11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

www.middaschronicles.com
il Diario - l'Arte

News & Comunicazioni

E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

domenica 30 settembre 2018

2685


« … lo stai facendo apposta! » la accusò, improvvisamente, la voce di Be’Sihl, giungendole senza sorpresa alcuna alle spalle e, ciò non di meno, vedendola costretta a simulare quasi spavento, e spavento nell’ordine di misura in cui, allora, non avrebbe avuto a dover presumere che egli fosse effettivamente sveglio e, per lo più, decisamente interessato alle sue attività.

E così, dopo aver sobbalzato al momento di quel suo intervento, e dopo essersi risollevata in piedi, levando una mano al petto, in corrispondenza del proprio cuore, in un gesto tanto teatrale quanto, quasi, imbarazzante, nel ben considerare l’identità del soggetto in questione, della Figlia di Marr’Mahew, l’Ucciditrice di Dei, la Campionessa di Kriarya, la donna da dieci miliardi di crediti; ella ebbe quindi a voltarsi con occhi sgranati e fronte corrucciata verso di lui, in chiaro segno di rimprovero per quel torto così impostole, pur non mancando, ovviamente, di prestare ben attenzione a continuare a concedergli una squisita visuale sui suoi glutei, e, nel contempo di ciò, a offrirgli anche uno scorcio estremamente interessante sull’alto profilo dei suoi seni, in una quieta torsione del proprio busto.
Una torsione che, se possibile, ebbe a sconvolgere ancor maggiormente il povero shar’tiagho, il quale, al contempo, ebbe a confrontarsi con la piena generosità sia del suo fronte posteriore, sia di quello anteriore, in un quadro d’insieme che avrebbe avuto a doversi delineare qual a dir poco letale… nell’alto rischio d’infarto che, da ciò, non avrebbe potuto che essergli crudelmente imposto.

« Ma ti pare il caso di spaventarmi in questo modo…? » gli domandò, scuotendo appena il capo a enfatizzare maggiormente la propria artefatta reazione di sorpresa innanzi a quell’intervento e, in tal senso, rigirando completamente ogni tono d’accusa al mittente, nel tentare di trasformare la sua posizione da quella di vittima a quella di carnefice « … e, soprattutto, cosa starei facendo apposta, per grazia di Thyres?! » insistette, a dimostrare quanto, comunque, non avrebbe avuto a poter comprendere il senso di quell’accusa, laddove avrebbe avuto a doversi ritenere quietamente convinta del fatto che egli stesse dormendo.

Ma per quanto Be’Sihl avrebbe desiderato, in quel momento, poter dimostrare sufficiente sangue freddo da ignorare quanto presentatogli innanzi allo sguardo, cercando di tenerle testa in quella conversazione che pur, lo capiva, avrebbe avuto a doversi considerare maliziosamente orchestrata da parte dell’interlocutrice al solo scopo di farsi giocosamente beffe di lui; il suo sguardo non riuscì neppure a risalire sino all’altezza degli occhi color ghiaccio di lei, nel ritrovarsi tragicamente intrappolato all’interno delle sensuali forme di quella coppia di fossette deliziosamente presenti alla base della sua schiena, là dove la curva perfetta dei suoi glutei sarebbe andata a iniziare. Fossette, quelle lì palesate da parte della propria donna, che avrebbero avuto a doversi riconoscere, in verità, abilmente poste in risalto dalla curva assunta dalla sua schiena nella propria postura attuale, comprovando e ribadendo, ulteriormente, quanto non un solo aspetto di quella questione, di quel giuoco di seduzione, fosse in verità stato lasciato al caso.
Così, benché le sue labbra tentarono anche di scandire una qualche frase di senso compiuto, la sua lingua si ritrovò incapace a proferir verbo, vedendolo costretto, semplicemente, a risultare, per un lunghissimo istante, quasi un decerebrato. Se nonché, la fastidiosa tensione intima faticosamente celata sotto le lenzuola e le coperte da lui raggruppate a sé, lo costrinse a reagire, nel dolore che, quasi, stava iniziando a provare a confronto con tutto ciò… e con la quieta consapevolezza di quanto, purtroppo, non avrebbe potuto in alcuna maniera sperare di giacere con lei. Non, quantomeno, fino a quando Desmair fosse stato in circolazione, e libero di agire sulla sua mente, sui pensieri della propria amata, in un rischio che, molti anni prima, ella si era ripromessa di non voler più correre.

« Sai essere straordinariamente crudele, quando ti impegni. » definì egli, storcendo le labbra verso il basso e provando a distogliere lo sguardo da lei, pur senza, in verità, riservarsi particolare successo a tal fine, allontanandosi da quelle fossette soltanto per andare a perdersi nella contemplazione di una microscopica goccia di sudore che, lentamente, molto lentamente, sembrava essersi ripromessa di percorrere l’intera definizione del di lei addome, a partire dalla curva inferiore di quei mirabili seni.
« Addirittura crudele…?! » ripeté ella, non potendo ovviare a ridere, e a ridere di gusto, nel profondo del proprio cuore e, ciò non di meno, riuscendo a conservare uno straordinario autocontrollo, utile, in quel momento, a dimostrarsi addirittura confusa nel confronto con tutto ciò « … potresti almeno dimostrarmi la decenza di argomentare le ragioni di una simile accusa? Giacché, francamente, ancora non riesco a comprendere cosa potrei aver mai compiuto per meritarmi tanta infamia… »

Richiesta, la sua, che, forse ora osando anche troppo, in un movimento assolutamente immotivato, e in una postura del tutto priva di qualunque altro possibile significato al di fuori di quello proprio di una chiara provocazione a suo discapito, la vide spostarsi a cercare un più esplicito confronto con lui, voltandosi ora interamente verso di questi e, tuttavia, non limitandosi a sostare in attesa di una spiegazione lì, tranquillamente, in piedi, così come già sarebbe stato comunque difficilmente disprezzabile, ma, addirittura, piegandosi in avanti, e piegandosi in avanti con il supposto intento di volersi porre all’altezza del suo sguardo, salvo, in tal maniera, in quell’atletica flessione del proprio busto in avanti mantenendo la schiena elegantemente distesa sino a delineare, quasi, un angolo retto con le proprie gambe, limitarsi semplicemente a imporgli una mirabile visione dei propri seni, e dei propri ancor straordinariamente sodi seni, conturbatamente dondolanti innanzi a lui, con i propri irriverenti capezzoli apparentemente dediti a invitarlo, e a invitarlo ad accorrere a essi con tutta la propria più incontrollabile foga.
E se, allora, Be’Sihl sentì addirittura gli occhi colmarsi di lacrime nel confronto con la frustrazione del veto imposto loro dall’ombra di Desmair, ben comprendendo quanto, in tutto ciò, ella stesse semplicemente divertendosi e divertendosi a prezzo della sua sofferenza, decise di reagire innanzi a quella provocazione con un gesto indubbiamente poco elegante, e pur obiettivamente adeguato come evidenza di resa innanzi a tutto ciò, limitandosi a scostare le coperte e le lenzuola pocanzi a sé richiamate per permetterle di trovare alfine soddisfazione nel contemplare gli effetti di quell’impegno di seduzione speso a suo esplicito discapito, mostrandole quanto, in quel momento, il suo corpo altro non avrebbe desiderato che proiettarsi verso di lei, e immergersi in lei, nell’ossessione di quelle curve, con la propria ineccepibilmente virile mascolinità, così palesemente offerta al suo sguardo, e con tutto se stesso.

« Oh… » sorrise Midda, per nulla imbarazzata da quella visione, e, anzi, decisamente lusingata da essa, e dal verificare quanto, in effetti, egli avesse apprezzato lo spettacolo così da lei improvvisato a suo uso e consumo « … buongiorno! » salutò, volgendo tale ossequio non tanto al proprio amato, quanto al suo membro, divertita e deliziata da tutto quello e, inutile fingere ulteriormente il proprio disinteresse, a sua volta tutt’altro che indifferente a lui e al suo corpo, soprattutto laddove così prepotentemente eccitato innanzi a lei « Ben alzato! » insistette, in un doppio senso tanto malizioso quanto di non così mirabile originalità.

Prima, però, che lo shar’tiagho potesse avere occasione di replicare, e magari di domandarle la cortesia di volersi rivestire e di sfondare il piccolo oblò presente su una parete della loro stanza, a permettere al gelo esterno di aiutarlo a superare quella situazione di imbarazzo, ella gli fu letteralmente sopra, avventandosi su di lui e sul suo corpo con il proprio, con le proprie forme, con la propria femminilità, per tradurre senza ulteriore esitazione, senza ulteriore possibilità di freno, ogni suo desiderio, ogni sua brama, da lei dopotutto assolutamente condivisa, in realtà. E in una realtà a confronto con la quale egli non ebbe né la possibilità, né la volontà di sollevare alcun dubbio, alcuna domanda, preferendo, francamente, poter approfittare di quel piacevolissimo risvolto di quella loro, altrimenti ancor infruttuosa, attuale avventura insieme.

sabato 29 settembre 2018

2684


Quando, dopo qualche ora di riposo, Be’Sihl ebbe a risvegliarsi, proprio malgrado ebbe a dover constatare quanto, al suo fianco, nel letto, la propria amata non avesse allora a doversi considerare presente. Un malcontento, il suo, a confronto con una tale realtà dei fatti, che ebbe tuttavia a riservarsi ben poca durata, laddove, spostando lo sguardo dal comune giaciglio al resto della stanza, ebbe a individuarla, in verità, non lontano da sé, intenta, in nove piedi quadrati di spazio fra il fondo del letto e la parete lì di fronte, a riservarsi occasione per impegnarsi nei propri consueti esercizi fisici mattutini, gli stessi che, da una vita intera, ella non si negava mai occasione di riservarsi praticamente ogni giorno, tanto un istante prima di coricarsi, così come immediatamente dopo essersi alzata. Esercizi, i suoi, che, generalmente, laddove consumati all’interno dell’intimità di uno spazio chiuso, difficilmente avrebbero previsto la presenza di un qualche genere di abito sulla sua pelle, a concederle massima libertà di movimento, nella più totale libertà delle proprie membra, per tendersi e contrarsi, per ripiegarsi e distendersi, in un’attività fisica che alcuno avrebbe mai potuto obiettivamente giudicare ella abbisognasse, ma che pur, comunque, mai si sarebbe negata, al fine di mantenersi, sempre e comunque, quanto più possibile in forma, non potendosi permettere, soprattutto non in momenti di pace, ma ancor meno in occasioni di guerra, di cedere alla pigrizia. E se pur la necessità di dedicare la propria attenzione a tale impegno, l’aveva quindi condotta ad abbandonare il morbido e sempre piacevole abbraccio delle lenzuola, delle coperte e, soprattutto, del proprio amato; quest’ultimo non avrebbe potuto avere comunque di che lamentarsi, nel potersi, in tutto ciò, concedere l’occasione di un sempre conturbante spettacolo, e di quello spettacolo così dal suo nudo corpo offerto, in movimenti, in azioni prive di qualunque malizia, e, ciò non di meno, compiute, innanzi al suo sguardo, da forme che non si sarebbe mai stancato di poter contemplare, da meravigliose proporzioni che non si sarebbe mai stancato di poter amare.
Aprire gli occhi innanzi a un nuovo giorno e avere, così, possibilità di rimirare le nude spalle della propria amata, la dolce linea della sua schiena, i suoi alti e sodi glutei, le sue potenti gambe, con cosce e polpacci squisitamente delineati nella loro fiera muscolatura, un attimo prima pienamente offerti alla sua attenzione in conseguenza alla posizione da lei assunta in termini utili a vederla ripiegata in avanti in termini tali da condurre, quasi, la propria fronte a toccare i suoi stinchi; e, subito dopo, riservarsi l’occasione di emozionarsi nell’ammirare la pienezza dei suoi giunonici seni, l’irriverenza dei suoi capezzoli rivolti verso l’alto dei cieli, la dolce morbidezza del suo ventre leggermente convesso, il fascino delle sue forme più intime, nel mentre in cui, altresì, ella sospingeva il proprio intero busto all’indietro, a tendersi quanto più possibile in un sensuale arco volto a ribaltare completamente ogni impegno precedente, e, ora, quasi a voler ripiegare, in termini ovviamente impossibili, la propria schiena all’indietro, a equivalere allo sforzo precedentemente compiuto in direzione contraria; non avrebbe quindi potuto che offrire un’assolutamente comprensibile ragione di gioia per lo shar’tiagho, vedendolo, anzi, riservarsi l’opportunità di meglio posizionarsi sul letto per non rischiare di perdere neppure il più fugace dettaglio di quella perfezione da lui così follemente amata. Non che egli non conoscesse quel corpo, non che non avesse avuto già più di un’occasione per poterlo ammirare, da ben prima dell’inizio del loro rapporto, o di poterlo esplorare pollice per pollice, con le proprie mani, con le proprie labbra, baciandolo e assaporandolo, bramandolo come la più estasiante fra tutte le droghe: in verità, probabilmente, anche egli avesse perduto inaspettatamente la vista, sarebbe stato sicuramente in grado di plasmare una copia perfetta della propria amata da un blocco di creta, tanto la confidenza con quelle forme, e con ogni minimo dettaglio delle stesse, avrebbe avuto a doversi considerare elevata per lui. Ma, conosciuto o meno che tale spettacolo avesse a doversi considerare, mai egli avrebbe potuto stancarsi di ammirarlo, nello stesso modo in cui mai avrebbe potuto smettere di bramare la visione di una nuova alba, o di un nuovo tramonto.
E se il soggetto protagonista di tanta ammirazione, in quel mentre, avrebbe pur avuto a doversi riconoscere completamente assorta nel proprio impegno in quella ginnastica di allungamento, di distensione muscolare, preparatoria agli esercizi successivi e, soprattutto a quanto avrebbe potuto attenderla nel corso del resto della giornata; improbabile, impossibile addirittura, avrebbe avuto a poter essere per Midda non rendersi conto di quanto il proprio compagno si fosse ridestato e, soprattutto, con quieta discrezione, si fosse posto in attenta contemplazione del proprio operato, certamente in ciò sospinto non tanto da un interesse atletico, quanto e piuttosto di altra natura. Un interesse che, tuttavia, non avrebbe potuto in alcun modo dispiacere il suo amor proprio, la sua femminile vanità, non laddove, in fondo, come chiunque altro nel Creato, ella non avrebbe potuto ovviare ad apprezzare l’idea di essere tanto desiderata dal proprio compagno, dal proprio amante e amato, da colui che aveva deciso di mantenere al proprio fianco, e che pur, dopo tutte le disavventure loro occorse, e tutti i problemi che, sovente, li avevano divisi, assolutamente comprensibile sarebbe stato scoprire più che titubante sul proseguo di quella loro storia, di quella loro relazione. Altri, prima di lui, avevano infatti preferito allontanarsi da lei nell’evidente difficoltà a restarle al fianco; così come in molti di più, in gioventù, a lei avevano ambito soltanto per una notte d’amore e nulla di più, in termini che, sovente, ella era anche stata ben felice di accontentare, traendo eguale piacere da medesime premesse. Con Be’Sihl, tuttavia, la questione non avrebbe potuto ovviare a risultare diversa… e diversa nella misura in cui, anche dopo tanti anni insieme, e quasi il doppio di amichevole frequentazione, egli non sembrava essere in grado di stancarsi di lei, né, tantomeno, di lasciarsi intimorire da tutte le evidenti difficoltà conseguenti all’idea di restarle al fianco.
Così, benché non sarebbe stata solita considerarsi contraddistinta da quella medesima, naturale sensualità che in molte altre donne avrebbe avuto a doversi considerare addirittura irritante, così come, un esempio fra molti, nella sua perduta amica-nemica Carsa Anloch, ogni più semplice gesto della quale non avrebbe potuto ovviare a irretire qualunque uomo e, sovente, molte donne; ella decise, in quel mattino, di rendere quieto omaggio al proprio amato, modificando con piccole, sapienti scelte, i propri movimenti, le proprie posizioni, al solo scopo di avere ad appagarne lo sguardo e a stuzzicarne le fantasie più sfrenate. E per quanto, appunto, ella non sarebbe stata solita considerarsi contraddistinta da una qualche naturale sensualità, tale proprio impegno non ebbe a passare inosservato all’attenzione del destinatario di simile, silenzioso dono, non laddove, di lì a breve, egli ebbe a iniziare ad apparire in sincera, seria difficoltà a mantenere la postura inizialmente scelta, ritrovandosi costretto a mutare posizione, a risollevarsi e a trarre maggiormente a sé le coperte del letto, in una bizzarra contorsione chiaramente motivata dal tentativo di riservarsi un qualche fugace barlume di dignità, dopo essersi reso conto della misura nella quale, in effetti, avrebbe avuto a doversi riconoscere apprezzare tutto quello: una misura nella quale, forse complici anche quei lunghi giorni di astinenza da lei e dalla pienezza del loro rapporto, la sua mascolinità ebbe a risvegliarsi prepotentemente, plaudendo in tal maniera a quanto da lei abilmente compiuto.

« … dei… » gemette lo shar’tiagho.

Pur non avendo invero ragione alcuna per essere imbarazzato nel confronto con lei, laddove, nell’eguale misura in cui egli avrebbe potuto vantare di conoscere il corpo dell’amata, altrettanto ella avrebbe potuto riservarsi occasione di orgoglio per la confidenza maturata con il corpo di lui, sotto ogni punto di vista, in ogni possibile prospettiva, tale per cui, quindi, anche quell’evidenza di apprezzamento, da parte sua, non avrebbe avuto a doversi certamente fraintendere qual inedita innanzi al suo sguardo; forse per una qualche reminiscenza adolescenziale, forse perché in fondo anch’egli sorpreso dalla propria stessa reazione fisica, Be’Sihl, in quel momento, non avrebbe potuto essere riconosciuto esattamente a proprio agio in quella situazione… anzi.
Ma tanto maggiore avrebbe avuto a doversi considerare quell’imbarazzo, tanto maggiore avrebbe avuto a doversi proporzionalmente considerare il divertito compiacimento della controparte, della stessa Midda, la quale, dal canto proprio, finse spudoratamente di non averlo ancora riconosciuto qual desto, e persino più che desto, nel proseguire, irriverentemente, i propri esercizi, a ogni nuovo movimento, a ogni nuova posizione, sempre più intrisi di incontrovertibile, voluttuosa carnalità.

venerdì 28 settembre 2018

2683


« Avevamo un accordo… »

A risvegliare la donna guerriero dal leggero sonno nel quale si era concessa occasione di ricadere, tale non per una qualche diffidenza nel confronto con il proprio anfitrione, qual pur non avrebbe avuto a doversi negare obbligata necessità di riservarsi a confronto con quell’ospitalità sin troppo generosa, quanto e piuttosto per mera deformazione professionale, avendo vissuto una parte predominante della propria esistenza in situazioni di pericolo nel quale una qualunque occasione di requie più profonda sarebbe stata ineluttabilmente preludio della tragica possibilità d’incontro con i propri dei nell’aldilà; fu allora la voce di Desmair, trasparente della sua sopraggiunta presenza all’interno di quella stessa camera da letto, chino, nella fattispecie, su di lei, seduto al bordo del letto da lei allor diviso con Be’Sihl.
Una sopraggiunta presenza che, non fosse stata quella di Desmair, avrebbe avuto lì a doverla spaventare, a doverla sorprendere, a doverla sconvolgere, anche nel confronto con l’evidenza di quanto egli, in ciò, fosse riuscito a ovviare all’attenzione dei suoi sensi, a porre in allarme il suo istinto di sopravvivenza: trattandosi proprio di lui, tuttavia, qualunque ragione di scandalo non avrebbe potuto ovviare a scemare, e a scemare rapidamente, giacché, in fondo, da quasi dieci anni simili visite non avevano mancato di contraddistinguere molte delle sue notti, soprattutto a seguito del consolidamento del proprio rapporto con lo stesso Be’Sihl. Nelle prime, passate occasioni, addirittura, Desmair era stato solito riservarsi l’opportunità di porla a confronto, al proprio risveglio, con macabre immagini di morte proprio relative allo shar’tiagho, mostrandolo decapitato, smembrato o sbudellato accanto a lei, nelle stesse lenzuola fra loro condivise, con il proprio sangue, e ogni altro liquido proveniente dalle profondità delle sue viscere, sparso anche su di lei, sulla propria pelle, sul proprio corpo: scherzi sgradevoli, illusioni spiacevoli, in grazia alle quali egli aveva sin da subito voluto sottolineare la propria capacità di manipolazione della sua percezione della realtà.
E di quella realtà della quale, purtroppo, ben presto ella aveva dovuto iniziare a dubitare… almeno fino a quando, per intercessione dello stesso Be’Sihl, non le era stato donato quel prezioso monile dorato, quel bracciale che, solo, si era dimostrato capace di interdire l’azione di Desmair sulla sua mente, concedendole, alfine, liberta. Lo stesso monile dorato nel recupero del quale, sinceramente, ella sperava che, alla fine di quell’avventura, Duva e le sue amiche si sarebbero dimostrare vittoriose, restituendole, in tal senso, l’occasione di poter vivere la propria vita con una certa serenità, libera dall’oppressione della presenza del proprio sposo nella propria quotidianità. Per intanto, però, Desmair avrebbe potuto continuare a riservarsi quella sgradevole opportunità di intervento, così come quell’intromissione inattesa avrebbe potuto quietamente dimostrare.

« Avevamo un accordo… ma tu stai tergiversando. » insistette egli, dimostrando un’inusuale parvenza di ansia, di urgenza nei riguardi della propria sposa, e di un qualche patto esistente fra loro.

Per quanto la presenza del semidio avrebbe avuto a doversi considerare realmente tale solo innanzi all’attenzione, allo sguardo e ai sensi tutti della Figlia di Marr’Mahew, un’eventuale risposta indirizzata al medesimo da parte della stessa non avrebbe avuto occasione di riservarsi la stessa discrezione che, in quel momento, avrebbe avuto a dover essere giudicata alla base dell’intervento di quel colosso dalla pelle simile a cuoio rosso. Per questa ragione, quindi, l’Ucciditrice di Dei dovette resistere all’impulso di rivolgergli immediatamente risposta, limitandosi, piuttosto, ad alzarsi dal letto, a rivestirsi rapidamente e silenziosamente, e a muoversi verso un altro ambiente, al fine di non disturbare il riposo dell’amato e, soprattutto, di non coinvolgerlo in quella questione più di quanto, già e purtroppo, non avrebbe avuto a doversi riconoscere coinvolto, nell’essere, proprio malgrado, l’attuale ospite dello spirito di quell’empio essere semidivino.
E se pur, Desmair, non si oppose a quel cambio di ambiente, la sua presenza accanto alla propria sposa rimase pressante, a dimostrare quanto egli non avrebbe gradito l’eventualità di poter essere da lei ignorato…

« Abbiamo un accordo. » corresse la donna guerriero, non appena ebbe richiuso la porta della camera condivisa con Be’Sihl alle proprie spalle, parlando comunque sottovoce, in un filo d’alito volto a ovviare a disturbare chiunque all’interno di quella dimora nella quale, in fondo, avrebbero avuto a dover essere considerati semplicemente ospiti « E io non sto tergiversando… » insistette, ribaltando completamente la tesi formulata dal proprio interlocutore, con aria quantomeno scocciata da quella sua opprimente presenza e, più in generale, dalla sua presenza nella propria vita, da oltre un decennio a quella parte.
« E come giudichi tutto questo?! » protestò il semidio, ergendosi per la propria intera, colossale altezza, e allargando le braccia, a indicare l’ambiente attorno a sé, un ambiente che, chiaramente, non doveva star soddisfacendo le sue aspettative, almeno nel confronto con quanto precedentemente concordato con la propria fedifraga moglie « Io lo descriverei “brancolare nel buio, prendendo e perdendo tempo”… altrimenti detto “tergiversare”. »

Passandosi la mancina sul volto, a cercare di contenere in tal gesto la crescente irritazione nel scatenare la quale, all’interno della propria quotidianità, Desmair avrebbe avuto a doversi riconoscere maestro, la donna dagli occhi color ghiaccio e dai capelli color del fuoco si costrinse a ricordarsi di non potersi permettere di gridargli contro, sia per non porre in allarme la famiglia del borgomastro e, da questi, essere definita come una pazza atta a inveire contro le ombre sui muri, sia e ancor più per mantenere Be’Sihl nel proprio stato di quieta inconsapevolezza, ben conscia di quanto, se soltanto egli avesse conosciuto i termini dell’accordo da lei stretto con Desmair, certamente non sarebbe stato concorde.
E benché, in tutto ciò, una parte di lei non avrebbe potuto ovviare a sentirsi in colpa a nascondere tale verità al proprio amato, un’altra parte di lei non avrebbe potuto ovviare a dimenticare quanto, comunque, egli non avesse mancato, in passato, di agire nella stessa maniera, stringendo più volte patti con Desmair per il bene della propria, stessa amata, arrivando, in ciò, anche e persino a divenirne l’ospite, a ritrovarlo, improvvisamente, nella propria mente, nel proprio corpo, senza avere alfine opportunità di opporsi, di lamentarsi, giacché, dopotutto, egli stesso era stato complice nella definizione di una tale situazione. Se, quindi, per una volta tanto, fosse stata ella a scendere a patti con quel demonio, e ad agire, o a tentare di agire, per il bene del proprio amato, questi non avrebbe dovuto potersi riservare la benché minima opportunità di lamentela, di veto. Ma giacché, ineluttabile, sarebbe stato per lui prendere posizione in tal direzione, altrettanto obbligatoriamente ella non avrebbe potuto fare altro che celargli la verità e, in ciò, impedirgli di poter agire in contrasto a quanto da lei deciso, benché, obiettivamente, tale decisione avrebbe avuto a dover essere giudicata persino in contrasto ai di lei stessi principi fondamentali…

« Ascoltami con attenzione. » sospirò ella, riprendendo voce e cercando, ancora una volta, di mantenerla il più controllata possibile, al di là della necessaria irritazione derivante dal confronto con lui « Libero di non credermi, ma in questi ultimi due lustri dovresti aver avuto evidenza di quanto io non sia solita venir meno alla parola presa… »
« … disse colei che giurò innanzi agli dei tutti di essermi fedele… » commentò malevolmente ironico Desmair, non a torto giacché, in fondo, ingannato nel giorno del suo novecentoundicesimo matrimonio, e ingannato proprio dalla donna guerriero al fine di unirsi a lei e non a colei che, altresì, aveva prescelto qual propria sposa, colei che, in grazia ai propri negromantici poteri, avrebbe potuto concedergli un’occasione di libertà dai limiti della propria prigionia.
« … io non sia solita venir meno alla parola presa. » ripeté la donna, ora quasi ringhiando fra i denti « E se ti ho detto che avrai il corpo immortale di Reel Bannihil, tu avrai il corpo immortale di Reel Bannihil e potrai, finalmente, lasciare in pace Be’Sihl e la sottoscritta, per andare a vivere il resto della tua interminabile esistenza ovunque tu abbia a desiderare! »

giovedì 27 settembre 2018

2682


Dopo aver introdotto i due stranieri al borgomastro, Athon si riservò occasione di prendere quieto congedo dalla scena per poter fare ritorno alla propria dimora, e dalla propria famiglia, prima che la temperatura esterna potesse scendere al punto tale da impedirglielo. E sebbene l’incontro con quell’uomo e con i suoi cari fosse stato indubbiamente fugace, sia Midda, sia Be’Sihl, in cuor proprio, non poterono che provare un certo senso di malinconia all’idea di aver a doverlo salutare, in conseguenza alla straordinaria, positiva impressione che, comunque, tutti loro avevano avuto a offrire innanzi al loro sguardo, innanzi al loro giudizio, non soltanto nella premurosa accoglienza loro riservata ma, ancor più, nel loro modo di agire, nel loro modo di pensare, così estraneo, così alieno, a tutto ciò con cui avrebbero avuto a potersi considerare usualmente abituati e, ciò non di meno, mirabilmente apprezzabile: forse non avrebbero avuto altre occasioni, future, di incontro con loro… ma, ciò non di meno, certamente avrebbero condotto seco, nei propri cuori, il piacevole ricordo di quell’incontro, per quanto breve, per quanto effimero.
Rimasti soli in compagnia del borgomastro, all’ingresso della sua abitazione, Midda e Be’Sihl vennero invitati da questo a volersi unire a lui e alla sua famiglia per la cena, in una scelta quasi retorica laddove, comunque, non avrebbero potuto riservarsi particolari possibilità alternative, in conseguenza al degenero della situazione esterna, delle condizioni climatiche del mondo là fuori. E così, comunque più volenti che nolenti, i due ospiti accettarono l’invito loro rivolto, e si aggregarono al borgomastro e alla sua famiglia, per quell’occasione conviviale, riconoscendo, in conseguenza a ciò, anche a lui e ai suoi cari, la stessa mirabile premura, generosità e fiducia che, già presso la dimora di Athon e Pemir, era stata loro rivolta, nel vedersi lì, pur stranieri sconosciuti, potenziali pericoli, per non dire assassini spietati, serenamente accolti entro quelle mura domestiche, senza che neppure fosse loro richiesto di abbandonare le proprie armi, senza che neppure fosse loro posta la benché minima questione nel merito delle motivazioni che avrebbero potuto averli spinti sino a lì, per così come, pur, quantomeno in linea di massima, era stato compiuto da parte dei loro precedenti anfitrioni.
Ma laddove, tanta ospitalità, non avrebbe potuto che essere indubbiamente gradevole e gratificante, tanta fiducia non avrebbe potuto che essere straordinariamente piacevole ed edificante, pur vero avrebbe avuto a doversi considerare quanto, parimenti, tutto ciò non avrebbe potuto ovviare a risultare anche incredibilmente sospetto, per non dire esplicitamente inquietante. Al di là, infatti, delle abitudini maturate, dello stile di vita per loro necessariamente consueto nel proprio mondo e, in particolare, in quella che avrebbe avuto a dover essere riconosciuta, da chiunque, con il nome di città del peccato, in conseguenza di una popolazione quasi completamente composta da ladri e assassini, mercenari e prostitute, tutt’altro che salubre, tutt’altro che razionale sarebbe stato, per una qualunque persona, accogliere in casa propria, alla propria tavola, innanzi ai propri cari, due perfetti estranei a lui appena presentatisi, e due estranei, oltretutto, palesemente armati, e armati in termini persino eccessivamente marcati, per così come, allora, la presenza di una lunga lama bastarda portata a tracolla dalla Figlia di Marr’Mahew non avrebbe potuto ovviare a essere definita. Ragione per la quale, allora, proprio la stessa ex-mercenaria, non avrebbe potuto ovviare a iniziare a provare un certo senso di irrequietezza, di turbamento, nel confronto con la serenità apparentemente intrinseca negli abitati di quel luogo, di coloro che lì fra i ghiacci, come sovente sembravano rimarcare, avevano deciso di stabilire la propria esistenza, in un ambiente che, già di per sé, avrebbe avuto a doversi considerare fondamentalmente antagonista a qualunque speranza di vita.
Così, offrendo buon viso a quel giuoco che non avrebbe potuto definirsi propriamente cattivo, ma quantomeno insolito, strano, Midda e Be’Sihl ebbero a essere ospiti di Orihm Forami e di sua moglie Meem Mercha, una splendida giovane donna sulla trentina, e dei loro tre figli, probabilmente adottivi, laddove, a meno di non presumere avessero potuto essere concepiti quando il borgomastro non aveva più di una decina di anni, difficilmente le loro età, pressoché prossime a quelle di Tagae e Liagu, avrebbero potuto giustificarne una qualche effettiva parentela. Ovviamente, laddove a loro non stava venendo posta alcuna domanda, non stava venendo destinato alcun interrogativo, quantomeno improprio, irrispettoso, sarebbe stato dal loro punto di vista sollevare questioni o curiosità aventi qual soggetto i propri anfitrioni, ragione per la quale ogni dubbio venne quietamente soffocato nei loro cuori. Non che, ovviamente, ad alcuno dei due sarebbe realmente interessato esprimere un qualche giudizio di sorta sua quella strana famiglia, e sui loro insoliti rapporti di età: anche laddove fosse stato espresso un qualunque quesito, tale avrebbe avuto a essere giustificato per semplice interesse personale, laddove che Orihm, ipoteticamente ventenne o forse meno, fosse chiamato “papà” da tre ragazzi di metà dei suoi anni, non avrebbe avuto, comunque, a dover essere considerata una questione di loro pertinenza. Al di là di simile disparità in termini di età, comunque, tanto Midda quanto Be’Sihl non avrebbero potuto ovviare a riconoscere quanto obiettivamente incantevole avrebbe avuto a doversi identificare quella famigliola, non soltanto nella bellezza individuale di ogni suo elemento, quanto e ancor più nel meraviglioso quadro d’amore che, nella loro complessità, erano in grado di offrire.
Meem Mercha, in particolare, si ebbe a presentare qual degna moglie del proprio sposo, offrendo, nella propria presenza, non soltanto la splendida immagine di una donna di indubbia bellezza e fascino, ma, anche e ancor più, palesando una mente vivace, un intelletto allegro, tale da renderla una piacevolissima interlocutrice, in termini nei quali, le ore di quella serata, si succedettero rapidamente attorno a quel desco, ritrovando i quattro adulti, dopo che i bambini furono andati a dormire, intrattenersi a lungo in chiacchiere su qualunque genere di argomento, quasi altro non fossero che amici di antica data, quasi si conoscessero da sempre, anche e non di meno nell’assenza di qualunque questione di natura personale, lì escluse non con l’oppressione psicologica di un tabù, quanto e piuttosto con la leggerezza propria di un argomento del quale sarebbe stato superfluo parlare, laddove, in fondo, già noto a tutti, per così come, pur, non avrebbe avuto realmente a essere. E così, dopo aver già provato un senso di profondo rispetto nei riguardi di Pemir Veruz, la Figlia di Marr’Mahew si ritrovò quasi a essere gelosa nel confronto con Meem Mercha, in lei rivedendo quella sublime perfezione femminile che, in passato, aveva incontrato soltanto in una propria purtroppo perduta amica, la principessa Nass’Hya, altra meravigliosa donna, tanto fisicamente, quanto mentalmente, nel confronto con la quale, inutili orgogli a parte, la stessa donna da dieci miliardi di crediti non avrebbe potuto ovviare a sentirsi quietamente ammirata, non potendo mancare di prendere coscienza di quanto, in verità, ella non avrebbe saputo destreggiarsi tanto amabilmente, loro pari, in una simile occasione. Fortunatamente per lei, e per il suo amor proprio, accanto a sé ella avrebbe potuto vantare la presenza del proprio amato ex-locandiere, il quale, malgrado posto innanzi a una figura femminile sì superiore a lei, non ebbe in alcuna maniera a concedersi occasione di irretimento, dimostrando, anzi, per tutta la sera, e per quella porzione di notte che ebbero lì a trascorrere tutti insieme, qual semplicemente e follemente innamorato di lei, nel finire, in più di un’occasione, a contemplarla, silenziosamente, e con sguardo languido, nel mentre in cui pur, chiacchierando con Meem, ella non avrebbe potuto ovviare a sentirsi del tutto inadeguata anche e soltanto nel confronto verbale con lei.
Giunti, in tal maniera, a tarda ora, a riportare l’attenzione al tempo presente, e, soprattutto, all’evidenza di quanto, sicuramente, i loro ospiti non fossero giunti tanto a sud in maniera del tutto casuale, intervenne allora il borgomastro, il quale, con un quieto sorriso, suggerì loro di posticipare al mattino seguente ogni questione formale, inclusa, quindi, l’analisi del perché essi si fossero spinti sino a quel loro insediamento perduto, offrendo loro, per intanto, ospitalità per quella notte, all’interno della propria stessa dimora. Un’ospitalità che, nel confronto con il mondo esterno, forse avrebbe avuto a doversi riconoscere persino obbligata, e che pur, ancora una volta, non avrebbe avuto a dover essere banalizzata qual scontata, qual ovvia nella propria occorrenza… anzi. Non, soprattutto, nell’aver potenzialmente solo a perdere nel confronto con un eventuale errore di valutazione sull’indole di quegli ospiti, e di quegli ospiti, stranieri, sconosciuti e armati, ai quali stava allor aprendo non soltanto le porte di casa propria, ma, ancor più, sui quali stava allor scommettendo, pacificamente, il fato della propria stessa famiglia, della propria sposa e dei propri figlioletti…

mercoledì 26 settembre 2018

2681


« Ancora benvenuta, Maddie. » annuì Orihm, muovendosi a lei per accoglierla, nel tendere nella sua direzione la propria destra, nel consueto gesto di presentazione « Io sono Orihm Forami, indegno, ma soprattutto inutile, borgomastro di questo insediamento: inutile giacché, come credo che vi sarete già resi adeguatamente conto, non è che, qui fra i ghiacci, la nostra comunità abbia a considerarsi tanto numerosa, o la nostra vita quotidiana sì vivace, da rendere effettivamente sensato questo mio ruolo. » sorrise, non senza una certa autoironia critica nei confronti del titolo che avrebbe avuto a doversi comunque giudicare qual un onore e un onere importante laggiù come altrove.

E se, a confronto con le due ultime osservazioni, nel merito della ristrettezza di quell’insediamento e della scarsa animazione degli eventi quotidiani entro quei confini, ella non avrebbe avuto a potersi riservare particolari ragioni di incredulità; ben diversa reazione psicologica non avrebbe potuto ovviare a contraddistinguerla innanzi all’asserzione nel merito del ruolo da quel giovane ricoperto all’interno dell’organizzazione locale… non laddove obiettivamente improbabile avrebbe avuto a doversi ritenere che un ragazzo della sua età potesse realmente essere il borgomastro locale. Perché per quanto inutile il suo ruolo avrebbe avuto a doversi considerare innanzi alle dinamiche proprie di quell’insediamento, difficile sarebbe stato poter accettare il pensiero che uomini e donne più maturi di lui avrebbero potuto riservarsi concreta e sincera opportunità di seguirne le indicazioni all’occorrenza, di rispettarne le decisioni laddove queste avessero avuto a dover essere prese, per così come, pur, indispensabile sarebbe stato, allora, per un qualunque borgomastro, o figura a esso corrispondente.
Ma anche laddove incredula ella ebbe necessariamente a ritrovarsi a essere innanzi a quell’annuncio, a quella presentazione, trovando decisamente più sensata l’idea di quanto quella altro non avesse a dover essere considerata se non una prova, e una prova volta a ovviare a qualche malintenzionato di giungere realmente a diretto contatto con il borgomastro, sostituendo al medesimo un semplice impostore, una controfigura che ne avesse a preservare l’incolumità; alcuna evidenza di tale giudizio critico ebbe a essere da lei espresso sul proprio volto, il quale, riscoprendo l’antica freddezza, riuscì a sopprimere ogni potenzialmente controproducente emozione per manifestare, semplicemente, quieto rispetto nel confronto del giovane che a lei stava tendendo, allora, la propria destra, accettando tal gesto e ricambiandolo, ovviamente senza imporre la benché minima stretta, con la propria, in un atto, o, piuttosto, in un’assenza di azione, che, da parte sua, avrebbe avuto a dover essere riconosciuta qual una premura nei riguardi dell’interlocutore, laddove una sua stretta incontrollata avrebbe potuto, allora, distruggergli la mano.
Una premura, la sua, che egli ebbe comunque a riconoscere e ad apprezzare, nel momento in cui, stringendo altresì la mano tesale, ancora ricoperta dal pesante guanto, ebbe comunque a rendersi conto della ferrea fermezza delle sue forme, ben cogliendo la ragione di ciò…

« Una protesi metallica… » osservò il giovane, lasciando sfumare il sorriso sul suo volto per offrire un’espressione più seria, quasi contrita, a confronto con la realtà così ben interpretata « … mi dispiace per te, Maddie. Qualunque cosa sia successa nel tuo passato per condurti a ciò. »
« Oh… » sorrise la donna guerriero, or non sforzandosi di celare la propria sincera sorpresa innanzi a quel commento, laddove, probabilmente, tale avrebbe avuto a doversi considerare la prima dimostrazione di premura per la propria condizione, per la propria situazione, da oltre vent’anni, per così come, allora, non avrebbe potuto ovviare a disorientarla, non sapendo neppure, effettivamente, in che misura rapportarsi con simile interesse emotivo, per così come da lui dimostrato « Non fartene un cruccio… non ce ne è bisogno. » minimizzò ella, scuotendo appena il capo a dimostrare quanto banale avesse a doversi riconoscere tutto ciò per lei « E’ successo così tanto tempo fa che, ormai, ho persino dimenticato cosa possa significare avere un vero arto destro… e, anzi, non posso che considerarmi già estremamente fortunata ad aver avuto l’occasione di vedermi donato questo surrogato. »
« Bene. » sorrise egli, rasserenato nel confronto con la serenità da lei dimostrata a confronto con quel proprio, ormai più che superato, dramma personale « Non può che farmi piacere riconoscere tanto entusiasmo in te nei confronti della vita. Credimi. » insistette, a volerle rendere merito per la quiete con la quale ella stava affrontando tale discorso « Non è così scontato che, nel momento in cui il destino ti abbia a togliere qualcosa, e qualcosa di importante, tu possa riuscire a reagire trovando energie e, soprattutto, motivazioni sufficienti ad andare avanti… anzi: per lo più, la maggior parte delle persone, preferisce restare a piangersi addosso, sconfitte nei propri corpi ma, ancor più, nei propri cuori, nei propri animi, al punto tale da essere peggio che morti, in una sopraggiunta incapacità, loro malgrado, ad apprezzare la vita, e quella vita che pur, ancora, avrebbero potuto felicemente vantare di possedere, al di là di ogni sventura, al di là di ogni avversità. »

Particolare, in quelle poche, fugaci parole allor scambiate, fu per la Figlia di Marr’Mahew la sensazione che quel giovane ebbe a trasmettergli, nel proprio comportamento, nella propria premura, nella propria voce, in termini a solo confronto con i quali, in verità, ella non avrebbe potuto credere di star dialogando con un ragazzotto suo pari, quanto e piuttosto con un uomo fatto e finito, in una maturità che per lui non avrebbe potuto essere tanto banalmente addotta a un giovane della sua età e, soprattutto, a un giovane che, suo pari, non avrebbe avuto a mostrare testimonianze di particolari traumi personali tali per cui tutto ciò avrebbe avuto a riservarsi possibilità d’essere in grazia alla propria stessa esperienza, e a quanto, proprio malgrado, a sua volta avrebbe avuto a poter accusare di aver dovuto affrontare e vincere.
Tuttavia, e al di là di evidenti, o meno, segni di passati traumi, quel giovane avrebbe lì avuto a dover essere riconosciuto qual capace di parlare come un uomo, e, forse, come un uomo coetaneo a lei e a Be’Sihl, in termini per i quali, pertanto, anche la sua supposta qualifica di borgomastro avrebbe potuto riservarsi un qualunque significato. Ma in che termini ciò era potuto avvenire? In che maniera un ragazzo neppur uomo aveva avuto occasione di crescere, intimamente, per così come stava dimostrando di essere cresciuto, non per effetto di una qualche dissimulazione, quanto e piuttosto nell’evidenza di una realtà quieta e concreta?
A margine di ciò, nel mentre in cui ella non poté ovviare a soffermarsi a riflettere su tutto quello e, in particolare, sulla figura di Orihm Forami; al suo fianco anche Be’Sihl ebbe a iniziare a liberarsi dell’abbigliamento più pesante e, dopo di ciò, a riservarsi occasione utile per presentarsi al loro nuovo anfitrione, il quale fu ben lieto, anche nei suoi riguardi, di tendere la propria mano e di stringere, immediatamente, occasione di rapporto con lui…

« Bella stretta! » si complimentò con l’ex-locandiere, ricambiando con entusiasmo la risposta a lui rivolta per il proprio gesto « Una stretta genuina, che non desidera apparir impositiva e che, parimenti, neppur vuole permettersi occasione d’esser sopraffatta: la stretta di un uomo votato al rispetto per il proprio prossimo, senza, però, che tutto ciò abbia per lui a risultare espressione di debolezza. » analizzò, in una descrizione invero assolutamente ineccepibile del proprio interlocutore, quasi, in sola conseguenza a quel loro effimero contatto fisico, egli avesse avuto occasione di perscrutare nell’animo del proprio interlocutore « E’ un piacere conoscerti, Be’Sihl. »
« Il piacere è mio, borgomastro. » replicò lo shar’tiagho, sorridendogli quietamente.
« Chiamatemi pure Orihm… come fanno tutti. » lo invitò per tutta risposta, escludendo la necessità del ricorso a quel titolo, e a quel titolo da lui del resto già espresso qual immeritato e, soprattutto, inutile « Qui fra i ghiacci preferiamo volgere il nostro interesse alla concretezza fisica delle cose, e non a una qualche interpretazione più o meno astratta della realtà: l’ambiente a noi circostante, del resto, non perdonerebbe alcun genere di errore da parte nostra, ove  ciò sfuggisse per caso al nostro controllo. » puntualizzò, nel definire una netta gerarchia fra quanto avrebbe avuto a essere, e quanto altresì avrebbe avuto a poter essere espresso, limitando l’applicabilità del secondo soltanto in un correttissimo secondo piano.

martedì 25 settembre 2018

2680


Quali fossero le ragioni proprie di Midda, a giustificazione del rischioso viaggio compiuto sino a lì, tuttavia, Pemir non ebbe modo di scoprirlo… non subito, quantomeno.
Accompagnati da Athon attraverso il piccolo, ma popoloso, insediamento, Midda e Be’Sihl ebbero in ciò occasione di giungere sino alla casa del cosiddetto borgomastro, la figura di riferimento all’interno di quel paese dimenticato fra i ghiacci. E se, lì attorno, tutte le case avrebbero avuto a doversi riconoscere pressoché eguali, le une con le altre, sia in forme, che in proporzioni, anche quella del borgomastro non ebbe a risultare diversa, rendendo, in effetti, persino non banale mantenere un qualunque senso dell’orientamento per quelle strette vie, per quei volontariamente contenuti passaggi, le dimensioni dei quali avrebbero avuto a doversi necessariamente mantenere le minime possibili, al solo, e importante scopo di imporre a chiunque di trascorrere eccessivo tempo a confronto con il gelo esterno. Un gelo che, nella fattispecie di quel particolare momento della giornata, come loro preannunciato, non avrebbe potuto che tendere, soltanto, a livelli sì bassi, sì estremi, da poter letteralmente congelare il sangue nelle vene, così come, sicuramente, sarebbe anche a loro accaduto se non avessero incontrato la generosità di quella famiglia e se non avessero allor potuto godere della loro mirabile misericordia. Perché, se già laddove tanto pesantemente bardati, con scarpe, guanti, pellicce, e passamontagna, il freddo del mondo esterno, dell’area meridionale di quella luna, avrebbe avuto a doversi considerare spiacevolmente percepibile; certamente letale non sarebbe stato difficile a credersi, sarebbe risultato tutto ciò in assenza di quell’adeguato vestiario, di quella corretta attrezzatura, e, magari, nel confronto con le nude gambe della donna guerriero o con i nudi piedi del suo compagno, così come dei loro volti, delle loro mani, che, sferzati da temperature tanto glaciali, banale sarebbe stato a credersi avrebbero potuto presto infrangersi, come un fragile cristallo a confronto con un colpo deciso.
Anche parlare, nel corso di quel tragitto, non ebbe a risultar consigliato e consigliabile, laddove dischiudere minimamente le labbra, anche dietro al passamontagna, avrebbe necessariamente significato offrire una via a una spiacevole dispersione di calore corporeo: una dispersione forse effimera, una dispersione forse fugace, e pur, nel confronto con quella situazione, con quel contesto, una dispersione che alcuno fra loro avrebbe potuto apprezzare di subire, abbisognando di ogni minimo frammento del proprio stesso calore, per sperare di sopravvivere a tutto ciò. Così, attraversando in silenzio il villaggio nella più totale, e persino inquietante, quiete lì vigente, Midda e Be’Sihl non poterono ovviare a essere osservati nella stessa misura in cui ebbero a osservare, volgendo curiosi i propri sguardi all’ambiente circostante e, ciò non di meno, dall’ambiente circostante venendo parimenti scrutati, quasi come se, al di là della più totale copertura offerta loro in quel momento, avessero a poter essere identificati da un qualche cartello luminoso al di sopra delle proprie teste. In molti, quindi, furono coloro che si avvicinarono alle piccole finestre delle proprie abitazioni, quasi degli oblò, per osservare non senza una certa curiosità quel piccolo contingente rivolto all’indirizzo del borgomastro, anonimi volti che, al di là di quelle importanti pareti stavano lì vivendo la propria quotidianità, nel bene così come nel male. In molti, quindi, furono coloro che a sua volta la Figlia di Marr’Mahew osservò da quella prospettiva inversa, cercando di cogliere, da essi, qualche informazione più approfondita nel merito di quel piccolo universo a sé circostante, quella realtà fra i ghiacci che, pur così vicina al resto della civiltà, avrebbe avuto a doversi considerare, quasi, una sorta di eccezione nel confronto con essa.
Ma se, nel contemplare quei volti, ella non colse immediatamente nulla di insolito; un particolare non poté che essere ravvisato dal suo subconscio: un particolare che, almeno in un primo momento, ella non fu in grado di elaborare, e a confronto con il quale, tuttavia, forse le sarebbe potuto sorgere un qualche sospetto su quell’insediamento e sui suoi pur squisitamente accoglienti abitanti.
Solo quando, alfine, ebbero modo di giungere alla soglia dell’abitazione del borgomastro, l’interesse generale sembrò scemare, forse e soprattutto per una qualche forma di rispetto nei loro riguardi o nei riguardi della figura del capo di quella piccola comunità. Soglia, quella innanzi a loro, che non richiese alcuna attesa nel confronto con l’idea della sua apertura, laddove, anzi, evidentemente a sua volta ravvisando il loro arrivo, chiunque li stesse attendendo lì dentro avrebbe avuto a doversi riconoscere sufficientemente ospitale da far trovare loro soltanto appoggiato l’uscio di casa, per garantire al trio un immediato accesso alla camera stagna e, da lì, all’interno dell’edificio. E così, rapidamente avanzando all’interno di quella nuova oasi di calore, Athon e i suoi ospiti ebbero a richiudere la soglia volta all’esterno, alle proprie spalle, e a dover attendere qualche necessario istante di acclimatamento, prima di poter veder dischiudersi anche la via verso l’interno dell’edificio, innanzi ai loro occhi.

« Athon… che piacere rivederti! » esclamò un giovane forse appena ventenne, poco più di un fanciullo, nell’accogliere cordialmente il proprio compaesano, non avendo esitazioni a riconoscerlo malgrado l’abbigliamento pressoché identico a quello di Midda e Be’Sihl, e nell’abbracciarlo con amichevole foga, dispensando qualche calorosa pacca sulle sue spalle « Come sta Pemir…? Tuo padre…? E i bambini…?! » domandò in rapida successione, escludendo, in tal senso, che i suoi accompagnatori avessero a doversi fraintendere qual i membri della sua famiglia, ancor con una mirabile capacità di identificazione degli stessi, e di identificazione come, fra l’altro, perfetti estranei, per così come, ancor senza attendere una qualunque replica dall’altro, ebbe occasione di evidenziare « Benvenuti anche a voi, stranieri! Nella speranza che, qui fra i ghiacci, vi siate spinti solo animati da volontà di pace. »
« Orihm… » sorrise Athon, ricambiando l’abbraccio con affetto quasi fraterno « … hai ragione: è da troppo tempo che Pemir e io non veniamo a trovarti. Anche se, permettimi di sottolinearlo, la distanza fra le nostre abitazioni è la stessa in ambo le direzioni. »  confermò e poi puntualizzò, nel riconoscere il giusto valore dell’implicita critica così a lui appena rivolta e, ciò non di meno, nel sottolineare quanto, ovviamente, allo stesso modo in cui egli poteva aver mancato di visitare più sovente l’interlocutore, altrettanto era avvenuto sul fronte opposto « Concedici un istante per svestirci, e ti presenterò volentieri i miei ospiti. »

Orihm si offrì, allo sguardo dell’Ucciditrice di Dei, qual un ragazzotto imberbe, con un volto che non avrebbe potuto sforzarsi in alcuna maniera di mistificare un’età quasi fanciullesca. La pelle chiara, i capelli scuri, gli occhi azzurri di qualche tonalità più scuri rispetto a quelli della donna guerriero, avrebbero creato un’ottima base di partenza per quel volto che, di lì a qualche anno, certamente avrebbe completato la propria maturazione offrendosi al mondo contraddistinto da un sempre valevole fascino adulto, che lì sarebbe probabilmente risultato ben delineato da un profilo squadrato e da una mandibola ben definita, con zigomi alti e labbra sottili: per intanto, tuttavia, ancor morbide avrebbero avuto a doversi giudicare le sue forme, lì contraddistinte da un ampio sorriso motivato da quell’imprevista, e probabilmente insperata, riunificazione con Athon.
Cercando di associare, in quel momento, un senso alla presenza di quel giovane lì ad accoglierli, ella non avrebbe potuto in ciò ovviare a identificarlo, ad associarlo, a qualcuno sicuramente prossimo al borgomastro, probabilmente un membro del suo nucleo famigliare che, per pura fortuna, in quel momento avrebbe avuto a doversi riconoscere in prossimità della soglia e, in ciò, aveva avuto a liberare loro la via. Ma se pur, quel giovane, non avrebbe sicuramente avuto a doversi considerare qual il loro nuovo e speranzoso obiettivo, altrettanto sicuramente sarebbe stato inopportuno per i nuovi arrivati ovviare a ricambiare il benvenuto loro rivolto e, ancor più, l’ospitalità loro garantita anche e soltanto nel semplice gesto volto ad aprire loro la via. Così, ancor prima di liberarsi dei propri abiti più pesanti, la donna guerriero ebbe a rivolgere un lieve inchino nei riguardi del ragazzo e a introdurre se stessa, ricorrendo allo stesso nome per lei impiegato da Be’Sihl, a conservare una certa coerenza nelle loro dichiarazioni…

« Il mio nome è Madailéin Mont-d'Orb… ma puoi chiamarmi Maddie, se preferisci. » scandì, approfittando di quelle parole, e del movimento volto a ricondurla a una postura eretta, quantomeno per privarsi del cappuccio e, sotto di esso, del passamontagna, a rioffrire il proprio volto allo sguardo degli astanti.

lunedì 24 settembre 2018

2679


« Per così poco… non ce ne è bisogno alcuno. » minimizzò Athon, escludendo un qualche reale merito da parte loro per quanto, obiettivamente, tale avrebbe avuto a dover essere giudicato « Comunque… se desiderate recarvi dal borgomastro, fareste meglio a prepararvi velocemente. » li invitò, suggerendo loro di non esitare ulteriormente nell’indossare quanto loro così offerto « La strada non è molta… ma le ore più fredde della giornata stanno per arrivare e vi assicuro che, al di là della protezione offerta da queste pellicce, non vorrete essere là fuori quando alfine giungeranno. » li pose in guardia, nel confronto con quella che, ancor prima di una minaccia ipotetica, avrebbe avuto a dover essere intesa qual estremamente reale, soprattutto innanzi alla rigidità già dimostrata dal clima di quell’area… un clima che già, una volta, avevano stolidamente sottovalutato, in termini che, allora, non avrebbero più voluto egualmente, ed egualmente stupidamente, ripetere.

Fu così che Midda Bontor ebbe quindi a recarsi in un’altra stanza, accompagnata dalla padrona di casa, per liberarsi del vestito prestatole da Rula, e della giacca di Duva, donando entrambe, per quanto potenzialmente inutili in un contesto qual quello, a Pemir, a minimale, e inappropriato, compenso per il favore loro riconosciuto, per poi rivestirsi rapidamente con le nuove vesti concessele, in fogge meno eleganti, meno ricercate e, ciò non di meno, decisamente più idonee a quel genere di situazione ambientale esterna, al contesto nel quale si era ritrovata calata e calata, proprio malgrado, senza essersi prima concessa un’adeguata preparazione a tal riguardo. Abiti, quelli allor donatile da Pemir, che avrebbero avuto a poter godere della medesima praticità alla quale avrebbe avuto a doversi a sua volta considerare solitamente abituata, presentandosi in forme più semplici, ma in una sostanza e una praticità decisamente maggiore. Così, in luogo a pericolose gambe scoperte ed esposte a ogni genere di intemperie, ella ebbe a indossare un caldo paio di pantaloni, in un tessuto scamosciato morbido e caldo, di color marrone chiaro, atto sì a non offrire particolare risalto alle sue atletiche forme e, ciò non di meno, altrettanto atto a concederle tutto quel calore, quella protezione della quale, in quel frangente, avrebbe potuto abbisognare. Al di sopra di essi, poi, una larga, larghissima casacca, avvolse completamente il suo busto, a partire dal collo sino ai polsi e, ancora, ridiscendendo sino ai glutei, con una stoffa ancora una volta piacevolmente morbida e, soprattutto, calda, in tonalità marrone scuro, con alcuni interessanti motivi tribali bianchi disegnati a scopo ornamentale sulle sue spalle e sul suo petto, il significato dei quali, comunque, in quel frangente non avrebbe potuto che fuggirle. Ai suoi piedi, poi, alti e caldi stivali si posero legati addirittura sino al ginocchio, aggiungendo, in ciò, in un altro, importante, strato di pelliccia attorno alle sue estremità inferiori, a evidenziare quanto importante avrebbe avuto per chiunque, là fuori, avere a proteggere i propri piedi, con buona pace per Be’Sihl, lasciando il compito di completare, alfine, il quadro così composto soltanto al cappotto di pelliccia e, ancora, ai guanti, che, privi di dita, avrebbero avvolto entrambe le sue mani, a garantirle quanta più possibile protezione dal freddo esterno.
Entrambe le sue mani… giacché, come già ella avrebbe avuto a doversi considerare consapevole e come anche Pemir volle comunque sottolineare, in quel frangente la sua protesi di metallo cromato avrebbe avuto a doversi considerare, potenzialmente, più un ostacolo che una reale utilità…

« Devi stare attenta con il tuo braccio… » non mancò, infatti, di suggerirle, nel momento in cui ella ebbe a spogliarsi e a restare praticamente nuda innanzi a lei, fatta eccezione per la biancheria intima « … è sicuramente un gran bel pezzo di tecnologia, ma è anche un freddo metallo a contatto con la tua carne. E se, per sbaglio, dovesse raffreddarsi troppo, rischierebbe di assiderarti malgrado ogni abito e ogni pelliccia che potrai indossare. » puntualizzò, in un’indicazione tutt’altro che retorica « Da queste parti, cerchiamo sempre di minimizzare l’impiego del metallo proprio per tale ragione. »
« Ti ringrazio per la premura… » sorrise la donna guerriero, osservando il proprio arto e, in effetti, non trovando alcuna possibilità di obiezione a quell’indicazione, a quel consiglio, laddove, obiettivamente, esso avrebbe potuto rischiare di tradursi in una condanna per lei, a confronto con il gelo esterno « … cercherò di mantenerlo il più possibile al riparo, onde minimizzare questo rischio. »
« … sei un militare o qualcosa del genere, non è vero? » le domandò Pemir, dopo un attimo di esitazione, nel contemplare le sue nude forme con un interesse privo di ogni malizia e, in verità, quasi scientifico « Tutte quelle cicatrici, tutti quei marchi sulla pelle… sono il ricordo di numerose battaglie. » puntualizzò, in quanto non avrebbe più avuto a doversi considerare una domanda, quanto e piuttosto una quieta asserzione, nel confronto con la nuda pelle dell’interlocutrice, e quella pelle che, malgrado tutto, non avrebbe potuto ovviare a conservare piccoli e grandi segni di una vita intera trascorsa a confronto con ogni qual genere di sfide, per lo più ipoteticamente letali.
« Sono “qualcosa del genere”, direi. » confermò la donna dagli occhi color ghiaccio e dai capelli color del fuoco, senza alcun potenziale imbarazzo per l’attenzione che l’altra stava ponendo verso di lei, in termini, in verità, persino più intimi di quanto, in genere, non avrebbe avuto a doversi considerare abituata, giacché per lo più, chiunque, osservandola, avrebbe notato i suoi voluminosi seni, il suo ventre appena convesso, o i suoi alti e sodi glutei, ma difficilmente avrebbe prestato attenzione alle sue cicatrici, dissimulate sulla sua pallida carnagione fra disordinate spruzzate di efelidi « Ho venduto i miei servigi per numerosi anni come guerriera mercenaria. E da un paio di cicli a questa parte sono impegnata come responsabile della sicurezza a bordo di una piccola nave mercantile. » spiegò, a non negare l’evidenza della propria natura « Ciò non di meno, in questo momento, puoi considerarmi soltanto una donna innamorata che desidera riuscire a vivere serenamente con il proprio compagno. E una madre che desidera riuscire a crescere i propri figli senza la costante minaccia di un marito sadico avente qual unico scopo quello di rovinare ogni singolo istante della mia esistenza quotidiana. » illustrò, senza imporre menzogna in nulla di quanto, in quel momento, stava asserendo e, ciò non di meno, neppur offrendo quella piena verità destinata a non poter essere pienamente apprezzata da una perfetta estranea qual, in fondo, Pemir avrebbe avuto a dover essere riconosciuta.
« Comprendo. » annuì la padrona di casa, non insistendo ulteriormente sull’argomento laddove irrispettoso, dal proprio punto di vista, sarebbe stato interessarsi di questioni tanto intime proprie della vita della propria ospite « E non posso che augurarti di poter raggiungere ciò che desideri… sebbene, a questo punto, appaia chiaro che il tuo scopo non sia quello di unirti alla nostra comunità. » soggiunse, laddove, nelle informazioni condivise, evidente avrebbe avuto a doversi considerare quanto Be’Sihl e lei avessero a doversi giudicare soltanto di passaggio fra di loro.
« Potrei sbagliarmi, ma colgo una sorta di rammarico nel tono della tua voce… » osservò Midda, aggrottando appena la fronte innanzi a quelle ultime parole, e quelle parole che, alle sue orecchie, erano risuonate stranamente malinconiche.
« E’ che mi dispiace per te. » sospirò quietamente l’altra « Molti fra noi sono coloro che provengono da uno stile di vita non lontano dal tuo… e che qui, agli estremi dell’universo noto, e in quest’angolo inospitale e dimenticato da tutti, cercano un’occasione di pace, per ricominciare da capo e per trascorrere in serenità il resto delle proprie esistenze. » argomentò, presentando un panorama improvvisamente più dettagliato delle motivazioni alla base di quell’insediamento, e motivazioni, in fondo, non così dissimili da quelle che la Figlia di Marr’Mahew avrebbe potuto vantare di conoscere in merito a un’altra comunità egualmente sperduta fra nevi inospitali nel proprio mondo, una comunità dove, fra l’altro, in passato le sarebbe stata anche concessa l’occasione utile a ricominciare la propria vita in termini decisamente diversi, costruendosi un’occasione di famiglia insieme a un uomo che tanto l’amava, e a due bambini non di meno innamorati di lei, in un parallelismo, lì e pertanto, a dir poco strano, se non addirittura inquietante, quasi una sorta di messaggio divino verso di lei rivolto da qualche entità superiore « Credevo… speravo che anche tu e Be’Sihl vi foste spinti qui fra i ghiacci per questa la medesima ragione. »

domenica 23 settembre 2018

2678


Scambiate le strette di mano prima con Pemir, poi con suo marito Athon e con il padre di questi Nithon, Midda e Be’Sihl furono quindi invitati ad accomodarsi attorno a un tavolo nel mentre in cui il padrone di casa si pose subito all’opera al fine di preparare due calde tisane, con le quali garantire loro maggiore occasione di reagire al freddo subito, al gelo che avrebbe, sgradevolmente, potuto mantenere possesso dei loro corpi malgrado il confortevole calore dell’ambiente circostante e malgrado, ancora, le meravigliose coperte che subito avevano avvolto le loro provate membra.
Un’ospitalità assolutamente ineccepibile, quella loro così offerta, che pur avrebbe avuto a doversi riconoscere qual ripagata al prezzo di menzogne e omissioni, menzogne nel merito delle loro identità, o, piuttosto, dell’identità della Figlia di Marr’Mahew, e omissioni nel merito della ragione per la quale lì avrebbero avuto a doversi considerare sospintisi, certamente non a turbare la quiete di quella famigliola e, pur, obiettivamente, neppure a ovviare a condurre seco dei guai, laddove, purtroppo, per catturare Reel, probabilmente, questi ultimi non sarebbero loro mancati. E se per la donna guerriero nulla di tutto quello avrebbe avuto a dover essere propriamente considerato inedito, se non, forse, l’idea di aver assunto il nome di una propria stessa versione alternativa proveniente da un’altra realtà, da un’altra dimensione; per il suo amato ex-locandiere tutto quello avrebbe avuto a dover essere considerato anomalo, giacché, abitualmente, avrebbe potuto vantare un rapporto più diretto con le persone a sé circostanti. Ma laddove egli non avrebbe avuto a dover essere considerato inesperto nel confronto con l’arte della diplomazia, giacché, per riuscire a mantenersi indipendente da qualunque lord della città del peccato certamente apprezzabile avrebbe avuto a doversi giudicare la sua esperienza a tal riguardo; quanto lì appena occorso, quanto lì appena accaduto per suo stesso intervento, altro non avrebbe potuto che essere interpretata qual la conseguenza di una quieta operazione diplomatica, atta a cercare di stabilire un buon rapporto con quegli estranei, con i loro attuali padroni di casa, per il bene reciproco e, soprattutto, per permettere a lui e alla sua amata di poter, alfine, raggiungere il proprio obiettivo primario.
Sempre animato da uno spirito diplomatico, quindi, in misura certamente maggiore rispetto a quanto mai Midda avrebbe potuto sperare di essere in grado di dimostrarsi capace, Be’Sihl ebbe a proseguire il dialogo con i propri anfitrioni, ovviando a raccontare fole laddove non richiesto, laddove non necessario, e, ciò non di meno, mai sottraendosi di fronte a una loro qualsivoglia curiosità. In verità, comunque, ben poco fu quanto da loro domandato le risposte per il quale avrebbero avuto a dover essere da lui manipolate: dimostrando, infatti, un certo, apprezzabile seppur immotivato, rispetto per i nuovi arrivati, per gli stranieri lì sopraggiunti, non Pemir, non Athon, né Nithon ebbero loro a sollevare interrogativi di particolare troppo personale, atti a cercare di scrutare nel loro passato o nella loro psiche. Piuttosto, gli interrogativi che la famigliola ebbe loro a muovere sembrarono più motivati dalla volontà di meglio comprendere le stranezze proprie del loro abbigliamento, o, piuttosto, di quelle loro mancanze di abbigliamento, e di essere aggiornati su quanto, nel resto del mondo, e dell’universo, stesse accadendo, a dimostrare come, in verità, l’isolamento, laggiù fra i ghiacci, non avesse a doversi considerare soltanto fisico.

« Per lo più, chi vive in questo insediamento, ha le proprie buone ragioni per evitare contatti con il resto del Creato… » commentò Nithon, a giustificare la loro curiosità su meri eventi di cronaca, accarezzandosi la barba in un gesto probabilmente involontario, un movimento del quale non avrebbe avuto a potersi rendere coscientemente conto « … e, in questo, nessuno di noi è in possesso di mezzi di comunicazione né nei confronti della parte settentrionale della luna, né, tantomeno, del resto dell’universo. »
« Una scelta estremamente coerente, certo… ma anche potenzialmente pericolosa. » asserì Midda, aggrottando la fronte a confronto con tutto ciò, benché, in verità, ella stessa fosse solita perdere troppo facilmente i contatti con il resto dell’universo, soprattutto quando impegnata in una qualche missione, con buona pace per ogni timore nel merito del suo stato di salute da parte di Be’Sihl o di chiunque altro « E se, un giorno, abbisognaste di contattare qualcuno…? »
« Come vi ha spiegato Pemir, da queste parti non cerchiamo guai. » sorrise Athon, scuotendo appena il capo « E, fortunatamente, l’isolamento di quest’area ci ha sempre permesso di ovviare a essere coinvolti inaspettatamente in essi… »
« Non lo metto in dubbio. » annuì l’Ucciditrice di Dei, non faticando a credere a quanto, in quell’angolo dimenticato di universo, potenzialmente, i guai non avessero a raggiungerli facilmente e, ciò non di meno, non potendo neppur ignorare quanto, troppo sovente, i problemi fossero perfettamente in grado di raggiungere qualcuno a prescindere da dove questi si trovasse o da cosa questi stesse facendo « Tuttavia, per esperienza personale, permettetemi di sottolineare come, talvolta, i guai siano in grado di agire di propria iniziativa a cercare qualcuno, anche quando da questi non ricercati. E, nel momento in cui ciò dovesse succedere, essere isolati da tutto e da tutti potrebbe risultare quantomeno compromettete per la propria prospettiva di vita e di futuro. »
« Fidatevi di noi. » li invitò Pemir, offrendo un lieve inchino del capo a titolo di ringraziamento per la premura da lei in tal maniera dimostrata « Abbiamo le nostre vie… esattamente come voi avete le vostre. » sottolineò, con un non così implicito riferimento ai piedi nudi di Be’Sihl, le ragioni dei quali avevano avuto occasione di chiarire pocanzi, non senza un certo stupore da parte degli anfitrioni per una simile spiegazione e per il voto che, dietro a essa, avrebbe avuto a doversi intendere compiuto da parte dello shar’tiagho.

Vivi e lascia vivere: tale sembrava essere il principio fondamentale alla base dell’esistenza di quella comunità, almeno nel confronto con quanto sino a quel momento offerto a Midda e Be’Sihl dal dialogo con quel primo nucleo familiare.
Un principio innanzi al quale non aver di certo a poter muovere critica alcuna e che, in effetti, avrebbe fatto molto piacere poter perseguire anche la stessa donna da dieci miliardi di crediti per quanto, forse, difficile a credersi sarebbe stato per chiunque la conoscesse, e, ciò non di meno, un principio che ella era perfettamente consapevole non avrebbe mai potuto permettersi di seguire… non, quantomeno, laddove chiunque altro, attorno a lei, non avrebbe avuto a condividerlo e, al contrario, si sarebbe sempre impegnato al solo scopo di ostacolarne la serenità, di negarle ogni speranza di pace. In ciò, pertanto, la donna guerriero non avrebbe potuto ovviare a considerarsi quietamente solidale con tutti loro e con il loro impegno, non potendo che augurare loro di avere successo in tal senso e, soprattutto, di potersi sempre concedere quella quieta occasione di isolamento dal resto del Creato per così come, in quell’angolo tanto estremo e ostile alla vita, sembravano essere stati in grado di riservarsi occasione di compiere.
La premura e l’ospitalità di quella famigliola, tuttavia, non ebbe a limitarsi soltanto all’accoglienza loro inizialmente offerta o alla coperta e alla tisana calda, che, per inciso, entrambi apprezzarono anche a livello di sapore: l’impegno da parte di Pamir e della sua famiglia ebbe, infatti, a concretizzarsi anche nell’offerta, a entrambi, di quanto avrebbe potuto essere loro utile per affrontare l’ambiente esterno senza, in ciò, necessariamente avere a rischiare la propria sopravvivenza, a partire da un paio di scarpe per Be’Sihl, per poi arrivare a un pesante cappotto di pelliccia per entrambi, con tanto di cappuccio sotto al quale riparare la testa e di protezioni per il volto, a non permettere al freddo di raggiungerli. Ovviamente, a tutto ciò, si aggiunse anche un completo cambio di abiti per la stessa Figlia di Marr’Mahew, la quale non avrebbe potuto obiettivamente continuare ad affrontare il gelo del mondo esterno senza, in ciò, indossare un paio di pantaloni, e di pantaloni pesanti, o senza avere le spalle coperte da qualcosa di più di un giubbettino di pelle che non avrebbe potuto neppur dirsi capace di richiudere…

« Sono sincera… non ho parole per ringraziarvi. » dichiarò, intimamente colpita dalla generosità di quella famiglia, che tanta… troppa premura aveva loro dimostrato, in termini a confronto con i quali non avrebbe avuto a potersi più dire abituata, da troppi anni contraddistinti da ben diverse tipologie di relazioni umane.

sabato 22 settembre 2018

2677


« Innanzitutto, e ancora una volta, grazie. » esordì, in un lieve inchino allor animato da una concreta volontà di riconoscere loro il merito di quanto garantito tanto a lui, quanto alla sua compagna, in quell'accoglienza sì generosa che già trasparentemente avrebbe avuto a esemplificare l'amabile indole di quelle persone, di quella famiglia, che alcuna esitazione aveva reso propria innanzi alla prospettiva di aprire le porte di casa propria a una coppia di perfetti sconosciuti « Come già la mia compagna stava accennando, nostro malgrado, abbiamo entrambi mal valutato le implicazioni che un simile viaggio verso sud avrebbe potuto riservarsi. E non fosse stato per voi, e per incommensurabile misericordia propria del vostro intervento, probabilmente la nostra mancanza di preparazione avrebbe potuto condurci a destini tutt’altro che gradevoli… » ammise, non potendo negare, per onestà intellettuale, quanto i propri nudi piedi, certamente, non avrebbero avuto a dover essere considerati quanto di più idoneo per confrontarsi con quel suolo, e con le terrificanti temperature lì predominanti.

Temperature a confronto con le quali, insistendo nel confronto con le quali, spiacevole ma doveroso ad ammettersi, il miglior fato a cui avrebbe potuto votarsi sarebbe stato probabilmente quello di una dolorosa amputazione di entrambe le estremità inferiori. Drammatica conclusione in conseguenza alla quale sebbene il proprio rapporto con la tradizione shar’tiagha e tutti i propri dei avrebbe avuto a doversi sicuramente giudicare qual quietamente in salvo; altrettanto sicuramente difficile sarebbe poi stato, per lo stesso, riuscire a riservarsi ulteriori occasioni utili a difendere l’integrità della propria fede e il valore di quanto da essa richiestogli, soprattutto a confronto con il sacrificio che, a margine di tutto ciò, avrebbe in tal maniera compiuto senza una reale ragione, senza una concreta motivazione, qual un stolto martire che alcun dio avrebbe potuto gradire, che alcun dio avrebbe potuto giustificare o, più semplicemente, apprezzare.
Così, non senza un trasparente sforzo utile a concedergli occasione di ingoiare tutto l’orgoglio che pocanzi aveva voluto dimostrare anche nel dialogo stesso con la sua amata, egli non avrebbe potuto che ammettere la necessità di un’estemporanea rinuncia ai propri principi, ai propri ideali di fede. Non una blasfema abiura, quanto e piuttosto una pur non semplice accettazione di quanto, in quel momento, in quel frangente, la questione avrebbe avuto a doversi discernere divisa fra due chiare e incompatibili alternative: la cieca ubbidienza alle tradizioni del proprio popolo, della propria gente, anche laddove ciò avrebbe potuto condurlo alla morte; o una rispettosa e ben cosciente mancanza nel confronto di un singolo aspetto della complessità della propria fede, e un aspetto che sì non avrebbe avuto a doversi fraintendere qual meramente formale e privo di sostanzialità, ma nel venir meno innanzi al quale, allora, avrebbe potuto comunque garantirsi un’occasione di sopravvivenza, una speranza di futuro e, con esso, l’opportunità di continuare a lodare i propri dei, e a onorare i propri antenati, nel migliore dei modi possibili.
E se, allora, obiettivamente intense avrebbero avuto a dover essere riconosciute le emozioni racchiuse nell’intimità del suo cuore nel mentre di un’apparentemente semplice frase volta a esprimere, ciò non di meno, una realtà estremamente più complicata; il subbuglio lì proprio del suo animo non poté ovviare a essere colto da coloro a lui circostanti, rendendo chiaro allo sguardo della sua amata il vero significato di tutto quello, e, ciò non di meno, riuscendo a trasmettere anche alla sua interlocutrice tutta la sincerità propriamente intrinseca in quella gratitudine, seppur per dinamiche nel merito delle quali, allora, non avrebbe potuto vantare alcuna pregressa conoscenza.

« Detto questo, permettetemi di rassicurarvi: non è nostra intenzione imporre danno ad alcuno fra voi o, men che meno, ad altri abituati di questo insediamento. » riprese e continuò, in quanto non avrebbe avuto a dover essere fraintesa qual una menzogna, non essendosi certamente mossi sino a lì nel desiderio di aver a schierarsi in contrasto a quella donna o alla sua famiglia « Siamo solo due peregrini fra le stelle, in un lungo viaggio intrapreso forse e persino contro la nostra volontà, e che, speriamo, presto o tardi avrà a riuscire a ricondurci a casa… al nostro mondo natio, alle nostre vite, alla nostra perduta quotidianità. » sancì, a introdurre se stesso e la compagna, in parole che, abilmente, seppero illustrare la loro concreta situazione attuale senza, in ciò, trasmettere effettivamente quanto, allora, nel dettaglio, avrebbe avuto a dover essere riconosciuta la motivazione in funzione della quale avevano deciso di sospingersi sino a lì, sino a quel satellite, e alla metà meridionale di quel satellite, nella conoscenza della quale, forse, la loro posizione avrebbe avuto ad apparire meno innocua rispetto a quanto non stesse desiderando riuscire a palesare.

Parole abilmente soppesate, le sue, forse coscientemente, forse e ancor più lodevolmente in conseguenza a un’inconscia abilità in tal senso, che ebbero a svolgere il proprio scopo, soprattutto concedendosi occasione di risonanza con le pur sincere, e per questo ancor più valevoli, emozioni precedentemente dimostrate. E così, per quanto fondamentalmente poco, addirittura nulla, di se stessi essi avevano avuto già a raccontare ai propri interlocutori, ai propri anfitrioni, in maniera chiara ebbe a palesarsi quanto, da parte degli stessi, nessun ulteriore sospetto, nessun ulteriore dubbio, avrebbe avuto a doversi giudicare presente, nel veder, ora, destinato loro un dolce sorriso da parte della donna che li aveva accolti, che aveva loro offerto quelle calde coperte, e che pur, subito dopo, aveva anche voluto interrogarli: una donna, in tutto ciò, certamente animata dalla fondamentale priorità di difendere, di proteggere la propria famiglia, e, ciò non di meno, una donna anche mossa da una pericolosa fiducia nel prossimo, fiducia che non avrebbe potuto sopportare di veder tradita e che, nelle risposte sino a quel momento a lei concesse, non avrebbe avuto a ravvisare alcuna reale occasione di potenziale danno per sé o per i propri cari.

« Siate i benvenuti, allora! » dichiarò, apparendo più che lieta di poter interrompere il tono inquisitorio in favore di un approccio più sereno, più quieto e, in ciò, atto a preannunciare soltanto il mantenimento della pace lì imperante, tendendo loro la propria destra, in quel gesto di saluto reciproco che, Be’Sihl e Midda, avevano scoperto praticamente sin da subito lì essere proposto in luogo a quanto, pur straordinariamente simile nella forma, avrebbe avuto a doversi già riconoscere diverso nel significato a tutto ciò dato nella propria cultura « Io sono Pemir Veruz. E, alle vostre spalle, sono mio marito Athon Drugi e suo padre Nithon. Viviamo in questa casa già da sette cicli… e ciò che abbiamo, malgrado le avverse condizioni climatiche esterne, lo divideremo ben volentieri con voi, se potrà esservi utile. » continuò, presentando non soltanto se stessa, ma anche introducendo i due uomini che si erano mossi in loro aiuto, in loro soccorso, i quali, là dietro, stavano allora liberandosi degli strati più pesanti del proprio abbigliamento per riservarsi opportunità di muoversi più comodamente all’interno delle mura domestiche, là dove non sarebbe stata richiesta loro tanta prudenza « Queste, del resto, sono le regole qui fra i ghiacci vigenti: offrire il proprio aiuto a chi lo necessità. E non qual atto di gratuita generosità, quanto e piuttosto di utile solidarietà, laddove, presto o tardi, le posizioni finiranno invertite, e colui che oggi dona, domani riceverà in dono. Ma colui che oggi rifiuta di donare, domani riceverà soltanto rifiuti. »
« Mi sembra corretto. » annuì la Figlia di Marr’Mahew, ritrovando in ciò voce e non rifiutando quella regola, anzi, in verità, ritrovandosi quasi compiaciuta dalla medesima, una regola che a tutti avrebbe permesso di vivere più serenamente le proprie esistenze laddove fosse stata sempre applicata.
« Io, invece, sono Be’Sihl Ahvn-Qa. » dichiarò per tutta risposta l’uomo, non negandosi l’occasione di ricorrere al proprio vero nome, salvo poi proseguire dichiarando il falso o, quantomeno, un’altra versione della realtà, nell’essere conscio di quanto, anche lì fra i ghiacci, il nome della propria amata avrebbe potuto riservarsi una fama troppo, immeritatamente, negativa per poter garantire loro di non turbare la quiete lì dominante « E lei è la mia compagna, Madailéin Mont-d'Orb… » la introdusse pertanto, non ricorrendo al suo nome reale, quanto al reale nome della sua versione alternativa, e di quella più giovane sua altra versione che avevano avuto fugace occasione di incontrare nel tempo del sogno e che, sul loro pianeta natale, aveva estemporaneamente sostituito la presenza della stessa donna guerriero in quel di Kriarya, per quanto avrebbero potuto vantar di conoscere a tal riguardo.

venerdì 21 settembre 2018

2676


« … credo che tu abbia ragione… » soggiunse, in una quieta ammissione in direzione dell’amato, sempre al proprio fianco « … questi nuovi mondi mi stanno cambiando in peggio... » ammise, francamente a propria volta quantomeno confusa per l’imperdonabile leggerezza allor da lei commessa.

Per loro fortuna, il tempo di esposizione alle avverse condizioni meteorologiche avrebbe avuto a dover essere riconosciuto qual troppo breve per potersi essere concesso occasione di imporre loro danni permanenti: non per proprio merito, non per propria fortuna, quanto e piuttosto in sola conseguenza all’aiuto, al soccorso loro offerto, loro garantito, dalla generosità degli abitanti di quell’insediamento, i quali allorché serrare le proprie porte ed escluderli al di fuori di esse, così come avrebbero potuto quietamente compiere venendo assolutamente compresi e giustificati da parte di chiunque, si erano allor impegnati, piuttosto, a venire loro incontro, sì rimproverandoli per la mancanza di senno dimostrata dalle loro azioni, ma, ciò non di meno, conducendoli in un ambiente sicuro, in un locale caldo e accogliente, senza neppure pretendere, prima di ciò, di conoscere i loro nomi, le loro storie, o le loro intenzioni. E se assolutamente apprezzabile, in tutto quello, avrebbe avuto a dover essere considerata la generosità, la misericordia loro dimostrata da parte degli autoctoni, parimenti pericolosa avrebbe avuto a dover essere giudicata la scelta dagli stessi così compiuta, laddove, nell’accogliere con tanta serenità, con tanta premura, due meri estranei, avrebbero potuto soltanto esporsi a destini ingrati, e destini a confronto con i quali, francamente, avrebbero potuto avere a pentirsi di ogni scelta compiuta nel corso della propria vita, in quell’insieme di azioni e reazioni tali da condurli, al termine, a definire quanto avrebbe erroneamente potuto essere indicato con il termine di destino.
Proprio nel confronto con l’imprudenza dai loro anfitrioni purtroppo commessa, Midda Bontor ebbe a sentirsi allor quasi in imbarazzo all’idea di essere lì giunta, sostanzialmente, soltanto animata dal desiderio di dimostrarsi altresì impietosa nei riguardi di qualcuno che, probabilmente, avrebbe soltanto desiderato poter proseguire in solitaria pace la propria esistenza. Ma, abbracciando quietamente la consapevolezza del proprio ruolo, del proprio incarico, ella si impegnò a tentare di sopprimere ogni esitazione, ogni dubbio, nella consapevolezza di quanto, comunque, tutto ciò avrebbe avuto a dover essere considerato un sacrificio necessario per assicurare a se stessa e alla propria famiglia un futuro di serenità. E un sacrificio necessario, per lo più, a discapito di chi, comunque, non aveva esitato a ingannarla animato dalla sola volontà di catturare ella e i suoi pargoli e di ricondurli al destino, per loro stessi, altresì scelto dall’empietà della Loor’Nos-Kahn.
Così, dopo essersi concessa qualche istante di silenzio per assorbire, quanto più possibile, il calore a lei lì offerto da quell’ambiente accogliente e dall’ancor più accogliente coperta concessale, la Figlia di Marr’Mahew si riservò l’opportunità di tentare di riprendere il controllo della situazione, osservandosi attorno e cercando di cogliere qualcosa di più nel merito di coloro i quali, allora, avrebbero avuto a dover essere indicati, senza gratuita enfasi, qual i loro salvatori…

« Grazie. » esordì, offrendo un sorriso sincero verso di loro « Non eravamo francamente preparati a queste condizioni climatiche. »

Richiusa accuratamente la porta stagna alle proprie spalle e liberatisi dai pensanti abiti indossati per potersi porre a confronto con l’ambiente esterno, i due uomini rivelarono, allora, i propri volti, mostrandosi sufficientemente simili nell’aspetto, seppur distanti nelle proprie età, da aver a dover essere probabilmente giudicati qual un padre e suo figlio, oppure due fratelli, ma fra loro tanto distanti da poter essere equivocati, obiettivamente, in una simile possibilità di rapporto. Entrambi contraddistinti da pelle chiara, capelli biondo-ramati e occhi neri, l’uno con un maggior numero di capelli grigi e bianchi rispetto all’altro, avrebbero potuto vantare eguali barbe mantenute accuratamente ordinate a ornare i loro visi, seppur, ancora una volta, chiaramente distinte da una diversa maturità, l’una dimostrandosi più folta e rigogliosa, l’altra, altresì, poco più che fanciullesca, rada nella propria presenza e delicatamente lanuginosa. Il più anziano fra i due soccorritori, inoltre, rispetto all’altro, figlio o fratello minore che avesse a dover essere giudicato essere, avrebbe anche potuto vantare un fisico più massiccio, non propriamente muscoloso e neppur effettivamente grasso, in questo molto simile, in verità, a quello che avrebbe potuto vantare Be’Sihl: l’altro, al contrario, avrebbe avuto a dover essere distinto per il proprio fisico asciutto e snello, quasi slanciato nelle proprie proporzioni, trasmettendo ancor, e soltanto, una sensazione di giovinezza, un’idea di divenire, e di un divenire che, di lì a qualche anno, probabilmente l’avrebbe condotto a essere non dissimile dal padre, o fratello maggiore che esso fosse.
La donna che li aveva accolti, al contrario rispetto a loro, avrebbe avuto a dover vantare una carnagione più scura, quasi olivastra, con lunghi capelli neri e un dolce viso a forma di cuore, con una corporatura non esile, e neppur propriamente robusta, in buna sostanza non dissimile da quella dell’ex-mercenaria e, ciò non di meno, rispetto a lei chiaramente contraddistinta da quella morbidezza, da quella dolcezza, nei propri zigomi, nei propri tratti, e nel proprio cuore, di una donna che aveva avuto l’occasione di conoscere la maternità. Non a caso, probabilmente, proprio in lei avrebbe avuto a dover essere identificata la figura femminile che, da lontano, avevano avuto occasione di cogliere al di là delle piccole finestrelle di quell’edificio, intenta a prendersi cura di un neonato. E forse proprio in conseguenza di ciò, di quell’istinto materno votato, innanzitutto, alla difesa della propria progenie, proprio quella donna fu colei che, oltre ad accoglierli con maggiore premura, offrendo loro il calore proprio di quelle coperte, ebbe anche a rivolgersi verso di loro con maggiore severità, desiderando porre immediatamente in chiaro un concetto, e un concetto la comunicazione del quale, allora, non avrebbe avuto a dover essere giudicata ingiustificata… non nella chiara presenza delle visibili armi preposte a ornare il corpo della sconosciuta dagli occhi color ghiaccio e dai capelli color del fuoco che, in tal maniera, si era appena riservata opportunità di entrare all’interno della loro abitazione.

« Se siete in cerca di guai… non ne troverete, da queste parti. » escluse la padrona di casa, scuotendo il capo con serietà « Qui fra i ghiacci, l’unica legge è quella del rispetto reciproco: violenze, soprusi e prevaricazioni non possono trovare spazio quaggiù. Quindi, se siete venuti fino a qui con l’intenzione di usare le vostre armi, fareste meglio a tornare indietro… finché ancora ne avete la possibilità. » dichiarò, in un invito estremamente simile a una minaccia velata e che pur, allora, minaccia non avrebbe avuto razionalmente ad aver senso di essere, non, quantomeno, nel confronto con quanto da lei stesso appena scandito, da quel rifiuto della violenza così chiaramente espresso « Ovviamente, se non desiderate altro che cercare un’occasione di pace… qui ne troverete quanta ne vorrete, e sarete ben accolti da tutti noi. Da ovunque veniate, e qualunque siano le vostre storie. » soggiunse, nel mutare espressione in un quieto sorriso, a dimostrare quanto, in verità, tale alternativa avrebbe avuto a doversi considerare anche per tutti loro maggiormente preferibile.

E se, dal canto proprio, Midda Bontor, più confidente con la guerra che con la pace, con la morte che con la vita, avrebbe probabilmente avuto a dover essere considerata allora poco credibile nel proporre qualunque genere di argomentazione in favore della pace; il suo amato Be’Sihl Ahvn-Qa, da sempre contraddistinto da un’invidiabile affabilità e da uno straordinario senso della diplomazia, comprese di aver a dover prendere parola, onde ovviare al rischio di veder improvvisamente raffreddata quella calda e piacevole accoglienza.
Così, ancora sofferente, soprattutto all’altezza dei propri piedi, per la prova alla quale si era autonomamente sottoposto, egli ebbe a prendere quindi voce e a intervenire esprimendosi per entrambi, a difendere, innanzitutto, la chiaramente fragile ospitalità in quel momento loro garantita…

giovedì 20 settembre 2018

2675


Invero banale, in quella situazione, in quel particolare contesto, sarebbe stato per lei attendersi infatti la possibilità di un qualche genere di trappola, nel ritrovarsi in un qualche covo di terribili assassini, mostri magari, che altro non avrebbero avuto a poter desiderare se non strappare le vite dai loro corpi, per così come allora suggerito da quella battuta che, in fondo, tale non avrebbe voluto realmente essere. E se nessuna demoniaca bestia avrebbe avuto lì ad avventarsi in loro contrasto, simile assenza di immediato pericolo, di una qualche evidente avversione del fato, non avrebbe potuto ovviare quasi a preoccuparla, nell’imporle, paradossalmente, una certa ragione di disorientamento, venendo fondamentalmente per lei meno una di quelle poche certezze che avrebbe potuto vantare a contorno della propria esistenza quotidiana, della vita di tutti i giorni, per così come da ben oltre sei lustri la stava accompagnando in ogni proprio viaggio, in ogni propria piccola o grande impresa.
Ma se, quindi, nel confronto con immagini di quiete scene domestiche, qual una madre intenta ad allattare il proprio neonato, alcuna minaccia avrebbe avuto a dover essere colta a discapito della coppia di stranieri lì sopraggiunta; quella stessa coppia di stranieri lì sopraggiunta non avrebbe potuto garantire lo stesso senso di serenità e pace alla popolazione autoctona e residente in quegli edifici, dietro a quelle piccole finestre, i quali, non attendendosi certamente l’arrivo di volti nuovi, e probabilmente non avendo avuto alcuna occasione per udire il loro sopraggiungere, nell’isolamento sicuramente loro offerto da quelle pareti, da quelle abitazioni, a contenere ogni prezioso soffio di quel meraviglioso calore all’interno di quegli edifici. Un arrivo inatteso, e inudito, il loro, che fu colto nella propria occorrenza probabilmente quasi per caso e che, non senza una condivisibile ragionevolezza, ebbe nell’immediato a sorprendere, persino a spaventare, coloro celati in quelle abituazioni, nell’inconsapevolezza nel merito non soltanto della natura delle intenzioni di quegli stranieri ma anche, e soltanto, del loro effettivo numero.
Fortunatamente, però, la più totale, e stupida, assenza di un’adeguata preparazione a livello di equipaggiamento per riservarsi la possibilità di un quieto confronto con l’ambiente lì predominante, non ebbe a essere ignorata da parte della popolazione di quell’insediamento; i membri della quale, superata la sorpresa iniziale, non poterono ovviare a elaborare quanto, allora, chiunque avrebbe avuto a voler rappresentare per loro una reale occasione di minaccia, certamente non si sarebbe presentato alle loro soglie in siffatta maniera, l’uno addirittura scalzo, e l’altra, per lo più, mezza nuda, in un abito che giudicare assolutamente inadatto a tutto quello sarebbe stato, a dir poco, un eufemismo. Così, accettando l’idea di arrischiarsi a offrire aiuto a quella coppia di sciocchi sventurati, qual necessariamente non avrebbe potuto che risultare alla loro attenzione, la porta dell’edificio a loro più prossimo ebbe a dischiudersi e, dalla stessa, due figure pesantemente ammantate di calde pellicce si mossero sino a loro, per accoglierli e indirizzarli verso il rifugio che, generosamente, non si sarebbe rifiutato di accoglierli.

« Presto… » esclamò un uomo, con il viso appena intuibile nelle proprie forme al di sotto di un passamontagna apparentemente contraddistinto da un piacevole calore « … da questa parte! » li invitò pertanto, senza neppure domandare loro presentazioni o spiegazioni, nell’anteporre la necessità di concedere loro riparo a qualunque altra questione.
« Andiamo al riparo… » insistette il suo compare, un altro uomo con il volto pesantemente ricoperto da quanto, allora, avrebbero probabilmente fatto bene a indossare anche Midda e Be’Sihl, a ovviare al rischio di veder la pelle del proprio volto, e le proprie labbra, già severamente provate da quel gelo, e, in tal senso, destinate soltanto a frantumarsi in maniera estremamente dolorosa « … poi ci spiegherete come accidenti pensavate di sopravvivere a questo gelo vestiti come siete! » soggiunse, dimostrando l’indubbia misericordiosa intrinseca in quella scelta di priorità e, ciò non di meno, una comprensibile, e assolutamente legittima, volontà di comprensione nel merito di quanto stesse accadendo.

E per quanto, certamente, colei nota come la donna da dieci miliardi di crediti avrebbe potuto allor preferire l’idea di un ben diverso esordio, di un ingresso in scena contraddistinto dall’imposizione di un ben diverso tipo di immagine rispetto a quello che, in quel momento, stava purtroppo offrendo di sé; ella non avrebbe mai potuto rifiutare l’ospitalità in tal modo loro garantita, senza neppure riservarsi l’opportunità di parlare, ma, semplicemente, accennando un lieve movimento di consenso con il capo e avviandosi ben volentieri nella direzione indicatale, nel contemplare la possibilità di ritrovarsi nuovamente al caldo proprio di un ambiente protetto qual la gioia più grande alla quale avrebbe mai potuto ambire. Una gioia, quella di lei, più che condivisa da parte dello stesso shar’tiagho, il quale, tradizioni a parte, pur patendo sicuramente il freddo in misura minore in grazia al proprio lungo cappotto, non avrebbe potuto ovviare a provare un sicuro disagio all’altezza dei propri nudi piedi, quei piedi che, allora, stavano per lui gridando pietà, domandandogli di abiurare la proprio credo, alla propria fede, o, in alternativa, avrebbe probabilmente finito per abiurare a essi stessi: così, con passi sempre rapidi e leggeri, anche egli ebbe ben volentieri ad accogliere l’invito loro rivolto, riservandosi anche l’opportunità di esprimere la propria gratitudine per esso…

« … grazie… » tentò di sorridere, salvo scoprire quanto la pelle del proprio viso fosse così congelata da impedirgli qualunque movimento senza, in ciò, avvertirla tirare, e tirare con forza, quasi fosse divenuta una sorta di maschera di cuoio applicata al proprio volto.

Quando, alfine, Midda e Be’Sihl raggiunsero la soglia loro offerta, entrando all’interno di una camera stagna e, da lì, una volta richiusa la porta sull’esterno, a un caldo ambiente protetto, entrambi non poterono ovviare a emettere un mugolio di piacere, nell’avvertire, improvvisamente, la vita ritornare a impossessarsi delle proprie membra e, con esse, dei loro cuori, anche loro purtroppo posti a serio rischio dall’ambiente esterno e da quell’ambiente esterno purtroppo obiettivamente da loro affrontato con il controllo proprio di una coppia di…

« Sprovveduti! » esclamò una donna, in loro attesa, con già due pesanti coperte in braccio, che subito si affrettò a gettare attorno alle loro spalle, per incrementare il calore loro offerto all’interno di quell’ambiente pur indubbiamente confortevole, persino torrido se posto in rapporto con la rigidità esterna « Come accidenti avete potuto finire là fuori vestiti come siete?! » insistette ella, dimostrando quel piglio tipicamente materno che, allora, avrebbe potuto essere loro rivolto anche da parte di Thaare, se soltanto fosse stata lì presente ad assistere alla scena, anch’ella madre di un non meglio precisato numero di figli e, in ciò, contraddistinta da un modo di fare protettivamente impositivo nei riguardi dei propri interlocutori, soprattutto a confronto con l’evidenza di un’avvenuta dimostrazione di idiozia da parte degli stessi.
« … eh… me lo sto iniziando a domandare pure io… » non poté che ammettere la Figlia di Marr’Mahew, tremando vistosamente all’interno della coperta offertale, in tutto ciò colta da una tardiva presa di coscienza a dir poco banale e che pur avrebbe potuto rendere quel loro esordio decisamente diverso da così come si era altresì offerto, se soltanto, a confronto con l’idea di dirigersi in un luogo tanto glaciale, avessero avuto anche il buonsenso di equipaggiarsi in maniera adeguata.

Per un’avventuriera qual ella era, in effetti, l’errore così commesso avrebbe avuto a dover essere riconosciuto a dir poco clamoroso, nel non aver palesato alcuna lungimiranza a confronto con informazioni pur in loro possesso sin da subito e con informazioni che, allora, avrebbero potuto spingerli, oltre al noleggio di un veicolo, all’acquisto di altri abiti, e di abiti più adatti a quel genere di ambiente e al freddo che lì li avrebbe attesi. E se pur, in quel momento, persino i suoi pensieri avrebbero avuto a doversi considerare rallentati dal freddo, l’unica spiegazione che ella poté imporsi a confronto con tanta palese stolidità fu l’idea di una sopraggiunta pigrizia mentale a seguito di due anni trascorsi a confronto con ambienti troppo confortevoli, diffusamente caratterizzati in grazia alla tecnologia da un omogeneo condizionamento climatico, tali da permetterle di obliare a considerare una verità tanto banale qual quella: dovendosi dirigere in un ambiente così estremo, la prima considerazione a cui avrebbero avuto a dover rivolgere i propri pensieri sarebbe stata proprio quella in direzione dei propri equipaggiamenti… del proprio vestiario!