Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.
Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!
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E siamo a... QUATTROMILA!
Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!
Grazie a tutti!
Sean, 18 giugno 2022
Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!
Grazie a tutti!
Sean, 18 giugno 2022
domenica 30 novembre 2008
325
Avventura
008 - La corona perduta
Inevitabile fu il ritorno della coppia alla radura, proseguendo lungo il percorso in ascesa che avevano iniziato ma, effettivamente, rinunciando all’idea stessa di poter trovare qualcosa di diverso da essa attraverso tale via. Come giustamente aveva sottolineato Carsa, qualsiasi genere di illusione in quel momento sarebbe potuto essere loro fatale: giusto e necessario si proponeva quindi rinunciare alla vana speranza di non star affrontando un sortilegio all’interno di quel bosco, dove altrimenti avrebbero continuato a lottare inutilmente contro di esso senza alcun risultato, senza speranza di vittoria o, anche, di sopravvivenza.
Essi si ricongiunsero, così, ai compagni poco prima del tramonto, ritrovando Be’Wahr e Midda placidamente accampati in attesa del loro arrivo: addirittura un tranquillo fuoco si propose al loro sguardo, simile alla luce di un faro fra le tenebre ormai incombenti.
« Bentornati… » sorrise Be’Wahr, porgendo loro una piccola provvista di bacche ed altri frutti di bosco accumulata in loro assenza, in loro attesa « Sarete affamati dopo la risalita. »
« Credo sia evidente che non abbiamo alcuna buona notizia da offrire… » commentò Howe, dirigendosi verso la pozza per potersi dissetare, avendo la gola secca dopo aver trascorso un’intera giornata senza concedersi riposo alcuno nella speranza di poter comunicare qualcosa di diverso da quell’ammissione di sconfitta « Almeno ci abbiamo tentato. »
« Purtroppo la scitala parlava chiaro. » confermò Carsa, accogliendo con un sorriso di gratitudine l’offerta del biondo « Questa è una prova di saggezza e non sarà cercando di violare a brutto muso questi confini che riusciremo a guadagnarci la libertà sperata. »
La Figlia di Marr’Mahew, tranquillamente seduta nell’erba, evitò qualsiasi genere di commento, osservando altresì con evidente interesse lo svolgersi degli eventi. Dietro a tale silenzio, a tanta tranquillità molti erano i sentimenti che nel suo cuore si celavano, dividendola fra nostalgia e rifiuto, fra remissività e ribellione, facendo attenzione, però, a non svelare in maniera evidente, all’esterno, un simile conflitto interiore, per quanto ormai comprendesse come ai compagni ben poco sulle sue emozioni restasse da scoprire.
Per quanto non ne avesse concesso parola al resto della squadra, dal momento del loro arrivo nella necropoli ella aveva iniziato a subire una serie di strani déjà vu, vedendo riemergere prepotentemente i ricordi del futuro offertole dal sangue della chimera e prima relegati in un angolo della propria mente: immagini inizialmente confuse, poi sempre più chiare ad ogni passo che essi avevano compiuto all’interno di quel percorso, di quel tragitto. Superata la prima prova, il confronto con gli zombie, ella aveva visto simili memorie sbloccate di colpo, concedendole addirittura una sorta di preveggenza sugli eventi che sarebbero avvenuti, arrivando a conoscere in anticipo nel minimo dettaglio ogni espressione, ogni gesto, ogni frase che i propri compagni avrebbero offerto, ricordandoli come parte di un antico passato. Ormai, nel suo cuore, ella sentiva inevitabile il destino a cui si sarebbe ritrovata ad essere condannata, il fato a cui non sarebbe potuta scampare e se, da un lato, ella non lo desiderava, lo temeva, dall’altro sentiva di non poter fare a meno di lasciar il destino libero di seguire il proprio corso, senza interferire, come fosse la cosa più giusta da fare, per se stessa e per tutti gli altri.
« Avevi ragione, Midda. » intervenne lo shar’tiagho, prendendo parola verso di lei « Questo posto è il dedalo che cercavamo… perdonami per non averti voluto credere subito. »
« Non ti preoccupare… » scosse il capo ella, offrendo solo serenità nella propria espressione « Ora dobbiamo solo trovare il modo di uscire di qui… » ricordò, verso tutti.
« Già… » annuì Carsa, osservandosi attorno preoccupata « E sinceramente non credo potrà essere tanto semplice per dei comuni mercenari come noi. »
Un lieve colpo di tosse, impiegato al chiaro scopo di richiamare l’attenzione, si propose da parte di Be’Wahr: « Per favore… questa volta non guardatemi male… »
Tre furono i visi e gli sguardi che si volsero al giovane a quell’intervento, a quella presa di posizione, vedendo anche Howe riavvicinarsi al gruppo, nell’asciugarsi le labbra contro il dorso della mano: l’accenno offerto dal biondo, in riferimento più che evidente a quanto era avvenuto le ultime volte che egli aveva dimostrato di avere un’idea, in questa occasione attirò senza malizia la loro attenzione, consapevoli di come egli, apparentemente semplice nei propri percorsi mentali, si fosse già proposto in grado di aggirare un ostacolo seguendo vie che a loro non erano apparse tanto evidenti, così chiare.
« … ecco… ora mi imbarazzo però… » commentò egli, nel ritrovarsi soggetto all’interesse dei propri compagni, come non era abituato a fare.
« E parla, per Lohr… » intervenne il compagno fraterno, spintonandolo giocosamente « Giuro che se anche questa volta dimostrerai di aver ragione non ti insulterò più… per una settimana, almeno! »
« Grazie per l’incentivo… » replicò il primo, aggrottando la fronte e guardandolo storto « Ora sì che mi sento proprio desideroso di condividere la mia idea con tutti voi. »
« Su… non farti pregare. » si intromise con delicatezza Carsa, curiosa nella propria volontà di comprendere a cosa egli stesse mirando.
« D’accordo. » annuì il giovane, levando le mani ad ammettere resa « So che può sembrare sciocco ma mentre voi eravate in giro per il bosco a cercare eventuali soluzioni alternative all’ammettere la presenza di magia, io ho cercato di analizzare meglio la situazione, senza escludere tale fattore. »
« E…? » incitò Howe, portando le braccia ad incrociarsi sotto al petto « Avanti… cosa è emerso dall’alto della tua conoscenza sulla materia? »
Be’Wahr ignorò la frecciatina dell’amico, continuando: « Se escludiamo di poter uscire da questo dedalo per ogni via possibile ad eccezion fatta per quella attraverso la quale siamo giunti, quale possibilità ci resta? » domandò, nel cercare di spingere i compagni alla propria stessa deduzione.
« Nessuna, direi. » rispose lo shar’tiagho, offrendo immediata voce al pensiero che gli apparve più logico in quel frangente.
« No… » intervenne la giovane donna, negando quanto appena affermato da Howe ed afferrando, al contrario, il significato della domanda loro posta « Una sola strada: la stessa dalla quale siamo arrivati. »
« Esatto! » sorrise Be’Wahr, annuendo vistosamente a quel risultato condiviso.
Howe restò per un lungo istante in silenzio di fronte a quel ragionamento, cercando di seguirlo, provando a comprenderlo, nel voler concedere fiducia sia al fratello che alla compagna, la quale sembrava essere d’accordo con egli. Nella propria mente provò a ripetere una simile logica, ad analizzarla, a non porla in dubbio con uno stupido pregiudizio, ma per quanto impegno sincero pose in simile frangente, egli non riuscì ad arrivare alla medesima conclusione: dal suo punto di vista, forse limitato, non avrebbe potuto avere alcun senso tentare di uscire dal labirinto all’interno del quale si erano ritrovati imprigionati attraverso la stessa via, pericolosamente letale fra l’altro, che avevano percorso per giungervi, laddove essa non avrebbe portato a nessun luogo diverso da quello da cui erano partiti.
Con chiara perplessità, pertanto, egli cercò di proporsi in maniera più diplomatica possibile verso gli altri, esclamando: « Siete usciti entrambi di testa? »
« No… assolutamente! » replicò Carsa, per nulla turbata da tanta cortesia verbale « Al contrario è tutto tremendamente semplice e lineare: non corpo per superar le roste/saria utile ad evitar soste… l’indizio si esprime molto chiaramente a tal riguardo! »
« Esatto. » annuì nuovamente il biondo, mostrando una lunga fila di denti per la gioia di quel momento, nella consapevolezza di aver contribuito almeno in una delle prove attivamente, come fino ad allora non sentiva ancora di aver fatto « Non ci serve attraversare la foresta per proseguire nella nostra missione: dobbiamo solo tornare indietro… »
sabato 29 novembre 2008
324
Avventura
008 - La corona perduta
Carsa restò per un lungo momento in silenzio, non sapendo se replicare a tali parole e, soprattutto, cosa dire in tal caso: la situazione, invero, non piaceva neppure a lei, soprattutto per i sospetti che gravavano sul suo animo, ma scioccamente non riusciva ad evitare di temere che discuterne apertamente avrebbe potuto rendere gli stessi quali certezze, psicologicamente definendo il futuro della compagna come segnato, mentre ancora desiderava lottare per esso.
Formulando simili pensieri non poté evitare di domandarsi se il rifiuto di Midda ad un aperto confronto con essi non fosse proprio conseguenza di una simile ragione, costringendosi pertanto a serbare nel proprio intimo ciò che riteneva di conoscere sul proprio avvenire. Forse anche ella temeva che parlandone in maniera aperta, discutendone pur con i propri compagni di squadra, avrebbe considerato quella situazione come inevitabile, dando per scontato la propria fine: non un silenzio di quieta sottomissione, pertanto, ma un rifiuto verso tale eventualità, da non considerare neppure degna di essere presa in considerazione.
« Ammetto di aver avuto, almeno inizialmente, delle riserve nei suoi riguardi… » continuò Howe, nel proprio sfogo « Prendi anche la questione della scitala, quando fino all’ultimo ella ha voluto mantenere segrete le proprie idee, i propri piani a tal riguardo: in quel caso non era forse umano pensare che stesse pianificando qualche azione a nostro discapito? Semplicemente desiderosa di raggiungere da sola la corona, non per questioni particolarmente crudeli o efferate… »
« Questo no, dai… » intervenne la donna, scuotendo il capo per simile ipotesi, meravigliata da tale affermazione « Le si possono certamente rimproverare molte cose ma non quella di essere priva di un proprio codice d’onore, di saldi principi sui quali regolare la propria esistenza… »
« Avendola ormai conosciuta non posso che offrirti ragione… ma non avendo avuto rapporti personali con ella prima di questa missione, certe reazioni non sarebbero potute che essere inevitabili… non trovi? » domandò nuovamente l’uomo, aggrottando la fronte « Non mi ritrarre quale una cattiva persona, ti prego: il fatto che la tua fiducia in lei non si sia proposta quale mar riposta non significa che chiunque avrebbe dovuto comportarsi come hai fatto tu…. »
La giovane annuì a tale affermazione, offrendo un tiepido sorriso.
« Comunque, al di là di ogni questione di rispetto, questa storia del suo silenzio, della sua chiusura non mi piace… » riprese l’altro « Non so cosa le possa essere successo nel sottoporsi volontariamente all’influenza malefica della chimera, ma qualsiasi cosa sia stata ora ci sta iniziando a porre in difficoltà. »
Quell’affermazione, invero, non piacque a Carsa, che si fermò aggrottando la fronte verso il proprio compagno, osservandolo tutt’altro che contenta di fronte alle molteplici implicazioni che in simili parole si sarebbero potute notare.
« Quindi finché ella si è proposta in nostro aiuto, salvando la tua e la mia vita nel fiume, tutto è andato bene… » commentò con serietà « Ma laddove non si è prontamente impegnata ad indicarci la via per uscire da questo dedalo allora è improvvisamente diventata immeritevole della tua stima: è questo che desideri cercando di dire? »
L’uomo arrestò a propria volta la risalita in atto, al fine di voltarsi verso la compagna, rimasta pochi passi dietro a sé: nello sguardo era chiaro un conflitto interiore, fra il nervosismo istintivo, che desiderava trovare sfogo nell’addurre le colpe di tutto quello che stava accadendo ad un capro espiatorio, e la volontà razionale, che non voleva porlo nella condizione di essere frainteso. Un umano e comprensibile conflitto fra sentimenti dettati dalla stanchezza ed altri imposti dalla lucidità, che stavano alterando i suoi equilibri interiori.
Ella si mosse a raggiungerlo, mantenendo i propri occhi fissi in quelli offerti, reggendo l’esame ed il giudizio del mercenario: sapeva perfettamente di aver spinto il discorso propostole ad un’iperbole, ben oltre quanto egli non avesse voluto probabilmente intendere, ma in tale direzione ella desiderava proporre il loro confronto, per non lasciare alcun dubbio sui sentimenti provati in quel momento da entrambi.
« Io credo che Midda abbia deciso in favore del proprio sacrificio, per permettere il superamento da parte nostra della settima prova… » ammise dopo un lungo ed intenso silenzio, rivolgendosi all’uomo « E credo che simile decisione sia in conseguenza di una consapevolezza acquisita insieme ad ogni informazione su questo nostro cammino, su questa nostra ricerca. »
Howe sgranò gli occhi nel ritrovarsi posto di fronte a simile opinione, colto in evidente sorpresa dalla medesima, non avendo forse mai supposto l’eventualità che la donna guerriero potesse spingersi ad un simile gesto. Nessuna parola venne da egli proposta, in un silenzio carico di troppi significati: come colpito da una secchiata gelida, improvvisamente nella sua mente il torpore della stanchezza parve dissolversi, permettendogli di ricongiungere quei piccoli indizi che, sommati insieme, non avrebbero evitato di farlo giungere alle stesse conclusioni proposte dalla compagna.
« Perché? » domandò, non riuscendo a comprendere « Perché dovrebbe farlo? Non avrebbe senso… »
« Non lo saprei dire. » scosse il capo l’altra « Forse è in balia di un qualche maleficio, atto a convincerla della necessità del proprio sacrificio anche dove non necessario, anche dove non richiesto. Ed ella, ritenendolo indispensabile, lo desidera compiere quale ultima missione… forse destinando a noi il proprio retaggio, la propria eredità. »
« E’ una sciocchezza priva di senso. » nego lo shar’tiagho, sconvolto nel tono e nell’espressione « Non possiamo permetterle di fare una cosa simile… »
La passione della quale quell’affermazione si propose carica, questa volta, non fu più frutto dell’ira, non si propose quale conseguenza della stanchezza e, neppure, derivata dal raziocinio con il quale egli era apparso deciso ad affrontare la questione fino a quel momento: Howe, ora, stava semplicemente lasciando il proprio cuore libero di parlare, assolutamente sincero nell’affetto provato verso la compagna d’arme dopo quanto avevano vissuto insieme in quel viaggio. Il cameratismo instauratosi nella loro squadra, in quella formazione non da essi ricercata ed, anzi, ad essi imposta, aveva probabilmente segnato i loro cuori, le loro anime più di quanto non avrebbero normalmente ammesso e dove, un istante prima, l’unico desiderio in egli sarebbe stato quello di concludere una missione apparentemente interminabile, ora tale traguardo gli apparve troppo vicino, soffocante nel tragico carico di conseguenze che avrebbe potuto comportare.
« Sapevo che sarebbe andata a finire così… maledizione! Ma non è troppo tardi. » continuò, indeciso fra osservare il cammino innanzi a sé o quello alle proprie spalle, non sapendo verso quale direzione avrebbe dovuto rivolgere i propri passi per ritornare più velocemente a quella stessa radura da cui avevano cercato tanto insistentemente fuga « Possiamo ancora abbandonare la missione ed impedire alla malia della chimera di compiere il proprio effetto… »
« Sai che non è possibile ormai tornare indietro: pensare il contrario equivarrebbe solo ad illudersi… ed ogni genere di illusione, in questo momento, potrebbe esserci fatale. » replicò la donna, seria nella voce, dimostrando come, per ella, quell’argomento avesse già superato lo stadio del rifiuto, naturale ed umano.
« Ed allora cosa dovremmo fare? » domandò egli, non comprendendo.
« Continuare e vegliare su di lei non diversamente da come ella sta facendo con noi in questo momento. » rispose l’altra « Non ponendo più in dubbio la sua lealtà nei nostri confronti, nei confronti della squadra e della missione assegnataci ed aspettando il momento in cui sarà il nostro turno di fare altrettanto. »
E lo shar’tiagho restò in silenzio nell’accogliere tale comando, cosciente di come, purtroppo, ella avesse assoluta ragione.
venerdì 28 novembre 2008
323
Avventura
008 - La corona perduta
Dove Midda si propose apparentemente tranquilla se non addirittura rassegnata, i tre compagni d’arme non reagirono con la medesima flemma, con la stessa assoluta tranquillità: al contrario essi si mostrarono decisamente contrariati da quella situazione, dalla trappola in cui capirono di essere nuovamente precipitati, cercando di razionalizzare l’irrazionale, negando l’evidenza ed impegnandosi al fine di proporre possibilità alternative, le quali non avrebbero richiesto il confronto con qualcosa al di là di quanto forza, agilità e coraggio avrebbe potuto permettere loro di superare.
L’idea di essere costretti, ancora una volta, a confrontarsi con un incantesimo, con una magia non si concesse alle loro menti, animi e cuori come un’eventualità accettabile. Le arti mistiche, oscure, sicuramente si concedevano quale una realtà tutt’altro che estranea al loro mondo, alla loro quotidianità, e negli ultimi giorni avevano già combattuto un’orda di zombie e si erano confrontanti con una frana mai avvenuta, a dimostrazione di come essa fosse presente in quel percorso di ascesa spirituale: nonostante tutto questo, però, le numerose e giustificate inibizioni presenti in essi non avrebbero mai potuto proporre una semplice accettazione di quanto, invero, ai loro occhi risultava purtroppo indiscutibile, incontrovertibile
« Quanto può essere pericolosa quella corona, per necessitare così tante precauzioni? Per richiedere un impegno simile da parte di coloro che l’hanno qui protetta? » si domandò Be’Wahr, in tono retorico, conscio di non poter avere risposte alle proprie domande « Inizio a chiedermi se davvero il nostro obiettivo valga tanto rischio… »
« Direi che ormai è tardi per porsi tali dubbi, per imputarsi simili incertezze… » intervenne Carsa, scuotendo il capo.
« Non facciamoci prendere dal panico. » propose Howe, sollevando le mani nel richiedere un istante di calma « Per quanto io sia il primo ad odiare simile eventualità, non vedo ragioni di imputare tutto questo ad un ennesimo maleficio. »
« Che alternative proporresti? » replicò la giovane donna, rivolgendosi allo shar’tiagho.
« Potremmo essere finiti in un’altra radura… estremamente simile alla precedente ma comunque diversa. » rispose l’altro, scuotendo il capo a quella richiesta « In fondo ci stiamo facendo suggestionare dalla presenza di una pozzanghera e di una scalinata… ritenendo a propri di essere vittime di un incantesimo. »
Midda evitò di offrire particolare peso ad una simile affermazione ed alle questioni che implicitamente proponeva senza malafede: il tentativo di negazione nei confronti dell’evidenza di quella situazione, infatti, si concedeva infatti anche in contrasto alle parole da lei proposte ai propri compagni, sottintendendo, per estensione, una mancanza di fiducia nei propri riguardi confronti. Una reazione, invero, comprensibile nell’umano confronto con l’ignoto. I tre mercenari avrebbero forse dovuto offrire maggiore attenzione alla propria compagna, che pur non intervenendo, pur astenendosi dai discorsi proposti, con i propri silenzi ed il proprio corpo si stava invero impegnando ad offrire maggiore aiuto di quanto non avrebbero potuto supporre. Al di là di quanto avrebbe potuto apparire, infatti, ella non si stava ritraendo all’idea di collaborare alla riuscita della loro impresa come aveva fatto fino a quel momento: purtroppo essi si dimostrarono sordi e ciechi di fronte a quelle indicazioni, agli indizi a loro concessi, continuando nel proprio percorso mentale, nella propria idea.
« In effetti potrebbe essere questa la prova di saggezza… » non poté che evitare di concordare Carsa, annuendo a tali parole « Forse dobbiamo semplicemente dimostrarci sufficientemente saggi da non dare per scontato l’intervento di un incantesimo a nostro discapito, arrendendoci a ciò che ci viene proposto. »
« All’alba sarà meglio rimetterci in marcia… » sentenziò, in quel mentre, Carsa, andandosi ad accomodare non distante dalla compagna, fraintendendo quel gesto nel considerarlo di arresa, quale un desiderio di riposo.
Al sorgere del sole, pertanto, dopo una notte di riposo assolutamente non sereno, il gruppo dei quattro riprese imperterrito il proprio cammino, la propria ascesa. La loro scelta, il loro voto, si poneva quale quello di giungere al termine di quella risalita, a costo di arrivare fino in cima al monte loro innanzi: marciando compatti, con maggiore sprone rispetto al giorno precedente, essi ascesero per oltre mezza giornata lungo il cammino scelto, desiderosi di raggiungere quanto prima il limitare di quella foresta, il termine del dedalo in cui, per quanto non volessero ammetterlo, si erano smarriti irrimediabilmente.
Al meriggio, purtroppo, tutte le loro speranze si ritrovarono infrante contro la frustrazione dell’assurdo, l’irrazionalità imposta su di essi dallo stesso bosco all’interno del quale avevano mosso i propri passi: davanti ai loro occhi, infatti, apparve nuovamente con placida violenza l’immagine della radura nota, di quella fonte prima tanto apprezzata ed ora simile quasi ad una maledizione, e di quelle mortali scale, già sinonimo di morte nei loro cuori. Nessuna parola fu in grado di esprimere i sentimenti che esplosero di fronte a simile visione, nei loro animi posti innanzi a simile naturale paesaggio divenuto improvvisamente un incubo orrendo: dove anche, inizialmente, un desiderio di logica aveva cercato di donare loro una qualche spiegazione, pur forzata, per simile fenomeno, davanti ad una simile seconda proposta non poterono evitare di tremare, proponendosi umanamente deboli in opposizione all’idea del confronto con una nuova magia imposta sopra di essi, sopra le loro esistenze, ad intrappolarli in quel punto per tempo indeterminato.
« Non può essere… » sussurrò Howe, scuotendo il capo.
« E’ così. » affermò Midda, andando di nuovo a sedersi sull’erba della radura, nei pressi delle scalinate discendenti verso il sottosuolo, verso i sotterranei in cui avevano rischiato di morire.
« Temo che lei ne sappia più di noi. » suggerì Be’Wahr verso il fratello, sottolineando con retorica la posizione della donna guerriero, quanto già aveva effettivamente avuto modo di essere chiarito in molteplici occasioni all’intero gruppo « Siamo perduti in questo dedalo… »
« Ancora un ultimo tentativo… » insistette lo shar’tiagho, allontanandosi dal gruppo nel dirigersi nuovamente verso la foresta innanzi a loro, lungo la via in ascesa « Voi restate pure qui, se siete stanchi o se non lo ritenete necessario. »
« Aspetta… vengo anche io. » lo richiamò Carsa, non volendo dividere iniquamente le forze del loro gruppo « Un ultimo tentativo è necessario. E se anche ci sbagliassimo, finiremmo tutti per rincontrarci in questo stesso luogo… »
Lasciando Be’Wahr e Midda, i quali si dimostrarono lieti di restare a riposo nello spiazzo di fresca e verde erba, i due ripresero il cammino che si erano imposti, proseguendo nella direzione lungo la quale avevano condotto fino a quel momento i propri passi.
Il loro umore, inevitabilmente, si concesse tutt’altro che solare, soprattutto da parte dello shar’tiagho: la sua personale insofferenza verso la magia, tenuta sotto controllo fino a quel momento, stava per farlo nuovamente esplodere e, per questo, la donna fu felice di essere da sola in sua compagnia, nella speranza di riuscire a contenerlo, a riportarlo alla ragione prima che potesse essere troppo tardi. Passarono però diverse ore senza che egli, comunque, si decidesse a cercar sfogo, a liberarsi dal peso che sentiva gravare su di sé in quel frangente.
« Sono stanco… » commentò, improvvisamente, l’uomo, come a conclusione di un lungo discorso che non era mai iniziato fra loro.
La donna, restando vicina a lui in quella risalita, cercò di incitarlo ad aprirsi maggiormente, a confidarsi con ella prima ancora di cedere all’ira, come già due volte l’aveva visto fare: « Anche io lo sono… ma non credo che tu intenda in senso fisico. »
« Sono stanco di questa situazione. » riprese, scuotendo il capo « Sia chiaro… ho assoluta fiducia nella lealtà di Midda, ma sono stanco dei suoi silenzi, del suo distacco… »
giovedì 27 novembre 2008
322
Avventura
008 - La corona perduta
« Non so voi, ma personalmente sento l’esigenza di chiudere questa storia il prima possibile… » commentò Howe, rivolgendosi ai propri compagni nel ritrovare la posizione eretta « E poi non ho ancora avuto modo di provare al pieno le capacità di questa meravigliosa spada… »
« Ricordati che è solo un prestito… » intervenne sornione Be’Wahr, verso il fratello, sentendolo riferirsi in tal senso all’arma che Midda gli aveva concesso nel richiedere per sé un rampino, da chiunque altro inutilizzabile a scopo offensivo o difensivo.
« Ovviamente… » annuì lo shar’tiagho, simulando risentimento per l’allusione implicita offerta da quel richiamo « Intendevo solo ricredermi in maniera sincera e disinteressata sulle capacità degli artigiani figli del mare: avevo sempre ritenuto la fama di questa lega come immeritata… ma non è assolutamente così. »
« Ora che hai perduto la tua lama, non mancheranno sicuramente la occasioni per rivolgersi ad un nuovo fornitore… » denotò Carsa, unendosi al discorso « E non vi saranno problemi neanche per il costo, visto quanto ci faremo pagare per il recupero del diadema. »
« Questo è poco ma sicuro… » concordò l’uomo « Seguendo gli insegnamenti della nostra compagna, non credo che lady Lavero riuscirà a cavarsela a buon prezzo questa volta. »
« Allora… adesso ci attende il dedalo, vero? » richiese il biondo « Dove pensate che lo potremo trovare? »
Per tutta risposta, Midda sollevò la propria mancina, indicando la foresta attorno a loro, davanti ad essi, nel quale il gruppo si era ritrovato ad essere immerso: non una parola di spiegazione venne proposta da ella, in un evidente aggravarsi del suo stato d’animo, del suo umore, verso livelli praticamente funebri. Su ella, in quella missione, stava gravando in tutto il carico di angoscia, di responsabilità per la fine che sapeva incombente e, in conseguenza di essa, troppi rimpianti non potevano evitare di bloccarle ogni emozione in gola: avrebbe voluto fuggire di fronte alla certezza concessale dal sogno della chimera, ma al contempo si sentiva simile ad una falena, ritrovandosi ad essere incredibilmente ed indissolubilmente affascinata dalle stesse fiamme contro le quali era conscia che si sarebbe inevitabilmente perduta.
I tre, cercando ancora una volta di non offrire particolare peso a tale questione nella speranza evidente di poterla affrontare in maniera migliore a tempo debito, si voltarono a cercare di individuare una posizione precisa nell’indicazione fornita dalla donna, nell’intrico presentato da tronchi ed arbusti, da rami e muschi: essi, pertanto, tentarono di individuare il labirinto che avrebbero dovuto affrontare, che attendevano di poter ritrovare davanti a sé, che sapevano avrebbero dovuto percorrere per raggiungere la corona e, con essa, la conclusione del proprio incarico.
Apparentemente, però, fallirono non riuscendo a focalizzare ciò che la compagna desiderava indicare loro.
« … laddove verdi mura a frapporsi/capaci son nella via d'imporsi… » citò Carsa, cercando di fare mente locale su quanto era stato rivelato a tal riguardo « In effetti le verdi mura non mancano… » aggiunse poi, dubbiosa della propria stessa affermazione, riferendosi alla foresta come se ella fosse il dedalo promesso dalla scitala.
« Mi sarei atteso una composizione artefatta rispetto ad una foresta incolta… » commentò Howe, grattandosi la nuca con la destra, in un chiaro segno di incertezza « Però se questa fosse davvero la via da percorrere, tanto di guadagnato: per una volta, forse, quanto richiestoci non si proporrà improbabile o mortale… »
« Ma quale saggezza dovremmo dimostrare in questa prova? » domandò Be’Wahr, non riuscendo a cogliere il senso stesso di quella richiesta « Coraggio, forza, temperanza e destrezza sono apparsi sufficientemente chiari nella propria evidenza… ma questa volta non riesco proprio a comprendere quanto ci dovrebbe essere domandato. »
Lo shar’tiagho, a quelle parole, sorrise nuovamente sornione, abbracciando con il proprio arto destro le spalle dell’amico di una vita, quasi desiderasse consolarlo: « Che tu non comprenda una questione di saggezza, invero, non mi sorprende molto, fratellino… »
In tal modo i quattro, ancora indolenziti in conseguenza delle ferite non adeguatamente curate, per la stanchezza non sufficientemente compensata dal riposo, ripresero il proprio cammino, decidendo di inoltrarsi per la via offerta innanzi loro, nella direzione indicata dalle stesse scalinate dalle quali erano emersi.
Come anticipato da Howe, il cammino in tale occasione non apparve concedere loro particolare difficoltà e di questo, in realtà, nessuno ebbe ragione di lamentarsi: un’altra prova simile a quelle che si erano lasciati alle spalle, probabilmente, avrebbe preteso la loro morte, una fine certa, nonostante essi avrebbero negato fino all’ultimo una simile realtà, affermando altresì con assoluta convinzione il proprio fermento all’idea di levare nuovamente le proprie armi in battaglia. Il bosco si offrì loro, comunque, quale un ambiente assolutamente piacevole, proponendo quale sorta di tributo naturale una vasta varietà di frutti selvatici dei quali essi non si stancarono, rendendosi conto ad ogni nuovo passo di quanto fossero in realtà affamati dopo tanti giorni di digiuno, dopo una lontananza forzata dal cibo come era stata quella loro imposta.
Le ore trascorsero, entro quegli alberi, con piacevolezza assoluta, una rilassatezza tale da inebriarli, lasciandoli quasi dimenticare tutti i propri mali, tutti i dolori che i loro corpi non cessarono di proporre all’attenzione delle menti: all’imbrunire, così, i quattro si ritrovavano ad essere ancora persi in quella foresta, in costante risalita lungo il dorso della montagna nel proseguire il proprio cammino in linea retta.
« Forse sarebbe meglio accamparci per la notte… » propose Carsa, nel mentre in cui l’ambiente attorno ad essi si concesse sempre più scuro, più cupo per l’imminenza delle tenebre.
« Sono concorde. » dichiarò Howe, approvando simile proposito « Se non erro, là davanti gli alberi sembrano aprirsi… » aggiunse poi, indicando un punto non lontano dalla loro attuale posizione.
« Sarà una radura. » ipotizzò Be’Wahr, approvando implicitamente l’osservazione del fratello « A questo punto tanto vale spingerci fino a lì e riposare senza il rischio di ritrovarci con qualche radice premuta sotto la schiena. »
Midda ancora tacque, limitandosi a restare quasi come un’ombra, il fantasma di se stessa, accanto ai propri compagni, seguendoli in quegli ultimi passi dei quali, invero, già conosceva l’esito inatteso: in virtù di ciò, del resto, ella fu l’unica a non offrire particolari esclamazioni di stupore in conseguenza della visione offerta al gruppo, nel giungere allo spiazzo ricercato.
« Non è possibile! » gemette lo shar’tiago, sconvolto a tale vista, quasi incapace di elaborare simile fatto.
« E’ assurdo… è stregoneria… » scosse il capo la giovane donna, posta in non minore difficoltà rispetto all’uomo.
« Non ci sono altre spiegazioni. » si aggregò il biondo, ricadendo letteralmente in ginocchio.
In un paradosso privo di qualsiasi possibilità di logica, innanzi ai quattro cavalieri si stava offrendo, infatti, la stessa radura dalla quale essi erano partiti quella mattina, come se sbagliando strada essi fossero ritornati sui propri passi o avessero eventualmente seguito un itinerario circolare utile solo a ricondurli al punto d’origine: ciò, però, sarebbe risultato assolutamente impossibile. Al di là di ogni certezza sull’essersi mossi lungo una direzione rettilinea, a conferma di tale ipotesi si sarebbe proposta evidente ed inequivocabile l’inclinazione del terreno, lungo la quale avevano continuato a risalire come, del resto, stavano ancora facendo: purtroppo, però, il varco nel terreno, con le scale di morte lungo le quali tanto sangue avevano versato, e la dolce e quieta fonte, dalla quale si erano dissetati con gioia e bramosia, apparivano difficilmente male interpretabili, nell’identificazione di quel luogo, di quel punto, confermando loro di aver effettivamente condotto i propri passi il salita ma di essere, in definitiva, ritornati sul fronte opposto della spianata rispetto a quello nel quale avevano iniziato ad inoltrare i propri passi.
« Questo è il dedalo… » sussurrò la donna guerriero, conducendo qualche ulteriore passo prima di andarsi a sedere sull’erba fresca dello spiazzo, davanti a loro « E noi siamo persi in esso… »
mercoledì 26 novembre 2008
321
Avventura
008 - La corona perduta
Impossibile per i quattro sarebbe stato comprendere ove fossero giunti in quel momento, al termine della quarta prova: le scale, infatti, li avevano condotti in un ambiente che non ebbero modo di riconoscere, proponendosi quale una piccola radura all’interno di quella che apparve loro essere una foresta, ben lontani dal paesaggio della necropoli e dai ricordi di quello che era stato l’inizio della loro avventura.
Stremati essi non offrirono caso a nessun particolare, non cercarono di comprendere alcun dettaglio in merito al luogo che li aveva accolti, desiderosi solo di trovare sull’erba sotto ai loro piedi un po’ di ristoro e frescura. I corpi esausti, feriti, sanguinanti, crollarono in rapida successione, senza neppure cercare eccessiva lontananza, particolare distacco rispetto al budello da cui erano emersi: ormai il pericolo rappresentato da quelle lame era per loro un ricordo passato, una memoria da dimenticare nel tempo che sarebbe stato necessario ai tagli che lì avevano ricavato per rimarginarsi. Anche fame e sete apparvero, in quel frangente, dimenticate, esigenze che prima avevano assillato le loro menti ed i loro corpi e che, ora, al contrario sembrarono essere l’ultimo dei loro bisogni.
Solo il riposo si proponeva loro necessario, un momento di oblio a cui potersi abbandonare...
Fu la luce del giorno la prima cosa di cui Carsa ebbe modo di accorgersi, ultima a riprendersi rispetto a tutti i propri compagni. Un pesante cerchio alla testa le indicò come le ore di riposo trascorse non erano state investite in maniera corretta, non offrendole risultato concreto rispetto alle proprie esigenze: aveva dormito, sicuramente, ma questo non le aveva concesso il ristoro del quale avrebbe avuto bisogno per riprendersi completamente, per ritornare in forze come avrebbe voluto.
Il volto che più rapidamente le si propose innanzi fu quello di Be’Wahr, il quale, avvicinandosi ad ella, le offrì una sorta di ciotola di pietra innanzi alle labbra: ancora non pienamente cosciente di sé, la donna si lasciò guidare dal compagno senza offrire proteste di alcun genere, bevendo delicatamente il fresco liquido così concessole. Acqua, semplice acqua, la quale però giungendo a contatto con una gola troppo arida, secca nelle proprie forme a causa dell’avanzata disidratazione, rischiò di soffocarla, costringendola a tossire: questo la portò a riprendersi completamente, nonostante l’emicrania, sollevandosi a sedere con una contrazione addominale.
« Calma… bevi piano. » le suggerì il biondo, aiutandola nel contempo a sorreggersi, nel porle la propria mano libera dietro la schiena « E’ fredda. »
Annuendo in risposta al compagno d’arme, la giovane donna ebbe modo di osservare l’ambiente attorno a sé, ricordando improvvisamente tutta la loro disavventura, per un fuggevole momento dimenticata. Cercando di raccogliere maggiori informazioni in merito a dove fossero finiti, ella notò innanzitutto le scalinate non lontane da loro, quella stessa ascesa di martirio che avevano dovuto percorrere nel tentativo di riemergere dal regno sotterraneo dominato dai morti nel quale erano precipitati: esse si proposero quali una semplice apertura nel terreno, priva di particolari segni di riconoscimento. Attorno a tale varco, in un simile contesto, si concedeva solo erba fresca e verde, in quello che appariva quale il centro di uno spiazzo all’interno di una qualche foresta, cresciuta spontaneamente sul versante inclinato di un lato della montagna: l’accesso ai segreti nascosti in quella montagna, ai misteri celati in essa, sarebbe pertanto risultato praticamente indistinguibile dal panorama lì circostante se fosse stato osservato da una distanza superiore a quella a cui essi si trovavano in quel momento.
Non lontano da Carsa e da Be’Wahr, poi, si mostrarono sostare Howe e Midda: essi erano seduti a terra nei pressi di quella che si concedeva essere una fonte. Nulla di eccessivo, invero, offrendosi quale un rigagnolo d’acqua che, scendendo lungo un percorso non meglio definito, raccoglieva il proprio prezioso contenuto in una pozza rocciosa naturale, di modeste dimensioni, comunque utile a proporre la possibilità di raggiungere comodamente fresco liquido, pari a quello che le era appena stato offerto. A tale vista, il pensiero della ciotola propostale poco prima dal biondo sembrò risvegliarsi in ella, insieme ad un deciso senso di sete: egli comprese immediatamente tale sensazione, donandole così nuovamente la ciotola, ora porgendola alle sue mani. La donna l’accolse e bevve piano ma con bramosia, irrigando la propria gola secca con quel dono divino, il quale non manco di offrirle un beneficio quasi immediato anche nel contrasto con il male al capo che aveva provato, con cui si era risvegliata.
« Fame… » sussurrò appena, separando le labbra dal contenitore di pietra, che poté giudicare non essere nulla di più di un semplice sasso eroso naturalmente a concedersi simile ad un rozzo piatto.
« Abbiamo trovato molti cespugli gonfi di bacche, more ed anche lamponi… » sorrise l’uomo al suo fianco, annuendo a quella richiesta « Ce ne è in abbondanza per tutti. »
Ancora una volta, pertanto, quanto promesso dalla Figlia di Marr’Mahew appare concretizzarsi in quelle rivelazioni: ella aveva indicato acqua e cibo ad attenderli al termine della loro ascesa e questo non aveva mancato di offrirsi loro, quasi la donna avesse già vissuto tutto quello, come se stesse ripercorrendo un cammino già noto, una serie di eventi già vissuti.
Quale altro significato avrebbero potuto avere, in effetti, le sue parole a seguito della richiesta di spiegazioni al molo sul fiume sotterraneo, al di fuori di una simile, assurda eventualità? Ella si era detta certa del fatto che avrebbe potuto salvare Howe se egli avesse preso il suo posto, senza però essere in grado di concedere alcuna sicurezza in merito ad un caso opposto: davvero la loro compagna, in conseguenza dell’esperienza con il sangue della chimera, aveva avuto occasione di vivere in anticipo tutta quella serie di eventi? Era in virtù di una simile ragione che aveva mutato radicalmente il proprio comportamento?
Addirittura, come solo in quel momento Carsa ebbe modo di denotare compiendo una simile riflessione, Midda aveva già da tempo smesso di elencare possibili moltiplicazioni in merito alla ricompensa che avrebbe chiesto a lady Lavero, la loro mecenate.
Possibile che…
« Tu non hai intenzione di tornare con noi… » esclamò la giovane, rivolgendosi alla donna guerriero nel ritrovare improvvisamente la propria voce.
Non una domanda fu quella proposta e non una risposta essa richiese: la mercenaria, del resto, neanche sollevò lo sguardo verso la compagna a simile affermazione, non volendo offrire alcun peso, alcuno spazio a tale ipotesi. Howe e Be’Wahr, altresì, non mancarono di osservare con aria interrogativa le due compagne, come nella volontà di comprendere il discorso proposto ed immediatamente concluso fra esse, temendo il significato dell’ultima affermazione, di quella misteriosa e non eccessivamente velata prospettiva sul loro immediato futuro offerta dalle parole di Carsa: in loro, invero, era pur chiaro il ricordo sull’ultima prova che sarebbe stata richiesta da quel tragitto.
La settima… il sacrificio.
Senza trovare la volontà di impiegarsi in chiacchiere, perdendosi altresì nelle proprie riflessioni, i quattro cavalieri si rifocillarono con ciò che la natura sembrava aver lì posto al loro servizio, mangiando e bevendo a sazietà. Concluso tale momento di pausa, essi si concessero un ulteriore sosta, nel tentativo di potersi prendere cura delle proprie lesioni, dei numerosi tagli riportati a seguito del confronto con le lame: nell’assenza di bendaggi o di ago e filo per suturare le ferite, in effetti, essi non poterono intervenire come sarebbe stato necessario fare, ma per loro fortuna alcuna fra le stesse apparve tanto grave da non concedere di proseguire nell’impresa che si erano prefissi.
Tanto vicini quali ormai erano alla conclusione, sarebbe stato un assurdo rinunciare, abbandonare la missione, ed un giorno in più o uno in meno non avrebbe di certo inciso sulla loro prospettiva di vita: meglio, pertanto, terminare ciò che avevano iniziato e solo dopo, finalmente, concedersi il riposo dei giusti, offrendo ai propri corpi il tempo che sarebbe stato loro richiesto, necessario per ritrovare la forza ed il vigore perduti.
martedì 25 novembre 2008
320
Avventura
008 - La corona perduta
Coloro che le sette prove avevano concepito e realizzato, invero, non avevano ideato tale complesso esame secondo logiche casuali, non avevano disposto i vari cimenti in simile successione seguendo l’ispirazione del momento, senza offrire una particolare riflessione ad ognuna di esse. Un elemento preponderante di raziocinio era presente in ognuna di esse, era dominante nella loro conformazione comune e dove, almeno inizialmente, ai quattro non era stato concesso di cogliere tale rigore, nel fronteggiare quella quarta impresa essi avevano ormai potuto apprezzare, metaforicamente parlando, l’accurato lavoro d’intelletto posto in essere da coloro che simile sfida avevano concepito. Porre il confronto con il fiume successivamente allo scontro con gli zombie, ad esempio, avrebbe, ed aveva, visto le energie del gruppo parecchio provate, le loro forze parecchio intaccate per quanto la prima prova avesse avuto l’unico dichiarato scopo di dimostrare il loro coraggio: allo stesso modo richiedere loro di confrontarsi con lo sforzo continuo e prolungato offerto dalla frana, nella conseguente impossibilità a nutrirsi e dissetarsi a dovere, aveva inevitabilmente intaccato le loro capacità fisiche, ponendoli molto più impacciati, lenti e, soprattutto, affaticati nell’opporsi alle lame di quella scalinata. Era evidente come se quelle prove, prese nella loro singolarità, avrebbero dovuto permettere di dimostrare la padronanza con l’abilità, con il sentimento richiesto di volta in volta agli sfidanti, nella loro complessità esse si proponevano atte a dar vita a una sfida corale, che vedesse prese sempre in esame tutte le sette capacità, le sette prerogative loro richieste. Proporsi in quella risalita in un qualsiasi altro momento, diverso da quello attuale, sarebbe stato per i quattro cavalieri certamente più semplice, sicuramente più facile, potendo contare su movimenti più rapidi, su sensi più acuti, su reazioni praticamente immediate di fronte al pericolo: così, invece, quei gradini si proposero più simili ad un percorso di martirio, utile a privarli di ogni residuo di energia, di speranza per il domani.
Ammesso, ma non concesso, che altri prima di loro fossero giunti fino a lì, sicuramente contro quelle lame non solo avevano trovato il proprio destino ma, addirittura, aveva cercato la morte, accogliendola a braccia aperte nella speranza di liberarsi da tutto quello. Il concetto stesso di paura nei confronti della morte su di loro pendente, del resto, risultava essere superato nel confronto continuo ed ossessivo con i pericoli lì presentati, con quelle possibilità perpetue di tremende mutilazioni loro imposte e tutto questo, in verità, avrebbe giocato solo a loro discapito. Dove nella prima metà dell’ascesa, infatti, un certo grado di prudenza era stato comunque presente in loro, in quella seconda parte la stanchezza dominava sui corpi e sulle menti al punto tale da privarli di ogni riguardo per la propria incolumità, rendendo meccanici, privi di vitalità i loro gesti e portandoli, in questo, sempre più prossimi alla morte. Numerosi furono i tagli che iniziarono ad apparire sulle loro carni: fortunatamente mai abbastanza profondi da comprometterli in modo irrimediabile, ma ciò nonostante mai piacevoli, mai accolti di buon grado. Il sangue iniziò a gocciolare dalle loro braccia, dalle loro gambe, sulle scalinate in pietra, richiedendo uno sforzo disumano per cercare di non lasciarsi ricadere a terra, di non condannarsi per sempre all’oblio: probabilmente in quelle ferite essi avrebbero dovuto trovare uno sprone a maggiore lucidità, per offrire più agilità, più destrezza in quella prova che tale abilità loro voleva domandare: ma la stanchezza era eccessiva ed, in questo, il peso sulle loro membra.
« Non manca molto… » gemette Midda, più volte anch’ella ferita sul braccio sinistro e su entrambe le gambe « Possiamo farcela… »
« Faccio fatica a mantenere a fuoco le immagini di fronte a me… » ammise Carsa.
La giovane donna, del resto, aveva inevitabilmente riportato più ferite rispetto a chiunque altro, in conseguenza allo svolgimento del proprio compito, nel proprio ruolo di punta rispetto ai compagni. Per quanto datata di una mente analitica, di uno spirito di osservazione e di un’innata capacità strategica, la debolezza che dominava sulla sua mente, oltre che sul suo corpo, le aveva concesso di salvare i propri arti per pura grazia divina, per semplice fortuna: più volte, invero, aveva rischiato di finire per assomigliare alla propria compagna tanto ammirata più di quanto sarebbe stato accettabile, nella perdita del proprio braccio destro. Ed ora, purtroppo per lei e per gli altri, aveva raggiunto il proprio umano limite…
« Non credo di riuscire a proseguire oltre… » aggiunse, sincera con se stessa e con i propri compagni « Ancora un passo e potrebbe essere l’ultimo. »
« Allora andrò avanti io… » intervenne Howe.
L’uomo, ora con tono risoluto, privo di incertezze, aveva evidentemente scelto di prendere in mano la situazione. Al di là di ogni critica proposta in precedenza, delle proprie continue lamentele e polemiche, ed anche dei propri colpi di testa, infatti, egli in quei mesi non aveva mai fatto mancare il proprio apporto alla squadra, non si era mai realmente tirato indietro per la sopravvivenza propria e dei propri compagni. E come già nel fiume si era ritrovato a prendere, lì consigliato da Midda, il posto della giovane, ancora una volta egli aveva scelto di intervenire per sostituirsi ad ella laddove il fato ora avrebbe concesso solo a lui tale ruolo, tale occasione: dotato dalla natura stessa di un fisico più agile rispetto a quello di Be’Wahr o a quello della stessa Figlia di Marr’Mahew, e apparendo meno sanguinante rispetto ad essi, nell’aver riportato minori ferite fino a quel momento, egli sarebbe stato il solo a poter assolvere l’incarico fino a quel momento svolto Carsa, per consumare l’ultimo tratto loro rimasto, una ventina di gradini che ancora li dividevano dall’uscita.
Impugnando la spada bastarda di Midda, quasi essa potesse essere un amuleto ancor prima di un’arma, forse sperando di poter trarre da essa un minimo dell’esperienza, delle capacità proprie della sua proprietaria, il shar’tiagho si ritrovò pertanto a dover decidere del destino proprio e dei propri compagni, analizzando le alternative proposte innanzi a loro, le trappole che avrebbero fatto scattare compiendo il passo sbagliato. Le lame, nel tentativo di negargli ogni possibilità di successo, di sopravvivenza in tale ruolo, si offrirono vorticose di fronte a lui, percepite in virtù della propria stanchezza molto più veloci di quanto realmente fossero: esse cercarono contrasto con la lama dagli azzurri riflessi stretta fra le sue mani ed egli, non ritraendosi con sufficiente prontezza di fronte al pericolo, non riuscì ad evadere da simile contrasto, vedendo generata un’improvvisa, terribile e, al contempo, meravigliosa fontana di scintille dal contrasto fra i due metalli. Ma dove le lame del corridoio, in precedenza, erano state in grado di intaccare seriamente, di compromettere con profondi solchi il metallo comune della sbarra che Carsa aveva adoperato per avanzare fino a poco prima, contro la speciale lega di quella spada non ebbero stesso gioco, non imposero lo stesso successo, la medesima forza. Forgiata secondo tecniche sconosciute alla maggior parte del mondo, nei dettami della tradizione comune ai figli del mare, come erano indicati coloro che lungo le coste erano nati e vivevano non temendo l’infinita distesa d’acqua e la sfida divina con l’ignoto che essa rappresentava, quella spada non risultò intaccata in quel contrasto: la lucentezza delle proprie forme, il filo della propria lama, donò al loro sguardo la stessa perfezione che essa doveva aver avuto nel momento in cui era stata forgiata, offrendo anche, in simile risultato, un naturale senso di speranza nel cuore di colui che la stava impugnando.
« Andiamo! » esclamò, incitando i compagni.
Nella sicurezza offerta da Howe, da colui che, fra tutti loro, in genere era solito offrirsi in contrasto, quale voce fuori dal coro per riportare a migliore contatto con la realtà il gruppo, i quattro cavalieri furono spronati a non arrendersi, a non cedere. E superando con un ultimo disperato balzo l’insidia finale offerta loro prima dell’uscita, nella forma di una coppia di lame gemelle emergenti da entrambe le pareti, essi riconquistarono infine la libertà perduta, uscendo a rincontrare la meravigliosa ed argentea luce lunare accompagnata da tutte le stelle del cielo, in una limpida notte kofreyota.
« Thyres! » gioì Midda, rotolando sull’erba fresca offerta innanzi a loro, nel vedersi offerta, non diversamente dai propri compagni, una possibilità di riposo ormai non sperata, per quanto essa fosse stata presente nelle sue memorie future fin dall’inizio di quell’impresa.
lunedì 24 novembre 2008
319
Avventura
008 - La corona perduta
Per qualche istante nessuno fra i tre ebbe la forza e la volontà di esprimere un commento, di dare spazio ad una propria opinione: i loro sguardi apparvero ancora rivolti verso quelle scale, che si erano illusi poter rappresentare per loro una speranza di vita ma che, al contrario, avrebbero ancora rappresentato un pericolo di morte. L’azione delle lame in contrasto alla barra si era proposta tanto rapida, tanto subitanea da non aver praticamente loro concesso di apprezzare in tempo reale la dinamica dell’accaduto, richiedendo, al contrario, qualche ulteriore momento per rendersi conto di quanto fosse successo.
Lame, fisse, rotanti o mobili, ma comunque lame: tali costituivano la quarta prova, una prova di destrezza.
« Dannazione! » esclamò Howe, riprendendosi dallo stupore « Non è possibile chiederci tanto! »
« Un solo movimento sbagliato e faremo la fine di uno spezzatino… » commentò Be’Wahr, non potendo, in questa occasione, porsi in contrasto all’opinione del fratello « Questa è ben oltre una semplice prova di agilità… »
« Purtroppo non ci resta altra alternativa… come già prima, in effetti. » commentò Midda, scuotendo il capo nell’osservare la scalinata innanzi a loro « E, se vi può essere d’aiuto, Be’Wahr aveva ragione nella propria supposizione: là fuori troveremo cibo ed acqua… »
« Ammesso di arrivarci… là fuori! » replicò il shar’tiagho « Ti rendi conto di ciò che ci stai chiedendo? »
« Non sono stata io a creare questo percorso. » ricordò la Figlia di Marr’Mahew, scuotendo il capo « E la mia vita è qui in gioco non diversamente dalle vostre… anzi… » aggiunse, lasciando in sospeso la frase nel ricordare la sentenza di condanna emessa a suo discapito nel sogno offertole dal sangue della chimera.
« Sei sicura che non vi siano strade alternative? » domandò il biondo, cercando affidamento in ella, sperando che potesse rammentarsi una qualche altra soluzione, esterna da quella ora proposta loro « In tutta sincerità avrei di gran lunga preferito dei serpenti, a questo punto… »
« Questo è il percorso… » scosse il capo ella, con rammarico « Comunque andrò avanti io e cercherò di individuare i passi da condur… »
« No. » la interruppe Carsa, prendendo ella questa volta parola « Questa sfida è mia. »
Il tono della giovane si propose serio, concentrato, sicuro di sé: il suo sguardo si concesse ancora rivolto a quella scalinata ma solo in questo momento tutti poterono rendersi conto di come non fosse il timore ad animare i suoi occhi, quanto piuttosto la curiosità, l’interesse, il desiderio di confronto. Ella appariva affascinata dalla prova loro concessa, rapita dall’incanto della medesima e, in effetti, forse si sarebbe potuta proporre quale la migliore per un simile confronto: la sua mente analitica, che Midda e gli altri due compagni avevano avuto modo più volte di apprezzare, non avrebbe potuto trovare provocazione migliore rispetto a quella proposta di fronte a loro, offrendole l’occasione per provare a se stessa, ancora prima che ad altri, le proprie capacità. Inoltre ella si sarebbe concessa quale la più agile, sicuramente fra tutti loro, vittoriosa probabilmente anche sulla stessa donna guerriero laddove le forme eccessivamente generose di quest’ultima ne avrebbero complicato in ogni caso i movimenti.
« Vado avanti io. » ripeté ella, prima che altri potessero interromperla e negarle tale diritto « Aprirò una via sicura per tutti voi… e dovrete soltanto ripercorrere i miei passi per superare illesi la prova. »
La decisione era stata ormai presa e, da un punto di vista pratico, sarebbe stato stolto e vano discutere a tal riguardo: tutti, chi prima chi poi, avrebbero dovuto percorrere quelle scalinate e laddove ella avesse potuto offrire al gruppo maggiori aspettative di vita, allora seguirla sarebbe stata la scelta migliore.
Riconsegnando a Be’Wahr la sua lama e prendendo da egli altresì la sbarra di metallo, la donna spinse la stessa a violare l’area rappresentata dal primo gradino, al fine di porre in azione eventuali lame li preposte quale trappola: nessun innesco parve essere stuzzicato da quel gesto ed ella, tenendo all’erta i propri sensi, decise di compiere il primo passo sul gradino. Sopravvissuta a quella prima conquista, sotto lo sguardo preoccupato dei propri compagni, ella spinse ancora avanti la sbarra, questa volta offrendo ragione di offesa ad una lama di dimensioni sproporzionate che, dallo spazio fra il primo ed il secondo gradino, si levò con violenza inattesa, rischiando di amputarle di netto il braccio: ella, però, riuscì ad essere sufficientemente lucida da gettarsi rapidamente all’indietro, tornando fra i propri compagni ed evitando una pessima conclusione a quel tentativo.
« Sto bene… sto bene! » si affrettò a sottolineare, rimettendosi in piedi « Non è successo nulla: era solo la via sbagliata… »
Alcuna voce poté impedirle di ritentare il percorso, riconquistando il primo gradino in un altro punto e, questa volta, riuscendo a trovare l’accesso utile anche al secondo: era stata una piccola conquista, sicuramente, ma comunque una conquista verso quella che si prospettava una lunghissima salita.
« Avanti… » incitò Midda, verso la posizione lasciata libera dalla loro compagna « Tocca a noi… uno alla volta! »
Per quanto posto in giusta soggezione di fronte a quel cammino, Howe decise di prestare fiducia ancora una volta tanto ad ella quanto a Carsa, che stava ponendo a rischio la propria vita davanti a tutti loro per cercare di concedere un cammino sicuro. Quand’anche il terzo gradino venne espugnato, non senza correre il rischio di essere decollati da una lama fuoriuscita dalla parete alla loro sinistra, fu la volta di Be’Wahr proporsi sul primo gradino, venendo seguito, dopo poco, della stessa Figlia di Marr’Mahew.
L’avanzata si propose indubbiamente lenta, faticosa e ricca di pericoli: più volte la loro guida fu sul punto di retrocedere, nella minaccia rappresentata da una lama improvvisamente saettata davanti ad ella; più volte tutti gli elementi della spedizione vennero puniti per essersi sbilanciati in spazi esterni a quelli entro i quali avrebbero dovuto permanere, fortunatamente riuscendo sempre a scansare con sufficiente prontezza di riflessi le lame offerte in loro contrasto. Le stesse, inevitabilmente, richiesero comunque un contributo da parte del gruppo, stanco, rallentato nelle proprie azioni come altrimenti non sarebbe stato in una situazione diversa, posto di fronte a movimenti percepiti molti più rapidi di quanto, in effetti, non fossero: l’alta coda di Carsa vide quasi un piede di capelli preteso quale pegno per il proprio ardire; la borsa condotta a tracolla da Be’Wahr venne squarciata in conseguenza di un movimento troppo lento, di un riflesso mancato; ed il fodero della spada sul fianco di Midda fu diviso in due parti nette. Fortunatamente per essi, comunque, giunti ormai a metà della risalita ancora nessun arto, nessuna estremità era venuta loro a mancare e questo non poté che offrire una speranza, concedere la prospettiva di una riuscita positiva in quel frangente.
« Ho bisogno di un momento di pausa… » richiese la giovane donna, senza voltarsi verso i compagni nel timore di distrarsi e vedere la propria richiesta accontentata in un riposo eterno.
« Credo sarebbe l’ideale per tutti. » approvò il biondo, osservando quella che un tempo si proponeva quale la propria borsa pendere ormai vuota dal suo fianco, avendo perduto in quel tragitto tutto ciò che era rimasto ancora in suo possesso.
« Non possiamo fermarci qui… » negò, altresì Howe, scuotendo il capo « E’ troppo pericoloso pensare di sedersi su uno di questi gradini… ipotizzare di rilasciare la nostra concentrazione anche solo per un momento… »
Le parole del shar’tiagho, per quanto non apprezzate, non poterono che risuonare corrette, quasi retoriche, nelle orecchie di tutti, esprimendo semplicemente ciò che ognuno di loro ben sapeva ma che, in quel frangente, aveva sperato di poter dimenticare, di poter non prendere in ulteriore considerazione.
L’ascesa avrebbe dovuto continuare…
domenica 23 novembre 2008
318
Avventura
008 - La corona perduta
La natura magica della prova da cui i quattro avevano trovato salvezza si rivelò esplicita oltre ogni possibile dubbio nel momento in cui essi si posero in salvo dalla sezione crollata e ripresero il cammino lungo il corridoio posto loro nuovamente innanzi. Nel voltarsi a guardare alle proprie spalle, a gettare un ultimo sguardo, con un deciso sollievo, verso quella trappola che per cinque lunghi giorni, o almeno tanti essi ne avevano contati, li aveva trattenuti nella propria morsa, alla loro vista non furono concessi né massi né macerie, né pietre né polvere: come se tutto ciò che avevano vissuto fosse stata un’allucinazione, infatti, il corridoio dietro di loro si propose non diverso da quello nel quale avrebbero dovuto proseguire la propria impresa, libero da ogni ostacolo, sgombro da ogni blocco. I commenti, in tal senso, non poterono che sprecarsi, ma un sentimento comune a tutti e quattro fu quello che fece accelerare loro il passo, per porre maggiore distanza possibile fra loro stessi e quella stregoneria, quell’incanto in cui non avrebbero mai voluto rischiare di ricadere.
Tre prove erano ormai state superate e, per quanto la stanchezza facesse pesare in maniera indescrivibile le loro membra, facendo loro trascinare i piedi sul suolo ora liscio e pulito del percorso loro proposto, il pensiero di essere ormai in prossimità del superamento del traguardo non poté che stuzzicare un certo ottimismo e permettere a tutti, in conseguenza, di intravedere con maggiore positività quella missione ed il suo possibile esito. Ma il corridoio, quasi a voler negare loro tale fede, si propose ancora estremamente lungo innanzi a loro, richiedendo al gruppo una marcia maggiore di quanto non avrebbero potuto ipotizzare: dopo praticamente un altro giorno passato a digiuno, praticamente ormai anche privi d’acqua, i quattro non poterono fare altro che accamparsi per cercare riposo, per sperare di ottenere nuove energie attraverso il sonno e, in tal modo, affrontare al risveglio le nuove prove con rinnovato vigore.
« Ora cosa ci attenderà? » provò ad informarsi Be’Wahr, non ricordandosi con precisione le parole della scitala e, forse, anche desideroso di un momento di dialogo con i propri compagni, dopo tante ore trascorse in silenzio per risparmiare le già scarse forze.
« …pericolo non mancaria proporsi/nell'imporvi serpeggianti percorsi… » ricordò Carsa, lasciandosi sdraiare a terra senza eccessiva eleganza nel proprio portamento, nei propri gesti, troppo stanca anche per esprimere la propria naturale femminilità.
« Ah… vero. » commentò Howe, sorridendo sornione nel volgersi verso il fratello « La prova dei serpenti. »
« Per favore… » lo rimproverò il compagno, storcendo le labbra « Sai bene quanto non li sopporti. Potresti evitare di continuare a sottolineare questa tua personale interpretazione? »
« Meglio pensarci invece. » insistette con sarcasmo il shar’tiagho « Prova a immaginare cosa potrebbe succedere se, questa notte, nel mentre del nostro riposo, una miriade di serpenti ci seppellissero… »
« Ehy! » balzò in piedi il biondo, guardandosi attorno nello stringere la propria sbarra di metallo « Non dirlo neanche per scherzo, accidenti… con questa assurda idea rischio di non chiudere occhio questa notte. »
Ovviamente, in un simile contesto, il termine notte si proponeva più metaforico che realistico, intendendo semplicemente il periodo di sonno che si sarebbero concessi, laddove sepolti ormai in quei sotterranei da troppo tempo nessuno fra essi avrebbe mai saputo dire con precisione se esternamente fosse giorno o notte.
La reazione di Be’Wahr, nonostante dettata dalla di lui paura verso i serpenti, non poté comunque evitare di servire a donare un momento di distrazione e di divertimento a tutto il gruppo, facendo scoppiare a ridere addirittura la taciturna e distaccata Figlia di Marr’Mahew nell’enfasi dei di lui gesti, nello scatto incredibile proposto al solo pensiero dei rettili e nella sua divertente paranoia verso il pericolo del tutto ipotetico e privo di ogni fondamento accennato da Howe.
« Ridete… bravi… ridete! » rimproverò il giovane con tono volutamente grottesco, osservando i propri compagni divertirsi a suo discapito e sforzandosi nel mantenere la propria serietà laddove a sua volta sarebbe volentieri esploso in una sonora risata « Poi saranno problemi vostri se non riuscirò a dormire e domani sarò di peso per tutti… ecco! » concluse, minacciandoli.
Nonostante quelle parole, il biondo fu il primo a prendere sonno e l’ultimo a svegliarsi all’ipotetico mattino seguente, costretto a forza da Howe a riprendersi dove, paradossalmente, egli era sprofondato in un riposo davvero pesante.
Per quanto stanchi nell’assenza di cibo e, soprattutto, deboli nell’assenza di acqua, problema principale in quel frangente laddove le loro capacità mentali avrebbero potuto essere presto compromesse dalla disidratazione, i quattro ripresero il cammino lungo il corridoio. Fortunatamente per essi, dopo un tempo tutt’altro che eccessivo, un chiaro segnale di speranza venne offerto nel presentare innanzi al loro sguardo una lunga scalinata, non più diretta a ridiscendere maggiormente verso il basso, come era stato fino a quel momento il loro intero cammino, ma a risalire verso l’alto, mostrando addirittura, in lontananza, un varco luminoso che non poté evitare di offrire loro l’idea di aria aperta, di fuga da quel sotterraneo di morte.
« Per Lohr… » protestò, immancabilmente, il shar’tiagho, osservando la lunga ascesa loro richiesta « Saranno un centinaio di gradini… »
« Forse anche qualcuno in più… » si ritrovò ad essere concorde Carsa, aggrottando la fronte e dimostrando tutt’altro che gioia nel proprio tono di voce, all’idea di un cammino tanto aspro per le loro condizioni fisiche.
« Però, se davvero questa via da sull’esterno, magari potremo trovare una fonte d’acqua… e del cibo! » cercò di incitare Be’Wahr, per quanto anch’egli non fosse proprio convinto nel ritrovarsi di fronte a quella risalita « Presto… andiamo! L’ultimo che arriva è un… »
« Fermo! » lo richiamò con forza Midda, prima che egli potesse compiere il primo passo già accennato nei confronti dei gradini loro offerti.
Simile ordine non solo bloccò all’istante il giovane, ma attirò l’attenzione di tutto il gruppo verso la compagna, certi del fatto che ella avrebbe offerto loro un giusto consiglio su quella prova. All’opinione di tutti e tre, per quanto non avessero avuto occasione di parlarne come probabilmente avrebbero gradito fare, era palese come in ella, dal momento nel quale si era sottoposta al difficile confronto con il sangue della chimera, qualcosa fosse cambiato: per quanto, almeno inizialmente, la donna avesse cercato di celarlo, era evidente un mutamento radicale di carattere, di umore, di personalità che aveva contraddistinto la stessa. Anche ella, probabilmente, aveva accettato che i propri compagni avessero compreso tale situazione pur senza ancora concedere conoscenza in merito alle ragioni che la spingevano a comportarsi in tal modo, dato che minimi si proponevano ormai i suoi sforzi per dissimulare la questione, inevitabilmente stanca di mantenere un inutile velo di menzogna attorno a sé.
Il gruppo, inizialmente formato da quattro elementi, vedeva a tal punto solo tre membri realmente tali, dove Midda si era relegata ad un ruolo esterno, certamente collaborativi con essi ma lontana da loro, ombra di ciò che era stata un tempo in quella squadra.
« Siamo arrivati alla prova… » li avvertì, indicando le scale davanti a loro.
E dove tutti avrebbero voluto comprenderne di più senza comunque azzardare alcuna domanda, sapendo come ella non avrebbe concesso loro risposta, la Figlia di Marr’Mahew per una volta parve volerli silenziosamente accontentare, prendendo dalle mani di Be’Wahr l’unica arma rimasta in suo possesso e scagliandola con forza in avanti, verso la scalinata. La sbarra ebbe solo il tempo di iniziare a roteare davanti a loro, in volo sui gradini di pietra, nel momento in cui una gigantesca lama rotante si propose dal soffitto, per colpirla: deviata istantaneamente nella propria traiettoria da quel contatto, di metallo contro metallo, essa scatenò con il proprio volo una serie di altri mortali meccanismi simili al primo, una schiera di lame che, emergendo dalle pareti e dal pavimento, oltre che dalla volta superiore, la colpirono ripetutamente, con precisione sempre mortale fino a quando essa non venne sospinta di nuovo verso il gruppo, lasciando l’area dei gradini e ponendo a riposo quel sistema di sicurezza.
« Ecco il nostro serpeggiante percorso… » commentò la donna guerriero.
sabato 22 novembre 2008
317
Avventura
008 - La corona perduta
Il shar’tiagho, evidentemente provato dalla situazione, dallo stress derivante dalla tensione di quei giorni come poteva essere umanamente comprensibile egli fosse, reagì in malo modo ai tentativi del compagno di un’esistenza intera, del fratello d’arme a cui, in verità, voleva bene e per la salvezza del quale avrebbe ceduto tranquillamente la propria vita, lasciando partire un pugno diretto verso il mento del biondo: un gesto dettato dalla stanchezza, che però non manco di colpire il proprio avversario, gettandolo con violenza contro il muro alle loro spalle.
Un istante di silenzio si propose sul gruppo in conseguenza di quell’azione, laddove improvvisamente apparve chiaro che il loro stesso destino sarebbe stato deciso dalla maturità che Be’Wahr avrebbe saputo dimostrare: se, infatti, egli si fosse proposto sufficientemente padrone di sé da perdonare l’atto del fratello e non replicare al medesimo, forse avrebbero potuto ritrovare l’equilibrio perduto, la pace infranta; altrimenti la rissa che ne sarebbe conseguita avrebbe anche potuto vederli morire per le proprie stesse azioni. Il biondo, scuotendo il capo nello stordimento causato da quel colpo, passò in rassegna uno ad uno i propri compagni, a cercare soprattutto nelle donne una risposta a ciò che sarebbe stato meglio fare: anche lui provato non meno rispetto ad Howe, per quanto di indole più quieta, avrebbe potuto perdere le staffe in quel momento, non per cattiveria, non per ira, ma per la propria stessa fallibile umanità che, nonostante tutto, non avrebbe mai potuto rinnegare.
« Sei un idiota, fratello mio. » rispose, alzando la mancina a massaggiarsi il mento, nel punto ove era stato colpito « Ma ti voglio bene e non ti permetterò di mandare tutto all’aria… »
« Temperanza. » intervenne Carsa, nel ricordare, quasi improvvisamente, il senso stesso di quella prova « E’ questa la virtù che ci è richiesta di dimostrare… il valore di cui dobbiamo essere padroni per ambire a raggiungere la corona della regina Anmel. »
« Sono stanco di portare pazienza… sono stanco di tutti voi. » replicò Howe, iniziando però a vacillare, nel dimostrare il proprio indebolimento, psicologico ancor prima che fisico « Non vi è mai passato per la mente che le parole iniziali della scitala fossero nel giusto? Che, forse, questa reliquia non debba essere trovata? »
« Ormai siamo in gioco e non possiamo più tirarci indietro… o faremo la loro stessa fine! » dichiarò la giovane, indicando i due corpi morti « Qualche giorno fa sei stato tu a chiedermi di offrire fiducia a questa impresa ed a Midda… ora vuoi essere proprio tu il primo a tirarti indietro?! »
« Quei due sono morti perché non hanno accettato la realtà dei fatti… perché non hanno voluto arrendersi quando erano ancora in tempo per farlo! » negò l’uomo, scuotendo il capo « Non ho intenzione di morire di fame.. non ho intenzione di morire di sete… non per tutto l’oro del mondo! »
Con quelle parole, carico dello stesso sentimento che un istante prima lo aveva lanciato contro il fratello, ora egli si getto verso la compagna, offrendole un altro pugno, cercando di avallare con la violenza delle ragioni che, evidentemente, a sua volta non riusciva a ritrovare come logiche, accecato, confuso da tutto quello che stava accadendo. Ma non fu contro Carsa che egli andò ad impattare in questa occasione, bensì contro la mano destra di Midda, aperta a parare il colpo prima che potesse giungere a destinazione, lasciando infrangere la violenza del medesimo sulla propria superficie metallica.
« Cagna! » gemette il shar’tiagho, tentando di ritrarsi per il male derivante dalla propria forza rivolta in sua stessa opposizione in virtù dell’intervento di ella, nel quale, forse, aveva addirittura infranto qualche osso della propria mano.
Ma la Figlia di Marr’Mahew, con freddezza, non permise quell’evasione, stringendo la di lui mano, con sufficiente delicatezza senza desiderio di infrangerla, nella propria metallica e, successivamente, colpendolo con un forte schiaffo offerto dalla mancina: « Neppure noi abbiamo intenzione di morire… » prese parola, osservandolo con occhi di ghiaccio « Ed è per questo che tu dovrai ritrovare coscienza… oppure perderla completamente con un aiuto da parte nostra. »
« Maledetta… lasciami! » sussurrò l’uomo.
« Guarda! » incalzò ella, trascinandolo verso i due corpi ritrovati incurante delle proteste da parte di egli « Osserva con attenzione… la loro storia è offerta sotto i nostri occhi, quale avvertimento, quale retaggio, ma non nel senso che tu credi. »
« Lasciami! » gridò egli, cercando di opporsi.
« Guarda! » ripeté la donna, storcendo il braccio del compagno e, costringendolo, in quel modo ad inginocchiarsi a terra, vicino ai due cadaveri mummificati.
Fu allora, in conseguenza di simile gesto, che un particolare venne reso evidente, tanto ad Howe, quanto a Carsa e Be’Wahr, ai quali fino a quel momento era altrettanto sfuggito. Non di cause naturali, non di fame o sete quella coppia di loro predecessori aveva perso lì la vita, ma neppure in conseguenza della frana, laddove essa non si sarebbe comunque mai proposta sopra di essi come i quattro cavalieri avevano sperimentato in prima persona: la morte, per i due, era giunta per colpa di una violenta lite, una rissa al termine della quale uno si era ritrovato il ventre squartato da una corta lama ormai arrugginita e, l’altro, il cranio completamente spaccato, forse a causa di un violento impatto contro la parete. Simili particolari, inizialmente, erano loro sfuggiti sia per la presenza delle pietre e dei detriti che ricoprivano ancora la maggior parte di entrambi i corpi, sia per la superficiale attenzione che, effettivamente, avevano rivolto a tale scoperta, azzardando immediate conclusioni senza cercare alcuna prova utile a tal riguardo: un errore veniale, sicuramente dettato dalla comune stanchezza, ma che avrebbe potuto costare loro molto caro se si fossero lasciati andare all’ira, come avevano rischiato di fare.
« Comprendi ora?! » domandò la donna guerriero, con controllo totale sulle proprie emozioni e sul proprio temporaneo avversario, mantenendolo ancora piegato a terra « Si sono uccisi: si sono ammazzati reciprocamente, forse perché, come noi, stanchi per la fatica, spaventati per l’assenza di acqua e cibo. »
Ed egli comprese, sbarrando gli occhi con terrore nell’intendere quello che aveva fatto, quello che avrebbe potuto fare se solo i suoi compagni non fossero rimasti sufficientemente calmi: « Lohr… perdonami… » sussurrò, nauseato da se stesso per il proprio comportamento, per essersi nuovamente permesso uno scatto d’ira non diverso da quello già avuto a Kriarya, espressione umana e naturale della propria insicurezza, delle proprie paure.
« Non a Lohr devi chiedere perdono… » lo rimproverò ella « Ma a tuo fratello, ancora una volta vittima della tua violenza ingiustificata, ancora una volta fortunatamente abbastanza maturo, saggio, da non risponderti come avrebbe avuto diritto a fare e come avrebbe fatto se non fosse stato così legato a te. »
Superato anche quel momento di crisi, del quale nessuno ebbe volontà di imputare colpa al compagno laddove egli aveva semplicemente espresso per primo il disagio a cui tutti, comunque, sarebbero altrimenti giunti prima o poi, il gruppo si concesse un nuovo momento e necessario momento di pausa prima di riprendere i lavori interrotti, prima di ricominciare con gli scavi lasciati in sospeso. I due corpi vennero rimossi con il dovuto rispetto e dove, purtroppo, non avrebbe potuto essere loro concesso spazio per procedere ad una cerimonia funebre, alla creazione di una pira sulla quale ardere i loro resti, alle vittime di quella prova non fu permesso altro destino se non quello di essere nuovamente affidate all’abbraccio delle stesse pietre dalle quali erano già stati estratti, venendo nuovamente seppelliti alle spalle del gruppo nel proseguo di quel lento avanzare.
Dopo ben poca distanza guadagnata rispetto al punto in cui quegli eventi si erano consumati, in cui quella lite stava per segnare le loro esistenze e definire i loro destini, fu proprio al quinto giorno che essi riuscirono a ritrovare la libertà perduta, a raggiungere la fine di quella prova, emergendo finalmente di fronte ad un corridoio libero da ogni maceria, intatto nelle proprie forme e proporzioni. Tale coincidenza, simile combinazione risultò, invero, troppo forzata, troppo poco casuale ai loro occhi per poter essere considerata al pari di un semplice scherzo del fato: nel confronto con quei due corpi morti, la loro sopportazione era stata posta agli stremi, la loro resistenza era stata condotta al limite, come neppure un altro mese di scavi avrebbe mai potuto comprovare. E così, pur non avendo alcuna prova a supporto di tale teoria, essi non poterono evitare di considerare di aver ottenuto salvezza, di essere sopravvissuti a quell’ostacolo, grazie alla freddezza di Midda ed, ancor maggiormente, alla bontà d’animo di Be’Wahr.
venerdì 21 novembre 2008
316
Avventura
008 - La corona perduta
L’impegno richiesto al gruppo per riuscire ad evadere da quella situazione, per trovare successo in quella prova, fu impossibile da quantificare anche solo in termini temporali: rinchiusi nella galleria sotterranea, sotterrati vivi in un simile abisso di morte, lo stesso concetto di tempo sembrò invero perdere ogni significato, vanificarsi nell’assenza di ogni indicazione a tal riguardo. Certamente i ritmi biologici dei quattro si mantennero inalterati, costringendoli a periodi di sonno oltre che di veglia, a momenti di riposo oltre che di lavoro: in quanto normali esseri umani, per quanto spronati a compiere un’impresa oltre ogni mortale aspettativa, essi furono ovviamente obbligati a nutrirsi, a dissetarsi ed anche ad espletare le necessarie funzioni corporee per lo smaltimento dei rifiuti organici.
L’azione di scavo, coordinata fra i quattro membri della squadra, si concesse estremamente efficace nella propria semplicità. Suddivisi in due coppie, essi si alternarono nel disporsi lungo due fronti: all’anteriore fu proposto il compito di attaccare direttamente la parete loro obiettivo, mentre al posteriore fu l’onere non meno gravoso di trasferire le macerie rimosse dai compagni a compattarsi sul muro opposto. Se per i primi la difficoltà maggiore fu rappresentata dalla scelta delle pietre adatte ad essere spostate per prime, al fine di non infrangere l’evidentemente fragile equilibrio attraverso il quale i detriti si ponevano uniti, sorretti insieme a formavano quel blocco solo apparentemente compatto di fronte a loro, per i secondi non risultò comunque elementare impostare nuovamente le stesse pietre alle loro spalle con sufficiente ordine, a non porsi comunque in pericolo e, soprattutto, a non ridurre lo spazio già ristretto loro concesso. L’idea di organizzare dei turni di lavoro, per non essere costretti ad interrompersi periodicamente per riposare, aveva inizialmente sfiorato i loro pensieri, venendo però subito accantonata nell’evidenza dell’impossibilità a procedere in tal senso, a permettere a qualcuno di riposare senza pur interrompere il lavoro portato avanti nel contempo dagli altri: la loro, inevitabilmente, avrebbe dovuto essere un’operazione di squadra, sincronizzando ogni movimento per ottenere il massimo risultato con il minor sforzo, con la minor probabilità di errore.
Fortunatamente dal punto di vista delle esigenze primarie, nessuna particolare crisi si impose su essi, almeno in quelli che giudicarono essere i primi tre giorni di sepoltura. L’acqua, pur da razionare, non mancò loro, anche in virtù della sosta che avevano in precedenza compiuto sul molo in riva al fiume sotterraneo, propostosi utile almeno a colmare nuovamente le borracce dopo il pericolo che aveva imposto sui loro destini. Il cibo, offerto forse in misura più critica rispetto all’acqua, non fu a sua volta neppure completamente assente, laddove una minima parte delle loro scorte di carne secca era riuscita comunque a resistere a tutto ciò che avevano subito fino a quel momento, conservata insieme al poco equipaggiamento che già avevano esaminato nell’unica borsa ancora in loro possesso.
Anche la presenza di aria e di luce, due problemi che avrebbero potuto proporsi ancor più pressanti degli altri, non si offrì come problematica: al contrario, laddove la non carenza della prima avrebbe potuto essere giustificata da possibili infiltrazioni provenienti dalla superficie attraverso il terreno, in merito alla seconda la spiegazione non si concesse altrettanto semplice, così razionale come avrebbero sicuramente preferito. Fin dai primi piedi sottratti alla frana, un incredibile fenomeno aveva posto in dubbio tutto ciò a cui avevano creduto ed a cui avrebbero potuto credere in simile frangente, negando addirittura quanto essi avevano veduto con i propri stessi occhi: partendo dal naturale assunto secondo il quale nulla avrebbe dovuto essere rimasto intatto a seguito di quel collasso, in conseguenza di quell’effetto a catena nel quale pareti e soffitto si erano infranti con assurda violenza, essi ebbero modo di vedere smentita simile idea, tale ipotesi nel momento in cui il lavoro di rimozione dei detriti, lento, faticoso, stressante, vide riemergere lo stesso corridoio, perfetto ed immacolato, che avrebbero dovuto attraversare se non fosse andato distrutto e che stavano attraversando pur essendo esso andato distrutto davanti ai loro sguardi. Persino le lampade ad olio, rispettando gli intervalli regolari nelle quali avevano già avuto modo di distinguerle, si proposero fra la polvere e le rocce ancora integre e, per di più, perfettamente funzionanti, già accese in una fiamma che ora non poté che apparire loro quale assolutamente innaturale.
Sotto la luce irrazionale di simili lumi, inevitabilmente, furono i dissensi piuttosto che le speranze a trovare maggiore spazio nelle menti dei mercenari, nel loro rapporto comprensibilmente non positivo con ogni sorta di stregoneria.
« Odio la magia… » non poté evitare di commentare Howe, nell’esprimere ciò a cui tutti, invero, stavano pensando.
Ingenuo sarebbe probabilmente stato ritenere che le prove loro offerte avrebbero potuto dimostrare esclusivamente una natura meccanica alla base del loro funzionamento, laddove fin dalla prima era apparso evidente il coinvolgimento di mistiche forze negromantiche: ciò nonostante, come dimostrato da quella loro vana speranza, la mente umana non avrebbe potuto evitare di cercare di rinnegare ciò di cui aveva atavico timore, sforzandosi nel tentativo di razionalizzare anche l’impossibile almeno fino a quando non vi sarebbe stata offerta altra alternativa. E, purtroppo, nel doversi confrontare con l’idea stessa di magia, la temperanza del gruppo fu posta a dura prova.
Durante quello che ipotizzarono essere il loro quarto giorno di prigionia in quel budello, quando le provviste di cibo ormai apparvero esaurite ed anche l’acqua, pur razionata, iniziò a scarseggiare, un evento inatteso vide purtroppo degenerare rapidamente la situazione, ponendo tutti a rischio.
Nel mentre in cui Howe e Midda si stavano impegnando nel proprio turno sul fronte anteriore, infatti, da dietro una pietra che richiese il loro sforzo congiunto nel tentativo di rimozione, a causa di un peso non indifferente, i resti di un essere umano si concessero scheletrici, quasi mummificati non diversamente da quelli degli zombie ormai lontani nella cripta superiore. Lo scatto all’indietro che entrambi compirono, nella ricerca di spazio utile a manovrare le proprie armi in difesa da tale minaccia, a nulla valse laddove definitivamente morto quel corpo si offrì davanti a loro, non rianimato a negromantica esistenza da qualsivoglia genere di incantesimo: ma dove non il timore sarebbe potuto essere offerto nei confronti di tale scoperta, solo la curiosità rimase loro, imponendo tutta la loro attenzione verso un simile ed inatteso compagno di sventura.
« Chi credete potesse essere stato da vivo? » domandò Be’Wahr, chinatosi insieme agli altri su quel corpo.
« Impossibile dirlo. » commentò Carsa « Forse qualcuno giunto qui prima di noi… qualche secolo prima di noi, e rimasto vittima della frana. »
« Di questa assurda frana che si propone contro ogni logica? » replicò Howe, poco convinto da tale teoria « Ve lo dico io chi era: un altro folle non diverso da noi, che ha scelto la strada sbagliata verso cui condurre i propri passi e che, alla fine, è morto di sete e di fame intrappolato in questa tomba! »
« Guardate… » indicò il biondo, spostandosi di poco e rimuovendo un altro masso « Qui c’è un secondo corpo… »
« Un gruppo di folli come noi, allora! » contestò il shar’tiagho « Abbiamo fatto male a venire… abbiamo fatto male a proseguire in questo senso! Se fossimo tornati indietro, dopo la frana, a quest’ora avremmo raggiunto nuovamente il fiume e da lì, in qualche modo, saremmo potuto comunque arrivare al mare! »
« Un fiume sfocia sempre nel mare. » non poté che concordare la giovane donna, di fronte a simile affermazione.
« Calma… non perdiamo la pazienza. » cercò di intervenire nuovamente Be’Wahr, iniziando a non apprezzare i toni utilizzati dal fratello, troppo simili a quelli già adoperati nella lite con Midda, la quale ancora una volta si propose in silenzio verso di essi « Finora ce la siamo cavata egregiamente, io credo… »
« Tu credi?! » storse le labbra Howe, picchiettandosi contro la fronte con l’indice destro « Per favore, usa quella cosa chiamata cervello ogni tanto. Non ti rendi conto che ormai l’unico destino offertoci è quello che stiamo osservando? » esclamò, indicando i due corpi morti.
« Per favore… » sussurrò l’altro, levando le mani a richiedere quiete, a domandare una moderazione dei toni « Non serve a nulla fare così. Non aiuta nessuno… »
giovedì 20 novembre 2008
315
Avventura
008 - La corona perduta
Dove il precedente accenno di terremoto si era offerto probabile conseguenza dell’azione dei non morti contro ogni parete della cripta, ancor prima di un qualche movimento tellurico, in modo non dissimile, anche in questa nuova occasione, esso si concesse quale evento tutt’altro che naturale.
Davanti allo sguardo attento e privo di timore dei quattro cavalieri, pertanto, si propose una reazione a catena che ritrovò il corridoio all’interno del quale si erano avventurati collassare su se stesso, quasi si fosse mantenuto eretto fino a quel momento unicamente in virtù di un fragile gioco di equilibri il quale, improvvisamente, era venuto a mancare. Incominciando da una distanza rispetto alla loro posizione tale da renderne difficile un’esatta individuazione, pesanti pietre caddero sempre più rapide, sempre più vicine al gruppo: essi, nonostante ciò, non si mossero, non retrocessero nel voler mantenere il controllo sulla situazione, nel non voler permettere alla stessa di imporsi al contrario su essi o sulle loro scelte. Iniziare a fuggire in quel momento, del resto, sarebbe potuto essere vano, dato che non era loro concesso di conoscere l’esatta natura di quanto che sarebbe avvenuto, il preciso funzionamento di quel mortale meccanismo posto a difesa della corona della regina Anmel. Oltre a ciò, l’indizio loro concesso offriva riferimento ad una prova di temperanza in questa occasione, e non di velocità, non di agilità, quali avrebbero altrimenti giustificato la necessità di una fuga, per essi: certo non era stato loro richiesto di dimostrare nuovamente il proprio coraggio nel non retrocedere di fronte a quella possibile catastrofe, ma qualsiasi azione, soprattutto dove conseguenza della decisione di un flebile momento, avrebbe potuto costare loro ancor più cara di quanto sarebbe potuto essere nel farsi trascinare da eccessiva foga.
« Forse un paio di passi indietro… » sussurrò Howe, osservando poco convinto quel crollo sempre più prossimo a loro.
« Aspettiamo… ancora un momento. » suggerì Carsa, seguendo con sguardo analitico quella sequenza precisa, tanto da apparire ai di lei occhi tutt’altro che affidata al caso « Ancora un momento… » ripeté, socchiudendo gli occhi e mantenendo la posizione di guardia.
« Non per mettervi fretta… ma qui rischiamo di fare la fine dei topi… » ammise Be’Wahr, ponendo in dubbio quella scelta, nonostante fino a quel momento si fosse sempre proposto collaborativo, entusiasta nell’affrontare ogni nuova prova loro concessa.
« Un istante… » richiese Midda, appoggiando la teoria della compagna e spostando lo sguardo fra essi e la frana sempre più prossima « Un istante solo… »
Per quanto le due donne sembrassero voler offrire una particolare fiducia nei confronti di quel congegno, di quell’ennesima testimonianza da tributare a coloro che tutto ciò avevano realizzato a difesa del loro tesoro, forse non credendo che sarebbero potute essere poste in pericolo allo stesso modo in cui, altresì, avevano chiaro timore i due compagni, la distruzione si fece sempre più prossima, sempre più vicina a loro. A meno di sei piedi di distanza dalla posizione entro la quale i loro passi si erano audacemente spinti, nell’inoltrarsi all’interno del sotterraneo, enormi blocchi di pietra si frantumarono, precipitando nello spazio del corridoio, creando una nuvola di polvere irrespirabile che, peggio, negò loro ogni possibilità di percezione visiva: la coppia di fratelli d’arme non si poté rifiutare un legittimo timore nei confronti di quanto stava per imporsi su di essi, sul loro destino, e per un istante tentarono di condurre i propri passi a spingersi all’indietro, cercando una fuga che ormai probabilmente non sarebbe comunque stata più loro concessa.
« Fermi! » intimò la voce della Figlia di Marr’Mahew.
Di fronte ad ella, a quel particolare tono, ad una voce riconoscibile fra mille, essi sapevano di non poter negare fiducia ed, in tal senso, reagirono istintivamente, arrestandosi immediatamente per quanto ormai posti di fronte ad una fine certa.
Nel terremoto offerto da quella trappola, tutti e quattro quasi persero l’equilibrio in conseguenza della violenza dei crolli più prossimi, tanto vicini da non poter evitare di incrinare anche le convinzioni più radicate, i cuori più saldi: nonostante tutto essi resistettero, restando immobili, accecati e soffocati dalla polvere che aveva saturato l’aria e che li aveva gettati in un limbo sconosciuto, in una dimensione priva di possibilità di percezione sensoriale.
« Per Lohr! » gridò il shar’tiagho, sollevando le braccia a coprirsi istintivamente il volto in un gesto assolutamente comprensibile per quanto potenzialmente inutile, specie contro un pericolo di simili dimensioni, di tale portata.
Vana sarebbe stata la difesa proposta dall’uomo se la frana si fosse estesa fino ad egli: fortunatamente, comunque, superflua essa si dimostrò nel momento in cui il crollo del corridoio parve evitare di coinvolgere proprio l’area da essi raggiunta. Solo dopo averli superati per almeno cinque piedi, l’azione chiaramente controllata di tale crollo, forse in virtù di congegni meccanici o forse addirittura di magia, riprese a distruggere il passaggio, a frantumare le pareti ed il soffitto.
Apparentemente, così, l’unico scopo di simile evento si poté individuare nel desiderio di sigillare completamente il corridoio ed, in esso, i suoi audaci visitatori, coloro che spinti da tanta bramosia nei confronti del diadema perduto avevano osato giungere vivi fino a quel punto. E quando la nuvola di polvere e detriti ebbe modo di placarsi, liberando l’aria attorno ai quattro, sotto la luce di una coppia di lampade salvatesi insieme a loro da quel crollo essi poterono pertanto verificare di essere ancora vivi, del tutto illesi, ma completamente intrappolati in quel breve tratto.
« Dannazione… » tossì Howe, cercando di liberarsi della polvere che lo aveva coperto integralmente, arrivando a sbiancare addirittura la sua carnagione scura « E questa la considerano una prova di temperanza?! Altro che con gli zombie: qui si che c’era da avere paura! »
« Per lo meno ora sappiamo quale è il barbacane proposto dall’indizio. » suggerì Be’Wahr, indicando la barriera creata dal crollo di fronte ad essi.
Restando in silenzio, Midda sembrò non avere altro da aggiungere, non volersi sbilanciare in alcun senso di fronte a quella situazione: apparve, altresì, in attesa di qualcosa, forse di un evento. E tale si concesse nella presa di parola da parte di Carsa, a sua volta scivolata in un prolungato momento di riflessione personale nell’osservare quanto era stato loro posto innanzi, ciò all’interno del quale essi avrebbero potuto ritrovare negata ogni possibilità di esistenza e di libertà.
« Questa è la nostra prova. » affermò con tranquillità nella voce la giovane, indicando la frana « E qui che dobbiamo dimostrare la nostra temperanza… »
« E come, di grazia? » domandò con sarcasmo nella voce il shar’tiagho « Attendendo un qualche miracoloso evento che liberi il nostro cammino? Che ci restituisca la possibilità di proseguire oltre… »
« No. » negò ella, scuotendo il capo « Liberando noi stessi il corridoio, aprendoci con impegno e, soprattutto, pazienza un varco per fuggire da questo spazio ristretto… »
« Sei consapevole di quanto potrebbe rivelarsi lungo e difficile? » intervenne, con meno ironia e più serietà, il biondo « Non abbiamo idea di quanto in là sia iniziato il crollo… e già con ciò che abbiamo visto, l’ipotesi di liberare questo passaggio si offre simile ad un’impresa titanica… »
« Senza contare che non c’è comunque spazio. » riprese l’altro « Anche volendoci adoperare in tal senso, non ci è stata concessa un’area utile ad accatastare i detriti: rischieremmo di dover procedere rimuovendoli da un fronte e depositandoli contro l’altro… »
« Credo che sia quello che, in ogni caso, dovremo fare, ammesso di voler uscire di qui. » commentò la Figlia di Marr’Mahew, ritrovando ora parola « Del resto, riuscite a pensare ad una prova migliore per misurare la nostra temperanza, se non quella di porci in una situazione assurda come questa? »
mercoledì 19 novembre 2008
314
Avventura
008 - La corona perduta
Se la posizione proposta da Howe fosse stata apprezzata o condivisa dagli altri elementi della squadra, invero, non fu dato a nessuno di saperlo.
A conclusione del breve confronto d’opinione fra i quattro cavalieri, infatti, essi decisero di dedicarsi alla cura dei propri corpi, delle ferite riportate nella prima e nella seconda prova, prima di potersi predisporre al proseguo, alla terza impresa ed alle successive. Ovviamente non mancò dialogo fra essi, laddove in caso contrario sarebbe stato segno di un pessimo clima interno al gruppo, di una degenerazione dei loro rapporti la quale, in quel momento, non avrebbe portato ad alcun vantaggio. Se da un lato, invero, nulla al di fuori della conclusione di quel comune incarico li legava, un vincolo di lavoro decisamente effimero che avrebbe pertanto potuto vedere le loro vite dividersi a tempo indeterminato, indefinito, o anche illimitato, dopo aver raggiunto la corona della regina Anmel e con essa le proprie ricompense; dall’altro lato essi non avevano particolari ragioni per rinnegare la quiete che fino a quel momento erano riusciti a trovare nel proprio rapporto, nel confronto reciproco fra loro stessi. Così, superato quel naturale momento di confronto, giusto e necessario a riconoscere l’individualità, la personalità di Carsa e di Be’Wahr non quali semplici ombre al seguito della loro più celebre compagna, fra i quattro tutto era ritornato come sempre.
Trascorso il tempo necessario a ripulire le ferite maggiori ed a fasciarle con il poco che avevano con sé, essi si riservarono ancora qualche istante a compiere un rapido inventario di ciò era stato loro concesso di salvare a seguito delle prime due prove: il fiume, purtroppo, oltre a privarli delle torce, aveva strappato loro di mano ben due armi, ignorando solo la spada di Midda e la lama di Be’Wahr. Per alcuni mercenari perdere la propria arma, anche laddove essa non avesse un particolare valore intrinseco, non si sarebbe proposto mai quale un evento piacevole: dietro ad ognuna di esse, infatti, quasi sempre si celava una parte della storia personale del proprietario, tanto formata dalla serie di eventi che lo avevano condotto a prendere possesso della medesima ed a preferirla al proprio fianco ancor prima di qualsiasi altra, quanto dalle esperienze vissute sul campo in loro compagnia. Non tutti, necessariamente, condividevano simile filosofia, tale affetto nei confronti di ciò che, altresì, valutavano quale uno strumento come altri, un manufatto da poter sostituire senza esitazioni con qualsiasi altro assimilabile: per i quattro mercenari in questione, però, la perdita della spada dorata di Howe e dell’ascia di Carsa si poneva lontana dalla scomparsa di due fedeli compagne, di due amiche sacrificatesi di fronte alla violenza delle acque per il loro bene. Senza dimenticare, comunque, come a tale dispiacere emotivo si sarebbero dovute sommare inevitabilmente anche una serie di questioni pratiche: in conseguenza di simile danno, infatti, la metà dei componenti della squadra aveva visto improvvisamente il proprio potenziale offensivo e difensivo drasticamente ridotto, nel mentre in cui di fronte ad essi ancora cinque prove si proponevano le prove che avrebbero dovuto affrontare.
Allo scopo di sopperire a simile situazione, l’inventario prodotto nell’analisi del poco materiale loro rimasto si concesse in aiuto, offrendo ancora una corda, con un rampino in metallo stretto ad un’estremità, ed una spranga di metallo, una di quelle con cui Howe e Be’Wahr si erano liberati in precedenza dei sigilli posti al sarcofago nella cripta.
« Che grande fortuna… » commentò con sarcasmo il shar’tiagho, rigirando fra le dita la pesante barra « Per affrontare i prossimi zombie mi lasciate la sacca vuota, per favore? Riempiendola di sassi potrebbe essermi più utile che questa paccottiglia… »
« Dubito che correremo mai tale rischio, se non eventualmente sulla via del ritorno… » intervenne la Figlia di Marr’Mahew, osservando le quattro armi rimaste a loro disposizione e studiando, in tal senso, uno ad uno i propri compagni « Detto ciò, ti consiglio di non sottovalutare le potenzialità di una corda ed un rampino: per un marinaio, tale strumento potrebbe essere utile ad offrire morte ai propri nemici meglio di molte spade. »
« Beh… io non sono un marinaio e Be’Wahr neppure. Carsa? » replicò l’uomo verso la compagna, nell’offrire evidente tono retorico nella voce.
« Io lo sono stata. » affermò con prontezza Midda, senza attendere il diniego dell’altra « Ed a questo punto ritengo sia meglio ridistribuire le risorse in nostro possesso, al fine di incrementare la capacità offensiva del nostro gruppo… »
« Che cosa intendi dire? » chiese il biondo, guardandola con interesse.
« Personalmente credo sia meglio che la tua e la mia arma vadano a loro… » rispose ella, rivolgendosi direttamente verso l’ultimo intervenuto, senza escludere dal discorso anche gli altri compagni « A te lascerei la spranga, forse primitiva ma decisamente efficace nelle sue possibilità, mentre per me riserverei proprio la corda: sono anni che non mi capita di usarne una, ma non credo di essermi scordata come gestirla… »
Al di là dei dubbi e dei giudizi personali, più o meno favorevoli in tal senso da parte degli altri, la proposta della donna guerriero si concesse sufficientemente onesta e equilibrata da non poter trovare, invero, alcuna reale obiezione in essi: nel momento in cui ella stessa era pronta a porsi in difficoltà nel privarsi temporaneamente della propria spada, con la quale aveva dimostrato una confidenza assoluta, un rapporto prediletto, ciò che stava loro offrendo non sarebbe stata semplicemente una migliore possibilità di sopravvivenza in quel contesto avverso, ma anche un’evidente dimostrazione di fiducia. Così a Carsa fu affidata la spada, se tale avrebbe potuto essere definita, del biondo; ad Howe venne concessa la lama bastarda di Midda, mentre a Be’Wahr ed alla Figlia di Marr’Mahew furono destinate rispettivamente spranga e corda, così come da quest’ultima suggerito.
Pronti, in tal modo, ad affrontare i nuovi imprevisti che il fato avrebbe scelto di porre loro di fronte, i quattro ripresero a muoversi, avanzando ora nell’unica direzione loro offerta, inoltrandosi nel corridoio aperto innanzi al loro sguardo nella parete della galleria sotterranea. Fortunatamente, benché avessero perduto le proprie torce, lo stesso meccanismo che aveva previsto l’accensione delle due lampade del molo, predisponendole quali fari per gli avventurieri che entro quei confini avessero osato proseguire, aveva evidentemente innescato una reazione a catena, allo scopo di mostrare anche l’andito quale illuminato dalla luce di altri lumi, in dimensioni minori ma sufficienti a garantire visibilità all’interno del medesimo.
« Nulla di straordinario… » sottolineò la donna guerriero, verso i compagni, apparentemente diffidenti nei confronti di una simile comodità « Molti sotterranei che ho visitato anche in tempi recenti si sono concessi in questo modo. »
La via loro proposta, comunque, si presentò decisamente più ampia di quanto la stessa Midda avrebbe potuto attendersi, concedendo un cammino largo quasi nove piedi ed alto oltre sei piedi: conformato in un’elegante volta circolare, il corridoio risultò essere completamente rivestito di pietra chiara, del medesimo e marmoreo aspetto già utilizzato quale materiale principale nell’edificazione del piccolo molo sul fiume. Alcun bassorilievo, alcuna decorazione, alcun motivo ornamentale si offriva rilevabile su quelle lunghe pareti, sopra alle quali gli unici elementi di rottura nei confronti dell’altrimenti assoluta regolarità si concessero essere proprio le lampade, regolarmente disposte ad intervalli non superiori ai trenta piedi l’una dall’altra.
Mantenendo il silenzio, più al fine di non permettersi il lusso di eccessive distrazioni che in conseguenza di un reale desiderio di quiete sonora, il gruppo avanzò compatto in quel percorso, inoltrandosi in quella che giudicarono essere la direzione del vicino monte Rou’Mairth, probabilmente volgendosi in ciò verso il suo interno, verso il suo cuore roccioso: straordinario era, in effetti, riflettere sul lavoro posto in essere da coloro che tutto quello avevano realizzato ma, al contempo, terrificante appariva l’idea del triste destino a cui si sarebbero potuti condannare se non avessero trovato possibilità di lasciare quel luogo per una via diversa da quella lungo la quale erano giunti. E proprio nel mentre in cui simili pensieri attraversavano le loro menti, un’improvvisa e violenta scossa sismica pretese prepotentemente la loro attenzione, bloccandoli in attesa dell’inevitabile, nel temere quella che sarebbe stata probabilmente la loro terza prova…
« … ancor prova d'indole non iraconda/vi sarà richiesta al barbacane,/c'ogne forza sa rendere inane… » sussurrò Carsa, guardandosi attorno.
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