11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

domenica 23 ottobre 2022

4034


« D’accordo… ora sono un po’ confusa… » ammise Maddie, a confronto con un cielo chiaro, e con una coltre di nebbia leggera che impediva loro di definire con precisione la posizione del sole e, in questo, il momento corrente all’interno della giornata « Quanto accidenti siamo state lì sotto…?! »

“Lì sotto”, nella fattispecie, avrebbe avuto a doversi intendere un sotterrano dimenticato dal tempo e realizzato in prossimità al Baratro di Luce, un’immensa fenditura nel terreno al centro dell’amplio territorio del regno d’Y’Shalf, entro il quale, in compagnia della stessa H’Anel, del di lei fratello M’Eu, nonché di Howe e di Be’Wahr, si erano avventurati alla ricerca di un leggendario specchio, e uno specchio in grazia al quale avere a trovare risposta a un interrogativo molto preciso.
La storia, nella sua integrità, era ovviamente più complessa di quanto non avrebbe potuto essere riassunta in poche semplici parole, e avrebbe avuto a doversi intendere iniziata con la scomparsa improvvisa di Be’Sihl Ahvn-Qa, compagno di vita di Midda Bontor, rapito molto probabilmente a opera di Anmel Mal Toise, per così come ogni elemento sembrava indicare. Ma tralasciando ogni pregresso, in quel momento semplicemente superfluo, l’intera questione avrebbe potuto essere semplicemente condensata nello stato attuale del loro gruppo, con lei e H’Anel riemerse in superficie alla ricerca di provviste per il resto del gruppo, e il resto del gruppo a diverse decine di piedi sotto di loro, perduti all’interno di quel maledetto sotterraneo infestato da ogni qual genere di orrenda e pericolosa creatura.
Un sotterraneo all’interno del quale, quindi, difficile sarebbe stato rendersi effettivamente conto dello scorrere del tempo. E un sotterraneo all’interno del quale, come quel chiaro cielo lì fuori, avrebbero avuto a doversi intendere smarritesi forse per poche ore, o forse per più di un giorno intero, in considerazione di quanto, allora, ella avrebbe avuto a potersi attendere di incontrare un cielo notturno in luogo all’inequivocabile cielo diurno così offerto loro.

« Credo proprio che abbiamo ragione a essere stanche e assetate… » commentò H’Anel, stringendosi appena fra le spalle, minimizzando la questione « Di certo questo non può essere ancora lo stesso giorno nel quale abbiamo iniziato la discesa. Ergo, devono essere già passate almeno ventiquattro ore, con tutto ciò che ne consegue in termini di affaticamento e di appetito… »

Le rovine di quell’antico templio fra le fondamenta del quale avevano ritrovato quell’accesso dimenticato non sembravano essere particolarmente mutate dal giorno addietro. E, per loro fortuna, il loro carro, i loro cavalli, e tutto il resto, ebbero a ritrovarsi esattamente là dove li avevano lasciati.
Per quanto, infatti, la loro corrente posizione fosse fondamentalmente centrale al vasto territorio y’shalfico, la zona del Baratro di Luce non avrebbe avuto a potersi riconoscere particolarmente frequentata dal vasto pubblico, avendo a essere contraddistinta da troppe superstizioni, di natura mistica e religiosa, e da troppi divieti, di natura religiosa e governativa, ragione per la quale, con buona pace della loro lunga permanenza in quel luogo proibito, ancor nessuno aveva avuto a maturare consapevolezza alcuna a tal riguardo.

« Meglio fare in fretta a raccogliere quello che ci serve e a tornare dai ragazzi. » annuì Maddie, osservando l’oscuro accesso alle proprie spalle, la via dalla quale erano appena uscite ed entro la quale avrebbero dovuto così a doversi immergere nuovamente, sebbene indubbiamente controvoglia « Temo proprio che nel momento in cui dovessimo esaurire l’effetto dell’adrenalina, ci ritroveremo inermi a stramazzare al suolo. »

Il percorso alle loro spalle, nella fattispecie, avrebbe avuto a riservare loro, per la terza volta nell’arco di poche ore, un impervio cammino in uno stretto passaggio, lungo una decrepita scalinata, costellata nella propria estensione dalla minaccia rappresentata da una moltitudine di ratti, e non di comuni ratti come quelli che pur affollavano le vie e i vicoli di ogni grande città, ma di ratti forse contagiati dal morbo cnidariano, la medesima terribile piaga che aveva posto fine all’esistenza della sua mentore e che, se solo avesse avuto occasione di diffondersi da lì, avrebbe potuto stravolgere quell’intero mondo, seminando orrore e morte.
A confronto con ciò, semplice sarebbe stato comprendere per quale ragione non vi potesse essere inteso alcun entusiasmo da parte loro nel ridiscendere, e nel ridiscendere rapidamente, per quanto stanche, assetate e affamate. Ma, benché stanche, assetate e affamate, tale percorso non avrebbe potuto essere ovviato nella propria occorrenza, non ove mai esse avrebbero avuto ad abbandonare i propri amici, i propri compagni d’arme, la propria famiglia, e quella famiglia che, lì sotto, stava attendendo il loro ritorno, e il loro ritorno accompagnate da quell’acqua, e da quel cibo, dei quali stavano tutti abbisognando, a ragion veduta.

« Certo. » si limitò ad annuire la figlia di Ma’Vret Ilom’An, l’uomo un tempo conosciuto come il mercenario Ebano, non indugiando ulteriormente.

Leste, quindi, esse furono nel proprio incedere, andando a recuperare quanto maggior carico avrebbero potuto permettersi di trasportare senza, in questo, avere a rallentare od ostacolare i propri movimenti, nella consapevolezza di ciò che pur, lì sotto, avrebbero nuovamente dovuto affrontare, e di quanto, nel timore del morbo cnidariano, non avrebbero potuto permettersi di riportare neppur un graffio in conseguenza all’offensiva di quei dannati ratti. Non un solo graffio, ove così poco sarebbe allor stato utile per porre fine alle loro esistenze, traducendole in mostri loro pari.
E quando, alfine, si presentarono di nuovo innanzi all’inizio di quel percorso discendente, e di quella discesa nelle tenebre più oscure, Maddie non poté ovviare a sospirare, concedendosi quel fuggevole momento di umana emotività innanzi a tutto ciò…

« Quanto sarebbe bello avere un lanciafiamme a disposizione, in questo momento. » commentò, in termini più retorici che pratici, là dove, obiettivamente, non aveva mai avuto alcuna possibilità di maneggiare una simile arma in vita sua e non avrebbe avuto la benché minima idea di come potesse funzionare « Le fiamme potrebbero sicuramente bonificare questo percorso… e permetterci di ridiscendere, e poi di risalire, in maniera più tranquilla. »
« Al solito non capisco cosa tu voglia intendere con certe parole… ma va bene così. » sorrise H’Anel, scuotendo il capo a confronto con il termine “lanciafiamme” e quel termine che, involontariamente, Maddie aveva avuto a scandire nella propria lingua natale, anziché in kofreyota.
« Va bene così… » annuì l’altra, non avendo a concedersi ulteriore indugio prima di muoversi nuovamente verso il basso, verso le tenebre di quel percorso, e verso tutti gli orrori che lì sotto avrebbero avuto, ancora e nuovamente, ad affrontare, con la prospettiva, con la volontà di ritornare il prima possibile da Howe, da Be’Wahr e da M’Eu, portando loro quell’acqua e quel cibo di cui, a ragion veduta, abbisognavano.

Una nuova discesa, così, affrontarono le due donne, a brevissima distanza dalla loro risalita, dopo essersi concesse appena il tempo, a propria volta, di una rapida sorsata d’acqua, e nulla di più, nulla là dove non avrebbero potuto permettere ai propri muscoli di distendersi, alle proprie membra di rilassarsi, alla propria mente di cedere il passo, allentando la presa emotiva sulle proprie menti e sui propri corpi, e finendo inevitabilmente per abbassare la guardia, per lasciare il proprio fianco scoperto, condannandosi a morte per propria stessa iniziativa, per colpa di una leggerezza imperdonabile.
E, peggio ancora, condannando forse a morte anche i propri amici, i propri fratelli d’arm, la propria famiglia, che lì sotto, stanca e stremata, stava pur attendendo paziente il loro ritorno.

sabato 22 ottobre 2022

4033


In principio non era stato semplice, per Madailéin Mont-d'Orb, abituarsi a realtà diverse dalla propria natale. Non che, in tal senso, ella avrebbe mai potuto riservarsi critica alcuna.

L’esistenza stessa del multiverso, da lei un tempo ignorata al pari della maggior parte degli abitanti dello stesso, avrebbe avuto a doversi considerare qual qualcosa di così estraneo da ogni umano raziocinio in termini tali per cui, fondamentalmente, ella avrebbe avuto a doversi riconoscere qual impazzita, nell’avere a riservarsi opportunità di confronto quotidiano con esso. Dopotutto, soltanto qual pazza ella sarebbe stata presa da chiunque, ove soltanto avesse avuto a tentare di spiegare la sua peculiare visione della realtà… o, per meglio dire, delle realtà. Da chiunque, quantomeno, non avesse avuto a propria volta a doversi confrontare con il multiverso e, in ciò, non avesse avuto a propria volta a potersi riservare l’opportunità di essere a sua volta additato come pazzo. E in una quotidianità della quale sanità e pazzia avrebbero avuto a potersi riconoscere qual concetti estremamente democratici, in una gestione maggioritaria degli stessi, fino a quando l’intero Creato non avesse avuto a maturare la consapevolezza dell’idea del multiverso, ella non avrebbe potuto che ritrovarsi costretta a far propri i panni della pazza. Così come, un tempo, nel suo mondo natale, in molti erano stati riconosciuti pazzi, se non addirittura eretici, nel sostenere che la Terra fosse una sfera e non un disco, o che avesse a ruotare attorno al sole allorché permanere in maniera statica al centro dell’universo.
Pazzia o no, non era quindi stato semplice per Maddie scendere a patti con tutta l’infinita varietà degli infiniti mondi del multiverso. E, per propria fortuna, nel suo peregrinare, ella aveva avuto, di volta in volta, l’occasione di finire in realtà sufficientemente compatibili con la propria natia: a volte, magari, contestualizzate in una differente realtà storica, passata o futura, e sovente contraddistinte da diversi livelli di familiarità con l’uso della tecnologia o della magia, e, ciò non di meno, sufficientemente compatibili.

In effetti, volendo riconoscere i giusti meriti alle giuste persone, probabilmente Midda Namile Bontor avrebbe, anche in quello, avuto a riconoscersi migliore rispetto a lei, per le esperienze da lei vissute e per come, comunque, fosse stata in grado di adattarsi a ogni contesto, per quanto fondamentalmente alieno al proprio. Anche in quello. Già: perché da quando ella era giunta in quella particolare realtà, lì condotta, al pari delle altre, dall’abbraccio ristoratore della fenice, Maddie non aveva potuto ovviare a domandarsi in qual misura qualunque forza superiore nel multiverso la stesse spingendo a quel folle peregrinare, potesse attendersi un qualche significativo aiuto da parte sua in favore della sua versione autoctona, e di una versione che, non a caso e a differenza di ogni altro, precedente viaggio, non aveva mai lasciato trasparire né inconsapevolezza nel merito di quanto stesse accadendo, né una reale necessità di supporto da parte sua, di protezione per così come ella, teoricamente, avrebbe avuto a offrirle. Anche perché, obiettivamente, quella Midda Bontor avrebbe avuto a doversi riconoscere qual la più simile, la più equivalente, a colei che, per prima, anni addietro, era giunta da lei, nel suo mondo, nella sua realtà, a salvarla da un destino crudele, aprendole gli occhi sulla propria reale natura e, ancor più, sulla reale natura del multiverso.
Prima di conoscere la sua maestra d’arme, e di essere salvata da lei, Maddie non avrebbe mai potuto immaginare in alcun modo la complessità del multiverso, o, anche e soltanto, la sua esistenza. Né, parimenti, avrebbe potuto vantare alcuna concreta esperienza in quanto avventuriera, in quanto combattente, tutto dovendo della propria formazione a quella donna, e a quella donna straordinaria che, tragicamente, ella aveva alfine dovuto uccidere, quando proprio malgrado infettata da un terribile morbo che l’aveva trasformata in un mostro privato di ogni barlume della propria originale umanità e, soprattutto, della propria originale personalità.
Ereditata così la missione della propria maestra, Maddie aveva accettato di seguire la fenice attraverso le pieghe infinite del multiverso, viaggiando di realtà in realtà sulle tracce dell’antica avversaria della propria mentore, responsabile per la sua tragica morte, con l’intento di prevenire, così come era stato per lei, l’assassinio di altre, indifese versioni di se stessa, che esse avessero a chiamarsi Midda o Maddie che dir si volesse. E se, in effetti, molti dei suoi viaggi le avevano concesso la soddisfazione di giungere in soccorso di un’altra se stessa inconsapevole del multiverso e dei pericoli annidati in esso, oltre che della letale minaccia rappresentata dalla regina Anmel Mal Toise; quando alfine ella era stata portata in quella realtà, ormai più di cinque anni addietro, le dinamiche prima sviluppatesi si erano viste del tutto stravolte, a iniziare dal fatto che, a tutti gli effetti, ella non era neppure stata condotta in vicinanza alla propria se stessa lì autoctona, pur giungendo nel suo pianeta… un pianeta che, all’epoca di quegli eventi, quella Midda Bontor aveva, infatti, lasciato da addirittura un anno addietro, per porsi sulle tracce di una propria versione della regina Anmel Mal Toise.
Una dinamica completamente stravolta, quella che l’aveva accolta per la prima volta in quel mondo. E una dinamica a confronto con la quale aveva dovuto scendere presto a patti, là dove, comunque, fino a quando non fosse stata Anmel Mal Toise a ripartire, ella non avrebbe potuto certamente venir meno al proprio impegno, e al proprio impegno in soccorso di una donna che pur, obiettivamente, non avrebbe potuto apparire necessitante di alcun aiuto… e a confronto con la quale, anzi, Maddie stessa non avrebbe potuto ovviare a sentirsi nuovamente catapultata entro le dinamiche proprie dell’antico rapporto con la propria perduta maestra d’arme.

Fra le difficoltà, comunque, affrontate da Maddie nel rapportarsi con nuove realtà, e con una realtà, in particolare, simile a quella e contraddistinta da un contesto medievaleggiante, o, per lo meno, tale ai suoi occhi, indubbiamente una fra le maggiori avrebbe avuto a doversi riconoscere nel confronto con la rinuncia alla tecnologia. Una rinuncia che, obiettivamente, non avrebbe avuto a potersi intendere declinata unicamente nelle grandi comodità proprie di una vita ormai dimenticata, quanto e piuttosto nelle piccole facezie quotidiane, quelle piccole realtà per lo più date per scontate e che, tuttavia, non avrebbero avuto a poter essere considerate tali, soprattutto quando ritrovatasi catapultata in un mondo, in un contesto locale, nel quale persino l’idea stessa di acqua corrente, o di sistema fognario, avrebbe avuto a potersi intendere qualcosa di estraneo alla normale visione del mondo. Piccole facezie fra le quali, a titolo esemplificativo, avrebbe avuto a dover ricadere anche l’idea stessa dell’orologio.
Già: l’orologio. E, in particolare, l’orologio da polso. O anche da taschino, se proprio si fosse potuto reclamare.
Un accessorio, l’orologio, che, nel suo mondo natio, avrebbe avuto persino a doversi intendere qual divenuto ormai superfluo, nei propri tempi moderni, e rimpiazzato nella propria stessa funzionalità da moltissimi surrogati, a iniziare dall’uso degli onnipresenti telefoni cellulari, o, comunque, di computer in un angolo degli schermi dei quali non sarebbe mai venuta a mancare tale, fondamentale, informazione, costituita da una coppia di numeri fra loro affiancati, e una coppia di numeri pur utili a contestualizzare la propria corrente posizione, seppur in termini del tutto arbitrari, all’interno di quella quarta dimensione dell’esistenza nella quale tutti erano soliti muoversi a propria insaputa.
Un accessorio, l’orologio, al quale, venuto a mancare praticamente all’inizio del suo viaggio nel multiverso, ella aveva quindi dovuto rinunciare. E un accessorio del quale, tuttavia, non avrebbe potuto ovviare a sentire la mancanza, soprattutto quando, in momenti come quello che allora stava vivendo, ella non avrebbe avuto la benché minima possibilità di ipotizzare qual ora di quale giorno sarebbe stata quella attuale, e cosa mai avrebbe potuto attendere lei e la sua amica H’Anel Ilom’An nel momento in cui, finalmente, avessero avuto a riemergere da quel sotterraneo maledetto, nel quale forse avevano trascorso soltanto pochi minuti, poche ore, o forse un’esistenza intera…
… impossibile a definirsi, in assenza di un orologio!