reti da pesca. »
« Comprendo… » annuì la donna, non negandosi un certo sentimento di delusione a quella notizia, per quanto, in effetti, non avesse avuto particolari ragioni per sperare in un esito diverso « E' ancora viva, comunque… non è vero? »
« Viva sì, ma prigioniera. » puntualizzò l'altro.
« Prigioniera della stessa nave che stiamo inseguendo alla massima velocità che il vento ci concede… razionando al massimo l'acqua per ridurre al minimo l'esigenza di scali in porto. » specificò la prima, con un lieve sorriso, non dissimile, forse, da quello che una madre avrebbe rivolto a un proprio figlioletto nell'illustrargli un aspetto della realtà da lui prima trascurato, sebbene invero la differenza di età fra loro fosse in suo esplicito sfavore.
« Non essere accondiscendente, te ne prego… » si oppose egli, sentendosi quasi deriso da quel suo comportamento e, tuttavia, comprendendo, tardivamente, le ragioni per le quali solo verso un simile esito avrebbe potuto evolvere quello stesso dialogo.
« Non desidero esserla, Be'S… ma cerca di comprendere la mia posizione. » sospirò Berah, comprendendo perfettamente il pur legittimo stato d'animo per lui proprio, e, ciò nonostante, non potendo esimersi da quell'asserzione, da quella presa di posizione apparentemente impietosa « Se quanto tu mi stai dicendo corrispondesse al vero, e non sto obiettando a tal riguardo, io non potrei che essere felice nell'avere conferma di quanto, nonostante tutto, ella sia ancora viva. »
« Ma non ci è data possibilità di fare nulla di più rispetto a quanto già non stiamo facendo… » annuì l'uomo, a offrire trasparenza di aver, proprio malgrado, ben misurato la questione e la totale inutilità della medesima nel confronto con il loro attuale impegno.
« Esatto. » confermò la donna, sollevando la propria mancina dal timone della nave all'unico scopo di ricercare contatto con la spalla destra del proprio interlocutore « Motivo per il quale è senza dubbio meglio lasciare Noal e Hui tranquilli nella loro intimità, così come tu e io, probabilmente, saremmo ben lieti di poter fare se ancora ce ne fosse concessa l'occasione… »

venerdì 23 dicembre 2011

1434


A
seguito dell'ennesima, intima riunione con Desmair, il proprio più acerrimo nemico o, forse, il proprio più importate alleato, Be'Sihl ebbe sincera difficoltà a dissimulare le proprie emozioni, le proprie ansie, i propri timori, sforzandosi in tal senso di non precipitarsi in maniera confusa e disordinata alla ricerca di Noal e di Berah, per comunicare loro quanto appena scoperto.
Nel voler, infatti, proseguire con il sotterfugio già utilizzato, allo scopo di non rivelare apertamente la propria discutibile collaborazione con un semidio dalla pelle simile a cuoio rosso e dalle enormi corna bianche sul capo, il locandiere avrebbe dovuto necessariamente rielaborare le informazioni in suo possesso allo scopo di renderle più compatibili possibili con l'idea di una rivelazione onirica, di un sogno che non avrebbe dovuto essere confuso con un qualunque altro sogno derivante da semplice tensione nervosa, quali, pur, avrebbero potuto essere riconosciuti i suoi ormai consueti incubi, quanto, e piuttosto, quella sorta di oracolo che già, sino ad allora, lo aveva guidato all'incontro con tutti loro e alla consapevolezza della giusta rotta da seguire, per quanto, solo qualche tempo prima, mai avrebbe saputo immaginare l'esistenza di termini quali tribordo o babordo, prua o poppa, per indicare quanto egli era solito definire quali destra o manca, davanti o dietro in un comune dialogo. Non che, malgrado il tempo già trascorso a bordo, e malgrado il parziale superamento dei propri disagi fisici, potesse ormai considerarsi al pari di un qualunque figlio del mare, o marinaio.
Già in termini eccessivi, probabilmente, si era concesso di abusare della fiducia di quel gruppo, di quella straordinaria famiglia, e mai, sinceramente, avrebbe voluto imporre a loro discapito una qualunque ipotesi di tradimento, qual pur, oggettivamente, avrebbe potuto essere ritenuta quella propria della sua particolare collaborazione con il demoniaco sposo della sua amata. Solo quando, alfine, ebbe riconquistato sufficiente quiete interiore, utile ad affrontare tale dialogo, ed ebbe, in ciò, riordinato anche le proprie idee in merito a quanto era pocanzi accaduto alla sua amata ad ancor notevole distanza dalla propria, attuale posizione, Be'Sihl si concesse pertanto la possibilità di dirigersi alla ricerca di Noal o di Berah, o, meglio ancora, di entrambi, certo di poterne trovare almeno uno posto sul cassero, lì impegnato a mantenere sotto controllo il timone della goletta.

Nei giorni, ormai settimane, trascorsi a bordo della Jol'Ange, per quanto a essa, e al mondo da lei rappresentato, completamente estraneo, il figlio di Shar'Tiagh aveva avuto occasione di maturare una certa, ammirevole confidenza con l'ambiente a sé circostante. Persino le sue nausee, prima insopportabili e ingestibili, erano divenute ormai mera conseguenza di un'insistente focalizzazione dei propri pensieri in direzione del mare e delle sue onde, ragione per la quale aveva scoperto essere sufficiente mantenersi distratto su altri pensieri, su altre immagini, per riuscire a ovviare a tutto ciò. Meno elementare, tuttavia, era stato per lui apprendere come potersi reggere in piedi, e camminare in linea retta, su una superficie in continuo movimento, qual solo avrebbe dovuto, suo malgrado, essere riconosciuta quella di una nave: per sua fortuna, comunque, la propria stessa origine shar'tiagha gli era venuta in aiuto, in soccorso, avendolo abituato sin dalla più tenera infanzia a un contatto diretto con il suolo sotto i propri piedi e, in ciò, avendolo già formato a quell'abitudine altresì propria di ogni marinaio, nel non indossare calzari alcuni a bordo della propria nave, al duplice fine di riuscire a mantenere migliore presa sulla superficie della medesima e, ancora, di non ritrovarsi impicciato da stivali o semplici ciabatte nel momento in cui fosse stato loro richiesto di arrampicarsi lungo quelle funi di canapa che aveva scoperto chiamarsi sartie, attività che, nel mantenimento di un qualunque veliero, aveva anche compreso essere sempre all'ordine del giorno. In tutto ciò, quindi, per quanto ancor a volte incerto nel proprio avanzare, il locandiere era anche riuscito ad apprendere come muoversi a bordo della goletta, non solo sul ponte della medesima, ma anche nel suo ventre, con le cuccette lì riservate all'equipaggio in una ben definita turnazione, e l'ampia stiva di carico, all'interno della quale erano ordinatamente riposte non solo le riserve proprie della nave, indispensabili a garantire la sopravvivenza dell'equipaggio per mare, innanzitutto acqua dolce e poi, necessariamente, cibo, ma anche eventuali merci da loro trasportate per ovvie ragioni commerciali, altresì utili a permettere loro il proseguimento di quella stessa vita per mare, di quella loro continua avventura in territori temuti dalla maggior parte dell'umanità.
Superato, pertanto, il pessimo impatto iniziale con quella nave e con la vita a bordo della medesima, non senza rendere proprio, in conseguenza a tutto ciò, un forte debito con la premurosa Masva, la quale prima fra tutti si era preoccupata per la sua salute, per il suo benessere così apparentemente compromesso all'origine di quello stesso viaggio, Be'Sihl aveva potuto alfine ricavare qual proprio un ruolo all'interno dell'organizzazione gerarchica della nave, venendo, ovviamente, posto all'estremità inferiore della medesima, immeritatamente, in senso positivo, accanto a un giovane di nome Ifra, scoperto solo in un secondo momento qual nipote di Berah.
Ifra, nella propria giovane età, persino più modesta di quella caratterizzante Seem, scudiero di Midda e, prima ancora, garzone dello stesso Be'Sihl, si era da subito presentato quale un ragazzo pieno di energie e di positività verso la vita e verso il futuro, in un'intima vivacità caratteristica comune a molti alla sua età, e che pur pochi si dimostravano, poi, in grado di mantenere qual propria. Impiegato qual mozzo a bordo della Jol'Ange, al fine di concedergli occasione di maturare quell'esperienza che un giorno gli sarebbe risultata utile per divenire marinaio e, chissà, magari persino capitano di una nave, su una pelle caratterizzata dalla stessa bronzea tonalità già appartenente alla sua parente, egli faceva infantile sfoggio di già sin troppi tatuaggi tribali bianchi, quasi argentati nell'intensità della propria lucentezza, che ne coprivano interamente il braccio sinistro nonché parte del petto, del ventre e del braccio destro, sul quale, comunque, ancora molto spazio gli era offerto per ulteriori opere. In comune con sua zia, comunque, egli avrebbe potuto far vanto di un ancor adolescenziale, e pur già definito nelle proprie promesse future, fascino, una bellezza esotica che, di lì a qualche anno, il locandiere era certo avrebbe fatto breccia in molti cuori, e che, per ora, si ritrovava espressa semplicemente da un viso imberbe, da una folta chioma di corti capelli corvini e da grandi occhi verdi, che già in quel frangente erano spesso impiegati nel tentativo di impietosire la rappresentanza femminile dell'equipaggio allo scopo, sempre vanificato, di ovviare ai più noiosi compiti caratteristici della propria attuale professione.
E per quanto pur conscio di doversi considerare già onorato dall'idea di essere addirittura considerato pari a un mozzo, nell'essere stato posto al medesimo livello di Ifra, in effetti, Be'Sihl non aveva ancora ben compreso entro quali termini poter apprezzare o disapprovare la loro incompatibile differenza d'età, ove, senza particolari sofismi, Ifra avrebbe potuto tranquillamente essere suo figlio: su un fronte, infatti, egli non avrebbe potuto ovviare a essere soddisfatto per merito di un tale impiego, occasione, quella così concessagli, che gli stava imponendo una giovinezza forse non più propria; su un fronte del tutto opposto, altresì, egli non avrebbe potuto evitare di avvertire la propria età qual, probabilmente, eccessiva per un certo genere di avventure, soprattutto ove, a differenza della propria amata, egli non era di certo solito imbarcarsi, letteralmente in quel particolare caso, in simili imprese. Un'incertezza, un dubbio, un dilemma, il suo, del quale, tuttavia e comunque, sotto la particolare luce imposta alla sua vita in quell'ultimo periodo, non avrebbe potuto evitare di perdere completamente di significato, riducendo l'intera questione pressoché a una burla, a un'idiozia immeritevole di essere condivisa persino con se stesso. Questo senza considerare, poi, quanto al di là della propria giovanissima età, del proprio esser ancora ragazzo ancor prima che fanciullo o uomo, Ifra si era dimostrato, ovvio a considerarsi, indiscutibilmente più edotto rispetto al locandiere nel merito di quanto avrebbe dovuto essere compiuto a bordo della Jol'Ange, e di come compierlo nel migliore dei modi, ragione per la quale, comunque, quest'ultimo proprio a lui, suo ipotetico figlio, avrebbe dovuto offrire riferimento qual a un maestro.

Ritornato, pertanto, con rapidità e, ormai, privo di esitazioni, o, peggio, di nausee, sino al ponte, lo shar'tiagho aveva subito rivolto il proprio sguardo verso il cassero e, lì identificando, come previsto, la presenza di Berah, si era prontamente impegnato a risalire i pochi gradini che li separavano, allo scopo di poter conferire con lei, nella speranza di riuscire a comunicare il messaggio che desiderava comunicarle senza, in ciò, tradire il proprio unico, ed destramente gravoso, segreto…

giovedì 22 dicembre 2011

1433


« A
udace. » sorrise la sovrana dei pirati, non palesando alcun concreto sentimento di sorpresa per il gesto appena compiuto dalla propria controparte, quasi tale risposta dalla medesima fosse quanto meno atteso, se non, addirittura, auspicato, qual giusta reazione alle proprie parole, alla propria provocazione per così come scandita quasi a tempo di musica, nel moto irrefrenabile delle proprie dita sulle corde dello zither « Lo è sempre stata… e, senza ombra di dubbio, lo sarà per sempre. »

L'incontro della mercenaria con l'acqua del mare, in un primo effimero istante, fu a dir poco doloroso, imponendo al proprio corpo, stanco e ferito, il contatto con una superficie a sé quasi estranea, aliena, con la quale difficile sarebbe stato auspicare la possibilità di una quieta relazione, di un sereno confronto: il mare, che pur per lei era sempre stato quanto di più prossimo al ventre materno, e il ciò incapace di imporle offesa, di offrirle danno, non l'accolse con quel calore, con quella generosità che ella si era attesa di ritrovare in esso, lasciandola, in ciò, profondamente turbata, addirittura disturbata da troppa diffidenza così rivoltale.
Fortunatamente, tale inimicizia, simile diffidenza destinatale, si dimostrò sol qual questione di un fugace momento, di un evidente disorientamento da parte del mare stesso, o forse della sua mente confusa, che li videro presentarsi l'uno all'altra quali perfetti estranei, salvo, immediatamente, ritrovare la confidenza e la complicità di un tempo, per loro caratteristica irrinunciabile, intrinseca della propria stessa reciproca natura. E così, per quanto il sale disperso all'interno di quelle acque, non avrebbe potuto evitare di bruciare la ferita aperta sul fianco della donna, quello stesso bruciore si impose, nel confronto con la sua mente, qual simbolo di rigenerazione, riprova di una guarigione ancor possibile per lei, ove in assenza di dolore solamente la morte sarebbe potuta essere propria del suo stesso futuro. Ancora, inoltre, l'iniziale gelo avvertito qual proprio di quelle acque si tramutò, immediatamente, non in un fattore avverso, quanto, e piuttosto, in una dimostrazione di premura a lei rivolta, addirittura imposta, nell'offrire alle sue membra, alla sua pelle resa lurida dall'orrore di quei giorni, settimane, forse mesi, un'occasione utile a tergersi, a ritrovare la propria freschezza, la propria libertà, alleggerendosi non solo dal peso del sangue con il quale ella si era ricoperta, ma anche, e ancor più, da tutta la sozzura conseguenza della prigionia della quale era rimasta vittima.
Meravigliosa, pertanto, fu la sensazione finale che caratterizzò quella ritrovata comunione fra la Figlia di Marr'Mahew e il mare che, per lei, era sempre stato un amico fidato, un instancabile amante, un affettuoso compagno, forse l'unico dimostratosi realmente in grado di comprenderla e apprezzarla e, ciò non di meno, prima vittima dell'azione vendicativa della sua gemella, che all'esilio da tutto ciò l'aveva costretta. Una condizione di pace, psicologica e fisica, uno stato prossimo alla beatitudine, qual raramente le sarebbe potuto essere proprio, nel quale ella non poté che riconquistare fiducia per se stessa, per il proprio fato che, malgrado quanto avvenuto e quanto ancora sarebbe potuto avvenire, non sarebbe più apparso tanto cupo, tanto privo di speranza qual pur, finanche in quell'ultimo momento, era pur apparso essere.

« Tiratela su. » comandò il primo riferimento per tutti i pirati di quella nave, la voce che ognuno di essi avrebbe ascoltato al di sopra di qualunque altra e alla quale avrebbe ubbidito sempre e comunque, persino in aperta violazione agli ordini del loro formale riferimento a bordo di quel veliero, del loro capitano ufficialmente riconosciuto qual tale forse solo in grazia al beneplacito della stessa regina « Non sia mai che si possa illudere di poter realmente fuggire… »

Prima ancora che Midda Bontor potesse, in conseguenza al proprio tuffo, utile a definire una propria volontà d'evasione, di fuga e di riscatto dalla propria condizione di prigionia, dalla condanna su di lei imposta da quella propria antagonista nelle fattezze della quale avrebbe dovuto ancora riconoscere la propria immagine riflessa, il volto della propria un tempo tanto amata sorella, e che pur, ormai, non più qual tale riusciva ad apparire al suo sguardo, ogni sogno di libertà, ogni promessa di riconquistata autodeterminazione, le venne violentemente sottratto dall'imporsi improvviso, in contrasto al proprio corpo, a ognuna delle proprie membra, delle fitte maglie di una ruvida e spessa rete, precipitata sul suo capo e, subito, richiusasi a imprigionare le sue forme, le sue braccia e le sue gambe, le quali, continuando obbligatoriamente a muoversi per riuscire a concederle stabilità all'interno di quell'universo marino, non fecero proprio altro effetto che non quello di ridurre a dimensioni sempre inferiori, sempre più opprimenti, le spire di quell'ignobile avversario.
Figlia di pescatori, nipote di pescatori, nella propria infanzia cresciuta qual prossima a divenire pescatrice a sua volta, ella non avrebbe dovuto riservar quali proprie particolari esitazioni nel confronto con una rete da pesca, conscia di quanto ogni proprio sforzo in contrasto alla stessa si sarebbe poi rivoltato a proprio discapito. Purtroppo per lei, in una condizione qual la sua, difficile, se non impossibile, sarebbe stato mantenere immutato il pulsare del proprio cuore e, in conseguenza a ciò, la pressione del proprio sangue nelle tempie così come nei polsi; difficile, se non impossibile, sarebbe stato riuscire a riservarsi razionalità sufficiente a riconoscere di dover mantenere nel proprio cuore il gelo abitualmente caratteristico dei suoi occhi, in ciò non temendo la propria condizione ma, anzi, affrontandola con la quella stessa "misura" propria anche del suo nome. Ma in parte per gli effetti della droga, in parte per la stanchezza ancora imperante su di lei, in parte, e sinceramente, per il timore nel confronto con colei che l'avrebbe attesa a bordo della nave dalla quale aveva cercato libertà, la mercenaria non riuscì a imporre al proprio corpo quiete sufficiente a ovviare alla morsa di quelle solide maglie.
Dall'abbraccio delle acque sue amiche, sue protettrici, ella venne così strappata come una bimba dall'unione con la madre tanto amata, venendo sollevata di peso, con energia, al di sopra della superficie del mare e, in tale percorso, senza eccessiva premura, sbattuta violentemente contro lo scafo della nave, contro quel legno solido come pietra, nell'impatto con il quale non poté che ritrovarsi tramortita, in misura persino maggiore di quanto già non si sarebbe potuta definire. E, in simili condizioni, non le venne neppure concessa opportunità di rivolgere un fugace pensiero a quei pugnali ancora infilati nella propria cintola, con i quali, forse, avrebbe potuto sperare di riconquistare, ancora una volta, quell'instabile, altalenante condizione di libertà da lei da sempre cercata, e ora tanto crudelmente negatale: quelle lame, quel metallo che pur avrebbe potuto rappresentare per lei una chiave utile ad aggirare i vincoli così nuovamente impostile, fu completamente dimenticato, obliato, quasi neppur posseduto, così come, dopotutto, non meno escluso dalla sua mente, dalla sua attenzione, fu l'intero Creato a lei circostante.
Ineluttabile conseguenza di tutto ciò, quindi, fu veder alfine rigettata la famigerata Figlia di Marr'Mahew qual un'inanimata bambola di pezza sul ponte del vascello, lì scaraventata ormai inerme, priva della stessa straordinaria combattività che pur l'aveva caratterizzata in contrasto a ogni propri avversario, non solo nel corso della propria intera vita ma, anche, di quel proprio appena vanificato tentativo di evasione, lì ormai impossibilitata a qualunque movimento e, ancor peggio, inconsciamente prostrata innanzi ai piedi della propria stessa carceriera, la quale, con assoluta serenità, con totale noncuranza verso di lei, quasi non fosse neppure, realmente, lì presente, riprese il canto precedentemente interrotto, per concluderlo nella propria ultima strofa, negli ultimi versi prima estemporaneamente taciuti…

E per quanto fosse desiderosa
di un amore mai conosciuto
di un sentimento mai vissuto,
Ella s'impose d'esser giudiziosa,
non per sé stessa misericordiosa,
ove, suo malgrado, già ben cosciente
di come tal gioia pur attraente
verso sorte triste e dolorosa
e mai, credetemi, vittoriosa
condotta l'avrebbe spietatamente.
Una fine non degna certamente,
non per Lei, non per Morte gloriosa!

mercoledì 21 dicembre 2011

1432


« G
iacché, seppur tu mi abbia amato,
con sì tanta, devastante passione
con straordinaria abnegazione,
non un principio del nostro Creato
ha da considerarsi cancellato.
Sol un'esistenza a tutti è data
per esser vissuta e non sprecata,
e chi sua vita ha sperperato
d'alcun dio possa esser salvato.
A nulla è quindi valso morire,
non, di certo, per a me apparire,
a me che, chiunque, rendo dannato. »

Altri due… e poi due ancora, furono coloro che, sufficientemente arditi, o sufficientemente sciocchi, vollero ricercare un qualche genere di rapporto con colei che, ormai, non tanto della Guerra, quanto ancor più della Morte sembrava essersi eletta incarnazione terrena, rappresentante umana presso i mortali e, in quello specifico contesto, presso tutti i pirati impiegati a bordo di quella nave, di quel vascello che, nel sangue del proprio stesso equipaggio, stava da lei venendo benedetto… o, forse, e più propriamente, maledetto. E nel momento in cui, con non maggiore pietà rispetto ai coloro che li avevano preceduti, la Figlia di Marr'Mahew li scaraventò a confronto diretto con le proprie divinità, nel momento in cui le loro vite vennero repentinamente troncate, non concedendo loro, forse, neppure l'occasione di elaborare l'impellente fine, la mercenaria non poté ovviare ad assaporare il piacere di quelle singole morti, non in quanto tali ma, piuttosto, in quanto testimoni del proprio successo, espressione trasparente della propria non ancora perduta capacità volta a combattere, e a vincere, a tutela della propria libertà, del proprio diritto alla vita, troppo spesso, dai più, speranzosamente negatole. Una soddisfazione, la sua, che se anche qualcuno avrebbe potuto definire brutale, segno evidente di uno spirito barbaro e alieno alla civiltà, ove meritevole di essere definita tale; la maggior parte di qualunque altro eventuale e ipotetico suo giudice, animato da una minore ipocrisia e da una più sincera relazione con i tempi per tutti loro odierni, in un'epoca nella quale, oggettivamente, il valore considerato qual intrinseco di una vita umana non solo sarebbe stato ampiamente sufficiente a giustificare la prematura dipartita di un proprio avversario, ma, ancor più, non sarebbe stato adeguato a negare il pagamento, a compenso di tale perdita, di un soffio d'oro, o ancor meno. Alcuna colpa, pertanto, le sarebbe potuta essere addotta qual propria in conseguenza di tale strage, in quel momento non priva di ragioni, ove, in caso contrario, anzi, difficilmente un suo atto di clemenza a difesa della sopravvivenza dei bruti a lei offertisi innanzi sarebbe stato apprezzabile o, ancor meno, comprensibile.
E nel crescente arrossarsi della sua pelle, per effetto del sangue che, copioso e abbondante, continuò a riversarsi su di lei in una misura della quale, solo nel cuore di una battaglia, in zona di guerra, si era abituata a essere ricoperta, nuovi versi di quella ballata, nuove strofe di quel drammatico e impossibile sentimento d'amore fra la Morte e un mortale qualsiasi, riecheggiarono nelle sue orecchie, cantante dalla sua stessa voce, per quanto mute le sue labbra si stessero lì proponendo…

Algida, in tanto lento scandire,
in sì triste condanna proclamata
per chi l'aveva tanto adorata
e or sapeva pronto a partire,
Ella non si negò di apparire
non perché priva d'ogni compassione,
indifferente alla dedizione,
ma perché di dover troppo soffrire,
di dover per l'eternità patire
allora giustamente timorosa:
meglio quindi risultar altezzosa
anziché debolezza esibire.

Suo malgrado, nell'essere abituata a ricercare nelle note delle canzoni della sua infanzia e giovinezza occasione di distrazione nei momenti peggiori, così come nelle serate più noiose, ella non ebbe possibilità, per quanto, probabilmente, ne avrebbe avuto ampiamente motivo, di porre in dubbio l'origine di quelle note, non attribuendole a se stessa, alla propria confusa mente vittima degli effetti di una droga sconosciuta, quanto, e piuttosto, a una diversa fonte. Una fonte, spiacevolmente, tutt'altro che difficile da riconoscere nella propria identità, tutt'altro che complicata da individuare nella propria unicità, dal momento in cui, escludendo se stessa, e la propria voce, quali protagoniste di tutto ciò, solo una ben delineata alternativa avrebbe dovuto e potuto essere presa in esame: quella che, nella fattispecie specifica di quell'occasione, di quella propria disavventura, qual mai altrimenti sarebbe potuto essere ricordato tutto ciò, ebbe modo di presentarsi innanzi a lei con la schiena quietamente appoggiata contro l'albero di maestra, nel mentre in cui le sue braccia si ponevano impegnate a circondare la forma di un magnifico zither, lasciando, non di meno, le agili dita della propria destra libere di pizzicarne le corde, con sapienza ammirevole, con abilità incantevole, a intessere le note di quella ballata insieme a una voce in tutto e per tutto identica alla sua… quella di sua sorella, della sua gemella, di Nissa Bontor.

« Che furia… che impeto! » esclamò la regina dell'isola di Rogautt, interrompendo, in quell'asserire, il proprio canto, e pur non permettendo alle proprie dita di arrestarsi sulle corde, quasi desiderasse riservarsi la possibilità di riprendere quanto prima il testo in tal modo rimasto incompiuto « Ero convinta che mi sarebbe stato concesso il tempo utile a concludere anche l'ultima strofa prima del tuo arrivo… e, malgrado tutto, sei riuscita a sorprendermi. » volle offrire maggiore chiarezza alle ragioni del proprio ultimo commento, per quanto, in maniera estranea a ogni possibilità di dubbio, nelle sue parole riecheggiasse tutto il proprio più vivido sarcasmo « E ora cosa vorresti fare, Midda? Cosa vorresti fare, mia indomabile metà?! Qual è il fine ultimo di tanto tuo sforzo?… dimmi, te ne prego! » la esortò, sorridendo al contempo amabile e terrificante, sensuale e orrenda, in tal espressione negando ogni possibile attribuzione di Morte alla propria controparte e richiedendola, prepotentemente, qual a sé appartenente.

Una domanda non sciocca, per quanto probabilmente avrebbe costretto la Figlia di Marr'Mahew a repliche soltanto retoriche, che vide la stessa mercenaria, lì ridotta al ruolo di prigioniera, dover prendere coscienza di quanto minimali sarebbero potute essere allora valutate le proprie possibilità di sopravvivenza su quale ponte, là dove un piccolo, ma agguerrito, esercito di pirati si era predisposto in sua attesa, capeggiato, in tal dispiegamento di forze, non tanto dalla propria reale antagonista, riservatasi una posizione da spettatrice, come la presenza di uno zither e non di un'arma nelle sue mani avrebbe esplicitamente evidenziato, quanto, e peggio, da colei che sino a prima di quella negativa evoluzione aveva creduto essere propria alleata, propria amica, e che pur, alfine, aveva ceduto al malefico fascino della sua gemella: Carsa Anloch.
E nel ritrovarsi, in tutto ciò, priva di qualche effettiva, concreta speranza di successo nella propria evasione, se solo avesse concesso battaglia a un numero a lei tanto superiore di avversari, e, ancora, alla stessa Carsa; Midda Bontor non ebbe possibilità di rendere proprie scelte strategiche particolarmente originali, straordinarie decisioni degne di essere ricordate dalla Storia, per quanto, nell'audacia che ancora volle rendere propria, il suo nome, la sua fama, non avrebbero potuto ritrovarsi a essere infangati, disonorati, dal momento in cui alcun'altro, a eccezione sua, sarebbe potuto essere sì folle da invocar salvezza in un gesto del genere… nell'impegnarsi in una breve, impetuosa corsa verso il limitare a lei più prossimo del vasto ponte di quel vascello al solo scopo di proiettarsi, stanca, drogata e per lo più ferita, nelle fredde acque del mare a loro circostante.