11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

domenica 31 marzo 2019

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Nel corso della propria vita, e della propria intensa carriera qual magistrato di uno dei più potenti sistemi di quell’angolo di galassia, a muovere le azioni di Pitra Zafral, a offrire un significato a tutti i suoi gesti e a tutte le sue decisioni, avrebbe avuto a dover essere sempre riconosciuto un profondo rispetto della legge.
A confronto con la propria percezione della realtà, e con essa dell’intero universo a sé circostante, infatti, Pitra Zafral non avrebbe avuto a doversi fraintendere qual animato da una qualche volontà di giustizia fine a se stessa. La giustizia, nella propria stessa idea, nella propria essenza più pura e incontaminata, avrebbe infatti avuto a doversi ricollegare a un qualsivoglia genere di morale e, nel confronto con il suo sguardo, innanzi al suo giudizio, la morale avrebbe avuto a doversi giudicare qual estremamente fallibile, per così come la Storia avrebbe potuto quietamente comprovare nel definire morale un giorno qualcosa che, sino a qualche decennio, prima avrebbe avuto a doversi ritenere altresì immorale, e viceversa. La morale, in tal senso, avrebbe avuto, pertanto, a doversi intendere qual fallibile innanzi al suo sguardo, e, di conseguenza, del tutto inadatta a essere ispiratrice di una qualunque azione, di un qualunque gesto o, peggio ancora, di una qualunque decisione, utile a sancire l’innocenza o la colpevolezza di qualcuno.
Parimenti, benché nei quasi trent’anni qual accusatore al servizio dell’omni-governo di Loicare, Pitra Zafral avesse visto la propria posizione ascendere in importanza e prestigio, divenendo, di buon grado, uno fra gli uomini più potenti e temuti di tutto il vasto dominio proprio di Loicare, e, a tratti, persino confuso, nella propria medesima persona, qual incarnazione stessa di un altrimenti incorporeo omni-governo; egli non avrebbe avuto a dover essere comunque frainteso qual inebriato dal proprio potere, dal proprio prestigio. Al contrario, e in effetti, egli non avrebbe avuto a doversi riconoscere solito neppur ricercare una qualche idea di singolarità, di individualità, per se stesso, preferendo, piuttosto, aversi a dover considerare, e poter essere considerato, qual un mero ingranaggio di un meccanismo molto più grande e molto più complesso di lui: un meccanismo che, di lui, avrebbe potuto fare quietamente a meno, ma del quale egli avrebbe continuato a far parte non senza un certo orgoglio, almeno fino a quando gliene fosse stata concessa l’opportunità, in antitesi a qualunque possibilità di protagonismo.
Non una qualche brama di giustizia, non una qualche brama di gloria, quindi, avrebbe avuto a doversi riconoscere ragione a fondamento del famoso, e giustamente temuto, accusatore Pitra Zafral, quanto e piuttosto, squisitamente, la perfezione propria della legge.
E di quella legge attraverso la quale, ai suoi occhi, l’intera realtà avrebbe avuto a dover essere necessariamente rielaborata, rinunciando a ogni sfumatura di colore o di grigi, per mostrarsi nella sua più intima e pura essenza: o bianca o nera, o in accordo alla legge o in disaccordo alla legge… giusta nel primo caso, sbagliata nel secondo. E laddove qualcosa si fosse proposto in disaccordo alla legge, lì egli sarebbe subentrato, per riportare l’ordine là dove ordine non avrebbe più avuto altrimenti a essere.

Nel proprio viscerale rispetto per la legge, a livelli quasi religiosi, lo zelota Pitra Zafral avrebbe avuto a doversi riconoscere, in verità, anche un ubbidiente esecutore delle volontà dell’omni-governo, giacché, in effetti, proprio dall’omni-governo avrebbe avuto a dipendere la legge e la sua attuazione.
Era stato proprio in ottemperanza a tale ubbidienza nei riguardi della volontà dell’omni-governo di Loicare che egli, in quegli ultimi anni, si era ritrovato impegnato, fra i propri numerosi compiti, anche a tentare di seguire le tracce proprie di un’eccentrica figura femminile: una donna di specie umana, dai modi e dalla lingua quantomeno originali, comparsa per la prima volta innanzi alla sua attenzione quasi quattro anni prima, dopo essere stata posta in arresto con una serie di accuse minori che le erano valse una lieve condanna ai lavori forzati nelle miniere della terza luna di Kritone. E se la storia personale di quella donna si fosse conclusa in tal modo, rispettando la condanna subita e scontandola sino all’ultimo dei giorni prescritti, per Pitra Zafral non vi sarebbe stato ulteriore interesse verso di lei: tuttavia, in totale disprezzo di qualunque legge, dopo poco tempo ella si era sottratta a tale condanna, decidendo di evadere prematuramente in compagnia di altre due improvvisate compagne e complici e, con esse, dileguarsi in latitante clandestinità. Un’evasione, una fuga, la sua, a dir poco provvidenziale per la medesima donna, giacché allor occorsa in tempi utili a non permettere agli accurati controlli da parte dell’omni-governo di Loicare di scoprire maggiori dettagli nel merito della sua effettiva identità e di un’identità che avrebbe avuto a doversi riconoscere qual quella di una più pericolose assassine viventi, con all’attivo un numero si elevato di omicidi da poter offrire quieta competizione a una genocida, se soltanto, per totalizzare simile terrificante risultato, ella non avesse in tal senso agito sempre personalmente, e sempre in offesa a singoli individui, mossa in tal senso per lo più da motivazioni di ordine mercenario allorché da qualunque altro possibile intendimento o interesse personale o, peggio ancora, ideologico.
Per dovere di cronaca, e forse a propria parziale discolpa, Pitra Zafral aveva avuto occasione di interlocuzione diretta con quella donna, con quell’assassina, non più di due sole volte nel corso di quegli ultimi quattro anni. La prima, in particolare, era occorsa in concomitanza al di lei arresto e alla definizione della sua pena, aggravatasi anche in conseguenza a un’aggressione da lei mossa a discapito dello stesso accusatore nel corso del loro colloquio formale: un tempo, quello, antecedente in ciò alla scoperta della sua effettiva fedina penale. La seconda, poi, era avvenuta a distanza di quasi tre anni da quel giorno, quando, dopo lungo peregrinare, egli si era riservato occasione di rincontrarla in quel del sistema di Oh’Shar-An, là dove, dietro diretto ordine dell’omni-governo, aveva teso, in buona sostanza, una vera e propria trappola alla famigerata Midda Namile Bontor, e alle sue compagne di misfatti, al solo scopo di recare loro un’offerta e un’offerta a confronto con la quale, che potessero accogliere tutto ciò con piacere o meno, nessuna fra loro avrebbe potuto tirarsi indietro, pena una severa ritorsione a loro discapito, entro i pur abbondanti limiti definiti dalla legge, per tutte le loro non sconosciute colpe, e, con esse, a discapito anche di tutti i loro amici di quel della Kasta Hamina, un piccolo mercantile di classe libellula a bordo del quale esse vivevano la propria quotidianità quali membri effettivi di quell’eterogeneo equipaggio.
Purtroppo, anche laddove il messaggio non aveva mancato di giungere a destinazione, vedendolo, in tal senso, adempiere al proprio mandato, Pitra Zafral non avrebbe potuto ovviare a un’espressione di sincera disapprovazione nel giorno in cui si ebbe a ritrovare a confronto con una nuova, e sgradevole, evasione da parte delle sue supposte prigioniere e, con esse, della loro intera prigione, qual la stessa Kasta Hamina avrebbe avuto a dover essere stata in tal maniera impropriamente eletta: un’evasione, allora, in conseguenza alla quale la stessa nave stellare era apparentemente scomparsa da ogni loro scansione sensoriale, prima che, comunque, l’impositivo patto loro concesso fosse stato rispettato, nella consegna di un individuo di nome Reel Bannihil, un individuo la consegna del quale, a confronto con gli interessi dell’omni-governo, avrebbe avuto a valere l’assoluzione della stessa Midda Bontor e di tutti i suoi complici. Una disapprovazione, quella propria dell’accusatore, non soltanto innanzi all’evidente mancanza di rispetto da parte della stessa Midda Bontor, ma anche, e ancor più, nel confronto con l’intrigo politico del quale, forse tardivamente, aveva maturato coscienza essersi ritrovato partecipe, in termini che avrebbero avuto a doversi riconoscere pericolosamente sfumati sul confine di quella sua idolatria per la legge e della conseguente ubbidienza verso l’omni-governo.
Ma se, dal canto proprio, l’omni-governo doveva aver compreso d’essersi spinto in maniera impropria nell’impiego di una delle proprie più importanti risorse, in termini tali da riassegnare lo stesso accusatore ad altri incarichi, chiedendogli di dimenticare la questione di Midda Bontor e Reel Bannihil; un’altra parte in causa non avrebbe avuto a doversi riconoscere adeguatamente calata all’interno delle dinamiche politiche di Loicare per essere informata a tal riguardo, e per, in tal senso, avere consapevolezza di quanto, ormai, Pitra Zafral non avrebbe più avuto a vantare alcun interesse nei propri riguardi.

Fu così che, all’alba di un nuovo giorno, quando l’accusatore Pitra Zafral ebbe a risvegliarsi entro i quieti confini del proprio appartamento, e di quell’appartamento in cui viveva solo, non avendo mai amato null’altro al di fuori della legge, e solo alla legge avendo votato la propria esistenza, egli non ebbe a scoprirsi solo come avrebbe dovuto essere. Giacché, ai piedi del suo letto, comodamente accomodata su una seggiola, con le gambe quietamente appoggiate alla pediera del letto e le braccia incrociate al petto, avrebbe lì avuto a potersi apprezzare l’inattesa figura propria di una donna… e non di una donna qualsiasi.
Figura matura, con un’età presumibilmente prossima ai quarantacinque anni, ella avrebbe potuto vantare un corpo contraddistinto da una straordinaria forma fisica, e una forma fisica non conseguente a una banale frequentazione di qualche palestra, quanto e piuttosto a una vita intera trascorsa a combattere, e a combattere per la propria stessa sopravvivenza. Una vita non facile, la sua, che non aveva mancato di lasciare i propri segni sul suo corpo, fra i quali, i più evidenti, avrebbero avuto a riconoscersi qual una lunga cicatrice perpendicolare al suo occhio sinistro, uno sfregio quasi imperdonabile su un viso altrimenti squisito nella propria amabile fattura, e la completa perdita del suo braccio destro, lì sostituito da una protesi in chiaro metallo cromato dai lucenti riflessi. Ma, al di là di tali prime caratteristiche volte a non celare la sua indole guerriera, che avrebbero avuto a doversi poi parimenti accompagnare da una lunga e variegata collezione di altre cicatrici su tutto il proprio corpo, tale corpo squisitamente femminile, e quella donna più in generale, non avrebbero avuto a doversi confondere qual prive di una propria intrinseca beltà e, forse e ancor più, di un proprio fascino. I suoi occhi, azzurri come il ghiaccio, risplendevano lucenti al centro di un volto amabilmente ovale, dalla chiara pelle spruzzata di lentiggini, contraddistinto anche da un sottile naso e da rosee e carnose labbra al di sopra di un irriverente mento ornato, nel suo mezzo, da una piccola e ribelle fossetta. Attorno a ciò, una corta zazzera color del fuoco non avrebbe potuto mancare di evidenziare quanto, rispetto al loro precedente incontro, ella dovesse aver evidentemente deciso di rinunciare a quel corto, cortissimo taglio quasi militaresco, in favore, forse, del ritorno alla propria capigliatura originale, e a quella capigliatura con la quale, quattro anni prima, l’aveva incontrata, pur all’epoca ancora tinta in tonalità nere corvine, in termini ben distanti dal rosso vivace lì sfoggiato e, comunque, non meno appropriato a contorno di quell’immagine. E se già, in tutto ciò, la femminilità di quella figura non fosse stata adeguatamente apprezzata, a completamento di tutto ciò non avrebbe avuto a dover mancare il resto della sua figura, e di quella figura atletica e, al contempo, tutt’altro che longilinea, nell’aver a vantare, al contrario, forme apprezzabilmente piene nelle proprie proporzioni, con particolare attenzione, invero, ai suoi fianchi e ai suoi seni, questi ultimi sì marcati, sì generosi, da risultare, a tratti, persino eccessivi nella propria abbondanza.
Una donna affascinante, Midda Namile Bontor, che pur non facendo mistero della propria non più fanciullesca età, non avrebbe certamente sfigurato a confronto con alternative più giovani, e forse e persino più belle, rispetto a lei… e una donna che, in quel momento, lo stava osservando dai piedi del proprio letto.

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