11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

lunedì 30 settembre 2019

3049


Midda Bontor era nata e cresciuta in un mondo in cui il valore di una vita avrebbe avuto a doversi soppesare in una misura inferiore a un soffio d’oro.
Nel pianeta da cui ella proveniva, l’atto di uccidere non avrebbe avuto a dover essere frainteso qual contrario a una qualche morale, beninteso che, in tale atto, fosse concesso al malcapitato una giusta occasione per definire il proprio fato. In ciò, quindi e a titolo esemplificativo, cogliere alle spalle qualcuno, sgozzandolo, avrebbe avuto a doversi intendere, a tutti gli effetti, un assassinio; nel mentre in cui, altresì, sgozzare qualcuno giungendogli innanzi e, in ciò, offrendogli, fosse e anche soltanto idealmente, la possibilità di difendersi, di evadere da quell’attacco, avrebbe avuto a doversi ritenere pressoché legittimo. Non che, in tal senso, camminando per strada, nel mondo dal quale ella proveniva, qualcuno avrebbe potuto arbitrariamente decidere di sgozzarti o, per lo meno, non che, in tal senso, la probabilità che ciò accadesse avrebbe avuto a doversi giudicare maggiore rispetto altrove: ciò, dopotutto, avrebbe potuto succedere ovunque, anche in quel di Loicare, o di altri mondi tecnologicamente progrediti, o dal mondo d’origine di Maddie e Rín, fondamentalmente a metà strada fra il progresso fantascientifico proprio di quei secondi e l’arretratezza medioevale del primo. Semplicemente, nel mondo proprio di Midda e di tutti i suoi amici, chiunque, per strada, non sarebbe partito dall’improprio presupposto di poter giungere serenamente al proprio obiettivo, senza rischiare, nel proprio percorso, di incappare in qualche malintenzionato e senza, in tal senso, essere pronto a difendersi, per il proprio diritto alla vita.
In un simile contesto generale, pur essendo nata e cresciuta, almeno nei primi dieci anni della propria esistenza, in un’isoletta ai stessi confini del mondo, e in un’isoletta così lontana da tutto e da tutti da potersi riconoscere, obiettivamente, qual una serena oasi di pace, estranea alla violenza del resto del loro pianeta, Midda Bontor aveva avuto ben presto a doversi confrontare con tale violenza, e con le dure regole proprie della sopravvivenza. E così, neppure un anno dopo la propria fuga da casa, ella aveva presto imparato a combattere e, per difendersi dai pirati, nemici naturali di qualunque marinaio, aveva presto imparato anche a uccidere: non qual atto negativo, non qual brutale negazione del diritto dell’altro alla vita, quanto e piuttosto qual estrema misura utile a preservare la propria esistenza in vita, e il proprio diritto a risvegliarsi, all’alba successiva.
Cresciuta, quindi, prima come marinaio, e poi come guerriera mercenaria, in un mondo decisamente ostile, e rivelatasi semplicemente straordinaria in ogni propria azione, in misura tale da entrare, di diritto, sin da subito nelle cronache dei bardi e dei cantori; Midda Bontor si era presto ritrovata anche e proprio malgrado a essere bersaglio di numerosi rivali, sfidanti animati dal desiderio di affrontarla e di ucciderla, in combattimento, non tanto per qualche profonda motivazione, quanto e piuttosto per rendere propria la gloria derivante dall’aver vinto una simile controparte. E più il mito della donna guerriero cresceva, nel susseguirsi dei propri successi, maggiormente cresceva anche il numero di persone desiderose di affrontarla e vincerla, in quello che, in effetti, avrebbe avuto a doversi ben apprezzare qual un riconoscimento del suo valore. Così, fra le sfide da lei lanciate a uomini e dei, e fra le sfide contro di lei lanciate da qualunque possibile avversario, ella non avrebbe potuto ovviare ad alimentare il proprio mito, in un continuo crescendo che solo si sarebbe interrotto in caso di sconfitta: un crescendo che, a un certo punto, ella non volle mancare di iniziare a moltiplicare in maniera iperbolica sostituendo, alla necessaria uccisione del proprio sfidante, una più umiliante sconfitta, e l’umiliazione propria del sopravvivere alla propria sconfitta, e, in tal senso, di poter essere testimonianza vivente della straordinaria bravura della stessa donna dagli occhi color ghiaccio. Giacché se già grande avrebbe avuto a dover essere riconosciuto il suo merito nel vincere contro i propri antagonisti, ancor maggiore avrebbe avuto a dover essere riconosciuta la sua bravura nel vincere senza neppure ucciderli, con quel fare annoiato proprio di chi, in fondo, consapevolmente superiore all’altro, e in ciò privo di qualunque motivazione utile a concedergli la grazia propria della morte come alternativa all’onta della vita.
Per questo, pur nata e cresciuta in un mondo in cui il valore di una vita avrebbe avuto a doversi soppesare in una misura inferiore a un soffio d’oro, Midda Bontor iniziò a voler valutare il proprio valore non nella misura degli avversari uccisi, quanto e maggiormente in quelli non uccisi, a palesare la propria sempre maggiormente leggendaria superiorità nei confronti dell’intero Creato, in una sfida, la sua, atta a permetterle di dimostrare, innanzitutto a se stessa, il proprio stesso merito. Cosicché, in una battaglia, ella si sarebbe riservata l’occasione di ricorrere all’omicidio sol quando necessario o ineluttabile, con l’amarezza propria di chi, allora, purtroppo meno brava rispetto a quanto non avrebbe gradito riuscire a dimostrarsi di essere, nell’essersi ritrovata costretta a una così indegna scorciatoia.
Un teorema di base, quello proprio della Figlia di Marr’Mahew, che, tuttavia, in più di un’occasione, soprattutto in quegli ultimi anni, si era visto riservare delle eccezioni, fra le ultime delle quali molte eccezioni, un’intera carneficina di eccezioni, in concomitanza agli eventi che avevano condotto alla pur successivamente mancata liberazione dei due pargoli che, di lì a qualche tempo, avrebbero iniziato a chiamarla “mamma” e che ella avrebbe iniziato a intendere qual propri figli: troppa emotività, unita a una certa disparità fra le forze in campo, infatti, avevano veduto la donna guerriero compiere una vera e propria mattanza sotto gli occhi dei due bambini, nell’intento di proteggerli, di difenderli. E quella mattanza, a distanza di qualche anno, non aveva smesso di gravare sul di lei cuore, per così come anche le sue intime riflessioni durante la pur breve permanenza all’interno della cella nella quale era stata rinchiusa a bordo della Rad Dak-Wosh non avrebbero potuto ovviare a testimoniare.
Quando ella, quindi, ebbe a ritrovarsi a confronto con il guardiamarina Vahn Hogi, nel proprio animo avrebbe avuto a doversi ancor riconoscere ben divisa fra due diverse esigenze: quella di assicurare al proprio gruppo una rapida conquista della nave, nella sconfitta della creatura mutaforma lì al comando sotto le false sembianze di Pitra Zafral; e quella di ovviare a trasmettere idee sbagliate ai propri figli, quali, prima fra tutte, che aver ad agire come una guerriera avesse a doversi intendere, necessariamente, qual qualcosa di entusiasmante. E se, nel confronto con la prima esigenza, probabilmente la via più rapida per raggiungere il proprio scopo sarebbe stata quella di eliminare ogni possibile minaccia rappresentata da quel giovane, innanzi alla seconda esigenza, probabilmente la via più corretta da perseguire sarebbe stata altresì quella di permettergli di sopravvivere, tratteggiando i confini di un dilemma binario di non facile risoluzione.
A fare, tuttavia, la differenza, e a permetterle di abbracciare in maniera ferma una decisione, fu allora lo sguardo che lo stesso sconosciuto antagonista, e potenziale vittima, ebbe allora a mostrarle nel porsi innanzi alla certezza della propria morte: uno sguardo colmo di disperazione, e colmo di quella disperazione propria di chi consapevole, in quel frangente, di star vedendosi negato, insieme alla propria vita, qualcosa di grande, qualcosa di ben più grande di sé… qualcosa come l’occasione di essere padre di suo figlio.
E nel confronto con quella disperazione, ella fermò la propria mancina, ovviando all’affondo che, altrimenti, avrebbe destinato dritto al cuore della propria vittima…

« Perché temi per la tua vita? » domandò quindi, aggrottando la fronte con fare critico a suo discapito
« … come…?! » esitò egli, incerto di aver udito correttamente la domanda da lei formulata, di averla effettivamente intesa, per così come non avrebbe potuto ovviare, altresì, a risultare quantomeno inaspettata in un tale frangente.
« Perché temi per la tua vita? Cosa hai da perdere?! » insistette ella, desiderosa di comprendere il perché di tanta disperazione e, in ciò, di concedere a quel giovane di argomentare una qualche arringa in proprio favore, a favore del proprio diritto alla vita, in quelle che, comunque, avrebbero avuto a potersi riconoscere qual, potenzialmente, le sue ultime parole.
« … perché desidero abbracciare ancora una volta mia moglie… e perché desidero che mio figlio possa conoscere il volto di suo padre… » dichiarò Vahn, con assoluta onestà, e quell’onestà che solo avrebbe potuto essere propria di un uomo innanzi alla morte.

domenica 29 settembre 2019

3048


Il guardiamarina Vahn Hogi non avrebbe avuto a dover essere frainteso qual una cattiva persona. Né, tantomeno, gli sarebbe dovuto essere attribuito un qualche antagonismo personale a discapito di Midda Bontor o degli altri membri dell’ex-equipaggio della Kasta Hamina.
Figlio di suo padre e di sua madre, una tranquilla coppia di onesti negozianti, aveva vissuto la propria infanzia come secondo di tre figli. Figlio “di mezzo”, quindi, al contempo privo dell’onore proprio della primogenitura e, ciò non di meno, senza neppure il vantaggio di essere riconosciuto qual più piccolo della famiglia e, in quanto tale, avere comunque la giustificazione per qualche coccola e qualche vizio in più. Nulla di tutto questo, tuttavia, era mai stato vissuto da Vahn come un dramma. Anzi. Dimostrando sin dalla più tenera età un carattere a dir poco ammirevole, egli aveva agito sempre con straordinaria moderazione d’intenti, accettando quietamente la propria posizione e, soprattutto, quanto la vita avrebbe avuto a offrirgli, senza mai avere di che lamentarsi a tal riguardo, o di che palesare la benché minima insoddisfazione.
Come tutti gli altri ragazzi della propria età in quel di Loicare, a sei anni Vahn iniziò a frequentare le scuole, per poter quindi conseguire la licenza primaria a dieci, quella intermedia a quindici e, infine, l’avanzata a diciotto, senza mai eccellere e, ciò non di meno, senza mai mancare nell’adempimento del proprio ruolo, e del proprio ruolo di studente: Vahn, in ciò, non era quindi mai tornato a casa con il massimo dei voti, ma, neppur mai egli aveva dovuto elemosinare la sufficienza. E, in questo, i suoi genitori non avrebbero potuto essere più fieri di lui e di quanto, comunque, di stesse dimostrando un ragazzo pacatamente giudizioso, nonché un grande lavoratore.
A differenza del fratello maggiore, che, nel proprio ruolo di primogenito, completati gli studi poté iniziare immediatamente a lavorare nel negozio dei propri genitori, e a differenza del fratello minore, che, dimostrando, diversamente da lui, una straordinaria attitudine allo studio, non avrebbe potuto ovviare a proseguire gli studi, con l’università e quanto mai avrebbe potuto riservargli un’eventuale carriera accademica; raggiunta la propria licenza avanzata, Vahn Hogi non ebbe a riservarsi idee chiare nel merito della direzione nella quale muovere il proprio interesse professionale. Ragione per la quale, nel momento in cui l’omni-governo ebbe a richiamarlo per il servizio di leva, egli non ebbe motivo alcuno per rifiutarsi. Al contrario, Vahn decise di firmare, e di firmare per poter trasformare quella richiesta da parte del proprio omni-governo in uno stile di vita, e in uno stile di vita nel quale indirizzare la propria vita. Così entrò all’accademia militare. E dopo cinque anni di studi, divenne ufficiale, iniziando la propria carriera nel vasto mondo della potente flotta di Loicare.
A Vahn non dispiaceva il mondo proprio della flotta. Pur privo di qualunque genere di estremismo psicologico tale per cui, come militare, avrebbe potuto avere l’onore di ritrovarsi a difendere il proprio mondo e tutti i suoi occupanti; egli non avrebbe potuto ovviare ad apprezzare l’occasione che essa gli avrebbe potuto concedere di viaggiare per l’universo, e di provare nuove esperienze. Nella flotta, dove altri ragazzi privi di particolari fanatismi militareschi vedevano magari la sgradevole incombenza di avere ad allontanarsi da casa, nell’ubbidienza agli ordini ricevuti, Vahn non avrebbe potuto quindi ovviare a leggere l’occasione di conoscere nuove persone, di vivere nuove esperienze, senza mai avere di che annoiarsi e con la consapevolezza di quanto, nella straordinaria varietà di reparti, egli avrebbe potuto sempre e comunque avere occasione di reinventarsi, laddove, alla lunga, un qualche impiego di fosse rivelato noioso.
Insomma: per Vahr Hogi, quello del militare era un buon lavoro. Con una paga non eccelsa, con orari non perfetti… ma, obiettivamente, un buon lavoro.
Due anni dopo l’inizio della propria vita da ufficiale della flotta, un venticinquenne Vahn, durante un periodo di licenza, ebbe a incontrare per mera fatalità la dolce Myr-Nah’as, scoprendo in lei una donna straordinaria e, in ciò, di lei subito innamorandosi, con buona pace del fatto che egli potesse essere un umano ed ella un’ofidiana e di quanto, in tal senso, qualcuno avrebbe sicuramente avuto di che ridire. E siccome, invero, anche Vahn non avrebbe avuto a doversi fraintendere qual una compagnia spiacevole, anche Myr’N ebbe a innamorarsi di lui, ricambiando, così, il suo sentimento e ponendo le basi per quella che avrebbe potuto essere, in ciò, una splendida vita insieme.
All’epoca degli eventi che videro Myr-Nah’as conoscere Vahn, ella avrebbe avuto a doversi riconoscere già  qual un’antropologa e, in effetti, anche un’ottima antropologa, che, in quanto tale, aveva avuto occasione di essere impiegata, in verità ancora in grazia a una borsa di studio, presso uno dei più importanti musei della capitale di Loicare, lì dove viveva, come altre decine di milioni di persone. E per quanto l’amore fra lei e Vahn avrebbe avuto a doversi intendere, sin da subito, sincero e forte, appassionato e trascinante, nessuno dei due avrebbe voluto venir meno al percorso di vita nel quale, sino ad allora, tanto aveva avuto a impegnarsi. Così, per quanto Vahn e Myr’N si amassero, e non passassero giorno senza sentirsi o vedersi, fosse anche a distanza, entrambi ebbero a voler proseguire con le proprie vite, trascorrendo, in questo, la maggior parte della propria quotidianità a distanza l’uno dall’altra e, ciò non di meno, non negandosi, a margine di tutto questo, di trovare occasione utile per sposarsi, in occasione del terzo anniversario del loro primo incontro, e di concepire un figlio insieme, qualche anno più tardi.
Così, quando il guardiamarina Vahn Hogi, ormai trent’enne, si ritrovò a essere riassegnato alla Rad Dak-Wosh, egli avrebbe avuto a doversi riconoscere, quindi, qual in attesa della nascita del proprio primogenito, la schiusa dell’uovo del quale, speranzosamente, avrebbe avuto a occorrere di lì a tre mesi. E per quanto, francamente, egli avrebbe fatto a meno di accettare di partire per una nuova missione in un momento tanto importante della propria vita, volendo poter essere presente quando suo figlio avrebbe visto per la prima volta la luce del mondo, quel suo carattere di quieta accettazione degli eventi non gli permise di opporsi a ciò, vedendolo quindi partire, e partire addirittura al seguito del celebre accusatore Pitra Zafral, in una missione che questi ebbe immediatamente a chiarare aversi a dover intendere della massima importanza. E una missione, in effetti, volta alla cattura della famigerata donna da dieci miliardi di crediti… la terribile mercenaria conosciuta con il nome di Midda Bontor.
Così Vahn partì a bordo della Rad Dak-Wosh. Non perché, in verità, avesse qualcosa a discapito della stessa Midda Bontor, o fosse spinto da qualche particolare e straordinario senso patriottico, quanto e piuttosto perché quello avrebbe avuto a doversi riconoscere il suo lavoro, quella avrebbe avuto a doversi riconoscere qual la sua vita, e solo in tal maniera egli avrebbe saputo viverla.
E se la cattura della donna da dieci miliardi di crediti, e del suo intero gruppo di commilitoni, avrebbe avuto a doversi intendere qual necessariamente positivo per il buon Vahn, già proiettato, con la propria mente e il proprio cuore, a un rapido ritorno a casa, e a un rapido ritorno a casa da propria moglie e dai propri figli; il ritrovarsi schierato a capo di un gruppo di sottufficiali in ideale opposizione al piratesco tentativo di conquista del controllo della nave da parte della donna e del suo intero gruppo di commilitoni, non avrebbe avuto a doversi intendere, propriamente, qual positivo per lui. Anzi. Nei suoi occhi castani, in quel momento, in quel frangente, altro non avrebbe avuto a dover essere inteso il dubbio, e quel dubbio viscerale fra il rispetto della propria consegna, degli ordini ricevuti, in assenza al quale egli sarebbe stato necessariamente ritenuto un disertore se non, peggio, un ammutinato, e la volontà di sopravvivere a tutto quello, e di avere una qualche occasione per ritornare a casa da propria moglie, e da quel meraviglioso ovetto all’interno del quale suo figlio stava attendendo il momento giusto per venire alla luce, e per scoprire il volto di sua madre e di suo padre: un volto, quello di suo padre, che difficilmente avrebbe potuto allor conoscere nel momento in cui egli fosse lì stato ucciso.
Un destino, il suo, tuttavia e in buona sostanza praticamente obbligato, nel momento in cui, travolgendo senza fatica alcuna i primi tre schierati in sua opposizione, e catapultandoli a terra in maniera disordinata, la donna guerriero dagli occhi color ghiaccio e dai capelli color del fuoco giunse innanzi al guardiamarina Vahn Hogi, disarmandolo senza fatica alcuna e sollevando, a suo stesso discapito, quella daga con la quale, ipoteticamente, egli avrebbe dovuto difendere il proprio diritto alla vita, e con la quale, ironia della sorte, si sarebbe altresì visto privato dello stesso.

sabato 28 settembre 2019

3047


“Midda…?!”

La creatura che aveva preso il posto dell’accusatore Pitra Zafral e che, in tale veste, stava conducendo quella caccia spietata a discapito della donna guerriero e dei suoi amici, ebbe subito a intendere quanto allora stava accadendo. Non avrebbe avuto bisogno dell’impiego di particolari tecnologie al fine di percepire il ricongiungimento fra la Midda propria di quell’universo e l’altra Midda, in qualunque modo ella volesse farsi chiamare. Del resto, già ella non ne aveva avuto necessità nel momento in cui ciò era accaduto a bordo della Kasta Hamina, permettendole di offrire al capitano della Rad Dak-Wosh indicazioni più che precise per completare quella ricerca già in corso da settimane, e che, tuttavia, agendo in sfasamento quantistico, avrebbe potuto richiedere loro ancora molte altre settimane di duro impegno prima di garantire quella possibilità di attacco: figurarsi, quindi, nel momento in cui questo ebbe ad avvenire a bordo della propria stessa nave, a pochi ponti di distanza dalla propria attuale posizione. E come già era avvenuto al momento in cui le due Midda si erano ricongiunte a bordo della Kasta Hamina, anche allora tale evento non poté ovviare a imporle un moto di ansia, di paura, nella perfetta consapevolezza di quanto già, una sola fra loro, avrebbe potuto essere fastidiosa e nella certezza di quanto, allora, due avrebbero avuto a riconoscersi qual una piaga a dir poco sgradevole, soprattutto laddove entrambe più che preparate, più che pronte a offrirle battaglia.
Come diamine era potuto accadere che quelle due si fossero ritrovate? Un universo intero le aveva mantenute a debita distanza sino a qualche giorno prima… e la fenice non avrebbe dovuto riservarsi dubbio alcuno nel merito di quanto allora stessero lì orchestrando, in termini tali da giustificare uno spostamento tanto repentino da parte della Midda aliena a quella dimensione sino a ricongiungersi a quella autoctona. E allora…? Come poteva essere accaduto…? Perché ciò era accaduto?!
Domande, invero, prive di immediata possibilità di risposta e che, obiettivamente, non avrebbero abbisognato di una qualche risposta, giacché, a prescindere dal come o dal perché, palese avrebbe avuto a doversi riconoscere l’evidenza di quanto, allora, quel sodalizio andasse separato, e andasse separato prima che avesse a potersi consolidare ulteriormente, e a compromettere i loro piani.
Avrebbe dovuto intervenire, e intervenire in prima persona, aggiungendo almeno un’altra Midda alla propria collezione… e poco sarebbe importato quale ella si sarebbe dimostrata essere, con buona pace di ogni proposito di vendetta da parte della sua improbabile alleata.

“Midda…?!”

La creatura che aveva preso il posto dell’accusatore Pitra Zafral e che, in tale veste, stava osservando con sofferente rassegnazione quella spietata caccia a discapito della donna guerriero e dei suoi amici, ebbe subito a intendere quanto allora stava accadendo. E nel proprio cuore non poté ovviare a essere semplicemente entusiasta nel confronto con l’evidenza di quanto lì stava occorrendo, pur non comprendendone le ragioni, pur non capendone le motivazioni… così come, del resto, non avrebbe potuto vantare la possibilità di comprendere molte altre cose, esterne e interne a se stessa. Quel nome, quel volto, quella donna in contrasto alla quale si era già ritrovata a combattere qualche mese prima, nell’appartamento dell’accusatore Pitra Zafral, suscitava in lei reazioni contrapposte. E benché il suo corpo si muovesse, contro la propria volontà, animato dall’unico intento di abbatterla, ella non avrebbe potuto ovviare a percepire un profondo sentimento nei riguardi di quella donna: non, tuttavia, un sentimento d’odio, qual pur allora avrebbe potuto giustificare le sue azioni, quanto e piuttosto d’amore, e di quell’amore per il quale, probabilmente, sarebbe anche stata pronta a sacrificare la propria stessa esistenza, se solo ve ne fosse stata la possibilità.
O forse lo aveva persino già fatto…?! Difficile a dirsi. Difficile a definirsi al pari di tutto il resto. A partire dal proprio stesso nome, così come dal proprio volto.
Ella aveva dimenticato il proprio nome. Eppure avrebbe dovuto avere un nome. Ella aveva dimenticato il proprio volto. Eppure avrebbe dovuto avere un volto. Ricordava molti volti e molti nomi. Ma non il proprio.
O forse erano tutti propri nomi e propri volti…?! Difficile a dirsi. Difficile a definirsi al pari di tutto il resto. Quanti nomi e quanti volti avrebbe potuto avere una singola persona…? Quante vite avrebbe mai potuto vivere una singola donna…?! Ammesso, in effetti, di essere donna, per così come, pur, le veniva naturale indicare se stessa.

“Ma io sono donna!”

Più tempo ella trascorreva intrappolata all’interno del proprio stesso corpo, e più difficile era per lei avere occasione di rammentare se stessa, di ricordare la propria identità, rischiando di smarrirsi per sempre, in un oblio peggiore persino della morte.
Una morte che ella doveva impegnarsi a ricordare di aver vissuto, tanto quanto la vita che aveva vissuto. E una vita che aveva vissuto accanto a quella donna, almeno nei propri ultimi anni. E una morte che aveva a lei dedicato, qual il più assoluto atto d’amore per colei che, in fondo, aveva sempre amato e che le aveva offerto ragion d’essere sin dall’età della propria più tenera innocenza.
Sì… ella amava Midda Bontor. La amava da ben prima di conoscerla. La amava ancor prima di incontrarla in quanto donna. La amava da quando, ancora, ella era solo un nome, un’idea forse, ancor prima di una persona, e un’idea di mirabile libertà: tante le canzoni ascoltate, narranti le gesta straordinarie di quell’eroina divenuta leggenda quand’ancora in vita; tante le storie sulle quali aveva sognato, immaginando di poter essere, se non come lei, quantomeno simile a lei, a lei prossima come la luna a confronto con il sole, impossibilitata a risplendere della medesima luce e, ciò non di meno, impegnandosi quanto più possibile a rifletterne la pienezza, pur con moto altalenante, priva della medesima costanza. E quando alfine l’aveva incontrata, e l’aveva scoperta in quanto donna, non aveva potuto ovviare a colmarsi della sua luce, pur, a tratti, ritrovandosi purtroppo costretta a rifuggirne, trascinata nelle tenebre da altre oscure entità.
Oscure entità come coloro che l’avevano lì riportata in vita. Che le avevano dato quella seconda occasione. E che, tuttavia, in tale seconda occasione l’avevano voluta ridurre a un’arma, e a un’arma da impiegare in opposizione alla propria amica… all’amore della propria vita.

“Io sono…”

Inutile sforzarsi. Inutile cercare di riprendere il controllo di sé o del proprio corpo. Anche perché tale, ormai, non avrebbe avuto neppur più a dover essere riconosciuto il proprio corpo.
Il proprio corpo non era in grado di mutare in forma e dimensione. Il proprio corpo non era in grado di riscrivere le proprie sembianze e le proprie fattezze. Il proprio corpo non sarebbe mai stato in grado di divenire al pari di quello di Pitra Zafral, per poterlo sostituire, dopo aver cercato di ucciderlo.
No… quello non era il proprio corpo. Ed ella non era più se stessa. Ammesso di esserlo mai realmente stata.
Chi era ella…? Qual era il suo nome…?! Perché era così difficile ricordarlo…?!

“Devono morire.”

La creatura che aveva preso il posto dell’accusatore Pitra Zafral e che, in tale veste, stava conducendo quella caccia spietata a discapito della donna guerriero e dei suoi amici, prese la propria decisione. E la prese a fiero discapito di quella fastidiosa voce che, nella sua testa, continuava a cercare di opporsi e di ritrovare vanamente il controllo del proprio corpo. Del resto, già una volta si era schierata in opposizione della sua volontà, permettendo alle due Midda di sfuggirle nel momento in cui, addirittura, avrebbe potuto eliminare per sempre da ogni piano di realtà non soltanto loro, ma qualunque altra Midda… e, in questo, la minima punizione che avrebbe potuto subire sarebbe stata quella di assistere impotente alla fine della propria amata per propria stessa mano!

venerdì 27 settembre 2019

3046


« E considerando quanto, a bordo della nave, abbiamo già avuto modo di constatare siano, per lo più, stretti passaggi e lunghi corridoi, il fatto che noi si possa essere tanto numericamente inferiori ai nostri avversari non ha poi molto valore! » esclamò H’Anel, dimostrando di aver ben inteso il senso dell’intervento della propria compagna d’arme e di approvarlo entusiasticamente nel proprio intento « Possiamo farcela! »

A confronto con l’entusiasmo così suscitato dalla proposta della propria gemella, Maddie sorrise e ovviò a esplicitare quanto, in effetti, le vicende proprie della battaglia delle Termopili avrebbero avuto a dover essere ricordate non tanto per la disfatta dell’esercito persiano, quanto e piuttosto per il più completo annichilimento del fronte greco, e, in particolare, di quei trecento spartani che, guidando l’iniziativa, furono completamente distrutti, in un sacrificio che, sì, permise poi alla guerra di volgere, comunque, in loro favore, ma che, comunque, rappresentò un momento di gloria, per i malcapitati in oggetto, solo a posteriori, nell’esser, in tal maniera, entrati nel mito. Un destino, quello del fronte greco, che obiettivamente avrebbe avuto a non voler essere condiviso da alcuno… e non, certamente, da loro in quel frangente. Al di là di tale considerazione storica, comunque, Maddie non avrebbe potuto ovviare ad apprezzare il tentativo della propria gemella, e quel tentativo atto a tentare di fare la propria parte nella questione, a riservarsi il proprio ruolo in essa, fosse anche e soltanto di motivazione, laddove, obiettivamente, sotto ogni altro aspetto, Rín avrebbe allora avuto a potersi riservare meno ruolo rispetto, forse, ai due figli adottivi della Figlia di Marr’Mahew, non avendo alcuna formazione bellica, non essendo mai stata addestrata al combattimento e, soprattutto, per quanto ella ne avrebbe potuto sapere, non avendo mai ucciso alcuno prima di allora.
Un’inutilità manifesta, quella propria di Rín, che ella stessa non avrebbe potuto ovviare a riconoscersi, e che, in ciò, non avrebbe potuto mancare di imbarazzarla, soprattutto nel considerare quanto, tutto quello, fosse in buona sostanza occorso per merito o, più probabilmente, per colpa sua. In effetti, comunque, considerare allora completamente inutile Rín sarebbe stato un giudizio improprio: ripresasi, infatti, dalle ferite riportate, e ripresasi, ancora, dalla fatica propria dell’attraversare il multiverso, lasciando un piano di realtà soltanto per accedere al tempo del sogno e, dal lì, aver accesso a qualunque altro luogo, a qualunque altra meta nell’intero multiverso; ella avrebbe allor potuto risparmiare loro quell’impropria battaglia, cercando, in tal maniera, di trasportarli altrove, con buona pace di qualunque controllo, e di qualunque minaccia, da parte di quella nave stellare. Una possibilità, quella in tal maniera offerta da Rín, che, tuttavia, non era stata abbracciata dal gruppo per alcune sfumature meno evidenti a margine di un tanto semplice piano, fra le quali, innanzitutto, l’incertezza nel merito del fato al quale avrebbero condannato la colonia, evadendo dall’attenzione dei loro antagonisti in maniera tanto imprevedibile, e, in secondo luogo, la non minor incertezza nel merito del fato al quale avrebbero avuto a loro volta a votarsi, nel muoversi, attraverso l’aiuto di Rín, all’interno del tempo del sogno.
Ove infatti, la donna da dieci miliardi di crediti e i suoi compagni, precipitati sul quarto pianeta del sistema Leica Merasch in conseguenza alla serrata caccia loro imposta da quella nave da guerra, fossero allora scomparsi dal medesimo pianeta senza che alcuna nave, senza che alcun mezzo comprensibile alle logiche dei loro antagonisti, fosse stato coinvolto nella questione, prevedibile sarebbe stata, da parte dei loro stessi avversari, un’impietosa reazione a discapito della colonia lì presente e di tutti i suoi occupanti, quasi un milione di persone che, molto probabilmente, avrebbero pagato ingiustamente il prezzo di quella decisione, laddove colpevoli, in buona sostanza, solo di aver offerto loro asilo necessario quando richiesto. E, al di là di tutta la sceneggiata posta in essere dal buon Lange al momento della loro consegna a bordo di quella nave, nessuno, all’interno della loro compagnia, avrebbe avuto di che offrire il benché minimo rimprovero a quei coloni, i quali, anzi, benché inizialmente tardivi nella loro missione di soccorso, si erano poi impegnati in maniera sincera a offrire loro tutta l’ospitalità necessaria, nelle cure, nel nutrimento e nel riposo del quale, allora, avrebbero potuto abbisognare, senza nulla ipotizzare di chiedere loro in cambio. Imperdonabile, quindi, sarebbe stato l’egoismo proprio del fuggire da lì indifferenti alla sorte di quegli uomini e di quelle donne… in termini che mai, alcuno, fra i membri dell’ex-equipaggio della Kasta Hamina, né tantomeno fra i sei peregrini di Kofreya, avrebbero mai avuto piacere a rendere propri.
Inoltre, accanto a ciò, ragione più che sufficiente per frenare ogni entusiasmo all’idea di evadere in maniera rapida e, speranzosamente, indolore da quel pianeta, non avrebbe avuto a dover essere ignorato un altro fattore, e un fattore in riferimento, allora, all’imprevedibilità propria del viaggio dimensionale e, soprattutto, del viaggio dimensionale attraverso il tempo del sogno. In un multiverso contraddistinto da infiniti mondi paralleli, infinite realtà sviluppatesi in infiniti modi diversi, con infinite versioni alternative delle stesse persone, e un’infinità di altre persone, esemplificazione evidente di tale concetto avrebbero avuto a dover essere indicate Midda e Maddie, due sviluppi completamente estranei della medesima persona; non sarebbe stato tanto semplice, tanto ovvio, infatti, avere possibilità di orientarsi. E se, per tre volte, addirittura, Rín era stata in grado, dal tempo del sogno, di accedere a quella specifica dimensione, l’una raggiungendo, erroneamente, Midda, la seconda giungendo, correttamente, dalla propria gemella, e la terza trasportando, ancora correttamente, la propria gemella e i suoi amici fino a Midda, per poter offrirle manforte; tutt’altro che ovvio, tutt’altro che scontato, sarebbe stato riuscire ancora una volta a muoversi all’interno del multiverso nella sola e semplice direzione propria di quella dimensione, soprattutto in assenza, allora, di ancoraggi emotivi a cui poter offrire riferimento. Per raggiungere, infatti, quella dimensione, la prima volta, Rín non era assolutamente andata a colpo sicuro e, anzi, aveva avuto occasione di riservarsi un proprio piccolo bagaglio di esperienze dimensionali, finendo, erroneamente, a incontrare altre Maddie diverse dalla propria gemella, proprio bersaglio originale. E quando, alla fine, nella corretta intuizione di aver a discriminare la “propria” Maddie attraverso la consapevolezza di quanto, in quel momento, ella avrebbe avuto a doversi riconoscere all’interno della medesima dimensione di una Midda, e di una Midda che ella, fra l’altro, aveva già avuto occasione di incontrare; il nuovo salto l’aveva condotta, per l’appunto, non immediatamente dalla propria gemella, quanto dalla sua versione alternativa locale a quella dimensione. Alla luce di tutto ciò, quindi, l’idea di prendere e ricorrere a Rín e al suo particolare potere, avrebbe rappresentato un vero e proprio balzo nel buio, non potendo loro malgrado prevedere né dove avrebbero avuto ad arrivare, né, tantomeno, se avrebbero mai avuto, effettivamente, a poter fare ritorno a quello specifico universo, o se, piuttosto, si sarebbero ritrovati a vagabondare per sempre attraverso il multiverso… e tanto Maddie, quanto Rín, si ricordavano molto bene quanto male si era sviluppata una certa serie televisiva degli anni Novanta del proprio mondo natale, soprattutto dopo la morte del professor Maximillian P. Arturo, in termini tali da non voler certo correre il rischio di emularla.
Positivo, a margine di tutto ciò, sarebbe stato poter vantare la possibilità di una via di fuga, come quella offerta da Rín, in assenza di alternative. Ma fino a quando qualche alternativa sarebbe stata loro concessa, tutti loro avrebbero ben preferito continuare a fare affidamento sulle proprie energie, ancor prima che su qualche bizzarra e non meglio compresa stregoneria; motivo per il quale, pertanto, in quel momento, in quel frangente, allorché essere nel tempo del sogno, avrebbero avuto lì a riconoscersi pronti a emulare i mitici trecento spartani nella loro ultima battaglia, sperando, tuttavia, in una conclusione migliore.

« Andiamo dunque! » incalzò allora Midda, riprendendo positivamente il controllo della situazione e cavalcando la positività che Rín, con il proprio aneddoto, aveva voluto trasmettere loro « Armi in pugno, muoviamoci in maniera compatta e coordinata, proteggendo i più deboli fra noi e non permettendo a nessun ostacolo di arrestarci. » sancì, con tono convinto, fermo, deciso, nella quieta certezza propria di chi consapevole di poter vincere, e non qual mera illusione, quanto e piuttosto qual unico risultato possibile della loro azione, e di un’azione condotta con sapienza e pieno controllo nel merito del proprio destino « E vi garantisco che, entro sera, questa nave sarà nostra! »

giovedì 26 settembre 2019

3045


Come fare? Come riuscire ad affrontare quella battaglia in termini tali da non ripetere gli errori del passato, e da offrire un esempio migliore alla propria progenie…?! Midda non aveva ancora una risposta a tale interrogativo. Né era certa sarebbe riuscita a trovarla in tempo utile per quanto, speranzosamente presto, sarebbe stato loro richiesto di compiere. Però desiderava trovarla… e desiderava trovarla nell’amore che non avrebbe potuto ovviare a provare per quei due bambini, e per quei due bambini in opposizione ai quali già troppo a lungo il destino aveva ordito per rischiare di condannarli a una vita simile alla sua. Una vita, la sua, che ella non avrebbe mai rinnegato, avendola ricercata con tutte le proprie energie, e avendola sempre vissuta al pieno delle proprie possibilità, e pur una vita che non avrebbe augurato a nessun altro, non a confronto con tutto ciò che, in essa, ella aveva anche perduto.
A raggiungere la donna guerriero e i suoi compagni rinchiusi all’interno dell’area detentiva, nel mentre di tale intima diatriba, fu allora il gruppetto capeggiato da Howe, i quali, offrendo quindi ragione all’opinione sostenuta da Rín, prima, e H’Anel, poi, effettivamente ebbero occasione di raggiungere il proprio obiettivo nel quarto corridoio del settimo ponte della nave. E se, allora, soltanto una guardia avrebbe lì avuto a doversi riconoscere qual presente, laddove, obiettivamente, improbabile sarebbe stato il rischio di un’evasione da quella zona, sin troppo facile fu per i tre compagni sbarazzarsi della medesima, senza neppure averla a uccidere per così come Rín, ancor decisamente estranea al più elastico senso della morale dei propri camerati, ebbe quindi a preferire, con la scusante, più che difendibile, di quanto sgozzarlo o pugnalarlo, allora, avrebbe generato decisamente più entropia rispetto a quanto, allora, non sarebbe stato auspicabile avvenisse, a tentare di procrastinare, sino all’ultimo minuto utile, la quiete nella quale, malgrado tutto, erano riusciti a restare sino a quel momento.
Ancora una volta in ubbidienza alle istruzioni di Pitra Zafral, quindi, i tre riuscirono a identificare le celle entro le quali avrebbero avuto a dover essere riconosciuti divisi gli amici della Kasta Hamina e a liberarli, uno dopo l’altro, in una discrezione quantomeno lodabile, nel considerare la situazione a contorno, e la situazione a contorno che, allora, li avrebbe visti all’opera all’interno di una nave a loro pressoché sconosciuta, circondati, proprio malgrado, da una sproporzione schiacciante di potenziali avversari.

« A costo di apparire privo di fiducia nei vostri confronti, vorrei complimentarvi per essere riusciti ad arrivare fino a qui… » ringraziò allora Lange, decisamente soddisfatto per la riacquisita libertà, e quella riacquisita libertà che pur avrebbe avuto a doversi riconoscere soltanto qual un nuovo passo verso la meta, ancor più che il raggiungimento della meta stessa « … per essere fra le stelle da meno di una settimana, state dimostrando maggiori capacità di adattamento rispetto a quanto Midda stessa non fosse riuscita a rendere proprie! »
« Questo non è del tutto corretto… » protestò la donna guerriero, aggrottando la fronte « … io sono stata capace di adattarmi in maniera straordinariamente rapida, nel considerare la situazione in cui mi sono ritrovata precipitata. »
« Aiutami a ricordare… non eri stata arrestata perché avevi deciso di minacciare un accusatore?! » sorrise sornione l’ex-capitano, scuotendo appena il capo.
« Quella è la ragione per cui era stata condannata… » puntualizzò Be’Sihl, intervenendo nel discorso « Era stata arrestata per aver preso a botte un gruppo di marinai mezzi ubriachi. »
« E tu da che parte stai…?! » domandò la Figlia di Marr’Mahew, con aria critica nei confronti del proprio uomo, innanzi a quell’apparente tradimento da parte sua « E comunque, se ricordi, eravamo appena arrivati a Loicare… e la fenice ci ha lasciati nudi, di notte, in un dannato vicolo, in prossimità all’uscita di un bar. La rissa era praticamente obbligata… »

Futili chiacchiere, le loro, che pur avrebbero avuto ad assolvere a un compito psicologico molto importante in un momento qual quello: permettere a tutti loro di scendere a patti con quella difficile situazione in maniera serena, quasi nulla stessero impegnandosi a fare di più rispetto a una tranquilla scampagnata di gruppo, allorché iniziare una vera e propria battaglia, numericamente svantaggiata, per la conquista di quella nave, e di quella nave controllata da una dannata creatura mutaforma che già, nel recente passato, aveva avuto occasione di porre in difficoltà persino la stessa donna da dieci miliardi di crediti.
Ma se, da un lato, quelle chiacchiere avrebbero quindi assolto al compito psicologico di allentare la tensione, dall’altro non avrebbero certo permesso loro di giungere al non facile traguardo prefisso, ragione per la quale, allora, avrebbero avuto a doversi iniziare a muovere, e a muovere in maniera quanto più possibile efficace ed efficiente all’interno del dedalo rappresentato da quella nave…

« Dove ci troviamo…? » si informò quindi Duva, nel contempo di quelle chiacchiere, rivolgendosi in direzione di Howe a riconoscere il suo ruolo di comando all’interno del gruppetto giunto in loro soccorso « A quale ponte della nave…?! Quando siamo arrivati non ho avuto possibilità di orientarmi… »
« Siamo al ponte sette. » dichiarò lo shar’tiagho, così interrogato « Corridoio quattro. » precisò, volgendo poi uno sguardo di approvazione in direzione di Rín che, per prima, aveva in tal maniera definito correttamente il loro obiettivo.
« Stando a quanto ci ha detto il nostro nuovo amico, gli alloggi del capitano dovrebbero essere al secondo ponte, accanto alla plancia… e molto probabilmente anche il falso Zafral si troverà lì. » osservò l’ex-primo ufficiale della Kasta Hamina, storcendo appena le labbra « Questo significa dover risalire di cinque piani, con tutte le difficoltà del caso. »
« Siamo comunque all’interno di una nave… » osservò Lys’sh, intervenendo nel discorso « E nessuno si azzarderà a ricorrere ad armi da fuoco, con il rischio di danneggiare l’integrità strutturale dello scafo… questo ricondurrà, quindi, ogni scontro all’arma bianca, deponendo a nostro vantaggio. »
« Un vantaggio che, tuttavia, nella sproporzione numerica avrà a considerarsi decisamente minimale… » puntualizzò la prima, scuotendo appena il capo.
« Questo non è detto. » volle prendere voce Rín, la quale, probabilmente, fra tutti i presenti avrebbe avuto minor possibilità di espressione nel merito di questioni tattiche anche rispetto a Thaare o a Roro, e che pur, allora, decise di esprimere la propria, paga, dopotutto, della consapevolezza di quanto, non avesse avuto il coraggio di prendere parola nell’immediato passato, probabilmente in quel frangente si sarebbero ritrovati tutti insieme, con sua sorella e gli altri due membri del loro gruppetto, a vagare per il ponte quattro, ricercando un’area detentiva altresì assente « Immagino che l’antica storia greca, da queste parti, non vada di moda… » osservò poi, offrendo un lieve sorriso.
« Cosa intendi dire…? » la volle appellare, in tal maniera, Midda, attratta da quel discorso parallelo al loro, volendo riconoscere indubbio credito a una versione alternativa della propria gemella, nel conoscere bene il valore di Nissa e nell’essere certa di quanto, se Rín avesse avuto anche e soltanto la decima parte della sua competenza strategica e tattica, sarebbe stata comunque e indubbiamente un’avversaria da non sottovalutare.
« Nel mondo dal quale provengo… e, Cielo, quanto fra strano iniziare una fra in questo modo… » riprese l’altra, così incitata dalla Figlia di Marr’Mahew « … alcuni secoli fa vi fu una battaglia entrata degnamente nel mito, combattuta da circa seimila soldati greci in opposizione a oltre due milioni e mezzo di soldati persiani, almeno secondo quanto riportato da Erodoto. Ergo, una sproporzione decisamente maggiore rispetto alla nostra. » puntualizzò, annuendo appena « A fare la differenza, e a permettere, comunque, la resistenza del fronte greco per ben tre giorni, fu il terreno di battaglia scelto, quello del passo delle Termopili: uno stretto passaggio che non avrebbe mai permesso alla superiorità avversaria numerica di esprimersi in tutta la propria forza, rendendo, quindi, le forze in campo praticamente equivalenti. »

mercoledì 25 settembre 2019

3044


Il fatto che Howe avesse promosso idealmente Rín in quell’ultimo scambio di battute non avrebbe avuto a dover essere inteso in altro modo se non qual una positiva evoluzione all’interno del loro rapporto, e di un rapporto necessariamente complesso fra loro proprio per la logica “diverso” uguale “mostro”, e quanto consegue. Ciò non di meno, il fatto che, in quel momento, tutti loro stessero lì agendo in accordo con le indicazioni offerte loro da un uomo verso il quale non stavano razionalmente riuscendo a riporre la benché minima fiducia non avrebbe avuto a doversi fraintendere altrettanto positivo. Anzi. Soprattutto laddove, loro presunto avversario a bordo di quella nave, accanto a un migliaio di uomini e donne potenzialmente desiderosi di far loro la pelle, avrebbe avuto a dover essere ipotizzata anche la presenza di un “altro” Pitra Zafral, e di un Pitra Zafral fasullo, lì allor nemico tanto loro, quanto del “loro” Pitra Zafral.
In effetti, alla luce di ciò, probabilmente più che corretta avrebbe avuto a dover essere ritenuta la scelta, pressoché obbligata, volta a lasciare indietro l’originale Zafral, laddove avere a imporre, all’interno del già non semplice equilibrio del loro gruppo, un perfetto estraneo, e per lo più un estraneo caratterizzato anche da un imitatore antagonista: condurlo seco, costringendo, in tal senso, alla rinuncia altresì della presenza di un altro fra loro, avrebbe soltanto complicato di più le cose, per quanto, ovviamente, la sua assenza, in quel momento, non avrebbe potuto essere che intesa in maniera negativa, e negativa, soprattutto, nel ricondurlo in maniera più che naturale al classico generale che, allorché prendere parte allo scontro nella prima linea, insieme ai propri uomini, avrebbe preferito restare a debita distanza, a controllare la situazione dall’alto e, all’occorrenza, a lasciar morire tutti loro per un fine strategico superiore. Un paragone, invero, tutt’altro che appropriato per Pitra, giacché, obiettivamente, egli non avrebbe tratto alcun vantaggio dal loro sacrificio… non laddove, in fondo, essi avrebbero avuto a doversi identificare qual i soli allor in grado di aiutarlo a riappropriarsi della propria esistenza, e del proprio ruolo di accusatore, dopo che quella creatura mutaforma ne aveva assunto le sembianze e preso il posto all’interno di un empio piano ipoteticamente promosso dalla stessa regina Anmel Mal Toise che, per le informazioni in loro possesso, stava rovesciando, dall’interno, la struttura dell’omni-governo di Loicare, al fine di assumerne il controllo, e di assumere il controllo, in tal maniera, di una delle più potenti forze presenti in quell’angolo di universo.
Così, benché poca fiducia avrebbe potuto essere rivolta in direzione di Pitra Zafral, il riconoscimento in Anmel Mal Toise di un nemico comune avrebbe avuto a dover essere inteso ben più motivante di ogni altra ragione per appianare le loro divergenze. Motivante, per lo meno, nella misura utile a giustificare quanto, lì, Howe, Maddie e tutti gli altri stessero sforzandosi di ricordare, con maggiore precisione possibile, ogni indicazione loro suggerita nel merito della collocazione dell’area di detenzione…

« Ponte quattro, corridoio sette... » rievocò M’Eu, in tal comune sforzo di memoria.
« Non era ponte sette, corridoio quattro…?! » esitò tuttavia Rín, storcendo appena le labbra verso il basso.
« Credo anche io. » approvò H’Anel, a discapito della posizione del proprio fratellino.
« Io invece rammento come M’Eu… » suggerì altresì Be’Wahr, a discapito della posizione della propria amata, in un grottesco chiasmo che avrebbe potuto aversi a intendere persino divertente se, in quel momento, non avessero avuto i minuti contati… e, probabilmente, non più di una decina.
« Dannazione… questo è proprio il momento sbagliato per farsi cogliere da qualche dubbio discalculico. » commentò fra sé e sé Maddie, aggrottando la fronte e, in tutta onestà, non sapendo a quale delle due parti rivolgere maggiormente la propria fiducia, rammentando anche lei quei due numeri, e pur, proprio malgrado, non sentendosi fiduciosa nel merito dell’ordinamento degli stessi.
« Eviterò di chiederti cosa tu abbia appena bestemmiato… » replicò Howe, scuotendo appena il capo, nella consapevolezza di non aver compreso l’ultima parola da lei pronunciata e, ciò non di meno, nel non ritenerla importante in quel preciso momento « … temo proprio che dovremo dividerci. » concluse poi, in quella che lui stesso avrebbe condannato qual una pessima idea, ma che, nei tempi ristretti loro garantiti prima di un eventuale allarme, non avrebbe potuto che rappresentare una scelta obbligata.
« Io vado con M’Eu e Be’Wahr al ponte quattro… » acconsentì allora la versione alternativa della Figlia di Marr’Mahew, riconoscendo l’assennatezza propria di quell’idea, per quanto potenzialmente pericolosa, e promuovendo in tal senso un’equa ripartizione delle loro forze, in termini utili ad affrontare la quesitone in maniera più equilibrata possibile « Tu vai con Rín e H’Anel al ponte sette. »
« I primi che trovano Midda daranno inizio alle danze. » confermò quindi lo shar’tiagho, in quieto accordo con la propria interlocutrice « Gli altri agiranno di conseguenza, non appena scatterà l’allarme. »

Nel merito del fatto che l’allarme sarebbe scattato, infatti, nessuno di loro avrebbe potuto vantare il benché minimo dubbio, laddove, al contrario, a dir poco miracoloso avrebbe avuto a intendersi quanto, sino a quel momento, tale evento non fosse ancora occorso. E così, prendendo come riferimento tal punto certo nel loro immediato futuro, i sei di Kofreya ebbero a separarsi, e a intraprendere quei due percorsi separati, e quei due percorsi separati al termine di uno dei quali, speranzosamente, li avrebbe attesi l’area detentiva e lì, ancora, il loro obiettivo.
Un obiettivo chiamato Midda Bontor che, nel contempo di tutto ciò, stava pazientemente attendendo il momento del loro arrivo, e di tutto ciò che, allora, avrebbe avuto a occorrere, nel bene, così come nel male.

« Tagae e Liagu… » stava sussurrando fra sé e sé, in quel frangente, la donna guerriero, insistentemente e ripetutamente, cercando di mettere al giusto posto quel tassello del mosaico, e quel tassello che, ancora, non era stata in grado di collocare all’interno delle proprie possibili strategie e tattiche.

L’idea di essere costretta a lasciarsi coinvolgere, ancora una volta, in una battaglia, e una feroce battaglia, in compagnia dei propri figli, non la emozionava in senso positivo.
Per quanto, infatti, i due pargoli, già anni prima, in occasione del loro primo incontro, l’avessero vista all’opera, e l’avessero vista all’opera in quanto, obiettivamente, altro non avrebbe potuto intendersi che un vero e proprio massacro, ella non avrebbe avuto a doversi riconoscere propriamente fiera dell’immagine che, in tal maniera, avrebbe potuto trasmettere loro né, parimenti, dell’esempio che avrebbe potuto incarnare ai loro occhi. Una remora, la sua, tutt’altro che inedita invero, e che pur, in quegli ultimi giorni, avrebbe avuto a doversi considerare rafforzata dall’evidenza del fato a cui si erano votati anche H’Anel e M’Eu, e quel fato per il quale, obiettivamente, non avrebbe potuto ovviare a considerarsi parzialmente responsabile.
Benché, del resto, H’Anel e M’Eu altro non fossero che i figli di Ebano, ossia di uno dei migliori guerrieri mercenari con il quale ella avesse avuto occasione di collaborare nel corso della propria vita, loro padre aveva rinunciato a quello stile di vita molto prima della loro stessa nascita, ritirandosi fra le vette più inospitali dei monti Rou’Farth per avere lì occasione di ricominciare, e di ricominciare una nuova vita di pace e di serenità, lontano dalla violenza del mondo. E proprio in quell’oasi di pace, i suoi figli avevano avuto occasione di venire alla luce, e di vivere gli anni più innocenti della propria infanzia nella più totale indifferenza nel confronto con tutto il male loro circostante. Un’indifferenza che, tuttavia, era brutalmente terminata il giorno in cui, sciaguratamente, Midda era entrata nelle loro vite.
E per quanto, ancora, quei due giovani le volessero bene, e le volessero bene al punto tale da mettere in dubbio le proprie vite per attraversare l’intero universo e giungere in suo soccorso, a combattere una battaglia non loro, Midda non avrebbe potuto ignorare quanto ella avesse rappresentato, proprio malgrado, il primo e vero contatto di quei due con la violenza propria del mondo, probabilmente influenzando in maniera negativa il loro sviluppo e portandoli, a propria volta, ad abbracciare quelle che, ora, avrebbero avuto a doversi riconoscere quali le proprie vite, con tutta la violenza, con tutto il sangue, con tutto l’orrore che, in esse, avrebbe potuto occorrere…
… vite alle quali, tuttavia, ella non avrebbe mai potuto desiderare destinare anche Tagae e Liagu.

martedì 24 settembre 2019

3043


« Ancora non mi capacito di come possiamo essere arrivati a fidarci di quel tipo… » commentò, con tono ovviamente critico, Howe, rivolgendosi al fratello d’arme e di vita « Cioè… alla fine: sua l’idea, suo il piano e nostra l’attuazione. E noi siamo qui a rischiare il collo mentre lui ci attende tranquillo su quel pianeta… » osservò, non privo di torto a tal riguardo, laddove Pitra Zafral, il vero Pitra Zafral per quanto loro noto, principale orchestratore di quell’idea, e di quell’idea quantomeno folle, avrebbe avuto a doversi riconoscere in quieta attesa di loro riscontri sul quarto pianeta del sistema Leica Merasch « Dovendo proprio rischiare la vita, almeno avrebbe potuto essere nostra l’idea. »
« Sei decisamente un passo avanti rispetto a me, fratello: io ancora ho difficoltà a comprendere come si possa parlare di pianeti… » osservò per tutta risposta Be’Wahr, non vergognandosi, in questa occasione, della propria ignoranza, della propria difficoltà di elaborazione, sentendosi, dopotutto, più che giustificato in tal senso, nel considerare quanto, sino a qualche giorno prima, tutta la loro esistenza fosse rimasta confinata quietamente entro i confini del loro mondo, nella più quieta ignoranza nel merito dell’esistenza di tutto quello, fra le infinite stelle del cielo « E sentiti pure libero di canzonarmi per tutto questo: non mi opporrò! »

In una rara, se non unica, occasione all’interno delle loro vite condivise, tuttavia, lo shar’tiagho non ebbe desio alcuno di canzonare il proprio fratello, nello sforzo che egli stesso stava compiendo ormai da giorni per cercare di restare ancorato a un qualche barlume di realtà, aiutato, in tal senso, soltanto dal costante clima di pericolo a loro circostante, utile a impedirgli di riflettere, con precisione, su quanto stesse accadendo. Perché quanto stava lì accadendo, obiettivamente, avrebbe avuto a doversi riconoscere qual decisamente troppo per lui, e forse per tutti loro, benché, d’altra parte, Midda e Be’Sihl stessero offrendo evidenza di essere riusciti a integrarsi più che bene all’interno di tutto ciò.
Al di là di quanto, comunque, in genere Howe si potesse divertire a inveire contro il proprio biondo compagno d’arme e amico, anche egli non avrebbe avuto a doversi riconoscere particolarmente meno semplicistico rispetto a lui, nel proprio approccio alla vita. Dopotutto, essi erano guerrieri, e guerrieri mercenari e la loro vita, in ciò, pur avendo a confrontarsi sovente con mostri e stregoni, avrebbe avuto a doversi riconoscere, tutto sommato, improntata in maniera decisamente semplice, secondo formule assolutamente elementari: “diverso” uguale “mostro”, “mostro” uguale “cattivo”, “cattivo” uguale “uccidere”, “uccidere” uguale “lo faccio a pezzi con la mia spada”. Ma in quella nuova visione della realtà, e in quella nuova visione della realtà nella quale erano stati lì catapultati dalla stregoneria di Rín, in termini che avrebbero avuto altresì a doversi riconoscere già sufficienti per condannarla a morte, tutto era “diverso” rispetto a quanto essi avrebbero mai potuto vantare di conoscere… e i “mostri” avrebbero avuto addirittura a doversi riconoscere qual “amici”, così come una donna serpente, e un’intera comunità di uomini e donne gatto, aveva loro dimostrato in maniera decisamente diretta.
E per quanto, appunto, Midda e Be’Sihl potessero star dimostrando di essersi decisamente integrati in tutto quello, riprova di quanto ciò avrebbe avuto a doversi riconoscere possibile, la semplice banalità tecnologica alla base di una porta capace di aprirsi e chiudersi da sola, o di una luce capace di accendersi e spegnersi a comando, avrebbe avuto a doversi riconoscere una decisa sfida intellettuale per lui. E una sfida intellettuale che Howe non avrebbe voluto perdere per quanto, francamente, non avrebbe potuto ovviare a temere di essere prossimo a fare…

« Siamo sulla stessa barca, fratello... siamo sulla stessa barca. » scosse quindi il capo egli, escludendo l’ipotesi di avere a canzonare il proprio amico per quella ragione, e per una ragione a confronto con la quale, dopotutto, avrebbe avuto altresì a canzonare anche se stesso, all’occorrenza.
« Credevo si dicesse nave… » puntualizzò tuttavia Be’Wahr, fraintendendo il senso metaforico dell’intervento di Howe e, in tal senso, riferendosi alla nave stellare all’interno della quale lì stavano allor cercando di orientarsi, sforzandosi di non apparire eccessivamente a disagio in tal senso, a confronto con un ambiente non soltanto estraneo, ma addirittura estraneo a ogni propria comune concezione di ambiente.
« Ti prego… schiaffeggiati da solo. » sospirò Howe, rimangiandosi la solidarietà appena espressa in direzione del compagno e levando lo sguardo al cielo, nel domandarsi come potesse essere possibile che, ancora, egli avesse diritto di parola… in senso generale.

Muoversi all’interno di quella nave stellare non fu semplice per i sei infiltrati. E della mezz’ora loro concessa, in effetti, ben più della metà fu spesa soltanto al fine di ritrovarsi, e di ritrovarsi, secondo le indicazioni ricevute, nell’area degli alloggi riservati ai sottufficiali, un lungo corridoio trasversale all’intera estensione della nave dal quale molteplici ulteriori diramazioni avrebbero avuto a condurre, di volta in volta, alle varie cabine, assegnate a ogni elemento di quella vera e propria città peregrina.
E se i primi a giungere furono H’Anel e M’Eu, forse dimostrando in tal modo maggior senso dell’orientamento rispetto ai propri amici, o forse, e piuttosto, in conseguenza pura e semplice fortuna; gli ultimi a giungere furono proprio Howe e Be’Wahr, smarritisi, proprio malgrado, più volte in quello che, a tutti gli effetti, avrebbe avuto a doversi considerare qual un terrificante dedalo di ponti, scale e corridoi… per non parlare poi di una diavoleria entro la quale avevano visto entrare e uscire persone diverse in momenti diversi, quasi quella piccola stanza avesse a cambiare l’identità stessa dei propri occupanti a ogni apertura delle proprie porte.

« Finalmente! » esclamò Maddie, che, obiettivamente, stava iniziando a preoccuparsi per la sorte dei propri amici, dei propri compagni di ventura e, particolare non minoritario, del proprio attuale interesse sentimentale, quel dolce tontolone all’amore del quale, obiettivamente, sarebbe stato difficile un giorno dire addio, benché entrambi fossero più che consapevoli di quanto quella loro avventura avesse a doversi considerare in scadenza sin dal giorno stesso del loro primo incontro « Tutto bene…?! » domandò, appropinquandosi a Be’Wahr, e offrendogli un dolce sorriso al di sotto del casco, nel rendersi conto di quanto, allora, avesse avuto a temere per lui, e per quel volo nello spazio, più di quanto non sarebbe stata pronta ad ammettere.
« Sì. Abbastanza… » confermò Howe, non avendosela a prendere a male per il minor interesse verso di lui rivolto, avendo già fatto da tempo pace con l’idea di quella strana relazione fra il proprio fratello e quella versione alternativa di Midda, e una versione alternativa verso la quale egli non avrebbe mai potuto riservarsi fantasia alcuna, nell’avere a preferire, potendo scegliere, l’originale a qualunque imitazione « Però questo piano mi sembra sempre più assurdo ogni istante che passa… »
« Più assurdo di viaggiare attraverso il multiverso insieme a me…?! » sorrise Rín, per tutta replica, non negandosi quel momento di autoironia nel ben sapere quanto critico quell’uomo avrebbe avuto ancora a doversi riconoscere a suo riguardo, benché, nel folle evolversi degli eventi, l’avversione verso di lei avesse avuto a passare necessariamente in secondo piano.
« Per lo meno tu sei qui con noi… mentre quello se ne sta buono buono a distanza, come farebbe uno stupido generale nel mentre in cui i suoi uomini vengono massacrati in prima linea. » replicò lo shar’tiagho, storcendo appena le labbra.
« Vediamo allora di non farci massacrare. » propose H’Anel, annuendo appena alle parole di Howe, nel non voler offrire loro torto e, ciò non di meno, nel voler cercare di esprimere positività attorno alla questione, e a quanto sarebbe stato loro richiesto allor di compiere « Per intanto stiamo andando bene, mi pare: siamo riusciti tutti ad arrivare fino a qui, anche se, francamente, non ho ben compreso come sia stato possibile, e ci siamo ricongiunti. » fece mente locale, riassumendo i loro attuali successi « Ora dobbiamo soltanto trovare Midda e gli altri… e poi impossessarci di questa nave stellare, o qualunque cosa essa sia! »
« … soltanto… » sospirò M’Eu, dimostrando minor ottimismo rispetto alla propria sorellona e, ciò non di meno, sforzandosi di credere alle loro possibilità… e alle loro possibilità di non morire nel corso dell’attuazione di un simile proposito.

lunedì 23 settembre 2019

3042


Fortunatamente per le due gemelle, comunque, l’evidente senso di nausea proprio di Rín non ebbe ad attirare particolari attenzioni da parte del pubblico con il quale, una volta atterrate, esse ebbero a doversi confrontare: eccessiva, infatti, avrebbe avuto a doversi riconoscere la confusione all’interno dell’hangar nel quale il loro caccia era stato reindirizzato dalle procedure di attracco automatiche, per poter concedere a chicchessia tempo utile per interessarsi alla coppia così appena uscita dal caccia stesso, con il volto ancor celato dietro a un ingombrante casco in termini tali per cui, per così come aveva correttamente suggerito il “loro” Pitra Zafral, nessuno si sarebbe concesso occasione utile a porsi interrogativi a loro riguardo. Dopotutto, quale ragione avrebbe mai avuto chiunque fra le persone lì presenti di avere a ipotizzare uno scambio di persona, e uno scambio di persona in termini tali da veder rientrare, a bordo di quei caccia, persone diverse rispetto a quelle che erano partite?! Così, non senza un certo sforzo utile a cercare di dimostrare maggior disinvoltura possibile nel confronto con il mondo a loro circostante, e con un mondo che, ai loro occhi, sembrava uscito da una qualche serie televisiva di fantascienza, le sorelle Mont-d'Orb si mossero a lasciare il caccia e a imboccare il primo corridoio disponibile, nel tentare di far mente locale sulle indicazioni loro fornite dall’unico, speranzosamente affidabile, informatore che avrebbero potuto vantare qual proprio in un sì tanto complicato contesto.
Una quieta benevolenza della sorte, quella che fu loro riservata, almeno in un primo momento, che ebbe tuttavia a scontrarsi, subito dopo, con l’impietosa concretezza della realtà nel momento in cui, alle loro spalle, una voce ebbe chiaramente ad apostrofarle, e a richiamarle a sé, offrendo la spiacevole impressione di quanto, già, la loro parabola fortunata avesse a doversi considerare conclusa…

« Ehy… voi due! » le appellò una voce maschile, profonda, provenendo dalla gola di un muscoloso canissiano, lì intento a reggere fra le mani un dispositivo elettronico che non poterono ovviare a giudicare assimilabile a una sorta di tablet, e un dispositivo elettronico sul quale, allora, avrebbe avuto a doversi intendere impegnato a verificare alcune informazioni « Il vostro responsabile non è per nulla soddisfatto di quanto accaduto… » evidenziò, con tono di rimproverò, appropinquandosi alla coppia e dedicando loro soltanto parzialmente la propria attenzione, nel lasciarsi distrarre, allora, dalle proprie stesse note « Siete attese in sala controllo fra mezz’ora. E, francamente, non credo per ricevere un qualche elogio, considerando quanto, alla fine, a prendere in custodia i prigionieri e a condurli a bordo siano stati i coloni stessi… allorché il vostro gruppo! »
« Siamo state colte di sorpresa, signore. » si giustificò allora, con apprezzabile prontezza di riflessi, Maddie, ponendosi sull’attenti per così come, dimostrando attenta lungimiranza, Pitra Zafral aveva loro mostrato, a minimizzare ogni possibilità di dubbio nel merito delle loro identità « La donna da dieci miliardi di crediti è riuscita a disabilitare i nostri sistemi con un impulso elettromagnetico e, purtroppo, ci ha posti fuori giuoco prima che potessimo anche soltanto comprendere cosa fosse accaduto. »
« Risparmiatevi queste giustificazioni per il vostro responsabile. » scosse il capo il canissiano, dimostrando quanto, personalmente, a lui non avesse a interessare particolarmente la questione « Mi sapete dire se il caccia ha riportato qualche danno, a margine di tutto ciò…?! » domandò poi, palesando quanto, dal proprio punto di vista, avesse ad aver un qualche valore soltanto lo stato del mezzo, evidentemente ritrovandosi a essere il tecnico incaricato della questione.
« No, signore. » rispose Rín, decidendo di intervenire a sua volta nel dialogo « Una volta esaurito l’effetto dell’impulso elettromagnetico, è stato sufficiente ricalibrare i sistemi e tutto è tornato operativo. »
« Bene… meno lavoro per me. » confermò l’altro, accennando quanto di più simile a un sorriso avrebbe potuto aprirsi sul suo volto, così prossimo al muso di un cane « Grazie e buona fortuna per dopo… » concluse, voltando loro le spalle e dimostrando di non avere ulteriore interesse nei loro riguardi.
« Grazie, signore. » concluse Maddie, restando sull’attenti ancora per un istante prima di tornare in una posizione meno formale e di riprendere, quietamente, il cammino interrotto, prima che altri avessero a voler rivolgere loro la parola.

Nulla di quanto, allora, le due donne avevano riferito al loro interlocutore avrebbe avuto a doversi fraintendere qual frutto di mera improvvisazione: ben consapevole di quanto, allora, gli eventi occorsi sul pianeta fossero stati sicuramente monitorati dall’alto, attraverso i riscontri tecnici sullo stato dei tre caccia, improbabile, per non dire impossibile, sarebbe stato allor negare l’occorrenza di alcuni eventi, primo fra tutti l’impiego di un impulso elettromagnetico volto a disabilitare ogni sistema a bordo dei caccia. Ragione per la quale, qualunque versione dei fatti occorsi che, da parte loro, avrebbe potuto aver a dover essere offerta, avrebbe dovuto, allora, prevedere tale evento, scaricando, ovviamente, la responsabilità della cosa non su colui che realmente avrebbe avuto a dover essere riconosciuto qual autore di quell’impulso, quanto e piuttosto sul migliore capro espiatorio loro lì offerto, ossia la medesima Figlia di Marr’Mahew, la cui fama dopotutto la precedeva insieme al soprannome di donna da dieci miliardi di crediti.
Se, tuttavia, il merito del contenuto proprio di quella replica non avrebbe avuto a dover essere riconosciuto alle due donne, quanto e piuttosto a quello stesso informatore che, adeguatamente, aveva formato loro e i loro amici; l’efficacia propria di quella replica ebbe a essere soltanto attribuibile alle medesime, le quali, dimostrando mirabile autocontrollo, erano lì state in grado di reggere il giuoco, malgrado una situazione per loro assolutamente inedita e potenzialmente avversa.
Un merito, quello proprio di Maddie e Rín, che avrebbe potuto essere riconosciuto, parimenti, anche in favore di Howe e Be’Wahr, così come di H’Anel e M’Eu, laddove, tutti loro, giunti all’interno della grande nave da guerra attraverso hangar diversi, si ritrovarono a essere fermati, di volta in volta, da un diverso interlocutore atto a informarli di quanto avessero allora deluso il loro responsabile e di quanto questi li avrebbe attesi, di lì a mezz’ora, in sala controllo… e non, certamente, per complimentarsi con loro. Anzi.
Ma ove, a quel particolare appuntamento, nessuno di loro avrebbe desiderato invero prendere parte, nella certezza di come, posti innanzi al responsabile, le loro supposte identità avrebbero avuto a essere presto confutate, definendo la verità dei fatti propria di quel discreto abbordaggio; la scadenza propria di quella mezz’ora, e della mezz’ora loro concessa prima del richiesto incontro con il responsabile, sarebbe stato quanto così loro concesso per riuscire a riunificarsi, a riorganizzarsi, a liberare i loro amici della Kasta Hamina e, con essi, a prendere il controllo dell’intera nave, a dispetto di una sproporzione assurda qual quella che, allora, avrebbe visto una decina di guerrieri realmente tali, quali quelli ottimisticamente censibili all’interno della loro compagnia, avere a ipotizzare di confrontarsi con un migliaio di nemici…

« Cento a uno… » sospirò M’Eu, aggrottando la fronte con aria poco convinta nel ricordare, accanto alla propria sorellona, il rapporto tutt’altro che favorevole che sarebbe stato loro riservato all’interno di quel folle scontro « … non che voglia lamentarmi, sia chiaro, o che io desideri apparire insicuro delle mie capacità… ma… cento a uno è un po’ tanto. »
« Lo sai meglio di me, fratellino… » scosse il capo H’Anel, minimizzando le preoccupazioni del proprio familiare « … quello che a noi interessa è giungere al loro generale: sottomesso, o ucciso, il generale, tutti gli altri si arrenderanno. » decretò, con cauto ottimismo « Senza contare che, di questi supposti cento, non tutti saranno guerrieri esperti… anzi. »
« Sarà come dici tu, sorellona. Sarà come dici tu… » dichiarò l’altro, in cuor suo pregando affinché la propria parente avesse allora più che ragione, in termini tali da definire le sue come inutili preoccupazioni.

Prima ancora, tuttavia, di giungere a preoccuparsi del confronto, e di quei cento a uno, il primo ostacolo da superare sarebbe stato scendere a patti con la complessità propria di quella smisurata nave stellare, e, all’interno della stessa, riuscire a comprendere come muoversi per raggiungere i propri compagni. O, in caso contrario, ogni ulteriore proposito di vittoria avrebbe avuto, spiacevolmente, a scoprirsi lì vanificato.

domenica 22 settembre 2019

3041


Maddie e Rín, H’Anel e M’Eu, Howe e Be’Wahr: tutti coloro i quali si stavano lì ponendo al centro dei pensieri della Figlia di Marr’Mahew non avrebbero avuto a fraintendersi qual allora così presenti per mero caso, per una futile e banale coincidenza, quanto e piuttosto nella consapevolezza, da parte della stessa donna guerriero, di quanto, in quel momento, proprio quel variegato gruppo di amici, costituito da vecchi compagni d’arme, ex-bambini ormai cresciuti e, ancora, una coppia di viaggiatrici interdimensionali, avrebbero avuto a doversi riconoscere impegnati al fine di salvarli, e di salvarli secondo il pur discutibile, e non privo di rischi, piano concordato.
Un piano, il loro, che stava così vedendo i sei provenienti da Kofreya intenti a rischiare la propria esistenza, in quello stesso momento, nella maniera più stupida possibile: tentando di condurre tre caccia stellari sino alla Rad Dak-Wosh, in qualcosa che mai avevano fatto prima, che mai avrebbero potuto anche e soltanto immaginare di poter compiere prima di allora e in quanto, ancora, probabilmente avrebbe avuto a doversi riconoscere più qual follia che, altresì, al pari di qualcosa vagamente definibile qual un piano.

« Non ce la faranno mai… » sospirò Duva, nella propria cella, scuotendo il capo nel confronto con pensieri non poi così distanti da quelli della propria amica, e da quelli verso cui, probabilmente, chiunque fra loro stava allor volgendo il proprio interesse, la propria attenzione, le proprie speranze e le proprie preghiere, e lasciandosi in tal maniera dominare da un certo sconforto nel confronto con la stupida, stupidissima idea che avevano voluto definire al pari di un piano, e che allora avrebbe potuto loro riservare minori speranze soltanto nel decidere di sgozzarsi autonomamente, risparmiando lavoro e impegno ai loro antagonisti « … è impossibile che ci riescano. »

A onor del vero, la questione per quei sei nuovi compagni di ventura avrebbe avuto a doversi riconoscere più complessa per ragioni di ordine psicologico ancor prima che pratico.
Dal punto di vista tecnico, infatti, il volo in sé non avrebbe avuto a riservare particolari problemi agli improvvisati piloti, non laddove, per loro fortuna, i sistemi dei tre caccia avrebbero avuto a doversi considerare sì progrediti, e sì efficaci ed efficienti, da ridurre l’apporto del pilota, in una simile manovra di rientro, unicamente alla pressione di un tasto, nonché a possibili ulteriori interventi in momenti di emergenza, in situazioni critiche. Volendo, tuttavia e allora, avere a offrire una preghiera in favore di un quieto rientro, e una preghiera in grazia alla quale alcun incidente avrebbe avuto a contraddistinguere quel ritorno, alcun impegno tecnico, alcun impegno pratico, avrebbe avuto lì a doversi riconoscere qual necessario, né, tantomeno, avrebbe potuto rappresentare ragion d’ostacolo alla riuscita di quel piano; quanto e piuttosto, per l’appunto, una questione di ordine psicologico, di ordine mentale, e di ordine psicologico, mentale, nella stessa misura in cui, allora, sei persone che mai avevano avuto a confrontarsi, prima di quel momento, con lo spazio infinito, o con le tecnologie proprie per viaggiare all’interno del medesimo, si sarebbero ritrovate, improvvisamente, a dover fingere quieta familiarità con tutto ciò, nel dover, in tal senso, avere a interpretare i ruoli propri dei sei precedenti occupanti di quei tre caccia.
Così, tanto Howe quanto Be’Wahr, tanto H’Anel quanto M’Eu, tanto Maddie quanto Rín, rivestiti per l’occasione con artefatte uniformi utili a sperare di ingannare i loro avversari, avrebbero avuto lì a doversi immaginare quali impegnati non soltanto alla guida di quei tre caccia ma, soprattutto, a confronto con l’universo infinito attorno a loro, e quell’universo infinito che, senza adeguata preparazione psicologica, avrebbe potuto quietamente mandarli fuori di testa, confermando, in tal senso, ogni timore, ogni preoccupazione propria dell’ex-primo ufficiale dell’ormai perduta Kasta Hamina.

« Non ci credo che abbiamo veramente votato in favore di un simile piano. » ribadì e concluse la donna dalla meravigliosa pelle scura e dai lunghi capelli neri, intrecciati in una miriade di treccine in misura tale per cui facilmente avrebbe potuto esser intesa, in lei, una qualche ispirazione shar’tiagha, scuotendo ripetutamente il capo con aria crucciata, innanzi all’idea di quanto sciocca avrebbe avuto a doversi intendere una tale strategia, e una strategia purtroppo priva di ogni possibilità di successo, almeno dal proprio personalissimo punto di vista « Si faranno ammazzare… e, peggio ancora, ci faranno ammazzare tutti quanti. »

Eccessivamente impietoso, tuttavia, avrebbe avuto a doversi riconoscere un tale giudizio, laddove, in quello stesso momento, in quello stesso frangente, i tre caccia avrebbero avuto a doversi allor riconoscere impegnati nelle manovre di attracco senza, a margine di ciò, avere a riportare episodi particolarmente gravi aventi quali protagonisti i propri sei occupanti. Anzi. A onor del vero, fra tutti, coloro le quali avrebbero avuto a potersi lì riconoscere quali le più provate da quanto avvenuto avrebbero avuto a dover essere intese proprio Maddie e Rín, che in misura decisamente maggiore rispetto ai propri compagni di viaggio e d’arme, avrebbero avuto a dove essere supposte qual altresì confidenti con la tecnologia, e con l’idea stessa di spazio siderale.
Se infatti per Howe e Be’Wahr, così come H’Anel e M’Eu, sino al giorno nel quale il potere di Rín li aveva proiettati all’interno della Kasta Hamina, lo spazio siderale avrebbe avuto a dover essere riconosciuto qual un concetto del tutto alieno, e un concetto a confronto con il quale, anzi, non avrebbero potuto riservarsi la benché minima possibilità d’intesa, non avendo neppure mai idealizzato le stelle del firmamento qual nulla di più di un manto luminoso posto dagli dei sopra le loro teste a ravvivare l’oscurità altresì assoluta della notte; per Maddie e Rín l’idea di spazio siderale avrebbe avuto a dover essere inteso qual qualcosa di decisamente più scientifico, più pratico, provenendo da una civiltà la quale, se pur ancora non aveva trovato ragione di spingere i propri sforzi in maniera efficace nell’esplorazione, e nella conquista, dello spazio, non si era pur negata la possibilità di superare i confini propri dell’atmosfera del proprio pianeta natale, e, in tal senso, di immergersi, concretamente, nell’immensità propria delle stelle. A margine di ciò, tuttavia, una sostanziale differenza avrebbe avuto a doversi intendere fra la teoria e la pratica, e per quanto, sul fronte teorico, Maddie e Rín avrebbero avuto a poter vantare una preparazione quindi pur indubbiamente maggiore rispetto a quella propria di tutti gli altri; dal punto di vista pratico, l’esperienza propria degli altri nel confrontarsi con l’assurdità della vita quotidiana e, all’occorrenza, di tante, e forse di troppe, cose da intendersi altresì improbabili, se non impossibili, in un mondo popolato da negromanzia e stregoneria, da mostri mitologici e da dei, avrebbe avuto a doversi apprezzare qual, per tutti loro, maggiormente in grado di concedere quel controllo, quel sangue freddo allor utile anche a scendere a patti con lo spazio siderale, e con un viaggio attraverso lo stesso, così come con tutti gli inevitabili scossoni propri di un’ascesa attraverso l’atmosfera di un pianeta…
… scossoni i quali, altresì, decisamente spiacevoli ebbero a riconoscersi nel confronto con la psiche, e, ancor più, con lo stomaco delle due gemelle, le quali, allora, ebbero a doversi impegnare non poco per ovviare a vomitare, e a vomitare anche quanto non avrebbero potuto vantare d’aver mangiato.

« Temo di poter essere un po’ troppo verdastra in volto… » suggerì Rín alla propria gemella, condividendo con onestà un timore allor quantomeno giustificabile nella propria occorrenza « … sono troppo verdastra in volto?! » domandò poi, a cercare una qualche possibilità di conferma o di diniego, non desiderando offrire evidenza di quanto avesse patito quel volo, per così come, allora, avrebbe avuto a risultare troppo poco credibile nel proprio presunto ruolo di copilota di caccia stellari « Forse avrei dovuto vomitare, invece di tenermi tutto dentro… »
« Per quello che vale, sono ben felice che tu ti sia tenuta tutto dentro… » replicò Maddie, scuotendo appena il capo a escludere il valore di quell’ipotesi fortunatamente non attuata « … lo spazio, all’interno di questo abitacolo, non è poi così grande a permetterci di evitare il rischio di una spiacevole doccia di vomito, nel caso. »

sabato 21 settembre 2019

3040


Per Tagae Nivre Bontor Ahvn-Qa e per Liagu Ras’Meen Bontor Ahvn-Qa, a dispetto delle proprie giovani età, e di quei dieci o, forse, undici anni di vita vissuta sino a quel giorno, delle quali, purtroppo, non più degli ultimi tre sarebbero stati in gradi di rammentare, il concetto di prigione non avrebbe avuto a doversi fraintendere qual inedito. Anzi. A conti fatti, il primo ricordo che avrebbero potuto vantare, antecedente persino a quello relativo ai propri nomi, Tagae e Liagu, avrebbe avuto a doversi riferire proprio a una prigione, e a una prigione all’interno della quale essi erano stati semplicemente ribattezzati come Diciannove-Cinquantadue e Diciannove-Cinquantotto, esemplari impiegati in un empio processo di ricerca volto a sviluppare nuove tecniche utili a tradurre due semplici bambini in una vera e propria arma di distruzione di massa.
E se da quella prigione, in grazia alle proprie sole forze, una prima volta erano riusciti a evadere, nel tempo in cui, poi, ebbero anche a riservarsi l’occasione di incontrare, per mero caso, colei che di lì a breve avrebbe annunciato di voler essere per loro al pari di una madre; a quella e ad altre prigioni, poi, avevano tristemente fatto ritorno nel corso del tempo, fortunatamente, almeno per tutte quelle ultime occasioni, in compagnia della loro stessa genitrice, non troppo diversamente, poi, da quanto lì avrebbe avuto a doversi riconoscere la propria situazione attuale. E molto, a onor del vero, era stata in grado di offrire loro Midda Bontor, già prima di avere ad abbracciare l’idea di essere per loro al pari di una madre, nell’aver, in effetti, permesso a quei due pargoli di riuscire a trovare la forza per affrontare nuovi periodi di cattività in maniera più serena, più tranquilla, addirittura a tratti persino allegra, e allegra quanto avrebbe potuto esserlo nel venir in tal maniera animata da momenti di giuochi, di scherzi, e, perché no, di studio, loro imposti dalla medesima genitrice, o futura tale, in termini tali da nullificare l’intendimento negativo proprio del luogo o della situazione così corrente.
In questo, quindi, Tagae e Liagu furono in grado di porsi al confronto con la cella entro la quale vennero rinchiusi, insieme fortunatamente, e fortunatamente per qualunque essere vivente all’interno di quella nave, laddove, in caso contrario, nessuno sarebbe loro sopravvissuto, con maggiore serenità rispetto a quanto non avrebbe mai potuto riservarsi, in luogo a essi, chiunque altro. Anche a partire da due esperti combattenti, da due guerrieri indomiti, per così come, a titolo esemplificativo, avrebbero potuto essere Howe e Be’Wahr. E ben consapevole di ciò, e di quanto i propri antichi amici difficilmente avrebbero affrontato con eguale serenità quella situazione, la stessa Midda Bontor, non poté che essere lieta, in cuor suo, che le posizioni fra Tagae e Liagu, e Howe e Be’Wahr, non avessero a doversi fraintendere qual invertite… benché, ovviamente, non avrebbe potuto mai avere a fraintendersi lieta dell’idea di quanta confidenza con il concetto stesso di cattività potesse essere proprio dei suoi due amati figli.

« Per quei due la prigione sta diventando un’abitudine… » commentò fra sé e sé, venendo rinchiusa, come tutti gli altri adulti, in una cella solitaria, e in questo non avendo alcun altro interlocutore a cui offrire riferimento al di fuori di se stessa « … dovrò proprio trovare il modo di invertire questa spiacevole tendenza, prima che abbiano a fraintendere che qualcosa, in tutto ciò, possa intendersi qual giusto. »

Per quanto, probabilmente, altri non lo avrebbero potuto ritenere possibile, quei due pargoli stavano realmente cambiando la percezione propria di colei un tempo nota con il soprannome di Figlia di Marr’Mahew, dea della guerra, nei riguardi dell’intero Creato. E laddove, un tempo, ella non si sarebbe mai ritrovata a prendere in esame alcuna idea in tale direzione; sempre più sovente, ormai, la donna guerriero non avrebbe potuto mancare di domandarsi quanto, effettivamente, potesse essere giusto per lei proseguire con la propria vita quotidiana per così come sempre l’aveva vissuta, e per così come, tuttavia, avrebbe avuto a doversi intendere chiaramente incompatibile con le esigenze proprie di due bambini, e di quei due bambini dei quali si era voluta proclamare madre.
Un pensiero, il suo, che avrebbe avuto, tuttavia, molto… troppo facilmente a scontrarsi con l’evidenza di quanto alcune delle questioni in sospeso nella propria quotidianità non avrebbero potuto essere così facilmente o rapidamente archiviate, prima fra tutte la missione per la quale, più di quattro anni prima, ella aveva deciso di abbandonare i confini propri del proprio pianeta natale e solcare le infinite distese siderali volando sulle ali della fenice, ossia la sfida alla regina Anmel Mal Toise, a contenere quel suo innato desiderio di dominio e, soprattutto, a ovviare che, tale dominio, potesse condurre soltanto alla fine di tutte le cose, nella sua temibile natura di Oscura Mietitrice, principio stesso della distruzione. Una sfida, una battaglia, il cui esito, e la cui semplice aspettativa di esito, non avrebbero potuto mai aversi a fraintendere quali scontati, in termini tali per cui, allora, ben difficile sarebbe stato poter prendere in esame l’idea di un proprio reale ritiro dalle scene, per riservarsi, a tempo pieno, il ruolo di madre: non, quantomeno, in tempi utili per poter ancora essere una madre per Tagae e Liagu, nel considerare quanto, dopotutto, a dieci anni, quindi all’incirca alla loro stessa età, o forse ancor prima, ella aveva lasciato i confini della propria casa natale, della propria isola, imbarcandosi clandestinamente a bordo di una nave mercantile, partendo, in ciò, per la propria grande avventura, e quell’avventura, a quasi trentacinque anni di distanza, non ancor terminata, non ancor conclusa, nella continua e costante ricerca di se stessa.

« Chi voglio prendere in giro…?! » sospirò fra sé e sé, non potendo ovviare a portare, in tal flusso di coscienza, il proprio pensiero verso H’Anel e M’Eu, per i quali, quasi quindici anni prima, avrebbe potuto ben rappresentare una madre, e una madre che pur, altresì, non aveva voluto divenire, allontanandosi da loro e lasciandoli al proprio destino… e a un destino che, a distanza di tre lustri, li aveva veduti tornare a far parte della sua vita nel ruolo di guerrieri, in una scelta la quale, probabilmente, né lei, né tantomeno Ebano, loro padre, avrebbero mai potuto condividere « Se gli dei avessero voluto che io potessi essere una madre, non avrebbero permesso al colpo di Nissa di rendermi sterile. Ma la verità è che tu, vecchia mia, sei una madre pessima… e ad attendere il giorno in cui potrai essere pronta a essere qualcosa di un po’ meglio, Tagae e Liagu faranno in tempo non soltanto a crescere, ma a farsi delle proprie famiglie e, perché no…?!, a divenire a loro volta genitori. »

E, in effetti, tale pensiero avrebbe avuto a doversi riconoscere addirittura benaugurante nei loro riguardi, laddove, simile idea avrebbe avuto quindi a prendere in considerazione l’eventualità che, a quei due pargoli dalla vita tanta travagliata, fosse riservata una possibilità di un futuro sereno, normale, e un futuro nel quale, magari, riuscire anche a liberarsi di quella loro maledizione, e della maledizione che, altrimenti, li avrebbe veduti, per sempre, essere costretti a condividere la medesima stanza, con buona pace per qualunque ipotesi di quieta intimità domestica con possibili, relativi coniugi.

« Chissà Maddie… » si domandò alfine, aggrottando appena la fronte nello spingere ora la propria mente nei riguardi della sua versione più giovane, non di molto sia chiaro, ma comunque quei sette-otto anni che, obiettivamente, avrebbero potuto avere il proprio valore, soprattutto in accordo con un’integrità fisica per lei mai compromessa, non avendo avuto a dover lottare con la propria gemella Rín e, in questo, non essendosi mai vista sfregiare il volto, amputare il braccio o trapassare il ventre dalla sua furia vendicatrice « … immagino che lei, a differenza mia, possa considerarsi ancor fertile. Anche se, essendo comunque una Midda, probabilmente sarebbe meglio evitare di illudersi più di tanto in tal senso. » commentò con una nota di triste amarezza, in quella considerazione che non avrebbe potuto ovviare allora formulare in maniera trasversale addirittura all’idea stessa di multiverso, e a un multiverso nel quale, probabilmente, ben poche altre versioni di se stessa avrebbero potuto riservarsi il ruolo di madre.

venerdì 20 settembre 2019

3039


Dal punto di vista proprio dell’ex-equipaggio della Kasta Hamina, la fine di tutto era iniziata senza alcun genere di preavviso.
In viaggio attraverso lo spazio infinito, oltretutto in sfasamento quantistico, in termini nei quali non avrebbero potuto essere raggiunti da nulla, gli uomini e le donne al servizio di Lange Rolamo su erano visti raggiungere, in rapida sequenza, prima da un gruppo di viaggiatori provenienti dal pianeta natale di Midda Bontor e del suo compagno Be’Sihl Ahvn-Qa, loro amici sino a lì sopraggiunti in grazia del passaggio loro offerto da una versione alternativa della sorella della stessa donna guerriero, scopertasi in grado di viaggiare attraverso il multiverso; e, subito dopo, e ancor peggio, da una nave da guerra, non meglio identificata né nel proprio nome, né nella propria appartenenza, la quale, con quieta indifferenza nel merito del loro sfasamento quantistico, era riuscita a renderli bersaglio di una brutale sequenza di colpi di plasma, e colpi di plasma sempre più precisi, e sempre più intensi, che, troppo facilmente, avrebbero potuto distruggere l’esile nave mercantile. Così, per Lange e Duva, altra possibilità non era rimasta se non quella di ricorrere a una soluzione estrema, qual l’abbandono al proprio destino, e al proprio destino di morte, prima, del carico e, subito dopo, della stessa intera nave, separando dalla stessa una sezione preposta a tal scopo, a tal fine, e dirigendosi verso il più prossimo pianeta abitato, sperando lì di potersi salvare, e di poter incontrare il sostegno, il supporto, della popolazione locale, nel confronto con l’atto di pirateria, se non di guerra, che pur era stato loro imposto senza preavviso, o spiegazione, alcuna.
Il quarto pianeta del sistema Leica Merasch, così, era stato selezionato in maniera del tutto casuale qual, semplicemente, il miglior candidato in tal senso. E su quel grande pianeta, popolato soltanto da una piccola colonia facente riferimento alla Corporazione Thonx e, in particolare, alla persona di Fer-Ghas Reehm, Lange e Duva avevano ottenuto il permesso di precipitare, e di precipitare in maniera quanto più possibile controllata. Per quanto controllato possa essere concepito lo schiantarsi brutalmente nel bel mezzo di un vasto deserto, inseguiti da una nave da guerra sol desiderosa di estirparti da ogni piano di realtà.
L’ex-equipaggio della Kasta Hamina, i quattro amici di Midda Bontor provenienti dal suo pianeta natale, una sua versione alternativa di nome Maddie e la sorella di questa di nome Rín, erano stati così obbligati, dall’evolversi degli eventi, a creare un positivo sodalizio, e un sodalizio utile a concedere loro una qualche speranza di sopravvivenza in quel deserto, nel mentre in cui, avendo sempre meno speranza di poter essere soccorsi dalla Corporazione Thonx, si ritrovarono costretti a sperare di riuscire autonomamente a conquistare la via d’uscita da quel vasto deserto e, in ciò, il ritorno a una qualche forma di civiltà. Una conquista, la loro, in opposizione alla quale si ebbero quindi a schierare tre caccia, e tre caccia che non mancarono di riaprire il fuoco contro di loro. Ma tre caccia a bordo dei quali, camuffato dietro alle false sembianze di un tauriano, ebbero allora a ritrovare Pitra Zafral, accusatore dell’omni-governo di Loicare, e loro antico avversario, caduto in disgrazia o, quantomeno, in quei termini che, allor, avrebbero avuto a doversi intendere di disgrazia nel momento in cui una non meglio identificata creatura mutaforma si era sostituita a lui, e a lui si era sostituita non qual azione autonoma, qual conseguenza di una propria quieta iniziativa, quanto e piuttosto in ubbidienza al volere dello stesso omni-governo che tanto a lungo egli aveva servito, e un omni-governo ormai corrotto, purtroppo, dalla medesima storica nemesi per offrire caccia alla quale, cinque anni prima, Midda Bontor aveva lasciato il proprio mondo sulle ali della fenice.
Insomma: a ogni nuova svolta in quella vicenda, e in quella vicenda sulla quale nessuno di loro avrebbe potuto vantare il benché minimo controllo, o la benché minima possibilità di controllo, la questione avrebbe finito necessariamente con il complicarsi, e il complicarsi sempre di più, tirando in giuoco sempre nuovi attori, nessuno dei quali, purtroppo, avrebbe offerto evidenza di voler essere loro realmente d’aiuto.
Così, per quanto sopravvissuti a quei caccia, e, addirittura, in grazia all’intervento di Pitra Zafral, per quanto impossessatisi di quei caccia e utilizzatili per raggiungere la colonia della Corporazione Thonx, i membri di quella sempre più larga squadra non avevano avuto occasione di gioire per il proprio successo, per l’evidenza propria dell’essere sopravvissuti. Ma, al contrario, per così come gli eventi lì in corso avrebbero avuto a testimoniare, si erano ritrovati nuovamente a confronto con una svolta negativa… e una svolta negativa che, in catene, li aveva allor condotti al cospetto dei propri stessi inseguitori, trasferiti a bordo della nave da guerra responsabile della fine della Kasta Hamina.
Lange e Duva, capitano e primo ufficiale, nonché Rula, attuale moglie del primo; Midda, il capo della sicurezza, e la sua famiglia composta dal compagno Be’Sihl e dai figli adottivi Tagae e Liagu; Lys’sh e Ragazzo, il mozzo tuttofare della nave; e ancora Roro, il medico, Mars, il meccanico, e Thaare, la cuoca di bordo: tutti loro erano stati lì trascinati a schierarsi nell’hangar di carico dell’ignota nave, qual un dono offerto da Fer-Ghas Reehm ai propri ospiti, e a quegli ospiti che, evidentemente, non avrebbe avuto interesse alcuno a irritare… non laddove, in caso contrario, troppo facilmente avrebbero potuto cancellare la sua intera colonia, con tutti i propri abitanti.
E ad accoglierli, a rendere loro il giusto omaggio, non fu allora il capitano di quella nave, quanto e piuttosto colui a cui anche il capitano, allora, avrebbe avuto a dover rispondere: l’accusatore Pitra Zafral, dell’omni-governo di Loicare.

« Assolutamente no. » confermò quindi egli, per tutta risposta all’attenzione di Fer-Ghas, richiedendo, con un cenno della mano, agli uomini al proprio servizio, di tradurre quel prezioso carico di prigionieri in una collocazione più adeguata « Di loro, adesso, sarà nostra premura averne cura… non abbia a preoccuparsene, signor Reehm. »
« Direttore Reehm, per cortesia. » puntualizzò il feriniano, scuotendo appena il capo, nel richiedere il riconoscimento del proprio giusto credito, e del proprio ruolo di responsabile della colonia.
« Direttore… certamente! » annuì l’accusatore, accennando un lieve sorriso « E, mi permetta, non posso che essere lieto del fatto che la Corporazione Thonx, che lei rappresenta, abbia spontaneamente deciso di collaborare con l’omni-governo di Loicare, benché i trascorsi non siano sempre stati tanto edificanti fra coloro che oggi, qui, rappresentiamo. » puntualizzò, sgradevolmente mellifluo nei propri toni, nell’essere ben consapevole di quanto, all’atto pratico, non vi sarebbe stata particolare possibilità di alternativa per gli abitanti di quella colonia, al di fuori della cooperazione.

La nave da guerra a comando della quale l’accusatore si ritrovava lì a essere, la Rad Dak-Wosh, pur potendo contare un equipaggio di meno di un migliaio di persone, avrebbe avuto a doversi riconoscere qual equipaggiata con i più avanzati sistemi propri della tecnologia bellica esistente, per così come la stessa, ormai distrutta, Kasta Hamina aveva avuto occasione di sperimentare a proprie spese.
Tecnologia bellica in grazia alla quale, allora, troppo facile sarebbe stato sterminare senza particolare impegno l’intera popolazione della colonia, sì censibile in meno di un milione di persone, e, ciò nonostante, tutt’altro che preparata per sostenere un simile sconto e, soprattutto, a differenza di quell’intero equipaggio di soldati professionisti, costituita da persone comune, pacifici lavoratori che, in quell’angolo sperduto di universo, non avrebbero desiderato rogna alcuna… non, soprattutto, con il potente e aggressivo omni-governo di Loicare.

« Non che avremmo potuto fare diversamente… » non poté fare a meno di commentare, sottovoce e quasi fra sé e sé, il direttore Reehm, evidentemente tutt’altro che a proprio agio in quella situazione e in quella situazione di costretta sudditanza di fronte all’accusatore.
« No. Certamente no. » scosse il capo Pitra, ancora sorridendo con fare quieto, nella pura e semplice consapevolezza della propria forza, e, in tal senso, della possibilità di concedersi tutta quell’arroganza della quale, allora, stava facendo sfoggio per pura gratificazione personale « Grazie ancora, signor Reehm. »

giovedì 19 settembre 2019

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A dispetto di quanto qualunque civiltà avrebbe potuto credere sino al giorno in cui il proprio progresso tecnologico non le avesse concesso l’opportunità propria di superare i confini dell’atmosfera del proprio pianeta natale, prima, e i limiti del proprio sistema solare, poi; nessuna specie avrebbe potuto considerarsi unica e irripetibile all’interno dell’infinita e meravigliosa varietà propria dell’universo. E questo, poi, senza ancor prendere in esame l’idea stessa di multiverso, a confronto con il quale, non soltanto la specie, ma anche il singolo individuo avrebbe avuto a vedersi posto in dubbio nella propria unicità.
In una vastità costantemente crescente, e in un numero inconcepibile di lune, di pianeti, di sistemi solari e di galassie, l’universo avrebbe necessariamente avuto a doversi considerare troppo amplio per potersi idealizzare in sola e diretta conseguenza di una singola civiltà, in un singolo pianeta, in un singolo sistema solare, in una singola galassia: infinite civiltà, così, avrebbero avuto a doversi riconoscere esistenti nell’universo, con infinite caratteristiche, con infinite culture, con infiniti credo, ognuno dei quali, generalmente, volta a porle al centro di tutto… almeno sino a quando, nel confronto con l’evidenza di tanta mirabile ricchezza a esse circostanti, soltanto i più stolidi avrebbero potuto ancora perseguire ideali di centralismo e di chiusura mentale verso la realtà a sé circostante, continuando a promuovere l’unicità della propria specie, della propria cultura, a discapito di qualunque altra. Ma se pochi avrebbero fortunatamente potuto essere giudicati coloro tanto stolidi da credere in simili pensieri, pur vero avrebbe avuto a doversi commisurare quella minima percentuale su un numero esorbitante di individui, tal da rendere, altresì e purtroppo, anche quel “pochi” qual “troppi”: troppi razzismi, troppi pregiudizi, troppa xenofobia, alimentata nel grande secondo quegli stessi meccanismi esistenti nel piccolo, ma, nel grande, portando necessariamente a risultati ben più devastanti.
Così, laddove all’interno di quell’angolo di universo, una bizzarra maggioranza di specie umane e ofidiane avrebbero avuto a doversi riconoscere presenti rispetto a ogni altra, forse ineluttabili, nel corso della storia, avevano avuto a presentarsi diversi conflitti, e conflitti su scala planetaria e interplanetaria, fra umani e ofidiani, fra uomini e rettili, con milioni, miliardi di perdite su ambo i fronti, almeno sino al giorno in cui una fragile tregua era stata sancita fra le due specie, nella consapevolezza di quanto, proseguire in tal senso, non avrebbe decretato, alfine, alcun vincitore e alcun vinto… ma, soltanto, morte su entrambi i fronti. Ovviamente una tregua politica non avrebbe mai potuto decretare, a tavolino, il superamento di quegli avversi sentimenti insidiatisi nei cuori delle controparti, e, purtroppo, ancora a lungo quei “pochi” ma pur “troppi” avrebbero continuato a esistere, e a diffondere il germe dell’odio.
A margine dei problemi fra umani e ofidiani, poi, non avrebbe comunque dovuto essere dimenticata tutta l’altra e amplia porzione di specie non umane e non ofidiane che pur, in percentuale inferiore, avrebbero avuto a dover essere riconosciute presenti nell’universo, molte delle quali, invero, ancora sconosciute, e molte delle quali, altresì, già a propria volta diffuse fra gli infiniti spazi siderali. E così ecco presenti i canissiani, i feriniani, i tauriani, gli equidaeani, gli avesiani, i flegetauni e molti, molti altri: alcuni prosperi nella propria diffusione, seppur in misura inferiore a umani e ofidiani, altri praticamente sull’orlo dell’estinzione, ognuno contraddistinto da caratteristiche proprie, da una propria storia, una propria cultura, una propria civiltà, e una civiltà che, a modo proprio, cercava di sopravvivere anche a confronto con l’ineluttabile omologazione conseguente al confronto con l’universo a sé circostante, e quell’universo nel quale, altri, in misura maggiore rispetto a loro, avevano stabilito regole e modi.
Al di là, comunque e tuttavia, di non facili esempi di integrazione, e di reale integrazione tale per cui a nessuno avrebbe potuto importare se qualcuno fosse stato uomo o donna, umano o ofidiano o di qualunque altra specie; nella maggior parte dei casi, gli equipaggi delle navi, così come gli abitanti dei mondi, avrebbero avuto a doversi riconoscere, invero, ancor contraddistinti da un’impronta maggioritaria in favore di una specie piuttosto che dell’altra, avendo a trovare al proprio interno soltanto pochi, rari esemplari di diversa specie, spesso più sopportati che tollerati nell’ipocrisia propria dei loro vicini.
Così anche all’interno di quello che un tempo avrebbe avuto a doversi riconoscere qual l’equipaggio della nave mercantile Kasta Hamina, ormai distrutta, avrebbe avuto purtroppo a valere tale regola, mostrando si un equipaggio mirabilmente eterogeneo nelle umane etnie dei propri componenti, ma, al tempo stesso, spiacevolmente omologato proprio sulla specie umana. E non per chissà quale particolare e ipocrita fatalità, quanto e piuttosto per un’esplicita decisione, in tal senso, di colui che un tempo ne era stato capitano, Lange Rolamo, il quale, per buona parte della propria esistenza, aveva avuto in odio qualunque specie non umana, chimere come avrebbero avuto a definirsi volgarmente nel linguaggio comune, ritenendole responsabili, nella propria generalità, per le colpe di pochi esponenti fra loro, e di quei pochi esponenti, pirati stellari, che, molti anni addietro, lo avevano privato della propria amata sposa, della propria prima moglie, Kasta, e del figlio mai nato. La colpa di pochi, allora, riflessa su miliardi e miliardi di individui unici nell’universo, non aveva permesso a nessun non umano di giungere a bordo della Kasta Hamina per lungo tempo, fino a quando, per lo meno, Duva Nebiria, comproprietaria della nave nonché primo ufficiale, aveva condotto seco, all’interno dell’equipaggio, due nuovi elementi: l’umana Midda Bontor e l’ofidiana Har-Lys’sha.
Ma se già, nei confronti di Midda, Lange non aveva potuto esprimere alcun particolare entusiasmo, pregiudicandola nella propria stessa origine, e in quell’origine che l’avrebbe vista provenire da un mondo lontano nell’universo, e un mondo ancor troppo primitivo per poter avere a confrontarsi con l’infinità propria dello spazio siderale; nei riguardi di Lys’sh, obbligatoriamente, il capitano non avrebbe potuto ovviare a dimostrarsi quantomeno avverso, sebbene ipocritamente moderato nei propri modi, nel proprio operato. Un’ipocrisia, un perbenismo, che, fortunatamente, dopo giorni, settimane, mesi, anni addirittura, di convivenza, aveva altresì veduto l’uomo superare i limiti della propria ristretta mentalità, nulla ritrovando di che colpevolizzare nella cara Lys’sh, e in quella giovane donna che tanto si era sempre impegnata per il bene di tutti a bordo della Kasta Hamina e non solo.
Purtroppo taluni vecchi vizi, certe vecchie abitudini, avrebbero avuto a doversi riconoscere dure a scomparire. Ragione per la quale, invero, non semplice, ma ancor più, fu per lo stesso Lange Rolamo precipitare nuovamente in tutto il proprio più profondo pregiudizio nel momento in cui, a causa dei feriniani della Corporazione Thonx, vide se stesso, e tutto il proprio equipaggio traditi… e consegnati agli stessi nemici che, nei giorni precedenti, avevano offerto loro la caccia, finanche a condurre alla distruzione della stessa Kasta Hamina, nonché, nel suo caso particolare, alla perdita immediata del proprio arto superiore mancino, e anche e purtroppo, dopo qualche giorno, del proprio occhio destro.

« Luridi schifosi figli di un gatto tignoso… » sbraitò Lange, sputando metaforicamente rabbia e veleno insieme a quelle parole, in termini tali per cui, se soltanto la sua voce avrebbe potuto uccidere, certamente lì sarebbe stata commessa una vera e propria strage, e una strage a discapito di quei maledetti incroci fra uomini e felini che, allora, li stavano in tal modo tradendo, e consegnando, in catene, ai propri antagonisti, e a un fato che, certamente, non avrebbe avuto a fraintendersi in loro favore « … le vostre madri avrebbero dovuto strozzarvi con i vostri stessi cordoni ombelicali appena siete nati, allorché permettere alla vostra schifosa specie di melliflui traditori di sopravvivere ancora un giorno! » insistette, vomitando tutta quell’ira funesta, e pur, purtroppo, forse e persino giustificata in quel momento, seppur non nella propria generalizzazione, quantomeno nell’individualità dei loro traditori « Maledetti, maledetti voi e tutta la vostra dannata progenie! Animali… animali sembrate, e animali siete… e come dei maledetti gatti tignosi infestate gli angoli più oscuri di questa galassia, nutrendovi degli scarti della nostra società! Fate le fusa, quando vi conviene… salvo poi voltare lo sguardo stizziti e graffiare la stessa mano sino a un attimo prima tesa ad aiutarvi! » continuò, giuocando attorno all’ovvio paragone fra i feriniani e i gatti per cercare occasione di offenderli, nulla avendoli a voler considerare più di semplici bestie randagie « Che voi siate tutti maledetti… avete tradito coloro che vi avevano chiesto asilo! E nessuna colpa più grande di questa potrebbe ma… »
« Dobbiamo veramente tollerare ancora a lungo tutto questo?! » domandò, non senza una certa irritazione, Fer-Ghas Reehm, arricciando appena le labbra, o quanto corrispondente alle labbra su quel volto felino, a dimostrare tutta propria mal sopportazione nei riguardi di quelle sgradevoli parole.