11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

domenica 31 marzo 2019

2866


Nel corso della propria vita, e della propria intensa carriera qual magistrato di uno dei più potenti sistemi di quell’angolo di galassia, a muovere le azioni di Pitra Zafral, a offrire un significato a tutti i suoi gesti e a tutte le sue decisioni, avrebbe avuto a dover essere sempre riconosciuto un profondo rispetto della legge.
A confronto con la propria percezione della realtà, e con essa dell’intero universo a sé circostante, infatti, Pitra Zafral non avrebbe avuto a doversi fraintendere qual animato da una qualche volontà di giustizia fine a se stessa. La giustizia, nella propria stessa idea, nella propria essenza più pura e incontaminata, avrebbe infatti avuto a doversi ricollegare a un qualsivoglia genere di morale e, nel confronto con il suo sguardo, innanzi al suo giudizio, la morale avrebbe avuto a doversi giudicare qual estremamente fallibile, per così come la Storia avrebbe potuto quietamente comprovare nel definire morale un giorno qualcosa che, sino a qualche decennio, prima avrebbe avuto a doversi ritenere altresì immorale, e viceversa. La morale, in tal senso, avrebbe avuto, pertanto, a doversi intendere qual fallibile innanzi al suo sguardo, e, di conseguenza, del tutto inadatta a essere ispiratrice di una qualunque azione, di un qualunque gesto o, peggio ancora, di una qualunque decisione, utile a sancire l’innocenza o la colpevolezza di qualcuno.
Parimenti, benché nei quasi trent’anni qual accusatore al servizio dell’omni-governo di Loicare, Pitra Zafral avesse visto la propria posizione ascendere in importanza e prestigio, divenendo, di buon grado, uno fra gli uomini più potenti e temuti di tutto il vasto dominio proprio di Loicare, e, a tratti, persino confuso, nella propria medesima persona, qual incarnazione stessa di un altrimenti incorporeo omni-governo; egli non avrebbe avuto a dover essere comunque frainteso qual inebriato dal proprio potere, dal proprio prestigio. Al contrario, e in effetti, egli non avrebbe avuto a doversi riconoscere solito neppur ricercare una qualche idea di singolarità, di individualità, per se stesso, preferendo, piuttosto, aversi a dover considerare, e poter essere considerato, qual un mero ingranaggio di un meccanismo molto più grande e molto più complesso di lui: un meccanismo che, di lui, avrebbe potuto fare quietamente a meno, ma del quale egli avrebbe continuato a far parte non senza un certo orgoglio, almeno fino a quando gliene fosse stata concessa l’opportunità, in antitesi a qualunque possibilità di protagonismo.
Non una qualche brama di giustizia, non una qualche brama di gloria, quindi, avrebbe avuto a doversi riconoscere ragione a fondamento del famoso, e giustamente temuto, accusatore Pitra Zafral, quanto e piuttosto, squisitamente, la perfezione propria della legge.
E di quella legge attraverso la quale, ai suoi occhi, l’intera realtà avrebbe avuto a dover essere necessariamente rielaborata, rinunciando a ogni sfumatura di colore o di grigi, per mostrarsi nella sua più intima e pura essenza: o bianca o nera, o in accordo alla legge o in disaccordo alla legge… giusta nel primo caso, sbagliata nel secondo. E laddove qualcosa si fosse proposto in disaccordo alla legge, lì egli sarebbe subentrato, per riportare l’ordine là dove ordine non avrebbe più avuto altrimenti a essere.

Nel proprio viscerale rispetto per la legge, a livelli quasi religiosi, lo zelota Pitra Zafral avrebbe avuto a doversi riconoscere, in verità, anche un ubbidiente esecutore delle volontà dell’omni-governo, giacché, in effetti, proprio dall’omni-governo avrebbe avuto a dipendere la legge e la sua attuazione.
Era stato proprio in ottemperanza a tale ubbidienza nei riguardi della volontà dell’omni-governo di Loicare che egli, in quegli ultimi anni, si era ritrovato impegnato, fra i propri numerosi compiti, anche a tentare di seguire le tracce proprie di un’eccentrica figura femminile: una donna di specie umana, dai modi e dalla lingua quantomeno originali, comparsa per la prima volta innanzi alla sua attenzione quasi quattro anni prima, dopo essere stata posta in arresto con una serie di accuse minori che le erano valse una lieve condanna ai lavori forzati nelle miniere della terza luna di Kritone. E se la storia personale di quella donna si fosse conclusa in tal modo, rispettando la condanna subita e scontandola sino all’ultimo dei giorni prescritti, per Pitra Zafral non vi sarebbe stato ulteriore interesse verso di lei: tuttavia, in totale disprezzo di qualunque legge, dopo poco tempo ella si era sottratta a tale condanna, decidendo di evadere prematuramente in compagnia di altre due improvvisate compagne e complici e, con esse, dileguarsi in latitante clandestinità. Un’evasione, una fuga, la sua, a dir poco provvidenziale per la medesima donna, giacché allor occorsa in tempi utili a non permettere agli accurati controlli da parte dell’omni-governo di Loicare di scoprire maggiori dettagli nel merito della sua effettiva identità e di un’identità che avrebbe avuto a doversi riconoscere qual quella di una più pericolose assassine viventi, con all’attivo un numero si elevato di omicidi da poter offrire quieta competizione a una genocida, se soltanto, per totalizzare simile terrificante risultato, ella non avesse in tal senso agito sempre personalmente, e sempre in offesa a singoli individui, mossa in tal senso per lo più da motivazioni di ordine mercenario allorché da qualunque altro possibile intendimento o interesse personale o, peggio ancora, ideologico.
Per dovere di cronaca, e forse a propria parziale discolpa, Pitra Zafral aveva avuto occasione di interlocuzione diretta con quella donna, con quell’assassina, non più di due sole volte nel corso di quegli ultimi quattro anni. La prima, in particolare, era occorsa in concomitanza al di lei arresto e alla definizione della sua pena, aggravatasi anche in conseguenza a un’aggressione da lei mossa a discapito dello stesso accusatore nel corso del loro colloquio formale: un tempo, quello, antecedente in ciò alla scoperta della sua effettiva fedina penale. La seconda, poi, era avvenuta a distanza di quasi tre anni da quel giorno, quando, dopo lungo peregrinare, egli si era riservato occasione di rincontrarla in quel del sistema di Oh’Shar-An, là dove, dietro diretto ordine dell’omni-governo, aveva teso, in buona sostanza, una vera e propria trappola alla famigerata Midda Namile Bontor, e alle sue compagne di misfatti, al solo scopo di recare loro un’offerta e un’offerta a confronto con la quale, che potessero accogliere tutto ciò con piacere o meno, nessuna fra loro avrebbe potuto tirarsi indietro, pena una severa ritorsione a loro discapito, entro i pur abbondanti limiti definiti dalla legge, per tutte le loro non sconosciute colpe, e, con esse, a discapito anche di tutti i loro amici di quel della Kasta Hamina, un piccolo mercantile di classe libellula a bordo del quale esse vivevano la propria quotidianità quali membri effettivi di quell’eterogeneo equipaggio.
Purtroppo, anche laddove il messaggio non aveva mancato di giungere a destinazione, vedendolo, in tal senso, adempiere al proprio mandato, Pitra Zafral non avrebbe potuto ovviare a un’espressione di sincera disapprovazione nel giorno in cui si ebbe a ritrovare a confronto con una nuova, e sgradevole, evasione da parte delle sue supposte prigioniere e, con esse, della loro intera prigione, qual la stessa Kasta Hamina avrebbe avuto a dover essere stata in tal maniera impropriamente eletta: un’evasione, allora, in conseguenza alla quale la stessa nave stellare era apparentemente scomparsa da ogni loro scansione sensoriale, prima che, comunque, l’impositivo patto loro concesso fosse stato rispettato, nella consegna di un individuo di nome Reel Bannihil, un individuo la consegna del quale, a confronto con gli interessi dell’omni-governo, avrebbe avuto a valere l’assoluzione della stessa Midda Bontor e di tutti i suoi complici. Una disapprovazione, quella propria dell’accusatore, non soltanto innanzi all’evidente mancanza di rispetto da parte della stessa Midda Bontor, ma anche, e ancor più, nel confronto con l’intrigo politico del quale, forse tardivamente, aveva maturato coscienza essersi ritrovato partecipe, in termini che avrebbero avuto a doversi riconoscere pericolosamente sfumati sul confine di quella sua idolatria per la legge e della conseguente ubbidienza verso l’omni-governo.
Ma se, dal canto proprio, l’omni-governo doveva aver compreso d’essersi spinto in maniera impropria nell’impiego di una delle proprie più importanti risorse, in termini tali da riassegnare lo stesso accusatore ad altri incarichi, chiedendogli di dimenticare la questione di Midda Bontor e Reel Bannihil; un’altra parte in causa non avrebbe avuto a doversi riconoscere adeguatamente calata all’interno delle dinamiche politiche di Loicare per essere informata a tal riguardo, e per, in tal senso, avere consapevolezza di quanto, ormai, Pitra Zafral non avrebbe più avuto a vantare alcun interesse nei propri riguardi.

Fu così che, all’alba di un nuovo giorno, quando l’accusatore Pitra Zafral ebbe a risvegliarsi entro i quieti confini del proprio appartamento, e di quell’appartamento in cui viveva solo, non avendo mai amato null’altro al di fuori della legge, e solo alla legge avendo votato la propria esistenza, egli non ebbe a scoprirsi solo come avrebbe dovuto essere. Giacché, ai piedi del suo letto, comodamente accomodata su una seggiola, con le gambe quietamente appoggiate alla pediera del letto e le braccia incrociate al petto, avrebbe lì avuto a potersi apprezzare l’inattesa figura propria di una donna… e non di una donna qualsiasi.
Figura matura, con un’età presumibilmente prossima ai quarantacinque anni, ella avrebbe potuto vantare un corpo contraddistinto da una straordinaria forma fisica, e una forma fisica non conseguente a una banale frequentazione di qualche palestra, quanto e piuttosto a una vita intera trascorsa a combattere, e a combattere per la propria stessa sopravvivenza. Una vita non facile, la sua, che non aveva mancato di lasciare i propri segni sul suo corpo, fra i quali, i più evidenti, avrebbero avuto a riconoscersi qual una lunga cicatrice perpendicolare al suo occhio sinistro, uno sfregio quasi imperdonabile su un viso altrimenti squisito nella propria amabile fattura, e la completa perdita del suo braccio destro, lì sostituito da una protesi in chiaro metallo cromato dai lucenti riflessi. Ma, al di là di tali prime caratteristiche volte a non celare la sua indole guerriera, che avrebbero avuto a doversi poi parimenti accompagnare da una lunga e variegata collezione di altre cicatrici su tutto il proprio corpo, tale corpo squisitamente femminile, e quella donna più in generale, non avrebbero avuto a doversi confondere qual prive di una propria intrinseca beltà e, forse e ancor più, di un proprio fascino. I suoi occhi, azzurri come il ghiaccio, risplendevano lucenti al centro di un volto amabilmente ovale, dalla chiara pelle spruzzata di lentiggini, contraddistinto anche da un sottile naso e da rosee e carnose labbra al di sopra di un irriverente mento ornato, nel suo mezzo, da una piccola e ribelle fossetta. Attorno a ciò, una corta zazzera color del fuoco non avrebbe potuto mancare di evidenziare quanto, rispetto al loro precedente incontro, ella dovesse aver evidentemente deciso di rinunciare a quel corto, cortissimo taglio quasi militaresco, in favore, forse, del ritorno alla propria capigliatura originale, e a quella capigliatura con la quale, quattro anni prima, l’aveva incontrata, pur all’epoca ancora tinta in tonalità nere corvine, in termini ben distanti dal rosso vivace lì sfoggiato e, comunque, non meno appropriato a contorno di quell’immagine. E se già, in tutto ciò, la femminilità di quella figura non fosse stata adeguatamente apprezzata, a completamento di tutto ciò non avrebbe avuto a dover mancare il resto della sua figura, e di quella figura atletica e, al contempo, tutt’altro che longilinea, nell’aver a vantare, al contrario, forme apprezzabilmente piene nelle proprie proporzioni, con particolare attenzione, invero, ai suoi fianchi e ai suoi seni, questi ultimi sì marcati, sì generosi, da risultare, a tratti, persino eccessivi nella propria abbondanza.
Una donna affascinante, Midda Namile Bontor, che pur non facendo mistero della propria non più fanciullesca età, non avrebbe certamente sfigurato a confronto con alternative più giovani, e forse e persino più belle, rispetto a lei… e una donna che, in quel momento, lo stava osservando dai piedi del proprio letto.

sabato 30 marzo 2019

2865


« Qualcuno chiami il dottore… presto! »

Il risveglio di Midda a bordo della Kasta Hamina, il suo ritorno alla realtà, non si ebbe, purtroppo, a discostare in maniera particolarmente marcata da quello che avrebbe potuto vantare di ricordare di aver già sperimentato nell’altro mondo, quando, ancora inconsapevole di aver a doversi considerare qual Maddie, ella si era risvegliata su un letto d’ospedale, scoprendosi, proprio malgrado, immobilizzata all’interno del proprio stesso corpo, qual conseguenza di trentatré anni di coma.
Se, infatti, nove mesi non avrebbero avuto a potersi neppur lontanamente porre in paragone a trentatré anni, quegli stessi nove mesi trascorsi inconsapevolmente intrappolata all’interno della propria stessa mente, in uno stato di fondamentale coma, non avrebbero avuto a doversi considerare privi di conseguenze per il suo pur perfetto stato fisico, per quel corpo forgiato da decenni di costante allenamento e temprato nel fuoco di troppe battaglie per poter sperare di essere anche e soltanto ipoteticamente stimate nel proprio numero. Il suo corpo, costretto a tale immobilità, alimentato a forza, non avrebbe potuto ovviare a perdere, purtroppo, parte della propria tonicità, del proprio straordinario vigore, nell’intorpidimento, nell’atrofizzazione di quei muscoli che, allora come nell’altra realtà, avrebbero quindi avuto a dover essere necessariamente rieducati al movimento, attraverso un nuovo, e non privo di frustrazioni, processo di fisioterapia.
Così, riaprendo i propri meravigliosi occhi color ghiaccio e volgendo il proprio sguardo all’interno della piccola infermeria della nave mercantile di classe libellula, Midda Namile Bontor si ritrovò a essere appena capace di esprimere parola, con una voce bassa, parole appena udibili, e che pur, nel momento in cui la sua vista ebbe a porsi a confronto da un lato con il suo amato Be’Sihl, e dall’altro con il volto di Reel Bannihil, dietro il quale, tuttavia, avrebbe avuto a doversi ricordare sussistere la mente di Desmair, non mancò di volersi impegnare a concedere un commento, e un commento che, mai come in quel momento, avrebbe avuto a doversi considerare scaturire dal profondo del suo cuore…

« Lu… lurido fi… glio di una… grandis… sima cagna… » sussurrò, o forse e piuttosto ringhiò, in direzione di quel volto che pur, in quelli che per lei erano stati più di due anni, aveva imparato ad amare come quello di Desmond, e che, al contrario, in quella realtà, non avrebbe potuto ovviare a odiare, e a odiare associandolo a quel mai desiderato sposo colpevole, ormai, anche di quell’ultimo, e plateale sgarro, nell’averla intrappolata all’interno della propria mente e nell’averla ridotta, conseguentemente e imperdonabilmente, in quelle oscene condizioni.
« Se credi di offendermi dando della cagna a mia madre, ti sbagli di grosso, moglie cara. » sorrise sornione Desmair, scuotendo appena il capo con fare divertito e volutamente equivocando quell’insulto non qual rivolto a proprio stesso discapito quanto, e piuttosto, a quello di sua madre « Sai bene che, fra tutti i suoi detrattori, proprio io ho da essere ricordato qual il principale… » strizzò l’occhio sinistro con fare complice verso di lei, a evidenziare il proprio più sereno confronto con quelle ultime parole « Comunque mi fa piacere che, al momento del tuo risveglio, il tuo primo pensiero sia stato proprio io: evidentemente il tempo trascorso in compagnia del mio simulacro ti deve aver raddolcita nei miei confronti! » soggiunse infine, suggerendo una certa soddisfazione in tal senso.
« Ti… ucciderò… » promise ella, per tutta risposta, in un proposito non propriamente nuovo a suo discapito e nel confronto con il quale, tuttavia, dopo ormai più di dieci anni di matrimonio, non era ancora stata in grado di mantenere fede, non trovando occasione utile a ucciderlo, e a ucciderlo in maniera definitiva.

Stringendosi fra le spalle, a minimizzare la minaccia così da lei offertagli, Desmair ebbe allora a tirarsi all’indietro, per uscire dal suo campo visivo e lasciare, in tal senso, spazio di manovra al sopraggiunto dottor Roro Ce’Shenn, il medico di bordo della Kasta Hamina, lì appena entrato nella propria infermeria a seguito del richiamo di Rula Taliqua.
Rula, al pari di tutti gli altri membri dell’equipaggio della Kasta Hamina, avrebbe avuto infatti a riconoscersi lì impegnata nello scrupoloso rispetto di un ordinato piano di ripartizione dei turni di sorveglianza in infermeria, turni che avevano avuto inizio sin dal momento in cui Desmair aveva posto piede a bordo come non-poi-così-gradito ospite, e Be’Sihl si era a sua volta addormentato su una branda predisposta accanto al giaciglio della propria amata, animato dalla volontà, in tal senso, di riuscire a riportarla indietro. Purtroppo per Be’Sihl, e per tutti loro, avrebbero dovuto essere considerati già trascorsi dieci giorni dal momento in cui quella bizzarra missione di recupero aveva avuto inizio e, francamente, non pochi avrebbero avuto a doversi considerare i timori sulla riuscita della stessa, in termini tali per cui, ovviamente, il capitano Lange Rolamo, insieme alla propria ex-moglie nonché comproprietaria della nave e primo ufficiale, Duva Nebiria, aveva già iniziato a prendere in esame un possibile piano d’emergenza, e un piano d’emergenza che, allora, avrebbe dovuto veder Desmair, primo responsabile per tutto quello, catapultato nel vuoto siderale: in tal maniera, anche laddove la sua supposta immortalità gli avrebbe consentito di risorgere, il gelo dello spazio, l’assenza d’aria, e tutto il resto, avrebbe potuto provvedere a reimporgli pressoché immediata occasione di nuova morte, speranzosamente condannandolo in tal modo a un’eterna agonia e, soprattutto, liberando definitivamente il Creato dalla sua incomoda presenza.
Fortunatamente per tutti, per Midda e Be’Sihl, innanzitutto, ma anche per l’inconsapevole Desmair, il quale non avrebbe potuto probabilmente attendersi tanta solidarietà da parte dei compagni di equipaggio della propria mal sopportata moglie nei confronti della medesima al punto tale da spingerli, eventualmente, a una tanto radicale, quanto vendicativa soluzione, la messa in atto di quel piano non ebbe a dover essere posta in essere… non, quantomeno, nel risveglio della medesima Figlia di Marr’Mahew.

« Bentornata fra noi, figliuola… » sorrise l’anziano Roro, appropinquandosi alla propria paziente allo scopo di verificarne le condizioni fisiche « Spero che tu sia consapevole di aver fatto preoccupare un bel po’ di gente con questa tua ultima trovata. » puntualizzò, avvicinandosi al volto di lei per poter osservare da vicino i suoi occhi e la reattività di questi ultimi.
« La cosa… mi è sfuggita… di mano… » argomentò per tutta risposta ella, provando a scuotere il capo e, proprio malgrado, dimostrandosi soltanto in grado di farlo fremere appena « … Thyres… » sussurrò, non priva di una certa frustrazione, nel porsi perfettamente consapevole di quanto difficile sarebbe stato per lei riuscire a riprendersi da tutto quello, avendolo purtroppo già sperimentato nelle vesti di Maddie.
« L’eufemismo del secolo! » esclamò la voce di Duva, nel mentre in cui ella, insieme a Lys’sh, a Ragazzo, e al capitano, facevano capolino sulla porta dell’infermeria, senza entrare, viste le dimensioni contenute di quello spazio, e pur lì desiderosi di assicurarsi dell’effettivo stato di salute della loro amica, e di quell’amica sul sonno della quale per così tanto tempo avevano tutti vegliato.
« Bontor… » l’apostrofò la voce di Lange, severa come sovente nei suoi riguardi « … la invito a ricordarsi che questa nave e il suo equipaggio non sono qui al solo scopo di supportare ogni sua bravata. » la rimproverò, come prima cosa, con il tono di chi si doveva essere preparato quella frase già da molto tempo, probabilmente almeno nove mesi « Quindi la prossima volta che le viene in mente un’idea tanto stupida, si faccia e ci faccia il favore di tirarsi uno schiaffo da sola e di lasciar perdere! » soggiunse poi, dimostrando, comunque, a modo suo dell’affetto nei riguardi della propria interlocutrice, fosse anche e soltanto nell’ovviare a minacciarla di buttarla fuori dalla nave e, anzi, a margine di quella particolare formulazione della frase, nell’intendere quietamente all’eventualità di una prossima occasione di errore da parte sua.

Eccoli… tutti lì. Chi davanti alla porta, chi oltre il suo raggio visivo per così come delimitato da quella soglia nell’impossibilità di potersi affollare in misura superiore a quanto già non stessero facendo: la sua famiglia.
Quegli uomini e quelle donne, umani e non, avevano atteso con pazienza per nove mesi il suo risveglio. Si erano arrabbiati, si erano spaventati, si erano preoccupati, e, ciò non di meno, non avevano mai smesso di aver fede in lei e nell’idea che, presto o tardi, si sarebbe ripresa, tornando a offrirsi loro come sempre. Qualcuno, in tal senso, avrebbe probabilmente dovuto già riconoscersi qual pronto a reimmergersi nei guai, al suo fianco, nell’affrontare qualche nuova sfida, nel porsi a confronto con tutti quei problemi che, sicuramente, la stavano lì già attendendo. Qualcun altro, al contrario, avrebbe sicuramente dovuto già riconoscersi qual pronto a tentare di frenarla, di impedirle di compiere nuove sciocchezze, nel confronto palese con l’entità smisurata dell’ultima da lei compiuta, il prezzo della quale era stato sin troppo a lungo pagato da tutti loro. Qualcuno l’avrebbe certamente acclamata. Qualcun altro l’avrebbe parimenti rimproverata. Ma, in una tale varietà di emozioni e di propositi, un fattore comune avrebbe avuto a doversi riconoscere qual veritiero: i mesi, gli anni che lei e Be’Sihl avevano avuto occasione di trascorrere a bordo di quella nave, crescendo un po’ alla volta, giorno dopo giorno, in quella nuova e più amplia visione della realtà rispetto a quella che avrebbero potuto vantare nel loro mondo natio, aveva visto generarsi dei legami, dei legami di affetto, dei legami di fiducia, tanto forti da arrivare a prevaricare gli interessi del singolo in virtù di quelli di quella piccola, grande famiglia. E così, il successo dell’uno sarebbe divenuto necessariamente il trionfo di tutti, nel mentre, in termini non dissimili e squisitamente costruttivi, in cui il fallimento dell’uno sarebbe stato distribuito sull’intero gruppo, trovando, in quella comune energia, in quella forza collettiva, lo sprone a riprovarci, a riprendersi.
Eccoli… tutti lì: la sua famiglia. L’ultima incarnazione della sua famiglia, laddove non avrebbero avuto a dover essere dimenticati altri compagni, altri amici che, in quel momento, non potevano essere lì accanto a lei e che, pur, probabilmente, avrebbero ben volentieri condiviso, con lei, tutto quello: Carsa, Howe, Be’Wahr, Seem, gli amici della Jol’Ange… forse, e persino, El’Abeb, e molti altri ancora. Tutti loro, e molti altri ancora, erano e sempre sarebbero rimasti la sua famiglia.
Tutti loro. Tutti loro avrebbero avuto a riconoscersi qual quella stessa famiglia il sogno della quale aveva rincorso nelle vesti di Maddie, rimpiangendo, in cuor suo, il padre, la madre e la sorella che, ancora decenne, ella aveva abbandonato, dalla quale era fuggita nel cuore della notte, per inseguire i propri sogni, per ricercare le proprie avventure, prima per le vie dei mari, poi per quelle della terra e, ormai, addirittura per quelle dei cieli. E, accanto a tutti loro, Midda avrebbe sempre avuto una famiglia.

« … che stupida… che sono stata… » sussurrò flebilmente in un lieve sorriso, nel contempo in cui una calda lacrima di gioia non mancò di accarezzarle il viso.

venerdì 29 marzo 2019

2864


In questo, allo stesso modo in cui egli l’aveva pocanzi invitata, e invitata ripetutamente, a non esprimere giudizi a suo discapito non ponendosi nella posizione utile per farlo, avendo ella compiuto scelte non meno discutibili; così, in quel momento lo stesso Be’Sihl non avrebbe potuto, in fede, ritrovarsi a esprimere giudizio, o peggio ancora condanna, a discapito della donna da lui amata per quanto da lei compiuto, a sua volta non ponendosi nella posizione utile per farlo. Giacché se pur colpevole ella avrebbe potuto essere riconosciuta, parimenti non innocente egli avrebbe avuto a doversi in fede considerare.

« Non è necessario che tu abbia a scusarti… » scosse il capo egli, escludendo pertanto una simile necessità, non nel minimizzare il valore di quel tentativo di riappacificazione, quanto e piuttosto escludendone il bisogno, laddove, ovviamente, ella avrebbe avuto comunque a doversi già riconoscere qual perdonata, in conseguenza al suo stesso impegno al solo scopo di ritrovarla.
« … invece sì! » tentò di obiettare ella, sollevando la propria destra verso di lui, in lucente metallo cromato, a pretendere da parte sua la possibilità di permetterle di esprimere quel rammarico, e quel rammarico che non avrebbe potuto ovviare a risultare ancor più sincero e motivato a confronto proprio con quell’ultima reazione da parte sua, e quella reazione così estranea rispetto al passato, così aliena innanzi a ogni altra situazione a essa assimilabile e, in ciò, volta a sottolineare, a enfatizzare quanto, in quell’ultima occasione, il suo errore avesse avuto a doversi riconoscere di una portata decisamente superiore a qualunque altro, fosse soltanto per l’impatto che, evidentemente, aveva avuto nel confronto con lui.

Prima di poter, tuttavia, insistere ulteriormente nel merito di quell’argomentazione, l’attenzione della donna non poté ovviare a essere attratta dalla sua stessa mano, quella destra che, in maniera istintiva, aveva levato verso di lui, e quella destra che, allora, stava apparendo al suo sguardo non più nelle forme della fragile protesi posseduta da Maddie, quanto e piuttosto nella versione decisamente più vigorosa, potente, combattiva, propria della donna da dieci miliardi di crediti… propria di Midda Namile Bontor.

« Ma cosa…?! » ebbe necessariamente a esclamare, chinando lo sguardo verso il proprio corpo e, in ciò, avendo occasione lì di ritrovarsi posta a confronto non tanto con le forme emaciate che l’avevano accompagnata sin dal proprio risveglio in quel mondo, quanto e piuttosto dalle sensuali curve e dalle frementi membra della Figlia di Marr’Mahew, mostrandosi nuovamente a lei per così come si ricordava essere e come tanto a lungo aveva rimpianto di non aver più possibilità di risultare « … il mio corpo! » sorrise, ineluttabilmente a dir poco commossa per quella miracolosa trasformazione, e una trasformazione che, alla luce di quanto scoperto, non avrebbe avuto a doverla sorprendere, e che pur non mancò di fare, cogliendola impreparata a tutto ciò, e all’occorrenza di tutto ciò proprio in quel particolare momento.
« L’inganno è stato svelato… le mura psichiche della tua prigionia sono state infrante... e, finalmente, stai tornando a considerare te stessa per colei che sei veramente. » spiegò Be’Sihl, il quale, da proprio punto di vista, aveva già avuto occasione, in quegli ultimi minuti, di maturare coscienza di quanto stava accadendo, e di rallegrarsene, nell’evidenza di quanto, forse inconsciamente, ella avesse quindi compiuto la propria scelta, e una scelta volta a non rinunciare alla realtà in nome di quello strano miraggio « E’ tempo di svegliarsi, amore mio… è tempo di tornare a casa. E, questa volta, per davvero. »

Midda Namile Bontor: la Figlia di Marr’Mahew, l’Ucciditrice di Dei, la Campionessa di Kriarya, la donna da dieci miliardi di crediti. Colei che, per troppo tempo, aveva creduto essere soltanto il frutto delle proprie fantasie, ora, ella era tornata a essere, riassumendo le proprie sembianze, ritrovando le proprie fattezze e, soprattutto, ritrovando il proprio amato compagno, il proprio migliore amico, il proprio più fedele complice, il proprio più fidato consigliere, Be’Sihl Ahvn-Qa.
Il mondo che aveva temuto di aver perduto, quindi, la stava attendendo. Tagae e Liagu, i suoi figli; Duva, Lys’sh e Rula, le sue amiche; la Kasta Hamina e tutti i membri del suo equipaggio, la sua attuale famiglia: tutti loro erano là fuori, fuori dai confini della sua mente, entro i quali ella si era ritrovata intrappolata per troppo tempo, ad aspettare che ella riaprisse gli occhi, che riportasse la propria attenzione, il proprio sguardo al mondo a sé circostante, e riconquistasse la libertà così estemporaneamente perduta.
Ma se il mondo che aveva temuto di aver perduto, allora, la stava attendendo; il mondo che, al contrario, si era illusa di aver ritrovato, di aver riconquistato, sarebbe così andato purtroppo perduto. Nóirín, sua sorella; Jules, suo padre; Jacqueline, la sua amica; e con essi ogni altra persona che, almeno dal proprio punto di vista, aveva imparato a conoscere e ad amare in quegli ultimi due anni: tutto loro sarebbero andati perduti, tanto fugaci quanto effimeri interpreti di un sogno di serenità al quale, evidentemente, ella non avrebbe potuto avere diritto, nei confronti del quale, chiaramente, ella non avrebbe potuto avanzare alcuna pretesa.
E per quanto essere Midda Bontor avrebbe avuto a riconoscersi, per lei, la propria reale natura, la propria più vera e completa forma; una parte del suo cuore, in quel momento, non avrebbe potuto ovviare a disperarsi all’idea di non poter più essere Madailéin Mont-d'Orb: una donna insicura, indubbiamente, ricca di paure e timori, assolutamente, e, pur, malgrado tutto ciò, una donna che avrebbe potuto vantare di fondare tutta la propria forza, tutto il proprio potere sull’amore della propria famiglia, e di quella famiglia dalla quale, come Midda, aveva commesso l’errore infantile di rifuggire, in nome della propria autodeterminazione, della propria libertà. Un errore infantile, il suo, che, purtroppo e drammaticamente, aveva reiterato nel corso del tempo, nel passare degli anni, finanche, ultima e non meno grave occasione, quando, nel rendere proprio l’improbabile compito di fermare la regina Anmel Mal Toise, ella aveva così scelto di partire per un viaggio potenzialmente di sola andata, e un viaggio che, sulle ali della fenice, l’aveva condotta sino alle stelle e anche oltre: un viaggio, tuttavia, per abbracciare l’occasione del quale aveva ancora una volta abbandonato la propria famiglia, aveva ancora una volta detto addio a suo padre e, peggio, aveva rifiutato alle proprie nipoti, alle due orfane della propria perduta sorella Nissa, l’affetto di una possibile genitrice surrogata, qual, allora, avrebbe dovuto impegnarsi a essere per loro e qual, altresì, non aveva neppure tentato di proporsi.
Non così assurda, non così priva di raziocinio, avrebbe avuto a doversi quindi riconoscere quella brama volta a restare aggrappata al mondo di Maddie, e a quel mondo tutt’altro che perfetto, tutt’altro che ideale, e nel quale ella avrebbe avuto a doversi riconoscere tutt’altro che pienamente realizzata nelle proprie potenzialità, ma, nel quale, comunque, alcun peso, alcuna colpa avrebbe avuto a gravare sul suo cuore, per così come, al contrario, sin troppe avrebbero avuto a riconoscersi entro le più audaci vesti di Midda.
Ma laddove ella, veramente, avesse rinunciato a essere se stessa, per restare lì rinchiusa entro i confini di quel miraggio, in fuga dalla realtà e dalle proprie responsabilità, non avrebbe forse reiterato, ancora una volta, i propri errori passati? Non avrebbe forse agito, ancora una volta, rispondendo egoisticamente soltanto ai propri desideri, ai propri bisogni immediati, senza in ciò prendere in considerazione il vero prezzo che essi avrebbero avuto a pretendere non soltanto da lei, ma anche da tutti coloro a lei circostanti, tanto nell’immediato, quanto e ancor più in futuro? Non avrebbe forse abbandonato, ancora una volta, i suoi cari, la sua famiglia, per rincorrere le proprie fantasie, in misura non così dissimile da come aveva compiuto quando, ancora bambina, aveva deciso di scappare di casa e di imbarcarsi, clandestinamente, a bordo della Fei'Mish?!
Così, non senza la morte nel cuore, non senza il desiderio tanto irrazionale quanto viscerale, di poter incontrare ancora una volta Rín e loro padre, per poterli salutare, per poter dare loro un ultimo abbraccio, un ultimo bacio, ella decise comunque di non esplicitare tale desiderio, simile volontà. E non tanto nella consapevolezza di quanto, pur, nessuno dei due avrebbe avuto a dover essere riconosciuto qual reale, quanto e piuttosto nella disturbante certezza di quanto, posta a confronto con loro, forse non avrebbe trovato la forza per scandire quel doloroso addio.
E così, come già quasi sette lustri prima, Midda decise di allontanarsi in silenzio da quel mondo colmo di serenità, da suo padre, da sua sorella… questa volta, tuttavia, non lasciandosi dominare dal sorriso innocente di una bambina posta innanzi alla speranza propria della realizzazione per suo sogno, quanto e piuttosto con l’amaro pianto di una donna matura, e di una donna tristemente consapevole di quanto, nell’inseguire tale sogno, quella bambina aveva irrimediabilmente perduto.

giovedì 28 marzo 2019

2863


Così, costretta a ingoiare il metaforico rospo, ella non mancò di riservarsi occasione di volgere la propria attenzione verso un altro particolare emerso dalla penultima affermazione dell’amato. E un altro particolare, invero, non meno rilevante rispetto a colui con il quale, allora, egli aveva appena ammesso di essere dovuto scendere, nuovamente, a patti per la di lei salvezza…

« Nove mesi…? » esclamò quindi e nuovamente, ora non corrucciandosi quanto e più sbalordendosi, nel confronto con un tale pensiero, con una simile idea.

Certo. Entro i confini di quell’illusione, di quel mondo fittizio, il tempo per lei trascorso, o, quantomeno, da lei percepito qual trascorso, avrebbe avuto a doversi considerare di gran lunga superiore, ragione per la quale la prospettiva di poter vedere ridotti un paio di anni a soltanto nove mesi avrebbe avuto a doversi riconoscere fondamentalmente positiva.
Ciò non di meno, l’idea che una trappola mentale architettata da Desmair, un’illusione certamente più complessa rispetto a quanto non avesse mai subito prima di allora, potesse essersi protratta addirittura per nove mesi, avrebbe avuto a doversi giudicare a dir poco disturbante. E, soprattutto, preludio a non poche ulteriori domande, e domande volte a comprendere, a scoprire cosa fosse accaduto nella vera realtà in sua assenza, oltre a quel rinnovato patto di estemporanea alleanza fra Be’Sihl e Desmair, in quanto, spiacevolmente, avrebbe avuto a doversi riconoscere qual uno spiacevole déjà vu, avendo ella avuto già passata occasione di assistere a dinamiche purtroppo assimilabili che, invero, non avevano poi condotto a risultati privi di uno sgradevole prezzo da pagare… qual, non a caso, l’innesto dello spirito del semidio nel corpo dello stesso shar’tiagho il giorno in cui il primo ebbe a essere ucciso per mano del proprio stesso divino genitore.

« … come è possibile?! » insistette, disorientata da quella notizia, laddove, pur accettando l’eventualità che tutto quello avesse a doversi considerare qual uno strano sogno architettato dal proprio sposo, difficile sarebbe stato comunque accogliere l’idea che quel sogno potesse essere durato tanto a lungo « Le sue illusioni, i suoi incubi non hanno mai durato tanto. »
« Purtroppo, in questa occasione, il suo approccio è stato appunto diverso… e non volto a obbligarti a confrontarti con un incubo, con l’orrore di viscerali paure, quanto e piuttosto con un sogno, e un sogno di pace, e un sogno rielaborato a partire da informazioni che egli è stato in grado di ottenere dalla vera Maddie, e dalla vera Rín, durante la nostra comune avventura nel tempo del sogno, che avesse a potersi offrire sufficientemente veritiero da convincerti e, al contempo, adeguatamente gradevole da non richiedergli, in verità, di doverlo mantenere egli stesso attivo. » tentò di spiegare Be’Sihl, con un lieve sospiro, riconoscendo di doverle concedere quantomeno quelle informazioni di base, e quelle informazioni utili a riportarla, via via, sempre maggiormente alla propria realtà, alla propria concezione della realtà, per così come già stava accadendo in maniera sempre più palese, per quanto ella stessa, ancora, non se ne fosse resa ancora conto « Come ti accennavo, non è stato facile per lui riuscire a trovare il giusto equilibrio di eventi utile a vincere la tua coscienza… ma quando, alla fine, egli ha avuto l’astuzia di porre in giuoco anche Desmond, tutti i pezzi sono andati a incastrarsi da soli e la tua mente ha iniziato ad alimentare autonomamente tutto questo, senza che vi fosse più necessità, per lui, di mantenere in contatto mentale. » precisò, con quieta fermezza in quella spiegazione, in quell’argomentazione, una quieta fermezza per lui conseguente all’aver avuto già personalmente occasione di constatare la verità di tali parole, e, soprattutto, dell’efficacia alienante del mondo lì, in tal maniera, generato « In tutto ciò, anche restituirti finalmente il bracciale dorato del dio Ah'Pho-Is, che in passato ha sempre avuto successo nello schermare la tua mente dagli attacchi di Desmair, non è servito a nulla… perché, ormai, l’unica a tenere in piedi tutto questo eri soltanto tu. »

Il suo bracciale dorato: quel dono, orami risalente a quasi un decennio prima, che Be’Sihl le aveva fatto quasi a costo della propria stessa vita, nel mentre in cui ella, dominata dagli inganni, dagli incubi di Desmair, lo aveva creduto scoprirsi essere una sorta di osceno mostro cannibale e necrofago, sol desideroso di ucciderla. Un dono prezioso, un dono importante, che per quasi un lustro l’aveva protetta dagli attacchi dello sposo, sino a quando, lasciato il proprio mondo e giunta su Loicare, ella era stata arrestata, e ogni suo bene, in quel peculiare momento censibile in un elenco di soltanto due elementi, la sua spada bastarda e quello stesso bracciale, le erano stati sequestrati: e se, a seguito della propria evasione dal carcere lunare entro i confini del quale aveva avuto anche occasione di incontrare per la prima volta le sue due nuove migliori amiche, l’impavida Duva Nebiria e la giovane Har-Lys’sha, ponendo solide fondamenta per quella nuova fase della propria esistenza, e quella fase che, da allora, l’avrebbe vista affrontare le proprie incredibili avventure negli sterminati spazi siderali, ella era stata allora in grado di ritrovare, non senza difficoltà, la propria spada bastarda; per quel bracciale, per quel monile dorato, non vi era stata alcuna possibilità, ritrovandosi costretta, in ciò, a doverlo considerare irrimediabilmente perduto.
Nel contempo in cui, tuttavia, ella e Be’Sihl erano partiti alla ricerca di Reel Bannihil, ufficialmente per conto dello stesso omni-governo di Loicare, in conseguenza al ricatto loro imposto dall’accusatore Pitra Zafral, proprio Duva e Lys’sh avevano reso proprio il delicato incarico volto a ritornare, in maniera discreta, proprio entro i confini di Loicare e lì di riuscire, finalmente, a ritrovare il suo bracciale, nella volontà di porre rimedio al malfunzionamento del collare tecnologico che, sino ad allora, aveva mantenuto Desmair sopito all’interno del corpo di Be’Sihl e che, tuttavia, proprio in quel già non fortunato momento, aveva avuto a terminare il proprio ciclo di vita. Ergo, se pur il ritorno a lei di quel bracciale non era stato sufficiente a salvarla da tutto quello, e da quanto, in fondo, ella si era meritata, nell’aver pensato di poter scendere impunemente a patti con Desmair; quella medesima notizia avrebbe comunque avuto a potersi interpretare in maniera positiva quantomeno nell’ordine di misura nel quale, allora, avrebbe voluto significare che Duva e Lys’sh stavano bene, e che erano riuscite a ritornare alla Kasta Hamina…

« Non sono certa di comprendere con precisione tutto quello che stai dicendo… » ammise allora, scuotendo appena il capo « … ciò non di meno, credo proprio di doverti delle scuse. » dichiarò, in quanto, in quel frangente, avrebbe avuto a doversi riconoscere se non anomalo, quantomeno non consueto, laddove, pur non aliena a scusarsi, a riconoscere i propri errori, difficilmente ciò sarebbe avvenuto in maniera così rassegnata, laddove abitualmente, al contrario, ella si sarebbe ritrovata a tentare comunque di argomentare le motivazioni che l’avevano condotta a simile sbaglio, in termini utili a riservarsi, a prescindere, un’ideale fronte di ragione a giustificazione di quanto avvenuto « Non avrei dovuto prendere accordi con Desmair. E non avrei dovuto farlo senza confrontarmi con te. » sancì, confermando in tal maniera l’anomalia così introdotta, e quella richiesta di perdono priva di “se” o di “ma” a minimizzare le proprie responsabilità « Ho sbagliato. E tremo al pensiero delle effettive conseguenze di questo mio errore… di quanto tu, Tagae, Liagu, Duva, Lys’sh e tutti gli altri a bordo della Kasta Hamina possiate aver dovuto pagare il prezzo di questa mia stolida iniziativa. »

In genere, giunti a quel momento, Be’Sihl non le avrebbe mai lasciato mancare un tenero sorriso, a palesare quanto, a prescindere da qualunque errore da lei commesso, il suo amore per lei non sarebbe mai potuto mutare, e, in questo, ogni colpa, ogni sbaglio, non avrebbe avuto necessità di essere perdonato, giacché mai, nel confronto con il suo cuore, sarebbe realmente stato riconosciuto qual tale. In quell’occasione, tuttavia, sul volto dello shar’tiagho ebbe a comparire sì un sorriso, e, ciò non di meno, un sorriso tirato, il sorriso di un uomo che, pur amando indiscutibilmente la propria compagna, non avrebbe potuto ovviare a riflettere sul peso di accadimenti occorsi, in quegli ultimi mesi, i quali lo avevano definito qual protagonista, e un protagonista decisamente distante da quanto mai ella avrebbe potuto immaginare, costretto, proprio malgrado, a liberare la parte più oscura del proprio cuore, del proprio spirito e giustificandosi, in ciò, con in pensiero, invero sincero, di star compiendo tutto ciò soltanto per lei.

mercoledì 27 marzo 2019

2862


« Ricordo di averti chiesto di occuparti della madre di Pidar… di quella sorta di zombie… » sancì alfine, abbracciando proprio malgrado l’evidenza di quanto, dietro a quell’interrogativo, avrebbe avuto a doversi considerare un riferimento non tanto a Maddie, quanto a Midda, e agli eventi occorsi su quel lontano satellite perduto ai confini della galassia « … nel mentre in cui, in verità, la mia preoccupazione era allor rivolta a Desmair e a Reel Bannihil. » ammise, non cercando ormai di mistificare la realtà del proprio errore, e di quell’errore in conseguenza al quale tutto quanto era poi avvenuto, qualunque avesse a doversi effettivamente a riconoscere la dinamica di quegli eventi.
« E ricordo come, nel mentre in cui tu risolvevi al meglio la questione con Pidar e sua madre, arrivando a offrire per la prima volta da sempre luce attorno all’arcano esistente dietro al degenero intellettuale di coloro infettati dalla nanotecnologia di Reel Bannihil, e, in ciò, dietro a tutti i membri della famigerata Sezione I; io detti il mio consenso a Desmair, al fine di garantirgli impunità nell’impossessarsi del corpo di Reel, lasciando finalmente libero il tuo. » continuò ella, ancora con assoluta sincerità e trasparenza, riconoscendo quanto così compiuto per la prima volta, ad alta voce, innanzi al proprio amato, avendolo ovviamente tenuto all’oscuro, a quell’epoca, nel merito dei propri piani, laddove fondamentalmente certa di quanto egli non avrebbe potuto approvare, e non a torto, una simile decisione « E ciò è avvenuto. Ed è avvenuto in termini decisamente più prepotenti di quanto non sia mai stato in grado di dimostrarsi con te: Desmair è entrato nel corpo di Reel, e la coscienza di Reel Bannihil è stata completamente soppiantata da quella di Desmair. » scosse il capo, riconoscendo quanto, necessariamente, tutto ciò fosse occorso al di fuori del proprio controllo, sebbene colpevolmente con il proprio consenso « E poi… »
« … e poi? » la incalzò l’uomo, non desiderando in tutto ciò riservarsi opportunità per dimostrarsi critico nei suoi riguardi per quanto occorso, avendo, del resto, già avuto lunghi mesi per scendere a patti con l’ennesimo errore idiota commesso dalla donna da lui amata, in termini tali per cui, in quel momento, non avrebbe potuto volersi veramente riservare qualche per umana, pur comprensibile e giustificabile ragione di recriminazione a suo discapito, in sua opposizione.
« … e poi Desmair, oramai nel corpo di Reel, mi ha invitata a risvegliarmi. E ha schioccato le dita, lasciando scomparire il mondo attorno a me in un’esplosione di luce. » rievocò ella, in quello che avrebbe quindi avuto a doversi considerare qual, effettivamente, l’ultimo suo ricordo nelle vesti della Figlia di Marr’Mahew, prima di riaprire gli occhi e riaprirli in quel mondo, a confronto con il volto di suo padre e di sua sorella, e quei volti da lei tanto amati e ai quali, egoisticamente, mai avrebbe voluto rinunciare.

Purtroppo, al di là di quanto, in tutto ciò, Maddie non avrebbe potuto voler rinunciare a sua sorella, a suo padre, e a tutta la splendida vita che lì le era stata concessa, difficile, irrazionale, sarebbe stato, purtroppo, rinunciare a cogliere l’evidenza della verità per così come lì a lei offerta. E di una verità volta a scardinare il senso stesso della realtà sin nelle sue più profonde radici.
Una verità alla quale, autonomamente, ormai ella era tragicamente giunta, nel mentre in cui, del mondo prima presente attorno a loro non era rimasta più traccia, vedendoli lì sostanzialmente in statica sospensione nel mezzo del nulla, quasi fossero avvolti da una fitta nebbia tale da renderli persino incapaci a cogliere il terreno sotto i propri piedi…

« Desmair mi ha intrappolata nel mio stesso corpo. » dichiarò quindi, non con tono interrogativo, non in termini tali da cercare conferma, quanto e piuttosto con quieta rassegnazione nel confronto con un’evidenza ormai palese « Avrei dovuto capirlo… avrei dovuto accorgermene. »
« Se ti può consolare, ha ammesso che non è stato facile vincerti… » intervenne l’altro, accennando un lieve sorriso, ora quasi imbarazzato, dispiaciuto per la situazione nella quale la propria amata non avrebbe potuto ovviare a ritrovarsi, psicologicamente, in quel momento « … è dovuto intervenire lui stesso a manipolare il corso degli eventi, per farcela. »
« … Desmond. » sgranò gli occhi la donna, sbiancando di colpo, per quanto difficile ciò sarebbe potuto apparire nel confronto con la sua pelle già straordinariamente chiara « Thyres… quanto sono stata stupida! Non l’ho riconosciuto… non ho riconosciuto il corpo di Reel Bannihil: e dire che non ha avuto neppure la decenza di dissimulare il proprio vero nome… “Des”. » argomentò, mutando improvvisamente stato d’animo e colorazione del volto, nell’avvampare, ora, di rabbia « Quindi per tutto questo tempo egli è rimasto al mio fianco, divertendosi a giocare al marito affettuoso?! »
« No… no… » escluse l’uomo, ora cercando di calmarla « Desmond non era Desmair. Non del tutto, quantomeno. » spiegò, nel dimostrare maggiore confidenza con le dinamiche di quel mondo rispetto a quanto l’altra non avrebbe potuto attendersi da parte sua « Desmair ha creato Desmond partendo dalle fattezze di Reel, e prendendo spunto… beh… da me per il suo carattere, nella certezza di quanto, in tal modo, sarebbe riuscito a farti innamorare di lui e a donarti una realtà sufficientemente piacevole da spingerti, poi, ad alimentare autonomamente questa stessa prigione onirica nella quale ti ha precipitata. »

Se per Maddie non era stato facile accettare che Midda e il suo mondo non fossero veri, per Midda non ebbe a dover essere riconosciuto molto più semplice ipotizzare di affrontare il cammino inverso. E per quanto, allora, tutto quello non avrebbe potuto ovviare ad apparire quanto di più ovvio, di più logico, di più sensato possibile, ancora troppi interrogativi, ancora troppe domande non avrebbero potuto mancare di animarla per cercare di completare quell’immagine di fondo, quel quadro d’insieme nel rapporto con il quale, ancora, non avrebbe potuto vantare una confidenza adeguata… non, quantomeno, nello stesso ordine di misura che sembrava contraddistinguere, in quel momento, il proprio interlocutore: Be’Sihl.
In ciò, quindi, un interrogativo non avrebbe potuto ovviare ad anticipare qualunque altro, per riuscire a dare un senso a quanto lì stava accadendo. Un interrogativo che, pertanto, ella non ebbe a posticipare neppure di un fugace istante nella propria formulazione…

« Come fai a sapere tutto questo…? E, soprattutto, se questa è la mia mente… come puoi essere qui? » domandò, scuotendo appena il capo « Sei veramente tu o, piuttosto, sei soltanto un bizzarro costrutto di una qualche remota parte del mio inconscio, atta a permettermi di scendere a patti con la realtà…?! »
« Sono io, amore mio. Sono io… » annuì lo shar’tiagho, accennando un lieve sorriso, allor carico di infinita dolcezza nel confronto con quella che comprendeva essere la sua giustificabile confusione « Vorrei poterti spiegare tutto in questo momento… ma, in questi ultimi nove mesi, sono successe così tante cose che, francamente, mi servirebbero almeno altri nove mesi per poterti aggiornare. E, francamente, non sono neppure certo di quanto ulteriore tempo sia trascorso da quando Desmair mi ha aiutato a entrare nella tua mente, per cercare di aiutarti a liberarti da tutto questo. »
« … Desmair?! » esclamò ella, corrucciandosi immediatamente a confronto con quel nome e già preparandosi a reagire malamente all’idea di una qualche nuova, insana alleanza fra Be’Sihl e il semidio.
« Ferma! » levò una mano egli, con tono serio e inarcando un sopracciglio a confronto con quello che ebbe a riconoscere immediatamente qual un tono di possibile rimprovero « Vale lo stesso discorso già fatto per il taglio di capelli: considerando quanto questo dannato impiccio è stato sol conseguenza di un tuo accordo con Desmair, da parte tua non voglio assolutamente accettare alcun genere di rimprovero nel merito di una qualche nostra obbligata collaborazione con lui per poterti salvare! »

Ineccepibile argomentazione, quella che egli ebbe così a muovere preventivamente nei riguardi della donna, a confronto con la quale ella non poté ovviare a incassare il colpo, riconoscendo quanto, da parte propria, non avrebbe potuto esservi alcun genere di supposta superiorità morale atta a permetterle di muovere la benché minima critica a tal riguardo.

martedì 26 marzo 2019

2861


… ma Midda non avrebbe mai potuto farlo.
Midda non avrebbe potuto evitare di porsi domande. Domande a confronto con le quali, allora, ella avrebbe speso ogni energia in proprio possesso al solo scopo di raggiungere la giusta risposta. E non una risposta qualsiasi, non la risposta più facile o immediata, ma la giusta risposta, quella risposta per conquistare la quale non si sarebbe negata l’opportunità di lottare, e di lottare con tutte le proprie forze, anche a costo di rischiare la propria esistenza, il proprio avvenire. Midda non avrebbe potuto evitare di porsi domande. E di porsi quelle domande utili a comprendere in quale direzione agire, animata allora non dal desiderio egoistico di risparmiarsi sofferenza o patimento, quanto e piuttosto nella volontà di non tradire se stessa, di non tradire i propri principi, e quei principi sui quali aveva da sempre fondato la propria esistenza, anche se compiere tutto ciò l’avrebbe condannata a terrificanti prospettive, innanzi alle quali soltanto umano sarebbe stato allor ritirarsi, soltanto umano sarebbe stato lì cedere il passo, riconoscendo la propria sconfitta e, ciò non di meno, salvando la propria pelle.
Se Midda avesse potuto tacere, non avrebbe mai vissuto la propria straordinaria, e devastante, esistenza.
Se Midda avesse potuto tacere, non avrebbe mai lasciato il proprio mondo, per spingersi fra le stelle del firmamento sulle ali della fenice, al solo scopo di inseguire lo spirito della regina Anmel Mal Toise, colei che la Storia ricordava essere l’Oscura Mietitrice, facendosi carico di quella sfida, e di quella sfida che, probabilmente, non avrebbe mai potuto vincere e che, ciò non di meno, non avrebbe mai voluto rinunciare a combattere, fosse anche e soltanto per porre rimedio a un proprio sbaglio, a un proprio errore e a quell’errore, quella leggerezza, da lei compiuta il giorno nel quale, inconsapevolmente, aveva permesso a quella terrificante minaccia di essere nuovamente libera, e di porre, di conseguenza, in dubbio il futuro stesso del Creato, nel nome di un assurdo principio nichilistico.
Se Midda avesse potuto tacere, probabilmente ella non sarebbe mai arrivata a quel punto…

“Midda Bontor sei tu.”

Con quelle parole sua sorella Rín l’aveva costretta a scuotersi, e a scuotersi da quel pavido torpore della mente nel quale ella si stava lasciando precipitare, rifiutandosi di vivere la propria vita nel preferire, piuttosto, lasciarsi vivere e osservare passivamente l’evoluzione a cui essa l’avrebbe condotta.
Con quelle parole sua sorella Rín aveva tentato di ricordarle chi ella fosse, e non nell’intento di vederla correre in giro con una spada in mano, quanto e piuttosto nella volontà di non vederla rinunciare a imporre se stessa in contrasto a qualunque avversità, a difendere la propria indipendenza, la propria libertà, la propria autodeterminazione in ogni modo e con ogni mezzo, così come, da sempre, ella stessa si era impegnata a compiere.
E, per quanto una parte di lei si stesse già odiando, e forse si sarebbe odiata per sempre, a confronto con la decisione già maturata nel profondo del suo cuore, ella non avrebbe potuto, in quel mentre, ignorare la verità propria di quelle poche e semplici parole, di quella quieta affermazione di sua sorella Rín. Quell’affermazione che, probabilmente, aveva sempre saputo essere vera. E quell’affermazione che, tuttavia, non avrebbe mai voluto in alcun modo confermare, laddove accettare la correttezza di tutto quello avrebbe soltanto significato rifiutare il senso del resto del mondo, e del mondo, lì, a lei allor circostante.
Maddie non avrebbe voluto porsi domande o cercare risposte…
… Midda, dal canto suo, non avrebbe potuto ovviare a farlo.

« … dove siamo? » sussurrò pertanto, in una domanda che non desiderava porre e che, tuttavia, non avrebbe potuto ovviare a esprimere, a confronto con una risposta che, in fondo, già ella avrebbe potuto vantare di aver inteso, nelle parole da lui sino a quel momento pronunciate, ma alla quale, comunque, non avrebbe voluto offrire credito alcuno, non in quanto essa avrebbe quindi comportato, per se stessa e per tutti coloro lì a lei cari.
« Vuoi davvero che ti risponda…? » cercò conferma l’uomo, nella consapevolezza di quanto, a confronto con la verità, difficile, se non impossibile, sarebbe allor stato per lei poter poi proseguire nel proprio cammino per così come sembrava averlo stabilito un istante prima.
« No… » scosse il capo la donna, con quieta incoerenza, e un’incoerenza, tuttavia, direttamente conseguente allo scisma interno al suo cuore, al suo animo, a confronto con il quale, in quel momento, avrebbe avuto a doversi riconoscere divisa « …  non lo voglio. Ma devo saperlo. »
« Io credo che tu già lo sappia. » dichiarò l’altro, offrendole un leggero sorriso, tirato nella propria espressione, riuscendo ora a provare una certa empatia per il conflitto interiore lì evidentemente palesato e, in tal senso, non volendole forzare la mano in misura maggiore rispetto a quanto già non avesse fatto sino a quel momento « Qual è l’ultima cosa che ti ricordi…? »

Un momento di silenzio seguì quella domanda. Una laconica parentesi a lei necessaria per cercare di riordinare le idee e, soprattutto, di discernere il senso di quell’interrogativo.
Giacché, ove quella questione fosse stata rivolta a Maddie, l’unico senso il quale avrebbe potuto esserle attribuito, sarebbe necessariamente stato quello atto a tentare di ricondurla a più di trent’anni fa, quando, ancora bambina, si era ritrovata proprio malgrado protagonista dell’orribile e tragico incidente che aveva negato ogni futuro a sua madre, e che aveva irrimediabilmente segnato il destino suo e di sua sorella. Un incidente del quale, tuttavia, ella non ricordava assolutamente nulla, al pari di tutta la propria vita precedente a quei tre decenni di coma, e a quei tre decenni di coma nel corso dei quali la sua mente aveva praticamente riscritto il senso stesso della realtà per lei, creando non soltanto un nuovo mondo, ma, addirittura, un nuovo universo nel quale permetterle di viaggiare, e di viaggiare nelle vesti di una ben poco assennata donna guerriero.
Ove, altresì, quella questione fosse stata rivolta proprio a Midda, a quella ben poco assennata donna guerriero, l’unico senso il quale avrebbe potuto esserle allora attribuito, sarebbe stato quello atto a spingerla a ritornare alla terza luna del quinto pianeta del sistema di Pomerius, là dove si era sospinta insieme a Be’Sihl alla ricerca di Reel Bannihil, un uomo, apparentemente incapace a morire, ricercato dall’accusatore Pitra Zafral, dell’omni-governo di Loicare, per ottenere la cattura del quale, quest’ultimo, era arrivato addirittura a porre sotto ricatto non soltanto la stessa Figlia di Marr’Mahew ma, con lei, l’intera Kasta Hamina. Una missione, la loro, che era stata spiacevolmente complicata dal prepotente ritorno nella sua quotidianità di Desmair, alfine libero dal controllo tecnologico di quel collare che, sino a quel momento, lo aveva mantenuto silenziosamente prigioniero all’interno del corpo del suo malcapitato ospite, lo stesso Be’Sihl. Il suo mai amato marito, figlio del dio minore Kah e della regina Anmel Mal Toise, si era così allora impegnato per tentare di condurla alla follia, attraverso oscene allucinazioni imposte a discapito della sua mente, del suo intelletto, allucinazioni un tempo tenute sotto controllo in grazia a un particolare bracciale dorato, il quale, tuttavia, le era stato sottratto ormai da anni. Così, necessariamente sola a confronto con la violenza psicologica di quel mostro, e con le minacce da egli sollevate non soltanto a discapito di Be’Sihl, ma di tutte le persone a lei care, a iniziare dai suoi stessi figli, Tagae e Liagu, ella era arrivata a commettere un nuovo errore, uno dei tanti della sua vita, e speranzosamente non l’ultimo: ella era scesa a patti con lui e, in ciò, gli aveva promesso immunità da ogni sua futura reazione, da ogni sua futura opposizione, nel momento in cui egli avesse accettato di lasciare definitivamente il corpo di Be’Sihl per trasferirsi nel decisamente più appetibile corpo immortale di Reel Bannihil. Un corpo che, in buona sostanza, alla fine era stata ella stessa a consegnargli sul proverbiale piatto d’argento, liberando definitivamente il proprio amato shar’tiagho dall’ombra oscura che lo aveva accompagnato in quegli ultimi anni, e, ciò non di meno, offrendo incautamente piena libertà allo stesso Desmair per agire… e agire, ineluttabilmente, anche contro di lei, pur vincolato dalla promessa matrimoniale di non avere mai a ucciderla.

lunedì 25 marzo 2019

2860


« Chi sei tu, veramente…?! » domando Maddie, osservando sempre più confusa Basel, e tentando, inutilmente, di dare un senso a tutto quello, per quanto nulla di tutto quello avrebbe potuto vantare un qualsivoglia raziocinio.
« Tu lo sai… ed è il motivo per cui mi stavi cercando. » replicò l’uomo, scuotendo appena il capo a escludere la volontà di offrire egli stesso una risposta a quell’interrogativo retorico, laddove la verità avrebbe avuto a doversi riconoscere allora qual già nota alla propria interlocutrice, per quanto ella, ancora, non avesse avuto la forza necessaria ad ammetterlo « Rispondimi, te ne prego… perché mi stavi cercando?! »

Basel aveva ragione. Ella già conosceva la risposta a quell’interrogativo. E tale risposta la stava così terrorizzando da rendere impossibile, per lei, esprimerla.
Un terrore, il suo, non tanto motivato da quanto quella diversa interpretazione della realtà avrebbe potuto significare per se stessa, per il proprio passato e per il proprio futuro, quanto e piuttosto per ciò che avrebbe necessariamente comportato per tutti coloro a lei più cari, da lei più amati, a partire da sua sorella Rín, passando per suo padre Jules e, invero, anche per la sua amica Jacqueline. Se, infatti, in quel mondo tutti loro vivevano serenamente le proprie esistenze, nell’altra realtà, laddove avesse accettato di abbracciarla, di considerarla reale, rispondendo, allora, a quell’interrogativo con l’unica risposta possibile, ella avrebbe avuto a doversi ritrovare a confronto con la responsabilità propria per l’uccisione di sua sorella Nissa, il prezzo del cui sangue, ne era certa, presto o tardi avrebbe avuto a dover pagare; con la non indifferente possibilità della morte di suo padre, in un’età per lui già decisamente avanzata nel confronto con le aspettative di vita proprie del suo mondo; e, anche, con la scomparsa di Carsa Anloch, la corrispettiva di Jacqueline, sua amica, sua confidente, e nell’altra realtà sacrificatasi per proteggerla dalla violenza della blasfema unione fra Nissa e la regina Anmel Mal Toise.
A questo… a tutto questo ella avrebbe avuto a dover rinunciare se solo avesse accettato l’assurda idea che quello non avesse a doversi considerare realmente il suo mondo, veramente la sua realtà: un sacrificio, il suo, a cui sarebbe corrisposto anche il ritorno alla sua vecchia vita, a quella vita sempre vissuta, per propria libera scelta, sul filo del rasoio, in giostra con la morte, dovendo rendere lode agli dei tutti per ogni nuovo e inatteso giorno di vita concessole, in quella che, forse, con il tempo, stava iniziando a diventare qualcosa di troppo grande da affrontare per lei, e per lei sola. Laddove infatti, nella propria corrente realtà, nel mondo di Maddie, e in quella nazione in particolare, avere quarant’anni e più avrebbe avuto a doversi quasi riconoscere qual l’inizio della propria esistenza, allorché la fine, non soltanto in conseguenza di aspettative di vita sempre maggiori, ma anche, e soprattutto, in un progressivo aumento dell’età media della popolazione; nel mondo di Maddie, avere quarant’anni, soprattutto per un combattente, per un guerriero mercenario, avrebbe avuto a doversi considerare un traguardo semplicemente straordinario, il raggiungimento del quale avrebbe avuto a dover essere riconosciuto qual la più importante riprova del suo valore, della sua pericolosità. Ma un uomo, o una donna, di quarant’anni, ella non avrebbe potuto ignorarlo, non avrebbe mai potuto vantare la stessa forza, la stessa agilità, la stessa velocità di un uomo, o di una donna, di venti: certo, l’esperienza avrebbe giuocato il suo ruolo, e un ruolo sempre maggiore, sempre più importante, nel definire la propria superiorità in battaglia… ma presto o tardi, ella ne era cosciente, avrebbe incontrato un ragazzino, una ragazzina, in cerca di una facile occasione di notorietà, che l’avrebbe affrontata e vinta.
Per quale dannata ragione, quindi, ella avrebbe mai dovuto realmente accettare di rinunciare a quella realtà, e a una realtà nella quale, comunque, stava vivendo serenamente la propria quotidianità, avendo un uomo che l’amava, avendo una famiglia, e avendo la prospettiva di potersi spegnere, serenamente, un giorno nel proprio letto, allorché essere sgozzata dal primo assassino di passaggio o ritrovarsi divorata da una qualche bestia mitologica?!

« Non posso risponderti… » scosse il capo ella, storcendo le labbra verso il basso, a escludere quella possibilità, a negare quanto da lui richiestole.

E se pur, in un primo istante, egli non sembrò voler insistere ulteriormente verso di lei, arrivando persino a chinare il capo in segno di quieta rassegnazione nel confronto con l’evidenza della realtà così offertagli, dopo un interminabile momento di silenzio, l’uomo rialzò lo sguardo verso di lei, per cercare, con i propri occhi quasi arancioni quelli color ghiaccio di lei, e, in quel contatto diretto, in quella ricercata comunione fra anime, per esprimere un nuovo interrogativo, e un nuovo interrogativo che, in maniera perfettamente azzeccata avrebbe lì circoscritto il problema.

« Non puoi… o non vuoi? » domandò, con tono quieto, privo di accuse  a suo discapito e, altresì, contraddistinto da una quieta necessità di comprendere, e di comprendere quanto stesse allora accadendo nell’intimo della sua mente.

Maddie era consapevole di non volere. Era consapevole di non avere desiderio di rinunciare alla felicità che in quel mondo le stava venendo offerta, per quanto forse fittizia. Ed era consapevole di quanto, probabilmente, Midda, fosse stata lì presente accanto a lei, le avrebbe rivolto un deciso manrovescio per cercare di obbligarla a riprendersi, a riprendere coscienza di sé, di chi essa realmente fosse, e di coloro i quali, così facendo, stava necessariamente tradendo in nome di una egoistico e infantile desiderio di ignavia, qual, in fondo, il suo avrebbe avuto a dover essere considerato.
Ma, pur essendo consapevole di ciò, ella non ebbe neppure a riservarsi coraggio sufficiente per difendere tale propria posizione, limitandosi, tristemente, a scuotere il capo e a palesare, in tal senso, tutta la propria più intimamente conscia colpevolezza, tutto il senso di colpa che pur, sul suo animo, allor gravava, nell’irrequieta certezza di quanto torto, così facendo, avrebbe imposto a tante… a troppe persone. A partire, innanzitutto, dal proprio attuale interlocutore.
Un interlocutore l’ira del quale, in conseguenza a tutto ciò, ella avrebbe avuto a temere. E un interlocutore l’ira del quale, tuttavia, non ebbe in alcun modo a palesarsi innanzi a lei, in una tanto quieta, quanto rassegnata accettazione di quanto, lì, avrebbe avuto a doversi riconoscer qual una sua scelta…

« Così sia. » annuì egli, con un profondo sospiro « Se questo è ciò che hai deciso per il tuo futuro, io resterò qui con te. Perché, francamente, non mi è mai interessato ove il nostro viaggio avrebbe potuto condurci, quanto e piuttosto il poterlo affrontare accanto a te, vivendo giorno dopo giorno al tuo fianco. » sancì, in un proclama che in altro modo non avrebbe potuto essere descritto se non d’amore, e che, tuttavia, in quel momento, non ebbe a scioglierle il cuore, così come probabilmente ella stessa avrebbe potuto sperare avvenisse, quanto e piuttosto a stringerlo in una morsa, e in una morsa di rimorso e colpa persino maggiore rispetto a quanto, già, sino a quel momento, non avesse avuto occasione di provare « E se tu desideri vivere il resto della tua esistenza in questa maniera, io non mi sottrarrò… »

Maddie avrebbe voluto tacere. Probabilmente, giunta a quel punto, avrebbe voluto scappare di lì, e scappare urlando e piangendo, in una reazione certamente infantile e pur, quantomeno, umana. Maddie avrebbe voluto tacere. E tacere allora per chiudere, in tal maniera, e definitivamente, ogni nuovo discorso a tal riguardo, ogni nuova disquisizione a tal proposito, sotterrando ogni dubbio, ogni paura, ogni perplessità, sotto il peso del proprio egoismo, e di quell’egoismo nel nome del quale, in quel dialogo, ella stava permettendo al lato peggiore di sé di avere la meglio, di prevalere non soltanto nell’immediato, ma in tutta la propria vita, presente e futura, e, con essa, anche sulla vita di quell’uomo, e di quell’uomo che, innanzi a lei, stava in tal maniera declamando il proprio amore per lei, e un amore così assoluto tale per cui alcun fato avrebbe potuto riservarsi interesse per lui.
Maddie avrebbe voluto tacere…

domenica 24 marzo 2019

2859


Distratta da quei pensieri, distratta da quella riflessione nel merito della natura di quel sogno, chinando lo guardo a osservare il proprio corpo Maddie non poté ovviare a storcere le labbra verso il basso nel riconoscersi, proprio malgrado, ancora nelle proprie vere vesti. Laddove, infatti, quello aveva a doversi considerare un sogno, e un sogno così ricollegato alla propria fittizia vita come Midda Bontor, ella non avrebbe potuto ovviare a sperare di poter riconquistare le proprie sembianze originali, la tonicità del proprio corpo da donna guerriero, la pienezza della femminilità delle proprie forme: purtroppo tutto era rimasto uguale, e al suo sguardo, quanto allora ebbe ad apparire, fu miseramente il proprio vero corpo, con tutti i propri difetti, con tutti i propri limiti, con tutta la propria debolezza…

« Uff… » sbuffò, ormai scesa a patti con la natura onirica di quel momento e, in tal senso, divenuta immune al senso di inquietudine precedente, decisa, per il tempo che ancora le sarebbe stato concesso, a esplorare le possibilità di quel momento di sogno lucido, per così come troppo raramente ci si sarebbe potuti riservare opportunità « … perché neppure in un sogno posso assomigliare a Midda?! »
« Non ti distrarre… per carità divina. » gemette l’uomo, levando lo sguardo al cielo e portandosi le mani al volto, in un segno di evidente frustrazione da parte sua « Ci sei quasi… ti manca così poco per risvegliarti. » le confermò egli, in una frase a dir poco ironica da parte di un sogno, e di un sogno che ella aveva smascherato in quanto tale e che, razionalmente, non avrebbe dovuto voler ricercare il suo risveglio, non laddove, in ciò, avrebbe fondamentalmente smesso di esistere « Rispondimi, Midda… perché mi stavi cercando? »
« Non ti ricordavo così rompiscatole… sai? » replicò ella, scuotendo appena il capo e inarcando un sopracciglio a osservare con aria critica il proprio interlocutore « In effetti, forse, non sto facendo proprio un grande affare a cercarti… » soggiunse poi, domandandosi quanto quel sogno stesse distorcendo la realtà dei fatti e quanto, altresì, le stesse offrendo una qualche interessante profezia sul proprio possibile futuro con Basel « … non so che idea tu ti sia fatto di me, mio caro, ma sappi che anche se non sono Midda, non amo essere trattata con prepotenza o arroganza. » puntualizzò, non potendo ovviare, poi, a riservarsi un risatina divertita, nel confronto con il pensiero di star argomentando in tal maniera con un sogno.
« Ma tu sei Midda! » protestò Be’Sihl, strofinandosi il volto con le mani, a tentare di scaricare l’evidente nervosismo proprio di quel momento.

Un momento, quello nel quale egli era allora giunto, che, a dispetto di quanto mai ella avrebbe potuto intendere, aveva avuto occasione di conquistare dopo troppi mesi di distacco da lei, troppi mesi di lontananza fisica e psicologica dalla donna amata: mesi nel corso dei quali lo shar’tiagho era stato costretto ad abbracciare scelte, a compiere azioni la responsabilità delle quali avrebbe gravato sul suo cuore per il resto della propria esistenza, compromettendosi tuttavia più che volentieri per la donna amata.
In quei mesi Be’Sihl aveva viaggiato. Aveva combattuto. Aveva torturato e aveva ucciso, e aveva torturato e aveva ucciso in modi che, in passato, non avrebbe neppure immaginato di poter concepire. E lo aveva fatto nella sola volontà, nella sola speranza di poter riuscire a ricongiungersi a lei, sebbene, invero, in modi, in dinamiche diverse da quelle per loro lì attuali. Accidenti… per lei era arrivato persino a morire! E, per quanto ancora ella non lo sapesse, non potendo aver avuto alcuna occasione per scoprirlo, egli era stato resuscitato dalla morte in sola grazia alle nanotecnologie alla base della famigerata Sezione I, nel riconoscergli, in tal senso, una nuova occasione di vita subordinata al prezzo che, tuttavia, a lui sarebbe stato richiesto al momento della propria morte, e il prezzo proprio dell’impossibilità, allora, a morire realmente, trasformandosi nel corrispettivo tecnologico degli zombie del loro mondo d’origine.
In tutto ciò, essere posto a confronto, allora, a una così breve distanza dal raggiungimento del proprio obiettivo, e, in ciò, del risveglio di Midda, e, ciò non di meno, non essere ancora in grado di conquistarlo, e non essere in grado di conquistarlo perché ella stessa, vittima della trappola mentale nella quale l’aveva precipitata Desmair, non si stava dimostrando in grado di accettare la verità della propria stessa natura, non avrebbe potuto ovviare innervosirlo, e innervosirlo non tanto contro di lei, quanto contro quel destino avverso che, palesemente, non stava volendo dimostrare per lui alcuna pietà.

« … dannazione! » imprecò, liberando il viso dalla presenza delle proprie mani solo per avere occasione di inspirare profondamente aria nei propri polmoni, a cercare di imporsi un momento di lucidità « E allora proviamo in questo modo! » annunciò, più in una sorta di incitazione psicologica verso se stesso che nell’intento di un qualche avviso verso di lei, votando in favore di una diversa risoluzione, forse azzardata e, tuttavia, quantomeno giustificata dalla disperazione del momento.

Così, in maniera del tutto inattesa, imprevista e imprevedibile, giacché sino a quel momento egli si era persino astenuto dal cercare un qualsivoglia effimero contatto fisico con lei, ebbe allora a riservarsi un improvviso slancio fisico verso di lei, e uno slancio fisico che lo condusse, pertanto, a stringerla a sé e a premere con dolce fermezza le proprie labbra contro quelle di lei, alla ricerca dell’occasione di un appassionato bacio.
E se facile, e assolutamente giustificato, sarebbe stato, lì, per lei respingerlo, non avendo egli a poter vantare alcuna confidenza con lei, alcun pregresso rapporto utile a giustificare quel gesto, ciò non avvenne. Ed ella, al contrario, si chiuse con dolce naturalezza, con spontaneità, contro di lui, offrendosi quasi tutto ciò avesse a doversi considerare la cosa più naturale del mondo, ovvia nella propria occorrenza qual il mero battito del proprio cuore o il cadenzato movimento del proprio petto a ogni respiro.
Un bacio, quello che egli ebbe a cercare e che ella ebbe a offrire, che non mancò di riservarsi al contempo straordinaria dolcezza e incredibile passione, e che, nell’incontro delle loro labbra, ebbe a concretizzare due sentimenti, due emozioni, di due persone tanto diverse da aver forse a essere considerate reciprocamente antitetiche, agli antipodi di mondi fra loro addirittura separati, e che pur, per il tempo di quella comunione fisica, mentale, spirituale ed emotiva, ebbero a divenire un'unica, meravigliosa, entità. Un bacio, quello che egli ebbe a cercare e che ella ebbe a offrire, che, da parte di Be’Sihl, avrebbe avuto a dover essere lì riconosciuto qual funzionale al desiderio di riuscire a scuotere emotivamente la propria interlocutrice in termini sufficienti a permetterle di riprendere coscienza di sé, di ritrovare la propria vera natura e, con essa, di infrangere i terrificanti confini di quell’allucinazione nella quale era stata rinchiusa, quella prigione mentale dalla quale altrimenti non avrebbe mai potuto trovare occasione di salvezza; e, tuttavia, un bacio che, a margine di ciò, non avrebbe potuto essere comunque giudicato meno che desiderato, nel considerare quanto a lungo era stato da lui atteso, e quanto, in quegli ultimi mesi, tanto aveva dovuto compiere per potersi riconquistare la speranza propria di quella possibilità, e di quella possibilità di ritrovare la donna da lui così disperatamente amata. Un bacio, quello che egli ebbe a cercare e che ella ebbe a offrire, che, da parte di Maddie, avrebbe avuto a dover essere lì riconosciuto, almeno nelle proprie ragioni, nella propria arrendevolezza e complicità, qual il quieto abbandono a quella che, ancora, avrebbe avuto a doversi giudicare qual la fantasia propria di un sogno, e che pur, nel mentre di quel dolce crescendo, di quella appassionata reciproca ricerca di sé nell’altro, ebbe ad assumere lentamente, ma inesorabilmente, un ben diverso valore, e il valore proprio di qualcosa di autentico, qualcosa di importante, qualcosa di noto e pur forse dimenticato, o qualcosa di mai dimenticato e a cui, pur, in quegli ultimi mesi, in quegli ultimi anni, ella aveva rinunciato, e aveva rinunciato nell’impossibilità a ritrovare, non appartenendo, tutto ciò, al suo mondo, alla sua realtà, alla sua quotidianità: qualcosa che, allora e improvvisamente, ebbe a sorprenderla e, persino, a spaventarla, facendola ritrarre, pur in parte a malincuore, da lui, e spingendolo via da sé, nella necessità di comprendere cosa diamine stesse accadendo.

sabato 23 marzo 2019

2858


« Non te ne importare… » scosse il capo l’uomo, minimizzando il valore di tutto ciò e, in tal senso, confermandolo, e confermandolo al di là di quanto, allora, niente di tutto quello avrebbe avuto a potersi fraintendere qual normale, qual sensato, qual corretto « … guardami, Midda. » insistette, ancora chiamandola in quella maniera, per quanto, a confronto con il resto del mondo a loro circostante, improvvisamente anche la questione di quel nome avrebbe avuto a doversi considerare secondaria, una banalità priva di ogni significato « Guardami e rispondimi, te ne prego! »

Il resto del mondo a loro circostante, infatti, si era fermato.
E non si era fermato in romantica maniera metaforica. Né, tantomeno, per dare spazio a una qualche sfida da social network. Il mondo attorno a loro si era fermato nel senso più stretto del termine, nel senso più concreto di tale idea, per quanto folle quella stessa idea avrebbe avuto a potersi considerare.
Non soltanto le persone, ma anche gli animali, e persino gli oggetti attorno a loro, avevano interrotto qualunque azione, attiva o passiva, mostrandosi improvvisamente immobili, inanimati, statuari, in uno scenario che a volersi descrivere surreale o inquietante sarebbe equivalso a banalizzare la situazione. A partire dagli uccelli in cielo, passando per i cani a terra e, persino, gli insetti nell’aria, senza escludere, a margine di tutto ciò, le automobili per strada, le insegne luminose, il simbolo abitualmente lampeggiante indicante la presenza di una farmacia, ma anche, e addirittura, una cassetta di mele sfuggita di mano a un ragazzo, e che, in conseguenza di ciò, altra alternativa non avrebbe avuto se non sottomettersi alla forza di gravità e precipitare al suolo: tutto era stato posto in uno stato di sospensione, di ibernazioni, bloccati nel tempo e nello spazio come in un videogioco messo in pausa, o qualunque altra innaturale analogia idealmente immaginabile. Tutto… o quasi.
Perché, in un mondo trasformatosi, improvvisamente e inspiegabilmente, in un’istantanea, Maddie e il suo interlocutore ancora sembravano aver conservato la propria libertà d’azione, di movimento, in un dettaglio, forse, persino ancor più surreale o inquietante rispetto a tutto il resto.

« … cosa sta succedendo? » gemette ella, ovviando a mettersi a gridare, in quel frangente, soltanto perché troppo spaventata persino per poter pensare di mettersi a gridare « Cosa sta succedendo a tutti quanti…?! »
« Ti stai avvicinando alla verità… e, in questo, l’inganno di Desmair sta perdendo la propria consistenza. » proclamò l’uomo innanzi a lei, serio nei propri toni, riuscendo a resistere al desiderio di spingere le proprie mani in avanti, per toccarla, per cercare un contatto fisico con lei in quello che comprendeva essere un momento troppo delicato per potersi concedere, con un approccio allor troppo semplicistico, tale opportunità « Devi concentrarti, Midda… devi concentrarti sulla mia domanda: perché mi stavi cercando? »
« Io… » esitò la donna, umettandosi le labbra con aria confusa e, ovviamente, agitata, nel muovere lo sguardo freneticamente attorno a loro, a tentare di cogliere evidenza della presenza di qualche altra eventuale attività attorno a loro, e, a margine di ciò, ritrovandosi solo a verificare quanto, in lontananza, le immagini avrebbero avuto a doversi considerare sempre più sbiadite, nebulose, quasi sfocate, a conferma delle parole appena udite, e di quelle folli parole atte a dichiarare una perdita di consistenza del tessuto stesso della realtà « … Desmair?! » ripeté, elaborando con qualche istante di ritardo l’aver udito da lui pronunciare quel nome, e averlo udito, quindi, scandito con assoluta cognizione di causa, non qual una parola lì pronunciata fuori dal proprio contesto, quanto e piuttosto qual una quieta verità, una realtà concreta, nel riferimento a qualcuno di conosciuto, per quanto, al contrario, soltanto frutto della sua immaginazione, e di quell’immaginazione che aveva riciclato il personaggio antagonista di un vecchio film e l’aveva riadattato a modo proprio, qual semidio immortale.
« Perché mi stavi cercando…? » ripeté, tuttavia, il suo interlocutore, fermo ancora su quell’interrogativo, in attesa, apparentemente quieta, ma probabilmente decisamente più frenetica di quanto non desiderasse rendere evidente, di una risposta da parte sua.
« Perché mi chiami Midda…?! » reagì ella, scuotendo appena il capo nel rifiutare l’idea di offrire seguito a quella questione, non fino a quando non avesse avuto la possibilità di comprendere cosa stesse succedendo, in una situazione che, a ogni istante, sembrava delinearsi più qual un nuovo e paradossale incubo, allorché un evento concreto.
« Perché è il tuo nome: Midda Namile Bontor, figlia di Nivre e Mera Bontor, nata nell’isola di Licsia il ventitreesimo giorno del mese di Payapr. E non chiedermi l’anno preciso, perché quello non me l’hai mai voluto rivelare, in un insolito sfoggio di femminile vanità da parte tua… » sancì egli, scandendo con assoluta precisione quelle informazioni, quei dati dei quali ella non aveva, invero, ancora offerto evidenza nei propri racconti, in termini tali per cui, se quell’uomo avesse avuto a doversi giudicare un folle, tale follia avrebbe avuto a doversi riconoscere qual a dir poco sovrannaturale, nella misura utile, quantomeno, a estrarle determinate informazioni direttamente dalla mente « … e ora, per l’amore di tutti gli dei del Creato, rispondimi: perché mi stavi cercando…?! »

Un sogno… o, più probabilmente, un incubo: in alcun altro modo tutto quello avrebbe potuto trovare giustificazione nella propria occorrenza. Ed ecco spiegato come fosse stata in grado di rintracciare Basel… semplicemente non lo aveva ancora fatto!
Nulla di tutto quello avrebbe avuto a doversi considerare reale. E, anzi, mischiando i propri fittizi ricordi della sua falsa vita come Midda a quelli della propria attuale, e vera vita come Maddie, la propria mente aveva creato quell’assurdo costrutto, in uno scenario tanto realistico quanto assurdo, e tale da presentare, innanzi ai suoi occhi, nelle ipotetiche vesti di Basel, il proprio amato Be’Sihl. Perché solo in quei termini tutte le informazioni in suo possesso avrebbero potuto avere senso: quell’uomo, coprotagonista di quel momento onirico, altro non avrebbe avuto a dover essere riconosciuto che qual lo stesso Be’Sihl…

« … cosa hai fatto ai capelli? » domandò ella, in un interrogativo che, obiettivamente, non avrebbe avuto alcun senso per Basel ma che avrebbe avuto a doversi riservare il proprio valore per Be’Sihl, un interrogativo che, allora, ella ebbe a formulare con aria sì stranita e pur comunque certa di aver risolto l’arcano, e, in tal senso, certa di essere in procinto di svegliarsi, giacché, comunemente, tale avrebbe avuto a essere la naturale evoluzione di un sogno nel momento in cui, alfine, rivelato nella propria effettiva natura, nel momento in cui, forse tardivamente, e pur efficacemente, la coscienza riprendeva finalmente il controllo sulla mente, restituendo a tutto il giusto senso di realtà.
« Davvero tu vuoi farmi questa domanda?! » obiettò Be’Sihl, aggrottando la fronte con occhi per un istante fuori dalle orbite, nel confronto con l’assurdità di quella questione in un contesto simile a quello nel quale si stavano lì ponendo precipitati « Da quando ti conosco non hai fatto altro che torturare i tuoi di capelli, nel migliore dei casi tagliandoli alla meno peggio con la tua stessa spada o, in alternativa, da quando siamo a bordo della Kasta Hamina, arrivando a non tenerli più lunghi di un dito! » protestò egli, in un’argomentazione a fronte della quale, invero, difficilmente ella avrebbe avuto possibilità di obiettare « Persino tua figlia è arrivata a fartelo notare, diamine… »

Be’Sihl aveva ragione: in uno dei loro ultimi dialoghi, il giorno stesso della ricomparsa di Desmair in maniera attiva nella sua vita, Liagu le aveva amorevolmente rimproverato il taglio eccessivamente spartano che aveva imposto ai propri capelli, tentando di spronarla ad apparire più bella, e bella almeno quanto la sua corrispettiva, di qualche anno più giovane, Maddie: un invito di fronte al quale, ovviamente, ella non aveva potuto sottrarsi, accettando di prometterle di smettere di tagliarli così corti, per poterli far ricrescere.
Che sogno strano. Che incubo assurdo. Abitualmente i sogni avrebbero avuto a doversi riconoscere contraddistinti da una certa incoerenza… ma, in quello, la coerenza con i propri ricordi si poneva altresì assoluta, e assoluta in maniera tale da spingerla a dubitare della natura stessa di quello stesso sogno, se non fosse stato che tale non avrebbe potuto essere altro: non nell’immobilità e nell’evanescenza del mondo a loro circostante, non nella presenza di Be’Sihl innanzi a lei.

venerdì 22 marzo 2019

2857


« Perché mi stavi cercando, Maddie…? » sorrise verso di lei, riconoscendo di dover essere probabilmente in imbarazzo per tanto interesse da parte sua e, ciò non di meno, ignorando la ragione del medesimo, soprattutto a confronto con quanto aveva presunto essere il suo desiderio nel loro recente passato, ossia quello di non avere a che fare ulteriormente con lui.

Dopo tante parole, a confronto, nuovamente, con quell’interrogativo, e senza, ora, occasione utile a eluderlo, la donna si ritrovò costretta a riservarsi un lungo momento di silenzio, e un lungo momento di silenzio in conseguenza alla necessità di individuare una risposta utile a quella stessa domanda. Perché, per quanto ella fosse certa della ragionevolezza di ritrovare Basel e di affrontarlo, difficile sarebbe stato, in verità, avere a condividere tale sicurezza con qualcuno e, in particolare, proprio con lui.
Cosa avrebbe dovuto dirgli? Avrebbe dovuto spiegargli la verità esistente dietro alle storie di Midda e, in ciò, condividere con lui il proprio turbamento a confronto con colui che, in quel mondo, in quella realtà, ai suoi occhi appariva qual il corrispettivo del proprio amato Be’Sihl…?!
Nel migliore dei casi, egli l’avrebbe presa per pazza. E difficile sarebbe stato non offrirgli torto.
Perché, improvvisamente, tutto quello che un istante prima sembrava così chiaro innanzi al suo giudizio, soprattutto a seguito della splendida chiacchierata in compagnia della propria gemella, ora non avrebbe potuto ovviare ad apparire terribilmente confuso? Perché il proprio cuore stava iniziando a battere e a battere a una velocità insolitamente accelerata nell’evidenza di una situazione di crisi, e una situazione di crisi a confronto con la quale non avrebbe potuto ovviare a dirsi terrorizzata dai risvolti che avrebbero potuto conseguire a ciò…?!

« Perché…?! » ripeté egli, con tono che desiderava mantenersi ancora quieto e, ciò non di meno, con una crescente serietà, o, per lo meno, tale interpretata nel confronto con il giudizio alterato della donna posta innanzi a lui, di quella donna che non aveva fatto altro che inseguirlo per giorni, cercarlo senza tregua, salvo, ora, non essere apparentemente più in grado di offrire una singola parola nel confronto con lui.

Il mondo attorno a Maddie parve rallentare, nel confronto con l’ansia generata da quel momento, da quel confronto. Un’ansia invero ingiustificata, e che pur, nel profondo del suo cuore, non avrebbe potuto essere equivocata in altro modo, nel non permetterle quasi di avere occasione di respirare.
Cosa aveva fatto...?! Aveva veramente mandato al diavolo la felicità che lì, finalmente, era stata in grado di conquistare, con il proprio compagno, con la propria famiglia, con il proprio lavoro, per inseguire la chimera rappresentata da quell’uomo e da quell’uomo a lei sconosciuto? Era stata davvero così stupida…?!
Era stata felice. Dopo trentatré anni di coma, e un ulteriore, interminabile anno speso a riconquistare la propria vita, il proprio corpo, la propria libertà, il fato le aveva concesso l’occasione di essere felice, insieme a Desmond, insieme alla sua famiglia, in quel nuovo mondo scevro di ogni follia. E quanto ella era stata in grado di fare, semplicemente, banalmente, era stato mandare tutto all’aria…
… per cosa poi? Per poter essere un personaggio nato dalla sua stessa immaginazione?!
Beh… in tal caso, forse, ci stava riuscendo meglio del previsto, giacché nel corso della propria vita come Midda, a ben vedere, avrebbero avuto a dover essere elencate di più le mosse azzardate rispetto a quelle assennate, di più gli errori rispetto alle scelte corrette. Tale era sempre stata Midda Bontor: l’incarnazione stessa della libertà, e della libertà di sbagliare, e di sbagliare non in maniera fine a se stessa, ma per crescere, per diventare continuamente una versione migliore di sé, anche a costo, in tal modo, di essere costretta a lasciare la felicità che avrebbe potuto contraddistinguerla, la serenità che avrebbe avuto a doversi riconoscere altresì alla base della propria quotidianità.
Ma essere Midda Namile Bontor, la Figlia di Marr’Mahew, l’Ucciditrice di Dei, la Campionessa di Kriarya, la donna da dieci miliardi di crediti, non avrebbe dovuto essere frainteso qual qualcosa di semplice, qual qualcosa di gradevole. Non sempre. Perché ogni errore avrebbe avuto il proprio prezzo da pagare… e, in quel caso specifico, in quella propria rinnovata ricerca di autodeterminazione, ella si stava allor ponendo a confronto con il conto, e un conto che, forse, non avrebbe voluto saldare, per quanto, ormai, non vi fossero alternative.

« Perché, Midda…?! » insistette la voce di Basel, in quel momento quasi inudibile alle sue sorde orecchie, in quell’assurdo stallo nel quale la sua mente si stava allor ponendo, in un terrificante attacco di panico.

“…”

Se già il mondo attorno a Maddie era parso rallentare, innanzi a quell’ultimo interrogativo esso ebbe a fermarsi completamente a confronto con la sua percezione della realtà, in un arresto, in un blocco totale dovuto, nel dettaglio, a una singola parola da lui così pronunciata.
Una singola parola che, altro, non avrebbe avuto a doversi riconoscere se non un nome e un nome volto ad appellarla, ma, allora, non ad appellarla come Maddie, quanto e piuttosto come…

“… Midda…?”

L’aveva veramente chiamata Midda…? Perché avrebbe mai dovuto chiamarla Midda...?!
Nella migliore delle ipotesi, ella aveva udito male, fraintendendo la pronuncia del proprio nome in quella diversa declinazione. Nella peggiore delle ipotesi, egli doveva averla realmente chiamata in tal maniera, e questo avrebbe potuto aprire dozzine di scenari, nessuno dei quali propriamente positivo.
Che ella si fosse sbagliata su quell’uomo e, allorché essere un possibile amico, avrebbe avuto a doversi considerare un pazzo visionario che aveva creato un pericoloso cortocircuito fra l’autrice e la sua protagonista? Che ella si fosse sbagliata su quell’uomo e, allorché essere stata lei a dare la caccia a lui, avrebbe avuto a doversi riconoscere esattamente l’opposto, con lui che, in maniera indubbiamente meritevole di lode, l’aveva perseguitata sino a quel momento senza rendere nulla di tutto ciò realmente palese al punto tale da offrire spazio a quell’impropria, e forse solo supposta, inversione delle parti? In effetti, rieleggendo gli eventi occorsi sino a quel momento, sino a quel giorno, sotto una tanto paranoica interpretazione della realtà, tutto avrebbe potuto acquisire un diverso significato, a partire dal salvataggio di Santiago, tutt’altro che casuale, sino a ritornare a quelle sue continue e ossessive apparizioni innanzi al suo sguardo, in termini tali da alimentare in lei la curiosità di conoscerlo meglio, con la volontà di scambiare con lui quattro chiacchiere per così come poi era stato.
Ma se tale avesse avuto a doversi considerare la realtà, a dir poco terrificante avrebbe avuto a doversi riconoscere la follia di quell’uomo, sospintosi a livelli ben oltre qualunque ipotesi di molestia o di persecuzione…
… no. A parlare, allora, avrebbe avuto a dover essere considerata soltanto la sua paura.
La stessa paura che, in quel momento, la stava bloccando. E attorno a lei stava bloccando la sua intera percezione del mondo…

… o forse no?!

« … ma cosa diavolo…?! » sgranò gli occhi la donna, così sorpresa da superare persino il concetto stesso di spavento o terrore, nell’impossibilità a credere a quanto allora stava accadendo.

giovedì 21 marzo 2019

2856


« … Basel? »

Una strategia tutt’altro che fallimentare, quella che ebbe così ad abbracciare, come si ebbe a dimostrare dal confronto con i risultati, e con quei risultati che, alla fine, ebbero a permetterle di giungere alle spalle dell’uomo da lei così appassionatamente ricercato, sorprendendolo intento, alle prime luci dell’alba, a scaricare alcune casse nella zona del mercato più grande e importante della città.
Una strategia, la sua, che ebbe necessariamente a spiazzare anche lo stesso Basel, il quale, in tal maniera raggiunto e identificato, non poté ovviare a voltarsi con aria disorientata, nel confronto con quella donna e con quella donna che, probabilmente, non si sarebbe atteso di poter incontrare… e non di certo in quel luogo o a quell’ora.

« Maddie!... » la riconobbe egli, osservandola con incerta curiosità, e con un’incerta curiosità, dal proprio punto di vista, più che legittima, nel considerare quanto, in fondo, fosse stata proprio lei a imporre un termine al loro nascente rapporto, di qualunque natura esso fosse.

E nel porsi, finalmente, innanzi a lui, per un istante Maddie non seppe cosa dire o cosa pensare, laddove, a quel punto, la sua fantasia avrebbe nuovamente dovuto scontrarsi con la realtà, e tutti i suoi sogni, tutte le sue emozioni innanzi alla necessità di ricercare e ritrovare Be’Sihl si sarebbero quindi scontrati con l’evidenza di quanto, lì, quell’uomo, non avesse a essere Be’Sihl… né, obiettivamente, avrebbe mai potuto esserlo, anche laddove, al contrario, ella avrebbe potuto eventualmente riconquistare la propria identità come Midda Bontor, in quel proprio nuovo proposito, in quel proprio nuovo impegno.
Solo silenzio, quindi, ebbe a imporsi fra quell’uomo e quella donna, nel mentre in cui attorno a loro il mondo si muoveva con quieta frenesia, ad allestire tutto quanto prima dell’orario di apertura, prima dell’arrivo dei primi clienti, prestando attenzione, malgrado l’incredibile traffico di persone e merci, a mantenere ogni rumore quanto più possibile contenuto, nel rispetto di quell’orario ancor troppo immaturo per poter essere realmente considerato mattino.

« Buongiorno… » accennò un lieve sorriso egli, nel confronto con quel momento di stallo, e quel momento di stallo che lo stava lì trovando ancora con una pesante cassetta fra le mani, pesante cassetta che, allora, ebbe a consegnare a un proprio collega, per potersi riservare una maggiore libertà nel confronto con quell’interlocutrice « … non mi aspettavo di poter avere occasione di rincontrarti. » soggiunse, passandosi la mancina sul retro dei pantaloni, a imporle un qualche presumibile senso di pulizia, prima di tenderla verso di lei in segno di saluto « Come stai? »
« … non è stato facile trovarti. » commentò ella, osservando incerta quella mano tesa verso di lei, laddove, allorché limitarsi a quel gesto, e a quel gesto così formale, ella avrebbe altresì preferito potergli saltare al collo, e abbracciarlo, per quanto, chiaramente, tutto ciò sarebbe stato quantomeno inopportuno nei confronti di un perfetto estraneo.
« Mmm…? » esitò Basel, aggrottando appena la fronte, nel dimostrare di non avere a comprendere il senso di quell’affermazione.
« Non è stato facile trovarti. » ripeté ella, scuotendo appena il capo « Non possiedi un profilo internet, non sei presente sui social, né su un qualunque elenco telefonico… non che oggigiorno qualcuno faccia ancora riferimento agli elenchi telefonici, sia chiaro. » precisò, non in tono d’accusa verso di lui, quanto e piuttosto a titolo esplicativo, e a titolo esplicativo di quanto appena asserito « Ho provato a chiedere di te ai dipendenti della libreria dove ci siamo incontrati la prima volta, nell’eventualità in cui tu fossi stato un loro cliente abituale… ma ovviamente non ti conoscevano, o comunque non si ricordavano di te, nel marasma di persone che hanno partecipato alla presentazione. »
« Ammetto di essere un po’ confuso… » sussurrò l’altro, ritraendo la mancina e accennando un lieve sorriso imbarazzato « … perché mi stavi cercando? »
Maddie, tuttavia, sembrò ignorare quel quesito, proseguendo nello spiegare, ancor prima del perché, il come ella fosse stata in grado di trovarlo: « Non avendo avuto fortuna nella libreria, ho iniziato a provare a chiedere di te a tutti i negozianti attorno alla piazza dove eravamo soliti incontrarci, per comprendere se qualcuno di loro potesse conoscerti… ma, ancora una volta, nulla di fatto. » definì, scuotendo il capo « Così ho tentato di seguire la pista del tuo intervento in soccorso a mio nipote. Ah! Per inciso… grazie! Grazie! E ancora grazie! » sancì, portandosi le mani al petto, a evidenziare il proprio più sincero trasporto emotivo per il suo aiuto, per quell’azione decisa per solo merito della quale Santiago aveva avuto occasione di sopravvivere indenne a quella che, altresì, sarebbe sicuramente stata una terrificante tragedia « Perché sei stato tu… non è vero?! » soggiunse poi, in quella che, comunque, non avrebbe avuto a doversi considerare realmente qual una domanda, quanto piuttosto una quasi retorica ricerca di conferma.
« Sì… ma… » esitò l’uomo, non avendo comunque neppure in tempo di annuire a quella richiesta prima che ella avesse nuovamente a riprendere voce verso di lui.
« Lo sapevo. L’ho detto a Rín che eri stato tu! Ne ero certa… » incalzò ella, socchiudendo per un istante gli occhi a godere di quel momento, e di quel proprio piccolo trionfo personale, in conseguenza alla ragione che si stava vedendo quindi riconosciuta « Purtroppo, non so perché, quel giorno sei scappato via prima che chiunque potesse realmente comprendere cosa fosse successo… e così nessuno, in effetti, è riuscito a ricostruire con esattezza né la dinamica degli eventi, né, tantomeno, ha avuto la possibilità di identificarti. » spiegò, nell’evidenziare, in conseguenza di ciò, un nuovo fallimento nella propria ricerca, e in quella ricerca che era stata a lungo infruttuosa, almeno sino a quando un’idea tanto azzardata quanto fortunata non l’aveva colta « Fra l’altro, se non ho capito male, il sindaco vorrebbe candidarti a ricevere un premio al valor civile… però per poterlo fare prima dovrebbe riuscire a comprendere chi tu sia, cosa che, nella situazione attuale, non ha a doversi considerare particolarmente semplice: non so se ti possa interessare. »
« In verità no… » sussurrò Basel, in un quieto sospiro, nella certezza di quanto, comunque, anche quel nuovo proprio intervento sarebbe stato pressoché ignorato al pari degli altri, nel fiume di parole con il quale ella stava evidentemente infrangendo un qualche blocco emotivo, e un blocco emotivo che troppo a lungo doveva averla frenata e che, venendo lì meno, non avrebbe potuto condurre ad altro risultato, nel bene o nel male, se non a quello.
E, in effetti, la donna dagli occhi color ghiaccio non si concesse occasione di freno, subito riprendendo e proseguendo il discorso rimasto in sospeso prima di quella breve digressione nel merito degli eventi relativi al salvataggio di Santiago: « Comunque alla fine ti ho trovato. E non ci crederai mai, ma ti ho trovato grazie a Elric di Melniboné… il libro che stavi leggendo! » proclamò, non senza un certo orgoglio nell’essere riuscita in ciò, e in qualcosa che, probabilmente, chiunque altro avrebbe ritenuto impossibile « Mi sono ricordata, infatti, di come tu mi avessi detto di averlo comprato in una bancarella. E così ho iniziato a girare tutte le bancarelle dell’usato, e non hai idea di quante accidenti siano in questa città, sperando che qualcuno si ricordasse di aver venduto quello specifico volume e che, magari, avesse anche una qualche idea nel merito dell’identità dell’acquirente. »
« … ed è stato così? » provò a suggerire l’uomo, attendendo il gran finale.
« Ed è stato così! » confermò ella, annuendo vigorosamente « Mi hanno detto che lavori ogni mattina e ogni sera in questo mercato, dando una mano ad allestire e a smontare i vari banchi. E, in questo, mi è stato sufficiente venire qui, questa mattina, per avere finalmente occasione di incontrarti! » concluse, concedendosi, solo allora, la possibilità di un amplio sorriso, e si un sorriso felice verso di lui o, forse e piuttosto, nel confronto con il proprio trionfo, e quel trionfo che, tuttavia, non aveva ancora trovato una reale spiegazione, così come egli non mancò di evidenziare riproponendo un semplice interrogativo.