11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

martedì 30 settembre 2008

264


I
l tempo inesorabile trascorse ed in quel mentre la luce del tramonto divenne sempre più tenue, fino ad eclissarsi completamente insieme al sole oltre il confine dell’orizzonte, lasciando nell’oscurità più completa il continente e, con esso, i mercenari accampati dentro alla Biblioteca. Be’Wahr, in quel frangente temporale, purtroppo non aveva ancora fatto ritorno ed ormai, per quanto nessuno si fosse spinto ad ammetterlo in maniera trasparente, una certa inquietudine nei riguardi del compagno disperso stava crescendo fra i tre.

« Ma dove accidenti si è andato a cacciare, per Lohr? » esplose improvvisamente Howe, non trattenendo ulteriormente la propria preoccupazione « Volete vedere che ha tardato ed ora si è perso? »

In realtà, però, tanto nell’uomo quanto nelle sue due femminili compagne non poteva essere scordata la sensazione provata meno di un’ora prima, quell’ipotesi di un’aliena presenza attorno a loro, di un pericolo sconosciuto in agguato fra le ombre dell’edificio che li aveva tutti e singolarmente posti in guardia. Ciò che era accaduto poc’anzi, invero, non era stato fra loro condiviso, nell’esser da ognuno di loro accantonato come il frutto della stanchezza, di quella loro comune ed eccessiva prudenza tendente alla paranoia: nonostante ciò, essi non potevano evitare di collegare quelle percezioni al ritardo compiuto dal biondo ed, in conseguenza, al timore di una sua possibile scomparsa.

« Se si è perso, ormai non possiamo farci nulla… » commentò Midda, storcendo le labbra verso il basso « Anche ipotizzando di poter accendere un fuoco senza porre in allarme le guardie all’esterno la quantità di ragnatele presenti offrirebbe un rischio d’incendio eccessivo. E senza una fonte di luce, muoversi alla cieca all’interno di questo dedalo sarebbe una follia. »
« Ah… ma se si è davvero perso, domani mattina gli darò io una bella lezione sul rispetto degli appuntamenti, tanto che non avrà più voglia di fare ritardo. » replicò il shar’tiagho, scuotendo il capo.
« “Ma se si è davvero perso”… » ripeté Carsa, prendendo parola, con tono serio nella voce « Che alternative potrebbero esserci? » domandò incerta nell’offrire spazio a ciò che tutti stavano pensando in quel momento.
« Si potrebbe essere ferito? » propose preoccupato l’uomo, immaginandosi una libreria crollata sulla testa del fratello durante la ricerca del volume « Accidenti al peso di questi testi… non potevano pensare a delle protezioni più leggere quando li hanno rilegati? »
« Non siamo ridicoli… » scosse il capo la donna guerriero, a quella prospettiva « Non è uno stupido e di certo non si farebbe male in una maniera tanto maldestra… »
« Che alternative abbiamo, allora? » insistette l’altra, cercando di far emergere l’argomento temuto.

Un istante di silenzio calò su gruppo, mentre ogni possibile ipotesi venne formulata nel tentare di escludere la presenza di altre entità all’interno della Biblioteca, laddove illogica sembrava proporsi una tale soluzione: purtroppo ogni altro pensiero non si concedeva in effetti migliore rispetto all’idea che Be’Wahr fosse stato vittima di una valanga culturale e in questo, ben presto, i tre furono messi alle strette.

« So che sembra assurdo… » si espresse Howe, prendendo per primo parola « Ma questa sera, mentre tornavo, avrei giurato di non essere solo… »
« Anche io ho avuto una simile sensazione. » ammise Carsa, dopo un ulteriore momento di riflessione « Ma è impossibile che vi sia qualcuno entro queste mura… »
« Impossibile? » domandò Midda, affrontando l’argomento con evidente pragmatismo « Eppure noi siamo entrati. Cosa impedirebbe ad altri di aver violato l’embargo su questi confini come abbiamo fatto noi? E con questo sottolineo che anche io ho vissuto una situazione similmente a voi… »
« Avremmo trovato dei segni della presenza di altri… » negò l’uomo « O no? »
« Non necessariamente… » scosse il capo la mercenaria « In fondo quanto di questo complesso abbiamo realmente visitato e quanto è ancora inesplorato? E’ vero che tutto sembra fatiscente ed abbandonato, ma è altrettanto vero che in stanze da noi neanche supposte come esistenti, oltre porte da noi non ancora attraversate, potrebbe celarsi chiunque… »
« Quindi credi che Be’Wahr possa essere incappato in questi altri? » chiese la compagna, seguendo il filo di pensiero proposto.
« Non lo escluderei, così come non escluderei a propri la presenza di estranei in queste mura… »
Ma prima che chiunque altro potesse replicare a quelle parole, una voce tuonò con forza nelle sale a loro circostanti, pronunciando con tono alterato la propria posizione sulla questione: « Estranei? Così noi saremmo “estranei”?! »

Per quanto immersi nell’oscurità più completa, i tre compagni scattarono in piedi ponendosi istintivamente a cerchio, nel rivolgersi reciprocamente le spalle e nell’estrarre le proprie armi, in posizione di difesa verso l’esterno: qualsiasi mossa diversa da quella, del resto, avrebbe visto il rischio di un ferimento reciproco nella cecità indotta loro dalle tenebre della notte, eventualità che non potevano concedersi.

« Chi va là? » replicò con forza nella voce la Figlia di Marr’Mahew, cercando di spingere i propri sensi al massimo nel buio a sé circostante.

Improvvisamente ciò che prima era apparso quale silenzio e desolazione, sembrò colmarsi di infiniti piccoli rumori, di sottili suoni quasi non udibili che circondarono i mercenari, richiamando la loro attenzione, la loro difesa verso troppi diversi punti, verso troppe direzioni, confondendoli completamente, non permettendo ad essi di sperare di trovare chiarezza in ciò che non potevano comunque vedere. Purtroppo per la donna guerriero, così come per i di lei compagni, l’ambiente in cui avevano posto il campo base non si proponeva sufficientemente noto come sarebbe stato necessario fosse per permettere alle proprie percezioni sensoriali di offrire una chiara idea di quanto le si poneva attorno: al contrario, il dedalo di corridoi e stanze, uniti alla fantasiosa architettura tranitha, rendeva ogni impressione assolutamente discutibile, non concedendo alcuna fiducia su ciò che sembrava dato loro di credere. Avrebbero potuto essere completamente circondati, così come assolutamente soli: in quel momento impossibile era per i tre comprendere in quale situazione, in quale alternativa fossero ricaduti.

« Chi ha parlato?! » ripeté di nuovo Midda, cercando di spingere il proprio sguardo a fendere quelle tenebre, senza speranza di successo.
« Quanta arroganza nella voce di un invasore. » riprese la stessa voce che prima li aveva attaccati, con tono più tranquillo, pungente e sarcastico « Quanta presunzione nelle parole di un gruppo di ladri. »
« Non siamo ladri. »
« E noi non siamo stupidi! » controbatté l’ignoto avversario « Vi abbiamo osservato fin dal vostro primo ingresso in questo luogo, abbiamo seguito ogni vostra mossa ed abbiamo ascoltato ogni vostro discorso: sappiamo perché siete qui… sappiamo cosa avete fatto. »
« E’ vero… » ammise la donna, restando immobile nella posizione di guardia « E’ nostro desiderio prendere possesso di un libro… »
« … e già di uno vi siete impadroniti… »
« … e già di uno ci siamo impadroniti… » ripeté la mercenaria, accettando quella contestazione « Ma le nostre intenzioni non sono negative, non sono violente… »
« Avete imposto la vostra forza brutale su tutto ciò a cui noi abbiamo dato vita e davvero avete il coraggio di definire le vostre intenzioni quali prive di violenza? Per quanto ancora tenterai di prendermi in giro, donna? Per quanto ancora mi offenderai con la vacuità delle tue parole? »

lunedì 29 settembre 2008

263


I
l primo indizio della presenza di qualcuno o qualcosa all’interno del complesso venne offerto a Midda sul calare della sera: dopo aver trascorso l’intero pomeriggio immersa nella ricerca del volume, prendendo al vaglio ogni possibilità nella prima sala esaminata, la donna guerriero si era proposta ed imposta un momento di riposo prima di fare ritorno ai propri compagni, accomodandosi a terra, sedendosi in un angolo. Per quanto l’impegno a lei richiesto in quell’operazione non fosse di certo gravoso come quello di un combattimento, la stanchezza mentale conseguente ai troppi insuccessi nella lunga serie di ritmici controlli, di verifiche su ogni testo potenzialmente interessante, l’aveva lasciata più provata del previsto. Inoltre la polvere, la terra che si era accumulata sul suo corpo le donava una sensazione assolutamente sgradevole, a cui avrebbe posto felicemente rimedio con un bel bagno: purtroppo, però, tale idea si proponeva semplicemente quale fonte di rammarico e tristezza nella consapevolezza di quanto tempo avrebbe dovuto attendere prima che un simile proposito si fosse potuto realizzare, proiettandosi in un futuro sicuramente non prossimo. Nel formulare tali pensieri, la di lei mente corse rapida al ricordo di Kriarya e della sua stanza nella locanda di Be’Sihl, con la tinozza sempre calda e fumante in sua attesa, con un piatto sempre abbondante di buon cibo a lei concesso dalla premura del suo amico shar’tiagho: non le succedeva spesso di soffrire di simili attacchi di nostalgia, ma quando ciò avveniva, si offriva come chiaro e malinconico segnale che da troppo tempo aveva lasciato la Città del Peccato, quel luogo in cui, per quanto potesse essere assurdo ritenerlo, ella aveva trovato quanto di più vicino ad una “casa” potesse avere. Mesi erano passati da quando aveva attraversato per l’ultima volta quella provincia kofreyota, diretta in una missione che aveva erroneamente giudicato rapida e priva di difficoltà: purtroppo, nonostante ricondurre una giovane spaurita alla propria isoletta sita nel nord del continente non fosse apparso nulla di incredibile, in quel periodo ogni genere di eventi si erano affollati davanti a lei, ultimo e non meno importante quella collaborazione forzata con Carsa, Howe e Be’Wahr al servizio di lady Lavero.
Fu proprio nel mentre in cui quel flusso incontrollato di memorie e pensieri l’aveva trascinata a separarsi psicologicamente dal mondo circostante che proprio quello stesso mondo sembrò richiamarla prepotentemente a sé, riconducendola rapidamente e quasi violentemente alla realtà attuale con una forte sensazione di pericolo. Immediatamente ed istintivamente la donna scattò in piedi, sfoderando la propria lama dagli azzurri riflessi e guardandosi attorno, con occhi di ghiaccio nella contrazione delle pupille all’interno delle iridi. Gli istanti parvero eterni in quel frangente, mentre non un solo respiro venne concesso privo di assoluto controllo, nel tentativo di ella di sospingere i propri sensi fino al limite, a cercare di comprendere cosa esattamente le avesse richiesto di porsi in guardia, cosa le avesse donato una simile reazione.

« Chi va là? »

Non contemporaneamente alla Figlia di Marr’Mahew, ma comunque con simili parole, si propose anche Carsa. Avendo concluso a propria volta la fase di ricerca per quella giornata ed essendosi ormai avviata al ritorno verso il campo base, prima che l’oscurità potesse diventare tale da rendere improponibile attraversare quei labirintici corridoi, la donna stava conducendo con sé un libro trovato per caso ma che era certa avrebbe potuto interessare i due compagni del loro gruppo, proponendosi come testo d’istruzione alla lettura ed alla scrittura: ammesso ma non concesso che i due uomini si fossero proposti con sufficiente umiltà da riconoscere i propri limiti, quel volume non eccessivamente ingombrante avrebbe potuto ben presto divenire uno dei loro principali compagni di vita, in un cammino sicuramente non facile ma che con il tempo avrebbe potuto permettere loro di recuperare quanto avevano perduto fino a quel giorno. L’idea di star compiendo un furto all’interno della Biblioteca, quale in effetti esso era, non aveva minimamente sfiorato la mente della mercenaria, laddove mantenere lì rinchiusi quei volumi senza concedere loro uno scopo nell’utilizzo, invero, significava semplicemente sprecarne il potenziale, rifiutarne il valore: molto meglio era pertanto, dal di lei punto di vista, sottrarre quei volumi all’inevitabile decadenza del tempo per rendere la conoscenza contenuta nelle loro pagine impiegabile nell’accrescimento personale di almeno una, o in questo caso due, persone.
Nel percorrere con tali pensieri il proprio cammino, i di lei sensi vennero posti in allarme: ella si sentì come osservata da qualcuno, come spiata da qualche presenza non definita al di lei sguardo. Rapida lasciò appoggiare il volume a terra, per impugnare la propria ascia e farla roteare attorno al corpo, nel reggerla con entrambe le mani allo scopo di bilanciarla in tale movimento: per quanto apparentemente esile potesse sembrare il di lei fisico nel confronto con l’arma, la destrezza da ella dimostrata in tale azione avrebbe concesso invidia a chiunque, in gesti tanto rapidi quanto eleganti tali da farla apparire come giostrante con un giocattolo per bambini piuttosto che con una micidiale lama. Il di lei sguardo, concentrato come il resto dei propri organi sensoriali, si spinse indagatore a prendere al vaglio ogni minimo particolare della realtà a lei circostante, cercando di comprendere cosa potesse essere fuori luogo, cosa avrebbe potuto in qualche misura rappresentare per lei un pericolo.

« C’è qualcuno? »

Senza poter avere la possibilità di sapere che simile domanda era stata posta anche da Carsa, Howe propose quelle parole ad alta voce verso il nulla a lui circostante, verso quelle tenebre crescenti fra i tendaggi di ragnatele che tutto avvolgevano in un pallore mortale. Quasi giunto qual era al punto di ritrovo con i propri compagni, alle orecchie del shar’tiagho era pervenuta una sensazione di spostamento d’aria: non un suono vero e proprio, ma la percezione che qualcosa si fosse mosso laddove non era previsto accadesse. Egli era consapevole di come solo loro quattro fossero presenti in quelle mura, entro i confini della Biblioteca, laddove da decenni alcun uomo poteva piede, spingeva il proprio sguardo e la propria presenza: la polvere sui pavimenti e sugli scaffali, nonché quel fitto intrico di ragnatele, definivano chiaramente come quel territorio fosse tornato ad essere praticamente vergine dopo tanto tempo e come loro fossero stati i primi a tentare di violarlo, ad avventurarsi in quelle vie. Proprio quella situazione, quell’ indiscutibile stato di fatto, non concedeva alcun avallo sulla correttezza delle di lui percezioni, imponendogli di dubitare di sé. Invero, però, se non fosse stata su di lui la stanchezza di una giornata intera a confrontare dei simboli privi di significato ai suoi occhi, nonostante tutte le prove contrarie egli non avrebbe avuto incertezze in merito alla presenza di qualcuno o qualcosa negli spazi che lo circondavano: in quello stato fisico e mentale, purtroppo, non gli restò alternativa che dubitare di sé stesso, di ciò che la sua mente gli aveva suggerito ma che, probabilmente, alla sua stessa mente era limitato.
Scuotendo il capo e rinfoderando la propria spada dorata, Howe riprese ad avanzare, ripromettendosi di riposare quanto prima quella sera a concedere un minimo di tregua alle proprie meningi, prima che oltre a strani suoni potessero suggerirgli allucinazioni più corpose e sgradevoli. Proprio in quanto soli all’interno della Biblioteca, egli non poteva permettersi di lasciarsi dominare dalla paranoia, laddove l’eccessivo timore di ipotetici pericoli attorno a sé sarebbe stata solo dimostrazione di una debolezza indegna di lui.
Liquidando in quel modo ogni timore, egli fu il primo ad arrivare al luogo del ritrovo, venendo raggiunto dopo poco anche da Carsa e da Midda, senza sentire ulteriori ed inesistenti suoni attorno a sé.

« Novità? » domandò la donna guerriero, raggiungendo i due e notando per prima un volume nelle mani della compagna « E’ quello? »
« Purtroppo no… » rispose Carsa, scuotendo il capo « Questo è solo un pensiero per i nostri due amici. A proposito… Be’Wahr? Non è ancora arrivato? » chiese poi, guardandosi attorno.
« Si sarà attardato… » fece spallucce Howe, osservando con curiosità ma stanchezza quanto trasportato dalla donna, in un senso di naturale nausea di fronte al pensiero di un altro libro « Ho paura a chiederlo: di cosa si tratta? »
« Del vostro lasciapassare per un futuro di grandi letture… » sorrise ella, mostrando non senza un pizzico d’orgoglio quel testo, quasi fosse un trofeo conquistato dopo lunghe peripezie.
« Oh, mamma… » commentò l’uomo, coprendosi il volto con la mano destra.

domenica 28 settembre 2008

262


I
n conseguenza di un’idea sufficientemente semplice quanto banale, la condizione di Howe e Be’Wahr poté essere rapidamente superata, permettendo la divisione del gruppo così come inizialmente ipotizzato: al shar’tiagho furono pertanto riservate le stanze a settentrione, al biondo quelle a meridione, a Carsa quelle occidentali ed a Midda quelle orientali. Sicuramente il ritmo con cui le due donne avrebbero potuto analizzare i titoli della marea di volumi loro assegnati sarebbe stato superiore a quello con cui altresì avrebbero potuto agire i loro colleghi maschi, nel momento in cui essi si sarebbero dovuti spingere in un’operazione di confronto continuo fra quanto riportato sui libri e le lettere scritte loro da parte della Figlia di Marr’Mahew su due pezzetti di pergamena: ciò nonostante avrebbero potuto offrire anch’essi il proprio contributo, non gravando sulle compagne e non offrendo eccessivo rallentamento alla missione. Ribadendo l’appuntamento per mezzogiorno, pertanto, il gruppo si separò con tranquillità, indirizzandosi ognuno nella direzione della propria area di competenza.
La polvere e la terra accumulatasi all’interno delle sale non era seconda a quella depositata nel corso del tempo sulla superficie esterna della Biblioteca: se possibile, anzi, essa appariva in volume ancora maggiore, celando ogni cosa sotto uno strato apparentemente impenetrabile. Di certo, un tempo i pavimenti di quelle stanze dovevano apparire splendenti, riccamente decorati ed ornati da complessi mosaici smaltati in forme caotiche e del tutto imprevedibili: in quel momento, invece, sotto ai piedi dei quattro cavalieri si presentava solo una coltre compatta di terriccio sul quale, addirittura, vita vegetale stava cercando di prendere il controllo, iniziando con muschi e licheni per poi spingersi anche a piccoli ciuffi sparsi di erbacce. Continuando per quella via, per il cammino intrapreso, probabilmente con il passare di qualche altro decennio all’interno di quelle sale la natura avrebbe ripreso il controllo perduto con l’edificazione del complesso, ristabilendo il proprio dominio su ogni cosa: in quel giorno di vittoria per le forze primordiali del pianeta, una triste sconfitta sarebbe conseguita per tutte le genti di quelle terre, non solo per Kofreya o Tranith, ma anche per i regni lì confinanti, laddove i tesori lì conservati sarebbero definitivamente andati perduti nell’incuria a cui erano stati condannati. In tale situazione, in effetti, molti volumi, molte pergamene, già presentavano uno spiacevole deterioramento dovuto al tempo ed alla mancanza di attenzione, cui altresì sarebbe dovuta essere loro proposta: il danno culturale che il governo kofreyota stava stupidamente imponendo entro quelle mura, nell’ipotesi di proteggerle da un nemico esterno, si proponeva così di una gravità estrema, che ben presto sarebbe stata destinata a diventare catastrofica in quel particolare e distruttivo crescendo. Oltre alla terra ed al ritorno della vita vegetale, poi, non mancavano anche i segni più che distintivi di una riconquista anche animale in tal senso, sia nella presenza di una moltitudine di insetti e di qualche piccolo mammifero roditore, sia prevalentemente nell’immensa mole di ragnatele lì accumulatesi, ormai tanto fitte, tanto intricate da apparire simili a veri e propri tendaggi. Non molti si offrirono gli spazi sgombri da tali ragnatele, come era casualmente e fortunatamente apparso l’ingresso scelto da Midda per accedere alla Biblioteca e di fronte ad una simile elastica resistenza, ai mercenari non restò altra soluzione al di fuori del ricorso alle armi, per quanto potesse apparire esagerata, nell’aprirsi con le proprie lame il passaggio negli intricati corridoi o, più semplicemente, anche solo l’accesso ai libri riposti nei vari scaffali.

« Per Thyres… » tossì nuovamente la donna guerriero, avanzando a colpi di spada verso levante.

Ogni istante trascorso all’interno di quel complesso spingeva la mente della mercenaria a ritenere quasi impossibile quella loro missione di recupero, per l’enorme quantitativo di materiale lì archiviato: certamente i testi non dovevano essere stati riposti alla rinfusa, ma divisi in nette categorie nelle varie sale e nei vari scaffali all’interno di ogni stanza, tale da permettere un immediato recupero dell’informazione desiderata nei tempi in cui quel luogo era ancora in funzione, ed altrettanto certamente da quell’epoca remota, nessuno doveva aver imposto del disordine sulla Biblioteca. Conoscendo pertanto il sistema di catalogazione dei volumi il recupero del libro sarebbe anche potuto essere sufficientemente semplice: purtroppo, però, a nessuno di loro era dato di sapere il sistema con cui gli antichi, e probabilmente ormai tutti defunti, bibliotecari avevano deciso di gestire quel luogo e, in conseguenza di tale ignoranza, l’unica soluzione ammessa sarebbe dovuta essere quella della ricerca sistematica, del controllo di ogni singolo tomo nella speranza di individuare quello desiderato. I quattro compagni, comunque, erano in minima misura facilitati dalla descrizione ricevuta da parte di Sha’Maech, grazie alla quale forse addirittura la metà dei volumi lì archiviati sarebbero potuti essere scartati a priori non coincidendo in dimensioni e colori: nell’immensità di quanto presente, purtroppo, anche dopo una simile scrematura ancora innumerevoli sarebbero restate le possibilità loro offerte, senza così concedere effettivo aiuto nella risoluzione del problema.
Per ore la Figlia di Marr’Mahew si smarrì all’interno della prima sala da lei scelta, passando sotto al proprio sguardo attento uno ad uno tutti i volumi che corrispondevano alla descrizione da lei posseduta: come del resto prevedibile, alcuno corrispose all’oggetto della loro ricerca e quando il sole si presentò alto nel cielo solo una parete era stata quasi completamente analizzata. Interrompendo così il proprio lavoro, nello scuotersi la polvere di dosso, ella riprese il cammino verso il luogo scelto come campo base, per rincontrarsi con i propri compagni. Fu l’ultima ad arrivare, trovando i tre intenti a rinfrescarsi la gola ed a scambiarsi le prime impressioni.

« Abbiamo cibo sufficiente per una settimana o forse più, considerando anche un razionamento delle scorte… » stava commentando Howe, nel passare la borraccia verso Carsa « Ciò che mi preoccupa, invero, resta l’acqua. »
« Già… » annuì la donna a quell’affermazione, accogliendo l’offerta « Purtroppo già domani potrebbe esaurirsi… e l’ipotesi di uscire e rientrare dalla Biblioteca per rifornirsi non può essere presa in considerazione, nella presenza dell’esercito accampato qui fuori. »
« A mio avviso non dovrebbe esserci questa necessità… » propose Be’Wahr, intervenendo nel discorso « Da qualche parte, all’interno del complesso, deve esserci un pozzo o qualcosa di simile… »
« Concordo. » prese parola Midda, rivelando in ciò la propria sopraggiunta presenza « Ritengo anche io difficile che un edificio di questa complessità e di queste dimensioni non presenti al suo interno almeno un pozzo autonomo. »
« Bentornata! » salutò la compagna, tendendo verso di lei la borraccia dopo essersi abbeverata ad essa « Trovato qualcosa? » domandò con tono retorico, potendo ben vedere come anch’ella stesse tornando a mani vuote.
« Nulla. » scosse il capo la mercenaria, prendendo quanto presentatole e portandolo alle labbra secche « Purtroppo la questione è più complicata di quanto potessimo immaginare… »
« Avremmo dovuto condurre con noi anche Sha’Maech… lui di certo avrebbe saputo dove volgere lo sguardo. » suggerì il biondo, storcendo le labbra.
« Se l’avesse saputo ce l’avrebbe detto subito, spero bene. » negò il shar’tiagho.
« Comunque direi di trascorrere ancora il pomeriggio impegnandoci nella ricerca del testo. Se entro tale tempo ancora non otterremo risultato, domani mattina saranno altri i nostri problemi, nella necessità indispensabile di comprendere se e dove poter trovare il pozzo di cui accennavate ipotesi… » riprese parola Carsa, offrendo il punto della situazione « Risolto il problema dell’acqua, il resto sarà solo questione di tempo. »

Ritrovandosi tutti in comune accordo su tale prospettiva, i quattro così riuniti consumarono un tranquillo pasto a base di carne secca, scambiandosi reciprocamente i pareri su quanto avvenuto nella mattina appena trascorsa e concedendosi, in ciò, un momento di riposo. Dopo meno di un’ora, sazi e dissetati, si salutarono nuovamente, nel rinnovare l’appuntamento per la sera e nell’augurarsi di riuscire a trovare il volume necessario al saggio per tradurre la scitala e, così, permettere loro di raggiungere la corona perduta. Nessuno fra essi, attraversando nuovamente le sale della Biblioteca per ritornare ai propri luoghi di ricerca con calma e serenità, poté accorgersi di una moltitudine di occhi rivolti al loro indirizzo, in sguardi tutt’altro che benevoli nei confronti della loro presenza in quel complesso.

sabato 27 settembre 2008

261


L
a vita quotidiana il Kofreya, così come nell’intero continente, non trovava in quegli anni, in quell’era, una particolare pubblica devozione per le arti e la cultura in generale, considerando comunemente, tanto nel più ricco quanto e soprattutto nel più povero, uno spreco di tempo e di energie rivolgere la propria personale attenzione ad interessi che mai avrebbero condotto il pane sulla tavola o avrebbero permesso un particolare arricchimento, un incremento nella propria sfera di potere. Ciò nonostante, almeno nelle fasce più benestanti della popolazione, la maggior parte dei bambini aveva normalmente occasione in età infantile di affiancare ad un addestramento fisico, utile a garantire la propria sopravvivenza, un addestramento mentale: leggere e scrivere, per i nobili, i ricchi mercanti, i mecenati era attività comune, forse non da tutti apprezzata ma, per lo meno, da tutti conosciuta. Per i meno abbienti, altresì, rare erano le occasioni di lasciare uno stato di profonda ignoranza nel ricevere, per lo meno, l’insegnamento delle basi dell’arte della lettura: nella maggior parte dei casi, invero, erano proprio gli individui stessi a non ritrovare utilità in un simile diletto, a non vedere uno scopo in tale conoscenza, preferendo specializzarsi, o far specializzare il proprio figlio, in un qualche mestiere, in una qualche professione ancor prima di fargli perdere tempo per qualcosa che non gli sarebbe mai stato utile. Un addestramento vero e proprio alla lettura, invero, era fornito ed imposto all’esercito kofreyota, dimostrando in ciò una visione sufficientemente illuminata da parte degli antichi sovrani che tali regole avevano imposto: a tutti i soldati, a qualsiasi grado essi si proponessero, era richiesto di saper leggere, laddove spesso i comandi, gli ordini non potevano essere affidati unicamente al verbo e trovavano maggiore possibilità di comprensione nello scritto. Discorso già diverso, altresì, si proponeva quello della scrittura, dove ai semplici soldati non era domandata una tale capacità, riservandola altresì alle cariche maggiori, ai gradi più elevati.
In un simile contesto, per i mercenari la situazione non si proponeva omogenea come era invece per i militari arruolati: essendo, in tal caso, la loro formazione affidata unicamente a se stessi, il grado di familiarità di un mercenario con l’arte della lettura o della scrittura era tutt’altro che comunemente similare. Da un lato, così, vi erano mercenari come Midda, i quali, anche in virtù di una vita ricca di esperienze, avevano compreso l’importanza di essere in grado di scrivere e leggere, oltre che di parlare, non unicamente nella propria lingua natia ma, possibilmente, nel maggior numero di idiomi possibili, per non lasciarsi mai cogliere impreparati dal fato, dalle possibilità che il destino avrebbe potuto porre loro di fronte. Tali casi, invero, erano ben lontani da essere la maggioranza: la Figlia di Marr’Mahew, non a caso, si proponeva come un esemplare più unico che raro nella propria professione, pur non potendosi nascondere un’ignoranza decisamente superiore a quella che avrebbe altrimenti gradito possedere. Purtroppo, anche per lei, il tempo dedicato alla propria sopravvivenza, oltre che ovviamente al mantenimento del proprio perfetto stato fisico, inevitabilmente soffocava qualsiasi possibilità di ampliare il bagaglio culturale posseduto, come al contrario poteva permettersi di fare una persona simile a Sha’Maech. Al di là di casi rari e speciali come quello di Midda, poi, vi era tutta una vasta gamma di possibilità che vedevano coinvolti i mercenari: coloro che sapevano leggere e scrivere alla perfezione nella propria lingua, coloro che sapevano leggere ma non scrivere ed anche coloro che non erano in grado di proporsi né in un ruolo né in quello opposto. Del resto per andare in guerra, per uccidere qualcuno, o per difendere qualcun altro, saper leggere e scrivere non si proponeva quale un requisito fondamentale.
Per tutto questo, Midda non ebbe ragioni di trovare divertimento nell’essere informata di una particolare condizione del loro gruppo che, purtroppo, doveva essere sfuggita alla perfetta pianificazione di lady Lavero.

« Bene… ora che finalmente riusciamo a vedere quello che ci circonda, dobbiamo darci da fare… » incitò Carsa, rialzandosi da terra.

Nell’oscurità della notte, invero, impossibile, oltre che poco prudente, sarebbe stato per loro muoversi nella Biblioteca alla ricerca del volume desiderato dallo studioso: così essi avevano approfittato dell’occasione per restare tranquillamente a riposo fino al sorgere del nuovo sole, al riparo da ogni possibilità di sguardo indiscreto dall’esterno. Inevitabilmente, in tale lunga notte, le due donne avevano anche provveduto a scambiarsi nuovamente gli abiti, gratificando, nel ritorno a vesti per loro più consuete ed idonee, non solo i propri corpi ma anche gli sguardi estremamente indiscreti dei loro compagni che non avevano voluto assolutamente perdersi lo spettacolo, nonostante le minacce mortali rivolte a loro discapito. E se, dal punto di vista dei due compagni fraterni, fortunatamente le due donne, per ragioni diverse, non sembravano offrire particolari pudori o imbarazzi nel mostrare le proprie forme scoperte, sfortunatamente le medesime, ugualmente per ragioni diverse, non si sarebbero spinte a concedere nulla di più di quelle emozioni visive, lasciandoli soffrire dolcemente per ciò che mai avrebbero potuto possedere.

« Le indicazioni di Sha’Maech sono sufficientemente chiare. » commentò la donna guerriero, risollevandosi a sua volta « Purtroppo però non abbiamo alcuna idea di dove possa essere finito il volume: direi quindi che la strategia migliore per districarci in questo dedalo è quello di dividerci, dandoci un appuntamento a metà giornata di nuovo in questo punto per un aggiornamento e, in caso di insuccesso, ritrovarci di nuovo qui a sera. »
« Concordo. » annuì la compagna « Restare uniti in questo frangente non ci offrirebbe alcun vantaggio… »
Midda, sorridendo per quella conferma, iniziò ad indicare i punti cardinali per concedere loro una migliore separazione: « Bene… allora direi che possiamo fare così… »

Le parole, però, le morirono sulla bocca, nel momento in cui il proprio dito si diresse verso Howe e la sua mente elaborò finalmente un comportamento decisamente insolito in quella mattina, già notato ma non ancora compreso in ogni sua sfumatura: né uno né l’altro dei due elementi maschili della loro squadra aveva fino a quel momento aperto bocca ed entrambi, anzi, stavano scambiandosi sguardi decisamente smarriti, per non dire imbarazzati, in conseguenza della proposta appena espressa. Era lampante come qualcosa in quanto detto non li ponesse a loro agio e, per questo, lasciando momentamenamente perdere la divisione delle aree di competenza, la mercenaria li osservò con serenità a domandare spiegazioni.

« Cosa succede? »
Incerti i due si guardarono e solo dopo un lungo momento di silenzio, di fronte allo sguardo tranquillo di Midda ed a quello un poco spiazzato di Carsa, Howe prese coraggiosamente parola: « C’è un problema… »

Lady Lavero di certo aveva scelto con cura i propri mercenari in quella squadra, selezionandoli in base alle specifiche competenze, alle capacità che ognuno di loro avrebbe saputo offrire singolarmente e che avrebbe saputo concedere all’interno di un gruppo. Purtroppo, dall’alto della propria fiera intelligenza, anche alla nobildonna uno specifico particolare era sfuggito: nessuno fra i due uomini, invero, aveva mai ricevuto una qualche formazione nel campo della lettura o, tanto meno, in quello della scrittura. Forse era stato proprio in conseguenza di quella loro incapacità che, in qualche momento passato, essi avevano avuto cagione di incontrare una mente vivace come quella di Sha’Maech, che con le proprie conoscenze, con la propria vasta cultura, aveva sopperito fino a quel momento ad ogni loro esigenza: ma per quanto precise avevano potuto essere le indicazioni del saggio rivolte a loro sul volume da trovare, in quell’occasione egli sembrava non aver considerato come essi non avrebbero mai potuto leggere il titolo riportato sopra il tomo, per identificarlo nell’infinità di altri libri simili lì presenti.
La Figlia di Marr’Mahew, dimostrando una particolare sensibilità in tutto quello, comprese rapidamente la situazione dei due compagni e, interrompendoli con un gesto della mano prima che potessero proseguire in quell’ammissione inevitabilmente spiacevole per loro, sorrise e scosse il capo ad indicare l’assenza di necessità di ulteriori spiegazioni.

« Non vi preoccupate… » li rassicurò con voce quasi dolce, in opposizione al proprio tono solitamente freddo e pungente « C’è una soluzione anche a questo. »

venerdì 26 settembre 2008

260


A
lla scomparsa di Inste, inevitabile fu il propagarsi del suono di diversi corni per tutta la zona a trasmettere l’allarme utile a convocare l’intero reggimento, levandosi verso il cielo in rapida successione in un effetto complessivo non diverso da quello che avrebbero offerto gli ululati dei lupi rivolgendosi alla pallida luna. Tutti i soldati del distaccamento vennero richiamati a rapporto, risvegliati dal sonno in cui stavano cercando di trovare riposo oppure sottratti dai propri posti di guardia attorno alla Biblioteca: la sorveglianza dell’edificio, in quel momento, si propose infatti in secondo piano laddove, di certo, esso sarebbe stato ancora lì dopo qualche ora mentre la povera fanciulla scomparsa, forse, sarebbe potuta essere uccisa dai propri aguzzini per impedirle di poterli eventualmente identificare e, conseguentemente, farli condannare a morte dalla giustizia kofreyota.
Il piano elaborato da Be’Wahr, pertanto, si dimostrò in grado di concedere i risultati sperati, spianando la strada ai quattro cavalieri verso la loro meta nella superba recitazione offerta da Carsa. Fu proprio la donna, emergendo dalle tenebre in cui si era nascosta con la complicità di un manto nero, ad offrire ai compagni il segnale di via libera nel momento in cui l’area loro necessaria per accedere al vasto complesso si propose privata dai propri sorveglianti, ed i tre, cogliendo immediatamente tale richiamo, non mancarono di raggiungerla, unendosi a lei in un angolo non troppo esposto del perimetro della Biblioteca. Nella forma estremamente particolare di quella costruzione, infatti, non mura nella concezione più classica del termine erano proposte a contenerne i tesori, quanto una serie di pareti “deformate”, almeno agli occhi di canoni più geometrici, che si componevano e concedevano in proporzioni imprevedibili: i gruppo di mercenari, pertanto, si era potuto riservare il diritto di scegliere il fronte che avrebbe offerto meno visibilità per ricavarsi una via d’accesso verso l’interno dell’edificio. Nel desiderio di non offrire risalto alla loro presenza in quel luogo, essi avevano dovuto evitare di prendere in considerazione l’ingresso attraverso una più tradizionale porta: tutte le soglie del complesso, infatti, erano da lungo tempo state sigillate e qualsiasi violazione in tal senso, ammesso che fosse stata possibile in maniera discreta, sarebbe comunque apparsa chiaramente evidente agli occhi dei soldati, i quali immediatamente avrebbero così avuto modo di comprendere il trucco orchestrato a loro discapito ed offrire in opposizione ad essi una caccia spietata.

« Appena avrò raggiunto la cima, lascerò ricadere la corda così potrete salire anche voi, uno alla volta… restate nascosti fino ad allora. »

Con quelle parole Midda aveva confermato ai propri compagni il proprio impegno in quella fase dell’attuazione della strategia concordata: lei, infatti, fra tutti aveva la maggiore esperienza e la migliore capacità fisica nell’arrampicata ed, in virtù di simili doti, ad ella fu riservato il compito di tracciare per loro la strada d’accesso alla Biblioteca, risalendo per prima lungo la parete irregolare allo scopo di fissare una corda lungo la quale gli altri avrebbero avuto meno problemi a risalire.
La superficie proposta di fronte a lei, invero, si proponeva forse come la più strana che avesse mai affrontato, laddove molte erano state le situazioni con cui si era dovuta confrontare in passato: pozzi umidi e scivolosi, canne fumarie rese roventi dal calore, alte e fredde torri di marmo così levigato da rendere improponibile l’ascesa per chiunque altro. In quell’occasione la forma assolutamente imprevedibile di quella parete, unita al rivestimento smaltato presente sotto strati di polvere accumulatasi nel corso degli anni, dei decenni su di essa, non solo le proponeva una sfida del tutto nuova ed originale, ma aggiungeva ad essa un chiaro coefficiente di difficoltà nella scarsa possibilità di presa su simile area. Liberando lo smalto dalla presenza della polvere e del terriccio, per analizzare quale delle due alternative le avrebbe potuto offrire maggiore attrito, ella non poté fare a meno di riflettere come una simile arrampicata, quando ancora quell’edificio si proponeva pulito e fiero nelle proprie forme, sarebbe stata potenzialmente impossibile durante il giorno: i tasselli con cui quelle curve apparivano rivestite, infatti, con l’aiuto dei raggi del sole sarebbero apparse quali una piastra senza dubbio utile a cuocere molto bene una bistecca alta quattro dita, ma sicuramente inadatta a concedere a mani mortali di adagiarsi su di essa senza fare la stessa fine di quella carne abbrustolita. Fortunatamente per lei ormai, anche sotto il sole del meriggio, quella superficie non avrebbe potuto riflettere più di quanto non avrebbe fatto un acro di terra bruciata: a prescindere da ciò, comunque, in quel momento non vi era alcun raggio caldo di sole sopra le loro teste e, per questo, ogni pensiero in tal senso si ritrovava ad essere semplice elucubrazione priva di fondamento. Senza ulteriori esitazioni, pertanto, ella mosse le proprie sapienti mani sul terriccio e sullo smalto, cercando aderenza sulla parete, desiderando una qualche possibilità di presa per risalire come era solita fare: invero, per quanto posta in difficoltà da molti elementi di quell’architettura, altre particolarità della medesima si proponevano in di lei aiuto, soprattutto dove non perfettamente verticale si proponeva tale muro ed un morbido angolo, quasi un risvolto di pietra, era conformato nel punto da loro scelto.
Con lentezza, pertanto, ma con inesorabilità la Figlia di Marr’Mahew iniziò la propria risalita verso il cielo, verso l’apice di quella superficie di cinta, alla ricerca di un pertugio, di una finestra, di una balconata o, anche solo, di un lucernario per avere accesso all’interno dell’edificio e, soprattutto, per fissare la corda da rilanciare ai propri compagni. Per quanto sarebbe potuto sembrare più complesso, ella preferì cercare il contatto con la superficie liscia presentata dallo smalto, allo scopo di evitare il confronto con le insidie presentate altrimenti da un terriccio tutt’altro che solido su di essa: ogni movimento delle mani o dei piedi, pertanto, era anticipato da una rapida pulizia dell’area sotto di lei, tale da concederle quanto desiderato, quanto ricercato.
Nonostante la discrezione presentata da quei movimenti, dai di lei gesti su quella superficie, impossibile sarebbe poi stata quell’ascesa se le guardie fossero rimaste ancora presenti a sorvegliare il perimetro come era fino a poco prima: ancora una volta, pertanto, era il gioco di squadra a dominare quella particolare missione, quasi a voler eseguire in maniera ferrea la volontà espressa da lady Lavero nella formazione di quel gruppo. E se, nei primi giorni di quella missione, in lei poteva essersi proposto il pensiero di lasciare indietro i propri compagni, quasi fossero solo un peso, per proseguire e concludere da sola la ricerca della corona, ormai risultava evidente come il fato desiderasse che tutti e quattro si muovessero in comune accordo, come del resto compiuto fino a quel momento. Raggiunta così una curva più dolce, quasi tendente al piano, nella parte superiore dell’edificio, lo sguardo attento, da predatore, della donna guerriero immediatamente identificò una finestra, un’apertura dai bordi quasi regolari in una forma trapezoidale, che le concesse il punto d’ingresso ricercato e, con esso, la possibilità di ancorare la fune arrotolata attorno al corpo per poi gettarla dietro di sé, verso gli altri elementi del gruppo rimasti in sua attesa. E solo un fischiettare delicato, del tutto confondibile con quello di un rapace notturno, si propose ad avvertire i compagni del successo nella propria azione.

Compiuto il proprio dovere, ella decise di superasse l’apertura raggiunta, senza ulteriori attese: « Per… Thyres… » tossì nel ritrovarsi a ricadere in un corridoio polveroso e buio, cercando poi di ridurre al minimo il rumore e di placare subito quella reazione alla nuvola di polvere levatasi in conseguenza del di lei stesso ingresso.

Solo in quel momento, nell’intravedere attraverso quella sottile ed artificiosa nebbia uno scorcio dell’interno della Biblioteca, la mercenaria ebbe per la prima volta reale comprensione di quanto la nuova fase della loro missione, ritenuta più che tranquilla nell’aver trovato un modo per evitare lo scontro con l’esercito, si sarebbe proposta complicata e stancante, ritrovandosi di fronte ad uno spettacolo colossale ed inimmaginabile di volumi, pergamene, rotoli e quant’altro che, invero, si proponevano solo come un frammento minimale dell’intero tesoro di cultura lì custodito, una sola stanza in un complesso vasto ed estremamente intrecciato. In conseguenza della loro ricerca, essi si sarebbero spinti a frugare fra reliquie di conoscenza che, probabilmente, ormai il mondo non meritava più di possedere, di consultare, e che sarebbero rimaste sepolte in quel luogo per le generazioni future: un’occasione unica, incredibile e meravigliosa, ma che avrebbe da loro anche preteso un impegno inatteso, traducibile per lei, molto prosaicamente, in un solo modo…

« Quattro volte la posta… » sussurrò, ancora tossicchiando.

giovedì 25 settembre 2008

259


A
ncora Inste tremava isterica, terrorizzata, quando venne condotta come ordinato fino alla tenda del cerusico, per poter essere lavata e curata, per poter essere custodita e protetta, lontana da coloro a cui era riuscita incredibilmente a fuggire.
Le giovani guardie, poco più che ragazzi, la guardavano con un misto fra pietà ed imbarazzo, per ciò che ai loro occhi comunque veniva offerto da quell’abbigliamento tanto succinto per mezzo del quale ben poco del di lei corpo appariva realmente coperto: senza una reale malizia risultava in effetti difficile non far ricadere il proprio sguardo su un profilo tanto sensuale, esaltato forse ancor più da quella particolare situazione, da quella stessa evidente fragilità utile a stuzzicare le corde più profonde della loro maschile sensibilità. Nell’esercito kofreyota, invero, la presenza femminile seppur minoritaria non faceva sentire la propria mancanza, presentando però un modello decisamente diverso di donna, offrendo guerriere addestrate al combattimento, alla morte, per le quali un compagno maschile non poteva ricoprire il ruolo di protezione che altrimenti la natura avrebbe a lui richiesto di impersonare: quella povera vittima, al contrario, si presentava a loro invocando la loro difesa, supplicando la loro forza, non ricorrendo a parole, per le quali non sembrava più avere forza, avere lucidità, ma semplicemente con uno sguardo meraviglioso ed infinito, in cui perdersi in eterno.

« Erano… non lo so… non… » tentò di ripetere nuovamente la cronaca della propria vicenda di fronte al cerusico, fallendo miseramente nel proprio intento.
« E’ stata aggredita non lontano da qui. » intervenne una delle quattro guardie preposte alla sua protezione, riferendo in sua vece « Non è ancora riuscita a dirci come abbia fatto a liberarsi: si chiama Inste. »
« Inste… è un bel nome, lo sai? » commentò con tono paterno il medico, invitando con gesti delicati la fanciulla a distendersi su una brandina « La figlia di mia sorella si chiama così… »
La giovane donna si limitò ad accennare un lieve movimento del capo, dimostrandosi ancora troppo scossa per riuscire in altro, anche fosse solo un tentivo di sorriso: in ciò, ella si lasciò guidare senza proteste verso il giacilio, accettando apparentemente di buon grado di potersi sdraiare su di esso.
« Non so se sei ferita o meno… e per questo dovrò controllare il tuo corpo. » spiegò l’uomo, chiedendo poi con un gesto alle guardie di lasciare la tenda per concedere un minimo di intimità alla povera vittima « Ti assicuro che non intendo farti del male… »

Ancora una volta un lieve annuire sembrò sottolineare comprensione da parte di ella, tanto da spingere le mani dell’uomo ad avvicinarsi delicatamente ai resti della casacca che la coprivano, senza malizia, senza bramosia nei propri gesti ma, unicamente, con il desiderio di assicurarsi che alcuna ferita fosse celata da quei pochi stracci, alcun graffio o taglio, possibile di infezione, si nascondesse sotto di essi.
Ma Inste, nonostante l’accordo concesso inizialmente, gettò in forte grido a quell’azione, reagendo in uno scatto quasi felino nel lasciare la branda e cercare protezione fra le braccia dell’unica guardia non ancora uscita dalla tenda, unico rimasto fra le persone che fino a quel momento non avevano apparentemente concesso particolare interesse al di lei corpo. E il cerusico, ritraendosi subito a quel movimento di lei, scosse il capo comprendendo che lo stato psicologico in cui la donna si trovava a riversare era ancora estremamente provato dalla violenza subita, impedendole così la comprensione di quello che non voleva essere su di lei alcun motivo d’offesa.

« Chiamate un paio di vostre compagne. » suggerì a quel punto, verso i soldati « Per sanarla c’è bisogno di comprendere se davvero è ferita da qualche parte ed in questo momento il terrore che la domina è imperativo su di lei al punto da non permettermi di agire in tal senso. Forse altre donne riusciranno ad avvicinarla senza un’eguale reazione di diffidenza… »
« Sì, signore. » annuì uno dei quattro soldati, tutti rientrati nella tenda al grido offerto dalla donna, prima di lasciare nuovamente quello spazio per l’esecuzione immediata del comando ricevuto.
« Proviamo a lasciarla un momento da sola… » suggerì poi, rivolgendosi a coloro che erano rimasti « La tranquillità è ciò di cui ora più ha bisogno, oltre al potersi sentire al sicuro. »
I soldati offrirono ancora totale accordo di fronte alla decisione del medico, la cui competenza ed autorità nel campo medico era indiscussa all’interno del loro reggimento, ponendosi in ciò secondo solo al comandante in capo.
« Noi resteremo qui fuori… nessuno potrà entrare a darti disturbo. » comunicò verso la donna, ancora stretta fra le tre guardie rimaste, cercando di mostrarsi sereno ed, in questo, di trasmetterle una tale quiete « Per qualsiasi cosa chiamaci… basterà una parola e saremo subito da te. »
« Come è stato ora… » suggerì uno dei presenti, cercando di rassicurarla sulla loro prontezza.

Dopo un momento di incertezza, di smarrimento, nuovamente Inste concesse un cenno di approvazione verso il cerusico da cui era appena fuggita fraintendendone le intenzioni, per poi osservare con occhi grandi e pieni di paura e dolore i propri protettori, lasciandosi da essi guidare alla branda, per lì distendersi: nel ricambiare lo sguardo, tutti loro sentirono una morsa stringersi attorno ai propri cuori, dimostrando chiaramente un forte risentimento nei confronti dei bruti macchiatisi di un simile crimine nei confronti della fanciulla, così simile a bambina in quel momento.

« A cosa serve andare a combattere contro Y’Shalf se poi simili orrori continuano ad essere perpetrati all’interno dei nostri stessi confini, da parte di nostri stessi connazionali? » borbottò uno dei soldati rivolgendosi ai propri compagni « Sono forse i nostri nemici peggiori di coloro per la cui difesa siamo pronti a dare la vita? »

Di fronte a simile domanda nessuno ovviamente sapeva offrire risposta, lasciando in silenzio la tenda e con essa la vittima di quelle atrocità in opposizione alle quali i loro animi si stavano infiammando: la loro comune speranza era che ella, restando sola con se stessa, riuscisse a ritrovare la propria pace perduta, insieme al controllo su se stessa e sul proprio futuro, l’avvenire che in quel momento probabilmente le appariva come perduto per sempre. In silenzio i tre soldati ed il cerusico attesero fuori dalla tenda l’arrivo del loro compagno e dei rinforzi femminili richiesti, ognuno riflettendo nel proprio cuore e nella propria mente su quanto accaduto, molto probabilmente ritrovandosi ad essere tutt’altro che soli in tale raccoglimento. Indubbio era, infatti, come nella tranquillità di quell’incarico di vigilanza attorno ad una Biblioteca invero dal mondo intero, l’evento offerto dalla tragedia di quella giovane fosse immediatamente diventato l’unico argomento dominante nei discorsi e nei pensieri di tutto il reggimento, in un rapido passaparola che non aveva lasciato alcuno disinformato a tal riguardo.

« Ma quanto tempo ci mettono? » domandò ad un certo punto il cerusico, osservandosi attorno impaziente per l’arrivo delle donne convocate.
« L’orario non è favorevole, signore… » provò a giustificare uno dei presenti « In questo momento o si è impegnati in un turno di guardia, impossibile da abbandonare, oppure si sta riposando. »
« Lo coprendo, ma… per la miseria… siamo parte dell’esercito: anche se addormentati dovremmo essere subito pronti a scattare in risposta ad un nemico. » replicò l’uomo, storcendo le labbra ed iniziando a battere nervosamente le dita della mano destra contro il braccio sinistro, disapprovando quel ritardo.

Diversi minuti furono richiesti al soldato inviato alla ricerca delle compagne per ritornare a loro, accompagnato da due donne con corti capelli spettinati ed aria decisamente trafelata, nella fretta imposta loro da quel risveglio anticipato e dalla necessità di rivestirsi. Inevitabile, per le malcapitate, fu oltre al danno del sonno interrotto anche la beffa del rimprovero dedicato loro dal cerusico, per la flemma con cui si erano presentate a rapporto. Non errata o spropositata, in effetti, era da considerarsi la di lui reazione, laddove a nessuno fra loro doveva essere permesso di dimenticare la natura marziale del loro incarico: il loro stesso futuro, la possibilità di sopravvivere per poter vedere un nuovo giorno all’interno di un esercito, si concedeva come conseguenza diretta anche della loro capacità di saper rispondere con prontezza agli ordini, non facendosi mai trovare impreparati di fronte ad alcun imprevisto.
Ma l’imprevisto di fronte a cui alcuno fra loro, neppure il cerusico stesso, si ritrovò ad essere preparato, fu quello che vide le due donne affacciarsi all’interno di una tenda vuota, osservando solo l’evidenza di uno scontro ed, in esso, del fallimento nel proteggere chi era stata loro affidata.

mercoledì 24 settembre 2008

258


N
essuno fra loro, ovviamente, aveva mai avuto particolari pregiudizi nei confronti di Be’Wahr, considerandolo un mercenario come chiunque altro in quel gruppo, sicuramente scelto da lady Lavero a ragion veduta. Nemmeno lo stesso shar’tiagho, al di là del proprio comportamento apparentemente burbero e polemico nei suoi riguardi, si proponeva come discriminante verso il fratello, a cui di certo era assolutamente affezionato, per quanto mai lo avrebbe ammesso. Il biondo possedeva del resto molte qualità ed il fatto che fosse ancora vivo, in un mondo come il loro e mantenendosi attraverso una professione come la loro, risultava comunque indicativo di una qualità di base non presente in tutti coloro altresì caduti sotto l’azione della sua lama per concedergli un simile diritto. Date simili premesse, comunque, difficile per tutti loro in quel momento risultava accettare la proposta di una strategia da parte sua: non come mancanza di fiducia ma, semplicemente, come puro realismo, laddove il giovane non si era mai proposto quale particolarmente dotato nell’analisi e nell’elaborazione dei dati più elementari, caratteristica assolutamente essenziale in un contesto tattico come quello in cui sembrava volersi slanciare in quel momento.

« Scusa… dicevi? » domandò Howe, sbattendo ripetutamente le palpebre verso il compagno.
« Che so come potremmo entrare… » ripeté sorridendo l’altro « Ci ho pensato su e non sembr… »
« Madornale errore. » scosse il capo il primo, coprendosi gli occhi con una mano « Sai che certe cose non dovresti farle… »
« Cosa? » chiese Be’Wahr, aggrottando la fronte senza comprendere.
« Pensare. Non ci sei abituato… non fa bene alla tua salute, lo sai. » replicò sorridendo sornione.
« Come sei spiritoso… »
« Ragazzi. » si impose Carsa, levando le mani a chiedere silenzio « Per favore… potremmo concentrarci sul nostro problema? »
« Se hai un’idea, esponila senza indugi. » intervenne a sua volta Midda, rivolgendosi verso il biondo.
« Qui finisce male… » sospirò il shar’tiagho, sospirando e levando gli occhi al cielo.

Il suo nome era Inste ed ella si presentò quale una giovane ed affascinante donna che, in lacrime, gridando disperata, cercava fuga da una coppia di bruti: le di lei vesti, sopra ad una pelle scura ed, in questo, sensualmente esotica, si mostravano stracciate, in una sdrucita casacca grigia che a malapena riusciva a coprirle il seno ed in luridi pantaloni rossi che ricadevano simili a stracci dai suoi fianchi, sopra a piedi scalzi. Insieme ad un simile vestiario, la pelle sudata ed i lunghi capelli arruffati e sporchi di terra e di erba non avrebbero lasciato dubbi sulla di lei storia, ed in questo ancor meno indugi concedeva il suo sguardo, la sua espressione, assolutamente stravolta, in preda ad un panico totale ed incontenibile.
Nessuno avrebbe mai potuto osservarla e rifiutare l’orrore della violenza da cui stava cercando fuga e, per questo, neppure i giovani soldati poterono restare calmi ed indifferenti: immediatamente l’allarme venne così suonato, richiamando l’attenzione di tutti i loro compagni a riposo e quella dei loro comandanti, nel non poter abbandonare la posizione di guardia assunta senza il rischio conseguente di incorrere in sanzioni severe, punizioni marziali. Per quanto nessun aggressore sembrava essersi spinto a seguirla fino a quel punto tanto sorvegliato, a quella frontiera di salvezza da ella raggiunta, immediatamente il comandante del reggimento ordinò a tre diversi gruppi di ricercare e condurre al proprio giudizio gli animali che avevano osato tanto nei confronti di una creatura così fragile, mentre la giovane vittima, ancora piangendo isterica, venne accompagnata dal cerusico del campo per poter ricevere le eventuali cure necessarie, affiancata e scortata da quattro guardie disposte a sua protezione. Probabilmente entro pochi mesi da quel giorno, qualcuno fra quegli stessi giovani soldati così indignati ora per il solo pensiero di uno stupro ai danni di una persona tanto indifesa si sarebbero a loro volta macchiati di crimini anche peggiori, nel contesto di paradossale imbarbarimento e perdita di ogni forma di onore della guerra: in quel momento, però, nessuno fra loro avrebbe potuto provare un sentimento diverso dalla pietà per ella, nella difesa della nobiltà di valori che dovevano caratterizzare il loro ruolo in tutto il regno di Kofreya.

« Devo ammettere che questa tua idea non è poi stata così sbagliata… » commentò Howe, verso il fratello, nel concedergli un giusto riconoscimento per i propri meriti.

Invero il consenso maliziosamente offerto dal shar’tiagho non si proponeva in virtù dell’apparente riuscita del piano suggerito, quanto in conseguenza di ciò che l’attuazione di una simile strategia aveva richiesto: gli abiti indossati da Carsa nell’improvvisazione di quel momento, nella creazione di quel nuovo personaggio, infatti, altri non erano che gli stessi indossati solitamente da Midda e tale scambio di vesti non solo aveva concesso loro l’occasione tutt’altro che spiacevole di poter ammirare i corpi delle due compagne quasi completamente denudati, ma aveva anche imposto sopra la Figlia di Marr’Mahew una mise estremamente attillata per le sue forme molto più generose rispetto a quelle della compagna, facendo in ciò risaltare, se possibile, sotto i loro occhi l’abbondanza delle sue curve. La casacca di Carsa, con il proprio intreccio di lacci lungo tutto l’addome, si proponeva attorno al corpo della donna guerriero simile ad un corsetto, mentre i pantaloni, decisamente inadatti alle sue gambe ed ai suoi fianchi, soffocavano quelle proporzioni risaltando i di lei glutei come mai era stato loro concesso di poter godere prima d’allora.

« Per Lohr… » invocò sottovoce l’uomo, sollevando gli occhi al cielo e cercando di distrarsi dal corpo della compagna, nel tornare a guardare verso la Biblioteca.
« Calma i tuoi bollenti spiriti, Howe… » suggerì con freddezza glaciale la mercenaria « O ti aiuterò io a ritrovare l’equilibrio interiore. »
« Magari il metodo potrebbe anche essere interessante… » sorrise sornione egli, tornando a volgersi verso di lei.
« Sei la prima persona al mondo che si dichiara interessata a morire. » rispose ella, inarcando il sopracciglio destro.

Per quanto naturalmente, e comprensibilmente, attratto dalla donna, di fronte a quel non velato avvertimento Howe ritornò in silenzio, incassando anche la reazione ovviamente divertita di Be’Wahr per quello scambio di battute: per quanto disteso e complice potesse essere il clima formatosi all’interno del loro gruppo, dopo tante settimane di viaggi e collaborazione, per il mantenimento della sua salute sarebbe stato infatti decisamente proficuo evitare di entrare in contrasto con la loro famosa, o famigerata, compagna, soprattutto in conseguenza di una motivazione tanto blanda. In lui non vi era dubbio in merito al fatto che ella avesse ben compreso le ragioni scherzose che avevano condotto ad una simile battuta, ma insistere in tal senso, soprattutto in un momento comunque delicato come quello in corso, avrebbe potuto portare a conseguenze tutt’altro che divertenti: meglio, eventualmente, rimandare a dopo simili discorsi ed accettare, ora, di godere tacitamente dello spettacolo offertogli.
Dal punto di vista di Midda, tutt’altro che nuova ad esperienze di collaborazione, di lavoro di squadra, quel particolare gruppo non si proponeva per nulla sgradito: al contrario, ella poteva dirsi più che soddisfatta della scelta compiuta da parte di lady Lavero, che si era dimostrata un’abile mecenate, capace di valutare correttamente i propri obiettivi ed i mezzi più adeguati per perseguirli, come del resto aveva intuito fin dal loro primo incontro giudicandola per questo una donna potenzialmente molto pericolosa. L’unico difetto, se tale si poteva considerare, in quella squadra era il rispetto che i suoi compagni le offrivano aprioristicamente: certo ciò che le veniva riconosciuto non era nulla di meno di quanto ella per tutta la vita non avesse fatto in modo di guadagnarsi, ma trovare un tale tributo nei propri collaboratori la poneva spesso a disagio e, peggio, rischiava di diventare potenzialmente lesivo per il corretto successo della loro missione. In risposta ad Howe, ad esempio, ella aveva semplicemente desiderato scherzare ma, purtroppo, la sua fama in tal senso l’aveva preceduta ponendo fine ad ogni confronto.

« Stiamo attenti… » invitò Be’Wahr, intromettendosi fra loro « A breve toccherà a noi… »

martedì 23 settembre 2008

257


L
a Biblioteca di Lysiath doveva la propria esistenza non tanto a Kofreya ed hai suoi sovrani, che ne avevano assunto da pochi secoli il controllo ricorrendo alla propria forza militare, quanto a Tranith, che l’aveva edificata in epoche decisamente più remote ma che, purtroppo, non aveva avuto il coraggio e le risorse sufficienti a difendere il proprio diritto di possesso su una così meravigliosa opera, forse una delle più importanti costruzioni di tutta la zona sud-occidentale del continente per il sapere che in essa era accumulato.
La città e la provincia in cui la Biblioteca era stata eretta, infatti, originariamente ponevano la propria appartenenza ai territori tranithi, ad un regno che del commercio e della diplomazia aveva fatto la propria principale arma, vincente senza dubbio nel mantenere la pace interna ed esterna ma non abbastanza da conservare intatto anche il territorio stesso del regno: in conseguenza di una simile incapacità, il reame era stato diviso in due penisole fra loro non confinanti con la cessione di Lysiath ai più belligeranti vicini kofreyoti, nell’inseguire il pur comprensibile desiderio di porsi al riparo dal rischio dell’inizio di una guerra che non avrebbe altrimenti potuto vincere. Una scelta, invero, pagata a caro prezzo non solo in considerazione del territorio perduto, quanto più propriamente per la medesima Biblioteca.
Secondo i desideri di coloro che le avevano dato vita, essa si proponeva più simile ad un palazzo reale che ad un edificio ignorato ed ignorabile dalla maggior parte della popolazione, quale a tutti gli effetti esso era: non eccessivamente diffuso in quella zona di mondo era infatti il rispetto offerto nei confronti della cultura, del prezioso tesoro che essa poteva rappresentare, laddove alcun equivalente valore in oro era possibile attribuire ad essa. Certamente alcuni libri, soprattutto quando reliquie di epoche tanto remote da essere state dimenticate, offrivano un certo pregio anche da un punto di vista assolutamente materiale, con pesanti protezioni dorate e, talvolta, ricche di ornamenti a custodia delle pagine in esso contenute, ma il vero valore di simili tesori non era ugualmente da ritrovarsi nel loro aspetto esteriore quanto piuttosto in quello interiore, in quelle pagine colme di una conoscenza altrimenti perduta senza di essi. Tranith ed i suoi illuminati governanti erano da sempre stati consapevoli della reale importanza rappresentata da tutti quei volumi, sia quando ricoperti d’oro e di gemme sia quanto semplicemente racchiusi in comune cuoio, rovinato dal tempo: per tale ragione essi non avevano mostrato il minimo dubbio, non avevano indugiato di fronte all’esigenza ed alla possibilità di investire tempo e lavoro nella realizzazione di un complesso realmente ammirabile, unico in tutto il regno ed in tutti i territori confinanti. Rispettando lo stile tranitha nella realizzazione degli edifici, la Biblioteca si proponeva non alta verso il cielo, ma bassa e larga sulla terra, approfittando del territorio pianeggiante di quella provincia ed estendendosi in un’ampiezza superiore a quella di molti villaggi del regno stesso, quasi pari a quella della stessa cittadella portuale attraverso la quale Lysiath poteva offrire uno sguardo sul mare, separata geograficamente quale si ritrovava ad essere dal medesimo. Sempre nel rispetto dello stile assolutamente inconfondibile di quell’architettura, di così unica quanto bizzarra, l’edificio si componeva in forme mai regolari, avviluppandosi su se stesso più simile ad un frutto della natura, una pianta o forse un muschio, che dell’intelletto dell’uomo: molte erano le stanze, quasi labirintiche, in cui esso era formato ed ognuna sembrava quasi voler trovare una propria autonomia dal resto del complesso, pur restando indissolubilmente legata ad esso, come le ramificazioni di un cespuglio al tronco centrale. Ogni piede della superficie di quella vasta erezione era poi stata arricchita originariamente dai più preziosi smalti, come solo le case dei più ricchi, le abitazioni dei mercanti più potenti e per questo più nobili in Tranith, potevano permettersi di essere: nel periodo tranitha di quella costruzione, probabilmente, impossibile sarebbe stato rivolgere lo sguardo in maniera diretta a simili forme sotto la luce del sole, altresì rischiando di essere accecati dai troppi riflessi, tali da rendere la Biblioteca stessa simile ad un secondo sole in terra.
Passata sotto il controllo di Kofreya, purtroppo, essa aveva assistito ad un rapido declino: meno rivolti all’intelletto e più alla guerra, non per la ricerca di un’elevazione spirituale e sociale come poteva essere in Gorthia, quanto per semplice brama di potere e di conquista, i sovrani kofreyoti pur riconoscendo il valore intrinseco in quell’opera non avevano voluto concederle lo stesso risalto del passato, abbandonandola e costringendo chiunque ad abbandonarla, nel richiuderne le porte al vasto pubblico, non comprendendo come la cultura, a differenza di qualsiasi altro valore, potesse trovare il proprio risalto proprio nella diffusione e non nell’oppressione. Ed il passare del tempo, purtroppo, non aveva permesso a quella situazione di risolversi quanto, invero, di complicarsi ulteriormente: dove fino a qualche decennio prima l’accesso alle sale colme di conoscenza era comunque stato consentito a pochi eletti i quali, non senza un giusto incentivo alla corruzione dei funzionari lì preposti, erano riusciti saziare a tale fonte la propria sete di sapere, in tempi più recenti le stanze della Biblioteca erano state definitivamente sigillate, come reazione in conseguenza ad informazioni non meglio confermate su un rischio di attentato alle stesse da parte di emissari y’shalfichi. A nessuno, per quanto disposto a pagare tale privilegio, era e sarebbe stato così più concesso l’ingresso a quel complesso: la difesa dello stesso, ancor prima che per la custodia dei tesori lì contenuti, risultava una priorità per il governo kofreyota, per non permettere ai propri avversari, ai propri rivali di poter porre un grave colpo a loro discapito nel contesto di una stupida e distruttiva guerra senza speranza di conclusione.
A mantenere lo stato di segregazione imposto su tale luogo, in conseguenza delle decisioni adottate dal governo centrale, era stata stanziata a tempo indeterminato una guarnigione militare, con il solo compito di non permettere ad alcuno l’accesso alla Biblioteca. La particolare locazione della medesima, periferica rispetto alla città a cui faceva riferimento, si proponeva di certo come d’aiuto in tale compito, richiedendo solo una sessantina di uomini accampati all’eterno del perimetro di guardia per sopperire ad una simile esigenza. L’impegno richiesto a tali soldati, in effetti, si proponeva praticamente nullo rispetto alle giornate trascorse dai loro compagni, dai loro compatrioti sul fronte con Y’Shalf: ciò nonostante, nessuno degli uomini lì preposti a sorveglianza del complesso era solito prendere con leggerezza il proprio compito, consapevoli quali si ritrovavano ad essere della precarietà del loro stesso incarico. Usualmente, infatti, non più di sei mesi era normalmente loro concesso in quel presidio, provenendo per la maggior parte dalle caserme dove avevano ricevuto la formazione base, l’addestramento primario alla guerra: al termine di tale scadenza, puntualmente ed inesorabilmente, essi venivano rimossi da tale incarico per essere inviati alle trincee, a combattere, e probabilmente a morire, lungo i monti Rou’Farth. Il tempo loro concesso, in un incarico tanto leggero e disimpegnato, si ritrovava così ad essere utilizzato allo scopo di proseguire i propri allenamenti, per mantenersi in forma e, forse, aumentare le rare possibilità che avevano di tornare un giorno a rivedere le proprie case e le proprie famiglie, ovunque esse fossero.

« Sarebbe stato troppo semplice se il volume utile a Sha’Maech fosse stato riposto nella sua personale libreria, vero? » chiese Howe, storcendo le labbra, nell’osservare sotto la luce della luna gli uomini disposti a cadenza regolare attorno alla Biblioteca.
« Sì… e poi non ci sarebbe stato gusto nel raggiungerlo, no? » sorrise divertita Carsa, di fronte a quella reazione di malcontento quasi grottesca per l’enfasi con la quale era stata espressa.
« Non so voi… ma il mio compenso sta riprendendo a salire: questo recupero ha iniziato a richiedere un po’ troppo lavoro. » commentò Midda, sdraiata a terra accanto ai compagni.
« Mi togli una curiosità? » domandò l’altra, piegando il capo di lato a quell’affermazione per osservarla meglio.
« Dimmi pure… » invitò la Figlia di Marr’Mahew, rivolgendo l’attenzione al loro obiettivo, studiando con interesse i movimenti delle guardie, ritmici, cadenzati, assolutamente marziali.
« Una delle varie caratteristiche che ti rendono famosa nell’ambiente è quella di riuscire a cambiare sempre la paga in conclusione alle tue missioni: come riesci sempre ad ottenere ciò che desideri? »
« Semplicemente offrendo il risultato del mio impegno solo in conseguenza del conseguimento di un giusto prezzo… » sorrise la mercenaria, strizzando l’occhio sinistro con complicità.
« Se avete finito di scambiarvi i trucchi del mestiere… che ne direste di provare a pensare insieme a qualche strategia su come entrare in quella sorta di roccaforte? » le interruppe nuovamente il shar’tiagho.
« Io avrei un’idea… »

A quelle parole, un silenzio improvviso calò sopra il gruppetto, mentre tre dei suoi elementi si voltarono ad osservare straniti colui che le aveva pronunciate… il quarto fra loro: Be’Wahr.

lunedì 22 settembre 2008

256


P
er colui che aveva fatto dello studio e della conoscenza lo scopo della propria intera esistenza, risalire ad una specifica informazione all’interno di una memoria troppo occupata si proponeva come un’impresa tutt’altro che banale. In un paragone pratico, Sha’Maech avrebbe dovuto ritrovare un preciso oggetto dimenticato da anni in un deposito polveroso e poco ordinato possedendo semplicemente una vaga descrizione di una parte del suo aspetto: un’impresa improba laddove alcun aiuto avrebbe potuto ritrovare in quel momento dall’esterno.
Ciò che gli era stato offerto da parte dei quattro cavalieri non si proponeva simile ad alcuno degli alfabeti in uso ad egli noti e sebbene non si arrogasse la conoscenza su ogni lingua del mondo, soprattutto in riferimento ai dialetti locali di molti regni sviluppatisi in conseguenza di rapporti minimi con i propri confinanti, aveva la convinzione si potesse trattare di qualche lingua morta. Più che una reale deduzione in tal senso, la sua si proponeva in effetti come un’intuizione, un sentimento inconscio ancor prima che logico il quale gli suggeriva una qualche familiarità con quel particolare alfabeto, con quei caratteri, come se in passato avesse già avuto modo di confrontarsi con essi ma, purtroppo, il tempo trascorso gli avesse fatto perdere la possibilità di un’immediata reazione mentale nei loro riguardi. Essi si presentavano in forme estremamente regolari, geometriche e prevalentemente rettilinee, componendosi con angoli e dimensioni precisi e cadenzati nel seguire evidentemente delle precise regole calligrafiche: solo brevi accenni di tratti curvi erano presenti in pochi frammenti di quella lunga serie, in una cadenza tanto rada da lasciargli sospettare che non avessero ruoli fonetici quanto, semplicemente, di punteggiatura. Il particolare aspetto di quei caratteri, così lontani nelle loro forme dagli alfabeti più moderni a cui era abituato, non era in effetti di particolare aiuto per l’identificazione dei medesimi laddove, per quanto a lui era noto in merito alle lingue antiche, la maggior parte di esse ritrovavano tali caratteristiche nella loro forma scritta, quasi fosse in conseguenza di un’esigenza di praticità successivamente perduta con il passare dei secoli.

« A differenza di quanto appare dal cuoio di questa striscia, il messaggio contenuto in questa scitala è decisamente antico. » commentò, risollevando lo sguardo verso i propri ospiti « Purtroppo non credo di essere in grado di tradurlo immediatamente, anche se questi caratteri non mi risultano estranei. »
« Di quanto tempo potresti aver bisogno? » domando Carsa, aggrottando la fronte a quella notizia.
« Difficile a dirsi. » ammise l’uomo, sollevando appena le spalle « Potrebbe essere una questione di pochi minuti come anche di giorni interi: innanzitutto sarà necessario riuscire ad identificare questi caratteri e, successivamente, iniziare ad operare con la traduzione, che potrebbe rivelarsi estremamente semplice oppure estremamente complicata a seconda della lingua e della nostra attuale conoscenza a tal riguardo. »

Silenzio calo fra i quattro compagni di ventura, che si guardarono reciprocamente in viso: se da un lato Be’Wahr ed Howe probabilmente si proponevano propensi a concedere ulteriore tempo e fiducia al vecchio studioso, Carsa e Midda altrettanto probabilmente apparivano più invogliate a prendere in ipotesi soluzioni alternative, laddove fermarsi in quel luogo avrebbe potuto anche non concedere loro alcun risultato. Inevitabile, quindi, si ritrovò ad essere la necessità di un confronto verbale, come anche Sha’Maech non indugiò a comprendere agendo di conseguenza.

« E’ meglio che vi lasci soli per qualche minuto, a concedervi la possibilità di vagliare la situazione attuale. » propose egli, alzandosi e dirigendosi verso una porta opposta a quella d’ingresso alla bottega, evidentemente comunicante con altre stanze sul retro « Quando avrete preso una decisione, venite pure a chiamarmi… e non sentitevi assolutamente in obbligo nei miei confronti: non mi offenderò assolutamente se sceglierete in favore di una soluzione alternativa a quella che vi posso offrire. »
« Grazie. » annuì la Figlia di Marr’Mahew, intervenendo a quelle parole.

Rimasti soli, i quattro mantennero ancora per qualche secondo il silenzio, quasi a decidere chi dovesse per primo prendere parola, chi per primo dovesse esporre la propria posizione dando il via ad una discussione fra loro potenzialmente complicata: pur preferendo tutti loro agire singolarmente, piuttosto che porsi come parte di in gruppo, nello svolgimento quotidiano delle proprie mansioni, della propria professione, essi erano stati riuniti da lady Lavero in quella squadra e, volenti o nolenti, avrebbero dovuto farne parte fino alla conclusione della missione. Rendere particolarmente teso il clima all’interno del gruppo, invero, era quindi qualcosa di cui nessuno fra loro desiderava essere responsabile e, per tale ragione, alcuno trovava la volontà di aprire quel particolare confronto di opinioni.

« Idee? » domandò Howe, rompendo quell’incertezza e facendosi così avanti per primo.
« Sinceramente non so cosa poter proporre come alternativa… » commentò Carsa, scuotendo il capo « Rifiutando questa possibilità, come sarebbe logico fare, non avremmo comunque altre vie da percorrere nell’immediato… »
« Scusate… ma perché non proviamo ad offrirgli maggiori informazioni sulla scitala? » intervenne Be’Wahr, proponendo l’ovvio a cui alcuno stava evidentemente pensando « Probabilmente concedendogli maggiore chiarezza su ciò che stiamo ricercando, lo potremo aiutare nell’identificazione di quei caratteri. »
« In effetti mantenere il silenzio potrebbe essere controproducente in questo frangente. » denotò il shar’tiagho, storcendo le labbra verso il basso « Rischiamo di ostacolarci da soli… »
« Senza volervi offendere: pensiamo davvero di poterci fidare di quest’uomo? » chiese Midda, dando voce al reale interrogativo fino a quel momento non espresso « Ciò che stiamo cercando potrebbe far gola a molta gente e questo potrebbe portare altri sul nostro stesso cammino… »
« Sha’Maech non ci tradirà, se è questo che vuoi suggerire. » replicò il biondo, scuotendo il capo « A lui non interessa l’oro o il potere: l’unico suo obiettivo è la conoscenza ed essere al nostro fianco in quest’occasione potrebbe offrirgliene molta in merito al passato, ai grandi imperi perduti ed alla regina Anmel. »
« Non avendo altre soluzioni, credo che la nostra scelta sia forzata. » sottolineò Carsa, « Sono concorde ad offrigli maggior informazioni sulla scitala e sul medaglione che l’ha originata… ma con questo non voglio ancora concedere la mia fiducia, sia chiaro. »
« Midda? » domandò Howe, rivolgendosi verso l’altra compagna.
« E sia… » rispose ella, scuotendo il capo « Conserverò anche io, comunque, le mie remore: l’idea di un uomo non interessato all’oro o al potere mi sembra troppo idealistica per essere reale. »

Trovato l’accordo in tal senso, non negandosi un certo sollievo se non, addirittura, una certa contentezza, Be’Wahr si mosse a richiamare lo studioso, al quale vennero così offerte tutte le spiegazioni sull’obiettivo finale della loro missione, sul medaglione e sulla scitala da essa ottenuta: gli unici dettagli non comunicati, in quanto considerati non necessari ed in effetti tutt’altro che tali, furono quelli relativi alle modalità di acquisizione della reliquia, laddove nessun contributo essi avrebbero potuto offrire per una migliore comprensione di quella lingua morta.
Sha’Maech si propose quale un ottimo ascoltatore, dopo essersi già rivelato un buon oratore, dimostrandosi fedele al proprio ruolo quale amante della conoscenza in ogni sua forma: indispensabile, infatti, per lui doveva essere l’osservazione di un fatto ancor prima della disquisizione in merito ad esso, modo d’agire in realtà quasi mai attuato da tutti coloro che si proclamavano studiosi e che, al contrario, preferivano procedere attraverso metodi induttivi ancor prima che deduttivi. Nessuna domanda venne da egli posta nel corso del resoconto offertogli, non interrompendo in tal modo mai la narrazione donatagli, seppur mai si distrasse, come i suoi occhi dimostrarono attraverso una chiara luce di interesse, di coinvolgimento, in reazione alle spiegazioni a lui concesse, a quelle nuove informazioni prima non rivelategli.

Solo al termine della relazione, egli si scosse, riprendendo parola: « Questo cambia decisamente il posizionamento dei pezzi sulla scacchiera… » sorrise, dimostrando fiera soddisfazione « Ora so come offrirvi la traduzione richiesta. »

domenica 21 settembre 2008

255


C
on un accenno di titubanza verso quell’offerta, Midda prese l’oggetto teso a lei: come già aveva avuto modo di notare, si trattava di un artefatto estremamente povero nei propri materiali e nelle proprie forme, sufficientemente leggero da essere mantenuto sul volto fra orecchie e naso ma, al tempo stesso, abbastanza pesante da lasciare sul viso del suo proprietario un segno della propria presenza, in particolare all’altezza del setto nasale. Dopo averlo rapidamente analizzato in tal modo, ella provò ad avvicinarlo al proprio viso, ai propri occhi, ritrovandosi immediatamente ad osservare un mondo deformato ed ingigantito: quella nuova ed insolita vista sulla realtà le provocò un deciso fastidio piuttosto che aiutarla ad avere uno sguardo più nitido su ciò che la circondava, come aveva suggerito Sha’Maech.

« E’ orrendo! » storse le labbra, allontanando immediatamente quei vetri dal proprio sguardo, chiudendo gli occhi nel timore di esserseli feriti in tale prova.
« Per i tuoi occhi tanto perfetti sicuramente. » spiegò l’altro, riprendendo possesso delle proprie lenti « Ma non per i miei: al contrario, grazie ad essi, sono in grado di vedere bene quanto te… o, per lo meno, quanto una persona comune. »
Per qualche istante la donna restò in silenzio, osservata dai compagni, nel massaggiarsi delicatamente le palpebre con la mancina, a riprendersi da quello strano momento: « E questo marchingegno allucinante è una tua creazione? » domando poi, riaprendo gli occhi e guardandosi attorno a verificare di riuscire ancora a vedere bene come sempre.
« Non esattamente. Sei mai stata nel continente di Hyn? » sorrise l’uomo, iniziando poi ad offrire i bicchieri riempiti ai propri ospiti.
« Solo di passaggio… » commentò vaga la mercenaria, evitando di perdersi in rimembranze giovanili.
« E’ un peccato. » suggerì il loro anfitrione « Il livello di progresso presente in quelle terre orientali è incredibile: vi sono meraviglie che lascerebbero stupiti chiunque e, nella maggior parte dei casi, non sono neppure conseguenza di qualche strana negromanzia… »
« E cosa è questo? » domandò Carsa, nel prendere il bicchiere e nell’accostarlo al naso, per cercare di coglierne un qualche odore.

Il colore e l’odore della bevanda erano estranei, infatti, alle due donne, proponendosi in parte simile ad una spremuta di limoni ma, in effetti, estremamente diversa dalla stessa: anche Midda condivise, pertanto, quella domanda, accettando il bicchiere con leggero sospetto, non desiderando ingerire nulla che potesse rivelarsi alcolico e che, in conseguenza, le potesse impedire di mantenere intatto il controllo sulla situazione.

« Nulla di pericoloso… » intervenne Be’Wahr, in risposta a quella domanda, subito bevendo con gusto quanto a lui concesso « Anzi… direi decisamente buona: forse anche più del solito. »
« Zucchero di canna, zenzero, succo di limone, un po’ di lievito ed acqua fresca… » elencò con assoluta trasparenza Sha’Maech, rivelandosi anche in quel momento tutt’altro che reticente ad offrire dettagli e spiegazioni « Un composto decisamente semplice ma, a quanto pare, molto gradito. Anche questa ricetta, invero, proviene da Hyn. »
« Interessante… » commentò la donna guerriero, avvicinando il bicchiere a sua volta alle labbra, a sorseggiare appena quella bevanda per assaporarne il gusto « E decisamente strana… » aggiunse, allontanando leggermente la mano e restando incerta sulla reazione da avere di fronte a quel sapore.
« Dicono che sia anche un buon rimedio per chi non riesce a sopportare il mare… ma personalmente non ne ho ancora avuto una conferma sperimentale e preferisco mantenerla semplicemente come bevanda, senza esagerare però. » concluse l’uomo, per poi accennare con le mani ad alcune sedie sparse per il locale « Su, accomodiamoci. Così potrete parlarmi dei vostri problemi… »

I quattro cavalieri, non negandosi la stanchezza derivante da troppi giorni a cavallo, accettarono volentieri l’invito a sedersi, e se Be’Wahr e Howe richiesero un ulteriore giro nei propri bicchieri, Carsa e Midda restarono ancora poco confidenti con quel nuovo sapore, saggiandolo lentamente pur iniziando a non disprezzarlo, a trovarlo al contrario piacevole per quanto estraneo.

« Allora… ditemi… » invitò Sha’Maech, osservando tranquillo e sorridente il gruppetto assortito così presentatogli di fronte « Per quale motivo siete venuti a far visita ad un vecchio folle? »
A quel punto, fu il shar’tiagho a prendere la parola, rivolgendosi al loro anfitrione: « Come hai giustamente compreso, siamo stati in missione per conto di lady Lavero nel regno di Gorthia. Tale viaggio avrebbe dovuto concederci la possibilità di accedere ad un’antica mappa, ma come conseguenza di tutti i nostri sforzi, ciò che abbiamo ottenuto è stata semplicemente una scitala… »
« … e non avete idea di cosa ci sia scritto sopra. » completò l’uomo, intuendo senza fatica la situazione.
« Esattamente! » confermò il biondo « Puoi aiutarci? »
« Rispondervi di sì sarebbe facile, ma dimostrarsi troppo sicuri della semplicità di un’azione prima ancora di conoscerne la portata usualmente si traduce solo come spavalderia… e la mia età non mi consente più una simile possibilità. » rispose lo studioso, svuotando il proprio bicchiere prima di appoggiarlo da parte e risistemarsi correttamente le lenti sul naso, ancora scivolate leggermente verso il basso per effetto del loro stesso peso « Posso vedere questa scitala? »

Arrivati quali si ritrovavano ad essere a quel punto di non ritorno, al gruppo di mercenari non erano offerte molte alternative: certamente avrebbero potuto rifiutarsi di mostrare la striscia di cuoio ottenuta dal medaglione all’uomo, ma una simile azione avrebbe reso vano tutto il loro viaggio fino a quel momento, solo procrastinando quella decisione ad un altro istante non lontano, di fronte magari ad una persona non fidata per alcuno fra loro. La scelta, quindi, risultava essere semplicemente legata al grado di integrazione reciproca dei membri della squadra ed a quanto le due donne avrebbero potuto decidere di concedere fede ai due loro compagni maschi: guardandosi ancora una volta silenziosamente negli occhi, a ricercare un’intesa non verbale fra loro, Carsa e Midda si accordarono per la scelta più ovvia e, forse, la più corretta.

« Ecco. » commentò la prima, porgendo verso il loro interlocutore una delle due copie in loro possesso, estraendola da una borsa dove era stata riposta arrotolata.
« Grazie… » annuì egli, accogliendo la stessa « Immagino che prima di concedermi anche il bastone vorrete comprendere se davvero sia in grado di sopperire ai vostri bisogni… »
« Inutile negarlo. » confermò la Figlia di Marr’Mahew, accennando a sua volta positivamente con il capo.
« Mi sembra corretto… »

Con interesse, quindi, l’uomo svolse la lunga briglia iniziando a studiare in silenzio i caratteri stampati, reggendo la medesima in verticale laddove proprio in tale direzione, una volta avvolta attorno al proprio supporto, ella avrebbe fornito il messaggio celato. Una serie di caratteri, che già a lungo i quattro avevano osservato in quei giorni di viaggio senza possibilità di riconoscimento o comprensione, gli fu quindi concessa allo sguardo ed egli rivolse tutta la propria concentrazione ad ognuno di essi, non tanto per cercare di acquisirne il significato, laddove sarebbe stato impossibile farlo in quel momento, quanto semplicemente di capirne la natura, di identificare a quale alfabeto simile scrittura potesse fare riferimento. Una lunga e silenziosa attesa si propose di fronte al gruppo laddove egli apparve isolarsi dal resto del mondo e dai propri ospiti, evidentemente vagando in una lunga serie di memorie, di nozioni apprese nel corso degli anni. Ed i quattro, comprendendo perfettamente quella situazione, non posero alcuna fretta, alcuna pressione sull’uomo, limitandosi ad osservarlo in silenzio, continuando a sorseggiare la bevanda loro offerta ed approfittando di quell’occasione per trovare finalmente un po’ di riposo.

sabato 20 settembre 2008

254


P
er un periodo di tempo indefinito ed indefinibile, Midda e Carsa restarono in attonito silenzio nell’osservare quell’uomo per loro sconosciuto ma che, senza esitazione, aveva dato prova di sapere fin troppo su tutti loro. La Figlia di Marr’Mahew, fra le due, fu la prima a scuotersi, anche perché più abituata ad essere riconosciuta ed in questo meno vittima rispetto alla compagna di quel fattore sorpresa, riprendendo possesso della propria mente e del proprio corpo per proporre una domanda tanto banale quanto necessaria.

« Per Thyres! » esclamò pertanto, appoggiando con aria stizzita la mano destra sull’elsa della spada, in un gesto più formale che reale laddove essa pendeva proprio sul lato destro del di lei corpo per poter essere estratta dalla mano sinistra, unica che l’avrebbe potuta in effetti gestire correttamente « Si può sapere come è possibile che costui sappia tanto? Lo avete informato voi?! »
« Assolutamente no! » negò immediatamente Howe, scuotendo il capo « Perché avremmo dovuto? »
« Mia cara… » intervenne in quel frangente Sha’Maech, prendendo parola « Certe scene plateali non ti sono consone, laddove sappiamo entrambi molto bene quanto fredda sia la tua mente in azione… non meno rispetto al tuo sguardo, direi. » sorrise dimostrando assoluta tranquillità « E siccome le tue meravigliose pupille si dimostrano ancora completamente visibili, dubito che tu abbia un reale desiderio di trasformare un momento di quiete in uno di lotta… o erro? »
« Ma chi sei, per la miseria, e come fai a conoscere certe cose? » domandò Carsa, ritrovando ora lei voce nel rivolgersi direttamente allo straniero.
« Sono solo un uomo a cui piace tenersi aggiornato… » rispose facendo spallucce e minimizzando « Ed ora venite: vorrete di certo bere qualcosa di buono a ripulirvi la gola dopo il lungo viaggio da Gorthia. Il giorno è ancora lungo e non ci mancherà il tempo per risolvere il vostro problema… »

Di fronte a quell’affermazione lo sguardo di Midda si tramutò in ghiaccio, vedendo le di lei pupille stringersi all’interno delle iridi nell’osservare i due compagni di ventura, ancora assolutamente sereni nel cercare di dimostrare quanto tutto quello fosse normale e consueto. Escludendo che quello strano individuo fosse uno stregone, laddove insolito sarebbe stato che egli si fosse celato in siffatto modo all’interno di un anonimo villaggio delle pianure kofreyote, nulla poteva giustificare tanta sicurezza e tanta precisione nelle di lui parole. Nulla a meno che…

« Come sai che giungiamo da Gorthia? E che siamo qui per un problema? » chiese con tono fermo e distaccato verso Sha’Maech, mantenendo ancora il proprio corpo in tensione, quasi in segno di sfida.
« Dimmelo tu… » rispose prontamente l’uomo, piegando appena il capo in avanti ad osservarla dritto negli occhi, al di sopra dei vetri con cui ornava il proprio viso.
« I nostri cavalli sono stanchi ed affaticati e tanto sul loro pelo quanto sui nostri abiti non manca di mostrarsi uno strato di polvere vulcanica, conseguenza evidente di un viaggio verso nord. » replicò la donna, dimostrando un primo segno di intendimento nei confronti del proprio interlocutore e delle sue capacità di osservazione « E, come ci avete dato modo di intendere, Howe e Be’Wahr hanno già richiesto il tuo aiuto in passato per risolvere i loro problemi, ragione per cui non puoi evitare di supporre che essi siano qui in nostra compagnia per simili ragioni. »
« Analisi interessante. » annuì l’altro, risistemandosi meglio l’ornamento in metallo e vetro sopra il naso, nel rialzare il viso « Ma, almeno per la questione gorthese, vi è un altro piccolo particolare che ti sei dimenticata di considerare: la tua fama. Credi davvero che nessuno abbia già diffuso voci in merito alle tue gesta nell’Arena di Garl’Ohr? »

Il biondo membro della compagnia, a quel punto, non poté evitare di scoppiare a ridere mentre le pupille della donna guerriero tornarono a ricollocarsi nella propria dimensione naturale all’interno delle iridi azzurre, per un istante, addirittura, fremendo ad allargarsi in esse quale segno di momentaneo imbarazzo. In effetti, forse, i due membri maschili della squadra avevano avuto un’idea tutt’altro che stupida nel rivolgersi a quello strano individuo: se la sua conoscenza del passato si fosse dimostrata competente come quella sul presente, il loro futuro sarebbe stato assicurato. Voltandosi così ad osservare la compagna, Midda si limitò ad un cenno di non convinto assenso con le labbra, al quale silenziosamente Carsa rispose con un lieve annuire: la seconda, in realtà, sembrava essere ancora smarrita sulla prima parte del dialogo, forse addirittura all’identificazione ed alla conseguente descrizione di sé ottenuta.
Accettando finalmente la possibilità di seguire i tre all’interno della bottega, anche le due donne entrarono nel locale, osservandosi attorno con aria incuriosita per cercare di comprendere qualcosa di più sull’uomo a cui avrebbero dovuto essere pronte ad offrire fiducia. Il negozio si proponeva, a tutti gli effetti, abbastanza consueto, non dimostrando in apparenza nulla di insolito o straordinario: solo ad uno sguardo meno superficiale, molti piccoli oggetti sparsi sarebbero potuti apparire come estranei, non solo al contesto specifico di un simile ambiente ma anche a qualsiasi possibile altro luogo da loro conosciuto. Impossibile sembrava poter definire la funzione o l’origine di tali artefatti, non diversamente, ad esempio, da come era per ciò che egli indossava proprio al centro del suo viso.

« Chiudete pure la porta… così nessuno ci disturberà. » invitò l’uomo, con un cenno distratto della mano, mentre la sua attenzione apparve rivolta alla ricerca di una bottiglia e di qualche bicchiere pulito « Anche se, in effetti, una qualsiasi azione di disturbo in questo tranquillo contesto villico sarebbe qualcosa di tanto inatteso e non sperato da risultare quasi assolutamente desiderato. »
Mentre Howe si attivò nell’esecuzione di quella richiesta, Sha’Maech continuò a parlare: « Non avete idea di come possa essere spesso frustrante ritrovarsi ad essere immersi nel mondo, in una conoscenza superiore alla media del medesimo, e nel contempo ad essere estraniati da esso, nella ricerca del mantenimento di una situazione di pace, nella conservazione del proprio stato. Perché voi tutti amate così tanto la lotta? Non potete proprio pensare di vivere per qualche tempo in santa pace, dedicandovi allo studio della vita ancor prima che alla ricerca della morte? Impegnandovi a creare ancor prima che a distruggere? »
Cedendo, improvvisamente, alla propria curiosità in merito agli oggetti sconosciuti che la circondavano, la donna guerriero interruppe quella divagazione offrendo voce ad almeno uno di tutti i propri dubbi a tal riguardo: « Visto che tante cose hai dimostrato di conoscere in merito a noi, credi che possa essere ammissibile la soddisfazione di una mia perplessità nei tuoi confronti? »
« Ovviamente: la reciproca conoscenza è il primo e necessario passo per ogni rapporto umano, laddove in sua assenza non vi potrà mai essere alcuna fiducia di base. » rispose l’altro, ritrovando finalmente i bicchieri ricercati ed appoggiandoli su un ripiano ingombro di vecchi tomi ed altro materiale polveroso « E’ per le mie lenti, non è vero? »
« Lenti? » domandò aggrottando la fronte.
L’uomo, a quel punto, pose la bottiglia accanto ai bicchieri per avere la mano destra libera nei propri movimenti, ad indicare poi con essa ciò che si appoggiava sul proprio viso: « Queste… » sottolineò, anticipando anche in quell’occasione i propri ospiti.
« E’ qualcosa che ti viene chiesto spesso, immagino… » replicò ella, dando segno di aver inteso per quale ragione egli avesse compreso la di lei domanda ancor prima che venisse formulata.
« In effetti sì: questa volta sono andato decisamente a colpo sicuro. » sorrise, ammettendolo, nel riprendere la bottiglia ed iniziare a versare un chiaro liquido nei bicchieri lì radunati « Comunque mi servono per poter vedere meglio, aiutando una vista purtroppo non più buona come un tempo… »
« Non comprendo. Non ho mai avuto modo di trovare nulla di simile altrove, prima d’oggi. » commentò la mercenaria « E’ un artefatto stregato? »
« Oh no… nulla di tanto complicato. » scosse il capo l’uomo, muovendo ora la mancina a sfilarsi le “lenti” per porgerle verso di lei « Osserva e, forse, capirai… »

venerdì 19 settembre 2008

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Definire Sha’Maech quale un uomo bizzarro sarebbe stato, probabilmente, il migliore fra tutti i complimenti che mai nella vita egli aveva avuto modo di ricevere. Nonostante non avesse superato ancora i quarant’anni, una folta e ribelle chioma bianco immacolato riluceva attorno al suo capo, simile ad una strana cresta leonina: poco meno pallida, ma giusto quanto occorreva per non apparire albino, si proponeva la sua pelle chiara, appena raggrinzita dall’età ma ancora estremamente elastica e vitale. Il suo viso, tondo quasi ad imitazione del profilo dei suoi capelli, appariva ornato, ancor prima che da due occhi verdi smeraldo, da uno strano manufatto in metallo che, reggendosi sulle sue orecchie a sventola e sul suo piccolo naso a patata, poneva davanti agli stessi occhi uno strato di vetro, conformato in due aree rettangolari: nessuno, osservandolo per la prima volta, riusciva ad evitare di concentrare la propria attenzione su quel singolare particolare, su quell’evidente eclettismo assolutamente incomprensibile, laddove alcuna ragione avrebbe potuto spiegare la presenza di un siffatto ornamento, di dubbio gusto ed, anzi, considerabile anche decisamente pericoloso oltre che antiestetico. Certo era, comunque, che Sha’Maech non desiderava ricercare o difendere un particolare gusto estetico, laddove i suoi stessi vestiti si proponevano come inguardabili, nelle loro forme e, soprattutto, nei loro colori: una casacca striata in colori rosa e verde pistacchio, difatti, copriva il suo busto, venendo parzialmente a sua volta ricoperta da una giacchetta ugualmente a strisce, questa volta in tonalità viola ed azzurre, con un effetto tanto brillante da poterlo rendere riconoscibile senza affaticamento alcuno anche nel mezzo di una folla posta ad un miglio di distanza. In assoluto contrasto con lo sfavillio di colori nella parte superiore del suo corpo, le gambe risultavano più modestamente avvolte in larghi pantaloni marrone scuro, infilati all’altezza dei polpacci in pesanti ed, ovviamente, sporchi stivali neri.
In uno dei tanti villaggi presenti nella provincia di Kirsnya, egli si presentava quale possessore di una bottega, mercante generico di ogni bene di possibile consumo da parte degli abitanti del posto e di eventuali passanti: invero, del proprio mestiere non molto sembrava interessargli, anche solo nell’atteggiamento assolutamente svogliato con cui si proponeva a ripulire il locale principale del suo negozio, maneggiando uno spazzolone intriso d’acqua come fosse stato uno strano animale con il quale risultava difficile rapportarsi.

« E quella specie di… mercante?... dovrebbe esserci d’aiuto? » domandò Midda, incerta sul termine da adoperare per indicarlo, precedendo di poco Carsa nel reciproco stupore di fronte all’immagine offerta loro.

La nuova tappa del viaggio dei quattro cavalieri aveva visto in maniera naturale essere scelto proprio il territorio di Kofreya quale meta del loro peregrinare: un ritorno quasi ovvio alla nazione da cui erano partiti, quindi, laddove per quanto provenendo da diverse parti del continente, essi non solo erano accomunati proprio da quei confini quale loro attuale residenza, ma lì avevano impiegato la maggior parte della propria attività mercenaria ed, in questo, stretto i propri contatti ed intessuto quelle stesse reti di conoscenze che in quel momento sarebbero loro occorse per venire a capo della traduzione necessaria.
Lasciare le aride terre gorthesi alle proprie spalle nel riabbracciare le più accoglienti pianure kofreyote non fu, poi, assolutamente spiacevole ma, anzi, equivalse quasi a concedersi finalmente una boccata di ossigeno dopo una lunga immersione: senza opposizione quindi le due donne del gruppo si erano affidate alle indicazioni concesse loro da Howe e Be’Wahr, i quali erano apparsi assolutamente sicuri in merito all’identità di colui che avrebbe potuto riconoscere, comprendere e tradurre i caratteri presenti sulla scitala. Giungendo però ora di fronte a quel particolare quadro, all’immagine ancora lontana di quell’uomo intravisto attraverso la soglia del suo locale, entrambe le compagne non avevano potuto evitare di restare decisamente interdette.

« Non lasciatevi trarre in inganno dall’apparenza… è molto di più di quanto possa sembrare. » commentò fiducioso Be’Wahr, sorridendo.
« Nel senso che è qualcosa di peggio di un pazzo psicopatico? » chiese Carsa, ripiegando il labbro inferiore in una smorfia di scarso convincimento.
« Per una volta Be’Wahr ha ragione… » confermò Howe « Sha’Maech ha fatto dello studio la propria vita, della sperimentazione la propria missione… è sicuramente un po’ insolito, nel suo aspetto e nei suoi argomenti, ma è una persona incredibile, capace di offrire risposte come alcun altro oracolo sarebbe in grado di fare. »
« Credo che dovremo fidarci di lui, se questa è la vostra opinione… » propose la donna guerriero, osservando la propria compagna e facendo spallucce « Suggerirei però di evitare di scendere in troppi dettagli. »
« Vedrete che non ce ne sarà bisogno… » sottolineò enigmaticamente il biondo.

Con quelle parole, il mercenario si separò dai compagni di squadra per avanzare a passo convinto verso la bottega ed il suo proprietario, tendendo le braccia in avanti già in segno di saluto: Howe, annuendo verso le due donne, cercò di affermare nuovamente la bontà di quella scelta, prima di seguire il fratello altrettanto sicuro di sé nel proprio cammino. Carsa e Midda, rimaste sole a guardarsi in faccia, non poterono così fare altro che aggregarsi ai due, sperando in cuor loro di non aver fatto tutta la strada di ritorno a Kofreya, dilazionando in maniera imprevista i tempi della loro missione, solo per ottenere il nulla più assoluto.

« Sha’Maech! » sorrise Be’Wahr, richiamando l’attenzione dell’uomo « Sia lode agli dei per averti concesso ancora buona salute… »
« Be’Wahr… » rispose egli, riconoscendo il giovane nel guardarlo attraverso quegli strani ed, in effetti, buffi pezzi di vetro, appoggiando poi lo spazzolone da parte prima di avanzare verso l’ingresso dell’edificio « Quante volte dovrò ripeterti che la mia salute non è affare divino? Se sto bene è solo merito di una sana alimentazione… e di una giusta dose di prudenza che mi sconsiglia di rischiare la mia vita in certi ambienti! »
« Non cambierai mai… » commentò il biondo, ritrovando il proprio gesto di saluto accettato e ricambiato dal vecchio amico.
« Assolutamente falso: in ogni momento della mia vita il mio corpo continua a cambiare… o non sarei costretto a radermi ogni mattina per evitare si assomigliare ad una specie di orso delle nevi. » replicò Sha’Maech, scuotendo il capo « Ed ovviamente ecco giungere anche Howe: mi sarei preoccupato nel non ritrovarti al suo fianco, sai? » aggiunse, rivolgendosi verso il secondo uomo ed ora offrendo lui stesso le proprie mani all’altro.
« Anche perché se non ci fossi io a tirarlo fuori continuamente dai guai, Be’Wahr non sarebbe qui. » esclamò divertito il shar’tiagho, rispondendo ben volentieri al gesto di saluto tesogli.
« Mi era giunta voce di un’interessante squadra d’elite composta da una rediviva lady Lavero, ed ammetto di aver anche ipotizzato che voi due ne avreste fatto parte… » riprese poi la bizzarra figura dai bianchi capelli « Però che anche una personalità del rango di Midda Bontor ed un carattere totalmente solitario come quello di Carsa Anloch potessero essere coinvolte in questo non mi sarebbe mai venuto in mente. Deve pagarvi veramente bene la signora… »

Quell’affermazione, offerta con tono assolutamente sicuro e tranquillo, come se i dettagli della loro missione o della composizione del loro gruppo fossero di pubblico dominio, colsero del tutto impreparate le due donne, identificate tanto banalmente e tanto rapidamente dal loro interlocutore a cui non si erano ancora neppure avvicinate: Be’Wahr ed Howe, al contrario, apparvero del tutto sereni, quasi non si sarebbero potuti aspettare nulla di meno da parte dell’uomo.

« Cosa vi avevo detto? » domandò il biondo, volgendosi verso le compagne di ventura « Non c’è bisogno di offrire spiegazioni! »