Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.
Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!
Scopri subito le Cronache di Midda!
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E siamo a... QUATTROMILA!
Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!
Grazie a tutti!
Sean, 18 giugno 2022
Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!
Grazie a tutti!
Sean, 18 giugno 2022
sabato 30 marzo 2019
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Avventura
055 - Alla ricerca di Midda
« Qualcuno chiami il dottore… presto! »
Il risveglio di Midda a bordo della Kasta Hamina, il suo ritorno alla realtà, non si ebbe, purtroppo, a discostare in maniera particolarmente marcata da quello che avrebbe potuto vantare di ricordare di aver già sperimentato nell’altro mondo, quando, ancora inconsapevole di aver a doversi considerare qual Maddie, ella si era risvegliata su un letto d’ospedale, scoprendosi, proprio malgrado, immobilizzata all’interno del proprio stesso corpo, qual conseguenza di trentatré anni di coma.
Se, infatti, nove mesi non avrebbero avuto a potersi neppur lontanamente porre in paragone a trentatré anni, quegli stessi nove mesi trascorsi inconsapevolmente intrappolata all’interno della propria stessa mente, in uno stato di fondamentale coma, non avrebbero avuto a doversi considerare privi di conseguenze per il suo pur perfetto stato fisico, per quel corpo forgiato da decenni di costante allenamento e temprato nel fuoco di troppe battaglie per poter sperare di essere anche e soltanto ipoteticamente stimate nel proprio numero. Il suo corpo, costretto a tale immobilità, alimentato a forza, non avrebbe potuto ovviare a perdere, purtroppo, parte della propria tonicità, del proprio straordinario vigore, nell’intorpidimento, nell’atrofizzazione di quei muscoli che, allora come nell’altra realtà, avrebbero quindi avuto a dover essere necessariamente rieducati al movimento, attraverso un nuovo, e non privo di frustrazioni, processo di fisioterapia.
Così, riaprendo i propri meravigliosi occhi color ghiaccio e volgendo il proprio sguardo all’interno della piccola infermeria della nave mercantile di classe libellula, Midda Namile Bontor si ritrovò a essere appena capace di esprimere parola, con una voce bassa, parole appena udibili, e che pur, nel momento in cui la sua vista ebbe a porsi a confronto da un lato con il suo amato Be’Sihl, e dall’altro con il volto di Reel Bannihil, dietro il quale, tuttavia, avrebbe avuto a doversi ricordare sussistere la mente di Desmair, non mancò di volersi impegnare a concedere un commento, e un commento che, mai come in quel momento, avrebbe avuto a doversi considerare scaturire dal profondo del suo cuore…
« Lu… lurido fi… glio di una… grandis… sima cagna… » sussurrò, o forse e piuttosto ringhiò, in direzione di quel volto che pur, in quelli che per lei erano stati più di due anni, aveva imparato ad amare come quello di Desmond, e che, al contrario, in quella realtà, non avrebbe potuto ovviare a odiare, e a odiare associandolo a quel mai desiderato sposo colpevole, ormai, anche di quell’ultimo, e plateale sgarro, nell’averla intrappolata all’interno della propria mente e nell’averla ridotta, conseguentemente e imperdonabilmente, in quelle oscene condizioni.
« Se credi di offendermi dando della cagna a mia madre, ti sbagli di grosso, moglie cara. » sorrise sornione Desmair, scuotendo appena il capo con fare divertito e volutamente equivocando quell’insulto non qual rivolto a proprio stesso discapito quanto, e piuttosto, a quello di sua madre « Sai bene che, fra tutti i suoi detrattori, proprio io ho da essere ricordato qual il principale… » strizzò l’occhio sinistro con fare complice verso di lei, a evidenziare il proprio più sereno confronto con quelle ultime parole « Comunque mi fa piacere che, al momento del tuo risveglio, il tuo primo pensiero sia stato proprio io: evidentemente il tempo trascorso in compagnia del mio simulacro ti deve aver raddolcita nei miei confronti! » soggiunse infine, suggerendo una certa soddisfazione in tal senso.
« Ti… ucciderò… » promise ella, per tutta risposta, in un proposito non propriamente nuovo a suo discapito e nel confronto con il quale, tuttavia, dopo ormai più di dieci anni di matrimonio, non era ancora stata in grado di mantenere fede, non trovando occasione utile a ucciderlo, e a ucciderlo in maniera definitiva.
Stringendosi fra le spalle, a minimizzare la minaccia così da lei offertagli, Desmair ebbe allora a tirarsi all’indietro, per uscire dal suo campo visivo e lasciare, in tal senso, spazio di manovra al sopraggiunto dottor Roro Ce’Shenn, il medico di bordo della Kasta Hamina, lì appena entrato nella propria infermeria a seguito del richiamo di Rula Taliqua.
Rula, al pari di tutti gli altri membri dell’equipaggio della Kasta Hamina, avrebbe avuto infatti a riconoscersi lì impegnata nello scrupoloso rispetto di un ordinato piano di ripartizione dei turni di sorveglianza in infermeria, turni che avevano avuto inizio sin dal momento in cui Desmair aveva posto piede a bordo come non-poi-così-gradito ospite, e Be’Sihl si era a sua volta addormentato su una branda predisposta accanto al giaciglio della propria amata, animato dalla volontà, in tal senso, di riuscire a riportarla indietro. Purtroppo per Be’Sihl, e per tutti loro, avrebbero dovuto essere considerati già trascorsi dieci giorni dal momento in cui quella bizzarra missione di recupero aveva avuto inizio e, francamente, non pochi avrebbero avuto a doversi considerare i timori sulla riuscita della stessa, in termini tali per cui, ovviamente, il capitano Lange Rolamo, insieme alla propria ex-moglie nonché comproprietaria della nave e primo ufficiale, Duva Nebiria, aveva già iniziato a prendere in esame un possibile piano d’emergenza, e un piano d’emergenza che, allora, avrebbe dovuto veder Desmair, primo responsabile per tutto quello, catapultato nel vuoto siderale: in tal maniera, anche laddove la sua supposta immortalità gli avrebbe consentito di risorgere, il gelo dello spazio, l’assenza d’aria, e tutto il resto, avrebbe potuto provvedere a reimporgli pressoché immediata occasione di nuova morte, speranzosamente condannandolo in tal modo a un’eterna agonia e, soprattutto, liberando definitivamente il Creato dalla sua incomoda presenza.
Fortunatamente per tutti, per Midda e Be’Sihl, innanzitutto, ma anche per l’inconsapevole Desmair, il quale non avrebbe potuto probabilmente attendersi tanta solidarietà da parte dei compagni di equipaggio della propria mal sopportata moglie nei confronti della medesima al punto tale da spingerli, eventualmente, a una tanto radicale, quanto vendicativa soluzione, la messa in atto di quel piano non ebbe a dover essere posta in essere… non, quantomeno, nel risveglio della medesima Figlia di Marr’Mahew.
« Bentornata fra noi, figliuola… » sorrise l’anziano Roro, appropinquandosi alla propria paziente allo scopo di verificarne le condizioni fisiche « Spero che tu sia consapevole di aver fatto preoccupare un bel po’ di gente con questa tua ultima trovata. » puntualizzò, avvicinandosi al volto di lei per poter osservare da vicino i suoi occhi e la reattività di questi ultimi.
« La cosa… mi è sfuggita… di mano… » argomentò per tutta risposta ella, provando a scuotere il capo e, proprio malgrado, dimostrandosi soltanto in grado di farlo fremere appena « … Thyres… » sussurrò, non priva di una certa frustrazione, nel porsi perfettamente consapevole di quanto difficile sarebbe stato per lei riuscire a riprendersi da tutto quello, avendolo purtroppo già sperimentato nelle vesti di Maddie.
« L’eufemismo del secolo! » esclamò la voce di Duva, nel mentre in cui ella, insieme a Lys’sh, a Ragazzo, e al capitano, facevano capolino sulla porta dell’infermeria, senza entrare, viste le dimensioni contenute di quello spazio, e pur lì desiderosi di assicurarsi dell’effettivo stato di salute della loro amica, e di quell’amica sul sonno della quale per così tanto tempo avevano tutti vegliato.
« Bontor… » l’apostrofò la voce di Lange, severa come sovente nei suoi riguardi « … la invito a ricordarsi che questa nave e il suo equipaggio non sono qui al solo scopo di supportare ogni sua bravata. » la rimproverò, come prima cosa, con il tono di chi si doveva essere preparato quella frase già da molto tempo, probabilmente almeno nove mesi « Quindi la prossima volta che le viene in mente un’idea tanto stupida, si faccia e ci faccia il favore di tirarsi uno schiaffo da sola e di lasciar perdere! » soggiunse poi, dimostrando, comunque, a modo suo dell’affetto nei riguardi della propria interlocutrice, fosse anche e soltanto nell’ovviare a minacciarla di buttarla fuori dalla nave e, anzi, a margine di quella particolare formulazione della frase, nell’intendere quietamente all’eventualità di una prossima occasione di errore da parte sua.
Eccoli… tutti lì. Chi davanti alla porta, chi oltre il suo raggio visivo per così come delimitato da quella soglia nell’impossibilità di potersi affollare in misura superiore a quanto già non stessero facendo: la sua famiglia.
Quegli uomini e quelle donne, umani e non, avevano atteso con pazienza per nove mesi il suo risveglio. Si erano arrabbiati, si erano spaventati, si erano preoccupati, e, ciò non di meno, non avevano mai smesso di aver fede in lei e nell’idea che, presto o tardi, si sarebbe ripresa, tornando a offrirsi loro come sempre. Qualcuno, in tal senso, avrebbe probabilmente dovuto già riconoscersi qual pronto a reimmergersi nei guai, al suo fianco, nell’affrontare qualche nuova sfida, nel porsi a confronto con tutti quei problemi che, sicuramente, la stavano lì già attendendo. Qualcun altro, al contrario, avrebbe sicuramente dovuto già riconoscersi qual pronto a tentare di frenarla, di impedirle di compiere nuove sciocchezze, nel confronto palese con l’entità smisurata dell’ultima da lei compiuta, il prezzo della quale era stato sin troppo a lungo pagato da tutti loro. Qualcuno l’avrebbe certamente acclamata. Qualcun altro l’avrebbe parimenti rimproverata. Ma, in una tale varietà di emozioni e di propositi, un fattore comune avrebbe avuto a doversi riconoscere qual veritiero: i mesi, gli anni che lei e Be’Sihl avevano avuto occasione di trascorrere a bordo di quella nave, crescendo un po’ alla volta, giorno dopo giorno, in quella nuova e più amplia visione della realtà rispetto a quella che avrebbero potuto vantare nel loro mondo natio, aveva visto generarsi dei legami, dei legami di affetto, dei legami di fiducia, tanto forti da arrivare a prevaricare gli interessi del singolo in virtù di quelli di quella piccola, grande famiglia. E così, il successo dell’uno sarebbe divenuto necessariamente il trionfo di tutti, nel mentre, in termini non dissimili e squisitamente costruttivi, in cui il fallimento dell’uno sarebbe stato distribuito sull’intero gruppo, trovando, in quella comune energia, in quella forza collettiva, lo sprone a riprovarci, a riprendersi.
Eccoli… tutti lì: la sua famiglia. L’ultima incarnazione della sua famiglia, laddove non avrebbero avuto a dover essere dimenticati altri compagni, altri amici che, in quel momento, non potevano essere lì accanto a lei e che, pur, probabilmente, avrebbero ben volentieri condiviso, con lei, tutto quello: Carsa, Howe, Be’Wahr, Seem, gli amici della Jol’Ange… forse, e persino, El’Abeb, e molti altri ancora. Tutti loro, e molti altri ancora, erano e sempre sarebbero rimasti la sua famiglia.
Tutti loro. Tutti loro avrebbero avuto a riconoscersi qual quella stessa famiglia il sogno della quale aveva rincorso nelle vesti di Maddie, rimpiangendo, in cuor suo, il padre, la madre e la sorella che, ancora decenne, ella aveva abbandonato, dalla quale era fuggita nel cuore della notte, per inseguire i propri sogni, per ricercare le proprie avventure, prima per le vie dei mari, poi per quelle della terra e, ormai, addirittura per quelle dei cieli. E, accanto a tutti loro, Midda avrebbe sempre avuto una famiglia.
« … che stupida… che sono stata… » sussurrò flebilmente in un lieve sorriso, nel contempo in cui una calda lacrima di gioia non mancò di accarezzarle il viso.
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