11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

lunedì 30 aprile 2012

1563


C
ome per molti ronin, o, quantomeno, per quelli non sì crudeli dall'ammazzare un'intera famiglia per prendere possesso della loro dimora; nell'assenza di interesse da parte dei locandieri dei piccoli villaggi a ospitare potenziali latori di guai, la straniera, mercenaria presentatasi con il nome di Guerra, dovette accontentarsi di trovare alloggio sotto una tettoia, sovrastata dalle infinite stelle del firmamento.
Un incomodo che, così come da parte dei ronin, anche da lei venne affrontato senza il benché minimo cenno di sofferenza o patimento, a dimostrazione di come, quella, non avesse da riconoscersi qual la sua prima notte trascorsa fra la terra e il cielo. Addirittura, quasi a dimostrazione di quanto, tutto quello, non l'avesse fisicamente offesa; al sorgere del nuovo sole, nel mentre in cui i contadini lasciavano le loro case per dirigersi verso i campi, ella si impegnò nel bel mezzo della pubblica via in una serie di esercizi, affrontati con assoluta dedizione e concentrazione, e utili non tanto a palesare il proprio perfetto stato fisico, la propria apprezzabile elasticità e agilità nonostante una notevole età, quanto e soprattutto a imporre al proprio stesso corpo un necessario risveglio, ai propri muscoli una inappellabile ripresa della loro consueta operatività, per assicurarle il vigore e le capacità indispensabili a un qualunque guerriero, mercenario o no che egli o ella volesse offrirsi, avesse desiderio a dichiararsi essere.
In verità, malgrado una tale primaria utilità, e di conseguenza ragione, d'esercizio, tanto impegno non poté ovviare a incuriosire, prima, e appassionare, poi, tutti coloro che di lì passarono, innanzitutto uomini, più che interessati a poter osservare una bizzarra, ma anche innegabilmente sensuale, bellezza, impegnata con reale dedizione in movimenti ritmici e ripetuti, atti a tendere e distendere la sua muscolatura, indossando, per l'occasione, solo i pantaloni e la fascia attorno ai seni, indispensabile a mantenere un pur minimo decoro, per rispettare un senso del pudore che già, con così tanta esibizione, stava ponendo a dura prova. E in tutto ciò, ella poté constatare, per l'ennesima volta, come anche in Hyn, al pari delle proprie terre d'origine, il senso del pudore che in troppi andavano vantando ad alta voce, troppo facilmente si sarebbe potuto scontrare con la possibilità di spingere il proprio sguardo a tentare di cogliere quanto altresì non sarebbe potuto essere colto, in una perversione, in effetti, persino maggiore di quanto mai non sarebbe potuta essere quella propria di chi, altresì, dichiaratamente interessato a ricercarlo. Perché se il suo corpo, così estraneo a quelle terre, invecchiato dal suo quasi mezzo secolo di vita, e pur perfettamente mantenuto nella propria forma, era in grado di attrarre con tanta facilità l'interesse di molteplici osservatori, allora tanta ricerca di contegno avrebbe dovuto essere riconosciuta qual mera ipocrisia, atta a soffocare quei propri istinti in accettati ma, non per questo, realmente repressi e, anzi, troppo spesso pronti a esplodere in maniera violenta alla benché minima, e involontaria, provocazione.
Con le braccia tese sopra la testa a mantenere la schiena più dritta possibile, e con le gambe larghe tali da ben ancorarla al suolo, ella piegava il busto in avanti fino a porlo parallelo al terreno, poi lo risollevava, e poi ancora lo piegava a destra, e poi a sinistra, ricominciando tutto da capo per più e più volte. Con la gamba destra sollevata e mantenuta dalle mani a poggiare il ginocchio contro il proprio prosperoso petto, ella si abbassava e si rialzava più volte dal suolo, mantenendosi in perfetto equilibrio sulla sola gamba sinistra, e, dopo diverse flessioni in tal senso, cambiando arto e ripetendo tutto in egual misura. Con le mani appoggiate al suolo, e il corpo perpendicolare sopra le medesime a puntare i piedi verso il cielo, ella piegava e distendeva le braccia, in movimenti lenti, a porre sotto massimo sforzo il proprio unico braccio in carne e ossa al pari dell'arto in metallo, vedendo sul primo i muscoli gonfiarsi e sgonfiarsi a ogni movimento, e sul secondo un incomprensibile e pur parallelo movimento avvenire in grazia di quella medesima, impiegabile mobilità della quale, comunque, il suo gomito, il suo polso e ogni dito era in grado di agire nonostante l'assenza di evidenti articolazioni. E ancora salti, flessioni e piegamenti, capriole e distensioni muscolari caratterizzarono quell'ora così da lei dedicata a simile attività, prima che, riprendendo le proprie vesti e, soprattutto, la propria spada, ella facesse ritorno alla locanda, in cerca di un pasto per nutrire il proprio corpo in tal modo completamente risvegliato.
Una conclusione inattesa, e pur non imprevedibile, quella dei suoi esercizi, del suo allenamento, che trovò sin troppi animi delusi da ciò. Quelli, per lo meno, di coloro che lì sopraggiunti con minore tempestività di altri, poterono apprezzare le sue evoluzioni per troppo poco tempo, non avendo modo, evidentemente, di soddisfare tutte le proprie fantasie.

« Onorevole straniera. » commentò sottovoce la moglie del locandiere nel servirla al proprio tavolo « Quanto hai compiuto sino a pocanzi, là fuori, è stato estremamente sconveniente per il tuo onore. Il tuo abbigliamento, in particolare, non è conveniente per una donna. Non quando indossato, tantomeno quando non indossato. » tentò di spiegarle, non a titolo di rimprovero, quanto più a titolo di informazione e di allarme, a non permetterle di farsi trovare impreparata innanzi a possibili, reali rimproveri.
« Oh… non ti preoccupare per questo. » sorrise Guerra, minimizzando l'accaduto e le parole di avvertimento a lei offerte « Ho lasciato così tanti cuori infranti là fuori che, a dire il vero, credo di correre solo il pericolo di ritrovarmi un qualche non desiderato corteggiatore… » ridacchiò, sollevando e abbassando le spalle « Sai. Alla mia età non vedo assolutamente ragione di lasciarmi invischiare in qualche nuovo pasticcio sentimentale, non qui, non altrove. »
« Dice il saggio: "La luna è priva di significato senza il sole a offrirle la luce dei propri raggi." » osservò la donna, non fanciulla ma comunque più giovane della straniera « Non temi una vita caratterizzata dalle tenebre del novilunio? »
« E' nel temere le tenebre del novilunio che hai accettato quell'orrore?! » domandò, con voce moderata, e tono serio, quasi contrito, la mercenaria, indicando con lo sguardo i piedi di lei, inconcepibilmente definibili qual tali nel presentarsi non più grandi del pomello al termine dell'impugnatura della propria spada « Con rispetto parlando, s'intonsa. » soggiunse
« S'intende. » la corresse con delicatezza la moglie del locandiere, per quanto, invero, decisamente turbata dal modo di parlare così volgare della straniera, incapace ad apprezzare i suoi sforzi, le sue fatiche e, soprattutto, il suo dolore e i pericoli da lei corsi, per riuscire a ottenere due apprezzabili, e sensuali, almeno nei canoni propri del regno del Dragone, piedini, verso i quali l'altra avrebbe dovuto provare solo invidia, considerando i propri enormi piedi.
« S'intende. » si corresse Guerra, non insistendo ulteriormente nella propria domanda ove trasparente avrebbe dovuto considerarsi la difficoltà da parte della propria interlocutrice di comprendere il suo pensiero e, con esso, la posizione in contrasto al loto d'oro appena espressa.
« Onorevole straniera. » riprese voce, sempre sussurrando, e pur ora parlando in grazia a un evidente sforzo di volontà « Agendo come tu stai agendo, vestendoti come tu stai vestendoti, e vantando piedi quali i tuoi, nel migliore dei casi, non attrarrà mai l'interesse romantico di un corteggiatore, ma solo quello lussurioso di un cliente. E, a quanto hai dichiarato, non è tuo interesse svolgere attività di prostituta. »
« No. Non lo è. Ma non lo è neppure quello di trascorrere il resto della mia vita impossibilitata a uscire di casa perché privata della possibilità di camminare in maniera confortevole. » dichiarò la straniera, nulla tentando di negare della propria già espressa volgarità.

Se c'era qualcosa che Guerra, in tutta la sua vita, non aveva mai sopportato, questa avrebbe dovuto essere riconosciuta l'assenza di brama di emancipazione da parte delle donne: non di una donna in particolare, ma di qualsiasi donna esistente al mondo.
Perché, sebbene in pochi, rari e meravigliosi esempi, in qualche adorabile regno, in qualche meravigliosa civiltà vi era eguale dignità fra uomini e donne, con rapporti basati su reciproca stima e rispetto, nella maggior parte del mondo conosciuto, ella aveva incontrato tradizioni e culture solo atte a reprimere la donna, la sua dignità e il suo valore. E se già il burqa di y'shalfica memoria era stato per lei a dir poco nauseante, da vedere e ancor peggio da provare, l'idea intrinseca nel concetto di loto d'oro era per lei nulla di meno di un'inaccettabile aberrazione… una blasfemia.

domenica 29 aprile 2012

1562


N
on trovando parole utili a commentare la vigorosa affermazione d'intenti da parte dello sconfitto, la vincitrice restò semplicemente in silenzio, sorridendo quasi con dolcezza e invitando la controparte, con un gesto di ambo le mani, a non esagerare, a non prendere eccessivamente sul serio quanto accaduto e, soprattutto, a non volersi colpevolizzare tanto quanto pur aveva appena compiuto. In tal modo rassicurato, l'uomo accettò quietamente, seppur ancor mestamente, di ritirarsi, sollevandosi e allontanandosi così come era sopraggiunto, cercando di rendere propria maggiore discrezione possibile.
Allontanatosi l'ebbro, forse nemmeno più tale, il suo posto venne allora rilevato dal suo compagno, l'arrogante, il quale, sebbene non invitato in alcun modo dalla straniera, a lei si avvicinò con passi leggeri, quasi felpati, cogliendo l'occasione di riservarsi un dialogo diretto con la donna qual felice conseguenza del grossolano errore compiuto dal proprio compare.

« Nobile straniera, a te la mia gratitudine per il perdono che hai voluto riconoscere al mio amico. » riprese voce, restando in piedi innanzi a lei e rispettando la propria interlocutrice, quanto meno, nel non accomodarsi ove non esplicitamente invitato in tal senso « Il mio nome è Yu-Lohn e, se questo ti può essere di conforto, sono pronto a porre anche la mia vita a garanzia del suo impegno, nei termini da lui stesso dichiarati. »
« Non la sua vita, né tantomeno la tua, sono di mio interesse. » scosse il capo ella, sollevando solo allora lo sguardo verso di lui, sino ad allora mantenuto, imperterrito, verso la propria tazza non ancora completamente svuotata « E se fosse mio desiderio prenderle, te lo assicuro, non mi porrei esitazione nel farlo, con o senza il vostro coguaro.. »
« … consenso?! » ipotizzò Yu-Lohn, divertito dall'errore di lei come da ogni altro precedente.
« Sì. Quello. » sbuffò la donna, evidentemente infastidita dalla propria ancor non perfetta confidenza con la lingua « Sulla Kasta Hamina, per lo meno, la colpa non era mia… » borbottò in una lingua che l'uomo non riuscì a comprendere e che, in effetti, avrebbe dovuto essere riconosciuta qual quella per lei natia.
« Non credo di aver colto il significato di quanto hai appena detto, mia onorevole interlocutrice. » osservò l'altro, aggrottando la fronte a palesare la propria incomprensione.
« Non è importante, Yu-Lohn. » decretò ella, con un lieve sorriso « Stavo solo ripensando a una situazione simile a questa, che ho vissuto qualche tempo fa… »
« In Hyn…?! »
« Non esattamente. Ma non è importante, davvero. » minimizzò, tutt'altro che desiderosa di tentare di condividere con il mondo una serie di informazioni, quali l'origine e il funzionamento del suo nuovo braccio robotico, che mai, alcuno, avrebbe potuto realmente apprezzare, considerandola semplicemente una pazza « Piuttosto. Se desideri qualcosa da me, siediti, parlamene e cerchiamo di stabilire un giusto prezzo, ove la questione possa stuzzicare la mia fantasia. Altrimenti ti inviterei a lasciarmi terminare il mio pasto in una serena e mai disprezzabile solitudine… »
« Sei una… »
« No. Non svolgo quel tipo di professione, in qualunque accezione della vostra lingua potrai volerla esprimere. » intervenne ella, aticipandolo « E la mia spada non è un semplice ornamento decorativo. »
« Allora… sei un ronin! » esclamò l'uomo, sgranando gli occhi sinceramente sorpreso da quell'affermazione che, a ben vedere, avrebbe dovuto essere considerata quasi banale, nel considerare l'evidenza offerta da quanto di lei visibile, così come ella aveva voluto ricordare con le proprie ultime parole.
« Dalle mie parti si dice "mercenaria"… e, per inteso, non ho mai avuto un padrone stabile sopra di me, a dirmi cosa avrei dovuto o non dovuto fare per compiacerlo. » spiegò ella, sollevando e abbassando le spalle, con noncuranza « Credevo ti fossi avvicinato a me perché desideroso di offrirmi un incarico. Una strega da uccidere, una reliquia da recuperare, un rivale da derubare… tu proponi. Io decido se l'affare mi interessa. Altrimenti… addio. »

E, così dicendo, la straniera, donna guerriero e mercenaria, per quanto da lei stessa dichiarato, chinò il capo verso la propria tazza, con il sincero intento di terminare quanto prima un pasto protrattosi anche eccessivamente. Un distacco visivo, il suo, che si impose al pari di un distacco fisico, quasi ella avesse improvvisamente cambiato stanza, ragione per la quale Yu-Lohn temette di averle recato ragione di offesa, per la quale cercare subito occasione di scuse.
Ma prima che egli potesse tentare di prendere voce, ella intervene, stroncando ogni sua richiesta di perdono sul nascere…

« Non iniziare a invocare il mio perdono, perché non mi sono offesa e non vi è ragione per la quale tu abbia da tentare di impietosirmi con qualche scusa. » sancì, ferma nelle proprie posizioni così come nel tono di voce allora assunto « Come ho già detto al tuo amico, dalle mie parti non andiamo tanto per il sottile, e qualcuno si può ritrovare sgozzato anche per puro caso, se non per uno sguardo non apprezzato. E non sono per nulla abituata a questo vostro formalismo incentrato sull'onore. »

Espressione, quest'ultima, probabilmente indelicata, da parte della straniera, ove, in tal modo, ella non si limitò a ribadire la propria estraneità da quella realtà quotidiana, ma, peggio, si avvicinò tremendamente all'eventualità di insultarla, per quanto nulla lì le avesse ancora offerto ragione di torno, né in maniera diretta, né, tantomeno, con qualche formalismo o rituale.

« Ti prego di non voler offrire scherno nei riguardi dei nostri costumi. » richiese l'uomo, dimostrandosi indispettito da quelle sue parole « Il senso dell'onore, qui in Hyn, è ciò che ha sempre distinto la civiltà dalle barbarie, coloro degni di comandare su ogni cosa da coloro indegni persino di vivere e pur, con tolleranza, sopportati nella propria nauseante inferiorità. »
« Io avrò parlato senza particolare diplomazia, vecchio mio. » ridacchiò la donna, sollevando entrambe le sopraciglia « Ma tu carichi a testa bassa senza guardare niente e nessuno innanzi a te, peggio di un toro. »

In effetti, quanto appena asserito dall'uomo presentatosi come Yu-Lohn, difficilmente avrebbe potuto considerarsi qual privo d'offesa non tanto per la sua interlocutrice, quanto per chiunque, suo pari, non nativo di quel continente e, più in generale, estraneo alla loro concezione della vita e di quanto, effettivamente, avrebbe reso questa degna d'esser vissuta. Difendendo le proprie ragioni, aveva infatti così additato la mercenaria di appartenere a una società barbara e palesemente inferiore a quella di Hyn, osservazione potenzialmente corretta, ragione per la quale meritevoli tutti di morte, in un genocidio di dimensioni così sproporzionate che alcun folle avrebbe mai potuto realmente pensare di tramutare in realtà.
A differenza di quanto appena compiuto dalla straniera, però, in un'implicita ammissione di colpa per la propria sentenza precedente, l'uomo non parve volersi riservare la benché minima ragione in intendimento in direzione delle parole della controparte, tale da presupporre, incredibile a dirsi, il riconoscimento della propria intrinseca, e forse irrinunciabile arroganza. Riconoscimento che, a posteriori, non soggiunse, ma che, malgrado la propria assenza, non impedì all'uomo di poter riprendere voce verso la sua ospite…

« Forse è meglio, per noi, tentare di ricominciare dal principio. » osservò, a voler dimostrare il desiderio di obliare quegli ultimi, spiacevoli, sviluppi « Il mio nome è Yu-Lohn, nobile guerriera. E… il tuo? »
« Mi puoi chiamare Guerra. » si presentò ella, inchinandosi lievemente in avanti, malgrado seduta, a riconoscere il saluto verso il proprio interlocutore, e palesando in tal modo il significato di quel particolare ideogramma fra i suoi capelli « Dopotutto, questo è il mio mestiere. »

sabato 28 aprile 2012

1561


« S
ì. Certo… cuore! » annuì la donna guerriero, correggendosi senza alcuna esitazione, accettando quietamente il proprio errore e, facendo tesoro di quella correzione, ripromettendosi di non sbagliare ulteriormente in futuro « Non vorrei che ti scoppiasse il cuore… » sì ripeté, chinando poi il capo verso il proprio correttore, in segno di ringraziamento.

E alla straniera non fu sufficiente tale frase qual scherno verso il proprio sfidante; ove, fedele alle premesse che aveva voluto offrire a scanso di successive rimostranze, ella volle farsi beffe dell'incauto sfidante con le azioni in termini ancor più incisivi di quanto non sarebbe mai riuscita a compiere a parole, neppure con un vocabolario più ampio rispetto al proprio.
Così, mantenendo il proprio braccio destro completamente immobile, quasi fosse statua ancor prima che semplice protesi vuota, qual avrebbe dovuto essere in coerenza con ogni altro surrogato stregato conosciuto nel proprio mondo, ma come, in effetti, non era; ella mosse la propria mancina con assoluta indifferenza verso la tazza che pocanzi aveva spostato lateralmente sul tavolo, raccogliendola e riavvicinandola a sé, per poi impugnare le bacchette e riprendere a mangiare con trasparente serenità, quasi nulla di ciò in corso stesse realmente avvenendo.
Sol imprecazioni, in termini a lei quasi completamente sconosciuti, poterono pertanto fuoriuscire dalla bocca dell'ebbro, non disonorandolo ma, neppure, concedendogli apprezzabile riconoscimento, laddove egli stava in tal modo dimostrando tutta la propria sostanziale inferiorità, morale ancor prima che fisica, nel confronto con la propria avversaria.

« Mio poco onorevole interlocutore… » esordì nuovamente la straniera, rievocando in tali parole l'inizio del loro discorso « … ti prego di prestare maggiore attenzione alle parole da te pronunciate in quanto, innanzitutto, deprecabili per la tua fama, e, poi, perché non sto riuscendo a comprendere nulla di tutto ciò, a parte una qualche allusione su una possibile professione propria di mia madre, in merito alla quale, ti posso assicurare, hai sbagliato completamente. »

Un nuovo intervento, il suo, il quale riuscì a guadagnarsi, inaspettatamente, il sorriso di qualcuno fra i presenti, oltre, meno improbabilmente, un incremento d'ira da parte della propria controparte. Perché, se già grottesca avrebbe dovuto essere giudicata l'immagine offerta da una donna intenta a consumare tranquillamente la propria cena nel mentre in cui un uomo grosso il doppio di lei grondava sudore e bestemmie in vano suo contrasto; ridicola risultò quell'intera scena nel momento in cui ella, straniera, arrivò addirittura a rimproverare in termini più che corretti un originario di Hyn, evidenziando, apparentemente, una propria maggiore familiarità verso gli usi e i costumi locali rispetto al proprio antagonista.
Un'implicita approvazione, quella contenuta in quei sorrisi, che l'ebbro non riuscì a sopportare e che, per tal ragione, lo vide abbandonare improvvisamente in confronto in corso per tentare, privo di qualunque dignità, di colpire il viso della propria avversaria in maniera estremamente più diretta. Colpo a tradimento, comunque, che ella non gli concesse, anticipandolo malgrado la sorpresa e riuscendo persino ad afferrare con la propria stessa mano metallica il suo pugno prima che questo potesse giungere a destinazione; serrandolo, successivamente, in una morsa non dannosa, e pur sufficientemente dolorosa e, soprattutto, ferrea e inviolabile, qual solo sarebbe potuta essere assicurata da quelle dita di metallo alimentate dalla straordinaria potenza dell'idrargirio.

« Quindi?! » domandò, aggrottando la fronte prima di portare alle labbra una mandorla, tenuta in perfetto equilibrio all'interno delle bacchette « Vuoi davvero fare quello che pensi di fare? Perché se farai quello che pensi di fare, ti assicuro che con questo braccio ti lancerò attraverso il tetto di questa locanda… e non sarà piacevole. Non per te, quanto meno. »

Dove anche l'ebbro, con la propria carenza di razionalità qual conseguenza dell'abuso di sakè, avrebbe probabilmente deciso di porre alla prova la forza della donna guerriero, nel bestemmiarle ancora contro; il suo compare, l'arrogante che sino a quel momento si era intrattenuto con il locandiere, assistendo all'evoluzione degli eventi da una debita distanza, scelse di non abbandonare il suo amico al proprio fato, intervenendo prima che le cose potessero evolversi in vie decisamente meno gradevoli di quelle lungo le quali si erano già sviluppate, così come promesso dalla straniera e così come, ormai vi erano ben pochi dubbi, ella non avrebbe mancato di tradurre in realtà.

« Fermati, Kah-Hyn! » suggerì, o forse ordinò, verso il compare « Hai già avuto occasione di porti in ridicolo innanzi agli occhi di tutti, insultando e sfidando questa nobile straniera. » definì, escludendo in tali parole, per la donna, una qualunque posizione di torto nella questione « Ora non disonorare il nome di tuo padre e offri le tue scuse a chi avrebbe diritto di rifiutarle. »

La voce dell'amico, o forse le sue parole, parvero costringere Kah-Hyn a recuperare quel poco di coscienza prima perduta, spingendolo a distendere il muscolo prima teso del proprio destro bloccato nel pugno di lei e, più in generale, a rilassare completamente tutto il proprio corpo. Scelta innanzi alla quale la donna agì subitaneamente liberando il suo pugno e consentendogli, in ciò, di tornare a sedere tranquillo innanzi a lei, in una posizione tuttavia che egli non volle assumere, sciogliendo le proprie gambe per condurle, con il necessario supporto delle braccia e delle mani a non perdere l'equilibrio, in una posizione inginocchiata e arretrata rispetto al tavolo. Arretrata, per lo meno, quanto sufficiente a permettergli di appoggiare le mani innanzi a sé e piegare la schiena verso il suolo, toccando il pavimento in legno della locanda con la propria fronte in segno di esplicita penitenza.

« Ti prego di volermi perdonare, nobile straniera. » dichiarò Kah-Hyn, con voce che risuonò forte, ove non sussurrata, ma gridata contro il pavimento in legno, a dimostrazione di quanto la sua non fosse una scelta remissiva, quanto, e invero, una decisione accolta in piena coscienza « L'onore della mia famiglia non venga compromesso da un atto di stupidità che questo sciocco ha compiuto senza alcuna ragione. »

E la straniera, per la prima volta dal suo ingresso nella locanda, parve colta alla sprovvista da quella supplica, gesto che, al suo sguardo, non avrebbe dovuto essere considerato qual inedito, e che pur, nel confronto con la cultura nella quale era cresciuta e aveva vissuto in passato, in Qahr, non avrebbe potuto trovare giustificazione alcuna, non per quanto lì accaduto, non per eventi ancor peggiori.

« Ti domando la bontà d'animo di perdonare il mio compagno, onorevole guerriera. » riprese voce l'amico di Kah-Hyn, intervenendo, ancora, in sua intercessione « Egli è un buon uomo e, in altre circostanze, non avrebbe mai agito in maniera tanto sciocca. Purtroppo, in tempi recenti, è venuta a mancare un suo parente e, per questo, il suo animo è inquieto. E troppo aperto a gesti inconsulti come quelli compiu… »
« Basta. E' sufficiente. » dichiarò la donna, levando la propria destra a supportare le proprie parole « Non desideravo scatenare tanto pentimento. Anzi. Dalle mie parti, lo confesso, è estremamente facile che senza ragione alcuna scoppino violente risse nelle locande, osterie e taverne. » sorrise, a voler minimizzare l'importanza di quanto accaduto « Anche se comprendo che queste non sono le mie parti… » puntualizzo infine, a prevenire che qualcun altro, per l'ennesima volta, sottolineasse quell'ovvietà.
« Ti ringrazio. » commentò Kah-Hyn, staccando la fronte da terra e riposizionandosi seduto sui propri talloni, osservando ora con aria estremamente più sobria la propria interlocutrice « Non ti dovrai aspettare altri insulti da parte mia. Lo giuro sulla mia vita, che possa essere da te pretesa nel momento in cui dovessi infrangere la parola data. »

venerdì 27 aprile 2012

1560


« C
ome desideri. » accettò la donna guerriero, in una decisione forse prevedibile, forse ineluttabile, ove rifiutare, per lei, avrebbe rappresentato un disonore non inferiore a quello proprio di un uomo, dal momento in cui pari a un uomo aveva voluto farsi considerare così come giustamente evidenziato dal suo sfidante, da colui che, in tal modo, non sarebbe divenuto un nemico ma, semplicemente, un avversario, un contendente da vincere, sì ma non da umiliare « Però ti diffido dal domandarmi di impiegare il mio braccio destro… per ovvie ragioni. » puntualizzò ella, proprio nel desiderio di evitare ragioni di umiliazioni, per l'avversario, e di facile vittoria, per se stessa.
« Credi forse che quella tua protesi stregata mi possa far paura?! » domandò l'ebbro, aggrottando la fronte con disappunto per le parole da lei appena offertegli qual suggerimento, qual supporto, aiuto persino « Ho già sentito parlare di questa vostra usanza barbara. E so come funziona… so che non vi offre alcuna forza che già prima non fosse vostra. » spiegò « Il tuo è solo uno sciocco tentativo per spingermi a usare la mancina, e in questo avvantaggiarti! » commentò, facendo riferimento alle bacchette da lei ancora impugnate nella mano sinistra.
« Nel mio caso non è propriamente così… » tentò di rispondere l'altra, lasciando appoggiare la tazza con il pollo, e le bacchette, sul tavolo innanzi a sé « E dal momento che non conosco più della metà delle parole che mi servirebbero per spiegartelo, ti prego di credermi sulla parola e di non chiedermi di impiegar… »
« Non credo a nulla di quanto stai blaterando, donna! » negò il primo, arricciando le labbra e il naso, con aria dispregiativa verso di lei « E questo tuo sciocco arrancare è più disonorevole di quanto non potrebbe esserlo rifiutare la sfida. »
« Oh, Thyres… » sospirò la straniera, levando gli occhi verso il cielo e, in ciò, invocando il nome della propria dea prediletta, in un'esclamazione che pur alcuno fra coloro a lei circostanti ebbe modo di comprendere « E vada per il braccio destro. Ma poi non ti lamentare se dovessi romperti il naso! » lo avvisò, nella volontà, forse, di offrirgli un'ultima possibilità per cambiare idea.

Tale possibilità, tuttavia, non venne accolta dall'uomo, il quale, senza attendere un solo instante, si pose a sedere innanzi a lei, anch'egli a gambe incrociate, inclinò leggermente la schiena in avanti e appoggiò il proprio gomito destro sul tavolo, offrendo poi la mano chiusa a pugno innanzi al proprio viso, con le dita verso di sé e il dorso verso la sua avversaria.
Spostando il pollo, l'acqua e bacchette di lato, a evitare un loro spiacevole coinvolgimento nella questione, anche la straniera piegò la propria schiena lievemente in avanti, appoggiando in parte i propri seni, e il proprio gomito destro, in lucente metallo argentato, sul tavolo innanzi a sé, e sollevando poi la splendida mano, elegante non di meno rispetto a quella di carne e ossa, in fronte al proprio volto, richiudendola a pugno. Il freddo dorso della sua mano destra, in tal modo, si pose a contatto con dorso della mano destra del proprio antagonista, in ottemperanza a quanto richiesto da quel genere di giuoco, che aveva scoperto essere molto in vigore entro i limiti di Hyn e che, ben volentieri, avrebbe importato anche in Qahr nel giorno in cui avesse scelto di farvi ritorno.
Lo scopo della sfida era semplice: il primo che fosse riuscito a costringere l'avversario a tirarsi un pugno in faccia, spingendo la mano del medesimo con la propria senza mai staccare il gomito dalla superficie del tavolo, avrebbe vinto, dimostrando maggiore forza, tenacia e abilità rispetto alla controparte. Il tutto, così, si sarebbe risolto senza risse o abbondanti spargimenti di sangue, quanto, e semplicemente, con un pugno sul naso che avrebbe fatto giustamente pentire di essersi coinvolto nella sfida chi lo avesse ricevuto.

« E' un peccato che un semplice pugno in faccia non potrà fare nulla per migliorare il tuo volto. » commentò l'uomo, ancor criticando apertamente le fattezze della propria antagonista.
« Sai che a furia di ripeterlo, finirai con l'innamorarti di me?! » ridacchiò la donna, per nulla intimorita dalla controparte e, anzi, apparentemente divertita da tutto quello.

Ella, donna e probabilmente con mezzo secolo di vita sulle spalle, o quasi, avrebbe dovuto riservarsi evidenti ragioni per accogliere quella sfida, quello scontro, con maggiore serietà e, comunque, maggiore timore, nel constatare come il suo avversario, uomo e non più che trentenne, palesava un braccio grosso almeno tre volte il proprio. Ciò nonostante, alcuna incertezza sembrò caratterizzarla nel prendere posizione, né, tantomeno, nel sorridergli sprizzante, al contrario, una sicurezza straordinaria, quasi fosse a confronto con un infante, o peggio.
E tanta sicurezza, persino troppa, non poté che colpire l'uomo, il quale, al di là del sakè in circolo nel proprio corpo, si ritrovò a domandarsi se, forse, non avesse agito con eccessiva imprudenza nello sfidare una donna guerriero straniera, e nell'insistere, in particolare, per porsi a confronto con il suo braccio di metallo, non protesi inelegante e ingombrante quali le aveva pur sentito descrivere in passato, quanto, e semplicemente, replica fedele e speculare del braccio mancino, quasi opera d'artista. Ormai, tuttavia, la sfida era stata lanciata e solo combattendola avrebbe potuto conservare il proprio onore, vincendola oppure no. Se si fosse ritirato, al contrario, sua sarebbe stata solo infamia e vergogna, ragione per la quale ogni ritrosia sarebbe dovuta essere posta da parte, ogni dubbio sarebbe dovuto essere rapidamente obliato, relegandolo a sciocca paranoia priva di fondamento.

« Prometto di impegnarmi a farti meno male possibile… » sussurrò la straniera, nel mentre in cui, uno fra i tanti membri del loro pubblicò di premurò di offrire loro il segnale d'inizio.

L'arrogante già interlocutore del locandiere, compagno dell'uomo impegnato nella sfida, aveva veduto il proprio compare vincere uomini apparentemente invincibili in quella sfida, esperti ufficiali dell'esercito dell'imperatore Lupo i quali, al di là di tutti i propri sforzi, avevano alfine dovuto piegarsi al proprio compare e alla sua abilità in quel giuoco. Proprio per tale ragione, egli non avrebbe mai potuto dirsi preoccupato per l'esito della sfida in corso, sebbene, personalmente, non avrebbe mai tentato la sorte in contrasto a un braccio di armatura stregato: non a uno normale, non a quello sì originale della straniera, tale da suggerire l'impiego di arti, metallurgiche e mistiche, superiori a quelle che chiunque altro avrebbe potuto vantar qual proprie… non che in Hyn, a differenza di Qahr, qualcuno avrebbe potuto serbarsi ragione di vanto nell'accettare di rimpiazzare un arto perduto con onore con un artefatto incantato, seppur apparentemente elegante e aggraziato qual quello proprio della straniera.
Malgrado la propria iniziale sicurezza, tuttavia, tanto l'uno quanto l'altro, l'arrogante come l'ebbro, dovettero presto maturare la consapevolezza di aver commesso lo stesso errore che, in passato, portò i propri antenati a perdere in contrasto al regno del Lupo, permettendo l'ascesa al potere di questi ultimi su tutto il continente. Perché, diversamente da ciò a cui entrambi erano abituati, e a ciò che si sarebbero attesi da una semplice donna, per quanto vestita in abiti maschili, ella non cedette subito dopo il segnale di inizio né, tantomeno, dopo i primi istanti dal medesimo… o quelli seguenti ancora. E sebbene il bicipite dello sfidante fosse teso oltremisura nel tentativo di contrastare quell'arto metallico, la straniera non offrì la benché minima dimostrazione di affaticamento o, quantomeno, sforzo, osservando quasi con divertimento tutto l'impegno posto dall'uomo a sé antagonista per sopraffarla.

« Devi stare attento… non vorrei che ti scoppiasse il tuorlo sforzandoti così! » suggerì ella, con voce assolutamente serena, quasi annoiata.
« Forse volevi dire "cuore"… » suggerì la medesima voce maschile che già prima si era fatta carico di intervenire a correggere il suo uso errato della lingua.

giovedì 26 aprile 2012

1559


L
a straniera sorrise alla conclusione del canto, nel contempo dimostrando la propria approvazione nei riguardi della bravura delle cantore battendo con le nocche della propria destra chiusa a pugno la superficie in legno del proprio tavolo, secondo l'uso locale. In verità, sebbene ella non volle esprimerlo in maniera esplicita, parte della ragione del suo sorriso non si sarebbe potuta rifare a un semplice sentimento di approvazione per il canto appena conclusosi, quanto e più precisamente, a quello che volle riconoscere qual un calcolo particolarmente originale del trascorrere del tempo. Sebbene in Hyn il concetto di anno non fosse diverso da quello di Qahr, suo continente natale, limitandosi, semplicemente, a un differente computo di mesi e stagioni all'interno del medesimo; le ultime strofe del canto avevano voluto indicare l'origine dell'Impero a mille anni prima, ove, tuttavia, l'attuale imperatore Lupo altro non fosse che il figlio del nipote del primo khagan, permettendo di collocare, pertanto, l'origine dell'Impero a un secolo, o poco più, prima.
Quel suo sorriso e, soprattutto, quel suo gesto di approvazione nei riguardi delle cantore, unico in tutta la locanda, suscitò, nell'immediato, due diverse reazioni. Da parte delle stesse cantore, destinatarie di quel complimento, non poté che essere imbarazzo, ove non abituate a essere approvate entro i confini di quell'intera regione, non, quantomeno, quando impegnate a decantare le lodi dell'Impero secondo i termini loro imposti da parte del governo. Da parte del resto del pubblico, spettatore di quel secco battere ripetuto, non poté che essere maliziosa curiosità, nel cercare di comprendere chi potesse avere così poco interesse per il proprio futuro, e per la propria salute in tale, succitato, futuro.
Inizialmente, comunque, alcuno fra tutti i viandanti lì riunitisi, trovò un qualche reale interesse a reagire in risposta alla straniera. Neppure l'uomo già alzatosi e mossosi verso il locandiere, colui che sino a qual momento aveva dimostrato maggiore interesse verso di lei, ebbe ragione di esprimere una singola sillaba, dal momento in cui seppur arrogante, altresì non stupido avrebbe dovuto essere giudicato nelle proprie scelte, quelle già compiute e quelle che ancora avrebbe potuto compiere, prima fra tutte non cercare un confronto diretto con quella straniera senza prima sapere chi ella potesse essere e per quale motivo fosse giunta nella loro tranquilla provincia.
Insofferente all'imperatore Lupo e a tutte le espressioni del suo potere, l'arrogante avrebbe infatti volentieri sfidato e ucciso quella guerriera straniera, se solo ella fosse stata effettivamente riconosciuta qual la khan giunta dai mari del sud, nella volontà, in tal modo, di poter recare offesa al khagan senza, tuttavia, levare offesa contro un qualunque prefetto o, più in generale, un qualunque rappresentante dell'esercito imperiale; azione che, ove compiuta, avrebbe potuto condurre solamente a pesanti ripercussioni in loro stesso contrasto, scelta di termini più moderata per indicare, a prescindere, quello che sarebbe stato, semplicemente, un massacro. Nel caso in cui, però, quella donna non fosse stata riconosciuta quale il khan d'occidente, alcuna ragione vi sarebbe potuta essere per qualunque discendente del regno del Dragone per levare una sola mano contro di lei, non, per lo meno, fino a quando non fosse stata ella stessa a fornirla.
Egualmente razionale e controllato, purtroppo, non si dimostrò un compagno dell'arrogante, uno dei suoi amici da lui abbandonati al proprio tavolo, il quale, complice l'effetto di una tazzina di sakè di troppo, e probabilmente dell'umiliazione intrinseca nel canto appena terminato e nell'approvazione espressa dalla straniera, dopo qualche interminabile istante di silenzio impostosi all'interno dell'intera locanda, decise di levarsi in piedi, risollevandosi con non poca fatica ma poi muovendosi con passo convinto verso il proprio obiettivo. E giunto da lei, egli scoprì che malgrado la propria mole, tutt'altro che indifferente, alcun interesse era riuscito ad attrarre in colei alla quale si era avvicinato, questa ancora impegnata, con trasparente serenità, ad assaporare il proprio pollo alle mandorle.

« Donna… perché vesti come un uomo? » esordì verso di lei, con un tono di voce decisamente più lucido di quanto chiunque avrebbe potuto attribuirgli « Dalla terra da cui vieni, sono forse gli uomini a vestirsi da donne? Oppure è una tua scelta?! »
« Mio poco onorevole interlocutore… » replicò ella, con tono di voce moderato non di meno di quanto non fossero già stati i suoi gesti « … è stato forse qualche mio etto sgradito? »
« Etto?! » ripeté spiazzato l'uomo, non riuscendo a comprendere che cosa avrebbe voluto significare in con quella parola, apparentemente estranea al contesto.
« Azione. » si spiegò ella, chinando appena il capo in un gesto invocante perdono per il proprio ancor non perfetto uso di una lingua per lei sino a qualche tempo prima del tutto sconosciuta.
« Credo che tu volessi dire "gesto"… » ipotizzò un altro uomo, seduto a un tavolo poco distante da lei, e, in ciò, necessariamente testimone per quel dialogo, così come, comunque, lo erano tutti all'interno di quelle mura di legno.
« Sì. Gesto. » annuì la donna guerriero, ringraziando il proprio suggeritore con un sorriso « E' stato forse qualche mi gesto sgradito? » riformulò e corresse la propria precedente frase.
« Sono le tue vesti a essere sgradite. Una donna dovrebbe vestire come una donna. Non come un uomo. » indicò il suo alticcio interlocutore, ritornando al discorso estemporaneamente interrotto « A meno che non sia tuo desiderio essere trattata come un uomo, nonostante la volgare sovrabbondanza delle tue forme. »
« Io credo che tuo desiderio sia quello di vedermi vestita come una prostituta, allorché come una donna. » sorrise sorniona la straniera, scuotendo il capo « Ti invito a ritornare al tuo posto e a lasciarmi proseguire il mio pasto con la stessa serenità con la quale è iniziato, a meno che non sia tuo desiderio attrarre guai. » proseguì, scimmiottando le parole dall'altro appena pronunciate, e sottolineandone l'intrinseca, e non velata, minaccia nel sollevare il proprio sguardo verso di lui, ponendolo, per la prima volta, a confronto diretto con i propri occhi color ghiaccio.
« Non provare a minacciarmi… strega! » esclamò l'uomo, ritraendosi appena qual reazione alla vista di quegli occhi per lui innaturali, quali solo sarebbero potuti essere propri di una strega, e non di una comune donna « E che sia chiaro che non giacerei al tuo fianco neppur se fossi tu stessa a pagarmi. » puntualizzò, in riferimento alla prima affermazione da lei suggerita nel merito dei suoi reali desideri.
« Credo proprio che potremo entrambi restare tranquilli, quindi… » commentò ella, stringendosi fra le spalle e lasciando al buon senso dei suoi ascoltatori di comprendere quanto, in tale espressione, fosse suo desiderio comunicare, ben attenta a non riservarsi una posizione di torno nell'insultare la propria controparte.

Per un istante l'uomo, il cui intelletto era rallentato e offuscato dal sakè, non riuscì a elaborare una qualunque risposta da offrirle, per replicare a tono alle sue provocazioni. E quando alfine riprese voce, ancora tale replica non era stata individuata, motivo per il quale egli si industriò a mutare oggetto di conversazione e a ritornare a quella che, probabilmente, avrebbe dovuto essere riconosciuta, sin dall'inizio, la sua reale volontà di interlocuzione con lei…

« Se è tuo desiderio di vestirti come un uomo, di sederti come un uomo, di atteggiarti da uomo e di essere trattata da uomo, che sia tua premura quella di non sottrarti a una prova di forza, così come mai alcun uomo compirebbe, per non vedere il proprio onore, e l'onore della propria famiglia, essere macchiato da una tale dimostrazione di viltà… » dichiarò, lasciando risuonare le proprie parole con un tono tale che mai, alcuno fra i presenti, avrebbe potuto ignorare l'implicita sfida da lui in tal senso lanciata a discapito della donna.

Sfida con la quale, evidentemente, egli sperava di umiliarla. Ma risultato sul quale, in verità, ben pochi fra i tutti presenti sarebbero stati disposti a scommettere a cuor leggero, ove altresì certi che, dietro quegli occhi color ghiaccio si nascondesse qualcosa di più di una comune donna. Per tal ragione, il silenzio già li incombente parve intensificarsi, ritrovando tutti, all'interno della locanda, qual addirittura immobilizzati nell'attesa della replica che la straniera non avrebbe dovuto mancare di offrire, e di ciò che, in conseguenza, sarebbe avvenuto.

mercoledì 25 aprile 2012

1558


« D
opo sedicimila anni dalla partenza dei Tre Re, la guerra ebbe inizio. E scoppiò fra il regno della Tigre e il regno del Dragone, fra loro antitetici, fra loro privi di qualunque possibilità di comprensione, di intendimento, qual pur era verso il regno del Lupo. »
« Il regno del Lupo stette a guardare, paziente e ponderato nelle proprie scelte, conscio di come di due rivali, solo uno sarebbe sopravvissuto alla guerra. E conscio di come combattere un avversario, invece di due, avrebbe incrementato le proprie possibilità di vittoria. »
« Così il regno del Dragone, con il proprio rigore, soffocò il regno della Tigre, incapace, malgrado tutta la propria violenza, di prevalere sulla disciplina dei propri nemici. E il regno del Lupo seppe in tal modo quale sarebbe stato il proprio obiettivo. »

Un uomo di Hyn, con capelli neri, con occhi neri leggermente inclinati verso l'alto sulle loro estremità esterne, con pelle leggermente olivastra e con viso ornato da una sottile barba composta a delineare due baffi e un ipotetico pizzetto, si alzò dal tavolo al quale era rimasto seduto sino a quel momento con i propri compagni, lì bevendo sakè caldo, un alcolico derivato dalla fermentazione del riso, cereale fortemente coltivato in Hyn, e spiluccando alcune noci già sgusciate. E, alzatosi, egli si mosse in direzione del locandiere, al quale si avvicinò con passo tranquillo e pur fermo, deciso nella propria scelta, nella volontà così implicitamente presentata di interloquire con il proprio anfitrione.

« Chi è quella straniera? » domandò sottovoce, al fine di non disturbare il canto e di non attirare l'attenzione su di sé e sul proprio quesito « Lo sai, oste? »
« No. » replicò l'interrogato, scuotendo appena il capo « E' giunta offrendo poche parole e molto denaro, nel chiedere da mangiare. E il suo accento è straniero quanto il suo aspetto. »
« Molto denaro? » chiese l'uomo, aggrottando la fronte a quell'annuncio.
« Oh, sì. » annuì il locandiere « Ha diverse monete appese al proprio nastro. E, non lo escluso, persino della cartamoneta celata altrove, dal momento in cui ci ha pagato il prezzo senza battere ciglio, riconoscendoci persino una lauta mancia. »
« Una donna ricca, quindi. Forse una nobile. » ipotizzò il cliente, cercando di riflettere nel merito di tali informazioni « Ma ciò non avrebbe senso. Non nel confronto con i suoi abiti e la sua spada. Ella è un guerriero, non una banale aristocratica desiderosa d'avventura. »
« Forse è il khan giunto dai mari del sud due primavere or sono. » suggerì l'altro « Si dice che sia una donna di rara bellezza, posta al comando di una flotta quasi sconfinata. E si dice anche che abbia stretto immediatamente amicizia con il khagan, con l'imperatore Lupo, prima salvandolo da un attentato da parte di alcuni sudditi infedeli, e poi aiutandolo in molte proprie questioni di potere. » spiegò, nel mentre in cui, per non destare sospetti, versò altro sakè dentro un nuova tazzina e la offrì al proprio interlocutore « Ragioni, queste, per le quali le è stato prima riconosciuto il titolo di khan anche all'interno dell'Impero, e poi, addirittura, la maggiore fra tutte le piastre d'oro del comando, quella del Lupo, che paragona il suo potere a quello dello stesso imperatore in tutto Hyn. »

Un'ipotesi tutt'altro che banale, quella così scandita dal locandiere, che impose al suo interlocutore un lungo momento di silenzio, per valutare quanto tutto quello avrebbe potuto corrispondere a realtà e quanto, banalmente, alla fantasia di un uomo che probabilmente non era più uscito dalle mura della propria locanda sin dal momento in cui essa era stata eretta, e che per tal ragione ben poco avrebbe potuto conoscere nel merito degli eventi nella lontana capitale.

« Il regno del Dragone, ancora immerso nel sangue del regno della Tigre, non credette all'offensiva del regno del Lupo qual a una minaccia seria: ottomila anni gli erano stati necessari per imporre la propria supremazia, e la supremazia della propria filosofia di vita, contro il proprio primo avversario. »
« E il regno del Lupo, ai suoi occhi, non avrebbe mai potuto essere posto alla pari con il regno della Tigre, cosicché, in meno della metà del tempo già necessario per abbattere questo, il regno del Dragone sarebbe riuscito a riunire tutta Hyn sotto un'unica bandiera. »
« Illusione, tuttavia, fu quella del regno del Dragone, nel considerare il regno del Lupo qual avversario inferiore. Perché, seppur fondante la propria forza sulla violenza e l'istintività, il regno del Lupo non si sarebbe mai frazionato come, nell'anarchia più totale, aveva compiuto il regno della Tigre. »
« Così, dopo meno della metà di ottomila anni, non fu il regno del Lupo a soccombere, quanto il regno del Dragone, sconfitto in conseguenza alla propria superbia e alla propria arroganza. »

Dopo una lunga riflessione, ovviamente intervallata frequentemente da nuovi e sempre discreti sguardi rivolti alla straniera, l'uomo di Hyn avvicinatosi al locandiere ritrovò voce, esprimendo le proprie conclusioni con sufficiente fermezza.

« Seppur straniera, questa donna non può essere il khan di cui tu parli. » asserì, sempre con tono moderato al fine di mantenere, quel dialogo, qual riservato « Perché se così fosse, se ella avesse al proprio comando un esercito di fedeli guerrieri, non viaggerebbe sola. » argomentò, non privo di ragione in tale percorso logico « Senza contare come costei non sia donna di rara bellezza. Osserva il suo viso, deturpato da quelle macchioline ancor prima che da quella cicatrice. E osserva i suoi seni, sproporzionati e volgari quali quelli di un idolo primitivo. E osserva le sue braccia, che ogni femminilità sembrano decise a rinnegare. »
« Forse a occidente, da dove ella viene, tutto ciò ha da considerarsi qual beltà. » volle insistere il locandiere, sebbene nelle parole del proprio cliente non fosse in grado di individuare alcuna possibilità di critica.
« E forse a occidente, da dove ella viene, tutte le donne immergono il proprio braccio destro in incandescente metallo fuso, per lasciar risaltare la femminilità del proprio tocco in tal modo. » suggerì il primo, cercando di restare serio ma, subito dopo, non riuscendo a trattenere una risata soffocata, all'idea di una donna al potere « Ti prego… non essere ridicolo. Un panda possiede maggiore beltà e grazia di quella straniera. Ed ella non potrà mai essere un khan, quanto, piuttosto, una curiosa attrazione o, più probabilmente, uno scherzo della natura »

E se, nell'arroganza delle proprie posizioni, e della propria chiusura intellettuale così apertamente proclamata, facile sarebbe stato considerare quell'uomo qual discendenza del perduto regno del Dragone, per così come in quel stesso mentre ricordato dalle cantore e dall'azione ammaliante dei loro yueqin; ancor più facile sarebbe stato giungere a simile consapevolezza nel confronto con il nome stesso di quella provincia, Hu-Dotah-Hi. Letteralmente "figli del drago meridionale".
In quella locanda, come più in generale in quella regione di Hyn, erano infatti coloro ai quali il rispetto nel confronto l'imperatore era stato imposto con la forza, e che, per tal ragione, non una lacrima avrebbero potuto versare nel caso di una sua prematura scomparsa. E i quali se in quel particolare momento, così come in altre occasioni, si stavano volontariamente offrendo all'ingiuria rappresentata da quel canto; in tale sacrificio avrebbe dovuto essere riconosciuto il loro desiderio di apprendere dagli errori passati, e di non ripeterli in quel futuro, speranzosamente non lontano, nel quale sarebbe stato loro nuovamente concesso il potere non solo sulle proprie terre, ma sull'intero continente.

« Da mille anni, e a distanza di ventinovemila anni dall'epoca dei Tre Re, il khan dei khan del regno del Lupo, il khagan, è asceso così al potere sull'intera Hyn, trasformando, il suo regno in un Impero e se stesso in un imperatore. L'imperatore Lupo. »
« E all'imperatore Lupo si deve la pace ora presente in Hyn, così come dall'epoca dei Tre Re mai era stata offerta a tutti noi, sui figli. »

martedì 24 aprile 2012

1557


A
rinnegare, tuttavia e nuovamente, ogni connessione fra la straniera e l'Impero, sarebbe dovuto essere riconosciuto anche il contributo offerto la sua arma, la sua spada adagiata accanto alle sue gambe e forgiata in forme e proporzioni del tutto ignote entro i confini del continente di Hyn non di meno rispetto a quelle del suo procace corpo.
L'arte dei mastri fabbro di Hyn, in effetti, da millenni aveva fondato il proprio operato su una tecnica ben precisa, sconosciuta ai loro corrispettivi in Myrgan o Qahr, e tale da permettere loro di forgiare lame praticamente perfette e indiscutibilmente temibili, lunghe, sottili ed eleganti, con una caratteristica forma leggermente ricurva. Nel plasmarle, a uno strato di acciaio ad alto contenuto di carbonio, duro e tale da concedere alla lama un grande potere di impatto, era aggiunto un secondo strato di acciaio a basso contenuto di carbonio, più malleabile e utile a donarle una certa duttilità necessaria per assorbire gli urti, derivanti dai propri attacchi o dalla difesa innanzi a offensive nemiche, senza in ciò frantumarsi, destino, invero, di troppe lame, di troppe spade plasmate tale, particolare, combinazione. Questi due strati, una volta formati, erano poi uniti, saldati l'uno all'altro, in grazia a un impegnativo processo di ripiegatura, da un minimo di otto a un massimo di sedici volte, e tale da donare alla lama, al termine di ciò, la solidità derivante da diverse decine di migliaia di strati d'acciaio. A ben vedere, in rari casi, i due acciai erano stati ripiegati addirittura sino a venti volte, in maniera tale da creare una spada formata da oltre un milione di strati: un lavoro, uno sforzo incredibile da parte del mastro fabbro, comunque giudicato dal pensiero comune qual assolutamente vano, tale da non offrire un prodotto superiore rispetto al limite delle sedici ripiegature, e pur indubbiamente ammirevole e capace di dar vita a un'arma che difficilmente avrebbe trovato rivali.

« I Tre Re vissero e regnarono su Hyn e sui loro regni per oltre sessantamila anni, guidando i rispettivi popoli con saggezza e con forza, rispettati e amati da tutti i loro sudditi. »
« Ma come per gli Antichi, anche l'epoca dei Tre Re giunse alla fine. E la Regina Tigre, il Re Dragone e il Re Lupo rispettarono tale conclusione, e si ritirarono presso gli dei, ai quali ormai erano pari. »
« E gli dei accolsero i Tre Re, con la consapevolezza di come, dal momento della loro creazione sino a quel giorno, solo i Tre Re avessero realmente offerto un senso alla propria esistenza, così come, al contrario, essi non erano mai riusciti a compiere. »

Anche l'arte propria dell'arma della straniera, pur trasparentemente estranea alla tecnica propria di Hyn, aveva già avuto occasione di dimostrare in proprio valore, nell'aver generato una lama egualmente ammirevole seppur in grazia di un qualche procedimento mai diffuso nella terra di Qahr con la stessa generosità di quello che nell'Impero era alfine divenuto un canone. La lama definita bastarda o da una mano e mezza, nelle proprie dimensioni superiori a quelle di una comune spada a una mano, ma inferiori a quelle di uno spadone a due mani, era stata infatti forgiata in una particolare lega dai riflessi azzurri, il cui segreto era noto solo a pochi fabbri figli del mare, abitanti su isole o lungo le coste, e da essi gelosamente custodito e impiegato, abitualmente, al fine di plasmare solo poche, importarti armi, raramente commerciate e, più sovente, guadagnate da coloro che ne sarebbero divenuti proprietari. Tale lega, incredibilmente più resistente di qualunque acciaio, era considerata frutto dell'azione del mare, che con la forza e l'insistenza delle sue onde, l'aveva temprata come mai alcun altro metallo o lega avrebbe potuto sperare di essere. E, a differenza della propria corrispettiva di Hyn, il suo impegno non era mai stato limitato alle spade, ma si era visto dedicato a qualunque genere di arma, da asce a lance, da stiletti a tridenti.
Di una particolare e splendida manifattura, nel dettaglio, era la spada della straniera, frutto di un impegno sicuramente notevole e che forse nessuno avrebbe saputo eguagliare: dopotutto, qual fedele compagna della straniera era allora già da vent'anni, affrontando l'impossibile tanto nelle vie di terra, quanto in quelle di mare, quanto e persino nei cieli e oltre gli stessi, quand'ella aveva viaggiato oltre i confini dell'unico pianeta prima da lei conosciuto e, in generale, concepito qual esistente.

« E gli dei chiesero ai Tre Re di condividere con loro la conoscenza della vita e dell'uomo. »
« Ma la Regina Tigre osservò il Re Dragone. E il Re Dragone osservò il Re Lupo. E il Re Lupo osservò la Regina Tigre. E nessuno fra i Tre Re seppe cosa poter rispondere agli dei. »
« Perché solo chi conosce la vita e l'uomo, chi vive da uomo la propria vita, può comprendere la vita e l'uomo, così come gli Antichi, prima di loro, avevano constatato. »
« Così gli dei scacciarono i Tre Re, gelosi dei segreti che costoro non avrebbero mai potuto condividere. E i Tre Re ritornarono in Hyn. »

Straniera in terra straniera, la donna sedeva nella locanda dei "Tre corvi" senza tentare di celare la propria natura, e pur, al contempo, senza neppure farne vanto. Quasi ella fosse lì di casa, raccoglieva con decisa abilità delle dita della mancina, piccoli pezzi di pollo condito con mandorle in grazia di due bacchette di legno da una tazza di egual materiale, portandoli alle labbra senza particolare esitazione, anche ove il sapore di quella carne, condita con mandorle, le sarebbe dovuto essere estraneo non di meno di quanto ella fosse all'interno di quelle mura. E, malgrado la sua indifferenza al contesto a sé circostante, nella sola eccezione rappresentata dalle abili cantore dedite a suonare, e cantare, la storia del continente di Hyn, e con esso dell'Impero; il resto della locanda, e dei suoi avventori, non avrebbe potuto essere egualmente privo d'ogni considerazione nei suoi riguardi, cercando sì di risultare impassibile alla sua presenza, e pur miseramente fallendo in ciò.
Ogni uomo o donna lì presenti cercavano continuamente, e discretamente, contatto visivo con lei sin dal suo ingresso all'interno dei "Tre corvi", desiderosi se non di comprendere chi fosse, quanto meno di intuire cosa ella potesse ricercare all'interno di quelle mura, oltre, ovviamente, a un piatto di pollo alle mandorle e a un bicchiere di latte di capra.

« Ma l'epoca dei Tre Re era conclusa. E per i Tre Re non vi sarebbe stato più posto in Hyn. »
« Perché dopo la scomparsa dei Tre Re, i tre regni, le tre civiltà che nella loro profonda consapevolezza avevano creato, avevano cercato nuove strade sulle quali indirizzare il proprio futuro e con esso offrire un senso alla propria esistenza.. E nelle incompatibili differenze fra loro esistenti, la guerra fu inevitabile. »
« Così i Tre Re, saggi più degli dei, rispettarono il volere dell'uomo e scelsero di trovare rifugio nel cuore dei rispettivi regni, lì ricercando nel sonno la pace che gli dei non avevano loro voluto concedere, in attesa di un tempo futuro in cui l'uomo avrebbe potuto ancora necessitare di loro. »

La moglie del locandiere si avvicinò alla straniera, probabilmente spinta dalla curiosità, ma apparentemente desiderosa di accertarsi che ella non avesse necessità di altro cibo o altre bevande.
Sul volto sfregiato della straniera dai capelli color fuoco, all'arrivo del proprio anfitrione, comparve solo un ampio sorriso sereno, che vide dalle sue labbra carnose far capolino una fila di denti bianchi almeno quanto la sua pelle. Un sorriso, il suo, più che sufficiente a certificare la soddisfazione di quella donna anche senza bisogno di ricorrere a particolari giri di parole, ma che, per risultare ancor più chiaro, fu accompagnato da un lieve movimento del capo in avanti, a dimostrare in tal gesto di rispetto la propria sincera gratitudine per l'ospitalità offertale.

« La straniera è beneducata. » sussurrò la moglie del locandiere al proprio sposo, ritornando verso di lui con passo leggero e silenzioso, costretto dai propri piedi fasciati secondo la pratica del loto d'oro.

Ma il locandiere non si poté dire rasserenato da quell'annuncio della propria sposa, ove una donna straniera vestita in abiti maschili e accompagnata da una strana, ma lunga e sicuramente ben affilata, spada, non avrebbe mai potuto condurre seco un messaggio di pace.

lunedì 23 aprile 2012

1556


« S
i narra che in origine fosse il nulla. E nel nulla comparvero gli Antichi. »
« Gli Antichi erano prima del nulla. E sarebbero ancora stati a seguito del suo ritorno, alla fine dei tempi. »
« Ad alcun mortale, e ad alcuna divinità, sarebbe stato concesso di conoscere l’origine degli Antichi. Tentare di comprendere l’origine degli Antichi avrebbe reso folle chiunque. Uomo o dio. Mortale o immortale. »

Le parole delle cantore, accompagnate dall’arpeggio delle loro abili dita sulle corde degli yueqin, risuonavano eleganti all’orecchio della straniera, per quanto, probabilmente, la maggior parte delle stesse non potessero essere ancora ben comprese da lei.
La straniera sedeva come un uomo di Hyn, a terra con le gambe incrociate; vestita come un uomo di Hyn; e nonostante ciò, chiaramente, ella era estranea a Hyn, come primi fra tutti avrebbero potuto testimoniare i suoi capelli. Quei capelli rossi, rosso fuoco, con qualche venatura di bianco a rendere nota la sua non più giovane età, erano sconosciuti in Hyn e caratteristici, altresì, delle popolazioni di Myrgan o di Qahr, i due altri continenti con i quali l’Impero condivideva il mondo conosciuto. Capelli di straniera, stretti, malgrado tutto, sulla parte superiore del capo secondo la moda locale, e lì tenuti fermi da due spilloni di legno nero, decorati nelle estremità con motivi classici, l’uno con un fiore di loto e l’altro con un ideogramma significante “guerra”.

« Gli Antichi osservarono il nulla. E il nulla non li soddisfece. »
« Così gli Antichi plasmarono il cielo. E nel cielo posero gli astri, il maggiore fra i quali è il sole. »
« Così gli Antichi plasmarono la terra. E nella terra posero l’acqua, allo scopo di portare la vita, e il fuoco, allo scopo di togliere la vita. »

Ma non solo i capelli avrebbero potuto classificare quella donna qual straniera in terra a lei straniera.
Le sue braccia, più di qualunque altro particolare, l’avrebbero infatti tradita, eventualità verso la quale, comunque, ella non appariva desiderosa di riconoscere il benché minimo interesse.
Il mancino, in carne e ossa, era decorato da un complesso tatuaggio, estraneo nel proprio stile a qualunque altro in Hyn e prossimo, altresì, a quello di molti marinai provenienti da Qahr e dalle sue regioni meridionali. Sinuoso, sì, e pur anche vigoroso nella propria muscolatura, nelle proprie forme, quell’arto era anche ornato da un monile dorato, di quelli, altresì, caratteristici di una particolare popolazione settentrionale al continente di Qahr, gli shar’tiaghi, del tutto estranei ai viaggi in mare.
Il destro, ancor più del sinistro, racchiudeva in sé un inconcepibile mistero per qualunque osservatore, presentandosi in forme non meno eleganti rispetto all’altro, ma costituite da lucente metallo argentato che nulla avrebbe potuto vantare di umano: non armatura, non ornamento era quel metallo, quanto e piuttosto protesi, un surrogato come mai, in tutti i tre continenti conosciuti, se ne erano viste. Una protesi, in effetti, da lei ereditata a seguito della permanenza, in un recente passato, al di là dei confini propri del proprio mondo e, in ciò, animata non da un’antica e maledetta magia, qual era stato il predecessore di quello stesso surrogato, ma da qualcosa che, né nella pur progredita Hyn, né in Myrgan o in Qahr sarebbe potuta essere riconosciuta: la tecnologia. E, più precisamente, una particolare tecnologia basata sull’energia derivate da un elemento che ella aveva imparato a conoscere con il nome di idrargirio.

« Ma la vita non era ancora stata creata. E, per questo, gli Antichi generarono l’uomo. E gli diedero la vita. »
« Ma l’uomo era ancora giovane e inesperto. Ed egli sprecò il dono della vita. Così gli Antichi generarono gli dei, affinché guidassero il cammino dell’uomo. »
« Ma gli dei, creati immortali per assolvere al proprio compito di generazione in generazione, non conoscono la morte e, per tale ragione, neppure la vita. E della vita dell’uomo non hanno modo di comprendere il significato. »
« Così gli Antichi concessero all’uomo la possibilità di apprendere dai propri errori. E dagli errori dei propri antenati, i cui spiriti sarebbero sempre rimasti a lui prossimi, custodendolo e guidandolo con la saggezza derivante dalla propria esperienza di vita. »

Ritornando a ciò che coloro a lei circostanti avrebbero potuto cogliere e comprendere, a completare il quadro di originalità così offerto dalla straniera a tutti i figli e le figlie di Hyn, non avrebbero dovuto essere ignorati anche i suoi occhi, il suo viso e i suoi seni.
I suoi occhi si mostravano caratterizzati nelle proprie iridi dal colore del ghiaccio, in ciò carichi di un gelo che difficilmente avrebbe permesso a qualcuno di considerarla realmente umana e non, piuttosto, una strega malefica o uno spirito malvagio, da cacciare e uccidere, a prevenire l’eventualità di essere a propria volta da lei cacciati e uccisi, o, anche e solo, maledetti. Il suo viso, ricco di contraddizioni innanzi allo sguardo di qualunque abitante di Hyn, si presentava candido come quello che tutte le donne dell’Impero avrebbero bramato possedere ma avrebbero potuto ottenere solo con l’abuso di grandi quantità di trucco, e al contempo si poneva costellato di piccole efelidi, pur sconosciute a in quelle terre d’oriente e apparentemente impegnate a rovinarne l’altrimenti sublime perfezione, comunque già lesa da una tremenda cicatrice longitudinale all’occhio sinistro. Ancora e infine, i suoi seni, abbondanti come mai, prima d’allora, avrebbe potuto essere immaginato in quelle terre, simili a quelli di una dea della fertilità ancor prima che una comune donna, risultavano lì perfettamente evidenti nella propria prosperità, malgrado da lei fossero stati stretti all’interno di una fascia di stoffa, atta a contenerne la generosità e, in questo, a facilitarne i movimenti.

« Creato il cielo, creata la terra, creato l’uomo e creati gli dei, gli Antichi furono soddisfatti del proprio operato, e si ritirarono. Perché il nulla non era più tale. E l’universo avrebbe dovuto imparare a esistere senza di loro. »

Al tempo stesso affascinante, nella propria essenza esotica, e sgradevole, nella propria diversità da ogni canone consueto in Hyn, la straniera appariva comunque desiderosa di confondersi nella massa, pur, in tal senso, errando clamorosamente nella propria scelta d’abbigliamento, non con abiti femminili, quanto, e peggio, con abiti maschili.
In tonalità scure erano la maglia e i pantaloni, tagliati in forme che mai alcuna donna avrebbe osato indossare per non disonorare il nome della propria famiglia e dei propri avi; mentre lievemente più chiara apparivano le fasce attorno alla sua vita e attorno ai suoi polpacci, li dedite a mantenere ben saldi al suo corpo i suoi vestiti. E se ancora scure, quasi nere, erano le calzature da lei indossate, composte banalmente e pur efficacemente da strisce di stoffa lì sotto arrotolate; in una colorazione di rosso, invece, era la casacca da lei indossata al di sopra di tutto ciò, in stoffa pesante, senza maniche e tenuta legata sul davanti da un semplice nastro, rivestita da elegante seta ricamata in motivi classici in Hyn, forme tonde raffiguranti, al proprio interno due gocce fra loro abbracciate, e in esse la continua mutazione dell’universo, il bene e il male, l’uomo e la donna, il giorno e la notte in costante conflitto e in costante equilibrio.

« Ritirati gli Antichi, venne l’epoca dei Tre Re, i quali dalla confusione allora imperante nell’uomo, fecero emergere le tre grandi civiltà di Hyn, caratterizzandole a propria immagine e somiglianza. »
« La Regina Tigre, fiera della propria violenza e della propria istintività, anarchica e insofferente a qualunque forma di regola e di disciplina. »
« Il Re Dragone, fiero della propria forza e della propria legge, autoritario e carismatico, destinato per intrinseca natura a opporsi alla Regina Tigre, per imporre il proprio ordine sul mondo intero. »
« E Re Lupo, che della Regina Tigre e del Re Dragone volle cogliere i pregi, la forza, rinnegando altresì ogni difetto, ogni debolezza, e che, in ciò, fondò la propria forza sull’istintività e sulla violenza ma anche sul rispetto di un ordine costituto, di un capofamiglia, di un khan. »

domenica 22 aprile 2012

1555


P
er giungere alla conclusione di questa cronaca, o, meglio, di questa raccolta di testimonianze, avrei sinceramente apprezzato un intervento da parte di colei che, di tutti questi eventi, è stata protagonista assoluta e indiscussa, Midda Bontor. Purtroppo la Figlia di Marr'Mahew, ormai anche Campionessa di Kriarya, è tanto abile a rendersi protagonista di imprese incredibili, quanto a rifuggire a qualunque ricerca di personale enfasi attorno al proprio operato, glorificazione delle proprie vittorie, ragione per la quale solo a pochi fortunati è mai stato concesso di ascoltare dalle sue labbra la narrazione delle sue avventure, godendo, in ciò, del particolare punto di vista proprio dei suoi occhi color ghiaccio.
A me, ella ha voluto riconoscere solo poche righe, poche semplici frasi pur cariche di profonde emozioni, per apprezzare le quali, però, è necessario giungere con un certo ordine. Come sempre, pertanto, alla prosa del cronista di turno è obbligatoriamente affidato l'onere di riportare quanto più fedelmente possibile ciò che altri non hanno desiderio di raccontare… non che, in verità, vi sia molto altro da evidenziare.
Sarà forse diletto di qualcuno scoprire che, come già anticipato anche dalle parole della stessa mercenaria nel racconto degli ultimi eventi, Howe e Be'Wahr alla fine vollero concedersi una giornata di piacere presso la casa di Tahisea, qual reciproco riconoscimento di supremazia. Un giornata che costò loro decisamente caro, e che pur li vide più che soddisfatti nell'investire in tal senso una buona parte della ricompensa loro riconosciuta dai mecenati di Kriarya per mezzo, ovviamente, dell'intercessione Midda. A quanto mi è stato riferito, tale soddisfazione lì vide addirittura andare d'amore e d'accordo per almeno altre quarantotto ore; salvo poi trovarli impegnati a recuperare il tempo perduto in continui battibecchi e apparenti litigi.
Come loro, anche Av'Fahr ebbe modo di soddisfare le proprie brame mascoline in compagnia dell'affascinante Saha, fra le braccia della quale scomparve per più tempo del previsto, facendolo addirittura tardare, quasi in ottemperanza alle previsioni della donna guerriero. E, per gli animi più romantici, credo sia giusto sottolineare come effettivamente Saha riconobbe un prezzo di favore al mio buon amico al punto tale da suscitare un vero e proprio moto invidia dei due fratelli mercenari, i quali non lo risparmiarono di frecciatine e allusioni. Non che una sola fra le parole da loro pronunciate avrebbe potuto scalfire la dura scorza di Av'Fahr. In verità, non per gettare troppa carne sul fuoco, è giusto ricordare come nel mentre in cui egli si impegnò a narrare alcuni dettagli riguardo a Saha, nei suoi occhi potei cogliere un'emozione diversa da semplice lussuria, e tale da farmi credere che, malgrado tutto, quella visita a Kriarya, da parte sua, non sarebbe stata unica e irripetibile, malgrado la penalizzante lontananza della città del peccato da ogni mare.
Sempre qual giusta offerta in direzione degli animi più romantici, ancora, è da confermare il ricongiungimento fra Seem e la sua amata Arasha, da lui persino troppo a lungo bramata, e solo tardivamente stretta a sé. Non che egli sia sceso in dettagli intimi nel merito di come possa aver speso il proprio tempo insieme alla sua compagna; ma, come già per Av'Fahr, anche in lui non riuscii a riscontrare quanto altresì presente nello sguardo di Howe e Be'Wahr nel mentre dell'eccitata e trionfante cronaca delle loro gesta all'interno del lupanare più famoso di tutta Kriarya. E, nel sperare di poter un giorno riabbracciare anch'io il mio amato Hui-Wen, ora prigioniero di Nissa Bontor, non posso che dirmi lieto di tali emozioni, di tali sentimenti, forse l'unica realtà positiva offertaci in una vita altresì prima di qualunque significato.
Non eguale serenità, non tanta pace, purtroppo, fu offerta a Midda Bontor, alla protagonista di un pur incredibile trionfo, dal momento in cui l'unico uomo con il quale ella avrebbe avuto piacere di intrattenersi, suo malgrado, si trovava… e si trova ancora in una delle nostre brande, lì privo di coscienza sin dalla battaglia nella quale tutti i suoi sforzi sono stati spesi per la salvezza della propria compagna. Be'Sihl, che pur per lei era sempre stato un punto fermo, inamovibile, una piccola ma irrinunciabile certezza nella propria vita, nella sua costante presenza in quella locanda alla quale adorava far ritorno quasi come a una casa, in tale occasione non le fu concesso, non le fu garantito. E accanto ai suoi baci e alle sue carezze, a chi della guerra aveva fatto il proprio mestiere e la propria vocazione, venne meno, soprattutto, la sensazione di armonia che, nel dialogo e nel giuoco scherzoso con lui, le era sempre stata garantita e mai negata, mai rifiutata, anche a seguito di proprie, ingiustificabili assenze superiori a un intero ciclo di stagioni.
Non credo di potermi considerare in particolare confidenza con la Figlia di Marr'Mahew. Il mio predecessore, Salge Tresand, sicuramente lo era, essendo stato prima suo amico, quasi d'infanzia, e poi suo amante, ridonando vita, insieme a lei, a quella carcassa che, oggi, è una goletta meravigliosa, e il cui equipaggio mi onoro di comandare. Salge sicuramente avrebbe saputo individuare con precisione ogni suo pensiero, ogni sua idea, ogni sua pena, anche senza che una sola parola fosse pronunciata, fosse scandita. Ma già io, che a tal livello di confidenza non potrei giungere neppure in una vita intera, ebbi occasione di comprendere, di percepire nel profondo del mio cuore, la grande pena che, in quel paio di notti trascorse in Kriarya, avevano soffocato l'animo della donna guerriero più temibile di questo intero angolo di mondo, negandole ogni possibilità di apprezzamento nei riguardi di ciò che pur, in quelle ore, le era stato concesso quando ormai neppur più sperato: un bagno caldo e un morbido letto nel quale lasciarsi affondare. Un letto, tuttavia, troppo vuoto, troppo desolato, nel quale ella si trovò a essere troppo larga, ad avere troppo spazio a disposizione… di certo più di quanto non avrebbe gradito vedersi assegnato dal fato.
Ella, che pur sempre si era ribellata all'idea di un fato, di un destino ineluttabile e immodificabile, a una trama divina sconosciuta all'uomo e pur in grado di connettere tutti gli esseri umani gli uni agli altri, come una sola, grande, famiglia; in quelle ore si confrontò con un sentimento di impotenza come raramente le era stato concesso di provare, ovviamente reindirizzando ogni colpa, ogni responsabilità per quanto accaduto a sé, e solamente a se stessa.
Se solo Midda avesse ucciso Nissa, sua gemella, quando adolescente, quando già apparve evidente la sua rivolta in propria opposizione; o se solo, concedendole più tempo, l'avesse terminata nel momento in cui come pirata si era offerta al suo sguardo, minacciandone il presente e il futuro, e imponendole stupidi ricatti innanzi ai quali, peggio, ella aveva accettato di chinare mestamente il capo; tutto quello non sarebbe mai successo. E, anzi, probabilmente ella sarebbe stata ancora il secondo in comando a bordo della Jol'Ange, navigando per i mari del mondo accanto al suo primo, grande amore: Salge.
Ma questi era morto, tutto l'equipaggio da lei un tempo conosciuto era morto e, peggio, anche molti di noi, nuova generazione, erano già morti o sarebbero presto potuti morire. E a Midda solo l'esilio dal mare era stato concesso; l'esilio dalle acque da lei adorate ancor prima di imparare a camminare, come ogni figlia di Tranith; nonché l'esilio dalla sua isola natia e dalla sua famiglia, dalla quale si era sì allontanata di propria spontanea volontà e alla quale, pur, un giorno avrebbe apprezzato poter fare ritorno.
Proprio nel merito di queste possibili sue riflessioni, eventuali suoi pensieri, ha da considerarsi il solo intervento che ella mi ha voluto concedere per questa umile raccolta, per questo diario non di bordo e pur, egualmente, fondamentale per la vita della Jol'Ange e del suo equipaggio…

Non so dire se mai, in tutta la mia vita, abbia realmente preso in esame l'ipotesi del suicidio come via di fuga dalla realtà e dai suoi problemi.
So che molti sono stati i momenti in cui mi sono sentita debole, mi sono sentita sconfitta, osservando le persone attorno a me morire, una dopo l'altra. E non voglio negare che, in parte, dopo la morte di Salge, io abbia desiderato che il mare mi soffocasse, mi trascinasse verso la dimenticanza, allontanandomi da tutto il sangue innocente che, per mia causa, è stato versato.
Ma so anche che dopo ognuno di tali momenti di sconforto, sempre maggiore è stato in me il desiderio di una rivalsa, di una vendetta, verso mortali e dei. Con quella stessa energia che dopo la morte di Salge, credo, mi permise di salvarmi dal mare in tempesta nel quale effettivamente ero precipitata, o mi ero lasciata precipitare per obliare ogni dolore.
Quella notte, quella notte trascorsa da sola nella stanza che avevo voluto per me e Be'Sihl al momento della ricostruzione della locanda, non presi in esame alcuna idea suicida, non accarezzai alcuna ipotesi di resa, per quanto, in me, troppa era la desolazione conseguente a quell'assurda solitudine. Per tre lustri mi ero allontanata volontariamente da lui, cercando, in ciò, di non coinvolgermi nella sua vita e di non coinvolgerlo nella mia vita. E solo quando, alfine, avevo accettato l'idea di cercare, insieme con lui, di costruire quello che, oggettivamente parlando, sarebbe potuto essere l'ultimo rapporto stabile della mia vita, il mondo si era nuovamente ribellato contro di me, lasciandomi lì sola, in una stanza vuota.
Nelle lenzuola, pur lavate e profumate con fiori di lavanda dalla premura di Arasha, io cercai un barlume dell'odore di Be'Sihl, abbisognando di lui, in quel momento, come forse mai prima d'allora. E non riuscendo a trovarlo mia non fu mera disperazione, ma rabbia, incredibile ira contro la mia gemella, contro Nissa, e con lei contro tutti gli dei che al suo fianco si dovevano pur essere schierati, per permetterle tanta continua e irrefrenabile vittoria a mio discapito.
In tale rabbia, già vissuta, già provata in tale misura alla scoperta della morte della mia amica Nass'Hya, che attraverso di me aveva cercato la vita e la felicità, trovando purtroppo solo morte e disperazione; fu nuovamente palese, innanzi ai miei occhi, l'unico impegno verso il quale avrei dovuto destinare tutte le mie energie, senza esitazioni né condoni: uccidere Nissa. Veramente.

Con simile proposito, con tale intento già chiaro all'origine di questa disavventura, e pur, nel corso della medesima, rafforzatosi sino a divenire prossimo a un'ossessione; e sempre accompagnata dal gruppo che attorno a sé aveva involontariamente richiamato in quel viaggio, da Av'Fahr, da Howe e Be'Wahr, e dal suo scudiero Seem; la Figlia di Marr'Mahew ripartì il mattino seguente a tanto spiacevole notte, diretta all'eremo nel quale il suo mecenate, lord Brote, aveva scelto di nascondere il pastorale, affidandolo alla cura di una setta di monaci presso cui, si scoprì, egli aveva già dislocato in passato alcune fra le più pericolose reliquie che la sua mercenaria prediletta aveva recuperato in suo nome.
Una tappa, l'ennesima di un sin troppo lungo itinerario, che fu comunque consumata senza ulteriori, particolari complicazioni, ma che nonostante ciò non venne affrontata da alcuno con serenità, nella consapevolezza di quanto il tempo a noi tutti concesso fosse sempre più limitato e, di lì a breve, come precedentemente concordato, la Jol'Ange avrebbe dovuto partire alla volta di Rogautt con o senza di loro.
Retorica, in grazia a quanto qui riunito, a tutte le versioni qui riunite e riordinate, può solo intendersi la consapevolezza di come quel termine ultimo venne comunque e alfine rispettato: i due scettri del faraone furono nuovamente riuniti nelle mani di Midda Bontor; e la Jol'Ange, accogliendo tutti i protagonisti di questa vicenda, poté salpare verso l'ultima, temibile meta, nella speranza di salvare il mio adorato Hui-Wen e la brava Camne Marge, ma anche, di porre definitivamente termine alla vita di Nissa Bontor, regina dei pirati.

sabato 21 aprile 2012

1554


« U
n'altra possibilità è che tu possa prenderti qualche settimana, mese in effetti, di tempo per riflettere su cosa desideri veramente: seguire la via della vendetta, con ciò che essa comporta… » presentò la mia compagna, con tono nuovamente serio e, addirittura, mortalmente serio « … oppure lasciare i morti riposare sereni e vivere il resto della propria vita in pace. Con me, quanto meno. »
E prima che l'altra potesse prendere parola, ella proseguì nell'illustrare il perché delle proprie parole: « Il mio ritorno in Kriarya, come sempre, non ha da considerarsi qual evidenza di una rinuncia all'avventura. Questa volta, addirittura, ha da considerarsi qual una semplice tappa, nel compimento di una missione che mi deve veder ancora recuperare un oggetto e condurlo a una certa persona, al di là del mare. » esplicitò, con maggiore precisione di quanto non sarebbe mai stata costretta a offrire alla controparte « Entro il secondo mese della stagione autunnale, Khooc, io spero di poter fare ritorno in Kriarya, accompagnata, fra l'altro, dal mio socio Be'Sihl. »
« Dal tuo amante Be'Sihl… » propose maliziosamente la prostituta.
« Dal mio socio Be'Sihl… » insistette Midda, nella volontà di negare l'inalterata esistenza di un rapporto d'amore fra lei e il suo locandiere, ove questo avrebbe, altresì, potuto porre entrambi in pericolo « Entro la fine di Khooc, quindi, tu dovrai aver maturato una decisione attorno a questa questione: essermi avversaria, oppure no. » sancì « Ma rammenta… nei confronti dei miei avversari, non sono abituata a offrire particolare compassione o tolleranza, così come già in questi giorni, per troppe volte, ho riconosciuto a te. »

Una dichiarazione ferma, inequivocabile e, in effetti, tutt'altro che rassicurante, quella che la Figlia di Marr'Mahew volle comunicare alla sua interlocutrice, nell'esistenza stessa della quale, tuttavia, avrebbe dovuto essere nuovamente riconosciuta compassione e tolleranza da parte sua nei confronti di quella giovane donna.
Al di là della propria fama, e delle centinaia, probabilmente migliaia di cadaveri con i quali ella aveva costellato il lungo cammino della propria vita, noialtri che con lei abbiamo avuto a che fare sappiamo bene come Midda sia ben lontana dall'essere considerabile una fiera assetata di sangue. Salvo ritrovarsi costretta ad agire in tal senso dalle circostanze, infatti, persino ai propri avversari ella era solita riconoscere più clemenza di quanto non fosse abituata a cercar vanto, non spingendo mai i propri attacchi a invocar, necessariamente, sangue e morte, quanto, piuttosto, a privarli di ogni possibilità di coscienza, nella speranza che, al loro risveglio, essi potessero maturare maggiore spirito di autoconservazione, ovviando a una nuova sfida in suo contrasto.
Di ciò, di tale personale politica della nostra amica, non voglio negarlo, in tale occasione non potei che essere sinceramente rasserenato, nel timore di poter vedere la sua spada levarsi con reali, negative intenzioni in contrasto alla bellezza di Saha. Lo so. Comprendo di essere ripetitivo. Ma quella donna, fra tutte le abitanti di Kriarya, fra tutte le meretrici della città del peccato, è stata l'unica a risvegliare in me determinate brame sino a quel momento obliate nella tensione necessariamente conseguente alla missione in corso. E vederle arrecato danno mi avrebbe contrariato… decisamente contrariato.

« Sarà così. » acconsenti la prostituta, evidentemente tutt'altro che ansiosa di porsi in reale sfida con la Figlia di Marr'Mahew, al di là dei propri due precedenti attentati, frutto dell'emotività più che di una reale pianificazione « Ci rivedremo alla fine di Khooc e, per allora, avrò deciso se riconoscerti ancora colpevole, o meno, per la morte di mio padre. »
« Bene… » annuì Midda, soddisfatta da quella risposta come da una vittoria, qual, probabilmente, già comprendeva essere propria in quel primo risultato « Non ti rubo, ulteriormente, del tempo. Non sia mai che i tuoi affari possano risentire in negativo della mia presenza al tuo tavolo. » sorrise, autoironica, sollevandosi in piedi e lasciando scomparire la propria spada nel rispettivo fodero.
« Per quanto riguarda te, mio bel marinaio… » prese voce Saha, appoggiandomi una mano sul polso prima che mi potessi rialzare a imitazione della mia compagna « … spero invece di rivederti ben prima dell'autunno. » mi guardò, suscitando pensieri che preferisco non riportare « Da quel che si dice, sei nuovo in città. E sarebbe un peccato che tu possa andartene senza un bel ricordo di Kriarya. A un prezzo di favore, s'intende. »

Imbarazzato come mai mi sarei atteso di poter essere con una donna, e con una professionista più in generale, mi rialzai in silenzio, senza comunque riuscire a staccare gli occhi dalla sua immagine, e mi sforzai di allontanarmi, sui passi di colei che mi ero assurdamente prefisso di proteggere e per la salvezza della quale, solo allora compresi, non avevo ancora battuto ciglio. In effetti, mi ero quasi preoccupato maggiormente per Saha che per lei… e questo, a tempo debito, avrebbe meritato delle scuse da parte mia.
Uscito dalla taverna, e allontanatomi dalla fonte di quella malia che mi aveva imprigionato ogni capacità di pensiero, parola o opinione, trasformandomi in un semplice spettatore, mi trovai inaspettatamente a confronto con il sorriso di Midda, che, per l'occasione, si aprì sornione a livelli ai quali mai, ancora, l'avevo vista arrivare.

« Cosa c'è?! » domandai, quasi di soprassalto, colto in contropiede da quell'espressione per così come concessami, come destinatami.
« Cosa ci fai qui? » questionò ella, per tutta risposta, formulando una domanda il cui significato, lo ammetto, mi fu subito chiaro ma che, al tempo stesso, mi impegnai a cercare di non comprendere.
« Cosa vuoi dire? » espressi pertanto il mio dubbio, pur inesistente, quasi come se la risposta alla domanda di lei, o, per meglio dire, il senso ultimo di quel suo invito, avesse sottinteso qualcosa di cui vergognarmi, anche ove, alla mia non più giovane età, sarebbe sufficientemente idiota trovare di che essere imbarazzato, soprattutto nel campo della sessualità.
« Av'Fahr… ti ricordo che sei un marinaio. » sorrise la donna, chiaramente divertita, forse e persino impegnata a cercare di non scoppiare a ridermi in faccia, sforzo per il quale non avrei potuto che esserle assolutamente e sinceramente grato « Vuoi davvero farmi credere che tutta la tua apparentemente straordinaria virilità sia semplice miraggio?! » mi canzonò ella, cercando di concedermi ancora occasione di riscattarmi prima di arrivare a ridere, apertamente, del mio evidente impaccio.
« Non vuol mica dire che mi debba buttare nel letto della prima prostituta che incontro. » protestai, con un argomento sufficientemente infantile, lo devo ammettere.
« Infatti non è la prima… ma è la prima che ti ha fatto sudare, per quanto eri… sei eccitato. » osservò ella, sospirando e allungando il proprio indice mancino a toccarmi il petto, per dimostrarmi quanto le sue parole non avessero da considerarsi prive di contenuto, essendo io, effettivamente, madido di sudore, per quanto non me ne fossi neppure reso conto e per quanto, nella taverna, il clima fosse addirittura fresco.
« Midda… » esitai, non sapendo più che dire a mia difesa, quasi avessi da difendermi innanzi a lei.
« Come ho già detto siete entrambi adulti e consenzienti… » scosse il capo, ponendomi a tacere « Se ti interessa, vai prima che qualcun altro la possa impegnare. Ma ricorda che le professioniste di Kriarya non fanno credito a nessuno, quindi controlla di avere oro a sufficienza prima di impegnarti in qualcosa più grande di te. » mi raccomando, con premura quasi materna.

Io esitai nuovamente, mi voltai per un momento indietro e poi tornai con lo sguardo a lei, cercando qualcosa di intelligente da dire. Tuttavia, ella mi anticipò ancora una volta, probabilmente nella volontà di togliermi da ogni imbarazzo…

« Corri idiota! » ridacchiò, spingendomi all'indietro « E tieni a mente che si parte domani mattina, un'ora dopo l'alba. » mi avvisò « Non farci aspettare. »

venerdì 20 aprile 2012

1553


« Mi fa piacere che qualcuno ricordi ancora questo simpatico soprannome… » ironizzò la mercenaria, qual reazione agli insulti dell'altra « Avevo iniziato a temere che dopo gli eventi dell'altro giorno, nessuno avrebbe ripreso a chiamarmi così… e sarebbe stato quasi spiacevole. » suggerì, sorridendo divertita nel mentre in cui, commettendo quello che per un istante ritenni qual un eccesso di fiducia, abbassò la spada e il braccio, liberando la propria interlocutrice da quella situazione di stallo.

Non per retrocedere, tuttavia, l'altra sembrò interessata a sfruttare l'occasione rivoltale, quanto, ancora una volta, per offendere colei evidentemente inquadrata qual propria antagonista. Se, infatti, per un primo istante la prostituta sembrò veramente intenzionata a recuperare la propria posizione iniziale; un attimo dopo ella tentò nuovamente di fiondarsi verso Midda, da una distanza e con una velocità tali che un mio intervento, fosse anche solo per afferrarla e sollevarla letteralmente dal tavolo e da terra, avrebbe comportato più rischi che vantaggi per la mia compagna.
A prescindere dal mio intervento, o meno, comunque, la Figlia di Marr'Mahew non sembrò particolarmente sorpresa dal nuovo attacco, al quale rispose ancora con apparente indifferenza, e pur con una velocità di esecuzione ancor maggiore della precedente. In questa occasione, la destra non si impegnò, meramente, a deviare con delicatezza il moto del pugnale dalla traiettoria iniziale; ma colpì la mano della giovane sua avversaria con energia tale da non romperle, dolorosamente, le ossa e pur da costringerla a lasciare la presa sulla propria arma, che ricadde senza eleganza alcuna sul pavimento accanto a me, senza ancor il benché minimo interesse da parte degli altri avventori della taverna. E la mancina della mia compagna, come già pocanzi, tornò all'impugnatura della spada bastarda, e la sollevò, nuovamente, quanto sufficiente per adagiarla sul collo della propria preda, supposta predatrice.

« Se vuoi possiamo continuare così tutto il giorno… » confermò la donna guerriero, dimostrandosi sempre più divertita dai vani tentativi della propria avversaria a suo discapito « Ti posso assicurare che dopo due caldi bagni e una giornata intera di sonno in un letto finalmente degno di essere definito qual tale, mi posso considerare completamente ritemprata da tutto ciò che è accaduto negli ultimi mesi. E, in ciò, non ho alcun problema a star dietro a ogni tuo stolido tentativo di farmi la pelle. »
« Cagna… » sussurrò, quasi sbuffò, la giovane donna, accettando ora di tornare realmente a sedere, sebbene, forse sopravvalutandola, io stesso fossi certo che quel pugnale non avrebbe dovuto considerarsi qual la sua unica risorsa offensiva… non, quanto meno, in attesa dell'arrivo della Figlia di Marr'Mahew al proprio tavolo.
« E' sufficiente così. » asserì l'altra, tornando ad appoggiare la spada sul tavolo e poi sollevando la mancina a supportare le proprie parole, facendo gesto di non proseguire oltre con gli insulti « I primi te li ho concessi gratuitamente, ma ognuno dei prossimi avrà il suo prezzo. » sottolineò, qual giusto avvertimento verso la controparte.

E Saha, carica di trasparente ostilità, ma non stupida, colse l'invito rivoltole e accettò di tacere, di non insistere ulteriormente con le proprie offese, quanto meno nel desiderio di non suscitare ritorsioni da parte di chi già dimostratasi più che efficiente.
Le parole scandite da Midda, invero, non avrebbero potuto essere riconosciute qual semplicemente fini a se stesse, dal momento in cui ella aveva effettivamente riposato per oltre una giornata intera, chiusasi all'interno delle stanze progettate per sé e per il proprio compagno, Be'Sihl, la mattina successiva alla vittoria contro i mahkra e da lì fuoriuscita solo poche ore prima di quell'incontro. Del resto, la sua stanchezza, più di quella di chiunque altro, anche della mia, avrebbe dovuto essere considerata qual giustificata da tutto ciò che ella aveva vissuto nel corso di quegli ultimi mesi appena citati: la cattura da parte di Nissa; la prigionia all'interno della Mera Namile, sua nave; e, poi, la lunga traversata dell'intera Tranith, da sud a nord e da ovest a est, prima alla ricerca di Howe, Be'Wahr e Seem, poi per la riconquista del flagello e, allora, del pastorale. Una serie di eventi a dir poco stremanti, in particolare i primi, che non avrebbero potuto accettare l'ipotesi di una ripresa tanto rapida, e che pur, trattandosi di lei e non di altri, avrebbe potuto anche essere accolta per vera, non più incredibile rispetto ad altri straordinari risultati da lei conseguiti in quegli stessi ultimi mesi. E dove neppur io mi sarei potuto dire in grado di comprendere quanta energia, effettivamente, ella avesse riguadagnato in quel giorno di riposo; impossibile sarebbe stato per Saha porre in dubbio quella dichiarazione, rifiutando di credere che chi aveva sconfitto i mahkra assedianti Kriarya, ora, non potesse essere in grado di farle pagare amaramente il prezzo della propria ostinazione.

« Puoi anche aver salvato Kriarya da quest'ultima minaccia… » premesse la giovane, ritrovando voce apparentemente con maggiore serenità « … ma ciò non cancella gli eventi della piana di Kruth, e tutti i suoi morti, tutti i valenti guerrieri che solo a te debbono la loro amara sconfitta. Fra i quali mio padre! » definì, cercando di trattenere l'impeto della propria ira, legittima o no che fosse.
« Tuo padre era un mercenario. Come tutti coloro lì presenti accanto a me. » sottolineò la mercenaria, con assoluta tranquillità « E come tutti coloro lì presenti accanto a me, ha deciso da solo il proprio destino. »
« Non è vero! » tentò di obiettare l'altra.
« Tuo padre ha deciso da solo il proprio destino in due momenti diversi… » riprese e proseguì la mia compagna, indifferente all'opposizione rivoltale « Innanzitutto quando ha accettato l'incarico in quella battaglia. E in secondo luogo quando ha rifiutato di ritrarsi malgrado il mio invito in tal senso. »
« Continui a insistere su questa versione, malgrado tu sappia che non è vero quanto stai dicendo! » sancì la prostituta, storcendo le labbra verso il basso.
« E tu continui a insistere nella tua visione dei fatti, malgrado tu non fossi lì e, in fondo, tu sia consapevole del fatto che io non sto mentendo. » negò la donna guerriero, scuotendo appena il capo.

Un lungo istante di silenzio riflessivo calò fra le due donne, nel mentre in cui, umanamente, il mio sguardo non poté che ritornare a contemplare quella giovane dalle forme tanto prosperose, capace, nel proprio aspetto, di stuzzicare le mie fantasie al pari di quelle di qualunque altro uomo, probabilmente.
Per un istante, con non poca arroganza, fui dominato dal desiderio di domandarle il perché avesse scelto una professione qual la sua, il perché non volesse cercare un altro stile di vita, magari fuggendo da Kriarya insieme a me. Ma dopo aver formulato tal pensiero mi resi conto di come la mia valutazione a suo riguardo, il mio giudizio su di lei, non avrebbe dovuto essere considerato diverso rispetto a quello di un qualunque altro suo cliente, eccitato alla visione di quel corpo e desideroso, in ciò, di possederlo, quasi fosse un oggetto e non una persona. Rimproverandomi per ciò, ma non escludendo l'eventualità di investire qualche risparmio per verificare la sua professionalità, tornai a rivolgere lo sguardo a Midda, in attesa di una qualunque ripresa di parola, e in ciò, di confronto.

« Quindi…?! » prese voce Saha, non riuscendo, chiaramente, a interpretare lo scopo ultimo di quella laconica parentesi.
« Dimmelo tu. » invitò la mercenaria, sollevando e riabbassando le spalle, a dimostrare la propria più assoluta indifferenza a tal riguardo « Cosa pensi di fare, ora? Cercherai, insistentemente, di uccidermi fino a quando non finirai per essere uccisa… oppure vivrai per il resto della tua vita rimproverandoti di non essere riuscita a farmi la pelle quando pensavi di averne l'opportunità?! »
« Un'altra opportunità…?! » domandò la prima, con tono quasi scherzoso, evidentemente non stuzzicata da alcuna delle due possibilità appena enunciate, dimostrando, in tal senso, un raziocinio maggiore rispetto a quello che non avrebbe potuto vantare pocanzi, nei suoi vani tentativi di assassinio della Figlia di Marr'Mahew.

giovedì 19 aprile 2012

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S
aha Daori, con questo nome si era già presentata due giorni addietro la giovane prostituta, era… è, spero per lei… quel genere di donna per la quale un uomo potrebbe volentieri perdere il senno, ragione per la quale, contemporaneamente e paradossalmente, non vi è, e vi è, ragione di stupirsi per la sua professione qual prostituta, consapevoli che tanta beltà non avrebbe potuto trovare un impiego migliore nella città del peccato ma, così facendo, sarebbe rimasta sprecata, quasi meravigliosa gemma trattata da semplice vetro. In effetti, non voglio negarlo, il livello di beltà e di sensualità delle professioniste di Kriarya, ai miei occhi estranei e stranieri, appariva indubbiamente superiore a quello di qualunque altro postribolo da me mai visitato prima di allora, tale da farmi sospettare come le più belle donne di tutta Kofreya si fossero ivi date appuntamento, invece di tentare di sfruttare tanta beltà in modi miglio…
… d'accordo. Credo di aver appena detto una fesseria. Dopotutto fra vendersi in un lupanare e vendersi nella camera da letto di un ricco mercante o di un nobile altolocato, se non qual cortigiana alla corte del sovrano, non ha molta differenza. E dove anche il compenso non viene elargito in base a un tariffario ben preciso, il concetto finale non può essere poi giudicato troppo differente.
Tornando ai fatti, e lasciando perdere inutili digressioni, permettimi di sottolineare, nuovamente, quanto Saha fosse effettivamente una donna sì ricca di fascino, e di bellezza, da pormi in sincero imbarazzo a quel nostro secondo incontro. Se, infatti, due giorni prima, carico di preoccupazioni e di responsabilità, quasi non avevo prestato effettivamente attenzione a quella giovane, se non per il suo ruolo a noi antagonista; in un clima più rilassato, più sereno, non potei fare a meno di rimanere incantato… invero eccitato, non posso negarlo non desiderando apparire qual falso e bugiardo… alla sua presenza.
La sua pelle, di color leggermente scuro, tradiva un'ascendenza di sangue misto, tale da poter generare, come la nostra cara e purtroppo defunta Berah ne era perfetto esempio, i risultati migliori, nel cogliere i pregi di ambo le parti. I suoi occhi, carichi di un blu intenso, sembravano una contrapposizione perfetta per quelli della Figlia di Marr'Mahew, altresì tendenti al freddo del ghiaccio. Il suo viso, a forma di cuore, era poi ornato da un piccolo naso e da labbra carnose, conformate in maniera naturale in una sorta di smorfia di contrarietà, forse a dimostrate tutta la propria insoddisfazione per il mondo. Il nero corvino dei suoi lunghi capelli, elegantemente composti attorno al capo e discendenti lungo la schiena, in quel giorno sembrava essere stato ripreso dai suoi abiti, per quanto minimali questi avessero da essere censiti: un bustino di pelle nera, legato sul busto, che quasi per nulla copriva i suoi seni, spingendoli altresì verso l'alto a enfatizzare la loro già generosa presenza; e una gonna completamente aperta sul fronte anteriore e composta, per il resto, da una moltitudine di veli sovrapposti, atti a creare un sensuale giuoco di visione celata. Ai suoi piedi, scuri anche i calzari, semplici sandali in tonalità rossastre, quasi a richiamare i rossi riflessi del braccio della sua interlocutrice. E, a completamento di tutto ciò, un'abbondanza di oro incredibile, al punto tale da poterla far sospettare qual shar'tiagha, sebbene nulla, nel resto del suo abbigliamento, lo avrebbe potuto confermare: una mezza dozzina di orecchini di ogni forma aggrappati alle sue piccole orecchie; una collana adagiata fra i suoi seni con un pendente rosso fuoco, una cintura adagiata fra la stretta vita e i generosi fianchi, lì posta senza alcuna funzione pratica; e poi, a conclusione, un bracciale e un gambale, l'uno sul braccio destro e l'altro sulla gamba sinistra.
In tal modo vestita e ornata, Saha ci accolse seduta al tavolo di una taverna, con innanzi a sé una brocca e un bicchiere di coccio, entrambi riempiti di rosso vino. E, vedendoci a lei sopraggiungere, ella non fece una piega, non dimostrò alcuno stupore o alcun timore, restando con lo sguardo rivolto al vino nel suo bicchiere, quasi nelle sue oscure profondità fosse celata la risposta a un qualche imperscrutabile mistero, sul perché della vita, della morte, dell'universo o di tutto il resto.

« Salute… » esordì Midda, accomodandosi pur senza invito innanzi a lei, ovviamente dopo aver sguainato la spada e averla appoggiata sul tavolo, innanzi a sé, non per una qualche ragione difensiva, quanto e piuttosto per mera comodità, ove improbabile sarebbe stato restare seduta con la spada pendente da un fianco e strisciante per terra « Sono lieta di trovarti qui… e di poter riprendere il discorso rimasto in sospeso due giorni fa. » precisò, riconoscendole maggiore cortesia di quanta le circostanze del nostro precedente incontro non avrebbero potuto giustificare.
« Hai portato con te i rinforzi temendo di non farcela altrimenti, o Campionessa di Kriarya?! » ironizzò la prostituta, in riferimento alla mia presenza accanto alla donna guerriero, ancora in piedi, lo ammetto, nell'essermi distratto a contemplare la nostra stessa interlocutrice « Osservando la sua reazione, tuttavia, temo che la tua scelta non sia stata delle più felici… » proseguì, non perdonando la mia evidente espressione, per così come purtroppo impressa sul mio volto.
« Un minimo di contegno, Av'Fahr… » mi rimproverò scherzosamente la Figlia di Marr'Mahew, sorridendo sorniona « Comprendo che dopo troppi mesi per mare tu possa avere delle naturali e legittime esigenze, ma, a questo punto, saresti potuto andare con Howe e Be'Wahr in trasferta alla casa di Tahisea. Ti avrei finanziato volentieri una giornata di riposo… »
« Vogliate perdonarmi. » chinai il capo, non sapendo quali altre parole poter asserire in un momento qual quello « E' che… sinceramente non ti ricordavo così. » ammisi, rivolgendomi a Saha nel contempo in cui presi posizione al tavolo, lateralmente rispetto a entrambe le donne.
« Se vuoi, per il giusto prezzo potresti ricordarmi anche in altri modi, mio bel marinaio. » commentò ella, ammaliatrice, cogliendo al balzo l'informazione a mio riguardo offertale dalla mia compagna.
« Siete adulti e consenzienti… quindi qualsiasi cosa vorrete fare dopo che io me ne sarò andata sarà affare vostro. » levo ambo le mani la mercenaria, quasi a difendersi dalla vista del nostro dialogo « Ora, però, credo che sarebbe opportuno tentare di chiarire quanto è avvenuto l'altro giorno, onde evitare nuovi moti di insurrezione in nome di un padre che ha deciso da solo il suo destino… »

Se fino a quel momento, il confronto si era sviluppato in termini sufficientemente cordiali, per non dire amichevoli, quasi fossimo un gruppo di vecchi amici riunitisi a quel tavolo dopo lungo tempo, l'accenno della donna guerriero al padre defunto della prostituta, stravolse completamente gli equilibri creatisi ed eliminò ogni genere di serenità.
Addirittura, facendo comparire un lungo stiletto da non so dove, forse addirittura da sotto il tavolo, lì affrancato prima del nostro arrivo, Saha tentò di rivoltarsi in contrato alla sua interlocutrice, allungandosi oltre il tavolo con velocità e agilità felina, mirando, in ciò, al suo collo. Ma Midda Bontor, Figlia di Marr'Mahew e ormai Campionessa di Kriarya, non era sopravvissuta a una vita intera di scontri e battaglie in grazia al suo bel volto: con un movimento apparentemente annoiato, e pur perfettamente ponderato, del suo braccio destro, ella deviò l'offensiva della propria antagonista, nel mentre in cui con la mancina tornò a sollevare la propria spada bastarda quanto sufficiente per appoggiarla, con delicatezza, contro il collo della medesima.
E in tal rapido tafferuglio, non uno solo fra tutti gli avventori della locanda batté un ciglio, nel ricordarci, con tanta indifferenza, come quella sarebbe sempre dovuta essere riconosciuta quale la città del peccato, ove una morte in più o una morte in meno, anche a seguito della battaglia unificatrice di due giorni prima, non avrebbe rappresentato per alcuno motivo di scandalo.

« Bel tentativo. E ottima esecuzione. » si complimentò Midda, rivolgendosi a Saha ancora mantenuta sotto il controllo della propria spada « Ma, non avertene a male, io non ho alcun interesse nei riguardi delle tue conturbanti forme, né, in generale, verso quelle di qualunque donna. Ragione per la quale non puoi sperare di cogliermi impreparata così come potresti essere abituata a fare con un interlocutore maschile… »
« Maledetta cagna! » ringhiò Saha, perdendo nella propria ira crescente ogni fascino prima dimostrato e ritornando, anche ai miei occhi, la donna che due pomeriggi prima era desiderosa di condannarci a morte, facendo rivoltare contro di noi l'intera Kriarya « Cagna maledetta! Maledetta! Maledetta! »