11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

lunedì 31 gennaio 2011

1111


Q
uando vide Midda ritirarsi, rapida e fugace, dal nuovo scenario di scontro lì riservatole, Shu-La si ritrovò a essere intimamente divisa fra un sentimento di eccitazione e uno di timore, entrambi in lei dominanti in eguale misura, ove entrambi equamente giustificabili nella propria natura e nella propria esistenza all’interno del contesto delineato da quella particolare situazione. Se, infatti, umanamente non avrebbe potuto evitare di accogliere con giustificata ansia l’immagine di quella forte mercenaria volgere la propria attenzione nella stessa posizione da lei allora conquistata all’interno del perimetro del villaggio, lì sopraggiunta insieme a pochi altri elementi, scelti dalla volontà di El’Abeb per un incarico di estrema e fondamentale importanza, rabbrividendo al pensiero di poter essere stata individuata e, in ciò, non solamente di essersi condannata a una rapida fine, quanto, piuttosto e peggio, di aver compromesso la missione per come originariamente definita dal loro comandante nonché suo amato, al tempo stesso la giovane albina non avrebbe potuto evitare di provare una concreta sensazione di entusiasmo, di bramosia, per quanto indubbiamente folle, al pensiero di poter giungere a uno scontro con lei, per quanto priva di una formazione guerriera sostanzialmente degna di tale definizione.
Benché fossero sin da subito stati tutti considerati quali una banda di predoni e tagliagole, non essendosi, dal canto loro, impegnati a offrire un’immagine diversa da quella, nel non avere interesse alcuno a ricercare occasione di accettazione da parte di una società che li aveva esiliati per sempre e, in alcuni casi, quale il suo, da sempre all’interno del Cratere, non tutti i componenti della sensazionale colonna di El’Abeb avrebbero potuto essere giudicati effettivamente tali, là dove, addirittura, alcuni fra loro neppure avevano avuto mai, nella propria intera esistenza, occasione o ragione per porre mano a un’arma prima dell’inizio di quel loro peregrinare privo di meta. Anche Shu-La, nella fattispecie, apparteneva a questa categoria non guerriera all’interno di quel loro variegato esercito, dal momento in cui, nata e cresciuta all’interno del carcere, non aveva avuto alcuna necessità di imparare a maneggiare un’arma prima dell’ingresso nel mondo esterno, nella realtà comune al resto del Creato, una realtà, in effetti, estremamente più violenta e barbarica rispetto a quella della loro piccola valle avvelenata. Trasformando la necessità, derivante dal fato e dalla propria scelta di seguire El’Abeb, in un’obbligata virtù, la giovane aveva presto imparato a maneggiare stiletti e pugnali, senza, tuttavia, poter giungere a vantare particolari doti guerriere e senza, comunque, in ciò avere di che riservarsi occasione di preoccupazione, dal momento in cui, fortunatamente, al suo fianco, attorno a lei, non era stato sempre presente solamente la figura del suo grande amore, quanto, ancor più, quella di tutta quella loro particolare e numerosa famiglia, che mai avrebbe accettato di veder imposta occasione di danno a uno fra loro senza intervenire prontamente in reciproco soccorso.
In quel momento, in quella situazione, proprio malgrado, o, forse, propria benedizione, Shu-La non avrebbe però potuto vantare, accanto a sé, alcun possibile sostegno, alcun eventuale supporto, ragione per la quale, ove fosse giunta a un confronto diretto con la donna guerriero da lei intimamente considerata quale propria pur assurda rivale in amore, concorrente nel cuore del proprio tanto amato compagno, sarebbe stata sola, a definire in maniera indubbia, incontestabile, la propria superiorità, o la propria inferiorità, rispetto a lei.

« Se così deve essere, così sia. » sancì, sguainando la lama del proprio lungo e sottile stiletto e preparandosi, in tal modo, allo scontro, al combattimento, che, malgrado ogni direttiva espressa da parte dello stesso El’Abeb, non l’avrebbe vista risparmiare ogni risorsa a lei riservata per cercare di vincerla.

Verso di lei, ma non contro di lei, la Figlia di Marr’Mahew mosse sì propri passi, tuttavia ignorandone completamente la presenza e scomparendo dal suo sguardo prima ancora che qualsiasi altra azione potesse essere posta in essere: malgrado i propri giustificati timori, evidentemente, la donna guerriero, distratta dall’assalto dei suoi compagni, non aveva avuto occasione di coglierne effettivamente la presenza, ragione per la quale, prestando sufficiente attenzione, avrebbe allora potuto proseguire nella propria missione, desiderosa di condurla a compimento in misura non inferiore rispetto al desiderio già dimostrato di poter giungere allo scontro con quella particolare controparte. Sua, del resto, era stata la fiera insistenza rivolta all’attenzione di El’Abeb per poter essere non solo partecipe dell’attacco al villaggio, dal quale, in caso contrario, sarebbe stata esclusa al pari di quella frazione non combattente fra loro, ma, ancor più, per poter essere posta all’interno di quel pur ristretto gruppo d’assalto per il conseguimento di quello strategico risultato in virtù del quale le sorti dell’intero conflitto sarebbero potute radicalmente mutare. E, per quanto inevitabilmente contrariato, nel timore che potesse accaderle qualcosa, il suo uomo non le aveva potuto allora negare l’occasione richiesta, nel ritrovarsi costretto a riconoscere come, dopotutto, era stato solamente per merito suo che quell’obiettivo era stato identificato qual tale.
Pochi erano stati allora considerati gli obiettivi sensibili per l'azione così programmata, riconoscendo all'interno della pur limitata area del villaggio un totale di cinque possibili rifugi per il soggetto oggetto del loro interesse. Le stalle, uno dei due fienili, la legnaia e un ampio capannone in legno adibito a deposito generico per l'intera popolazione locale: cinque alternative per cinque diverse figure lì inviate in missione parallela e complementare all'assalto dei propri compagni, fra tutte le quali, indubbiamente, l'immagine di Shu-La avrebbe potuto essere considerata quella caratterizzata da maggiore interesse per la riuscita, e la riuscita personale, di tale incarico. Indubbiamente ella era cosciente di come, nel rispetto di tali proporzioni, avrebbe potuto vantare dalla propria una sola possibilità su cinque, ma, ciò nonostante, non desiderava considerarsi per tal ragione già esclusa da ogni speranza di successo, nella bramosia derivante non solo dal pensiero di poter compiacere il proprio signore e padrone, quanto, piuttosto, dalla volontà di poter infierire a discapito della donna guerriero loro avversaria nel modo più inatteso e doloroso possibile, umiliandola oltremodo e, soprattutto, in ciò condannandola a cadere sotto i colpi del suo amato El'Abeb, nel momento in cui sarebbero giunti allo scontro finale.

« Gli dei sono con noi… »

A tale, semplice e incontrovertibile verità, la giovane albina non poté che giungere nel momento in cui, penetrando all'interno delle stalle, traguardo designato per sé fra le cinque possibili alternative, si ritrovò a essere posta a confronto diretto con l'obiettivo da loro ricercato su proprio esplicito suggerimento, il solo, unico e concreto punto debole che mai avrebbe potuto caratterizzare colei nota con l'incredibile nome di Figlia di Marr'Mahew, colei che aveva già affrontato e vinto interi eserciti e che, probabilmente, avrebbe potuto riportare eguale trionfo anche in loro contrasto, in assenza di un disincentivo per lei costringente in tal senso. Senza esitazione alcuna, senza minima incertezza, pertanto, ella levò il proprio stiletto, andando ad appoggiarne la fredda lama contro il collo di quell'uomo che, corrispondendo perfettamente alle descrizioni a loro riservate da parte di El'Abeb, nonché da parte di coloro che lo avevano già incontrato la mattina precedente, durante gli eventi occorsi al pozzo, poté essere riconosciuto con il nome di Be'Sihl, locandiere di Kriarya e, probabilmente, una delle poche persone esistenti al mondo a rappresentare qualcosa nel confronto con il freddo cuore della mercenaria sua amata e ora anche amante.

« Ti prego di non darmi ragione per tagliarti immediatamente la giugulare. » lo invitò Shu-La, esprimendosi con tono più fermo di quanto ci si sarebbe potuti immaginare avrebbe potuto permettersi una figura tanto delicata ed elegante posta in una similare condizione « La tua morte non è considerata indispensabile… ma neppure la tua permanenza in vita lo è. » sancì, senza ricorrere a particolare retorica, nel volersi impegnare a esprimere non una minaccia, quanto, piuttosto, un semplice dato di fatto, una realtà inconfutabile con cui egli avrebbe dovuto scendere rapidamente a patti se solo avesse desiderato conservarsi ancora in salute.

In verità, malgrado l'incredibile abilità da lei in tal modo dimostrata nella menzogna, tale da non permettere ad alcuno, nemmeno a se stessa, occasione per dubitare della veridicità di simile minaccia, l'ultima fra tutte le volontà che in quel momento avrebbero potuto caratterizzare la giovane albina sarebbe stata quella di imporre prematura fine alla vita di quel prigioniero, non tanto per una qualche ritrosia al pensiero di poter commettere un omicidio in maniera sì fredda e calcolata, quanto, piuttosto, perché con la propria morte Be'Sihl non avrebbe avuto alcun valore per loro, diversamente da quello che sarebbe stato comunque riservatogli nel mantenerlo ancora in vita.

domenica 30 gennaio 2011

1110


Q
uando vide Midda ritirarsi, rapida e fugace, dal nuovo scenario di scontro lì riservatole, Be’Sihl si ritrovò a essere intimamente diviso fra un sentimento di angoscia e uno di sollievo, entrambi in lui dominanti in eguale misura, ove entrambi equamente giustificabili nella propria natura e nella propria esistenza all’interno del contesto delineato da quella particolare situazione. Se, infatti, umanamente non avrebbe potuto evitare di esultare alla scelta compiuta dall’amata volta a favore dell’impiego di maggiore strategia e minore brutalità, rispetto a quanto, altresì, avrebbe caratterizzato il proseguo del conflitto entro i limiti che lo avevano definito sino a quel momento, al contempo egli non avrebbe potuto evitare di ritrovare, nel profondo del proprio animo, crescere l’ansia, la premura, per la propria tanto amata compagna, nei movimenti, nei gesti della quale non era riuscito a distinguere l’abituale fredda e ferma determinazione, quanto, piuttosto, un’insolita incertezza in conseguenza alla quale si stava concedendo un numero preoccupante di errori, sbagli che, sino a quel momento, non le erano costati la vita unicamente in virtù dell’espressa volontà, da parte dei suoi antagonisti, di non ricorrere alle armi, dal momento in cui, come anche dal suo punto di vista, in quanto spettatore, apparve estremamente chiaro, trasparente, essi mantennero le proprie armi a riposo e cercarono unica possibilità di confronto con lei in un combattimento corpo a corpo.

« Se ha deciso di giuocare in questo assurdo modo, nulla la salverà da una mia sana, e assolutamente legittima, sfuriata, al termine di tutto questo. » commentò fra sé e sé, storcendo le labbra verso il basso.

Una speranza, in verità, ancor prima che un dubbio, quello in tal modo da lui formulato, ove, se pur anche in tale particolare scelta di termini scandita nelle proprie sillabe, tale ipotesi non sarebbe mai stata in grado di soddisfarlo, di ritrovarlo convinto della verità supposta nella medesima, troppo confidente con i modi di fare e di essere della donna per la quale aveva perso il senno da ormai tre lustri, per potersi concedere occasione di fraintenderne i comportamenti, o, ancor più, le emozioni, anche se posto a tale distanza da lei.
Il locandiere shar’tiagho, rimasto a sua volta in vigile veglia per l’intera notte, impossibilitato a prendere sonno non tanto per il timore di un imminente attacco a loro discapito o per una qualche preoccupazione sulle effettive possibilità della propria meravigliosa amante in tal scenario, quanto, piuttosto per l’assenza di quell’incredibile, caldo e appassionato corpo stretto al suo, al quale si era assuefatto quasi fosse un inebriante nettare al quale non poter rinunciare per potersi sentire realmente completi, appagati e soddisfatti dalla vita stessa, aveva assistito, negli stessi tempi e negli stessi modi propri della Figlia di Marr’Mahew, all’avvento di quella prima schiera di predoni, ascoltandone i lamenti e i gemiti, per così come esplosi dalle profondità della selva, e osservandone successivamente le mosse, nel loro tentativo di prevaricazione sull’unica avversaria così schierata in loro contrasto. Correttamente informato nel merito della strategia che la donna guerriero avrebbe voluto rendere propria in quella prima fase di scontro, al fine di sfoltire i numeri delle proprie controparti, egli non aveva potuto pertanto evitare di cogliere l’errore da lei compiuto nel confronto con la prima fra tutti loro emersa dalla boscaglia, esitazione in conseguenza della quale era stata successivamente costretta a un confronto tutt’altro che pianificato nella propria occorrenza.

« Se Seem mi potesse sentire ora, probabilmente avrebbe di che deridermi da qui alla fine dei tempi… » sospirò, scuotendo il capo e non risparmiandosi un sorriso carico di autoironia all’idea del proprio giovane ex-garzone, recentemente eletto al ruolo di scudiero della mercenaria e, attualmente e da quasi un anno, incaricato dalla medesima di preoccuparsi nel merito della supervisione sui lavori di ricostruzione della sua locanda a Kriarya, in una scelta assolutamente indovinata tale da lasciare una figura di fiducia in tale ruolo e, soprattutto, da liberarsi dell’incomoda presenza del medesimo durante quel loro lungo peregrinare all’interno del continente di Qahr, nella volontà di scoprirsi reciprocamente quale coppia « Dopo tutti i miei splendidi discorsi sulla necessità di accettare quietamente le scelte della propria compagna quale forma di rispetto e di amore verso di lei, ora mi sto agitando più di un fanciullo alle prese con la propria prima esperienza amorosa. » si schernì, allo scopo di stemperare la pur concreta tensione propria di quel momento.

In effetti, solo sciocca e vana preoccupazione avrebbe potuto essere giudicata la sua nel confronto con le immagini a lui donate dalla propria amata, sì ritiratasi da quel primo scenario, ma solo nella volontà di poter trasferire altrove il combattimento, e non nel desiderio di sottrarsi al medesimo.
Modificata, in tal modo, la posizione dei vari pezzi su quell’immensa scacchiera di chaturaji, qual dopotutto sarebbe potuta essere giudicata l’intera area del villaggio in una scala a proporzioni naturali, Midda Bontor sembrava addirittura aver fortunatamente recuperato la propria consueta freddezza, il proprio abituale distacco, agendo senza più concedersi esitazioni di sorta e intervenendo, in maniera rapida e puntuale, contro i propri avversari non appena individuati in posizione propizia al proprio attacco, alla propria offensiva a loro discapito. Difficile sarebbe stato per chiunque, fosse egli coinvolto nella questione, al pari dei predoni, o fosse esterno a essa, come lo stesso Be’Sihl, riuscire a distinguere la donna guerriero se non un istante prima dell’esecuzione di un proprio nuovo attacco, dal momento in cui, nonostante la luce del nuovo giorno avrebbe dovuto rappresentare, per lei, ragione d’ostacolo, la sua capacità di assoluta discrezione nei movimenti, nonché di sorprendente mimesi con l’ambiente circostante, la facevano apparire del tutto simile a uno spettro evanescente, che, un istante prima, piombava con la propria forza sopra un uomo giunto in prossimità di uno degli edifici del villaggio, e, un attimo dopo, era già sul fronte opposto dell’intero perimetro interno per schierarsi in contrasto a un altro avversario, ancora distante dall’offrire opportunità di minaccia ai pacifici abitanti di quell’insediamento, e pur, egualmente, da abbattere prima che potesse assumere maggior valore in tal senso.
Dalla comodità della propria posizione, del rifugio inizialmente supposto per ospitare entrambi e, proprio malgrado, successivamente offertosi a solo uso personale, il locandiere ebbe occasione di assistere, in maniera particolarmente nitida a un unico fra quei numerosi e continuati scontri, occorso, nella fattispecie, proprio innanzi alla stalla nella quale aveva ottenuto asilo per quella notte e della quale, proprio malgrado, non aveva avuto ancora reale possibilità di godere, in conseguenza diretta a quegli stessi eventi. In grazia di simile, favorevole teatro d’azione, egli ebbe allora possibilità di cogliere persino il rapido avvicinarsi della propria compagna, la quale, con passo naturalmente felino, e reso, come sempre, maggiormente tale dai suoi calzari di stracci arrotolati, sopraggiunse discreta come tiepida brezza estiva, e, al contempo, impetuosa come un fiume in piena, conquistando una distanza utile a menar offesa e, immediatamente, conducendo il proprio attacco a compimento, in un duplice colpo a seguito del quale, al malcapitato, non fu offerta altra opportunità rispetto a ricadere a terra privo di sensi. La vittima designata, in tanta fuggevole azione, sarebbe dovuta essere riconosciuta quale un altro uomo armadio di proporzioni non inferiori rispetto a quelle caratterizzanti il loro prigioniero: egli, sorpreso alle spalle dalla sopraggiunta della donna, non ebbe, in verità, neppure possibilità di comprendere cosa stesse accadendo, nel momento in cui venne prima colpito, da un forte calcio, sul retro delle ginocchia, venendo in ciò, privato dell’equilibrio e costretto a piegarsi verso il suolo, e, subito dopo, nuovamente reso bersaglio per una seconda, similare offensiva, tale da veder schiantare una forte tallonata alla base della sua nuca, per concludere, definitivamente, la questione. In un intervallo di tempo inferiore a quello scandito da due battiti del cuore dello stesso Be’Sihl, pertanto, quell’ennesimo predone venne posto fuori giuoco e la stupenda donna sua amata scomparve nuovamente nel paesaggio circostante, quasi non volesse dimostrarsi qual nulla di più di un’apparizione, una visione, un miraggio lì divenuto realtà per il tempo necessario a concludere quell’azione e, subito dopo, ancora una volta ritornato ad appartenere a un mero piano onirico.
Similmente distratto dall’osservazione delle gesta dell’amata, e dall’impegno nella ricerca della medesima all’interno della pur non particolarmente vasta area del villaggio, almeno sino a dove il suo sguardo era in grado di spingersi attraverso le poche finestre di quelle stalle, l’uomo non ebbe allora possibilità alcuna di maturare coscienza su un pericolo incombente non tanto sulla destinataria delle proprie preoccupazioni, quanto, piuttosto e maggiormente, su di se stesso, minaccia lì sopraggiunta con ammirevole discrezione e che, alfine, volle palesarsi alla sua attenzione nel freddo contatto di una lunga e affilata lama sospintasi ad accarezzare il lato destro del suo collo.

sabato 29 gennaio 2011

1109


Q
uando vide Midda ritirarsi, rapida e fugace, dal nuovo scenario di scontro lì riservatole, Amagi si ritrovò a essere intimamente divisa fra un sentimento di frustrazione e uno di sollievo, entrambi in lei dominanti in eguale misura, ove entrambi equamente giustificabili nella propria natura e nella propria esistenza all’interno del contesto delineato da quella particolare situazione. Se, infatti, umanamente non avrebbe potuto evitare di rallegrarsi per essere riuscita a superare quell’ardua prova restando incolume, seppur non per proprio concreto merito, per identica e sempre umana ragione non avrebbe potuto evitare di colpevolizzarsi, sentendosi indegna di quanto così accaduto in conseguenza di tutte le già sufficientemente ponderate ragioni utili a farle provare una simile, non costruttiva, emozione di disonore personale.
Non una parola, ella volle quindi rivolgere ai propri compagni lì appena sopraggiunti, i quali, dal canto loro, non le richiesero nulla, non abbisognando di ulteriori dettagli rispetto all’evidenza dei fatti: dopotutto, quella che tutti loro stavano in quello stesso momento vivendo, era una guerra e secondo le regole proprie della guerra avrebbe dovuto essere trattata. In una guerra, nessuno avrebbe mai sprecato tempo o attenzione impiegandole nell’analisi dell’ovvio, di quanto tanto chiaramente, trasparentemente, presentato alla loro attenzione, là dove, così facendo, spendendo anche una sola parola di troppo, si sarebbe concesso un vantaggio alla propria controparte, al proprio avversario. Favore che, se pur minimo, sarebbe potuto essere quello utile a dividere una vittoria da una sconfitta, un trionfo da una disfatta. In una guerra, nel momento stesso in cui dei propri compari, fratelli e sorelle d’arme, venivano individuati a terra, a poco sarebbe potuto immediatamente importare se la causa di tale privazione di animazione avesse da ricercarsi in una semplice perdita di coscienza o, peggio, nella prematura conclusione della propria esistenza, dal momento in cui, a prescindere dall’acquisizione di una tale informazione, nulla sarebbe mutato in meglio o in peggio nel proprio immediato futuro. Un compagno privo di sensi sarebbe potuto essere soccorso in maniera adeguata solo nel momento in cui la battaglia fosse terminata e fosse terminata a loro vantaggio, là dove, in caso contrario, nessuno si sarebbe potuto preoccupare a tal fine. In una guerra, impegnare anche solo una singola emozione verso un proprio sodale, preoccupandosi per avere conferma del suo stato di saluto ove pur già definito dal suo stesso esser ancora in piedi e abile alla lotta, avrebbe rappresentato un gratuito peso posto a gravare sul proprio stesso cuore, sul proprio animo, assolutamente inutile allo scopo di offrire nuove energie alle proprie membra nell’imminente scontro e, al contrario, spiacevolmente indicato allo scopo di disperdere la propria concentrazione. Fosse stato, all’interno di quel gruppo, persino il compagno di vita di Amagi, egli non avrebbe dovuto concedersi occasione di vana preoccupazione per lei se non quando realmente necessario o, al più, al termine di quella battaglia, fossero essi riusciti a vincerla o fossero stati sconfitti dalla bravura della loro avversaria principale.

« Non concediamole tregua! » esclamò uno dei nuovi giunti, subito proiettando il proprio corpo all’inseguimento della fuggitiva, piacevolmente e inaspettatamente sorpreso da quella sua fuga, tale da suggerire un timore, in lei, ad affrontarli.

Amagi, che in grazie di quegli ultimi interminabili attimi della propria esistenza, sentiva di aver maturato maggiore confidenza con la Figlia di Marr’Mahew di quanto ne avrebbe mai potuta acquisire in una vita intera trascorsa ad ascoltarne le gesta, per così come riferite dai cantori erranti con le proprie ballate, o da ipotetici testimoni diretti delle sue prodezze con i propri resoconti, non riuscì allora a condividere l’entusiasmo allora riconosciuto in quella voce, in quella manciata di sillabe così rapidamente scandite, utili a spronare il gruppo intero a porsi sulle tracce della donna guerriero, dal momento in cui, nel proprio intimo, si poneva in assoluto disaccordo con l’implicito, e pur chiaro, presupposto alla base di ciò.
Nel ripiegare della propria nemica, di colei che per due volte era stata prossima a estraniarla da ogni possibilità di ulteriore partecipazione a quella battaglia, ella non era in grado di cogliere quell’emozione di inquietudine che pur gli altri avevano voluto speranzosamente attribuire alla medesima, quanto, piuttosto, l’estremamente più pratica, e persino strategica, necessità di trasferire il conflitto così propostole su un terreno a sé più favorevole di quanto, sino a quel momento, si fosse dimostrato essere quello pur dalla stessa inizialmente ricercato qual proprio. Ove, infatti, la tattica inizialmente ricercata qual propria dalla mercenaria dagli occhi color ghiaccio, nella rapida e discreta eliminazione di ognuno di loro fuoriuscito dalla boscaglia, a iniziare da lei stessa, era, per sua sfortuna e per propria fortuna, tanto palesemente fallita, lasciar permanere ulteriormente lo scontro in quella stessa area avrebbe potuto condurre alla loro avversaria maggiori danni rispetto a possibili benefici, negandole il controllo allora ricercato in loro opposizione e, altresì, persino lasciandola eccessivamente esposta a ogni loro possibile nuova venuta, così come già accaduto in due diverse occasioni a distanza di tempo estremamente ravvicinata, e così come sarebbe ancora avvenuto a intervalli sempre più brevi, nella progressiva e sistematica eliminazione di ogni trappola preposta a frenare la loro avanzata attraverso quel percorso secondario.
Non qual un assurdo segnale di incontrollata pavidità, ingestibile panico, pertanto, Amagi poté interpretare quel temporaneo abbandono del campo di battaglia da parte della loro nemica, quanto, piuttosto, una riorganizzazione delle proprie possibilità, nella consapevolezza delle proprie pur umanamente limitate risorse, tale da invitare tutti loro a raggiungerla in un diverso contesto, là dove sarebbe potuta essere nuovamente lei a decidere del positivo o negativo proseguo di quell’intera questione. E seppur una parte del suo cuore avrebbe voluto prendere allora parola verso i propri compagni, invocando da parte loro prudenza nell’intraprendere un simile percorso, nel ricordarsi di quanto tutto ciò avesse da considerarsi guerra ella si rese conto di quanto sarebbe stato inutile e, persino, sciocco riservare loro un simile invito, necessariamente reciprocamente implicito in ogni singolo istante di quella loro offensiva rivolta al villaggio, anche e soprattutto secondo i desideri del loro stesso comandante, di El’Abeb, che non desiderava rischiare di perdere alcuno fra loro e che, ciò nonostante, era stato costretto ad accettare la loro stessa partecipazione a quell’incursione per non negare ad alcuno il giusto diritto di rivalsa in contrasto alla donna guerriero macchiatasi della duplice colpa della morte e della cattura di due fra i loro compagni, amici, fratelli.
Tacque, quindi, Amagi mentre, recuperando un barlume di autocontrollo, si pose a sua volta all’inseguimento della donna guerriero, penetrando, finalmente, entro il perimetro interno del villaggio a cui era giunta sì prossima ed era, purtroppo, rimasta sino a quel momento ancora incredibilmente lontana. Tacque ella nel mentre in cui il suo sguardo indagò il paesaggio per così come a lei presentato alla ricerca di un qualunque indizio utile a suggerirle il percorso seguito dalla propria preda, qual pur si impegnò a volerla considerare nonostante un’intima consapevolezza nel merito del suo effettivo stato di predatrice. Tacque, ancora, quando, avvicinatasi a un’abitazione, ebbe appena il tempo di cogliere, con la coda dell’occhio, un’ombra oscura diretta in contrasto al proprio stesso capo, intuendo, ancor prima che riconoscendo, in quell’immagine, in quella sagoma, la mano della sorte tanto a lungo posticipata, incarnata, nella fattispecie, nelle sembianze proprie del pugno mancino della Figlia di Marr’Mahew. Tacque, obbligatoriamente e definitivamente, nel momento in cui ricadde al suolo prossima all’incoscienza, dispiacendosi, nel profondo del proprio cuore, non tanto per quell’ampiamente preannunciata sconfitta, al contrario utile a liberarla dall’angosciante sentimento di colpa che tanto la stava torturando, quanto per l’occasione, in tal modo negatale, di poter assistere al successivo sviluppo degli eventi, a proseguo di quella battaglia nel momento in cui, al primo gruppo in avanscoperta del quale anch’ella faceva parte, sarebbe succeduto il grosso delle loro forze, li sopraggiungendo non più attraverso quella selva nella quale molti di loro ancora gemevano contorcendosi per il dolore delle ferite riportate, quanto, piuttosto, attraverso la via principale, la strada maestra, avanzando fieramente non quale semplice gruppo di predoni al pari di ciò che tutti continuavano a considerarli, quanto, piuttosto, quale un esercito degno di rispetto, di stima, di ammirazione.
E con l’immagine del grande El’Abeb in testa a tale convoglio in marcia, icona di forza, di potere, dall’alto del proprio destriero, affidando a simile condottiero, a tale ispiratore, il compito di riuscire là dove ella, e tutti i suoi compagni e compagni, avevano e avrebbero probabilmente ancora fallito, Amagi perse completamente contatto con il mondo a sé circostante, precipitando in una realtà di compatte tenebre nonostante l’alba, ormai, si stesse impegnando a riportare luce e colore su ogni forma nel Creato.

venerdì 28 gennaio 2011

1108


N
el più completo rispetto dei propri principi di vita, utili a sancire quello che, probabilmente, qualcuno avrebbe potuto definire quale un suo particolare senso dell’onore, per quanto assurdo sarebbe potuto apparire il ricorso a un simile termine nel confronto con la natura mercenaria della sua professione, Midda stava infatti prestando massima attenzione a non imporre ai propri avversari, a coloro lì pur schieratisi in suo aperto contrasto, alcun danno irrecuperabile, né, tantomeno, alcuna sentenza di morte, per quanto, al contrario, sarebbe potuto essere particolarmente semplice per lei agire in tal direzione anche senza il ricorso esplicito alla propria lama, ancora a riposo all’interno del proprio fodero. Persino il suo stesso pugno destro, che tanto danno avrebbe potuto imporre a discapito di questi sventurati, era stato mantenuto praticamente inutilizzato sino a quel momento, occasione nella quale, tuttavia, non era stato impiegato al pieno delle proprie possibilità, quanto, piuttosto, quale semplice scudo, risorsa difensiva ancor prima che arma offensiva nel ricorso alla quale avrebbe potuto facilmente frantumare ossa e crani e non limitarsi, come in quell’ultimo gesto, a restituire alla propria controparte la stessa foga da lui diretta a proprio ipotetico discapito. Ove, dopotutto, quegli avversari, oltre a essere a lei indubbiamente inferiori in preparazione ed esperienza guerriera, si erano anche presentati quali lì sospinti da una semplice volontà di cattura, e non di danno o morte a proprio discapito, ella non avrebbe potuto riservarsi ragione alcuna per reagire in maniera diversa da quella così fatta propria, non dove, in fondo, il suo incarico non avrebbe previsto la morte di tutti i predoni, quanto, più semplicemente e meno ovviamente, la loro sconfitta, il loro respingimento al fine di porre in salvo quel villaggio, i suoi abitanti e, ultimo ma non meno importante, il tesoro lì custodito.
Così, animata dal solo desiderio di imporre perdita di coscienza ai propri nemici, e nulla di più, ella prosegui rapida e inesorabile nel proprio ruolo, nel proprio compito, colpendo, in rapida successione, gli altri due avversari di sesso maschile ancora lì rimasti in piedi, uno sul retro della nuca, l’altro alla base del collo, sulla laringe, prima di poter tornare a dedicare la propria attenzione al suo iniziale obiettivo: la giovane dai grandi occhi trasognanti… Amagi.

« Non c’è che dire, mia cara: sicuramente qualcuno ti ama, lassù. O non saresti rimasta per ultima, quando avresti dovuto essere la prima! » commentò, non celando un sorriso sornione nel confronto con l’ironia a entrambe offerta dalla sorte.

La figlia di Kriarya, non per proprio merito, non per propria colpa, era infatti stata testimone della caduta dei propri compagni, e della propria compagna, lì sopraggiunti in suo stesso soccorso, in sua difesa, senza essere in grado di compiere nulla per aiutarli, per proteggerli, nel ricambiare loro il favore inizialmente riconosciutole. Non che da simile condizione, indubbio stato, ella avesse tratto, né avrebbe voluto o potuto trarre, particolare vantaggio per sé, dal momento in cui, se le emozioni proprie del suo cuore, laddove sinceramente affezionata a quella che per lei era divenuta una vera famiglia, non avrebbero potuto evitare di assumere le cupe note della sofferenza e del rimpianto, al pensiero di essersi riservata un ruolo tanto disonorevole, quasi avesse voluto ritrarsi di fronte al pericolo, avesse cercato fuga innanzi alla loro nemica, così come comunque non era stato, al contempo il raziocinio proprio della sua mente la stava tranquillizzando, rasserenando, con il paradossale pensiero che molto presto anche lei sarebbe rimasta vittima di quella stessa tremenda piaga chiamata Midda Bontor e, in ciò, avrebbe potuto espiare qualsiasi possibile colpa, avrebbe potuto acquietare qualsiasi sentimento di vergogna.
Solo una sciocca, o un’ingenua, avrebbe potuto illudersi di poter avere una qualsivoglia speranza di successo ove posta a confronto diretto e solitario con lei, quando in sei non erano riusciti neppure a scalfirla, a imporre un seppur minimo graffio sulla sua candida carnagione ed Amagi, da lunghi anni, aveva smesso di considerarsi sciocca o ingenua. Probabilmente di un eccesso di leggerezza, o forse di sicurezza nelle proprie stesse capacità, avrebbe comunque dovuto rimproverarsi, dal momento in cui, per qualche, fuggevole istante aveva pocanzi ritenuto di avere tale possibilità di successo, simile occasione di vittoria, ma, a propria discolpa, avrebbe potuto addurre come non fosse stato sufficiente molto tempo prima di cambiare completamente idea, in favore di un maggiore contatto con la realtà per così come offertale. Realtà contro la quale, ovviamente, non avrebbe rinunciato a cercare sfida anche ove assolutamente disperata, e pur contro la quale non si sarebbe illusa di poter ottenere trionfo alcuno.

« Se è vero che qualcuno mi ama, lassù… » prese voce e coraggio, nel replicare alla donna guerriero riassumendo una posizione di guardia innanzi a lei « … spero solo che in questo momento stia rivolgendo il proprio compassionevole sguardo verso di me, al fine di riconoscermi occasione di punirti per la tua arroganza, Figlia di Marr’Mahew. »
« Audace. » aggrottò la fronte l’altra, osservando la propria controparte in un misto di curiosità e divertimento, nel cercare di comprenderne le emozioni e, ancor più, le intime ragioni fondamento di tanto insolito coraggio, in tal modo dimostrato ancor prima della semplice supponenza della quale era abituata a esser oggetto nelle attenzioni a lei avversarie.

A sua volta tutt’altro che sciocca o ingenua, mai la mercenaria avrebbe potuto allora confondere un sentimento di reale coraggio quale quello lì presente alla base dell’animo della propria controparte, così come anche espresso dalle sue parole, con altro, fosse semplice scherno o preoccupante follia derivante da un’estemporanea perdita di senno in conseguenza di quanto lì occorso. Un’audacia, quella propria di quella giovane, che ella riconobbe quale non derivante da superficiale disprezzo per il proprio avversario, quanto, piuttosto, da timoroso rispetto, tale da non sminuire la propria controparte al punto da non considerarla quale possibile minaccia, né da sopravvalutarla tanto da non volersi concedere un’ultima occasione di lotta, per quanto questa avrebbe potuto essere giudicata assolutamente vana, nelle proprie intrinseche prerogative.
Impossibile, pertanto, malgrado l’esigenza, l’urgenza in lei volta a chiudere quanto prima quell’imprevista parentesi spiacevolmente aperta, sarebbe pertanto stato, per la donna guerriero, ignorare quella particolare presa di posizione e il suo significato, riportando ancora una volta il proprio pensiero alle reali origini di coloro a lei ora proposti qual avversari e che, malgrado ogni proprio impegno in tal senso, a simile proposito, una parte di lei non riusciva ancora a considerare completamente tali in conseguenza della propria personale esperienza all’interno del Cratere, avventura che, evidentemente, aveva lasciato in lei un segno maggiore di quanto non avrebbe potuto immaginare né gradito ammettere.

« E se non a me, che tale possibilità possa per lo meno essere concessa a El’Abeb… » soggiunse Amagi, preparandosi all’assalto conclusivo.

Ma, dove anche inizialmente citato con intento scherzoso e privo di complicazioni di sorta, fu proprio in quel momento che Midda ebbe certezza assoluta nel merito dell’esistenza di un qualche dio, o dea, il quale, in quel particolare frangente, aveva deciso di impegnare il proprio sguardo misericordioso in soccorso alla figura della giovane protagonista di un gesto tanto coraggioso, e pur necessariamente vano. Pronta ad accogliere a sé quella fanciulla, infatti, ella si ritrovò a essere incredibilmente, inaspettatamente e, pur, nuovamente interrotta dal sopraggiungere di altri avversari, ulteriori predoni alfine fuoriusciti dalla selva alle loro spalle, i quali, ravvisata la situazione, subito tentarono un assalto a discapito di quell’unica nemica lì loro riservata, proposta, presentata, nella speranza di poter avere successo là dove i loro compagni non avevano avuto possibilità alcuna malgrado ogni eguale buona volontà ad animare i loro cuori e i loro corpi.
In caso contrario, se non nell’intervento di una divinità in favore di quella figura così incredibilmente benedetta dalla sorte, l’unica alternativa utile a giustificare quanto nuovamente occorso sarebbe dovuta essere ricercata, dall’attenzione della mercenaria, in una rinnovata imputazione a proprio discapito, riconoscendo la fortuna della propria avversaria quale sola conseguenza della propria stessa stolidità, che, ancora una volta, l’aveva rallentata, impedendole di condurre a termine il proprio attacco e offrendo all’altra simile, sfacciata occasione. Ed ella stava iniziando a essere sinceramente e ragionevolmente stanca di continuare a rimproverarsi, così come ormai, suo malgrado, stava compiendo in maniera quasi ininterrotta sin dall’inizio di quell’offensiva.

giovedì 27 gennaio 2011

1107


D
i ciò, loro malgrado, alcuno fra gli stessi ebbe occasione di maturare coscienza se non quand'ormai troppo tardi: dirompente come la vita, irrefrenabile come la morte, la donna guerriero non volle loro perdonare l’ingenuità in tal modo purtroppo dimostrata dopo un pur lodevole impegno nel proporsi quali veri guerrieri e non semplici bruti animati sospinti unicamente dal proprio istinto, dalla propria rabbia, così come, tuttavia, alfine non riuscirono a evitare di apparire, riservando loro la fermezza dei propri colpi, la freddezza del proprio animo, e, in ciò, abbattendoli uno dopo l’altro, senza alcuna reale avversione a loro discapito e, ciò nonostante, non risparmiando loro nulla della propria forza, del proprio vigore e di ciò che essi, probabilmente, non poterono evitare di giudicare qual sua brutalità.
Sotto lo sguardo inerme di Amagi, giovane energica, combattiva, dimostratasi capace nella propria vita di tenere testa al destino e alle sue numerose prove, e purtroppo, nonostante tutto ciò, priva di ogni possibilità di paragone, di confronto, con la Figlia di Marr’Mahew lì presentatale nelle vesti di nemica, il primo a cadere fu proprio Dofer, colui nel quale aveva confidato per la propria salvezza, per la propria liberazione a seguito dell’iniziale e umiliante insuccesso conseguito all’ingresso in scena della stessa donna guerriero. Gettatosi in opposizione alla loro avversaria con la follia nello sguardo e l’ira sulle labbra, così come espresso da un alto grido, l’uomo ricercò con le proprie grosse e tozze dita il collo della propria controparte, in un gesto sì privo di ogni eleganza, di ogni armonia, e pur animato da una furia che avrebbe atterrito qualsiasi malcapitato, o malcapitata, reso oggetto di tante negative emozioni, impedendo, in ciò, qualsiasi possibilità di rivolta, di opposizione di fronte a un fato in tal modo apparentemente inciso a caratteri di fuoco in roccia solida come quella dei monti Rou’Farth. Non quale una qualsiasi interlocutrice, tuttavia, avrebbe dovuto essere giudicata la donna dagli occhi di ghiaccio, nel cui freddo sguardo alcuna ansia, alcun timore poté essere individuato nel confronto con tanto impeto, lasciandola apparire quanto di più lontano ipotizzabile, immaginabile, dall’umanità stessa e, in ciò, ampiamente giustificando il nome attribuitole: ella, resa protagonista di simile attacco, di tale offensiva, restò, incredibilmente e irrazionalmente, immobile innanzi al proprio nemico, attendendone la venuta quasi con indifferenza, così come se egli non potesse rappresentare per sé la benché minima ragione di preoccupazione, non più pericoloso, nel proprio gesto, rispetto a un fastidioso moscerino, incapace di poterle promettere qualsiasi ragione di danno. E quando Dofer fu prossimo a chiudere le proprie forti dita attorno a quella gola, nella volontà di intrappolarla e, in simile modo, privarla di ogni possibilità di respiro, costringendola allo svenimento, ella limitò ogni proprio movimento, ogni propria reazione a una semplice e fuggevole genuflessione, contraendo in tal modo i propri muscoli al massimo al solo scopo di poterli, dopo un istante, estenderli, investendo dell’energia così richiamata a sé il proprio pugno mancino e, con esso, andando a colpire, con un sconvolgente montante, il mento del proprio avversario, del proprio antagonista, con vigore tale non solo da arrestarne l’avanzata, la foga contro di sé da lui definita, ma, ancor più, da respingerlo all’indietro, sbalzandolo, in ciò, addirittura in aria, quasi, ancor simile a insetto, fosse stato da lei scrollato dal proprio corpo, dalle proprie vesti, senza impegno alcuno, né possibilità, per lui, di opposizione a ciò.

« Dei… » sussurrò Amagi, sconvolta da simile immagine, da un quadro allora rappresentativo di una possanza apparentemente impropria per una figura quale quella della loro nemica, e pur, necessariamente, innegabile, là dove sì chiaro, trasparente, incontrovertibile, al pari dell’alba che, in quel momento, stava tingendo il cielo di incredibili tonalità rosate « … che razza di donna è costei?! »
« Una di gran classe. » replicò Midda a quelle parole, evidentemente cogliendole nonostante non si fossero proposte con maggiore enfasi di un sussurro, sorridendo nel confronto con le medesime e con l’implicita lode in esse neppur particolarmente celata « Non ne fanno più molte come me, oggigiorno… » aggiunse poi, sottolineando, nel contempo di quella stessa asserzione, il valore della medesima, la sua veridicità, con una seconda, rapida e perfettamente mirata azione, tale da escluderla da nuove bramosie a lei avverse e da sospingere un altro fra i propri antagonisti nel regno del loro corrispettivo dio del sonno, qualsiasi nome lo caratterizzasse all’attenzione dei medesimi.

Nel mentre in cui ella stava similmente rivolgendosi all’attenzione della giovane predona, infatti, la sua compagna all’interno di quel gruppo di sei unità, già ridotto a cinque, tentò di sorprenderla, cercando di raggiungerne il capo con l’unione di entrambi i propri pugni, nel desiderio di colpirla in un punto sì delicato e, in ciò, poterla privare di sensi non diversamente da come ella aveva appena compiuto a discapito del loro compare. Purtroppo per lei, però, formata da una vita intera in un numero di difficile censimento di campi da battaglia, la donna guerriero aveva maturato la capacità di riuscire a intuire un attacco a proprio discapito ancor prima di poterlo realmente percepire, là dove, in caso contrario, mai sarebbe riuscita a sopravvivere tanto a lungo: in ciò, per quanto la posizione occupata dall’avversaria avrebbe potuto giocare a suo svantaggio, la Figlia di Marr’Mahew non ebbe difficoltà alcun a cogliere quel movimento in proprio contrasto e, soprattutto, a reagire al medesimo, contemporaneamente evadendo con un elegante piroletta, simile a un passo di danza, dalla traiettoria di quei pugni e rispondendo a quel comunque vano tentativo in propria opposizione levando, ora, la propria gamba destra e, con il proprio piede, andando a colpire l’addome della controparte all’altezza del diaframma, provocandole forte dolore e negandole, per un lungo istante, occasione di respiro. Tempo ampiamente sufficiente, quello in tal modo riservatosi, per poter non solo tornare a rialzare nuovamente la gamba destra ma, anche, per calarla con controllata forza alla base del collo dell’ormai piegata avversaria, andando a impattare nello stesso punto da lei prima ricercato su di sé, in una conclusione estremamente ironica per quel malriuscito attacco e per colei che in tal modo lo aveva audacemente condotto.

« Cagna! » gridò un altro fra i presenti, precipitandosi contro di lei senza alcuna particolare strategia, senza alcuna reale tattica, semplicemente desiderando travolgerla con il proprio peso, con la propria massa, e nulla più.

Un gesto, una presa di posizione necessariamente considerabile tale anche in assenza di un’esplicita definizione conscia da parte del proprio stesso protagonista a tal riguardo, che, se solo avesse avuto qualche seppur vaga speranza di riuscita, avrebbe forse potuto anche essere considerata quale apprezzabile, ma che, non diversamente da ogni tentativo precedente, si ritrovò a essere condannato nel momento stesso della propria concezione, del primo accenno mosso in direzione della mercenaria dagli occhi color ghiaccio. Colei nuovamente insultata in tale asserzione, pur breve e priva di fantasia nel ricorrere a uno degli insulti abitualmente a lei riservati dalla maggior parte dei propri avversari, infatti, non offrì alcuna illusione all’uomo, o ai suoi compagni ancora coscienti, nel ricorrere, per la prima volta dall’inizio di quel confronto, alla propria mano destra, in nero metallo, al fine di imporre innanzi al petto di quello sfortunato sprovveduto la solidità del surrogato al proprio arto perduto, lì non dissimile da un tronco d’albero, un ariete disteso innanzi a lui, contro il quale non poter ottenere successo migliore rispetto a quello di lì infrangersi con violenza disarmante, rimbalzando all’indietro e, obbligatoriamente, svuotando i propri polmoni di tutta l’aria lì precedentemente contenuta, ritrovando cieco il proprio sguardo in conseguenza al dolore provato e, senza particolare dimostrazione d’orgoglio, ricadendo al suolo gemendo non diversamente da un bambino al proprio primo spiacevole incontro con gli aspetti meno gradevoli della realtà quotidiana.

« A costo di apparire eccessivamente pignola, vorrei porre in evidenza come hai fatto tutto da solo… » denotò la donna guerriero, scuotendo il capo nell’osservare il terzo fra i propri sei primi avversari posto in tal modo al di fuori da ogni possibilità di competizione « … io mi sono solamente limitata a stendere il braccio. Per il resto sei stato tu ad andare a sbatterci contro con così tanta forza da farti male da solo. » sorrise, non risparmiandosi quell’occasione di facile ironia, sebbene in quelle stesse parole avrebbe dovuto essere riconosciuta un’importante verità in paradossale favore degli stessi predoni a lei nemici.

mercoledì 26 gennaio 2011

1106


« N
on pretenderai di essere la sola a saper usare in maniera tanto creativa e originale i propri glutei, non è vero?! » la canzonò, osservandola rotolare a terra poco lontano da sé, nello stesso istante in cui altri tre suoi compari, unici rimasti allora in piedi, si chiusero sul nulla invece che sulla preda inizialmente auspicata, andando a impattare l'uno contro l'altro in un effetto complessivo che, se non avesse dovuto essere interpretato qual necessariamente drammatico per il contesto di battaglia, sarebbe potuto apparire addirittura comico, grottesco.

Nel desiderio di essere onesta con se stessa e, se fosse valso qualcosa, persino con i propri avversari, la Figlia di Marr'Mahew non avrebbe potuto evitare di riconoscere loro, in quel particolare frangente, un ammirevole livello di autocontrollo, dal momento in cui essi, così costretti al fallimento nel loro primo tentativo di offesa a suo discapito, evitarono quella consueta e prevedibile reazione assolutamente comune, ordinaria, in un simile contesto, che li avrebbe potuti vedere imprecare i nomi di tutti i propri dei, augurandole un'infinità di sofferenze, in favore di un comportamento freddo e controllato, degno di veri guerrieri. Necessariamente e spiacevolmente colpiti dalla reazione della loro nemica, i sei recuperarono, infatti, immediatamente il controllo su loro stessi, sui propri corpi oltre che, ancor più, sulle proprie menti, costringendosi a riassumere una formazione ordinata attorno a lei, in conseguenza del proprio numero ancora circondandola e serrandola all'interno di una nuova morsa, ora lì proposta con maggiore vigore, maggiore compattezza rispetto alla precedente, nell'evidente, indubbia ed energica volontà di non concederle occasione di ripetere quanto già proposto, restando altresì intrappolata all'interno della loro stretta mortale.
A poco, tuttavia, poté valere un tale atteggiamento, psicologico ed emotivo ancor prima che fisico, in suo contrasto, dal momento in cui, abituata a individuare sempre numerose possibilità alternative per raggiungere un medesimo scopo, vagliandole in maniera inconscia con incredibile rapidità, ella non si concesse ancora occasione per restare inerme vittima di quel pur plausibile impegno, animata, loro pari e ancor più rispetto a quanto mai essi avrebbero potuto ambire, da gelo assoluto nel profondo del proprio cuore al pari che nel proprio sguardo, nei propri immensi occhi azzurro chiaro, prossimi al bianco. Così, nel mentre in cui i sei tentarono nuovamente di chiudersi attorno a lei, nella volontà di imporre la propria forza, la propria predominanza su di lei, ella scattò rapidamente nella direzione del più robusto, muscoloso, virile fra i presenti, quasi fosse intenzionata a ricercare un'occasione di scontro diretto con lui, salvo, all'ultimo istante, proiettarsi in un incredibile salto, che la vide appoggiare, in un primo momento, il proprio piede sinistro sulla coscia destra del medesimo avversario, allo scopo di cercare lì un estemporaneo ed effimero punto d'appoggio in grazia del quale balzare rapidamente all'indietro, compiendo un'elegante e ampia capovolta tale da condurla al di fuori del perimetro per lei formato dai propri nemici e, al termine della quale, ritrovare contatto con il suolo a meno di tre piedi dal gruppo, così, nuovamente e inevitabilmente, spinto al reciproco e violento impatto l'uno contro l'altro.

« Mi permetto di sottolineare come eventuali ovazioni siano sempre gradite e apprezzate. » sorrise la mercenaria, ancora riservandosi possibilità di ironizzare in loro contrasto, al fine di riuscire a far breccia nella fermezza dei cuori e delle menti dei propri avversari, come era da sempre sua abitudine fare nel corso di un conflitto, amando condurre il medesimo a ogni livello, non solo meramente fisico, ma anche psicologico ed emotivo « Dico sul serio: se desiderate acclamarmi non sentitevi in alcun modo in imbarazzo. Ben comprendendo quanto io sia magnifica praticamente sotto ogni aspetto, qualsiasi impegno in tal senso da parte vostra non potrebbe che essere ben accetto. »

Ancora freddo contegno, malgrado tale nuovo tentativo di derisione da lei presentato a loro discapito, fu quanto le venne comunque riservato per tutta risposta, sebbene in questa nuova occasione ella ebbe modo di cogliere, in qualche sguardo, in qualche fuggevole ed incontrollata espressione di disprezzo repentinamente apparsa, e poi subito scomparsa, sui volti a lei proposti, una crescente tensione fra i propri antagonisti, tale da farle sperare di poter raggiungere l'obiettivo desiderato, nella rottura di quella loro coesione, in breve tempo, in poche altre similari mosse. E, in effetti, furono necessari solo altri due insuccessi, loro imposti parimenti a quelli loro appena obbligati, prima di ottenere la completa, e irreparabile, rottura di quel clima di assoluto controllo da loro pur tanto abilmente ricercato.
A una terza morsa, del tutto simile alle precedenti due, e pur animata da maggior fermezza rispetto alle altre, nell'esplicita volontà delle proprie controparti volta evitare di poterle concederle occasione di liberarsi da quel loro vincolo con eguale semplicità, a dimostrazione di quanto, in quello scontro, essi stessero inaspettatamente impegnandosi al fine di arricchire la propria esperienza, la propria abilità in combattimento, differentemente da quanto abitualmente ricercato da qualsiasi suo avversario in equivalenti condizioni, la donna guerriero reagì non ricercando un nuovo contatto con il cielo sopra il proprio capo, quanto, piuttosto, con il suolo sotto i propri piedi: verso il terreno, infatti, ella si lasciò ricadere, divaricando le proprie gambe lungo un'ideale linea a sé tangente, allo scopo di poter, con tali forti arti, già dimostratisi capaci, in passato, di poter spezzare una vita umana senza particolare impegno, negare ulteriore occasione di equilibrio a tutti i propri nemici, roteando rapidamente sul proprio asse e, in ciò, andando a colpire tutti loro all'altezza delle caviglie, spazzando le medesime quasi semplici fili d'erba piegati dall'impeto del vento.

« Lodevole la perseveranza. Discutibile l'incapacità a mantenersi ancora in piedi dopo così poco. » commentò, scuotendo il capo nel mentre in cui si rialzò rapidamente da terra al solo scopo di allontanarsi, nuovamente, di pochi passi dal gruppo, per offrire loro il tempo di rimettersi in piedi e di riorganizzare l'offensiva a suo discapito.

Sebbene solo silenzio le venne proposto anche in conseguenza di quell'ennesima provocazione, la quarta e ultima morsa che i sei ebbero ancora modo di tentare in suo contrasto, ormai sempre più palesemente sfiduciati dall'assenza di risultato di una tale tattica, vide il gruppo perdere la coesione pur mantenuta nelle ultime due occasioni, tornando a offrire minimali asincronie, sì quasi impercettibili e pur egualmente utili alla loro ipotetica preda per riproporre la medesima tattica già adoperata al loro primo tentativo, affrontando senza esitazione il primo a giungere in sua prossimità e, subito dopo, ovviando all'eventualità di un prevedibile attacco alle spalle da parte di chi, ingenuamente, l'aveva nuovamente ritenuta distratta, scoperta nelle proprie difese.

« Tsk… mi dispiace gente. Ma in questo modo non avrete alcuna speranza di competere con me. » sospirò la donna guerriero, ricorrendo a un tono forzatamente deluso per quella che intuì sarebbe stata la sua ultima occasione di scherno prima del successo della propria tattica, volta a separarli, a dividerli nelle proprie azioni, nei propri movimenti, e, in ciò, a riservarsi migliore possibilità di trionfo nei loro riguardi, là dove, altrimenti, a lungo andare, sarebbe persino potuta soccombere se essi avessero continuato a mantenere il controllo dimostrato sino a quel momento.

Alfine, fortunatamente per lei, numerosi furono, di conseguenza a simile, continuata evasione da parte sua, i coloriti e variegati insulti che impegnarono le bocche dei suoi antagonisti, ritrovandoli a essere, ormai, sì egualmente dediti, anima e corpo, a contrastarla, con impeto e passione, addirittura, superiori alla precedente, e pur, ormai, dimostrandosi in ciò completamente privi della stessa sincronia, della stessa coordinazione precedente, nel porsi sospinti in tal senso dalla sola volontà di poter riuscire a dominare quanto prima quella guizzante figura, non più fanciullesca, e pur, ancora, incredibilmente rapida e agile, tale da essere in grado di sfuggire continuamente a ogni loro nuovo tentativo d'offesa. Reazione indubbiamente umana ed emotiva, scatenata dall'irritazione crescente nel confronto con chi lì stava ponendo con tanta insistenza in ridicolo, non tanto nel confronto di un ipotetico pubblico, quanto e piuttosto nel confronto con loro stessi, quella che vide pertanto quei sei predoni proseguire nella gestione di quell'incontro privandosi dell'ordine già dimostrato qual possibilmente proprio, in favore di un comportamento più caotico, e, in ciò, loro malgrado, meno efficace ed efficiente nel confronto con gli obiettivi prefissi: privandosi volontariamente, infatti, del fattore di vantaggio derivante dal proprio numero e dal giuoco di squadra reso proprio sino a quel momento, essi non incrementarono in alcun modo le proprie possibilità di successo in quel confronto ma, al contrario, le diminuirono drasticamente, annichilendo in maniera estremamente stolida ogni propria concreta speranza di vittoria.

martedì 25 gennaio 2011

1105


A
nalizzando la questione dal un punto di vista strettamente personale, Midda non avrebbe mai potuto raggiungere conclusione diversa da quella formulata in tali severe parole, per quanto, in effetti, avrebbe sinceramente apprezzato potersi riservare simile opportunità, fosse solo per evitare di doversi nuovamente rimproverare dopo la già lunga sequela di rimproveri da lei stessa addotti a proprio stesso discapito, e neppur allora completamente terminati, per l'ingenuità già fatta propria nel non aver saputo gestire adeguatamente le tempistiche dell'assalto al villaggio. Se solo, infatti, ella avesse evitato di indugiare innanzi al volto della propria avversaria, allo sguardo smarrito della propria presunta vittima, rimembrando in esso la propria lontana esperienza all'interno del cratere, sicuramente il suo attacco sarebbe stato compiuto in maniera rapida e sufficientemente indolore per chiunque, lasciando soccombere la giovane al suo confronto e ovviando alla possibilità di essere scoperta dal nuovo gruppo lì sopraggiunto: un solo, semplice ed effimero istante di esitazione, altresì, era stato sufficiente a vanificare ogni precedente programmazione a tal riguardo, non concedendole possibilità di intervenire in maniera puntuale e mirata allo scopo di sfoltire le fila avversarie senza, in ciò, offrire loro occasione di comprendere contro chi o cosa avessero a che fare, quanto, piuttosto e peggio, scaraventandola al centro della classica, consueta e abituale battaglia che, probabilmente, sarebbe allora stata terminata nell'inevitabile gioco al massacro a cui molte, troppe volte si era pur ritrovata costretta a prendere parte.
Amante della sfida, della competizione e della lotta, colei che era stata indicata quale progenie di una dea della guerra non avrebbe avuto alcun problema, di natura psicologica, emotiva o spirituale, a cospargere la propria candida pelle, e le proprie succinte vesti, del caldo sangue dei propri avversari, spillandolo direttamente dai loro cuori. Ciò nonostante, come per lei ordinario, quasi rituale, un tentativo di dialogo, e un invito alla resa, non fu da parte sua dimenticato, ignorato, lasciato intentato, nello scandire, innanzi ai sei volti a lei lì proposti, parole sincere, oneste nella propria ispirazione, e che pur ella era purtroppo drammaticamente certa, sarebbero state inevitabilmente ignorate, in favore di un vano tentativo volto a un ipotetico trionfo in proprio stesso contrasto.

« Suvvia, gente… » scosse il capo, sorridendo verso il gruppetto così schieratosi con tono intrinsecamente ironico, divertito, a minimizzare in tal modo l'eventuale minaccia da loro stessi rappresentata, tanto nel contesto della propria stessa psiche, quant'ancor più nel confronto con quelel avversarie « Se sapete che io sono io, dovreste anche sapere di non aver molte possibilità di poter far godere dell'imminente alba se solo proseguirete in questo cammino: tornate indietro, dimenticate questo villaggio, scordatevi dell'intera Urashia e cercate altrove un'occasione di facile guadagno. »
« Niente armi! » comandò Dofer, stendendo la mano ad invitare i propri compagni a riporre le proprie lame innanzi a quella figura, già identificata e, ora, riconosciuta quale loro obiettivo « Ricordatevi le parole di El'Abeb. Egli la vuole viva… »

… e, probabilmente, desidera anche tutti voi egualmente vivi: tale fu la riflessione della quale la mercenaria, in reazione a simile asserzione, si rese protagonista, per un istante lasciando espandere le proprie nere pupille all'interno delle azzurre iridi, a dimostrare tutta la propria ennesima occasione di sorpresa, prima di contrarle sino a raggiungere le dimensioni di una capocchia di spillo, scomparendo quasi completamene in un mare di ghiaccio assolutamente perfetto.
Offrendo riprova di quanto avesse da considerarsi un avversario degno di ogni rispetto, uno stratega assolutamente meritevole della propria fama, e, soprattutto, incredibilmente capace di comprendere le proprie controparti, il capo di quei predoni era stato infatti sì abile, nella propria pianificazione strategica, nello studio delle migliori tattiche da porre in essere allo scopo di assicurarsi speranza di vittoria non tanto contro un villaggio di contadini, allevatori e artigiani, quanto, piuttosto, contro una professionista della guerra qual ella era, da riservare invito, verso i propri compagni, a evitare il ricorso alle armi nel contrasto con lei, in una scelta che, a uno sguardo esterno, sarebbe probabilmente apparsa folle, suicida, ma che, invece, nel particolare contesto offerto dal suo stesso animo, dai principi attorno ai quali ella aveva deciso di fondare la propria intera esistenza, avrebbe altresì dovuto essere giudicata prossima alla genialità. Mai, infatti, la donna guerriero avrebbe accettato l'idea di levare la propria spada, o qualsiasi altro genere di arma, contro avversari non solo disarmati, ma, addirittura, dichiaratamente animati dall'intenzione di catturarla e non di ucciderla, così come, tanto esplicitamente, si erano allora presentati i componenti di quella prima compagnia giunta al suo cospetto, e, in ciò, essi avrebbero potuto sperare in un fato migliore da quello altrimenti ineluttabile che sarebbe stato loro immancabilmente proposto.

« Oh… beh, ammetto che questa è nuova anche per me. » riconobbe, piegando il capo prima verso destra, e poi verso sinistra, a distendere i muscoli intorpiditi del collo, nel mentre in cui il resto del suo corpo iniziava già ad assumere una postura di guardia, nel confronto con quanto sarebbe stato, allora, un combattimento decisamente più originale del solito, e di quanto, ancora una volta, ella aveva dato per scontato sarebbe stato « Prometto di non farvi troppo male, ma vi consiglio, comunque, di prestare attenzione a evitare il mio braccio destro. »

Quasi, allora, l'intero Creato stesse attendendo quelle stesse parole, la tesa quiete mantenuta sino a quel momento, l'immobilità di tutte le parti lì presenti e, con esse, persino del mondo a loro circostante, venne improvvisamente meno e, con il primo, timido e pur dirompente raggio di sole del nuovo giorno, così iniziato, sei diverse figure, quattro uomini e due donne, si precipitarono contemporaneamente addosso alla loro avversaria, alla loro nemica, nel tentativo di potersi riservare, per quanto volontariamente disarmati, occasione di sopraffazione contro di lei in grazia del proprio stesso numero, della propria innegabile superiorità quantitativa, in una scelta che, oggettivamente, anche la medesima Midda, loro ipotetica vittima, non poté evitare di considerare assolutamente ponderata, se pur, non diversamente dalla carica armata di un singolo fra loro, destinata a un eguale fallimento, alla stessa, prevista e anticipata, sconfitta.
Per quanto, evidentemente accordatisi con incredibile rapidità al fine di porre in essere una simile azione, sfruttando semplicemente laconici sguardi e nulla di più, i sei ebbero modo di dimostrare sorprendente coordinazione, incredibile sincronismo, tale da meritare un nuovo attestato di stima da parte della loro desiderata preda, i loro movimenti, il loro compatto avanzare, avrebbe dovuto essere comunque riconosciuto quale contraddistinto da minimali imperfezioni, lievi singolarità quasi impercettibili e che, nonostante tutto, furono allora colti dai sensi allenati della donna guerriero, e le permisero di definire e scandire una serie di agili gesti tali da ritagliarsi, attraverso simile morsa, una pur utile occasione di fuga. A tal fine, ella approfittò infatti dell'infinitesimale anticipo di uno fra i quattro uomini, nel suo stesso assalto in proprio contrasto, per accogliere a sé quella massa di muscoli, carne e ossa, facendo leva e proiettandolo, immediatamente, oltre la propria stessa posizione, irreversibilmente sbilanciato e destinato, proprio malgrado, a rotolare contro il proprio sodale presente in posizione a lui antitetica rispetto al comune obiettivo. Ma solo il tempo scandito da una singola palpitazione del suo cuore fu quello donato alla mercenaria fra la conclusione di quel primo atto e l'inizio, per lei necessario e già stabilito, del successivo, là dove, sebbene in tal modo apertasi una via di fuga da quell'assalto, impossibile sarebbe stato per lei evadere con successo dallo stesso, dal momento in cui immediatamente, alle sue spalle, stava già precipitando la stessa giovane da lei inizialmente ricercata quale proprio primo impegno in quella battaglia, primo obiettivo in quel conflitto. Ed esattamente a lei, a chi, malgrado la presa impostale, era riuscita a sfuggirle assestandole persino un pur superficiale colpo, ella volle riservare un gesto del tutto equivalente a quello da sé subito, imitando, e in ciò forse persino omaggiando, quella stessa movenza già adoperata in propria contrasto all'indubbio fine di restituirle tanta premura: così, nel mentre in cui Amagi tentò di chiudere le proprie dolci, esili e amabili braccia attorno a un corpo non meno femminile del suo, e pur segnato da un'esperienza maggiore rispetto alla propria, la mercenaria piegò, prima, il proprio busto in avanti, per slanciarsi, poi, all'indietro e, in ciò, travolgere la controparte esattamente come era stata a propria volta pocanzi abbattuta.

lunedì 24 gennaio 2011

1104


N
el corso degli oltre vent'anni della propria esistenza, Amagi aveva vissuto molte esperienze… molte più di quanto fosse abitualmente offerto a chiunque e, dal suo punto di vista, sicuramente sin troppe.
Un tempo, molto lontano, ella era stata una bambina, e subito dopo, si era ritrovata a essere improvvisamente adulta: nata e cresciuta a Kriarya, nella città del peccato del regno di Kofreya, Amagi aveva presto dovuto sostituire i pochi e innocenti giuochi tipici dell'infanzia con un impegno lavorativo, utile a consentirle di mantenersi là dove mai sua madre avrebbe potuto, o tantomeno voluto, preoccuparsi troppo a lungo di lei, professionista all'interno della casa di Tahisea, uno dei maggiori lupanari di tutta la città, e, in ciò, eccessivamente impegnata per preoccuparsi di una figlia neppure ricercata. Troppo giovane per poter essere già impiegata in maniera adeguata nello stesso settore materno, la piccola si era riuscita a industriare come sguattera in una taverna in cambio di vitto e alloggio all'interno della stessa, in un contratto di lavoro che non sarebbe dovuto essere giudicato sì spiacevole se non fosse stato per le troppo frequenti, e mai corrette, percosse di cui, proprio malgrado, si poneva vittima da parte del proprio padrone. Violenze fisiche, quelle a lei rivolte prima dei dieci anni, che, quando, un giorno, il suo corpo iniziò ad assumere i connotati di una fanciulla, tentarono di trasformarsi, con naturalezza, quasi ovvietà, in abusi di natura sessuale, salvo vederla improvvisamente stringere fra le proprie fragili mani il manico di un lungo coltello, con il quale il collo del proprio candidato stupratore, nonché datore di lavoro sino a quel momento, venne trapassato da parte a parte, sancendo contemporaneamente la fine delle minacce a proprio discapito e la fine del proprio impiego in quel luogo. La legittima difesa riconosciuta dalla natura difensiva di quel gesto estremamente offensivo, la vide, allora, evitare qualsiasi imputazione qual assassina, e, contemporaneamente, le offrì anche un'inaspettata, se pur effimera, fama che, per un paio di giorni, le rese la vita estremamente piacevole nelle vie di una capitale popolata esclusivamente da mercenari e assassini, ladri e prostitute, salvo, purtroppo, non offrirle comunque alcun possibile e immediato sbocco lavorativo: non più accettata qual sguattera o cameriera, e troppo inesperta, nonostante la propria prima vittima, per poter essere considerata qual combattente, alla giovinetta sembrò essere riservato solo un destino, apparentemente richiamandola alla stessa professione già propria di sua madre. Ciò nonostante, non si rassegnò a simile fato e preferì tentare la fortuna altrove, lontano dalle mura erette su una base a dodecagono, tipiche di quella stessa urbe e, in tal modo, ella raggiunse l'estremità opposta del regno di Kofreya, cercando il proprio futuro a Kirsnya, la sola capitale marittima dell'intera nazione.
In un primo momento, Amagi si propose letteralmente incantata dalla magnificenza di quell'urbe, così apparentemente diversa, estranea, alle barbarie caratteristiche della città in cui ella era nata e cresciuta, la sola che mai avesse avuto occasione di conoscere, con le proprie particolari leggi non scritte, i propri principi incredibilmente antitetici a quelli abitualmente professati nel resto della nazione. Suo malgrado, non trascorse troppo tempo prima che ella potesse comprendere quanto la sola differenza esistente fra Kriarya e Kirsnya, o fra Kriarya e il resto della nazione, se non dell'intero Creato, avrebbe dovuto essere ricercata dell'ipocrisia, nella falsità caratteristica di tutto e tutti e, altresì, rinnegata in quella da tutti condannata con il nome di città del peccato. E così, ancor cresciuta e maturata con il passare delle stagioni, e resasi sempre più affascinante e conturbante nelle proprie forme e proporzioni, ella si ritrovò nuovamente oggetto di attenzioni non dissimili a quelle già dedicatele dal proprio ipotetico aguzzino e, invece, per lei fortunatamente, vittima, attenzioni alle quali ella si oppose ma che, per tutta risposta, le valsero un imprigionamento, una ricca sequenza di violenze fisiche e abusi sessuali all'interno delle carceri della stessa capitale e, successivamente, persino la deportazione al Cratere, qual estremo mezzo per ammansirla, per cercare di dominare un carattere comunque incredibilmente forte e tutt'altro che desideroso di lasciarsi piegare, controllare, soggiogare.
Questa fu la storia di Amagi nel giorno in cui raggiunse il Cratere e ne divenne parte.
Una storia che, negli anni a seguire, la vide schierarsi con El'Abeb e subito impegnare le proprie energie nella volontà di riconquistare la libertà perduta, la stessa libertà che, solo molto tempo più tardi, le venne concessa, indirettamente, per opera della medesima donna guerriero che, in quell'angolo di Urashia, le apparve, improvvisa e inattesa, alle spalle, tappandole la bocca con la propria mano mancina e, nel contempo, preparandosi a precipitare, in contrasto alla sua nuca, con il proprio pugno destro, in nero metallo dai rossi riflessi.

Incredibile fu la leggerezza caratteristica dei movimenti della Figlia di Marr'Mahew nel confronto con la propria candidata vittima, incommensurabile la rapidità dei suoi gesti e il pieno controllo da lei dimostrato su se stessa e sull'ambiente a sé circostante, tale da rendere non solo impensabile, ma addirittura impossibile, per la giovane, pur armata di spada e di scudo, qualsiasi ipotesi di ribellione, di rivolta, innanzi all'ineluttabilità del fato dall'altra incarnato. Tuttavia, quando già Amagi si stava necessariamente considerando qual spacciata, in quei fuggevoli attimi troppo effimeri per consentirle di agire o reagire e pur sufficienti a permetterle di maturare coscienza sulla propria stessa sorte, ella ebbe occasione per riconoscersi, malgrado ogni spiacevole esperienza passata, estremamente benvoluta dagli dei tutti, i quali, dall'alto della loro onniscienza, le avevano sì permesso di essere possibile preda per una sì abile predatrice, ma, al contempo, avevano spinto quella stessa predatrice a scoprirsi eccessivamente, al punto tale da poter essere a propria volta oggetto d'assalto a opera dei suoi compagni di ventura, lì sopraggiunti un istante dopo di lei, sì attesi, e pur accolti quali completamente inaspettati.

« Attenzione! » risuonò la voce di Dofer alle sue orecchie, probabilmente nel rivolgersi non tanto nella sua direzione, quanto in quella di altri al proprio seguito « E' lei! »

E se, probabilmente, nel ritrovarsi a indossare, in un simile contesto, i suoi panni, chiunque altro avrebbe ovviato all'idea di esprimere un qualunque cenno in contrasto alla propria avversaria, nel timore che, nell'eccitazione della battaglia ormai chiaramente iniziata, potesse decidere di eliminarla rapidamente dall'allora fin troppo complicato gioco di forze lì creatosi, pietrificandosi, psicologicamente e fisicamente, innanzi all'idea della propria prematura scomparsa, nell'udire la voce del proprio camerata, sinonimo, per sé, di speranza e di vita, la giovane Amagi decise, altresì, di compiere quanto già numerose volte compiuto nel proprio passato, non arrendendosi quietamente innanzi alle ingiustizie, alle prepotenze del fato, ma ribellandosi con vigore, con foga, in suo contrasto. In conseguenza di simile volontà, costretta al confronto con chi, in quel frangente, si stava proponendo qual rappresentazione di un destino avverso, la giovane figlia di Kriarya strinse in denti e cercò di ignorare il pericolo rappresentato da qualsiasi arma l'altra avrebbe potuto impugnare, inconsapevole, qual del resto era, del fatto che alcuna lama o simile si fosse impegnata, sino a quel momento, a minacciare il proprio domani, piegando, con uno scatto repentino, il proprio busto in avanti, nel mentre in cui, con l'ausilio delle proprie lunghe e tornite gambe, proiettò l'intero proprio corpo all'indietro, in un gesto privo di qualsiasi particolare maestria, e pur animato dal chiaro scopo di liberarsi dal vincolo della propria nemica nel mentre in cui, addirittura, contro di lei avrebbe sferrato un primo colpo.
Un atto forse azzardato, sicuramente inelegante, quello in tal modo da lei condotto, e che pur, un istante dopo, ebbe imprevedibilmente occasione di dimostrare più che riuscito nei propri scopi, restituendole la libertà prima negatale e, al contempo, impuntando un violento urto alla mercenaria dagli occhi color ghiaccio, la quale, così inevitabilmente sorpresa non solo dai nuovi antagonisti lì sopraggiunti, ma, ancor più, da quella stessa reazione, non poté fare altro che bestemmiare il nome della propria divinità prediletta, nel mentre in cui dovette addirittura lottale per mantenersi in piedi, per non perdere completamente l'equilibrio in un momento in cui, per lei, sarebbe stato estremamente compromettente permettersi una simile caduta.

« Thyres… » esclamò, ora non impegnandosi ulteriormente a minimizzare i propri toni, là dove non avrebbe avuto più senso alcuno un simile sforzo « … ecco cosa succede quando ci si lascia dominare dai dubbi. » commentò, con chiaro rimproverò a proprio carico.

domenica 23 gennaio 2011

1103


P
urtroppo, però, se in grazia di quelle grida, di quelle esclamazioni sempre crescenti, alla donna guerriero venne riconosciuta occasione per definirsi soddisfatta delle trappole disposte nelle ore precedenti a protezione del perimetro esterno del villaggio, al contempo le venne anche imposto un necessario stato d’allarme, nel constare un numero particolarmente alto di avversari, probabilmente di gran lunga superiore alle proprie iniziali aspettative. Se, infatti, nel confronto con l’idea di un gruppo di predoni nomadi, esuli dal Cratere quale aveva scoperto essere quello al seguito di El’Abeb, ella aveva razionalmente considerato la possibilità di ritrovarsi innanzi al massimo a due o tre dozzine di possibili controparti, quali solo avrebbero dovuto potersi muovere attraverso tante terre, tante province e regni senza attirare mai eccessiva attenzione a proprio riguardo, nel ruolo di ostacoli posti a separarla dal raggiungimento della conclusione della propria missione e, con essa, della conquista della propria ricompensa, l’eccessivo affollamento di voci, gemiti e imprecazioni emergenti dal fitto di quella muraglia vegetale, la spinse riconsiderare simili prematuri calcoli, stimando una presenza nettamente più elevata e, in ciò, inevitabilmente pià impegnativa nell’assolvimento del proprio compito.

« Dal momento in cui ho volontariamente dimezzato la ricompensa per via della collaborazione ottenuta, non dovrebbe essere considerato eccessivamente esoso, da parte mia, tentare di raddoppiarla nuovamente in conseguenza di questo imprevisto… o no? » argomentò in intimo confronto con se stessa, riabbracciando le proprie consuete abitudini professionali e, in ciò, cercando con malcelata cupidigia ragioni utili a moltiplicare in misura esponenziale il salario così come inizialmente concordato.

Nell’entusiasmo che, in tale situazione, stava ormai caratterizzandola, psicologicamente ed emotivamente, non tanto all’idea dell’oro pattuito, quanto piuttosto al pensiero dello scontro sempre più prossimo, estremamente difficile fu per lei riuscire a costringersi a restare ancora immobile nella propria posizione, a non gettarsi, immediatamente, nella mischia, nella volontà di mantenersi fedele al piano inizialmente votato qual proprio.
Consapevole del vantaggio riservato ai propri stessi avversari dalla piena coscienza nel merito della sua presenza in quel luogo e, ancor più, della sua identità, qual presumibilmente tutti loro erano, non in banale conseguenza delle minacce così come allora formulate da parte del suo prigioniero, ma per colpa dell’ancor più semplice, e allora spiacevole, ineluttabilità derivante dalla propria fama e dall’occasione, per quegli stessi predoni, di essere già stati in passato a contatto diretto con lei, nella propria strategia, la medesima in conseguenza alla quale erano state ideate e realizzate le numerose trappole sparse all’interno di quell’area, la mercenaria dagli occhi color ghiaccio aveva valutato utile, se non, addirittura, necessario, tentare, al contempo, di ottenere una qualche approssimativa stima nel merito del loro possibile numero, così come già le era stata concessa, e di confondere loro le idee a riguardo di ciò che sarebbe potuto essere loro riservato all’interno dei confini di quel villaggio. Sempre in conseguenza, e ora in grazia, della propria stessa fama, delle numerose chiacchiere esistenti attorno al proprio nome, sua volontà, e speranza, in simile condotta, era infatti quella di poter rendere per gli invasori, per quelle forze schierate in offesa del fronte da lei protetto, complessa qualsiasi ipotesi nel merito di quanto ella potesse aver avuto o meno successo nell’organizzare un’eventuale armata a protezione di quello stesso villaggio, magari prendendo semplici contadini e artigiani, e miracolosamente trasformandoli in terribili guerrieri assetati di sangue: un’assurdità del tutto priva di ogni possibilità di fondamento, dal momento in cui, supponendo, e pur non concedendo, che mai avesse voluto procedere in una simile direzione, ella avrebbe avuto necessità di mesi, anni, addirittura, per formare non degli inarrestabili combattenti, ma, quantomeno, un gruppo capace di riservarsi una benché minima speranza di sopravvivenza, innanzi al dubbio della quale un uomo esperto come El’Abeb, sicuramente, non sarebbe potuto mai potuto essere partecipe, e che, ciò nonostante, avrebbe pur potuto diffondersi, in maniera conscia o inconscia, fra le menti dei suoi compagni d’arme, donando in ciò una posizione di beneficio per colei che, malgrado ogni ambiguità creata a simile proposito, sarebbe comunque rimasta sola innanzi a loro.

« Avanti, ragazzoni. Non fatemi aspettare troppo. » li spronò, umettandosi le labbra con fare addirittura vorace, quasi fosse un’affamata posta a distanza incredibilmente breve, e pur ancora forzatamente mantenuta, da un succulento banchetto, a sé tanto prossimo da permetterle di poterne gustare i profumi, le fragranze, e pur ancora sì lontano da non concederle possibilità di allungare le proprie mani a coglierne la sostanza.

Malgrado l’auspicio esplicitamente caratterizzante la sua scherzosa invocazione, allora pronunciata senza malizia o discriminazione alcuna nella scelta di interlocutori maschili anche dove già aveva avuto occasione di cogliere, prima, nella composizione del gruppo che aveva aggredito B’Reluc e, in quello stesso momento, nelle tonalità delle voci protagoniste di quelle grida di dolore e pena, allo sguardo della Figlia di Marr’Mahew non si presentò, per prima, una figura classificabile quale quella di un ragazzone, quanto, piuttosto, quella di una giovane donna, dalla carnagione olivastra, conducente seco una lunga sciabola e un leggero scudo rotondo.
Emersa illesa dalla selva alle proprie spalle, la seguace di El’Abeb si arrestò di colpo, non senza malcelato stupore, nel confronto con l’immagine a lei offerta da quel villaggio apparentemente immerso nel sonno e, in ciò, del tutto priva di qualsiasi evidente linea difensiva, quale quella che aveva altresì già dato per certo sarebbe stata costretta affrontare al termine di quel tutt’altro che sereno arrancare attraverso una boscaglia troppo carica di trappole. In tal frangente, impossibile fu per la donna guerriero definire immediatamente in quale misura le sue reazioni avrebbero dovuto essere giudicate quali conseguenze del genere sessuale della propria candidata vittima o, piuttosto, dall’espressione dipinta sul volto stesso dell’olocausto in tal modo a lei proposto da un fato chiaramente impietoso, ove, in verità, mai ella si era concessa occasione di frenare i propri colpi innanzi a un’avversaria per una di tali ragioni: ciò che, tuttavia, accadde di certo, fu un fuggevole istante di incertezza, di indecisione all’idea di condurre a termine il proprio attacco a suo discapito così come già da lungo pianificato, non qual conseguenza di una qualsivoglia improvvisamente rinnegato appetito di guerra, là dove ancora e sinceramente desiderava impegnarsi in una battaglia, quanto, piuttosto, per qualcosa di diverso.
Solo dopo un lungo, lunghissimo attimo, qual a lei necessariamente apparve nell’inevitabile concitazione imposta dalla propria stessa adrenalina, sebbene sostanzialmente scandito da non più di uno o due battiti di ciglia, Midda riuscì a raggiungere chiarezza nel merito delle proprie stesse emozioni, comprendendo come quell’inatteso freno sarebbe allora dovuto essere giudicato qual conseguenza della consapevolezza a lei concessa sul luogo d’origine di quella figura femminile, di quella predatrice lì giunta animata necessariamente dalle peggiori intenzioni, al di là di quanto i suoi grandi occhi castani dall’aria incerta avrebbero potuto lasciar supporre. Origine non da ricercarsi, in verità, nella reale terra natia di quell’avversaria, a lei in quel contesto del tutto ignota e inintelligibile, quanto, piuttosto, nello stesso Cratere nel quale anch’ella aveva avuto modo di trascorrere una parte della propria esistenza, per un tempo estremamente breve e pur sufficiente a farle disapprovare quell’intero, assurdo paradosso di vita, e, in ciò, persino tale da non farle, scioccamente, accettare che quella figura, probabilmente comunque pericolosa nella propria personale proposta, fosse da considerarsi per lei realmente una nemica e non, piuttosto, una specie di antica camerata, compagna mai conosciuta di un’eguale, spiacevole prigionia.

« Avanti, stupida sentimentale. Vai a guadagnarti la pagnotta quotidiana… » si incalzò, storcendo le labbra verso il basso e, in quelle stesse parole, comandando a tutto il proprio corpo, a tutte le proprie membra, di rianimarsi, conducendola al di fuori dell’angusto rifugio nel quale aveva trovato ospitalità in quelle ultime ore, al fine di aprire le danze con quella propria, prima, controparte, per lei accuratamente selezionata dall’imprevedibile sorte.

sabato 22 gennaio 2011

1102


« S
ei stata incredibilmente, maledettamente stupida. »

Un rimprovero, quello sul quale insistette con tanta veemenza, che, in quel frangente, volle concedersi addirittura possibilità di espressione verbale, la prima dopo un'estenuante monologo silenzioso, nel mentre in cui ella storse le labbra verso il basso, quasi a sottolineare in maniera ancor più esplicita, chiara e definita, la propria totale assenza di soddisfazione per l'allora dimostrata ingenuità nel confronto con El'Abeb, meno stolido di quanto, nonostante tutto, lo aveva comunque ed evidentemente considerato all'idea di un attacco immediato, nel cuore della notte. Il suo avversario, infatti, non riservandosi il medesimo errore di sottostima da lei compiuto, doveva aver ampiamente previsto come ella stessa avrebbe impostato la propria condotta difensiva allo scopo di arginare l'eventualità di un'incursione notturna, schierandosi, così come effettivamente era stato fatto, a sorveglianza diretta, a personale custodia, dell'intera area del villaggio, in una scelta tale da riservargli la ghiotta, e irrinunciabile, occasione di lasciarla spendere vanamente le proprie energie, le proprie forze, la propria concentrazione in una subdola lotta contro lo scorrere del tempo e il freddo umido della notte estiva urashiana, in conseguenza del quale la donna si sarebbe, e si era, ritrovata a essere decisamente indebolita, forse non al punto tale da negare loro ogni pericolo nel confronto con la medesima, ma in maniera più che sufficiente da giudicare interessante l'ipotesi di dar luogo al proprio assalto prima dell'alba, allo scopo di approfittare del vantaggio in tal modo riservatosi. In simile scelta, Midda fu costretta a convenire, El'Abeb aveva dimostrato anche, ulteriore e indubbia astuzia nello scegliere proprio quello in questione quale arco temporale utile alla propria offensiva. Nell'ipotesi, non arbitrariamente eludibile, in cui ella avesse organizzato i villici in difesa delle proprie case, della propria terra, così come pur non aveva voluto compiere nel desiderare gestire quella situazione quale un proprio incarico in tutto e per tutto, la maggior parte di coloro così teoricamente coinvolti e impiegati nella sorveglianza notturna si sarebbero necessariamente dimostrati affaticati e distratti suo pari, se non, addirittura, peggio, nel mentre in cui tutti gli altri, pur lasciati a riposo, quali forze supplementari, non avrebbero potuto proporsi già svegli, e pronti, in ciò, a offrire comunque loro possibilità di contrasto.
Malgrado la pur umana irritazione per l'errore da sé compiuto, e tale da costarle anche troppo in termini di lucidità e prestanza fisica, al semplice sentore dell'imminente battaglia la donna guerriero non poté evitare di godere, in senso metaforico e fisico, del, per lei, meraviglioso, irrinunciabile, retrogusto dell'adrenalina immessa violentemente in circolo nel suo corpo, a risvegliare le sue membra e a comandare loro di prepararsi alla guerra, proponendosi non diversamente dal lugubre suono di un corno, dall'allegro rullio di un tamburo o dall'incalzante squillo di una tromba innanzi alle componenti di un vasto esercito. In grazia di tutto ciò, la Figlia di Marr'Mahew non poté evitare di aprirsi in un ampio e sincero sorriso, improvvisamente dimentica di ogni altro sentimento, di ogni altra emozione, nel contrasto a se stessa e alle proprie colpe, nel timore innanzi al proprio nemico o nella nostalgia al pensiero del proprio amato, e, altresì, focalizzata, con la propria mente, con il proprio cuore e con la propria intera anima, sulla sola, semplice e, per lei, affascinante idea della sfida primordiale che lì le sarebbe stata allora concessa dal fato.

« Che i giuochi abbiano inizio! » asserì con trasparente entusiasmo, non solo nelle proprie parole, non solo nella propria voce, ma, ancor più, sul proprio volto, improvvisamente divenuto, nella consapevolezza dell'imminenza ormai inderogabile di quel conflitto, simile a quello di un'infante a lungo scontentata nei propri capricci, e nelle proprie bramosie, dai divieti dei propri genitori e, poi, inaspettatamente resa destinataria di un non sperato, e pur tanto desiderato, dono.

E i giuochi, così come da lei in quelle parole considerati, ebbero immediatamente inizio, in un alto gemito di dolore, un grido straziato proveniente dai dintorni del villaggio, dalla selva lì circostante, volto a segnalare quanto, dopotutto, anche le armate di El'Abeb, per quanto si fossero riservate un forte margine di vantaggio con quella prima, azzeccata scelta strategica, avessero da considerarsi, necessariamente e irrinunciabilmente, umane e, in ciò, fallibili: fallibili abbastanza, per lo meno, da potersi proporre quali vittime delle numerose trappole che la non completamente inesperta Midda Bontor si era impegnata a realizzare nel corso dell'intero pomeriggio precedente, con l'allora sì ricercata, e adeguatamente ed economicamente riconosciuta, in termini di riduzione della propria ricompensa pattuita, collaborazione degli autoctoni.
Per quanto, infatti, in un contesto quale quello della propria assunzione per un incarico volto, oltre alla tutela del tesoro di Urashia, anche alla salvaguardia del villaggio e dei suoi abitanti, quali dopotutto erano i termini dell'impegno da lei concordato con i propri mecenati lì presenti, ella non avrebbe potuto accettare l'idea di tollerare da alcuno fra loro un qualsivoglia intervento attivo all'interno della battaglia, fatta eccezione, ovviamente, per l'eventualità in cui ella fosse caduta, tale da rendere non solo necessario, ma addirittura obbligatorio, per tutti loro iniziare a combattere a tutela delle proprie stesse vite, parallelamente ella non avrebbe potuto riservarsi problema alcuno al pensiero di servirsi del loro contributo, della loro assistenza, per questioni di natura esterna al concreto combattimento, e pur, ancora, completamente inquadrate all'interno di quel comune contesto bellico, come sarebbe potuto essere, ed era effettivamente stato, l'aiuto da lei richiesto e ottenuto della costruzione e distribuzione di quelle sorprese, prevedibilmente spiacevoli, dedicate ai loro stessi avversari. Collaborazione che, per onestà intellettuale, ella stessa si era intestardita a ufficializzare con una sostanziosa riduzione del proprio onorario, così come inizialmente stabilito, malgrado le proteste di T'Rereh e con il prevedibile, e pur allora sincero, plauso del podestà, forse sconfitto nel contrasto alla mercenaria dalla volontà dei propri compaesani e, ciò nonostante, desideroso di riuscire a contenere, in un modo o nell'altro, qualsivoglia richiesta da parte della medesima.

« Le tagliole fanno male. » osservò ella, supponendo come quel primo risultato fosse da imputare all'azione di una delle numerose e infide lame accuratamente nascoste nel sottobosco, in quell'immoto, e irremovibile, manto multicolore composto da foglie cadute ormai da oltre due stagioni, rami secchi egualmente precipitati nel corso del tempo, frutti marci, insetti e piccoli animali morti e molto altro ancora, che caratterizzava la macchia lì circostante al pari delle foreste di ogni zona del continente e di ogni continente noto.

Non solo tagliole, comunque, erano state preposte a salvaguardia della sicurezza di quell'area e, in particolare, della zona della boscaglia, in quella via nella quale sarebbe stato più semplice e, ipoteticamente, sicuro, per qualsiasi attaccante, muovere i propri passi in direzione del villaggio, lontano dalla possibilità di essere visto e, in ciò, di poter dar vita, con la propria semplice presenza, ad allarmi di sorta: dell'esistenza di altre trappole lì accuratamente celate, di tale, dolorosa verità, ben presto nuovi elementi dell'ancor invisibile esercito nemico ebbero occasione di maturare coscienza, così come la donna dagli occhi color ghiaccio, quieta testimone di quegli sviluppi, ebbe ragione di apprezzare in diverse nuove imprecazioni e urla che irruppero nell'ormai conclusa notte, a dimostrazione dell'efficacia degli espedienti li accuratamente preposti e, soprattutto, dell'assenza di entusiasmo per la loro stessa presenza da parte di coloro che, per mezzo di essi, da carnefici furono trasformati in vittime.

« In effetti anche i cappi di canapa e le picche di legno non hanno da essere considerati propriamente piacevoli. Così come le buche: in uno di quei trabocchetti stavo per rimetterci l'osso del collo io stessa. » riconobbe con onestà, sebbene non mancò di mostrarsi un sorriso divertito sul suo viso, in reazione pensiero dei volti attoniti dei propri ancor non conosciuti avversari nell'essersi similmente ritrovati a confronto con qualcosa di evidentemente non previsto nella loro pur accurata pianificazione, nella loro pur tutt'altro che sciocca o avventata tattica in suo contrasto.

Un sollazzo, quello allora proprio della mercenaria, che, al di là di quanto sarebbe potuto apparire a un eventuale spettatore imparziale, non avrebbe dovuto essere banalmente giudicato qual derivante da uno spirito particolarmente sadico per lei caratterizzante, ove, in contrasto a quei disgraziati, ella non avrebbe potuto affermare alcuna pretesa, alcuna ragione personale esterna al contesto derivante dal proprio stesso incarico mercenario, quanto, piuttosto, quale semplicemente conseguente a una meno malevola emozione di rivalsa in tal modo ottenuta in replica all'umiliazione precedentemente impostale dal successo da loro, sino a quel momento, comunque ottenuto.

venerdì 21 gennaio 2011

1101


A
lcuna risposta, esplicita o implicita, le venne allora riservata, né sarebbe potuta esserle offerta, da qualsivoglia interlocutore, non tanto in conseguenza dell’assoluta e pur oggettiva mancanza di controparti alle quali ella avrebbe potuto rivolgersi in quel particolare contesto, quanto, ancor più, per l’inalterato silenzio che caratterizzo la formulazione di quella stessa questione da parte sua. Ovviamente la donna non si era similmente espressa, o, nel dettaglio, non aveva similmente mancato di esprimersi, nella ricerca di un’eventuale rivelazione nel merito di tale verità: tuttavia, avendone la possibilità, ella avrebbe sicuramente gradito l’idea di poter ricevere, dal proprio subconscio, dal proprio inconscio, o dalla propria sempre laconica dea, una qualche spiegazione nel merito dei propri stessi sentimenti, delle emozioni da lei allora provate e con le quali stava avendo tanta difficoltà a stabilire una qualsivoglia relazione.
In tale frangente, colei così terribilmente confidente con la morte e, al contempo, tanto apparentemente ignara nei confronti della vita e dei suoi meccanismi, non poté quindi evitare di spingere il proprio pensiero alla figura di Ras’Jehr, quella giovane donna in assenza dell’esempio della quale mai Midda avrebbe probabilmente deciso di porsi in tal modo in giuoco con Be’Sihl e, ancor più, con se stessa, nel tentare di esplorare quell’ultima frontiera della propria esistenza, dalla quale, da molti anni, si era pacificamente ritratta. Che ella provasse un forte sentimento per il proprio compagno avrebbe dovuto essere considerato fuori da ogni possibilità di dubbio; che tale emozione potesse essere definita con un termine sì inflazionato, nel proprio uso e abuso, qual quello dell’amore, avrebbe probabilmente dovuto essere egualmente giudicato incontestabile, entro i limiti propri della concezione di amore stesso nella loro realtà quotidiana; che insieme, entrambi, stessero vivendo da quasi un anno intero un rapporto incredibilmente appassionato, ricco di complicità e di reciproco e totale dono, avrebbe dovuto essere poi altrettanto ritenuto certo, inoppugnabile, là dove, in ogni aspetto delle loro esistenze, avrebbero potuto competere con amanti protagonisti di qualsiasi ballata: malgrado tutto ciò, al di là della comprovata felicità che, in quelle ultime stagioni e, soprattutto, in quell’ultimo periodo delle loro vite, ella era riuscita a conquistare insieme a lui, per merito di lui, la Figlia di Marr’Mahew, fedele a tale proprio leggendario nome, sembrava irrazionalmente impossibilitata ad accettare con tranquillità, con serenità, un simile mutamento, una tale novità, per quanto già occorsa, già parte di quel nuovo capitolo della propria esistenza. E, per tutto ciò, ella non avrebbe potuto non solo ovviare al ricordo di Ras’Jehr, di quella figura meravigliosamente emancipata, forte, coraggiosa, libera e consapevole di sé e delle proprie capacità, ma, anche, a un, per lei assolutamente insolito, sentimento d’invidia, per ciò di cui la cugina di Be’Sihl era riuscita tanto semplicemente a realizzare e che, per lei, stava risultando così complesso.
Purtroppo per lei, malgrado quell'emozione di una pur sana invidia, derivante dall'ammirazione e non dal livore, dall'apprezzamento e non dalla malevolenza, ciò non sembrava essere sufficiente ad aiutarla a crescere, a maturare, a migliorarsi nel proprio rapporto con se stessa ancor prima che con chiunque altro, incluso il suo stesso, amato locandiere, e, per questo, lunga e necessariamente tormentata si propose quella notte di forzata solitudine, di obbligato distacco da colui fra le braccia del quale si sarebbe volentieri gettata, dimenticando, in contrasto a ogni proprio principio di vita, persino la propria missione e, con essa, El'Abeb, il tesoro di Urashia e la stessa sorte di quel villaggio.

« Non essere stupida. »

Poche semplici parole, quelle nuovamente scandite e pur non pronunciate, che nel corso di quelle ore divennero per lei simili a una preghiera, nel proprio esser continuamente ripetute, recitate ininterrottamente, nella volontà di imporsi un ritorno alla consueta lucidità, all'abituale freddezza, al proprio naturale distacco dal mondo e da ogni sua dinamica, per gestire quell'intera questione non tanto una lotta in contrasto all'orco El'Abeb per la salvezza propria e del proprio adorato Be'Sihl, quanto, piuttosto e semplicemente, un tranquillo impegno di lavoro, una missione come altre, neppur particolarmente impegnativa se paragonata a imprese straordinarie, quale, prima fra tutte, il recupero della corona della regina Anmel, che avrebbe allora portato a termine con tranquillità e indifferenza, uccidendo chi sarebbe stato necessario uccidere, e cercando di guadagnare dall'intera questione il maggior compenso auspicabile, dal momento in cui niente e nessuno avrebbe dovuto farle scordare di essere lì in quanto mercenaria e, per questo, di dove agire unicamente in funzione dell'ottenimento della propria paga o, ove possibile, del suo incremento.
Ma, nonostante tutto il più sincero impegno allora posto nel comandarsi di non dimostrarsi sciocca, tale ella non poté evitare di iniziare a sentirsi dopo che, nella quiete e in quel consueto caotico silenzio tipico di tal contesto, assicurato dalla presenza di un'infinità varietà di fauna notturna, diverse ore furono trascorse senza alcuna, pur minima, occasione d'allarme per la prevista invasione, quell'offensiva che, forse troppo impetuosamente, troppo ingenuamente, si era attesa prima del sorgere dell'alba. Molti dubbi, in conseguenza di tanta pace tale da sfociare, per lei, in tedio, non mancarono di presentarsi alla sua intima attenzione, suggerendole come, probabilmente, in conseguenza della sua già particolarmente sensibile situazione emotiva, in quel particolare periodo della propria vita, ella avesse impropriamente ingigantito il pericolo rappresentato dal nome di El'Abeb, colui che già aveva irrazionalmente temuto avrebbe potuto dimostrarsi superiore a qualsiasi sfida le fosse mai stata precedentemente offerta dal fato, a qualsiasi avversario ella avesse affrontato in passato, per quanto, altresì, avrebbe dovuto escludere una simile possibilità, fosse solo in virtù della propria esperienza diretta con lo stesso terribile incubo di ogni bambino delle proprie isole, ampiamente dimostratosi ben lontano dal poter essere considerato tale.

« Sei stata stupida. »

Quand'ormai solo poche un paio di ore la separavano dal potersi concedere l'occasione di assistere a una nuova alba, godendo dei primi raggi di sole che sarebbero giunti a riportare la luce in tutte le vaste pianure urashiane, le quali, in grazia di tale semplice e pur sempre meravigliosa azione, sarebbero apparse del tutto equivalenti a sterminati mari vegetali non dissimili da quelli composti di acqua e di salsedine in adorazione dei quali ella era cresciuta, prevedibile e, per questo, ineluttabile, si propose per lei un cambio nella scelta dei pochi vocaboli sino ad allora resi propri, tramutando quello che avrebbe dovuto essere giudicato quale un invito, un consiglio, in una sentenza, una condanna espressa a proprio esplicito discapito. Realmente stolida ella si sentiva nell'aver conservato, e nel conservare ancora, la propria posizione di guardia, con muscoli ormai tremendamente indolenziti, ossa spiacevolmente scricchiolanti, e terminazioni nervose del tutto intorpidite, in un'attesa del tutto vana per un nemico che, evidentemente, al di là delle minacce rivoltelle da colui presentatosi come Trigga, non avrebbe dovuto essere ritenuto così irrefrenabilmente bramoso di vendicare la morte di uno dei propri subalterni, liberarne un altro mantenuto ancora prigioniero e, ancor più, porsi a confronto con lei, così come, troppo banalmente, ella si era illusa sarebbe potuto essere, aveva creduto si sarebbe a lei presentato.
Un verdetto estremamente severo, addirittura impietoso nei propri riguardi, che volle allora essere formulato non tanto in opposizione all'errore di giudizio da lei sì palesemente compiuto, quanto, ancor più, in contrasto alla propria emotività, usualmente assente nell'assolvimento delle proprie numerose missioni, dei propri abituali, e pur mai banali, incarichi, che simile sbaglio le aveva indotto, causato, e che, ella era certa, non sarebbe stato compiuto se solo si fosse concessa un più concreto sforzo rivolto a mantenere il proprio naturale equilibrio interiore, la propria gelida pace intima, permettendole di affrontare tutto ciò nei termini per lei più consueti. Un verdetto che, tuttavia, sembrò fin troppo scialbo, insignificante, nella propria stessa esposizione, e nel valore precedentemente a esso attribuito, nel momento in cui, a meno di un'ora dal ritorno dell'astro maggiore del cielo, quand'ormai le tenebre della notte non avrebbero potuto considerarsi tanto fitte, compatte, come erano state sino a quel momento, l'improvviso annichilimento di qualsiasi naturale melodia per lei sino ad allora sola compagnia, inatteso e pur pericolosamente intellegibile nei propri allarmanti significanti, le fece comprendere di aver decisamente sottovalutato il proprio avversario…