Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.
Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!
Scopri subito le Cronache di Midda!
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E siamo a... QUATTROMILA!
Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!
Grazie a tutti!
Sean, 18 giugno 2022
Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!
Grazie a tutti!
Sean, 18 giugno 2022
domenica 31 luglio 2011
1292
Avventura
027 - Discordia fraterna
In un contesto tanto rapido, nel proprio sviluppo, quanto appassionante, nell'atmosfera onirica capace di dimostrar qual propria, se pur tremendo e reale quale la sottile differenza fra la vita e la morte, difficile sarebbe stato per i due attoniti e confusi testimoni di tale conflitto riservarsi occasione di distrazione, foss'anche, solo e banalmente, per imporsi l'allora tutt'altro che ovvia necessità di respirare, non trattenendo il fiato quasi fossero lì completamente sommersi dall'acqua. Malgrado tale stato emotivo, ancor prima che fisico, tuttavia necessario risultò, per almeno uno fra loro, ricordarsi di quanto non potessero ritenere quel particolare ambiente, il teatro casualmente eletto per ospitare quella battaglia, quale a loro potenzialmente amico: un'esigenza resa, invero, a ogni istante sempre più prossima a un'urgenza nella percezione via via più chiara, e imperante, dei latrati provenienti da sopra le loro teste, dal volto in parte sfregiato di quell'immobile dio di pietra, calce e smalto, rabbiosi e incomprensibili versi accompagnati, nella propria presenza, da non più chiari, e pur probabilmente intellegibili, umani commenti, grida rivolte verso di loro, in loro opposizione, dagli inattesi inquilini del santuario per sfuggire ai quali Be'Wahr era giunto a preferire l'impiego tanto a lungo posticipato della propria corda. Non il biondo, però, si interessò della questione, e del pericolo a essa ricollegabile, quanto, altresì, il suo più riflessivo, e pessimista, compagno e fratello, il quale, risollevando lo sguardo, per un istante, si riservò opportunità utile ad analizzare quanto lassù schieratosi.
Attraverso l'occhio infranto di Thatres, pertanto, Howe poté cogliere non solo almeno una mezza dozzina di profili canini in costante subbuglio, simili a un liquido in ebollizione, ma anche tre, forse quattro, uomini adulti, lì armati di corte spade e, inveenti contro di loro, profanatori di un territorio forse, da parte degli stessi, ancora considerato qual sacro. E ove, lassù, tre o quattro uomini, se non più, erano appena emersi a prendere visione di quanto in corso, combattimento incluso, nulla avrebbe potuto lasciar stolidamente presumere allo stesso shar'tiagho come altrettanti, se non molti di più, stessero contemporaneamente organizzandosi al fine di raggiungerli, attraverso altre vie a loro sconosciute.
« Be'Wahr… » richiamò l'attenzione del camerata, ancora costringendosi a ignorare le due donne e le loro personali beghe di natura familiare « Temo che fra non molto avremo compagnia. » volle avvertirlo, già dimentico di ogni precedente questione fra loro, sciocchi litigi, vane inimicizie, che nel confronto con quell'intera questione, e con la spiacevole complicazione imposta dalle gemelle, non avrebbe potuto perdere completamente di significato, d'ogni ragion d'essere.
« Timore condiviso, fratellone. » rispose il biondo, storcendo appena le labbra verso il basso e, solo in conseguenza delle parole a sé rivolte, permettendosi a propria volta estemporanea distrazione dal combattimento in corso « Cosa si fa?! » richiese, sancendo in sì semplici parole il proprio più completo assenso alla riappacificazione fra loro, conclusione, dopotutto, mai posta in dubbio nella propria stessa occorrenza.
Alcuna ulteriore espressione verbale, in tutto ciò, fu allora richiesta da parte di Howe per comunicare la più ovvia, naturale e, probabilmente, obbligata soluzione a quell'intera faccenda, a quella dannata situazione da cui, volenti o nolenti, non sarebbero potuti uscire attraverso strategie convenzionali, scelte canoniche che, in paralleli, ma differenti, contesti avrebbero potuto permettersi di applicare a simili frangenti: considerato fratello da colui che a propria volta considerava proprio fratello non per mera retorica, quanto, piuttosto, per un'intera esistenza trascorsa l'uno al fianco dell'altro, un solo sguardo sarebbe stato utile, e venne pertanto utilizzato, allo scopo di definire un comune piano d'azione. Sguardo che, per tutta risposta, fu reciprocamente ritenuto sol necessario anche a Be'Wahr per confermare il proprio più completo e indiscriminato assenso nei suoi confronti, pronto, in quel momento così come in ogni altro contesto passato e, probabilmente, in qualunque altro futuro, ammesso che mai avrebbero potuto godere di un qualche futuro, sarebbe stato loro imposto di vivere.
Del tutto indifferenti a tale prima esplicito e poi implicito confronto, nel porsi entrambe troppo impegnate per potersi riservare alcuna opportunità di interesse non solo in direzione dei due fratelli, quanto dell'intero Creato a loro circostante, le due gemelle, Midda e Nissa, ancor indistinte nelle corrispettive e reali identità, proseguirono nel proprio scontro, in quella personale battaglia, senza riservarsi la benché minima possibilità di preoccupazione né su quanto gli inquilini di quel tempio avrebbero potuto desiderare a loro presumibile discapito, né nel merito di quanto, parallelamente, Howe e Be'Wahr avrebbero potuto pianificare in reazione a simile minaccia.
Nel mentre di quel rapido scambio di battute fra i loro più importanti spettatori, dall'infruttuoso e altrettanto rapido scambio di pugni le due donne avevano ricercato prevedibile disimpegno, in una reciproca presa di distanza che, tuttavia, non avrebbe dovuto essere fraintesa quale una ricerca di tregua. Non appena, infatti, l'una e l'altra arretrarono quanto sufficiente a sancire il termine di quella nuova fase della loro lotta, entrambe, contemporaneamente in modi e tempi a dir poco inquietanti, volsero le proprie energie, i propri sforzi, a tentare di violare le difese avversarie non più nell'impiego delle proprie mani e dei propri arti superiori, reali o surrogati che potessero essere, quanto, e altresì, nel ricorso ai propri piedi, e ai propri arti inferiori: scelta non inedita, in quella stessa battaglia, e che pur, in tale ripresa, non venne posta in essere nei termini già precedentemente adottati da una delle due, quanto, piuttosto, ricercando rispettivamente il corpo della propria antagonista con tanto impetuose, quanto fuggevoli, frustate laterali, prima a opera delle proprie gambe destre, e successivamente anche di quelle mancine, in conseguenza delle quali, comunque, alcuna fra le due ebbe ragione di ritenersi più avvantaggiata, o vittoriosa, di quanto non fosse riuscita a essere precedentemente. Ogni movimento dell'una o dell'altra estremità, infatti, quasi avesse da essere inteso quale un tentativo di dritto o di sgualembro ricercato attraverso le proprie già abbandonate lame e non le proprie stesse estremità, si ritrovò puntualmente e metodicamente arrestato da un eguale gesto della controparte, ottenendo qual solo e concreto risultato quello di imporre alle tibie occasione di crescente danno, lesioni che, nell'adrenalina propria di quel particolare frangente, sarebbero state, e vennero, completamente ignorate, ma che a seguire, ove vi fosse stato un seguito, avrebbero fatto emergere, nel migliore dei casi, terribili lividi violacei e, nel peggiore, avrebbero rivelato un principio di frattura composta. E persino quando, probabilmente entrambe stanche di tanta folle specularità, ipotizzarono un gesto risolutore, nell'invertire il movimento delle proprie gambe e dei propri interi busti, e nel ruotare in senso contrario a quello impostosi sino a quel momento, l'unico successo degno di essere ritenuto tale ebbe da rilevarsi quello che le vide raggiungere, ancor contemporaneamente e ancora mutuamente, in maniera terribilmente sincrona, l'una la schiena dell'altra con i propri talloni destri, proiettandosi dolorosamente, e violentemente, entrambe a terra, lungo una medesima direzione e due versi opposti.
Ma fu proprio in quel momento, prim'ancora di qualunque possibile ripresa da parte delle gemelle, evento non solo prevedibile, quanto piuttosto e addirittura giudicabile qual inevitabile in tal contesto, che i due fratelli scelsero di prendere posizione, intervenendo nella diatriba in corso, e nel combattimento a esso connesso, nell'unico modo possibile, in conseguenza della purtroppo ancor ferma impossibilità a distinguere le due donne. E così, con una perfetta e armonica coordinazione di movimenti, che nulla avrebbe avuto da invidiare alle due combattenti lì scaraventatesi al suolo, Howe e Be'Wahr si scagliarono, rapidi e decisi, sulle medesime, slanciandosi, senza particolare riguardo né per l'una, né per l'altra, sulle loro schiene con le proprie ginocchia, entrambe destre, e appoggiando, tanto sul retro del collo dell'una, quanto sul retro di quello dell'altra, le proprie fredde lame, della spada dorata, su un fronte, e del coltellaccio, sull'altro, per definire un messaggio universale e inequivocabile, per quanto, in un primissimo istante, ancor privo di qualunque accessorio commento verbale…
« Ben fatto, fratellone… » si complimentò il biondo, pesando, se pur a malincuore, con la propria massa sulla schiena di una delle due donne, sperando, in cuor suo, di non star minacciando la propria tanto ammirata Midda, per quanto certo che, di tal gesto, ella l'avrebbe perdonato.
« Il riconoscimento è reciproco, Be'Wahr. » annuì lo shar'tiagho, come di consueto privo di qualunque critica al proprio complice di una vita intera in quelle occasioni in cui veniva loro richiesto di agire, e di agire in maniera efficace ed efficiente.
sabato 30 luglio 2011
1291
Avventura
027 - Discordia fraterna
Così negatesi qualsiasi occasione di supporto esterno da parte dei due uomini lì presenti, nell'essersi poste nuovamente su un medesimo piano, in una folle situazione di assoluto anonimato, le due donne guerriero, ormai disarmate, non ebbero pertanto alternativa alcuna a proseguire il proprio confronto, il proprio duello, prive del supporto delle proprie spade, impegnando, in maniera non inedita, i propri stessi corpi quali uniche armi di cui potessero abbisognare. Nissa, in simile scelta, in tale decisione volta al totale abbandono della ricerca di qualunque fra le due spade lì volontariamente rinnegate, venne ispirata dalla volontà, più che comprensibile, più che condivisibile, di non rendere proprio alcun momento di distrazione rispetto al conflitto in atto o, ancor peggio, di non ritrovarsi, stolidamente, a offrire le spalle alla propria nemesi, riservandole una situazione di vantaggio della quale, era certa, non avrebbe esitato ad approfittare, per imporsi su di lei e, se pur non ucciderla, comunque renderla estemporaneamente incapace di nuocerle, in una sconfitta che mai avrebbe gradito rendere qual propria. Parimenti e reciprocamente, Midda, in eguale decisione, in identica scelta, venne sospinta da una duplice riflessione, la prima parte della quale del tutto equivalente a quella compiuta, in quegli stessi attimi, dalla propria sorella e avversaria, e, accanto a essi, dal timore, non infondato, che anche l'altra potesse, contemporaneamente a lei, proiettarsi alla ricerca e alla conquista di una delle due spade, arrivando, magari, a favorire la propria lama bastarda e, impossessatasi di essa, rendendo propria un'ulteriore possibilità di confusione nelle menti già necessariamente disorientate dei suoi due alleati, lì costretti al ruolo di meri testimoni nel non saper a quale delle due potersi votare. Per non dissimile ragione, dopotutto, proprio la Figlia di Marr'Mahew aveva accuratamente evitato di prendere parola sino a quel momento, a non istigare inevitabile e collegata reazione da parte dell'altra e, così facendo, a non permetterle di incrementare la già spiacevolmente entropica situazione lì esistente: meno occasioni avrebbe offerto alla propria gemella per plagiare le meni dei suoi due alleati in sua opposizione, e più possibilità avrebbe potuto riservare quali proprie, al termine di quello scontro, per riuscire a dimostrare la propria reale identità con efficacia, nell'ipotesi, tutt'altro che ovvia, di riuscire a sopravvivere a tutto ciò.
In maniera estremamente originale rispetto a qualunque altro combattimento Howe e Be'Wahr avessero avuto passata occasione di assistere, avente qual protagonista la mercenaria dagli occhi color ghiaccio, quello si sviluppo, pertanto, nel più completo silenzio, in un clima tale che, in assenza dei latrati dei cani, delle grida dei loro padroni e del suono prodotto dallo scorrere delle acque lì prossime, sarebbe potuto risultare addirittura irreale, forse onirico.
Una delle due protagoniste di quel conflitto, Midda, o forse Nissa, impossibile a dirsi, a seguito di quella fugace tregua così imposta su entrambe, scelse di porre alla prova la velocità e l'agilità della propria controparte proiettando, verso di lei, un violento calcio, non ascendente lungo una traiettoria circolare, ma diretto in una linea parallela al suolo, verso il ventre della medesima, tale da poterle imporre, ove condotto a compimento, un danno non marginale, un colpo non privo di conseguenze, prima fra tutte l'esser sospinta probabilmente all'indietro per qualche piede. L'altra, ravvisando simile azione, fece propria sufficiente prontezza di riflessi e reagì non tanto ricercando occasione di evasione da tale provocazione, quanto, e piuttosto, ponendo entrambe le proprie mani innanzi al ventre, a parare il colpo e, immediatamente, ad afferrare il piede dell'antagonista per, repentinamente, proiettarlo lontano da sé e verso l'alto, in un gesto che avrebbe non solo vanificato il tentativo in proprio contrasto, ma, anche, che avrebbe imposto perdita di equilibrio, e di controllo, sull'attaccante, esponendola a ogni ulteriore reazione. Risposta che, prevedibilmente, non si fece attendere, nell'insistere nell'impiego delle proprie mani, immediatamente richiusesi a pugno, per colpire la prima quand'ella più scoperta, più indifesa o, per lo meno, ritenuta tale. Fortunatamente o sfortunatamente, impossibile da definirsi in conseguenza dell'eguale difficoltà a distinguere l'una dall'altra, la donna predatrice divenuta preda mantenne assoluto e incredibile controllo sul proprio corpo, tale da permetterle di trasformare la controffensiva a proprio discapito in una straordinaria evasione dall'attacco avversario, non tentando di arginare il movimento imposto alla propria gamba verso l'alto ma, anzi, favorendolo, nel compiere con tutta se stessa un amplio volteggio all'indietro, una ruota perfetta e priva della ricerca di qualunque punto d'appoggio, in grazia della quale sfuggì ai pugni a sé rivolti, ricadendo nuovamente padrona di perfetto equilibrio ad almeno due piedi di distanza dall'ipotetico punto d'impatto dei medesimi, costretti, in tutto ciò, a fendere banalmente l'aria.
Azione adrenalinica, quella propria di tale scambio di calci e pugni fra le due contendenti, che, malgrado l'apparente complessità del coordinamento loro richiesto, ebbe modo di svilupparsi in un intervallo di tempo sì breve da essere appena percettibile ai propri osservatori e, in ciò, da loro pienamente elaborabile. Ove, infatti, già ordinariamente le movenze in battaglia della Figlia di Marr'Mahew avrebbero dovuto essere riconosciute quali incredibilmente superiori alla media, malgrado l'età non più fanciullesca della medesima, in quel particolare combattimento le stesse stavano venendo poste a confronto con altre di eguale abilità e velocità, tali da spronarla alla ricerca del superamento di ogni proprio consueto limite. Consueto limite che, nel relegare ogni gesto, ogni cenno, ai corpi delle due gemelle, senza coinvolgere la pur minimale, e sol teorica, interferenza di un qualunque valore aggiunto qual quello di un'arma, avrebbe, ed effettivamente stava, raggiungendo canoni incredibilmente prossimi a superare qualunque umana possibilità di ambizione.
« Lohr… » sussurrò Be'Wahr, impressionato, o forse persino spaventato, da tutto ciò, improvvisamente sentendosi non diverso dal bambino che era stato un tempo, quando, per la prima volta nella propria vita, si era ritrovato ad assistere a una battaglia e tutto gli era parso così caotico e rapido da non poter essere seguito o controllato, salvo, successivamente, nel corso degli anni, maturare quella confidenza con l'arte della guerra che pur gli aveva permesso di sopravvivere tanto a lungo in un mestiere qual il suo.
Nel mentre in cui quell'unica, e importante, sillaba stava così venendo scandita dal biondo, a non rendere vana la sua imprecazione, o forse la sua onesta invocazione, sincera richiesta d'aiuto al proprio dio prediletto in una situazione di tanto difficile gestione, l'azione generale, ovviamente, non si mantenne immobile e, anzi, si sviluppò in nuove serie di attacchi e di difese scambiatesi reciprocamente fra le due donne con assoluta equità, e apparente impossibilità di predominanza dell'una sull'altra, al punto tale da poter istericamente portare a credere come tutto ciò, per loro, nulla fosse di più di un giuoco, sebbene la posta in palio avrebbe dovuto essere pur riconosciuta equivalente alle loro stesse vite.
Tutt'altro che demotivata dal fallimento della prima coppia di pugni diretti, in assoluta sincronia, al petto e al ventre della propria controparte, l'ultima attaccante tentò di porre immediato riparo all'evasione ottenuta dalla propria antagonista, avanzando verso di lei e, in ciò, scatenando una rapida sequela di pugni in sua offensiva, tanto per azione del destro, in nero e solito metallo dai rossi riflessi, tanto con il mancino, in mera carne e ossa. Gragnola di colpi che, se solo avessero reso propria una singola possibilità di raggiungere le forme della propria preda eletta, avrebbero sicuramente ottenuto dirompente effetto su di lei, innescando una reazione a catena dalla quale difficilmente avrebbe potuto serbare qual propria una qualunque possibilità di recupero: terribile offensiva dalla quale, tuttavia, l'altra non volle sottrarsi con ulteriori capriole o volteggi, e che, anzi, la videro mantenersi ora assolutamente immobile, salda sulle proprie gambe, nell'impegnare con mirabolante complementarietà solo le proprie braccia in gesti di puntuale difesa da ogni dritto o mancino a sé destinati, spazzandoli senza tregua lontano dal proprio corpo, dalla propria pallida carnagione, in quella che, per chiunque, non sarebbe potuta essere intesa diversamente da una bizzarra, inquietante e pur affascinante danza.
Forse per pochissimi fuggevoli istanti, o forse per interi e interminabili eoni, simile tempesta si spinse dall'una verso l'altra, apparendo inarrestabile e incontrovertibile. Improvvisamente, comunque, con simile repentinità da rendere giustificatamente improbabile per chiunque far propria reale coscienza, confidenza, nel merito dell'occorrenza di quel medesimo cambio di tendenza in quanto tale, e non quale semplice effetto ottico, frutto di una fugate distrazione, quello stesso movimento offensivo mutò protagonista, passando da una gemella all'altra e, in conseguenza, costringendo la prima a impegnarsi in una pari sequenza di azioni difensive così come, a propria volta, aveva pocanzi obbligato la propria rivale: una traslazione tanto rapida quanto perfetta, quella così avvenuta fra le due donne, tale da rinfrancare, purtroppo, ogni sentimento di disorientamento nei due fratelli loro spettatori, ancora impossibilitati a esprimere qualunque giudizio di merito su chi potesse essere la Figlia di Marr'Mahew e chi la sua gemella malvagia, nei termini precedentemente adoperati dallo stesso Howe.
venerdì 29 luglio 2011
1290
Avventura
027 - Discordia fraterna
« La spada! » esclamò Be'Wahr, con straordinaria enfasi, forse sorpreso, a propria volta, dall'essere riuscito a cogliere un simile particolare in quel folle gioco di differenze fra le due gemelle « La spada bastarda di Midda è… »
Tuttavia, prima ancora che egli potesse terminare la propria esposizione, Nissa, che in tale solo erroneo particolare avrebbe potuto essere riconosciuta in maniera univoca, e, in ciò, avrebbe potuto ritrovarsi in posizione di inferiorità rispetto alla propria gemella e ai suoi storici alleati, reagì con sorprendente prontezza, trasformando una semplice parata, qual quella a cui era appena stata costretta a difesa dei gesti della propria rivale, in un'abile disimpegno e, soprattutto, disarmo, in conseguenza del quale, in maniera del tutto imprevedibile e imprevista per Midda, entrambe si ritrovarono a essere repentinamente private delle proprie spade, proiettate per un istante verso il cielo e, subito dopo, nuovamente a terra, a significativa distanza tanto da loro quanto dai due fratelli.
Prestando attenzione alle due armi, così poste a immediato e ormai semplice confronto, nella loro immobilità, assolutamente evidente sarebbe stato per chiunque cogliere quanto assolutamente diverse, e prive di possibilità di reciproco scambio, esse sarebbero potuto apparire l'un con l'altra. Ove, infatti, la spada bastarda della vera e sola Midda, già da qualche anno, avrebbe potuto far vanto di essere la migliore lama mai forgiata dal mastro fabbro Lafra Narzoi, dell'isola di Konyso’M, a ponente rispetto al regno di Kofreya, l'altra arma, pur di pregevole fattura, non avrebbe mai potuto arrivare a pretendere di dimostrare un'eguale perfezione, una similare eleganza, cura nel più minimo dettaglio, qual la prima, altresì, era capace di offrire alla vista di chiunque, esperto o no d'armi. Questo senza, poi, considerare le pur altrettanto evidenti differenze nelle forme e nelle decorazioni proprie di ognuna delle due spade, l'una caratterizzata da un drago marino emergente dalle profondità di un mare in tempesta, e l'altra, altresì, decorata con una semplice sequenza di disegni tribali, non dissimili dai tatuaggi presenti sul braccio sinistro di entrambe le donne.
Coloro che avessero avuto in passato modo di conoscere la storia propria della spada bastarda di Midda, avrebbero saputo come essa non fosse stata plasmata, dal proprio creatore, quale una lama comune, un oggetto come altri da porre in commercio al pari di molti altri forgiati nella propria lunga carriera di fabbro: quell'arma in particolare, invero e al contrario, era stata creata dall'uomo nel giorno stesso della nascita della propria adorata secondogenita, allo scopo di rendere onore a tale incredibile, importante e prezioso giorno e, soprattutto, nella volontà di forgiare, con essa, una risorsa che avrebbe dovuto ergersi a difesa della propria stessa figliola, proteggendola da tutti i mali del mondo, da ogni insidia a lei eventualmente destinata. Una spada in cui egli aveva, pertanto, riversato tutta la propria arte, tutta la propria abilità, spronato in tal senso da un desiderio, da un'ispirazione che mai avrebbe potuto esser propria di alcun'altra spada, se non, forse, a quella che, qualche tempo prima, aveva forgiato per la propria primogenita e che, tuttavia e purtroppo, egli stesso aveva poi deciso di distruggere, nel giorno in cui tragiche e violente circostanze ne avevano negato la vita e il futuro, privando, in ciò, di qualsiasi ragion d'essere la corrispettiva lama. E solo per uno straordinario scherzo del fato, una serie di coincidenze che, nei canti dei posteri, semplice sarebbe stato definire con il termine "destino", ove anche mai la Figlia di Marr'Mahew aveva prestato fede a un tale concetto, aveva condotto Midda Bontor a Konyso’M, e a quella spada, nel momento in cui essa avrebbe dovuto essere impiegata allo scopo di salvare l'unica erede ancora in vita del mastro Lafra, adempiendo, in ciò, al solo, fondamentale compito per il quale era stata concepita e impedendo alla Storia di ripetersi tragicamente, allora come in passato. Per riconoscenza verso di lei, e nella consapevolezza che nessuno, meglio di quella donna dagli occhi color ghiaccio, avrebbe saputo stringere a sé simile pregiato e meraviglioso manufatto, la spada bastarda le era stata successivamente offerta in dono, e da quel giorno l'aveva sempre accompagnata in ogni propria avventura.
A differenza dei più, Howe e Be'Wahr avevano avuto la non comune, non ordinaria occasione di ascoltare la particolare storia di quell'arma per voce della loro stessa compagna, in occasione, ancora, della loro prima avventura comune, e, in ciò, non avrebbero potuto far propria alcuna possibilità di misconoscere l'unicità di un tale manufatto. E, per un periodo limitato di tempo nel quale la loro compagna d'arme era stata creduta morta, lo shar'tiagho, con ancor maggiore singolarità rispetto a chiunque altro, suo fratello incluso, era stato persino possessore della medesima lama, maturando, in ciò, occasione per apprezzarne le doti in una misura a cui alcun altro, prima o dopo simile evento, era stata concessa possibilità. Malgrado ciò, tuttavia, né l'uno, né l'altro, sino a quel particolare momento, sino all'intuizione del biondo, avevano avuto sufficiente prontezza di spirito per cogliere la pur palese stonatura esistente in una delle loro due accompagnatrici, nell'impostora fra le stesse, ragione per la quale Howe non poté negarsi una pesante sequenza di insulti…
« Giuro su Lohr che non canzonerò più quell'idiota di mio fratello… dal momento che io, fra i due, ho dato riprova di essere il solo e vero imbecille. » si ripromise, sottovoce, sapendo ovviamente di essersi, in tali parole, destinato allo spergiuro, e, ciò nonostante, non cercando alcuna possibilità di immediata ritrattazione.
Nel prendere il posto della sorella, nel tentare di indossarne le vesti e di imporsi agli occhi del mondo quale lei, Nissa doveva essersi, proprio malgrado, ritrovata a confronto con l'insormontabile ostacolo rappresentato dal replicare quell'unico particolare, ove, invero, mai avrebbe potuto convincere alcun fabbro figlio dei mari a impegnare la propria arte secondo le sue specifiche direttive allo scopo di ottenere, se non una copia, per lo meno un'imitazione sufficientemente credibile dell'originale.
Solo pochi, rari fabbri cresciuti a contatto con il mare, e da esso benedetti nella propria stessa nascita, avrebbero dovuto essere riconosciuti, infatti, quali depositari del prezioso segreto alla base di quella particolare lega metallica dagli azzurri riflessi e ne sapevano applicare correttamente le tecniche allo scopo di plasmare armi più resistenti rispetto a qualunque altra prodotta nel l'intero continente di Qahr, se non, forse, del mondo intero. E fra essi, che già pochi, rari esemplari si impegnavano a produrre, al fine di non svalutarne l'importanza, l'unicità, alcuno, neppure ove minacciato o ricattato, avrebbe mai ceduto ad asservirsi a un qualunque padrone per sprecare tale importante talento nel dar vita a una semplice commissione e non a un prodotto capace di rispecchiarne l'arte.
Per tale ragione, impossibile sarebbe stato per Nissa ottenere una replica, e un replica convincente, della spada della propria gemella pur possedendone l'originale o una puntuale rappresentazione. Tuttavia, quando ne aveva interpretato il ruolo all'interno della città del peccato, per convincere i propri interlocutori della propria identità, ella doveva essere comunque riuscita a non smascherarsi, a lasciar credere di esser stata costretta a cambiare la propria spada, anche e soprattutto in grazia della presenza di un'altra arma in eguale prezioso metallo, uniche lame che da sempre Midda aveva prediletto e aveva desiderato al proprio fianco, a costo di spendere quantità d'oro esorbitanti per conquistarle.
Una menzogna, la sua, che in quella situazione non avrebbe potuto trovare spazio d'attecchire, di imporsi qual credibile, ove posta a confronto diretto con la propria antagonista e la sua inconfondibile arma, e che, ciò nonostante, non si rivelò neppure necessaria in grazia di quella più che azzeccata scelta strategica.
« Se solo l'avessi notata prima… maledizione a me! » insistette a colpevolizzarsi lo shar'tiagho, non privo di ragione in tal senso.
Se solo, infatti, egli avesse avuto occasione di prender coscienza un istante prima di tale dettaglio, di simile particolare, non difficile sarebbe stato per lui identificare la propria sola e vera alleata, distinguendola dalla sorella, a lei pur identica, in grazia delle ferite che caratterizzavano l'una e non l'altra, le ferite che egli, proprio malgrado, non avrebbe faticato a individuare nell'aver a lungo lavorato attorno alle stesse, estraendo dalle medesime i vermi carnivori che li avevano attaccati entrambi. Purtroppo, in assenza del discriminante rappresentato dalla spada, e dalla reale proprietà sulla medesima, quelle lesioni, quelle piaghe ancora aperte sulla pelle chiara dell'una e non dell'altra, non avrebbero potuto concedergli il benché minimo aiuto, non potendo sapere se la "propria" Midda avesse da essere considerata la vera Midda oppure no.
giovedì 28 luglio 2011
1289
Avventura
027 - Discordia fraterna
Difficile, nel contesto proprio di una situazione tanto paradossale da apparire quasi onirica, sarebbe potuto essere per qualunque testimone di tutto ciò definire il proprio effettivo coinvolgimento emotivo nella questione, legittimamente diviso fra un senso di timore per quanto la presenza, contemporanea, di due Midda Bontor avrebbe potuto significare per il mondo conosciuto, per l'intero Creato, e un ben diverso sentimento di eccitazione, sin'anche lussuria, che da tale immagine sarebbe potuto derivare, nel porre non semplicemente, nello stesso luogo e nello stesso momento due superbe donne sì ricche di fascino, ancor prima che beltade, da poter irretire qualunque spettatore, ma, soprattutto, nel vederle lì coinvolte in un terrificante conflitto mortale. Battaglia, la loro, che pur rivolta senza alcuna esitazione, senza la benché minima incertezza alla richiesta del sangue e della vita della propria controparte, qual epilogo agognato di una guerra perdurata da troppi anni, non avrebbe potuto trascendere alla propria stessa passione, e, ancor più, alla propria stessa perfezione, nel porre a confronto due figure non solo identiche nell'aspetto, ma, incredibile a dirsi, anche nell'abilità guerriera.
Midda Bontor, la vera e sola Midda Bontor, chiunque fosse fra le due donne lì desiderose di sgozzare la propria rivale, avrebbe potuto offrir vanto di almeno quindici lunghi anni di esperienza mercenaria, divisa fra avventure al limite del possibile, in sfida a mostri e semidei, e meno estasianti, e pur altrettanto truci, battaglie in numerosi conflitti fra gli ancor più numerosi in corso in quel continente, era sempre stata considerata, a ragion veduta, per merito e non di certo per mera chiacchiera, una delle guerriere più pericolose dei tempi moderni, la cui abilità, e la conseguente gloria, nulla avrebbero potuto invidiare agli straordinari protagonisti dei grandi miti del passato. Midda Bontor, a differenza di Be'Wahr, non avrebbe mai avuto ragione per rinnegare l'individualità della propria immagine, non compromettente nel confronto con la propria professione, ma, al contrario, ragione per lei di sicuro impiego, ove il suo nome e la sua fama erano capaci di precederla ovunque. Midda Bontor, al di là di qualunque pur legittima invidia, qual quella inevitabilmente vissuta anche da parte di Howe così come di molti altri, aveva conquistato con il sudore della propria fronte e il sangue dei propri nemici abbattuti tale podio, simile elevazione su profani altari atti a celebrare le concrete vittorie degli uomini e non la dogmatica gloria degli dei. E, malgrado tutto ciò, Midda Bontor, la vera e sola Midda Bontor, colei che, negli ultimi anni, era stata anche e addirittura associata a una dea della guerra in qualità di sua discendenza ideale, Figlia di Marr'Mahew, in quell'occasione non parve riuscire a distinguersi dalla propria controparte, né in grazia della propria agilità, né della propria velocità, né della propria esperienza, né della propria forza.
Nissa Bontor, chiunque fosse fra le due donne lì impegnate a invocare la reciproca disfatta alla comune dea Thyres, non era, né avrebbe pertanto potuto essere giudicata, da meno della propria gemella, a lei formatasi eguale, e forse persino superiore, con il solo, semplice e pur osceno scopo di giungere a quel conflitto, di ritornare a quella battaglia invero già combattuta in gioventù, e da allora, per la viltà della propria gemella, qual pur l'aveva considerata essere, semplicemente rimandata, giorno dopo giorno, settimana dopo settimana, mese dopo mese, stagione dopo stagione, anno dopo anno, sino a quel momento. Lunga attesa, quella propria di Nissa Bontor, la quale pur non era rimasta inoperosa, non si era riservata occasione di indolenza, così come la sua abilità in quel momento stava confermando, e, ancora, così come tutti gli assassinii da lei commissionati o, addirittura, compiuti in prima persona, avrebbero potuto testimoniare.
« Dei… aiutateci… »
Una richiesta di soccorso, una sincera invocazione di aiuto, quella in tutto ciò sorta tanto sulle labbra di Howe, quanto su quelle di Be'Wahr, lì ormai incapaci a considerarsi, ancora, l'un l'altro qual rivali allo stesso modo in cui erano precedentemente giunti, che non avrebbe potuto esprimere in maniera migliore, in termini più opportuni, il pur inevitabile disagio conseguente a tal contesto, nel misto di orrore, ed eccitazione, derivante da quelle immagini.
Energici i muscoli dell'una, quanto quelli dell'altra, sotto pelle tanto chiara dall'apparir pallida, delicatamente ornata, in taluni punti, da spruzzate di efelidi, e più vigorosamente marchiata, in altri, dai tatuaggi tribali in tonalità di azzurro e blu tipici dei marinai di alcuni arcipelaghi a sud dell'estensione dell'influenza tranitha, guizzavano incessanti, tendendosi e rilassandosi ritmicamente ad accompagnare ogni singolo movimento, compiuto, l'una nel rispetto della propria antagonista, in costante e completa complementarietà. Fermi gli sguardi dell'una, quanto quelli dell'altra, da occhi tremendamente chiari, nelle proprie tonalità di azzurro, da apparir allora più che mai quasi indistinguibili dal resto del bulbo, nel proprio intrinseco ghiaccio, mantenevano continuo e inamovibile contatto, in una sfida che sarebbe dovuta essere necessariamente combattuta anche sul piano psicologico oltre che su quello fisico, e in un combattimento che, a tale livello di reciproca esperienza, preparazione, formazione, non avrebbe perdonato, né nell'una, né nell'altra, la benché minima distrazione, fosse anche nella rincorsa, con il proprio sguardo, dei gesti avversari, delle movenze condotte a proprio discapito. Labbra carnose piegate verso il basso nelle proprie estremità; bianchi denti serrati sotto le medesime, a lasciar emergere in misura maggiore rispetto al consueto i loro zigomi; petti palpitanti e scandenti, nel ritmo dell'una così come in quello dell'altra, due battiti cardiaci, e due respirazioni, mantenute nella più completa sincronia, tal da far supporre quello qual più prossimo a un atto d'amore che a uno di guerra, tale la loro reciproca armonia: questi alcuni fra i dettagli che mai avrebbero permesso di intuire a quale delle due antagoniste sarebbe stato corretto rivolgersi con il nome di Midda e a quale, altresì, con quello di Nissa. Persino il tanto affezionato scudiero della Figlia di Marr'Mahew, Seem, forse presente, o forse no, al di fuori di quel santuario, in un tal frangente, avrebbe potuto far propria sincera difficoltà a intuire a quale fra loro avrebbe dovuto rivolgersi con il termine: « Mia signora. ». Così come, parimenti, forse e anche lo stesso Be'Sihl Ahvn-Qa, suo amato e attuale amante, ove posto qual mero spettatore di simile combattimento, avrebbe potuto definire concreta incertezza su quale fra loro avrebbe potuto apostrofare qual: « Mia signora. ».
Qual possibilità, pertanto, avrebbero mai potuto riservare propria Howe o Be'Wahr, nell'essersi ritrovati, entrambi, coinvolti con entrambe le figure lì ora in battaglia, ed essendosi entrambi pur convinti dell'effettiva veridicità della propria qual sola e vera alleata?
Indifferenti, ovviamente, a tale dilemma, a tanta confusione in tal modo creata, forse stolidamente, nei due uomini, Midda e Midda, o, in effetti, Midda e Nissa, continuavano nel loro reciproco confronto, sole, in quell'intera questione, a poter essere realmente certe nel merito delle proprie identità. Dopotutto, solo la vera Midda, in tutto ciò, appariva vestita, all'altezza dei propri sempre apprezzati seni, da vera pelliccia di sfinge, ricordo delle sue recenti avventure in terra shar'tiagha, là dove era stata costretta, per forza ancor prima che per mera volontà, ad associare il proprio nome a nuove, straordinarie imprese. Solo la vera Midda, per amor del dettaglio, non avrebbe rivelato alcun avambraccio, o mano, destra sotto la nera armatura dai rossi riflessi lì presente a protezione di entrambe, per lei non mera difesa, quanto, piuttosto, surrogato di quanto da lei perduto proprio in conseguenza delle colpe, dei crimini della propria gemella, divenuta pirata. E, ancora, solo la vera Midda, attorno al proprio braccio mancino, non stava indossando un qualunque bracciale dorato di foggia shar'tiagha e rappresentate il dio Ah'Pho-Is per semplice vanità, ma un monile realmente dedicato all'oscuro signore in questione, e lì a lei utile allo scopo di assicurarsi protezione dall'ancor più oscura e negativa influenza del semidio drammaticamente eletto a proprio sposo, Desmair, intrappolato in una dimensione estranea alla loro realtà, e pur, in grazia al loro sacro vincolo d'unione matrimoniale, in grado di perseguitarla con terribili incubi e visioni in assenza di quel particolare rimedio. Piccoli, ma significativi particolari, quelli così presenti a definire l'identità dell'una da quella dell'altra, che in un diverso contesto forse sarebbero potuti essere apprezzati persino da un osservatore esterno alle due avversarie, e ovviamente informato nel merito di tutto ciò, ma che, nel mentre di quel rapido e incalzante confronto mai avrebbe potuto essere utile a comprendere chi fosse chi, a dividere Midda da Nissa.
Tuttavia, accanto a quegli stessi dettagli, un altro avrebbe dovuto essere preso in considerazione, e, in una certa misura, ritenuto qual apprezzabile anche a una certa distanza dallo scontro, quale quella a cui, tanto Be'Wahr su un fronte, quanto Howe, sull'altro, si stavano ritrovando costretti a permanere, obbligatoriamente indifferenti a qualunque altro pericolo sarebbe potuto, allora, piombare sulle loro teste dall'alto della statua di Thatres. E di tale minuzia, incredibile a dirsi, non fu il più attento Howe a maturare coscienza, ma il suo abitualmente meno arguto biondo fratello…
mercoledì 27 luglio 2011
1288
Avventura
027 - Discordia fraterna
« Grazie per il tuo supporto morale. Lo apprezzo moltissimo… » rispose ella, similmente istigata, facendo propri ora toni più definiti e rivolti al consueto sarcasmo, caratteristica inflessione della propria voce « La prossima volta in cui mi sarà concesso di incontrare l'autore di questa storia, presenterò formale protesta per non essersi sforzato un po' di più… » ne scimmiottò i toni, cercando, in quel modo, di recuperare controllo su di sé e sulle proprie emozioni, per un effimero momento purtroppo perduto in conseguenza di quanto occorso.
Impossibile per la medesima, e forse per il suo stesso interlocutore, fu comunque successivamente conoscere se e come egli avrebbe potuto desiderare far propria una nuova replica a quelle parole, a simile ironia rivolta, solo formalmente, in proprio contrasto, per quanto nota qual sostanzialmente destinata al fato e agli dei tutti, soli reali artefici della carente originalità nello scegliere, almeno in quella nuova sua avventura, una simile antagonista per la Figlia di Marr'Mahew.
Prima ancora che egli potesse solo ipotizzare di formulare una qualunque asserzione a controbattere a una simile provocazione, infatti, gli eventi assunsero rapidamente una nuova direzione o, più semplicemente, raggiunsero alfine la sola, auspicabile conclusione conseguente alla rottura di quel grande occhio di vetro, nel veder la donna guerriero là sopra svelatasi essere sospinta verso il basso per azione del proprio stesso compagno…
« Thyres! » esclamò la donna prossima a Howe, sgranando gli occhi con sorpresa a quell'inattesa svolta, per un solo, effimero, fuggevole e pur meraviglioso istante entusiasta, o sconvolta, all'idea di come tutto sarebbe potuto così finire, di come quella questione vecchia almeno quanto lei stessa, avrebbe potuto in tal modo essere definita nella fine della propria controparte, della propria gemella, se pur non per sua mano, in grazia di un suo intervento diretto così come era convinta sarebbe dovuto avvenire.
Tuttavia, a non concedere la benché minima opportunità di fraintendimento sulle proprie intenzioni, nel merito delle proprie ragioni in tal senso, una frazione di tempo sì infinitesimale da non poter neppure essere apprezzabile in termini di un battito cardiaco oppure di un fremito di ciglia, il biondo già protagonista di quell'atto a discapito della propria compagna, proiettò anche se stesso al di fuori di quella statua e in direzione del pericoloso vuoto lì loro sol destinabile.
Un volo di una trentina di piedi, sarebbe lì potuto essere quello di Be'Wahr e della "propria" Midda, o Nissa che ella fosse, dagli esiti potenzialmente lesivi, se non, persino, mortali, dal momento in cui, ad attenderli, non sarebbe stata alcuna morbida, accogliente superficie utile ad attutire colpo, a disperdere la violenta energia cinetica da loro così invocata qual propria, se nonché simile atto non avrebbe dovuto essere riconosciuto né qual potenzialmente omicida, a discapito della donna, apparentemente vittima di tutto ciò, né, tantomeno, suicida, da parte dell'uomo, impossibile da analizzare nelle proprie ragioni, per i due distanti testimoni di tal vicenda. Ragione per la quale, pertanto, attorcigliato sia al braccio destro, in nero metallo, della donna, sia a quello sinistro, in semplice carne, dell'uomo, poté essere individuata, tanto dallo sguardo attento dello shar'tiagho, quanto a quello ancor più concentrato della propria compagna, la presenza di una robusta corda, l'altra estremità della quale, retorico a considerarsi, si palesò qual saldamente ancorata da qualche parte all'interno del capo di Thatres dal quale, in tali gesti, i due avevano voluto ricercare evasione.
« … diamine… » sussurrò Howe, seguendo con occhi sgranati quella sequenza incredibilmente audace, e dai tratti indubbiamente folli, responsabile della quale, almeno nelle imprecazioni che riuscirono a rimbombare a opera della voce di Midda, e non di quella presente accanto a sé, avrebbe incredibilmente dovuto essere riconosciuto il proprio biondo fratello, in un raro, e pur non così unico, lampo di genio.
Evidente, trasparente, ovvio avrebbe dovuto essere infatti osservato come, in tal gesto, nel balzo che ne seguì e nella successiva, rapida, discesa verso il basso, verso la loro stessa posizione, Be'Wahr dovesse aver ritenuto indispensabile tutto ciò per garantire loro occasione di fuga, di evasione da un pericolo non immediatamente riconoscibile in quel contesto, e pur tale da rendere apprezzabile quell'insano salto ancor prima di una qualunque battaglia. Altrettanto evidente, trasparente, ovvio avrebbe poi dovuto essere valutato come, nelle proprie espressioni, quell'altra Midda, non avrebbe dovuto essere considerata qual sufficientemente convinta di tale decisione, simile strategia e sua immediata attuazione.
Un mistero, quello relativo allo stimolo originale di simile volo, che non restò, comunque, a lungo tale, dal momento in cui, ancor prima che l'uno e l'altra potessero guadagnarsi occasione di completare la propria discesa lungo le irregolari forme della statua, un violento, feroce latrare riuscì a imporsi al di sopra della voce della donna, rendendo subito comprensibile, almeno all'attenzione dello shar'tiagho, il perché di tutto quello… in una rivelazione tale da farlo essere, allora, incerto fra lo scoppiare a ridere o il demoralizzarsi profondamente, tutt'altro che nuovo a simili, ridicole trovate da parte del proprio compagno per ovviare al rischio di ritrovarsi costretto a uccidere dei cani.
« Be'Wahr… fratello mio. » commentò quasi fra sé e sé, scuotendo il capo con un dolce sorriso sul viso, qual giusto compromesso fra le due diverse, intime emozioni allora vissute « Sei impagabile… »
Meno interessata alle cause di quel gesto, quanto, piuttosto, alle conseguenze del medesimo, e in ciò non dissimile dalla propria sorella gemella, qualunque fosse il vero nome dell'una così come dell'altra, Midda Bontor, o colei che, sino a quel momento, egli aveva considerato essere tale, non rivolse la benché minima attenzione in direzione ai cani così comparsi sul bordo inferiore di quell'occhio infranto, né in direzione dei possibili referenti per i medesimi che, ipoteticamente, di lì a poco sarebbero potuti apparire, a svelare come quel santuario non avesse da essere ritenuto sì abbandonato qual era stato giudicato negli ultimi cinque secoli: al contrario, ella indirizzò tutto il proprio interesse, e, in ciò, anche il proprio stesso corpo, alla volta della propria identica rivale, chiaramente decisa a non concederle di riprendere fiato una volta raggiunto il suolo ma, anzi, sol desiderosa di decretarne la fine, così come, sfortunatamente, non era stato interesse di Be'Wahr provvedere a compiere.
Una scelta, quella da lei compiuta, una battaglia, quella da lei ricercata, che, in effetti, non parve prevedere nulla di diverso da parte della propria controparte, la quale, se pur raggiunse il suolo prima di potersi ritrovare a essere vittima dell'altra, non prese in esame alcuna possibilità volta al riposo, quanto, e piuttosto, all'immediata estrazione della propria arma, della propria spada, armata con la quale si proiettò immediatamente ad affrontare la sola nemica realmente definita qual tale all'interno di quell'intero complesso sacro o, forse, su tutta quell'intera montagna, in cima alla quale il santuario era stato eretto.
« Lohr… » gemette Howe, osservando quanto stava accadendo e, in tutto ciò, ben lontano dal potersi definire qual felice, qual soddisfatto dalla piega assunta da quegli eventi.
Un'insoddisfazione, un'infelicità, la sua, che non avrebbe dovuto essere erroneamente ed egoisticamente ricollegata al ruolo di secondaria importanza al quale, paradossalmente, sia lui sia suo fratello, coloro che avrebbero dovuto essere i soli, reali, protagonisti di quella missione, stavano venendo in tal modo relegati, né, parimenti, al ruolo di secondaria importanza al quale, invero, persino la loro stessa missione stava venendo in tal modo relegata, quanto, e piuttosto, a una tragica consapevolezza tanto evidente, tanto palese, che persino il non sì acuto suo biondo compare non ebbe difficoltà a evidenziare…
« … qui le cose si fanno molto, molto complicate… » sussurrò Be'Wahr, conquistando a sua volta contatto con il pavimento e, al termine di ciò, ritrovandosi a essere non più entusiasta del proprio complice di sempre « Come accidenti potremo distinguere l'una dall'altra?! »
martedì 26 luglio 2011
1287
Avventura
027 - Discordia fraterna
Dal punto di vista proprio di colui in tali termini già dato per morto, Howe, e della sua compagna inizialmente riconosciuta qual Midda, e pur, nelle parole della propria gemella e rivale, così altrimenti identificata qual Nissa, quanto lì accadde non si svolse, invero, con maggiore chiarezza, trasparenza nei propri risvolti, rispetto a quanto parallelamente vissuto dall'altra coppia, loro dubbia antagonista o alleata, ancor impossibile a definirsi con certezza nel contrasto di emozioni esistenti in loro comune direzione.
Costretti immediatamente a porsi in stato d'allarme innanzi alle non meglio comprese, né apprezzate, vibrazioni provenienti dall'imponente statua del dio, l'uomo e la donna, l'uno nudo e l'altra rivestita, non avevano serbato qual propria esitazione alcuna a impugnare le proprie spade e a porsi in nervosa attesa di qualunque sviluppo: ove pur, nell'assenza di immediati sviluppi, essi avrebbero potuto essere indotti a ritenere quella scossa, e i suoni a essa collegati, qual sì privi di reale significato, forse, e addirittura, non manifestazione di qualche sviluppo in loro avversione, reazione diretta alla loro lì subentrata presenza, quanto e piuttosto, banalmente, conseguenza di un meccanismo comunque già in moto da cinque secoli, nella propria esperienza, e nella propria più che corretta, e apprezzabile, paranoia, né l'uno, né l'altra avrebbe gradito compiere la leggerezza di prendere in esame tale opportunità in maniera fine a se stessa, salvo poi ritrovarsi a costretti a maledire i propri stessi nomi per aver agito in maniera terribilmente sciocca nel sottovalutare un problema, una questione, una minaccia. Non un solo suono, non un gemito, non un sospiro, intercorse pertanto fra loro, guerrieri temprati da troppe battaglie, avventurieri forgiati in troppe imprese, per abbisognare di un qualche genere di confronto verbale, o anche solo visivo, per coordinare le rispettive azioni, i propri, reciproci, movimenti.
In quel particolare frangente, in effetti, ogni precedente avversità ipoteticamente presente ancora all'interno del cuore di Howe, e tale non per concreta malizia, per una effettiva inimicizia verso di lei, quanto, e piuttosto, per consueta abitudine, requisito minimo e indispensabile per permettersi di sopravvivere in un mondo qual il loro, venne allora istantaneamente dimenticata, spazzata via dal suo cuore e dalla sua mente senza incertezza alcuna, associando nuovamente alla figura della donna solo e unicamente l'immagine della propria compagna di ventura, della propria camerata già reduce, insieme a lui, di troppi scontri, di troppe lotte per poter addebitare al suo valore, alla sua audacia, alla sua forza qualunque dubbio di sorta: Midda Bontor, in tutto quello, era e sarebbe stata riconosciuta, da parte sua, quale la sola persona, subito dopo il proprio fratello d'arme Be'Wahr, che mai egli avrebbe potuto bramare al proprio fianco in una tale situazione, in un simile contrasto, nell'assoluta e ferma certezza di poter riporre nelle sue mani ogni propria speranza di sopravvivenza, non quale atto di remissiva passività, ma di combattiva alleanza, da pari a pari, da alleato ad alleata, da fratello a sorella, uniti in tutto ciò non da un vincolo di sangue, quasi sempre effimera, labile motivazione di fedeltà, quanto, e piuttosto, da un vincolo d'onore.
Gli istanti trascorsero lenti, accumulando con flemma irrefrenabile un carico sempre maggiore di tensione sulle menti e sugli animi dei due combattenti, ancora immobili, ormai divenuti a loro volta simili a statue, in attesa di un qualunque sviluppo, di una qualsivoglia evoluzione che offrisse loro evidenza su qualche genere di creatura mostruosa, mitologica o semidivina sarebbe stata alfine loro imposta di affrontare. Un'attesa nel corso della quale il loro sangue si saturò rapidamente di adrenalina, energizzando le loro membra provate e dolenti, i loro corpi feriti e stanchi, e offrendo loro, in ciò, energia sufficiente fosse anche per affrontare un intero esercito ove fosse stato loro domandato.
In ciò, quando alfine, e inaspettatamente, uno degli occhi cristallini della rappresentazione di Thatres esplose rumorosamente, non un solo sobbalzo di spavento, di timore, di ritrosia caratterizzò entrambi, vedendoli, altresì, serrare entrambi e maggiormente le proprie dita attorno alle impugnature delle proprie armi, tendendo in tal punto la propria pelle a dismisura e sbiancando, di conseguenza, le nocche dei propri pugni, sotto tale, visibile e percettibile sforzo.
« … Lohr… » sussurrò, fra i denti, lo shar'tiagho, invocando il nome della propria divinità prediletta forse in un istintivo voto alla medesima, per raccomandare il proprio spirito immortale alle sue grazie nel momento in cui quella vicenda non si fosse conclusa nei modi più auspicabili da parte sua.
Quanto, tuttavia, accadde a seguito di quella deflagrazione, o, in effetti, quanto si scoprì essere causa della medesima, ebbe modo di sorprendere i due in misura estremamente più incisiva di quanto mai avrebbe potuto avvenire nel ritrovarsi a confronto con un qualunque genere di orribile mostruosità, o, persino, una manifestazione corporea del medesimo dio. Perché, oltre quell'occhio infranto, ciò che essi ebbero occasione di osservare, ancor in parte immersi nelle tenebre, furono i volti e i corpi di un uomo e di una donna quali loro: ma non un uomo e una donna qualsiasi, quanto, piuttosto e incredibilmente, il biondo Be'Wahr e… nuovamente Midda Bontor!
« Nissa… » gemette la donna guerriero, quasi soffocata dalle proprie personali emozioni nel confronto, dopo tanti anni, con quella gemella che, sinceramente, avrebbe preferito dimenticare, avrebbe gradito escludere per sempre dalla propria esistenza, e che, malgrado ne avesse rispettato ogni crudele imposizione, mai si era dimostrata appagata nel confronto con lei, insistendo a perseguitarla, a rovinarle la vita a ogni occasione utile, giungendo, persino, a rubarne l'identità, così come lì trasparentemente dimostrato.
« … quella è Nissa?! » replicò Howe, non negandosi concreto e sincero sbalordimento innanzi a simile immagine, là dove, malgrado la distanza esistente fra loro, impossibile sarebbe stato per lui non riconoscere, nelle inconfondibili fattezze di quella figura femminile, quanto sino a quel momento considerato unico e inimitabile « Lohr… ma ella è te… tu sei lei… cioè… siete dannatamente uguali! » sbottò, non riuscendo a negarsi una certa inquietudine in simile confronto, a tale rivelazione.
« Credevi che scherzassi quanto te l'ho detto? » sussurrò la Figlia di Marr'Mahew, ancora quasi priva di voce, nell'offrirsi non meno sconvolta, rispetto a lui, davanti alla propria immagine riflessa… anzi… alla propria imitazione perfetta, ove nessuna specularità avrebbe potuto permettere di identificare, fra le due, quale fosse l'originale e quale la copia « Una città intera ritortasi contro di me avrebbe dovuto essere riprova sufficiente per te per apprezzare tale suo successo nello spacciarsi per me… »
Ma Howe, per quanto animato dai migliori propositi verso la propria interlocutrice e le sue parole, in quel frangente non avrebbe potuto offrirle particolare attenzione, concreto interesse, nel porsi, oggettivamente, troppo preoccupato dall'incredibile finestra di opportunità, e di opportunità in contrasto suo e di suo fratello, che insieme alla rottura di quell'occhio, e alla manifestazione di quella seconda Midda, avrebbe dovuto essere riconosciuta qual dischiusasi innanzi a loro.
Perché ove egli, in quello stesso momento, stava osservando il proprio amico di sempre fianco a fianco con una donna in tutto e per tutto identica alla medesima donna lì presente accanto a sé, in nome di quale divinità sarebbe mai riuscito a distinguere quale fra le due fosse realmente Midda… e quale, altresì, avrebbe dovuto essere nominata qual Nissa? E, soprattutto, in simile palese impossibilità, in grazia della benevolenza di quale dio o dea egli avrebbe potuto considerarsi certo che colei con cui stava allora parlando fosse la vera Midda Bontor, così come a lui presentatasi, e non la sua gemella malvagia?!
« Non hai modo per distinguerci… non visivamente, intendo. » confermò, con tono malinconico e contrito la mercenaria accanto a lui, quasi ne avesse colto i pensieri pur rimasti inespressi o, forse e più semplicemente, ne avesse intuito le emozioni, allora sin troppo chiaramente dipinte sul suo volto « Ed era proprio a questo punto che avrei preferito non arrivare. »
« … gemella malvagia?! » scandì egli, offrendo voce al proprio ultimo pensiero, alla propria ultima tacita questione così da lei pur compresa « … dannazione, Midda! Ti rendi conto che tutta questa maledetta storia è così folle e assurda che nessun bardo la riterrebbe degna della benché minima attenzione? » la rimproverò, estemporaneamente riconoscendole ancora la propria identità, più per abitudine che per concreta convinzione « Avresti potuto sforzarti un po' di più… » incalzò, quasi ad attribuirle, in ciò, la responsabilità per una svolta ritenuta degna del suo nome, delle sue avventure.
lunedì 25 luglio 2011
1286
Avventura
027 - Discordia fraterna
In conseguenza diretta di quelle parole, fu così decretato il turno della donna guerriero per restare estemporaneamente e fugacemente priva di possibilità di verbo, nella necessità di esaminare la posizione assunta dal proprio interlocutore e decidere in che termini potersi confrontare con essa.
Né Be'Wahr, e neppure Howe, dopotutto, erano mai stati suoi avversari, come giustamente aveva appena reputato necessario ribadire lo stesso biondo, ragione per la quale, prima di dichiarare aperta battaglia all'uno, e andare in ciò in altrettanto aperto contrasto anche agli interessi, ai desideri del secondo, ella avrebbe dovuto riservarsi necessari e legittimi dubbi sull'effettiva, eventuale utilità di un proprio comportamento in tal senso.
« E da quando sai scandire termini come "paradossalmente"?! » ironizzò ella, scadendo, probabilmente, nel banale con tale scelta di termini e di toni, e pur, al contempo, in ciò definendo implicitamente il proprio assenso alle sue posizioni, alla tesi da lui enunciata e difesa con tanta maturità e, forse, persino saggezza.
« Ora sei tu che inizi ad assomigliare a mio fratello… » contestò egli, aggrottando per tutta e sola risposta la fronte, nel riprendere la medesima osservazione poco prima formulata da parte della stessa donna a suo ipotetico discapito, quasi, comunque, essere paragonati allo shar'tiagho avesse da considerarsi lesivo.
« Diamine! » esclamò la mercenaria, volgendosi nuovamente a osservare la finestra e, attraverso essa, la propria gemella e, accanto a lei, l'uomo in questione, ancora nudo e ancora in posizione di guardia, a disporsi qual pronto innanzi a potenziali pericoli « Sinceramente spero proprio di no… » soggiunse, inarcando il sopracciglio destro e, con esso, il corrispettivo angolo delle proprie carnose labbra, in un'espressione trasparentemente sarcastica « Senza voler criticare i tuoi gusti, preferisco ancora il mio corpo al suo. Poi, per carità… se piace a te… »
« Ma… » tentò di protestare l'altro, in conseguenza di quell'implicito questione riguardante i propri gusti e, ancor più, la propria stessa virilità, salvo, in una terribile sensazione di déjà vu, ritrovarsi nuovamente costretto a lasciar in sospeso l'intera questione, nell'essere repentinamente distratto dall'ennesimo sviluppo totalmente inatteso.
Una moltitudine di caotici suoni, infatti, si imposero in maniera particolarmente vivace, prima, e violenta, poi, all'attenzione tanto dell'uno, quanto dell'altra, provenendo chiaramente da qualche livello inferiore rispetto a quello da loro già raggiunto nel corso della discesa lungo quella scala a chiocciola. Suoni che, in un primo momento appena percettibili, divennero sempre più distinguibili, sempre più chiari non solo nella propria presenza, ma, anche e ancor più, in alcuni particolari dettagli riguardanti la propria intrinseca natura, permettendo di definire, al contempo, voci umane, o presumibilmente tali, e latrati canini, o, ancora, ipoteticamente tali. Uomini e cani, pertanto, che dal fondo della stessa scalinata, dello stesso passaggio nel quale si erano allora sospinti attraverso il varco nella fontana, stavano velocemente risalendo nella loro direzione, facendo propri dei toni, e una chiara enfasi, difficilmente giudicabile qual conseguente a una bramosia di accoglienza nei loro stessi riguardi, a un desiderio di tendere, verso la coppia di avventurieri e mercenari lì sopraggiunta con intenti predatori, le proprie mani in gesto di fiducia e di amicizia.
In ciò, quanto presunto abbandonato da almeno cinque secoli, si dichiarò, improvvisamente e straordinariamente, tutt'altro che tale, negando la Storia per così come risaputa e offrendo, nel merito proprio di quel particolare santuario, spazio a clamorose esigenze di revisionismo, utile a correggere quanto erroneamente dato per vero con quanto, altresì, lì sarebbe stato presto loro presentato. Rivelazione incredibile che, tuttavia, ebbe allora quali primi, e principali, effetti sui due testimoni di tutto ciò, reazioni ben distanti da sorpresa o stupore per quanto, in ciò, stava venendo loro imposto…
« Stupida. Stupida, dannatissima idiota! » si rimproverò la Figlia di Marr'Mahew, allungando in ciò la mano verso l'elsa della propria spada e pur, ancora, non estraendola, nel ritrovarsi, proprio malgrado, costretta al confronto con l'angustia propria di quel passaggio, di quella scalinata, appena sufficiente a permettere loro il movimento discensore e, forse, di sguainare le propria arma, e pur spiacevolmente inadeguato a garantire loro occasione per gestire adeguatamente le proprie lame « Quella dannata fontana era troppo pulita per poter essere giudicata priva di manutenzione da cinquecento anni: ecco cosa non mi aveva convinto prima… stupida idiota che sono! »
« Oh… no. » sospirò il biondo e muscoloso guerriero accanto a lei, ignorando il riferimento alla questione che pur, tanto, lo aveva precedentemente assillato in favore di un altro argomento giudicato allora evidentemente più rilevante e urgente da affrontare, almeno con il proprio stesso intelletto, ancor prima che con la propria compagna « Non dei cani. Per favore… non dei cani. »
Ma pur dove rabbia, ira, collera avrebbe indubbiamente dovuto essere riconosciuto il sentimento alla base delle parole di Midda, emozione rivolta in tutto ciò solo e unicamente verso se stessa, per quanto superficiale si stava in tutto ciò colpevolizzando essere; altresì non semplice timore, paura, fobia avrebbe dovuto essere addebitata al suo compagno, che già particolarmente debole aveva dato modo di dimostrarsi innanzi a semplici, innocui e piccoli serpenti, quanto, e invece, intimo dispiacere per tale scoperta, simile dettaglio, tale da suggerire la prossima necessità di un confronto, e probabilmente un confronto sanguinoso, con un branco di cani addestrati alla guardia. Dispiacere, il suo, conseguente a un particolare amore per simili animali, tali da rendergli estremamente difficile persino ipotizzare di imporre loro danno di sorta, preferendo, indubbiamente, massacrare dei propri simili, altri essere umani, piuttosto che levare un solo pugno in contrasto a dei cani. E sebbene, nel merito di quel suo odio per i serpenti, la mercenaria avesse già avuto occasione passata di confronto, tale da ben comprendere e valutare i suoi particolari limiti in situazioni eventualmente coinvolgenti simili rettili; di quel suo spassionato amore per i cani ella era rimasta, sino a quel momento, del tutto inconsapevole, tale da non potersi assolutamente riservare la benché minima possibilità di prevedere i termini della reazione che l'altro avrebbe potuto, e lì volle, rendere propria al fine di ovviare a quella stessa battaglia.
Così, quand'ella, mantenendo il proprio sguardo rivolto innanzi a sé, per valutare il momento più opportuno a sguainare la propria arma in funzione di quanto sarebbe stato loro presentato, udì il violento, e inconfondibile, suono conseguente alla rottura di un vetro, o altro simile materiale egualmente infranto, non ebbe subito possibilità di intuire come, a sfondare una delle due ampie finestre prossime a loro, fosse stato lo stesso Be'Wahr, e non, piuttosto, un qualche dardo scagliato a loro discapito da lontano. Tuttavia, ove un qualunque proiettile lì vilmente mirato, avrebbe provocato un'esplosione di schegge di vetro verso l'interno dello stesso passaggio segreto, non sì complesso fu per lei intuire come quanto occorso avesse da addursi al proprio stesso compare, ragione per la quale inevitabile fu l'imporsi, di un semplice interrogativo…
« Thyres! » esclamò, riuscendo a trattenere a stento l'irritazione per quel gesto non compreso, non apprezzato, ove atto a negare loro l'unico, reale vantaggio già precedentemente esposto nel confronto con la coppia rappresentata da Nissa e da Howe « Perché accidenti hai compiuto una mossa tanto stolida?! »
« Perché non ho alcuna intenzione di ritrovarmi ancora costretto ad accoppare dei poveri cuccioloni innocenti… e perché, comunque, qui dentro non abbiamo spazio sufficiente a combattere! » argomentò l'altro, cercando di difendere la propria prima, e più sincera, replica, con le motivazioni più o meno difendibili del proprio immediato incalzare « Dobbiamo andarcene di qui… ora! »
« Che Thyres ti maledica, razza di grosso idiota figlio d'un cane! » contestò la Figlia di Marr'Mahew, non concedendogli, in tal senso, alcuna ulteriore possibilità d'indulgenza, di tolleranza, e attaccandolo, seppur solo verbalmente, con impeto mai dimostrato prima verso di lui, non solo in quell'ultima avventura insieme, ma, anche, in ogni loro altra e precedente occasione di collaborazione « Possibile che tu non ti renda conto di come, per salvaguardare l'incolumità di qualche dannatissimo sacco di pulci, tu abbia appena condannato tuo fratello a morte?! »
domenica 24 luglio 2011
1285
Avventura
027 - Discordia fraterna
« … cosa?! » sussurrò egli, ritrovando alla fine, naturale connessione alla precedente asserzione rimasta in sospeso, sebbene mutandone radicalmente il significato « Che razza di magia è… questa? » questionò, cercando, istintivamente, di razionalizzare ciò che stava osservando, quanto offerto al suo sguardo, adducendo la responsabilità dello stesso a un qualche strano genere d'incanto, ancor prima che prendere in esame la soluzione più semplice, meno mistica, e, quasi sempre, la più corretta.
Soluzione alternativa che, allora, venne scandita da parte della voce di Midda, meno sconvolta rispetto a lui, anzi, ritornata a essere incredibilmente fredda, distaccata, glaciale, quasi ultraterrena nel proprio totale rifiuto di ogni emozione: « Non è magia: sono solo due finestre… e quella è mia sorella Nissa! »
Quanto, in quelle parole, era stata così definita quale una coppia di finestre, in effetti era tale, sebbene difficile sarebbe stato riconoscerla qual egualmente tale da un punto di vista esterno al loro… un punto di vista fisicamente esterno al loro e alla posizione occupata, in quel momento, da parte dei due.
Midda e Be'Wahr, senza consapevolezza alcuna a tal riguardo, attraverso il passaggio dischiuso alla base della fontana dopo l'arresto dello scorrere dell'acqua al suo interno, avevano guadagnato occasione utile a violare l'intimità stessa dell'enorme statua presente nell'area principale del santuario, la medesima erezione dalle mani della quale non si limitava a fuoriuscire un semplice getto d'acqua, pari a quello da loro pocanzi arrestato, quanto, e piuttosto, la sorgente stessa di quello che, a diverse miglia a valle da lì, sarebbe potuto essere indicato quale uno fra i maggiori fiumi di tutta Tranith, nonché il maggiore di quella particolare penisola del regno. All'interno di quella che, pertanto, avrebbe potuto essere individuata quale la colonna vertebrale stessa della possente scultura impostasi prepotentemente, in conseguenza indiretta delle loro stesse azioni, all'attenzione di Howe e di Midda, dell'altra Midda in quel momento accusata di essere, altresì, Nissa, i due compagni di ventura erano discesi sino a raggiungere l'altezza dei grandi e cristallini occhi di quella stessa divina rappresentazione, occhi che, seppur da un punto di vista esterno a quel contesto segreto, erano e continuavano a essere assolutamente imperscrutabili nella loro glaciale presenza, dalla loro posizione alternativa nulla di diverso da concrete finestre, di forma tonda, avrebbero potuto essere supposte nella propria presenza e utilità. Varchi attraverso i quali riservarsi occasione di dominare, con lo sguardo, sull'intero tempio a loro lì sottostante, sulla sua vastità, sulle sue forme irregolari e fantasiose, sulle sue vetrate e, ancora e soprattutto, sui suoi altri e soli due inquilini.
Presenze umane che, senza sforzo alcuno, senza la benché minima fatica, vennero pertanto riconosciute nella propria identità.
« Lohr… » gemette il biondo, sospingendosi appena in direzione della finestra, per meglio osservare e valutare la situazione, non mancando di ricercare psicologica sicurezza nel contatto con il proprio coltellaccio, là dove lo aveva riposto, benché il dislivello fra loro non avrebbe dovuto concedere alcuna occasione di immediata battaglia « … è identica a te… »
« Credevi che scherzassi quanto te l'ho detto? » replicò la mercenaria, con tono di inevitabile rimprovero a quella constatazione tanto retorica da apparir non solo grottesca in quel momento, ma, addirittura e peggio, di insulto verso di lei « Quella maledetta cagna si sta spacciando per me… e, che Thyres mi possa fulminare, ha purtroppo raggiunto il tuo compare prima di noi. »
Parole severe, sentenze prive d'ogni possibilità d'appello, quelle in tal modo scandite dalla Figlia di Marr'Mahew, che non parvero volersi comunque concedere alcuna inflessione di rabbia, d'ira, nel confronto della propria antagonista, della propria nemesi di sempre, colei per contrastare la quale si era impegnata a ricercare i due fratelli, salvo, purtroppo, giungere tardivamente a loro, così come ormai stava apparendo inconfutabile. Per la rabbia, per l'ira, sicuramente vi sarebbe stata occasione futura di sfogo: in quello specifico contesto, cedere a simili emozioni sarebbe equivalso a concedere all'altra un'ulteriore vantaggio su di lei, premio che non desiderava assolutamente riconoscerle. In tutto ciò, pertanto, ella non solo si era imposta il maggior distacco emotivo possibile, ma, anzi e ancor più, si era costretta alla più rapida analisi della situazione, tale da permetterle, ancor prima di qualsiasi precedente e ulteriore commento del proprio camerata, non solo di riservare qual propria la massima confidenza con quell'intero ambiente, ma anche di esaminare ogni possibilità da loro lì percorribile e, con esse, di esprimersi, in intima sfida con se stessa, sulla strategia migliore da adottare per non sprecare l'occasione allora garantitale da quell'inatteso risvolto. E, ancor più, da quell'inattesa benedizione divina, qual solo avrebbe potuto essere interpretata.
Un'occasione importante, vantaggio forse e persino fondamentale nel confronto con le possibili conclusioni alternative di quella stessa giornata, che, per loro fortuna, Midda si poté considerare certa non stesse contemporaneamente e reciprocamente venendo offerto all'altra coppia, nel comprendere quanto, in grazia dell'oscurità lì imperante, lei e il proprio compagno fossero del tutto invisibili dall'esterno…
« Non sembrano essersi accorti di noi… » commentò Be'Wahr, accarezzando ancora l'impugnatura della propria arma, ma intuendo in maniera istintiva, ancor prima che consapevole, come né suo fratello Howe, né la di lui straordinaria accompagnatrice, stessero riservando propria simile opportunità, ove altrimenti sui loro volti non avrebbe avuto modo di cogliere lo stesso smarrimento che in quel momento stava notando, sebbene i loro sguardi fossero rivolti esattamente nella sua direzione.
« Non possono vederci… e questo ci offre un indubbio favore su di loro. » esplicitò ella, dimostrandosi ancora paziente nelle proprie spiegazioni, se pur, ora, del tutto priva di quell'intonazione quasi materna che, sino a poco prima, era sembrava accompagnare la sua voce, caratterizzarne la cadenza nel confronto con l'ingenuità del proprio interlocutore « Noi sappiamo che loro sono qui. Mentre loro, probabilmente, ritengono di essere soli. »
« Parli quasi come se anche Howe fosse un nostro nemico! » protestò l'uomo, intervenendo prontamente a escludere categoricamente simile possibilità, non realmente evidenziata dalle parole di lei e pur sufficientemente trasparente nella scelta delle medesime.
« Ti sembra forse un ostaggio…?! » contestò la donna dagli occhi color ghiaccio, volgendosi verso di lui, a cercare, con lui, un contatto visivo diretto, tale da permetterle di stabilire una sorta di naturale contatto empatico e, in ciò, non concedere ai suoni articolati dalla propria voce e dal movimento delle proprie labbra, di essere fraintesi, nell'intuire quanto potenzialmente pericoloso avrebbe dovuto essere riconosciuto quel particolare tema « Non voglio questionare sulle ragioni della sua nudità… ma cerca di non dimenticare come quella maledetta strega sia riuscita a inimicarmi l'intera Kriarya, arrivando a farmi considerare una traditrice, un'assassina e, ancor più, persino una negromante! » rievocò, ripetendo concetti già noti, già espressi, e pur, lì, chiaramente necessari « Credi forse che ella sia arrivata da tuo fratello, gli abbia teso le mani e lo abbia salutato dicendo: "Il mio nome è Nissa Bontor. Sono la sorella gemella di Midda, e ho giurato di rovinarle la vita per l'eternità. Che ne pensi di aiutarmi?!" »
Per un nuovo, lungo istante, il biondo fu così costretto al silenzio, nel dover esaminare a propria volta la questione e trarre, autonomamente, le proprie conclusioni, ovviamente, e in maniera forse preponderante, riconoscendo concreto valore alle posizioni assunte dalla propria interlocutrice e pur, al contempo, non dimenticandosi di come, in quel frangente, stessero parlando di Howe, dell'amico di una vita intera, del compagno e complice di infinite avventure, per lui fratello più di quanto qualunque legame di sangue avrebbe potuto decretare essere.
Motivo per il quale, quando recuperò parola, pur senza voler negare una sola delle affermazioni della donna, non volle abiurare ad alcuna delle proprie…
« So che può sembrare ridicolo detto da me… ma è proprio questa sua inconsapevolezza che lo rende un ostaggio, ancor prima che un nemico. » obiettò, con tono incredibilmente controllato, atto a manifestare tutta la maturità e la saggezza in quel preciso momento elette qual proprie « Come tu dici, ella di certo lo ha ingannato, facendogli credere di essere te. E, per questo, paradossalmente, nell'essere al suo fianco, egli crede di essere altresì accanto a te, tuo alleato quale è sempre stato mio pari! »
sabato 23 luglio 2011
1284
Avventura
027 - Discordia fraterna
A non eccessiva distanza dalla coppia così estemporaneamente costituita da Howe e Midda, in tal modo postasi in guardia di fronte all'ipotesi dell'ira di un dio a loro possibile nemico, l'altra, speculare, squadra di avventurieri discretamente infiltratisi all'intero di quello stesso santuario, stava allora confrontandosi, serbando qual propria minore prudenza, minore timor divino, e, forse, maggiore senso pratico, con gli effetti delle loro medesime azioni, in conseguenza alle quali, riservandosi uno sguardo più completo all'intero quadro d'insieme, non difficile, non complesso o forzato, sarebbe stato ricollegare quanto così scatenato con quanto, nel contempo, avvenuto innanzi agli occhi dei propri non ancora rilevati compagni, o, più probabilmente, antagonisti. In tali termini, invero, avrebbe dovuto essere infatti colto il razionale celato dietro a quanto occorso, al tremore di quella parete e della statua del dio su di essa collocata, non conseguente a una qualche collera del medesimo, come supposto, quanto, e piuttosto, all'azionamento del meccanismo individuato da Midda e Be'Wahr a un diverso livello rispetto a quello allora raggiunto, e occupato, dagli altri due loro pari: meccanismo in conseguenza all’attivazione quale non solo un passaggio all'interno della fontana di Thatres era stato posto alla luce, ma, anche e soprattutto, un'inesplorata scalinata era stata svelata sotto alla medesima, una via avviluppata a chiocciola non sì diversa, per quanto estranea, da quella già percorso all'interno della torretta da Howe e Midda.
Un bizzarro rincorrersi, quello fra le due coppie di fratelli e sorelle, che, alla luce di un senno successivo, posteriore a quegli eventi, avrebbe potuto essere accolto e interpretato in molteplici, diverse possibilità, inclusa, ovviamente, una stravagante, e non meglio apprezzabile, ironia divina. Un susseguirsi di eventi, tuttavia, che alcuno, eventualmente posto nell'incredibile ruolo di spettatore dei medesimi, avrebbe avuto dubbi a considerare pari a lento un crescendo, in conseguenza al quale, presto o tardi, ma probabilmente più presto che tardi, i quattro protagonisti di tale, parallela azione si sarebbero ritrovati alfine gli uni in diretto confronto con gli altri, in un confronto dal quale, allora, almeno una letale battaglia sarebbe ineluttabilmente esplosa, fra coloro entrambe presentatesi quali Midda Bontor, Figlia di Marr'Mahew, e che, forse, non avrebbe ovviato a coinvolgere, di riflesso, persino i due compagni di sempre, i due fratelli d'arme lì già pervenuti in reciproca disfida, ove essi non fossero stati sufficientemente umili da rinunciare al proprio personale orgoglio, che sino a quella condizione li aveva condotti, in favore del giusto riconoscimento sull'importanza a essere uniti, in quel momento più che mai in passato.
Ancor inconsapevole, comunque, di quanto presto il destino gli avrebbe imposto, preoccupazione più pressante, più intensa nell'animo del biondo mercenario, armatosi con il proprio coltellaccio nel non riuscire a offrire, al pari della propria compagna, tanta fiducia nei riguardi di quell'ignota via così dischiusasi, avrebbe lì dovuto essere riconosciuta quella volta a comprendere la natura della sensazione precedentemente confidata dalla propria stessa sodale e pur, da parte sua, ancor non approfondita, ancor non chiarita nei termini della propria natura, malgrado ogni sua insistenza in tal senso…
« Per Thyres… » sbuffò la mercenaria, strabuzzando gli occhi con fare volutamente grottesco in conseguenza all'ennesimo tentativo, da parte della propria controparte, di definire quanto neppure in lei effettivamente chiaro, ancor compreso « Quale parte di "non lo so" o di "non riesco sinceramente a comprendere cosa" è risultata così poco trasparente?! » lo stuzzicò ella, scuotendo il capo e, in ciò, per un attimo abbandonando lo studio della nuova via lì loro offerta, e ancor inesplorata, nel tentativo di chiudere la questione rimasta in sospeso con l'uomo « Ti prego… se avessi desiderato trascorrere il mio tempo a giustificare ogni mia minima scelta, avrei condotto meco il mio scudiero, allorché cercare un professionista tuo pari. O ipoteticamente tale… » lo canzonò, estraendo la punta della lingua verso di lui, in un gesto di infantile rimbrotto per quanto stava accadendo.
« Oh… » commentò l’altro, aggrottando la fronte innanzi a simile reazione da parte della propria interlocutrice e, ancor più, al riferimento da lei addotto in merito al giovane Seem, conosciuto e frequentato per breve tempo, per quanto, in tale frangente, sufficientemente apprezzato per la propria buona volontà, sebbene, forse, eccessivamente ingenuo per quel genere di professione e di vita « Quasi mi ero scordato di lui. E’ un bravo ragazzo, ma non credevo che sarebbe riuscito a restarti al fianco per così tanto tempo senza che tu lo scaricassi. »
« Non credere che non ci abbia provato… » sorrise ella, appoggiandosi con le mani ai bordi dell’uscio così rivelato e sospingendo, appena, il proprio sguardo al suo interno, per riprendere l’analisi di quell’inattesa scalinata loro in tal modo concessa « Purtroppo è più tenace di quanto non avrei potuto sospettare. E, soprattutto, si è rivelato sufficientemente sensibile da rendersi conto, forse solo in tutta Kriarya, dell’inganno ordino da mia sorella Nissa, prendendo le mie difese anche quando chiunque altro si era dimostrato pronto a considerarmi colpevole dell’assassinio di lady Nass’Hya... » spiegò, rendendo giusto merito al medesimo per tale importante presa di posizione.
Con apparente noncuranza, quasi fossero allora impegnati in una semplice chiacchierata nel mentre di una passeggiata fra quiete distese erbose pianeggianti, la Figlia di Marr’Mahew accompagno quelle proprie ultime parole con la violazione del passaggio aperto nella fontana, a non concedersi ulteriore indugio nel confronto con il medesimo e a riservarsi, al contrario, la possibilità di esplorare quella nuova opportunità, qual solo avrebbe potuto riconoscerla essere nel confronto con la loro missione.
In ciò, anche al biondo mercenario, non venne riservata opportunità esterna a quella di impegnarsi a rincorrerla, a inseguirla in simile scelta, forse condivisa, forse ancora no, difficile a valutarsi anche per lui stesso, nella volontà di non separarsi da lei, costretto a porsi incurante dell’oscurità che in quel nuovo, ignaro, abisso avrebbe potuto attenderli: non una torcia, ella, aveva domandato qual propria compagna in quella nuova esplorazione, né, parimenti, a lui aveva concesso opportunità di desiderare, nell’urgenza di inseguirla, di non perderla di vista neppur per un effimero istante.
« Ehy… dannazione… aspettami! » la rimproverò, riponendo con un gesto lesto il proprio coltellaccio alla cintola, per liberare entrambe le mani e, con esse, ricercare appiglio ai bordi del passaggio, a ridurre il rischio di inciampare e ruzzolare in avanti, spiacevolmente travolgendo, in conseguenza, la sicuramente più leggera, e fragile, propria sodale « Stavamo parlando... » le volle ricordare, con tono lievemente indispettito.
« Nulla ci proibisce di continuare a farlo anche mentre camminiamo, non trovi?! » osservò l’altra, a meno di tre piedi davanti a lui e due o tre piedi più in basso di lui, muovendosi con incedere prudente, e pur non per questo flemmatico, su quei ripidi e stretti gradini.
« Sì ma… che diamine vuol dire? » si lamentò Be’Wahr, avvampando, in volto, per l’imbarazzo, nel rendersi perfettamente conto di aver appena preso una posizione non particolarmente acuta, nel suggerire tale impossibilità, tale difficoltà a proseguire un dialogo e, nel contempo, a ridiscendere lungo quella scalinata.
« Vuol dire che inizi ad assomigliare a tuo fratello, comportandoti in questo modo. » lo stuzzicò ella, ridacchiando nella semioscurità propria di quella via a chiocciola, in parte rischiarata dalla luce filtrante attraverso la porta rimasta aperta alle loro spalle, e in parte, se pur ancora in misura meno predominante, illuminata da un bagliore proveniente dal basso, da un qualche livello inferiore al quale, speranzosamente, avrebbero dovuto giungere così facendo « Sempre pronto ad attaccar briga, anche ove chiaramente privo di ragioni in tal senso! »
« Ma… » tentò di protestare l’altro, non apprezzando quel paragone rivolto a Howe, se pur lì appena proposto con fare volutamente giocoso e assolutamente privo di desiderio offensivo nei suoi riguardi.
Prima, tuttavia, di poter tuttavia completare tale esclamazione, simile replica alle parole della propria compagna, che tanto rapidamente aveva fatto passare in secondo piano sia la questione relativa allo scudiero, sia quella ancor precedente riguardante le ragioni di sospetto della donna al confronto con la fontana svuotata, qualcosa di assolutamente inatteso, e inevitabilmente inattendibile, fu ciò che si palesò innanzi al suo sguardo, così come all’attenzione della donna innanzi a lui, a seguito dell’ennesima spira di quel cammino in discesa. Spettacolo nel confronto con il quale non solo all’uomo venne imposto un estemporaneo istante di naturale silenzio, ma, anche, immediata dimenticanza su quell’ennesima tematica, presentandogli prepotentemente tutto e solo ciò attorno a cui avrebbe potuto avere ragione di che riflettere, e parlare, da quel momento in avanti.
venerdì 22 luglio 2011
1283
Avventura
027 - Discordia fraterna
« Non mi avevi detto di esserti portata dietro i rinforzi… » commentò egli, terminando le proprie abluzioni e accingendosi, a propria volta, a lasciare il canale artificiale lì scavato nell'architettura del tempio, a convogliare il pur naturale reflusso delle acque « … in quanto sono là fuori ad attenderci?! »
« Uno solo, simpaticone. » scosse il capo ella, per tutta risposta, aggrottando la fronte « Già l'ho lasciato solo per un anno intero: credi davvero che mi sarei potuta permettere qualunque nuovo viaggio senza trascinarmelo dietro?! » sorrise divertita, al pensiero dell'insistenza del proprio giovane collaboratore, tanto entusiasta di restare al suo fianco quant'ella, parimenti, meno desiderosa di essere accompagnata da chicchessia, nel preferire, generalmente, agire da sola, se pur, abitualmente, con difficoltà realmente tale.
« E cosa ne posso sapere, scusami. » contestò l'uomo, ergendosi oltre il bordo del canale e dirigendosi, una volta uscito dal medesimo, verso il fagotto con i propri averi « Io non avevo neanche preso in esame la presenza del ragazzino, quindi, per quanto mi riguarda, potrebbe esserci mezza Kriarya là fuori ad attenderci… » esplicitò con fare scherzosamente polemico « Sicura di non esserti trascinata dietro anche il tuo nuovo maritino?! » la stuzzicò, offrendo riferimento, in quelle parole, al locandiere shar'tiagho a cui anch'ella stava volgendo costante pensiero.
« Ti assicuro che se mio marito fosse qui presente, te ne accorgeresti… » replicò la donna, con tono incredibilmente serio, privo di qualunque musicalità giocosa qual pur non era mancata sino a quel momento fra loro, portando istintivamente lo sguardo al bracciale dorato preposto attorno al proprio braccio sinistro, per assicurarsi della sua permanenza in tal punto, là da dove non aveva voluto sfilarlo neppure durante l'esame in contrasto alla presenza dei vermi carnivori, mantenendo tale monile a contatto con le proprie carni con così tanta ferma convinzione qual neppure il suo camerata lì presente si era premurato di compiere con i propri « Comunque sia: hai dei medicamenti con te oppure no?! » riprese, cambiando repentinamente tema e riportando la questione alla propria origine, privandola di ogni chiacchiera accessoria.
« Ho le bende… ma niente medicine. » rispose Howe, non potendo ovviare a notare tale particolare atteggiamento in lei, nonché il riferimento a un qualche marito sostanzialmente mai risaputo nella propria stessa esistenza, e decidendo, comunque, di non insistere troppo a meno di non rilevare da parte dell'altra interesse a esprimersi in tal senso.
Da quasi perfetta estranea, qual pur ella avrebbe dovuto essere ritenuta malgrado il proprio meritato ruolo di sua salvatrice già in molteplici situazioni, non solo riconducibili a quel loro ultimo incontro, ma anche a ogni precedente, la Figlia di Marr'Mahew sembrava star rapidamente svelando sin troppi dettagli sulla propria esistenza, a partire da una sorella gemella di cui non aveva avuto mai la benché minima possibilità di immaginazione, fino a giungere, ora, a un qualche non meglio identificato sposo. Un incredibile sequenza di rivelazioni nel merito delle quali il mercenario non avrebbe potuto negarsi una naturale curiosità, ma che, allo stesso tempo, non avrebbero potuto che spingerlo a un'istintiva presa di distanza da lei, temendo il pericolo con il quale ella era solita accompagnarsi in ogni momento della propria esistenza e, in ciò, temendo di poterne essere eccessivamente coinvolto a sua volta, volente o nolente, nel momento in cui avesse permesso a un qualche legame di natura emotiva di instaurarsi fra loro.
Sino a quel giorno, a differenza di quanto suo fratello Be'Wahr aveva auspicato, i rapporti con Midda, così come con Carsa, si erano mantenuti sempre in un ambito estremamente professionale e, dal proprio personale punto di vista, Howe non avrebbe potuto sgradire il pensiero di mantenerli ancora qual tali in futuro, a non aggiungere, ai propri problemi e a quelli del proprio consueto e biondo sodale, anche questioni relative a quelle due donne e poi a chissà chi altro. Un atteggiamento, il suo, che probabilmente lo stesso Be'Wahr avrebbe deprecato, giudicandolo egoistico ed errato, e che pur, con un atteggiamento mentale più pratico e disilluso, la medesima Midda Bontor non avrebbe potuto parimenti condannare, anzi, addirittura approvandolo e preferendolo a vincoli di dubbia amicizia, concetto noto qual eccessivamente abusato e, per questo, privato del proprio concreto valore.
« Allora credo sarà opportuno per noi… » tentò di formulare la donna dagli occhi color ghiaccio, introducendo, così come già anticipata, una proposta volta a un'estemporanea ritirata dal santuario, allo scopo di permettere all'uomo occasione di curare le proprie ferite.
« … proseguire esattamente come avevamo deciso di fare. » terminò, altresì, lo shar'tiagho, negando ogni ipotesi in tal senso e definendo in quale direzione avrebbero dovuto impegnarsi, a prescindere dalla propria condizione fisica « Ormai il braccio non mi fa neppur più male, e pensare di dover abbandonare questo luogo infido e infame solo per farci nuovamente ritorno domani, magari ancora affrontando quei poco simpatici, e molto famelici, bacherozzi, sinceramente non mi attrae. » esplicitò, mentendo in maniera sufficientemente spudorata nel merito della propria insensibilità al dolore fisico, e pur offrendo solo sincera opinione attorno a tutto il resto, e in particolare alla propria mancanza di volontà di un nuovo confronto con quell'orrore « La fasciatura sarà più che sufficiente per ora. »
Se pur priva di particolari ragioni di psicologica premura verso di lui, giudicato più che adulto per valutare al meglio cosa avrebbe dovuto essere ritenuto bene, e cosa male, per se stesso e per la propria sopravvivenza, la donna guerriero non avrebbe dovuto considerarsi egualmente priva di concrete motivazioni volte a interessata premura verso di lui, dal momento in cui non si era impegnata all'inseguimento suo e di suo fratello per semplice diletto personale, quanto, e piuttosto, nella volontà di far propri i loro servigi, la loro collaborazione. In ciò, pertanto, l'eventualità nella quale egli potesse perdere il braccio in conseguenza a qualche infame infezione, avrebbe solamente giuocato a suo svantaggio, facendole a sua volta perdere la possibilità di un pur utile, e affidabile, compagno d'armi qual aveva avuto modo di giudicarlo essere in grazia delle loro precedenti missioni comuni.
Alla luce di tale considerazione, pertanto, affetto o no che ella avrebbe comunque potuto provare per quel sempre polemico interlocutore, spesso insopportabile al punto da bramare di disorganizzargli i connotati a suon di schiaffi, la Figlia di Marr'Mahew non avrebbe potuto concedergli occasione di capriccio qual pur egli sembrava invocare in quel momento, a costo di prenderlo di peso e condurlo al di fuori di quel tempio per costringerlo a curarsi. Una scelta, una possibilità, innanzi alla quale sarebbe stata quietamente pronta ad agire, e a operare con subitaneità, ove una differente urgenza, una nuova premura, non si fosse imposta alla sua attenzione, alla loro attenzione, richiedendo tanto a lei, quanto a lui, ancor nudo, di volgersi in direzione della colossale rappresentazione di Thatres, lì imperante sull'intero ambiente…
« … ma… cosa?! » sussurrò Howe, immediatamente dimentico dei propri abiti, così come delle proprie ferite, nella nuova e preponderante esigenza di riabbracciare la propria spada dorata, e con essa dimostrarsi pronto ad affrontare qualsiasi minaccia sarebbe potuta essere loro imposta « Lohr… ho timore che lo abbiamo fatto arrabbiare… » soggiunse poi, ancora quasi privo di voce, invocando il proprio dio ma, in tali parole, riferendosi chiaramente a un'altra figura effimera e immortale suo pari.
Un percettibile tremore stava vedendo, allora e infatti, inaspettatamente coinvolta l'intera parete sulla quale quell'imponente statua era stata realizzata, eretta, quasi quella medesima raffigurazione desiderasse trovare occasione d'animazione, malgrado inerme dovesse naturalmente essere la pietra nella quale era stata realizzata, sospinta in ciò, non assurdo a dirsi, dalla volontà di ricompensare gli infedeli blasfemi lì tanto imprudentemente giunti nel loro avido desiderio di conquista con una sentenza di morte.
Idea sicuramente non priva di fantasia, prospettiva tutt'altro che carente di immaginazione, fu quella che venne scandita attraverso simili parole in conseguenza di una tanto focalizzata scossa sismica, tale da coinvolgere unicamente quella parete e null'altro in prossimità della medesima, neppure il terreno sotto ai piedi della coppia, e che pur, nel paragone quanto da loro affrontato in passato, non avrebbe dovuto essere ritenuta tanto folle, sì estranea a ogni eventuale di timore, a ogni ipotesi di ragionevolezza, qual chiunque esterno a loro avrebbe potuto eventualmente minimizzare essere. Al contrario, simile concetto si dimostrò sì potenzialmente concreto, per quanto non obbligatoriamente tale, da suggerire anche alla donna guerriero di porre prudentemente mano all'elsa della propria spada, della propria fedele arma, compagna di innumerevoli e incredibili disavventure, per essere egualmente preparata a dichiarare guerra persino a un dio, ove le fosse stato richiesto per garantirsi l'occasione di godere della luce di una nuova alba.
giovedì 21 luglio 2011
1282
Avventura
027 - Discordia fraterna
La mercenaria non poté ovviare a concedersi un ampio sorriso, ora ella stessa maliziosa, in conseguenza all'imbarazzo così colto nel proprio interlocutore, non negandosi, in tal senso, una certa femminile soddisfazione nel rilevare quanto, per fortuna, la propria mera presenza e prestanza fisica non avesse da considerarsi ancor priva d'efficacia, di valore, anche nel confronto con uno fra i propri non effettivamente più appassionati sostenitori. Ciò nonostante, ella ebbe sufficiente giudizio da conservare gelosamente simile considerazione nel profondo del proprio cuore, non infierendo a discapito dell'uomo per non rischiare di offendere, in tal senso, la sua virilità, il suo orgoglio, il suo amor proprio.
Ragione per la quale, pertanto, ella accettò quietamente il forzato cambio di rotta nel loro dialogo, nel loro confronto, nel mentre in cui dedicò ogni attenzione alla pulizia delle proprie piaghe, delle proprie ferite, dolorose, sì, e pur indubbiamente censibili in misura estremamente minore rispetto al braccio mancino del proprio compagno.
« Nulla di più e nulla di meno rispetto a quello che sembravano essere… » rispose la donna guerriero, tergendo le proprie forme con attenzione e cercando di controllare il dolore nella propria voce, per non offrir, in tal senso, un'immagine di debolezza in conseguenza di un pur sì minimo danno « … vermi carnivori, tanto piccoli quanto rapidi e potenzialmente letali. »
Nell'osservare lo scempio addotto in antagonismo al proprio arto, Howe non poté evitare di ritenere come dovesse essere già ritenuta miracolosa la mera considerazione di quanto egli stesse ancora riuscendo a conservare una certa mobilità, un certo controllo sul medesimo, oltre che sulla mano lì collegata, segnale di chiara speranza per una ripresa futura.
Al di là degli scherzi, dei giuochi nei quali si era infatti appena impegnato a cercare occasione di evasione da tanto orrore, egli non avrebbe potuto scordare il pensiero, il timore, il terrore che aveva invaso la sua mente e il suo corpo fino a pochi istanti prima della certezza dello scampato pericolo, nell'idea, macabra e pur estremamente realistica, di star rischiando, proprio malanimo, di dover giungere all'amputazione di tale arto, forse limitatamente all'avambraccio, area più colpita, o forse, drammaticamente, ancor più in alto, fin'anche sotto la spalla. Un'eventualità non sì remota, soprattutto ove confrontata alla minaccia rappresentata da ipotetiche uova lì deposte dalle già dozzine di piccoli vermi lì precipitati in sua opposizione, che, malgrado il proprio mestiere, la propria professione, tale da imporgli, certamente, un atteggiamento mentale più aperto al pericolo, e al dolore fisico, rispetto alla maggior parte dell'umanità, non avrebbe potuto mancare di lasciarlo disorientato, perso, in balia di troppe pessime prospettive a lui riservabili per il futuro.
Sebbene, del resto, quanto rappresentato dal braccio destro della propria stessa compagna, amputato a seguito di un'ingiusta condanna e successivamente sostituito, nella propria funzionalità, da un artefatto di natura stregata, non avrebbe dovuto essere ritenuto un caso unico al mondo, raro sì, ma non unico; egli non avrebbe mai potuto accogliere con animo lieto l'idea di perdere un arto, e un arto importante qual un braccio, nell'incognita rappresentata non solo dalla sua eventuale speranza di sopravvivenza in conseguenza a una mutilazione effettuata in tale contesto, ma anche, e non di secondaria importanza, dalle scarse possibilità future di poter surrogare a quanto, così facendo, avrebbe dovuto rinunciare. Una decisione tutt'altro che banale, un vero azzardo che, potendo scegliere, avrebbe preferito evitare di affrontare in tempi brevi…
« Lohr… non riesco a comprendere se potermi rallegrare per aver conservato il braccio, almeno per ora, o dovermi dolere per quanto accaduto… » commentò l'uomo, sincero in tal difficoltà di giudizio, riportando successo in misura necessariamente, e comprensibilmente, minore rispetto alla propria interlocutrice nel controllare la pena espressa dal proprio tono « Sono ridotto male. » affermò, a constatare la propria situazione, e pur, in ciò, non rifiutando un lieve accenno interrogativo in conclusione all'asserzione, nel desiderio di ottenere un parere, un consiglio a tal riguardo dalla propria sodale.
« Non potrà essere ricordato quale uno dei tuoi giorni migliori, ma ti assicuro che sarebbe potuta andare anche peggio. » definì la Figlia di Marr'Mahew, entro certi limiti risultando in tal modo incoraggiante per lui e per la sua situazione « Fortunatamente, dovevano essere in sonno letargico da molto tempo, probabilmente da decenni, se non secoli interi, ragione per la quale, per quanto stuzzicati dalla luce della tua torcia, non hanno reagito con sufficiente prontezza, concedendoci il tempo di fuggire… »
« … non hanno reagito con sufficiente prontezza?! » questionò Howe, strabuzzando lo sguardo a quell'ultima presa di posizione, ritenuta, quanto meno, esagerata nel non riuscir, in cuor suo, a immaginare quanto più rapidi, più aggressivi, avrebbero potuto essere quei bacherozzi, rispetto a come già si erano offerti.
« Esattamente. » confermò, tuttavia, ella, preferendo, come di consueto, non cercar di abbellire la verità dei fatti dietro pericolose menzogne, dal momento in cui, a un nuovo incontro con quei predatori, essenziale sarebbe stato per il proprio compagno saper come operare per garantirsi speranza di sopravvivenza indipendentemente dalla sua presenza o meno « Ho già incontrato questi maledetti. E ti posso assicurare che sanno essere estremamente più reattivi di quanto non si siano dimostrati oggi. »
« Quantifica, te ne prego… » insistette l'altro, accettando il confronto con quella verità, per quanto spiacevole, e comprendendo quanto importante sarebbe dovuto essere ritenuto, da parte sua, maturare confidenza con tutto ciò a prevenire nuovi, e più efficaci, attentati.
« Nell'oscurità questi vermi nascono, crescono e, ove necessario, entrano in letargo, in attesa dell'occasione utile a raggiungere nutrimento. » esplicitò Midda, con tono serio per quanto mantenuto sufficientemente tranquillo, a non concedere eccessiva enfasi drammatica alle proprie parole « In reazione alla luce, e al calore immagino, essi interrompono il proprio sonno per potersi nutrire e, in grazia alle energie così conquistate, poter dare un senso al proprio ciclo vitale attraverso la deposizione di nuove uova. » continuò a spiegare, terminando quel pur rapido, estemporaneo lavaggio delle proprie membra prima di uscire dall'acqua del canale e fare ritorno alle proprie vesti « La prima volta che ho avuto a che fare con loro, un poveraccio armato di torcia tuo pari, non ha quasi avuto neppure la possibilità di comprendere cosa stesse accadendo prima di essere completamente ricoperto da quei vermi… »
« … e…? » incitò egli un proseguo della questione, interrompendo, in tutto ciò, la pulizia delle proprie ferite nel dedicare tutta la propria attenzione alle parole dell'altra.
Alcuna replica verbale fu, purtroppo, allora necessaria per permettere alla donna di comunicare quanto, tragicamente, già retorica, già scontata conseguenza delle proprie parole, di quella propria breve, e pur completa spiegazione nel merito di quanto fosse accaduto e, soprattutto, di quanto sarebbe ancor potuto avvenire se solo gli dei non avessero rivolto, a loro supporto, uno sguardo estremamente carico di benevolenza, qual indubbiamente doveva essere stato loro concesso.
Un breve, e pur interminabile, istante di silenzio pertanto calò fra i due, tacita quiete al termine della quale l'una iniziò a rivestirsi, non valutando alcuna delle proprie ferite meritevoli di bendaggi d'emergenza, in quanto, fortunatamente, non sì gravi da pretendere tali attenzioni, nel mentre in cui l'altro riprese l'operazione prima rimasta in sospeso, accarezzando, non senza inevitabili gemiti di dolore, le proprie membra là dove martoriate, per assicurare alle medesime la migliore pulizia loro garantibile in quel pur non favorevole contesto.
« Spero che tu abbia qualche medicinale e delle bende con te… » riprese voce la Figlia di Marr'Mahew, al termine della propria vestizione, finendo di allacciarsi nuovamente la cintola, con la spada lì annessa, attorno ai propri generosi e femminili fianchi « … perché quel braccio necessità attenzioni e io ho lasciato tutto il mio equipaggiamento là fuori, insieme a Seem. » spiegò, facendo riferimento, per la prima volta dalla propria comparsa, alla figura del proprio giovane, e di recente acquisizione, scudiero, con il quale Howe aveva già avuto modo di relazionarsi e che pur, in quanto accaduto, non aveva avuto la benché minima ragione di considerare presente, o in loro attesa, al di fuori di quelle mura.
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