11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

martedì 31 gennaio 2012

1473


F
orse in conseguenza a questo proprio sentimento d'invidia; forse, e ancora, in meno ovvia approvazione per la professionalità e la fedeltà da entrambi pur dimostrate nel corso della loro prima missione insieme, dell'avventura, in effetti, in sola grazia alla quale la corona della regina Anmel, ora in possesso della sua gemella, era stata restituita alla luce del sole e all'umanità intera; forse, e più semplicemente, per un semplice giuoco del fato, per quanto ella non fosse solita riconoscerne l'esistenza, il suo rapporto con quei due fratelli non si era limitato unicamente al mero conseguimento di quel primo obiettivo comune, ma era stato rinnovato in più occasioni nel corso di quegli ultimi anni, riconoscendo loro un'indubbia partecipazione alla sua quotidianità. Partecipazione, la loro, non superiore, tuttavia, a quella del giovane Seem, colui che per primo, nella sua intera vita, non solo aveva dimostrato desiderio di potersi conquistare un ruolo da scudiero al suo fianco, ma, ancor più, aveva dimostrato di poter realmente ascendere a tale incarico, per quanto, obiettivamente, difficile sarebbe stato per chiunque ipotizzarlo o, persino, accettarlo, ove pur, ormai, innegabilmente tale.
Nato e cresciuto nella peggiore capitale di tutte le sei province del regno di Kofreya, Kriarya, universalmente soprannominata città del peccato, Seem si era immediatamente presentato come quanto di più lontano ci si sarebbe potuti attendere da un'urbe la cui popolazione annoverava quasi esclusivamente mercenari e assassini, ladri e prostitute, collocandosi, obiettivamente, ben distante da ognuno di tali ruoli. Il primo incontro fra loro era avvenuto in maniera estremamente indiretta, essendosi egli, a un certo punto della propria esistenza, ritrovato a essere impiegato all'interno della locanda di Be'Sihl nel ruolo di garzone. E proprio in tale ruolo, all'incirca, e manco a dirlo, cinque anni prima, egli era rimasto coinvolto in un importante compito di sorveglianza sul riposo della medesima donna guerriero nei giorni successivi a una sua spiacevole caduta dalla cima di un palazzo, caduta conseguente, in particolare, all'essersi ritrovata bersaglio di un dardo, proiettatole nella schiena da un non ancor meglio chiarito attentatore. In quella specifica occasione, momento perfetto per avvicinarsi a lei in misura maggiore a quanto mai prima avrebbe potuto sperare di compiere, egli aveva maturato l'idea di candidarsi per quell'improbabile ruolo, inizialmente sospinto da una certa infatuazione per lei, forse convinto, al di là del divario d'età che l'avrebbe probabilmente riconosciuta qual coetanea a sua madre, di poter ambire a un ruolo di maggiore intimità al suo fianco; e pur, successivamente, scopertosi più che lieto di poterla servire per il semplice, e pur non ovvio, gusto di sentirsi, per la prima volta, realmente padroni della propria vita, del proprio presente e del proprio avvenire, sebbene seguendo una strada che alcuno avrebbe creduto potesse essergli propria.
Così come già per Howe e Be'Wahr, anche nella storia di Seem e del suo rapporto con la Figlia di Marr'Mahew, interessante a notarsi, avrebbe dovuto essere riconosciuto un certo, non minimale, ruolo di importanza alla Jol'Ange e al suo poi non eccessivamente bistrattato equipaggio, dal momento in cui, a immediato proseguo degli eventi che l'avevano veduta recuperare la corona della regina Anmel e ottenere le informazioni bramate nel merito della sorte della goletta, ella era immediatamente partita in direzione di un'isoletta nella quale, era stata informata, tutti loro si erano spiacevolmente trovati prigionieri, desiderosa, ovviamente, di restituire loro la libertà negata. In tal viaggio, per la prima volta, proprio il giovane ex-garzone aveva avuto occasione di prestare servizio al suo fianco e, per indubbi meriti, di conquistare la possibilità di non rendere unica e irripetibile tale vicenda, o forse vicissitudine nel considerare un improbo scontro con un piova gigante che, quasi, lo aveva visto morire. E se pur, alla fine, tutto l'impegno posto in quel viaggio, nella volontà di soccorrere i propri compagni lì in difficoltà, si era rivelato vano, ove essi erano riusciti autonomamente a riconquistare la propria autonomia, ella non avrebbe potuto rifiutare a tutto ciò una propria ragion d'esser stato, nel ritrovarsi affiancata da uno scudiero da lei non ricercato, e pur, indubbiamente, apprezzato nelle proprie doti, e, ancor più, nella propria perseveranza, nella propria tenacia, pregio superiore a qualunque educazione all'arte della guerra, qual pur non aveva mancato di imporgli al fine di non renderlo un semplice peso, e ancor più una possibile ragione di danno, per sé oltre che, ovviamente, per lui stesso.
Di Howe e di Be'Wahr, al pari di Seem, ella non ovviò a offrire cronaca e resoconto al proprio interlocutore, affiancando tale narrazione ai dettagli di tutte le volte che ella, pur, si era interessata al fato della Jol'Ange in quegli ultimi anni. Una lunga spiegazione, un sin eccessivo monologo, al termine del quale, tuttavia, ella non volle pretendere alcun riconoscimento dal buon Av'Fahr, così come si premurò di sottolineare…

« Non credere, tuttavia, che io ti stia dicendo tutto questo perché sia mia volontà giustificare quelle che, da parte vostra, sono state rilevate quali mie mancanze… » puntualizzò, scuotendo appena il capo « Se è pur vero, infatti, che molte energie sono state da me spese nella volontà di informarmi nel merito del vostro fato, e di quello di Camne ovviamente; altrettante sono state da me impiegate a mantenermi a debita distanza da tutti voi, così come, probabilmente, anche in questo momento, se potessi, non esiterei a fare nei riguardi di Seem, di Howe e di Be'Wahr. »
« Temo di non comprendere. » ammise egli, sinceramente confuso da quella conclusione, paradossale nel confronto con quanto da lei appena scandito « Per quale ragione dovresti voler mantenerti a distanza da coloro i quali, pur, sostieni di avere a cuore? »
« Né più, né meno che per la stessa ragione per cui, due anni fa, tentai di rimediare all'inizio della storia d'amore che mi ero concessa di avere con Be'Sihl, non appena fu palese quanto tutto quello, per lui, potesse essere dannatamente pericoloso, attraendo in suo contrasto avversari con i quali mai avrei desiderato egli potesse aver a chi fare… e non di certo per causa mia. » asserì ella, sorridendo non senza un necessario velo d'amarezza a caratterizzare la sua espressione « Forse non te ne sei reso conto, ma abitualmente, chi mi si avvicina troppo, non riesce a sopravvivermi. Indifferentemente che egli, o ella, mi sia nemico o mi sia amico. »

Impietosa nella propria condanna in contrasto a se stessa, ella non poté negarsi tale giudizio ove, dopotutto, non originale, non inedito nella propria vita, seppur, forse, troppo spesso abusato come scusa utile a ovviare a possibili relazioni umane, qual pur, in molti, forse in troppi, si ostinavano a voler cercare con lei.
Salge Tresand, gli uomini e le donne della Jol'Ange, Be'Sihl, Howe e Be'Wahr, Seem e ancora molti e molti altri ancora, avevano tutti rischiato la vita, o, addirittura, erano morti, in semplice conseguenza alla propria correlazione con lei. Ed ella, per quanto umanamente bramosa di relazioni, tanto d'amicizia, quanto d'amore, non desiderava farsi carico di altre morti, di altre condanne conseguenza di una qualche maledizione forse realmente scatenatagli in contrasto da colei, che per prima, e forse sola, ella aveva osato tradire nella propria intera vita, sua sorella, e gemella, Nissa, alla quale, ancor bambina, aveva ripetutamente mentito, spergiurato per tre volte, promettendole che mai l'avrebbe abbandonata anche quando già certa, in cuor suo, di essere prossima alla propria partenza, alla propria fuga da casa per la ricerca di una libertà che lì, infantilmente, avvertiva qual negatale.

« Ora comprendo… » commentò Av'Fahr, storcendo le labbra verso il basso « Comprendo perché qualche giorno fa stavi osservando con eccessiva cupidigia la tua spada, bramosa di impiegarla a negarti occasione di vita malgrado tutti i nostri sforzi in tal senso, malgrado il sacrificio di Berah per concederti un futuro. » definì con tono quasi contrito, abbattuto, ben diverso da quello che, in tale rievocata occasione, egli aveva adoperato nella volontà di infonderle coraggio, di distoglierla da tanto negativi propositi anche da lui, cinque anni prima, pur accarezzati, nel dolore per la perdita di sua sorella Ja'Nihr « Tu non desideravi morire per ovviare al dolore di quanto accaduto, ma per prevenire che ulteriori drammi potessero essere consumati e che il loro peso si riversasse in contrasto alla tua coscienza, al tuo animo. »
« … sì… » non poté che annuire la Figlia di Marr'Mahew, non fiera per tale proprio momento di debolezza, tale sconforto non diverso da altri che, in passato, l'avevano contraddistinta, spingendola puntualmente verso atti estremi, e tutt'altro che distanti da un esplicito gesto di suicidio « E' così. »
« Non avrei mai potuto credere di arrivare ad affermare qualcosa del genere, ma… sei codarda, Midda Bontor. » sentenziò egli, non meno impietoso rispetto a quanto ella stessa non era stata un istante prima a propria esplicita condanna « Sei codarda e incredibilmente egocentrica, se questo è tutto ciò che tu riesci a ponderare in merito alla tua esistenza e al tuo rapporto con il prossimo! »

lunedì 30 gennaio 2012

1472


C
ome ampiamente e inequivocabilmente annunciato a opera delle parole della medesima Figlia di Marr'Mahew, il viaggio suo e di Av'Fahr, a seguito dell'inaspettato incontro con i pirati di Lehn-Ha, proseguì sostanzialmente tranquillo, e a passo sostenuto, non in direzione della conquista di una nuova meta, di un qualche traguardo lontano dalla penisola tranitha sul litorale occidentale della quale avevano attraccato, quanto, e piuttosto, del ritorno a un luogo già teatro di eventi fondamentali per quell'intera, drammatica e tragica faccenda, più a sud lungo quelle stesse coste. Un luogo, invero, ovviamente inedito per il marinaio e pur sin eccessivamente noto alla sua compagna e guida, nell'identificarsi, nella fattispecie, quale l'ambiente entro il quale tutto aveva avuto inizio, nel fallito agguato ordito a ipotetico discapito di Nissa Bontor: la grotta-tempio nel limitare della quale, per l'ultima volta, ella aveva avuto occasione di osservare i propri compagni riversare in pessime condizioni in conseguenza a quella troppo semplice, definitivamente stupida, strategia da lei troppo ingenuamente elaborata, che non solo non aveva concesso loro alcuna speranza di vittoria, di successo in confronto a colei eletta qual comune nemica, quanto, e peggio, aveva riservato loro solo occasione di avvicinarsi pericolosamente alla morte, se non, impossibile per lei saperlo, di raggiungerla.
Nel compiere un simile tragitto, nell'eleggerlo a percorso obbligato in un viaggio per il compimento del quale troppo poco tempo era stato loro concesso, Midda non si era ritrovata sospinta solo e unicamente dalla pur umana e comprensibile volontà volta a maturare una qualche coscienza nel merito dell'effettiva condizione nella quale Howe e Be'Wahr, mercenari e suoi sodali, da lei, invero, addirittura ingaggiati per quell'incarico, e Seem, giovane suo scudiero. Al contrario, sebbene forse meno nobilitante a definirsi, ella si era ritrovata animata, più freddamente, più razionalmente, dal desio di non tradire le aspettative né di Av'Fahr, né di chiunque altro a bordo della Jol'Ange, compiendo quanto necessario per ritornare in possesso dei due scettri oggetto della bramosia della sovrana di Rogautt. Scettri per la protezione dei quali ella si era accordata con tre distinti soggetti o, per amore del dettaglio, con una coppia di complici su un fronte, e con un singolo ulteriore interlocutore sull'altro, prestando attenzione, nella propria scelta, non solo a un pur fondamentale fattore di fiducia, indispensabile per una simile questione, quant'anche a definire individui privi di eventuali interconnessioni fra loro, a eccezion fatta, ovviamente, per quella rappresentata da lei stessa, in modo tale da prevenire all'eventualità che tali reliquie potessero essere riunificate senza che ella ne fosse informata e, soprattutto, coinvolta. E proprio Howe e Be'Wahr, così come la donna guerriero aveva già avuto modo di illustrare al proprio compagno dalla pelle d'ebano nello spiegargli le ragioni di quella particolare scelta, di quel particolare tragitto per così come stabilito, erano stati eletti quali custodi del primo scettro.
E se, raggiunta la grotta nella quale Nissa Bontor avrebbe dovuto, finalmente, saldare il letale conto troppo a lungo rimandato, e incrementato nelle proprie sanguinose cifre da tutti i morti a lei riconducibili, e parte integrante della quotidianità della sua gemella, Midda e Av'Fahr si fossero resi conto di come, purtroppo, Howe e Be'Wahr non fossero riusciti a sopravvivere all'imboscata rivoltatasi a loro medesimo discapito, poco o nulla sarebbe rimasto loro possibile compiere per la salvezza di Hui-Wen e Camne, la cui sopravvivenza era stata spiacevolmente legata al loro successo in tal senso, dal momento in cui, senza i due compagni mercenari, nessuno al mondo avrebbe saputo suggerire il luogo ove essi avevano deciso di celare quanto affidato alle loro cure, alla loro protezione. E due morti, già vittime di Nissa, troppo facilmente avrebbero in tal modo definito, seppur in maniera indiretta, un'irreversibile sentenza per altre due innocenti comparse nel meraviglioso e terribile spettacolo di guerra, sangue e dolore nel quale, da troppi anni, due gemelle si erano riservate un ruolo da protagoniste indiscusse.

« Posso farti una domanda? » questionò il figlio dei deserti centrali, nel mentre di quel loro viaggio, in un momento di riposo, più per i loro cavalli che per loro stessi.
« Solo una?! » sorrise l'altra, minimizzando l'ipotetico eccesso di libertà richiesto dal compare con quel proprio sin troppo formale interrogativo « Per carità, Av'Fahr… non sono così cattiva come mi descrivono, sai? E per quanto non sia solita prevedere troppa compagnia attorno a me, quattro chiacchiere sono sempre disposta a scambiarle quando se ne presenta l'occasione. »
« Bene. Ma non sentirti obbligata a rispondermi se la questione può esserti d'imbarazzo. » dimostrò interesse nel puntualizzare, evidentemente desideroso di poter mantenere disteso il rapporto venutosi a creare fra loro in quella circostanza, senza inquinarlo qual conseguenza di forse stupide insinuazioni « Dal momento in cui questo spiacevole caso sembra riservarsi un numero estremamente elevato di punti in comune con quanto accaduto un lustro fa a bordo della Jol'Ange, desideravo domandarti se, in assenza dell'incentivo rappresentato dalla necessità di recuperare i due scettri, sarebbe stata ugualmente tua priorità, o anche solo interesse, riunirti a questi tuoi compagni o se, invece, non ne avresti più neppure cercato notizia, così come è avvenuto con noi e, soprattutto, con Camne, che avevi eletto al ruolo di tua protetta, impegnandoti a ricondurla al nord, dai suoi parenti, all'isola dalla quale era stata rapita… »

Un quesito, quello che le venne allora posto, che ella non avrebbe potuto evitare di giudicare ingiusto nei propri confronti, immeritato in conseguenza di quanto da lei pur compiuto per ottenere rassicurazioni sul loro effettivo stato di salute, e che pur, comprese, essi non avrebbero potuto mai conoscere e, in ciò, non avrebbero potuto ovviare a considerare, il suo, quale un comportamento completamente privo di interesse, di affetto, per coloro che, all'epoca, avrebbero potuto essere definiti quali i superstiti di una sgradevole strage, impostasi a loro discapito senza colpa alcuna al di fuori dell'accoglienza a lei riservata. Al di là di ciò, comunque, ella non avrebbe potuto negarsi, e negare, l'esistenza di un diverso tipo di rapporto venutosi a instaurare con Howe e Be'Wahr, così come con Seem, che mai, malgrado il rispetto e, sicuramente, un certo spontaneo affetto per loro, avrebbe potuto provare in direzione degli stessi membri dell'equipaggio della Jol'Ange, con i quali, dopotutto, il cammino di vita percorso insieme avrebbe dovuto estremamente limitato, sino ad allora.

« Hai ragione a volermi porre questo interrogativo… » commentò ella, annuendo alle parole dell'interlocutore per dimostrargli di aver accettato il quesito propostole e di voler, sinceramente, soddisfare la sua curiosità, il suo interesse « Però non ti aspettare una risposta così semplice come, forse, preferiresti ricevere, un banale sì o no atto a ridurre ai minimi termini ogni sentimento, ogni emozione e, anche, ogni ragione, ogni logica. »

Ella aveva conosciuto Howe e Be'Wahr poco tempo dopo gli eventi che l'avevano obbligata a separarsi dalla Jol'Ange e, a ben intendersi, aveva avuto occasione di collaborare con loro solo in quanto sospinta dalla volontà di sfruttare le risorse di una sua inusuale mecenate allo scopo di individuare l'effettiva posizione e sorte della goletta a seguito di quella furiosa tempesta che l'aveva vista scaraventata in mare, perduta alla deriva. In quello shar'tiagho, tale solo di origine e neppur di nome, Howe, e nel suo altresì eburneo e biondo compare, altresì possessore di un nome degno di un figlio di Shar'Tiagh, Be'Wahr, ella aveva avuto così occasione di incontrare a coppia di fratelli più reciprocamente unita che mai ella avrebbe potuto immaginare esistere, forse coadiuvati in tal senso, nei propri sentimenti dalla consapevolezza di non avere neppure una stilla di sangue in comune.
Se, infatti, qual fratelli erano soliti considerarsi, chiamarsi e, ovviamente, amarsi, ovviamente negando con inappellabile fermezza quest'ultimo dettaglio, essi avrebbero dovuto essere riconosciuti quali figli di diversi padri e di diverse madri, famiglie che, nonostante origini evidentemente diverse, estranee l'una dall'altra, avevano avuto ragione di stringere un legame tanto solido da non limitarsi a far crescere insieme quella coppia di figli pressoché coetanei, ma, anche e ancor più, da invertire i loro stessi nomi ancor prima della loro nascita, chiamando pertanto l'uno con il nome che, altresì, sarebbe spettato all'altro e sancendo, in tal modo, una fratellanza che alcuno avrebbe mai saputo violare. E proprio di quel loro reciproco affetto, di quella loro persino sconsiderata incoscienza, tale da poterli spingere a sacrificarsi più che volentieri l'uno per la sopravvivenza dell'altro, Midda Bontor, a loro pur guerriera di rango superiore, di esperienza incomparabile, non avrebbe potuto ovviare a considerarsi gelosa, in cuor suo conscia di aver, purtroppo, perduto l'occasione di un tale, speciale, legame.

domenica 29 gennaio 2012

1471


« N
on noi. Non Lehn-Ha. » sostenne il giovane a terra, subito correggendosi nella volontà di non rendere ambigua la propria presa di posizione, non in una circostanza tanto spiacevole qual quella venutasi a creare, più per l'associazione lì suggerita che per la presenza della donna guerriero a gravare sopra il proprio corpo « Forse siamo pirati, ma non siamo al servizio di quell'esaltata. » specificò, prendendo inaspettata distanza da chi, sino ad allora, supposta loro diretta mandante.

Una reazione non solo inattesa, ma anche incredibilmente appassionata, quella da lui scandita malgrado la propria posizione di inferiorità fisica rispetto all'interlocutrice, che sorprese sinceramente la stessa Figlia di Marr'Mahew, costringendola ad aggrottare la fronte e a soffermarsi, per un lungo istante, nella volontà di prendere in esame in quale misura tutto ciò avrebbe potuto considerarsi veritiero e quanto, invece, un pietoso tentativo volto a dissimulare una realtà pur ovvia.
Istruita, sì, fin da bambina in discipline basilari che pur, la maggior parte della popolazione mondiale, avrebbero considerato inutili e persino noiose, qual le arti del leggere, dello scrivere e del far di computo, Midda Bontor aveva ricevuto una formazione non meno importante dalla propria stessa esperienza di vita, che le aveva imposto la necessità di apprendere quanto alcun mentore avrebbe mai potuto spiegarle o suggerirle, e, ancora, alcun libro, seppur prezioso, avrebbe potuto permetterle di leggere fra le proprie pagine. Tale formazione, simile addestramento, da lei conquistato insieme a ogni vittoria non solo nel corso delle proprie scapestrate missioni, ma anche, e soprattutto, nel corso delle lunghe, terribili, e sanguinare battaglie condotte in molti, troppi diversi scenari di guerra, primo fra tutti quella forse imperitura esistente sul confine fra i regni di Kofreya, a nord di Tranith, e di Y'Shalf, a nord-est; le aveva reso possibile sviluppare un'incredibile familiarità, addirittura intimità, con il concetto stesso di morte e di lotta a garanzia della propria sopravvivenza, non solo rendendola quella straordinaria combattente qual pur era divenuta, ma, e più importante, concedendole un'incredibile sensibilità all'ambiente a sé circostante, e a tutti gli attori lì presenti, capacità che, nel mentre di una battaglia, le avrebbe potuto concedere di prevenire un'offensiva a proprio diretto discapito e che, in una situazione meno frenetica, le avrebbe potuto permettere di apprezzare in quale misura un proprio interlocutore stesse mentendo o no, piegando la verità a proprio uso e consumo.
In grazia a tale acquisita capacità, non dono divino, non retaggio sovrumano, ma, semplicemente, frutto della costante difesa del proprio diritto a esistere e a godere della luce del sole a ogni nuova alba, Midda Bontor avrebbe potuto considerarsi sicura della veridicità dell'affermazione del disgraziato steso innanzi a lei, ai suoi piedi, anche solo in conseguenza a un semplice sguardo, allo studio del suo volto, dei suoi occhi e della cadenza della sua voce nell'affermare quanto da lui così dichiarato. Ciò nonostante, nell'insolita originalità di quello sviluppo, ella si volle concedere un ulteriore momento di riflessione, nel tentare di comprendere in quali termini avrebbe potuto meglio sfruttare quanto appena scoperto, quanto appena rivelatole. Perché, come sempre la vita e l'esperienza di vita le avevano insegnato, stolido da parte sua sarebbe allora stato sprecare una potenziale risorsa in proprio aiuto, seppur, sino a quel giorno, inappellabilmente giudicata qual sgradevole fastidio, così come aveva sempre ritenuto essere Lehn-Ha e tutti gli uomini al suo seguito.

« E per quale ragione il vostro… capitano, così come amate definirlo, non dovrebbe essersi piegato innanzi al fascino della mia gemella?! » questionò, necessariamente sospetta « Sarebbe l'unico ad averle resistito e, soprattutto, a essere sopravvissuto per potersene vantare. »
« Egli… » esitò l'altro a riprendere voce, posto in imbarazzo da quell'interrogativo o, forse e più probabilmente, dalla risposta già nota al medesimo, una replica che avrebbe preferito evitare di scandire « Egli è migliore rispetto a qualunque altro capitano. A qualunque altro figlio di Tarth che mai abbia affrontato questi ma… »
« Ti prego. Risparmiami questo falso e ridicolo fanatismo pseudo religioso. » scosse il capo la donna, senza neppure concedergli occasione di terminare il proprio proclama a esaltato sostegno del proprio capitano « O mi racconti la verità, o non potrò fare altro che considerarvi succubi di Nissa. »
« Non siamo succubi di nessuno! » protestò il pirata, arrivando, persino, ad accennare un movimento volto a risollevarsi per far valere, con la forza, i propri diritti, la propria integrità lì tanto apertamente vituperata « Noi non serviamo Rogautt. Né mai la serviremo. Mai! »
« Verrebbe da domandarsi se sia per una vostra libera scelta o se, magari, non sia stata la stessa succitata cagna a escludervi dalle proprie schiere per manifesta inferiorità. » commentò Av'Fahr, apparentemente non rivolgendosi ad alcuno in particolare e pur non sforzandosi neppure di parlare con tono moderato per ovviare all'eventualità di essere udito da qualcuno degli avversari appena sconfitti « Sino a oggi non mi risulta che abbiate mai associato il vostro nome a qualche particolare espressione di terrore… »
« Rispondi alla mia domanda, se desideri che ti creda. » insistette la mercenaria, ignorando volontariamente l'intervento del compare e tornando a insistere sull'unico, reale interrogativo rimasto aperto, il solo utile a definire, realmente, il particolare triangolo venutosi a creare fra lei, Lehn-Ha e Nissa.

E il giovane pirata, pur arrestando un insulto che, in maniera spontanea e incontrollata stava per essere dedicato al colosso dalla pelle color ebano a compenso del suo sarcasmo, non riuscì a frenare l'impeto emotivo conseguente a quella provocazione e, in ciò, malgrado ogni precedente imbarazzo, non mancò ora di replicare sinceramente alla propria primaria interlocutrice, offrendole la risposta da lei attesa sebbene, nei propri contenuti, l'ultima che mai avrebbe potuto attendere di ascoltare…

« Capitan Lehn-Ha è riuscito a restare indifferente all'influenza di Nissa in grazia al proprio passato rapporto con te, dannazione! » sancì, impetuosamente, non concedendosi alcuna sosta, neppur utile a respirare, prima di proseguire « Dopotutto non credere che esista qualche particolare differenza fra te e la tua gemella: la vostra innata arroganza, la vostra concezione egocentrica dell'universo, e la vostra prepotente predilezione per la violenza in ogni sua forma, vi accomunano in misura maggiore di quanto tu possa credere. E il nostro capitano, avendo già avuto te come avversaria, non ha trovato nulla di nuovo in una tua spudorata copia! » concluse, ormai senza fiato in quel breve ma intenso monologo.

Dunque era così che Lehn-Ha e i suoi uomini vedevano lei e Nissa?
Non che, in verità, quanto Lehn-Ha o chiunque al suo servizio potesse pensare a proprio riguardo le fosse mai interessato. Ma apprendere quel particolare punto di vista in un momento qual quello, in un'occasione già emotivamente instabile, qual inevitabilmente sarebbe potuta essere la sua, al di là di ogni apparenza, non avrebbe potuto lasciarla indifferente.
Quanti altri, oltre a coloro lì stesi innanzi a lei, avrebbero potuto interpretare in tal modo le differenze, ritenute inesistenti, fra lei e Nissa? Quanti altri, oltre a loro, avrebbero accomunato in maniera tanto semplicistica e riduttiva due caratteri completamente diversi quali i loro? Possibile che lo sguardo di tutti non si dimostrava in grado di superare i limiti imposti dall'aspetto fisico per impegnarsi a perscrutare quanto esistente oltre a un paio di generosi seni?
E, ancora, proprio in conseguenza a una tanto limitata visione della realtà, e della realtà caratteristica della loro dualità, il mondo era così ben predisposto a confonderle troppo facilmente, attribuendo a lei le colpe della sua gemella? Imponendo a lei le condanne altresì riferite a quanto compiuto da Nissa? O, forse, e terrificante a pensarsi, non erano tutti gli altri a sbagliarsi, non era l'umanità incapace di apprezzare una differenza fra lei e la propria nemesi, quanto, piuttosto ed effettivamente, alcuna differenza esisteva, e l'unica a ritenerla tale era proprio lei?
Quesiti angoscianti, per chi, nell'intero corso della propria esistenza si era impegnata ad affermare la propria autodeterminazione, e in ciò la propria indipendenza e la propria unicità da tutto e da tutti, mortali e dei, che non avrebbero potuto evitare di toglierle prepotentemente il sonno, per quanto, incredibile a dirsi, generati dalle parole pronunciate da chi, al mondo, ella mai avrebbe potuto supporre di restare effettivamente attenta ad ascoltare qual pur, lì, era rimasta.

sabato 28 gennaio 2012

1470


U
n'esperienza estremamente limitata, addirittura ridicola, nel confronto con quanto quel viaggio avrebbe preteso nel confronto con ogni singola sua membra, e che pur, sinceramente, lo aveva già lasciato segnato al punto tale da imporgli di offrirsi più che entusiasta all'idea di poterla prematuramente interrompere in conseguenza dell'offensiva loro imposta dai pirati di Lehn-Ha. Offensiva al termine della quale, si rendeva inevitabilmente pur conto, tutto quello sarebbe ricominciato e che, ancor peggio, nel protrarla eccessivamente a lungo qual pur una parte di lui avrebbe egoisticamente voluto fare, non avrebbe solamente posticipato l'inevitabile, ma lo avrebbe persino reso, in termini pratici, peggiore rispetto a quanto avrebbe potuto essere, nel richiedere loro di negarsi ulteriori possibilità di sosta a recuperare il tempo perduto, così come anche giustamente ricordato, o, in effetti, minacciato, dalla Figlia di Marr'Mahew.

« Adoro riuscire a individuare i giusti incentivi per convincere chiunque a fare qualunque cosa… » commentò Midda, con aria sorniona, nell'osservare i loro avversari essere letteralmente catapultati all'indietro, quasi un'incredibile deflagrazione avesse loro impedito di poter mantenere le posizioni nelle quali, tanto impetuosamente, si erano precipitati un attimo prima.

E più che corretto, in effetti, si dimostrò l'incentivo da lei così selezionato, ove non solo coloro presenti attorno al colosso dalla pelle color ebano, quant'anche quelli ancora in attesa di potersi confrontare con lei, vennero coinvolti nelle tremende conseguenze della furia del suo compare, allontanati da lei con minor difficoltà di quella che avrebbe potuto essergli propria in contrasto a uno sciame di moscerini. Moscerini che, nella fattispecie di quel caso specifico, non ebbero neppure occasione di riorganizzarsi per tornare a disturbare la coppia, non riuscendo, in tutta onestà, a individuare una sola, singola e semplice ragione degna di nota per la quale rischiare ulteriormente l'osso del collo in contrasto a quell'energumeno. Dopotutto già troppe volte la donna guerriero era loro fuggita e, di certo, un'ulteriore fallimento in coda a una lunga sequela di altri precedenti non avrebbe riservato loro danno superiore rispetto a quello che sarebbe potuto essere loro imposto se solo si fossero continuati a ostinare in quella sventurata ipotesi d'offesa, in un'aggressione qual difficilmente sarebbe potuta essere comunque e alfine considerata realmente tale.
Così, ove un solo istante prima, pertanto, la donna guerriero si era proposta completamente circondata, sebbene, per sua fortuna, mai realmente assediata, mai dimostratasi qual in inferiorità rispetto ai pur numerosi avversari; un semplice attimo dopo ella si ritrovò a essere libera da qualunque oppositore, riservandosi di essere, addirittura, in conseguenza di tutto ciò forse e persino lievemente contrariata, qual conseguenza dell'eccessiva repentinità nella quale balocco le era stato sottratto, negato prima ancora di potersi realmente definire stanca di giuocare.

« D'accordo… così però è un po' troppo. » soggiunse, storcendo le labbra verso il basso, nell'osservare l'ambiente attorno a sé animata dalla speranza che almeno un paio, fra i pirati, fossero ancora desiderosi di dimostrare di possedere energia sufficiente per tentare una nuova, conclusiva offesa nei suoi riguardi « Uffa. Avremmo potuto permetterci ancora un quarto d'ora di svago prima di riprendere la strada. » si ritrovò costretta a lamentarsi, ove insoddisfatta nella propria questua
« Niente capricci! » la rimproverò l'uomo, con esplicito tono scherzoso « Abbiamo tanta strada ancora da percorrere… ovunque tu voglia, effettivamente, andare. » le ricordò, facendo atto di incamminarsi in direzione dei due cavalli, ritrovando, ovviamente, questi ultimi quali allontanatisi dal conflitto in corso, sebbene e fortunatamente senza abbandonarli, dopotutto più che adeguatamente pagati al proprietario al fine di ottenere da parte sua tutte le rassicurazioni del caso nel merito di un loro addestramento in tal senso.
« Più che andare si tratta di tornare. » puntualizzò la mercenaria, muovendo anche lei qualche passo, sebbene, invece, in direzione degli avversari caduti « Prima di rimetterci in viaggio, lasciami scambiare qualche parola con i nostri amici: sarebbe estremamente scortese, da parte nostra, incamminarci senza offrire loro neppure un cenno di saluto, o un semplice ringraziamento per quanto compiuto. »
« Midda… » la richiamò con tono addirittura paterno, quasi un genitore in direzione della propria figliuola, in conseguenza all'insistenza volta a prolungare un qualche momento ludico, indifferente alla necessità di dover ormai fare ritorno a casa, data la tarda ora sopraggiunta.
« Un attimo solo. » insistette ella, ora riservando per sé un tono freddo e distaccato, privo di qualunque nota giuliva che potesse lasciarne fraintendere la reale serietà « Voglio che mia sorella possa essere informata di quanto mi stia mobilitando per condurle ciò che ha richiesto… » spiegò, genuflettendosi in prossimità di quello che gli parve il più vigile fra tutti coloro lì distesi a terra, probabilmente non realmente inabile a nuovi combattimenti, e pur non desideroso di affrontarli.

Il pirata in questione, un ragazzotto di non più di vent'anni, privo di una barba realmente definibile qual tale e più prossima a una sorta di incolta lanugine desiderosa di dimostrare una virilità ancor effettivamente da maturare, restò allora immobile e in silenzio nel confronto con lei, quasi le sue parole non potessero essere realmente interpretate dalle proprie orecchie, non diversamente da come sarebbero state se pronunciate in una lingua per lui sconosciuta.
Non tal caso, comunque, avrebbe dovuto essere supposto quello, ove, al di là di quanta estraneità egli avrebbe potuto simulare, i complessi tatuaggi tribali presenti su entrambe le sue braccia, e non dissimili da quelli ancora risplendenti sulla pelle dell'unico braccio rimasto all'ex-marinaia, non avrebbero potuto lasciar fraintendere né la sua nazionalità, né la sua isola d'origine: indubbiamente tranitha, come testimoniato dalle forme tribali di quelle indelebili decorazioni; e indubbiamente proveniente dalle isole orientali del pur vasto regno marittimo, come definito dalle particolari tonalità di verdi lì impiegate, a differenza di quelle azzurre e blu della sua interlocutrice, atte a pubblicizzare una sua origine dalle isole più meridionali.

« Se pensi di poterti fingere sordomuto, mi spiace per te, mio caro, ma ho perfetta memoria dell'imprecazione da te scandita quando, pocanzi, ti ho colpito alle reni… » annunciò Midda, china su di lui, quasi a non voler concedere al suo messaggio di potersi disperdere nell'aria fra loro, offrendogli in tal senso una qualche scusante a una pur palesemente fittizia deficienza uditiva.
« Quindi, te ne prego, sii cortese e riprendi a cantare come un usignolo, per tornare dalla tua padrona e dirle che avrà i suoi dannati scettri, e che, nel frattempo, non torca un solo capello ai due prigionieri, se non desidera che questa faida fra noi possa assumere le dimensioni di una guerra. E di una guerra di proporzioni epiche, addirittura mitologiche, dove sarei disposta ad asservirmi tutti i mercenari di quella terra dimenticata dagli dei di nome Kofreya per poterla annientare. » minacciò, senza rabbia, ma con una resa finale resa ancor più enfatica dalla propria stessa freddezza, dal proprio autocontrollo, tale da non lasciar contemplare l'opportunità, da parte sua, di un intervento del tutto gratuito e privo di fondamento alcuno « Questo senza contare il numero di gorthesi che, sono certa, sarebbero più che lieti di seguire una trionfatrice dei giochi della loro Arena in un'impresa destinata a essere incisa a lettere d'oro nella Storia! »
« Tutti noi serviamo capitan Lehn-Ha. » replicò l'uomo, con un filo di voce, pur da lei perfettamente udibile e comprensibile nel proprio significato « Non quella cagna di tua sorella. »
« Ehy… la conoscono davvero, allora! » ridacchiò Av'Fahr, riferendosi al termine non propriamente elegante con cui era stata appena indicato il soggetto di quella sentenza, termine con il quale, quanto minimo, anch'egli l'avrebbe descritta, ma solo nella volontà di non essere più scurrile.
« Tutti i pirati di questi mari sono asserviti a Nissa Bontor. E Lehn-Ha, al di là di ogni suoi impegno volto a preservare le apparenze, e a consentirgli ingresso sicuro nei vari porti, è, è sempre stato, e sempre sarà un dannato pirata… » asserì la mercenaria, a negazione di quanto dal proprio interlocutore sostenuto, di quella supposta estraneità con la propria nemesi, la propria gemella, regina dell'isola di Rogautt e sovrana di ogni tagliagole di quell'angolo di mondo, e di mare.

venerdì 27 gennaio 2012

1469


N
on con sufficienza, in grazia a una tale consapevolezza, alla coscienza di una simile necessità per lei forse ancor maggiore rispetto alla mera sopravvivenza a una sfida nella quale alcun danno le era stato promesso, Midda mosse il proprio destro a levarsi in contrasto a un dritto sgualembro, in tal gesto non limitandosi a respingere il colpo ipotizzato in propria offesa ma, anche, afferrando saldamente quella medesima lama fra le proprie dita metalliche per poterne reindirizzare il movimento sul fronte opposto rispetto a quello ove era stato concepito, lì ergendosi ora a sua protezione da un roverso tondo sgradevolmente destinato ad aprirle il ventre e già sospintosi eccessivamente prossimo a tale obiettivo, a simile, forse neppure bramato, successo. Difficile, in verità, sarebbe stato comprendere in quale misura quei pirati stessero agendo allo scopo di catturarla e in quale, altresì, volessero ferirla o, persino, ucciderla: probabilmente, al di là di ogni loro possibile atteggiamento, la loro confidenza con quel genere di scontri avrebbe dovuto riconoscersi tanto limitata da renderli, a conti fatti, estremamente più pericolosi di quanto sarebbero potuti essere presentandosi quali guerrieri esperti, completamente confidenti con le proprie armi e le possibilità delle medesime. A completamento della propria azione difensiva, pertanto, se al primo avversario venne da lei donato un semplice schiaffo con la sua mancina, semplice sì, e pur sufficientemente energico da disorientarlo e costringerlo ad arretrare per riprendersi da tale offesa; al secondo venne riservato un più spiacevole calcio comunque indirizzato non a una delle sue rotule, là dove avrebbe potuto riservarsi maggiore efficacia nel porre fuori dalla competizione quello pericoloso sprovveduto, quanto, e piuttosto, ai suoi testicoli, là dove, al di là di una forte, fortissima sensazione dolorosa, nulla sarebbe stato negato a quell'uomo nella volontà di tentare un nuovo attacco o, più saggiamente, una qualche azione rivolta alla ritirata, all'abbandono del campo.

« Ehy… con questi stuzzicadenti stanno iniziando a infastidirmi. » si lamentò Av'Fahr, ritrovando voce verso di lei a commentare gli ultimi tentativi d'offesa rivolti a suo discapito « Sei proprio sicura di voler continuare a concedere loro occasione utile a tentare di farmi la pelle?! »
« Se davvero consideri questa qual una battaglia nel corso della quale puoi rischiare di rimetterci qualcosa, forse è meglio per te tornare alla Jol'Ange. » definì ella, quasi con tono di rimprovero per il tono adottato da parte dell'uomo, e atto a riconoscere, ai loro avversari, una possibilità nei suoi riguardi, a suo discapito, così come ella non voleva pur concedere ad alcuno fra gli stessi « Questo per noi dovrebbe essere un allenamento, se non, addirittura, uno svago nel quale poter sfogare un po' di emozioni represse. Nulla di più… » sancì, a non concedere al compagno possibilità di protesta nel confronto con la severità di quel suo giudizio, sì intransigente e pur, non di meno, necessario a non poter lasciare dubbio alcuno nel proprio interlocutore di quanto avrebbe potuto e sarebbe dovuto essere da loro atteso per l'immediato futuro, così che, ove egli non si potesse ritenere all'altezza del compito preteso per sé, fosse ancora in tempo a retrocedere, a ritornare sui propri passi non diversamente da come, di lì a breve, sarebbero stati costetti a compiere gli uomini di Lehn-Ha.

Al di là delle proprie parole, dell'affaticamento da lui dimostrato anche, e soprattutto, al fine di definire un argomento di pur faceto dialogo con la propria compagna, egli non avrebbe mai potuto sottovalutare le proprie risorse, e, contemporaneamente, sopravvalutare quelle dei propri avversari, al punto tale da giudicarsi inadatto a quel confronto, inabile a proseguire in quella che, seppur a suo discapito pensata qual battaglia, egli stava ancor impegnandosi a gestire non troppo diversamente da una rissa, non invocando il sangue e la morte delle proprie controparti ma, più semplicemente, accontentandosi di far sputare loro quante più imprecazioni possibili in conseguenza del continuo insuccesso nei suoi riguardi e, ancor più, delle randellate comunque loro destinate a compensazione di ciò. Divenuto esperto conoscitore dell'arma appartenuta alla propria sorella maggiore, di quella splendida lancia arma abitualmente sottovalutata dalla maggior parte dei guerrieri in quanto giudicata priva di virilità, non, per lo meno, al pari di una spada, di una mazza o di altre risorse assimilabili, il figlio dei regni desertici centrali stava allora dimostrando tutta la propria perizia nello sfruttare al meglio le ampie possibilità riservategli nell'utilizzo di quell'arma, concedendosi di poter, al contempo, definire un'inviolabile barriera difensiva attorno al proprio corpo e, con un minimo sforzo aggiuntivo, di poter anche recare offesa, non letale, ai propri antagonisti, offrendo loro la parte inerme di quell'asta e non la sua punta metallica, in contrasto alla quale troppo semplice sarebbe potuto essere per lui estirpare tutti coloro contro di sé slanciatisi con tanto impeto.
In ciò, se all'ennesimo tentativo di fendente dritto diretto a discapito del suo collo, Av'Fahr ebbe occasione di reagire spazzando con un movimento deciso la lama a sé nemica e guidandola a infilarsi, con profondità nel suolo al suo fianco; se all'ancor vana ipotesi di ridoppio roverso a discapito della propria gamba destra, egli reagì piombando duramente sul polso dell'avversario con energia tale non mandarlo in frantumi ma, al tempo stesso, da non permettergli di ipotizzare il completamento di quell'offesa o di altri attacchi a sé destinati; innanzi a un nuovo, stolido affondo egli rispose con un movimento del tutto speculare, allungando la punta tonda dell'asta della propria lancia verso il petto dell'avversario contro di sé slanciatosi e, in ciò, proiettandolo con energia, con forza, con violenza all'indietro, lontano non solo dall'obiettivo che quel pirata si era prefisso ma, ancor più, dall'intera area eletta a teatro del loro scontro. Tutto ciò, ovviamente, senza richiedere da parte di alcuno di loro una sola stilla di sangue, ove, comunque, violacei ematomi non sarebbero tardati a comparire nei punti lesi qual ricordo di quell'incontro, di quella disfida da loro tutti pretesa e pur, per alcuno fra gli stessi, potenzialmente vincente.

« Stai invecchiando, amica mia. » replicò l'uomo, sorridendo sornione verso di lei « E invecchiando stai divenendo acida, non sapendo distinguere un semplice scherzo da una sincera ammissione di resa. » puntualizzò, a negare da parte sua qualsiasi desiderio di disimpegno da quella sfida « Fosse per me, sappilo, potrei continuare così sino alla prossima alba… e anche oltre! »
« Come vuoi. » minimizzò ella, per nulla meravigliata dall'eccessiva enfasi dell'interlocutore nei riguardi delle proprie capacità, dopotutto abituata, sin dall'infanzia, al confronto con i marinai e la loro propensione all'accrescimento, sino all'inverosimile, di ogni più banale verità « Dopo, però, dovremo cavalcare per due giorni e per due notti senza sosta per recuperare il tempo perduto ora… » specificò, a ricordare al proprio compagno, e anche e soprattutto a se stessa, quanta scarsa disponibilità di tempo avrebbero dovuto considerare a propria disposizione, soprattutto da sprecare in attività prive di scopo qual quella attuale.
« Per Gah'Ad… no! » esclamò, lasciando improvvisamente roteare con maggiore impeto la propria lancia attorno al corpo, a spazzare lontano da sé chiunque gli fosse vicino, gettandolo a terra privo di sensi o, comunque, decisamente prossimo a tale condizione, per la forza da lui posta in un tal gesto, qual reazione alla minaccia rivoltagli dalla mercenaria.

Qual figlio del mare, al pari di un qualunque marinaio, Av'Fahr avrebbe potuto affermare, senza menzogna alcuna, di aver trascorso la maggior parte della propria vita per mare, ragione per la quale non solo, e semplicemente, il contatto con la terraferma era per lui causa di imbarazzo, di intimo disagio, ma, ancor più, alcuna confidenza avrebbe potuto vantare con i mezzi di trasporto tipici di quel mondo per lui lontano e, ormai, quasi sconosciuto. Cavalli, muli e carri, su di lui, non avrebbero in ciò potuto sortire effetto diverso da quello che, qualche settimana prima, aveva sortito per Be'Sihl il trasferimento a bordo della Jol'Ange, esperienza per lui inedita e, in questo, non priva di ripercussioni sulla sua psiche e, ancor più, sul suo stomaco, per diversi giorni incapace di concedergli tregua. E così, in effetti, sebbene non era giunto a restituire al cielo e alla terra la colazione di quella mattina, il colosso dalla pelle color ebano non aveva potuto evitare di subire tutte le conseguenze più sgradevoli della propria prima cavalcata dai tempi dell'infanzia ormai dimenticata, cavalcata che, oltre a mettere a dura prova la sua schiena e i suoi lombi, gli aveva già ispirato un principio di mal di testa, sebbene, in effetti, fosse durata per meno di un'ora, il tempo necessario a uscire all'esterno della città di Seviath e ad avviarsi verso sud, in direzione della prima tappa per così come definita dalla propria compagna.

giovedì 26 gennaio 2012

1468


« D
immi la verità… » domandò Av'Fahr, a denti stretti, e pur, malgrado una tale espressione, non potendo ovviare a rendere trasparente un chiaro stato di eccitazione nel profondo del proprio cuore, quasi quell'imprevisto avesse da considerarsi qual uno sviluppo assolutamente gradevole, un diversivo persino piacevole, innanzi al quale non ritrarsi « Sapevi che sarebbe finita così?! »
« Sapere… no. » sorrise Midda, scuotendo appena il capo e, con esso, offrendo animazione alla propria confusa e sempre disordinata chioma di capelli corvini, tali per sua esplicita volontà ove, senza un suo periodico intervento volto a mantenere integro tale colore essi sarebbero inevitabilmente ritornati alla propria naturale tonalità di rosso, la stessa della quale, invece, era solita fare sfoggio la propria gemella « Sperare… sì. Lo ammetto. Un po' ci speravo! »
« Chissà se il buon Be'Sihl conosce questo aspetto perverso del tuo carattere… » questionò l'uomo, a voler, sebbene unicamente per finalità di giuoco, porre dubbi sulla stabilità del rapporto fra i due o, ancor più, sulla compatibilità, non ovvia, dei loro caratteri, dei loro stili di vita e del loro modo di confrontarsi con la realtà circostante « Non vorrei apparire negativo, ma credo che potrebbe restare sconvolto a scoprirti così attaccabrighe… »
« Oh, no. Non ti preoccupare. » minimizzò l'altra, quasi ridacchiando all'ipotesi appena formulata, evidentemente apprezzandone i toni e le ragioni « Mi conosce bene. E sa che quando soffro d'insonnia il modo migliore per rasserenarmi è lasciarsi coinvolgere in qualche bella rissa. »

Rissa, quella in tal termine appena definita dalla voce della Figlia di Marr'Mahew, che difficilmente chiunque avrebbe potuto considerare qual tale, ove raramente una rissa avrebbe potuto prevedere il ricorso alle armi qual sincero augurio di morte rivolto a discapito dell'avversario. Rissa, comunque, che effettivamente ella, la mercenaria meglio pagata di quell'angolo di mondo, stava giudicando e affrontando qual tale, neppur ponendo mano alla propria spada bastarda, con l'intervento della quale avrebbe potuto facilmente porre fine alla questione in essere prima che essa si potesse delineare qual sfavorevole per sé o per il proprio compare. E Av'Fahr, per quanto a lei estraneo, per quanto tutt'altro che abituato a condividere con lei tali momenti, qual già, invece, era stata sua sorella Ja'Nihr cinque anni prima, non tardò comunque a dimostrarsi adeguato al ruolo scelto qual proprio, non fraintendendo neppur per un istante i desideri della propria sodale e, anzi, interpretandoli alla perfezione, nel non ricercare, con la propria unica arma, altro al di fuori di un'occasione nella quale lasciar smorzare ogni offensiva a sé destinata.
Se, infatti, Midda Bontor avrebbe potuto vantar dalla propria la presenza di un braccio destro in nero metallo dai rossi riflessi, posto in sostituzione a un'originale purtroppo perduto in gioventù, e utile a proteggerla qual uno scudo accanto a lei sempre presente; la sua imponente spalla non avrebbe potuto offrir sfoggio di nulla di simile e, seppur non desideroso di invocare il sangue dei loro avversari, non avrebbe potuto ovviare a ricercare la presenza della splendida lancia un tempo appartenuta alla propria perduta familiare, lancia che, tuttavia, avrebbe saputo, con estrema facilità, riadattarsi a scopi offensivi quanto a scopi difensivi, così come dimostrato in quella particolare situazione.

« Non mi ero reso conto che tu avessi sofferto d'insonnia in questi giorni… » obiettò il colosso d'ebano, per un attimo non cogliendo le parole di lei nella loro più corretta interpretazione.
« Poco male. » scrollò le spalle la donna, strizzando poi l'occhio sinistro in direzione del proprio alleato e compagno in quella piccola battaglia « Vorrà dire che dovrò essere grata a questi poveracci inviati da Lehn-Ha per avermi concesso occasione di molte notti serene. »

Qual gli eventi lì in atto non avrebbero potuto ovviare a dimostrare in maniera chiara, evidente, addirittura retorica persino all'attenzione di Av'Fahr, così poco presente nella quotidianità della propria attuale compagna di viaggio, Nissa Bontor non era stata, per lei, l'unico appuntamento fisso impostole dal proprio passato nelle zone di mare, in qualsiasi porto ella avesse avuto, negli ultimi quindici anni, avuto occasione di porre piede. Lehn-Ha, o capitan Lehn-Ha, così come continuavano imperterriti a definirlo coloro posti al suo servizio, sembrava infatti aver reso qual unico scopo della propria esistenza l'opportunità di un nuovo incontro con lei dopo la loro prima, e unica, occasione di confronto diretto. E, al di là di tutta la propria insistenza, di tutta la propria perseveranza in tal senso, le dinamiche di quanto occorso realmente fra Lehn-Ha e Midda, risalendo addirittura all'epoca del primo equipaggio della Jol'Ange, si era ormai persa nei meandri della Storia, ricordata, probabilmente, solo dai due diretti interessati e da nessun altro ancora.
Inizialmente sgradevole tanto da irritarla sinceramente nel proprio semplice essere nominato, ormai quell'uomo e i suoi tentativi di approccio con lei erano divenuti sì grotteschi nella propria puntualità da non poter suscitare null'altro che simpatia e, persino, pietade, al punto tale da convincerla che, un giorno, non si sarebbe opposta all'ennesimo gruppetto di suoi sventurati pirati, e avrebbe accettato di essere condotta al suo cospetto. Purtroppo per gli appartenenti al gruppo attuale, tuttavia, ella non avrebbe potuto definir proprio alcun interesse in tal senso allo stato attuale delle cose e nel confronto con l'incarico reso proprio per la salvezza di Camne e di Hui-Wen, ragione per la quale, sebbene essi fossero stati sufficientemente accorti da attendere di essere all'esterno dei confini cittadini prima di aggredirla con armi, onde ovviare al rischio di attrarre l'attenzione delle guardie di Seviath, ella non volle concedere loro null'altro che una severa lezione, tale a istruirli, nuovamente, su quanto sarebbe stato loro concesso sino a quando non si fossero avvicinati a lei con maggiore umiltà e rispetto.

« Il bisonte non ci interessa. Uccidetelo pure. » si premurò di ricordare il riferimento principale di quel drappello, mantenendosi, prudentemente, a una pur minimale distanza di sicurezza dal luogo dello scontro, a prevenire un proprio diretto coinvolgimento in esso « E solo la cagna tranitha a esser richiesta dal nostro capitano! » insistette, a dimostrazione di quanta umiltà e rispetto, in quella particolare occasione, avesse da considerarsi in lui nei riguardi della propria avversaria.
« Bisonte?! » protestò Av'Fahr, aggrottando la fronte a quella definizione nel contempo in cui, ancora una volta, la lunga asta della sua lancia venne guidata al fine di deviare l'ennesimo affondo ipotizzato a suo discapito e, in tal modo, ridiretto verso un'inerme spazio vuoto al suo fianco.
« Non ti lamentare. Io sono stata definita cagna… » commentò Midda, a sua volta difendendo l'integrità del proprio corpo con il ricorso al proprio braccio destro, impiegato, nella fattispecie, per arginare la discesa di una mazza in contrasto alla sua nuca, ricambiando, immediatamente e contemporaneamente, la cortesia riservatale con un montante della propria mancina, per somma fortuna e benevolenza verso l'avversario lì offertasi solo e semplicemente di carne e ossa ove, altrimenti, ne avrebbe certamente infranto la mandibola e la mascella quasi fossero stati di fragile terracotta « La verità è che, al di là di quanto possano fingere, non sono poi cattivi: sono solo dei ragazzini frustrati che cercano di imporre la propria non ancor pienamente definita virilità su tutto e su tutti ricorrendo alla violenza, come dei pargoli capricciosi ma semplicemente desiderosi di attrarre l'attenzione dei grandi. » tentò di offrire una ragione a tutto ciò, ovviamente approfittando, in tal senso, per canzonare nuovamente le controparti.

Al di là delle proprie parole, della leggerezza da lei dimostrata anche, e soprattutto, al fine di sfiduciare i propri avversari in quel tentativo d'offesa, ella non avrebbe mai potuto sottovalutare quel manipolo di uomini lanciatisi contro di lei. Non avrebbe agito in tal senso, dopotutto, in condizioni di normalità e, ovviamente, non avrebbe avuto alcuna ragione di agire in simile maniera nel considerare quanto, ancora, i postumi della lunga prigionia stessero imponendo debolezza al proprio corpo, lentezza ai propri riflessi.
Alcuna ironia, quindi, avrebbe dovuto essere riconosciuta nell'affermazione da lei pocanzi scandita nel merito di una speranza rivolta all'eventualità propria dell'occorrenza di quello scontro. Non tanto allo scopo conciliare il proprio riposo nella notte che sarebbe seguita di lì a qualche ora, quanto e piuttosto nella volontà di verificare, in termini pratici, le proprie effettive condizioni fisiche, per comprendere quante possibilità avrebbe potuto avere di condurre a compimento quel viaggio. E, ancora, al parallelo e non banale fine di valutare le capacità guerriere del proprio nuovo compagno di viaggio e d'arme, ponendolo alla prova in uno scontro nel quale gli sarebbe stata negata la possibilità di imporre danno a chi, al contrario, a lui ne voleva imporre parecchio, in una situazione forse antitetica a quella che già l'aveva veduto protagonista nel confronto con i pirati della Mera Namile, battaglia per la quale egli aveva giustamente cercato ragione di merito, di vanto.

mercoledì 25 gennaio 2012

1467


« F
ossi in te, non ci scommetterei. » rispose la Figlia di Marr'Mahew, rivolgendosi nuovamente e alfine alla propria, ora laconica, controparte « Non scommetterei neppure un soffio di polvere di pirite sull'incapacità, per chiunque, e per la sottoscritta nella fattispecie, di impedirti di seguirmi. » esplicitò, a non concedere dubbi nel merito di quanto stava affermando « Ciò nonostante, prima di risponderti desidero porti una domanda: credi di essere migliorato dal nostro ultimo confronto? Perché quella volta noi stavamo giocando, e io ti ho battuto… »

Un nuovo, ancor necessario e, probabilmente, sempre obbligato momento di laconicità contraddistinse, allora, i due interlocutori, ove al di là di tutta la propria baldanza, di tutto l'impeto da lui proclamato nel seguire o, addirittura, inseguire i passi della mercenaria, scegliesse ella di accoglierlo qual proprio compare di viaggio o, meno gradevolmente, di costringerlo a braccarla quasi fosse una preda, egli non avrebbe mai potuto, in fede, trascurare il valore della propria interlocutrice. E sebbene la risposta a quel quesito, nel suo cuore e nella sua mente fosse certa, né l'uno, né l'altro, ebbe sentimento o raziocinio di esprimerla immediatamente, di offrirle subito voce, dal momento in cui nel confronto con la Figlia di Marr'Mahew, persino per un suo amico, stolido sarebbe stato approcciarsi con estrema leggerezza, con palese noncuranza qual, in altri termini, egli avrebbe pur potuto apparire intenzionato a compiere.
Le imprese della donna guerriero, dopotutto, erano in grado di esprimere in completa autonomia il suo valore e nulla di quanto prima riconosciutole, a seguito della sconfitta impostale dalla sua gemella, avrebbe potuto influire in una timorosa valutazione qual solo sarebbe potuta essere propria per chiunque attorno a lei. Invero, anzi, tutto ciò sarebbe valso non tanto qual ragione di dubbio sui meriti della mercenaria, quanto, e piuttosto, qual motivo di scalpore per le ancor più straordinarie capacità dimostrate dalla regina dei pirati, colei che era così riuscita ove né scultoni né chimere, né zombie né gargolle, né tifoni né anfesibene si erano concessi speranza di vittoria, venendo da lei sempre sconfitti, addirittura sterminati. In ciò, per una delle regole più istintive e naturali dell'intero Creato, nel rispetto della quale molti, forse anche troppi stolti erano da anni soliti tentare la sorte in contrasto a Midda Bontor, colei che aveva sconfitto l'eroica trionfatrice di così tante imprese ne ereditava ineluttabilmente il merito, dimostrandosi, in ciò, più temibile di una delle più valenti figlie della guerra di quell'angolo di mondo, se non dello stesso mondo intero.
Alfine, comunque, dopo aver rispettato quell'inviolabile silenzio atto a rendere il giusto omaggio all'asserzione dell'interlocutrice e al suo ruolo, alla sua persona, Av'Fahr recuperò parola, non retrocedendo di un solo, impercettibile passo dalla propria posizione precedente e, anzi, argomentando in maniera completa le proprie ragioni…

« Così dicendo, mi spiace, dimostri però di star obliando al ricordo di quanto accaduto solo pochi giorni fa, quando io e tutti i miei compagni ci siamo posti a confronto con un'armata di pirati della peggior risma al solo scopo di salvarti dalla prigione nella quale ti avevano rinchiusa. » evidenziò, aggrottando la fronte con fare scettico nel merito della severità di giudizio da lei riservatogli « Credi forse che, conoscendo i tuoi dubbi nel merito delle mie capacità, gli uomini e le donne al servizio di tua sorella abbiano ovviato a cercare confronto con me? » questionò, ovviamente ironico nella propria espressione.
« No. Non credo questo. Ma, in verità, so che quei pirati avevano avuto anche ordine di non uccidervi. » puntualizzò ella, sorridendo con incedere maternamente comprensivo « Me lo avete raccontato proprio voi. »
« Di non ucciderci… tutti. » corresse egli, in una non gratuita precisazione, ove, altrimenti, quanto da loro compiuto sarebbe potuto essere giudicato non solo privo di ragioni di vanto, ma anche di merito, venendo declassata da battaglia a mera carneficina in contrasto ad avversari praticamente inermi « E ti posso assicurare che dopo le prime schermaglie, al di là degli ordini ricevuti, tutti loro avrebbero voluto decapitarci e appendere le nostre teste al pennone più alto. »
« D'accordo. D'accordo. » si arrese ella, levando le mani in segno di resa.
« E poi, a prescindere da quanto è accaduto, è giusto che tu sappia che, sin dalla morte di Ja'Nihr e di Salge, alcuno a bordo di questa nave ha speso il proprio poco tempo libero in un'attività diversa da quella rivolta all'addestramento all'arte della guerra, attendendo il giorno in cui, finalmente, sarebbe stata nostra possibilità vendicarci per quanto accaduto. » insistette « La Jol'Ange ha perduto completamente la propria innocenza, ammesso che di innocenza si sarebbe mai potuto parlare in passato. »

Parole estremamente gravi, quelle allora pronunciate forse inconsapevolmente da parte dell'uomo, che nel confronto con il cuore della donna dagli occhi color ghiaccio pesarono quali macigni, imponendole un duro, ruvido contatto con la responsabilità delle proprie azioni e, ancor più, delle proprie omissioni.
Un tempo, vent'anni prima, nessuno a bordo della Jol'Ange avrebbe potuto esser definito un guerriero. Ove anche, infatti, tanto ella quanto Salge erano stati formati ai primi e più importanti fondamenti del combattimento da un ottimo maestro d'armi, alcuno dei due avrebbe avuto ragione di definire se stesso qual combattente, guerriero o quant'altro, riconoscendo qual propria prima e sola natura quella dei marinai, figli di Thyres o Tarth e, come tali, votati alle infinite distese azzurre entro le quali, erano certi, sarebbero vissuti per sempre, fino al termine dei propri giorni. In quel tempo, in quegli anni, in quell'epoca ormai perduta, la Jol'Ange aveva rappresentato per tutti loro un rifugio sicuro, un santuario, una madre affettuosa nel cui abbraccio lasciarsi cullare senza porsi il benché minimo pensiero sul presente o sull'avvenire: non, per lo meno, pensieri volti alla necessità di addestrarsi per combattere un guerra, per vendicare i propri morti o per difendere il proprio diritto a esistere, ed esistere sul quello stesso mare che per loro rappresentava la sola, reale, vita che mai avrebbero potuto e saputo vivere.
L'idea, in tutto questo, che la Jol'Ange, la "sua" Jol'Ange, quell'oasi di nostalgica e giovanile spensieratezza, potesse aver perduto la propria innocenza, così come esplicitamente affermato da parte dell'uomo, non avrebbe potuto evitare di turbarla profondamente, e, necessariamente, persino ferirla, nel rendersi conto di come, proprio malgrado, fosse stata lei l'origine di quel male. Ella che alla Jol'Ange aveva contribuito a dar vita, sciaguratamente, sembrava averla al contempo condannata a una lenta, straziante agonia, calvario al termine del quale la morte, paradosso osceno, sarebbe parsa essere quasi una soluzione gradita, una piacevole via di fuga da un presente troppo osceno per essere meritevole d'esser affrontato.

« Come stavo dicendo… » riprese voce, non senza un certo impegno al fine di ritornare a far sfoggio della propria consueta maschera di indifferenza, a voler proteggere le proprie più intime emozioni, i propri più riservati pensieri dall'attenzione del pubblico a sé circostante, per quanto costituito solo da volti amici, persone a cui ella doveva riconoscere il merito di averla salvata « Come stavo dicendo… sono d'accordo a riconoscerti l'occasione che domandi. E, in effetti, lo ero già prima di quest'ultimo tuo intervento, per il quale, sinceramente, non trovo ragione di soddisfazione alcuna. »
« Io non intendev… » tentò di intervenire l'uomo, a correggere quanto, ora, aveva compreso aver imposto più danno che sostegno al proprio rapporto con colei che desiderava accompagnare in quel viaggio, in un esordio, invero, non sì gradevole qual avrebbe preferito potersi riservare.
« Non importa. » scosse il capo ella « Non è importante quanto intendevi o non intendevi dire, ma quanto, invero, è. » non si concesse alcuna pietà, in misura forse addirittura inferiore a quella che pur avrebbe potuto riconoscere a un avversario « Ciò nonostante, ora non è il tempo di lasciarsi crogiolare nell'autocommiserazione. Ho due scettri da recuperare; due persone da salvare; una sorella da accoppare; e una nave alla quale restituire la propria serenità, indebitamente sottratta. » elencò, con un sorriso forse sereno, è che pur apparve estremamente minaccioso, forse in grazia alle parole che lo accompagnarono, sebbene pronunciate lì con tono quasi scherzoso « Mettiamoci in marcia… o si farà notte! »

E a Noal, attuale capitano della Jol'Ange, erede di Salge Tresand, non restò altro da fare se non salutare, con un cenno della mano, Midda e il migliore dei suoi marinai allontanarsi dalla goletta, pregando in cuor suo tutti gli dei da lui conosciuti, e anche abitualmente non venerati, di poterli veder tornare quanto prima: non solo per poter raggiungere e salvare Hui-Wen, suo amato, e Camne Marge; ma, anche e ancor più, per potersi rassicurare di fronte all'evidenza di non dover essere costretto a celebrare, ancora e dolorosamente, altri funerali qual pur si era troppo recentemente ancora una volta ritrovato a dover compiere, allo scopo di onorare la memoria della povera Berah, sua amica e suo secondo in comando, ultima vittima, in ordine cronologico, di quella folle guerra, non desiderata né ricercata, in contrasto a Nissa Bontor.

martedì 24 gennaio 2012

1466


« E
hy… non penserai davvero di potertene andare così, spero bene. » esclamò Av'Fahr, rivolgendosi verso la donna e facendo capolino, con la sua monumentale, statuaria massa di muscoli guizzanti sotto una nera pelle inevitabilmente resa lucida dal sudore, e con una sacca in mano, dando chiara riprova delle proprie sottintese intenzioni.

Mascolino e possente non di meno rispetto alla propria voce, quel marinaio della Jol'Ange avrebbe dovuto essere riconosciuto qual il primo ad avere di che odiare la Figlia di Marr'Mahew, là dove, sebbene anche Noal in tempi recenti avesse perduto qualcuno da lui amato, nella fattispecie il suo compagno Hui-Wen, egli era stato il primo, a bordo della goletta, a essere colpito dalla sventura che sembrava accompagnare quella loro passeggera, una sventura facilmente e inequivocabilmente identificabile nelle fattezze di Nissa Bontor, se possibile persino più affascinante della propria gemella, per quanto a lei identica in tutto e per tutto. Av'Fahr, figlio dei regni desertici centrali, più a nord persino rispetto alla già lontana Shar'Tiagh, infatti, aveva vissuto l'orrore di veder uccisa la propria amata sorella, Ja'Nihr, per mano di chi solo successivamente svelatisi quali una coppia di traditori, pirati celati a bordo della Jol'Ange, fra il pur compatto e abitualmente affiatato equipaggio, in attesa dell'eventuale ritorno a bordo, un giorno, di colei alla quale era stato imposto un netto divieto a viaggiare per le vie del mare. Ritorno che ella, sebbene in maniera esclusivamente transitoria, aveva alfine effettivamente ricercato e in conseguenza al quale, purtroppo, a farne le spese erano stati proprio Ja'Nihr e il capitano Salge Tresand.
Malgrado ottime ragioni per serbare rancore per la donna guerriero, non realmente responsabile per quelle morti, e pur causa scatenante delle medesime, e malgrado tutto l'amore che egli aveva voluto alla propria sorella maggiore, che per lui era stata anche prossima a una figura materna, il marinaio non era riuscito, al pari di alcun altro a bordo di quella nave, a considerare qual a sé realmente avversa chi, a tutti gli effetti, non di meno vittima. Ragione per la quale, del resto, alcuno fra loro, non lui, non i suoi compagni, avevano avuto questioni da sollevare in contrasto alla pur arrischiata ipotesi di un'azione di salvataggio in favore di lei, seppur in contrasto a nemici predominanti numericamente su di loro in una proporzione schiacciante.

« Oh, Thyres… desideri forse un bacio d'addio?! » ironizzò Midda, aggrottando la fronte a quell'intervento in suo arresto « Credevo di aver già chiarito come io non intenda offrire ragioni di gelosia al mio buon locandiere, sebbene egli abbia probabilmente da riconoscersi quale la persona meno gelosa che esista, e che sia mai esistita, in tutto il mondo… per quanto realmente innamorato. » argomentò, non prendendo neppure per un istante in esame l'idea che egli potesse davvero desiderare accompagnarla in quel suo nuovo viaggio, né, tantomeno, che ciò potesse essere fattibile.
« Tsk… figurati. Ho smesso di aspettarmi un bacio da parte tua sin dalla prima volta che mi hai sbattuto a terra per dimostrarmi quanto sei esperta nella lotta. » commentò egli, scuotendo il capo « Permettimi di esplicitare meglio quanto appena asserito: non penserai davvero di potertene andare senza di me, spero bene. » si ripeté, definendo in maniera inequivocabile il concetto prima lasciato verbalmente inespresso e sollevando, a riprova delle proprie intenzioni, la sacca stretta nella sua mancina.
« Come?! » replicò ella, venendo colta di sorpresa in misura maggiore di quanto non sarebbe mai potuta essere in conseguenza dell'effettiva richiesta di un bacio « Non credo di aver inteso… »
« Hai inteso benissimo. » sorrise l'uomo, avviandosi verso la passerella « E ora andiamo, per Gah'Ad! Non credo che ci sia concesso tempo da sprecare in inutili chiacchiere. » incitò, considerando conclusa in tal modo la questione, per quanto, in effetti, fosse stata solo appena inaugurata « Prima troviamo due cavalli e ci mettiamo in marcia, e prima avremo tempo da dedicare a raccontarci gli aneddoti della nostra infanzia. »
« … ossia quello che hai fatto settimana scorsa, per quanto ti riguarda. » suppose la Figlia di Marr'Mahew, accennando in tal senso alla differenza di età esistente fra loro « Av'Fahr. Per carità. Io viaggio meglio da sola e, come hai appena ribadito, non dobbiamo sprecare il tempo concessoci. » replicò, incrociando le braccia al petto in trasparente segno di diniego innanzi a quella sua iniziativa.
« L'ultima volta che sei andata via da sola, non ti abbiamo rivista per cinque anni. » volle ricordarle l'altro, ovviamente con tono giocoso su una questione ben più complessa di come da lui formulata « E siamo dovuti essere noi a venire a cercarti, perché, altrimenti, neppure avresti supposto di passare a salutarci. »
« Tecnicamente, non sono andata via. Sono stata trascinata via, se ben ricordi. » puntualizzò ella, scuotendo il capo « C'era una tempesta e io sono stata gettata in mare. E, in quell'occasione, ho perso anche un'ottima spada in tale occasione. » si lamentò, rivolgendo memoria a quella che era stata la sua lama fino a cinque anni prima, quando, recriminazioni a parte, proprio in conseguenza a quel naufragio ella ebbe modo di porre le mani sulla migliore spada della propria vita, la stessa lama bastarda ora presente al suo fianco.
« Poco importa. » minimizzò Av'Fahr, scuotendo il capo « Direi che, a prescindere dalle ragioni, è meglio ovviare al rischio di rivederti fra altri cinque anni in questa particolare situazione… »
« Av'Fahr… » tentò di rifiutarsi ella, ancora una volta, salvo essere interrotta da una ripresa dell'interlocutore, desideroso di non concederle occasione di paternalismi di sorta.
« Senti… in questo stramaledettissimo affare noi della Jol'Ange siamo coinvolti esattamente quanto te. Anzi, forse ancora di più, dal momento che quella cagna della tua gemella sembra aver deciso di sterminarci uno alla volta. » commentò, senza ira nelle proprie parole, senza alcuna particolare passione, ma con incredibile controllo e freddezza, in contrasto con il vigore pur intrinseco nella scelta di determinati termini « Prima Ja'Nihr, poi Salge e ora Berah. E forse anche Camne e Hui-Wen. » elencò, contandoli con le dita, quasi a voler porre in evidenza quel quantitativo numerico, effettivamente schiacciante nel confronto con il numero estremamente ridotto dell'equipaggio consueto di quella nave « E, scusa se te lo dico in maniera tanto esplicita, non ho alcuna voglia di restare a guardare l'orizzonte aspettando che tu decida di tornare con quegli scettri. »
« Av'Fahr… » cercò ancora una volta di riprendere voce, salvo ritrovarsi ostacolata dal proseguo di quel breve monologo.
« Midda. » la richiamò egli, osservandola dritto negli occhi « Abbiamo deciso di andare a recuperarli? Bene! Io vengo con te! E nulla di quanto tu potrai pensare di fare me lo impedirà! » concluse, forse con eccessiva teatralità in tale propria affermazione, e pur ritrovandosi pienamente giustificato in ciò dal contesto a contorno della medesima.

Un necessario, obbligato istante di silenzio calò allora fra la coppia di interlocutori, qual tale era pur divenuta la loro nell'inevitabile esclusione di Noal o di chiunque altro da quel confronto: in quel momento, in quel particolare frangente, nessun altro avrebbe avuto motivo di richiedere parola al di fuori di Av'Fahr, il quale, comunque, aveva appena concluso quanto aveva da dire, non riservandosi ragione di ulteriori aggiunte, e della stessa Midda, la quale, dal canto suo, sembrava impegnata a valutare la questione per così come offertale, con tutti i vantaggi e gli svantaggi derivanti dalla presenza, al proprio fianco, di una figura qual quella di Av'Fahr.
Sebbene nulla ella avrebbe potuto affermare di avere in contrasto all'uomo, al tempo stesso nulla avrebbe potuto decretare di avere a favore del medesimo e della sua partecipazione a quel proprio già non semplice viaggio, per così come programmato: tanta… troppa strada da percorrere, poco… troppo poco tempo per percorrerla, non avrebbero deposto a favore di quell'imprevisto, e non ricercato, compagno di ventura. Ciò nonostante, oggettivamente, ella non avrebbe potuto negare come la debolezza conseguente alla lunga prigionia e, ancor più, al lungo digiuno, non le stessero concedendo quel pieno controllo della situazione per lei abituale e, ove si fosse trovata costretta a un confronto, certamente un braccio in più le avrebbe fatto comodo. Ovviamente nell'ipotesi non banale che, al di là del proprio fisico possente, dei propri muscoli scolpiti, per godere dei quali, era certa, molte aristocratiche sarebbero state pronte a spendere ottime cifre, Av'Fahr fosse anche in grado di sostenere un combattimento, una battaglia, con confidenza tale da poterle essere realmente d'aiuto e non, peggio, d'intralcio.

lunedì 23 gennaio 2012

1465


D
opo una primavera quasi completamente perduta qual prigioniera all'interno della Mera Namile, pertanto, a non migliorare il già sgradevole bilancio di quel nuovo anno, Midda Bontor avrebbe dovuto affrontare una pessima, pessima estate, ove in meno di tre mesi, tanto poco avrebbe dovuto essere riconosciuto il tempo a sua disposizione, ella avrebbe dovuto recuperare quegli scettri, a sua volta nascosti per mantenerli al riparo da interessi sgraditi; raggiungere Rogautt, al fine di non doversi sentire responsabile per la morte di altre persone a lei vicine; e trovare un modo per uccidere sua sorella Nissa, nella volontà di non doversi rendere ignava colpevole della distruzione del mondo per così come conosciuto. E non eccessiva avrebbe dovuto essere giudicata, da parte sua, una tale valutazione, laddove affidare quegli oggetti di indubbio potere alla propria gemella, già in possesso di un'altra straordinaria reliquia, quelle una corona appartenuta alla celebre, temibile, e potente, regina Anmel, anche nota come Portatrice di Luce o, in alternativa, Oscura Mietitrice, non avrebbe potuto rappresentare nulla di buono per alcuno: non per lei, non per le persone a lei care e, francamente, neppure per il resto dell'umanità.
Infine, giusto a non poter concedere all'ancor non completamente rigenerata Figlia di Marr'Mahew, necessariamente indebolita dal lungo periodo di prigionia e di digiuno impostole, alcuna ragione di sollievo, di serenità o, addirittura, di gioia, il suo caro Be'Sihl, dopo averla trasportata di peso in salvo dalla Mera Namile, era caduto in un infausto stato comatoso, qual evidente conseguenza dei danni riportati dai suo corpo al termine di una spiacevole caduta, rifiutandosi di riprendere coscienza, di riaprire gli occhi e, ovviamente, di parlare con lei. Non che, dopo tutto quanto egli aveva compiuto, vi sarebbe stata necessità, da parte della mercenaria, di ascoltare dalle sue labbra qualche parola d'amore per essere certa del suo sentimento: ma in quella particolare, e non appassionante, situazione, egoisticamente, ella avrebbe ben gradito una parola di sostegno, una carezza di supporto, un bacio di buon auspicio.

A partire dal decimo giorno del mese di Payapr, nel considerare il tempo trascorso come prigioniera, nonché il tempo impiegato per rimettersi, in minima parte, in forze e, contemporaneamente, per far vela, a bordo della Jol'Ange, verso il porto di Seviath sul versante occidentale della maggiore penisola tranitha, solo il diciottesimo giorno del primo mese estivo, Mesoju, Midda poté riservarsi occasione di porre nuovamente piede a terra e, in tal senso, di iniziare a definire un vero e proprio piano d'azione, una strategia utile a definire quali risultati ottenere e, soprattutto, in quali tempi ottenerli, conscia di non potersi permettere di sprecare un singolo istante di quanto concessole dalla propria crudele gemella nella volontà di non veder condannati dalla medesima i due ostaggi catturati. Se, infatti, la mercenaria dagli occhi color ghiaccio e dai capelli neri come la pece, in fiero contrasto alla candida pelle ornata da spruzzate di efelidi, non avrebbe mai concesso alla propria nemesi di impossessarsi di quanto da lei desiderato, domandato, preteso addirittura, al tempo stesso non avrebbe neppur concesso a se stessa di ignorare qualunque possibilità nella volontà di salvare chi, in fondo, condannato a morte perché colpevole, a sua volta, di averla voluta salvare, di averla voluta riscattare da una situazione uguale, o forse, paradossalmente, migliore di quella nella quale si erano poi ritrovati a essere, proprio malgrado.
Per tale ragione, ella non si riservò neppure un istante di incertezza e, nel momento stesso in cui la goletta venne ancorata al molo, la donna si presentò rivestita e armata in coperta, pronta a sbarcare e a correre a noleggiare un cavallo con il quale porsi in cammino verso la prima delle proprie mete...

« Restiamo d'accordo come detto, Noal… » prese voce verso il capitano, porgendogli entrambe le braccia in segno di saluto e, soprattutto, di fiducia, ove solo a chi ritenuto realmente amico sarebbe stato concesso tale gesto in luogo a un più distaccato saluto con un braccio solo o, anche e più semplicemente, a un semplice cenno della mano « Entro e non oltre il decimo giorno di Phau ci ritroveremo qui e faremo rotta verso l'isola di Rogautt. »

Tutt'altro che ignota, invero, avrebbe dovuto essere considerata la posizione geografica di quella che era divenuta, non per propria volontà, la capitale di un nuovo, e non ancora riconosciuto, regno marittimo la cui popolazione avrebbe dovuto essere riconosciuta qual costituita integralmente da pirati, laddove un tempo, prima che Nissa decidesse di eleggerla a sede del proprio conquistato potere, tale isola era inserita tranquillamente all'interno delle rotte commerciali che si intrecciavano attraverso l'intera estensione della vasta porzione di mare abitualmente riconosciuta qual appartenente al regno di Tranith, e contraddistinta da dozzine e dozzine di arcipelaghi di ogni dimensione. Alcuno sforzo, alcun impegno, alcuna fatica avrebbe quindi dovuto compiere la Jol'Ange per raggiungere quella meta, non, per lo meno, avendo dalla propria il beneplacito, l'invito in effetti, della sua stessa autoproclamata sovrana, ove, in assenza del medesimo, seppur ugualmente nota la localizzazione di tale destinazione, meno elementare, meno ovvio, sarebbe stato per chiunque sperare di raggiungerla vivo, dovendosi confrontare con una flotta qual alcuna nazione, sino ad allora, avrebbe potuto far vanto di possedere. Non, per lo meno, in quell'angolo di mondo, all'estremità sud-occidentale del continente di Qahr.

« E se, per qualsivoglia ragione, a tale scadenza o io, o voi, non ci riusciremo a ritrovare in questo stesso luogo, allora l'appuntamento sarà per la stessa Rogautt, entro il giorno di Transizione. » soggiunse, a non escludere una pur infausta eventualità, ignorare la quale, in quello sventurato periodo, sarebbe stato da sciocchi « Da parte mia farò di tutto per restituirvi Hui-Wen e Camne: sono già stata causa, mio malgrado, di troppo dolore, di troppa pena per tutti voi e non intendo essere responsabile anche per le loro morti. Quindi, in un modo o nell'altro, arriverò a Rogautt con quei dannati scettri. »
« Dal canto nostro, ti aspetteremo fino all'ultimo. » annuì Noal, rispondendo al saluto di lei con entrambe le proprie braccia, avendo sì molte ragioni per colpevolizzare quella donna e pur, con incredibile onestà intellettuale, non riuscendo a trovarne una sola degna di essere espressa, non dove, dopotutto, proprio ella avrebbe dovuto essere riconosciuta quale la prima vittima della propria gemella e di quel suo odio viscerale « Se non dovessi arrivare qui per il decimo giorno di Phau, faremo ugualmente rotta verso Rogautt per salvare i nostri compagni. O per morire nel tentativo. »
« Così sia. E che Thyres e Tarth possano benedire la nostra missione… » concluse Midda, separandosi dall'interlocutore e invocando, in tali parole, la benedizione della propria divinità prediletta e del suo corrispettivo maschile, signori del mare a cui qualunque figlio di tali territori, qual ella anche era, avrebbe dovuto necessariamente rispettare « Sino ad allora, vi affido Be'Sihl. Vi prego di volergli concedere asilo sino a quando non si dovesse riprendere e, in tal giorno, di informarlo di quanto è accaduto e di invitarlo a ritornare a Kriarya, alla sua… alla nostra locanda. » si corresse, rammentandosi di come, da più di un anno a quella parte, l'edificio in questione fosse, a tutti gli effetti, una proprietà comune fra loro, avendo ella contribuito alla ristrutturazione e all'ampliamento del medesimo dopo averne quasi causato la distruzione.
« Così sarà fatto. » confermò il capitano della Jol'Ange, ritraendo a propria volta le braccia, guidando le mani ad appoggiarsi ai propri fianchi « Per quanto, comunque, mi sento sufficientemente sicuro del fatto che egli non accetterà di buon grado il tuo suggerimento. Anzi… »
« … lo ignorerà completamente. » annuì la mercenaria, sorridendo dolcemente divertita, sollazzata dal pensiero dell'ostinazione del proprio compagno e, in ciò, per un attimo dimentica delle sue attuali condizioni, condizioni per le quali, ovviamente, ancora una volta non avrebbe potuto evitare di considerarsi responsabile « Sì. Lo credo anche io. Ma tentare non costa… e, alla peggio, dovrò sbrigarmela io quando, a Phau, ci ritroveremo tutti quanti. » definì, minimizzando la questione e raccogliendo una sacca con alcuni beni di prima necessità raccolti per il nuovo viaggio che la stava attendendo.

Ma prima che ella potesse anche solo supporre di avviarsi lungo la passerella già predisposta per lo sbarco, una voce virile ed energica intervenne allo scopo di arrestarla, nel non volerle concedere di allontanarsi… non da sola, per lo meno.

domenica 22 gennaio 2012

1464


S
in dalla notte dei tempi erano esistite determinate nozioni comuni a tutti i membri della razza umana. Nozioni che, in conseguenza del trascorrere dei secoli, così come delle distanze geografiche tali da giustificare sviluppi culturali differenti e differenziati, erano state rielaborate di volta in volta in termini diversi, in vie quasi sempre originali, tali da giustificare nomi e numeri, caratteri e cifre talvolta simili, sovente assolutamente estranee, e pur tutti significanti facenti riferimento a un medesimo significato, maschere dietro alle quali nascondere un comune concetto.
Fra tali nozioni, certamente, avrebbero potuto essere incluse osservazioni generiche, addirittura elementari, relative alla natura dello stesso Creato all'interno del quale l'umanità si era ritrovata vincolata a esistere e vivere. In ogni lingua, in ogni dialetto, propri di qualunque cultura e relativi a qualunque particolare collocazione geografica, sarebbero necessariamente esistite parole atte a indicare il cielo e il mare, la terra e il fuoco, così come le montagne e i laghi, le pianure e i fiumi, le colline e le valli, le paludi e le baie… ma, anche e più semplicemente, il sole e le pietre, gli alberi e l'erba, gli uccelli e gli animali.
Oltre a tali, essenziali concetti, non astratti ma corrispondenti, in maniera puntuale, a elementi propri della quotidianità, non sarebbero poi mancati, presso qualunque popolo, termini atti a indicare condizioni prive di un chiaro corrispettivo materiale, e pur, non per questo, meno concrete, meno legate alla quotidianità di qualunque mortale al punto da poter essere ignorate, trascurate nella propria esistenza. In ogni lingua, in ogni dialetto, pertanto, non sarebbero ancora mancate parole utili a definire la vita e la morte, il salute e la malattia, il bene e il pale, la serenità e l'irrequietezza, la sicurezza e il pericolo, e ogni altra possibile emozione o condizione possibilmente propria di qualunque uomo, donna o bambino esistenti al mondo: in loro assenza, infatti, impossibile sarebbe stato per l'umanità riuscire a definirsi realmente qual tale, là dove oltre a descrivere il mondo a sé circostante, fondamentale avrebbe dovuto essere da sempre riconosciuto descrivere se stessi, non solo nella propria fisica esteriorità, ma anche nella prioria intima interiorità.
Una terza categoria di nozioni comuni, sebbene meno elementari e, anzi, tali da definire i principi di quello che, per persone più istruite, sarebbe stato chiamato con il termine di calcolo matematico, avrebbe dovuto essere considerata costituita da tutte quelle elaborazioni umane che, a partire da concetti più semplici, quali la presenza di una catena montuosa su un territorio altresì pianeggiate o l'alternarsi del giorno e della notte, avevano saputo dar vita a qualcosa di più, come la definizione di confini a dividere un dominio da un altro o, ancora, la creazione di un calendario, con il quale riconoscere in maniera precisa e puntuale il giorno in corso, distinguendolo da quello precedente e dal successivo. In ogni lingua, in ogni dialetto, ancora, sarebbero quindi potuti essere individuati i termini utili a enunciare le stagioni e i giorni, questi ultimi talvolta riuniti in altri più o meno omogenei periodi di scala intermedia quali mesi e settimane. Inizialmente stabilite in assoluta libertà da ogni popolo, da ogni nazione, non solo nei termini con i quali rivolgersi a tali concetti ma, anche e più in generale, nelle specifiche durate, chi dividendo un anno in quattro stagioni, chi considerandone anche otto, così come chi sancendo l'esistenza di un mese con un numero costante di giorni in contrasto a chi, altresì, aveva preferito scegliere mesi di durata variabile, eventualmente riadattandoli a esigenze politiche o religiose locali; tali misurazioni, simili ripartizioni erano successivamente state omogeneizzare le une alle altre, di terra in terra, di nazione in nazione, forse in conseguenza a una comune volontà di coerenza reciproca o, forse e più probabilmente, in grazia all'operato dei mercanti, i quali, viaggiando in lungo e in largo al fine di estendere il più possibile i propri commerci, avevano alfine influenzato l'intero mondo conosciuto imponendo su di esso un comune calendario.
Persa in una qualche zona d'ombra della Storia, non sì chiara, non così nettamente definita nelle proprie evoluzioni come troppi arroganti studiosi avrebbero gradito poter vantare, l'origine di un calendario comune in tutto in tutto il mondo o, per lo meno, in tutto il continente di Qahr, ove Hyn e Myrgan apparivano sempre troppo distanti, e troppo estranei, per potersi esprimere in maniera certa a loro riguardo, non avrebbe potuto essere attribuita pertanto ad alcun soggetto particolare. Assenza di paternità o maternità, comunque, che non avrebbe impedito a chiunque, fosse egli un mendicante o un contadino, così come un artigiano o un mercante, o un potente mecenate o un nobile signore, di ricorrere a quella comune ed elementare nozione: nozione che aveva così previsto l'anno qual suddiviso in quattro stagioni, intervallate le une dalle altre da quattro giorni detti di Transizione, e a loro volta suddivise in tre mesi di trenta giorni l'una, a cui aggiungere un altro giorno speciale di Transizione, fra un anno e l'altro, collocato subito a seguito di quello di fine inverno, giorno che aveva preso il nome di Capodanno.
Definito un calendario comune a ogni gente, e tale da permettere a qualunque popolo di qualunque regno di collocarsi all'interno di un anno con assoluta precisione non diversamente da come avrebbe saputo collocarsi all'interno di un territorio con altrettanta puntualità in grazia alla definizione di province e città, superflua sarebbe risultata la necessità di definire, accanto a ciò, un qualche sistema di calcolo preciso del susseguirsi degli anni, là dove, in effetti, la maggior parte delle persone non si sarebbe potuta definire abituata a ricordare con precisione neppure la propria età, arrotondando, per maggiore comodità, al lustro, anno più, anno meno. Ipotizzare, pertanto, di imporre su scala globale un ipotetico anno zero dal quale poter successivamente iniziare a contare i Capodanni, sarebbe apparsa non solo una proposta irrealizzabile ma, addirittura, del tutto intuile, priva di qualunque praticità. Dopotutto, ove a un contadino sarebbe stato necessario distinguere l'autunno dalla primavera per comprendere quando potesse essere più opportuno seminare un certo genere di raccolto; e ove a un mercante sarebbe stato necessario distinguere l'estate dall'inverno per comprendere quanto sarebbe stato necessario interrompere i propri viaggi al fine di non lasciarsi sorprendere dalla neve e dal gelo presso un qualche valico montano; ad alcuno fra loro, così come a nessun altro, avrebbe portato un qualunque beneficio ipotizzare di conoscere con precisione un qualche anno canonico, ove in grazia di ciò nulla sarebbe mutato o migliorato nelle loro esistenze.

Quell'anno privo di una qualunque ipotesi di numerazione, per Midda Bontor, donna guerriero nonché mercenaria, celebre in tutta l'estremità sud-occidentale del continente di Qahr per le proprie leggendarie imprese, e da qualche anno nota con il nome di Figlia di Marr'Mahew in riferimento a una dea della guerra propria di alcune isole a ponente del regno di Kofreya, sua abituale residenza, non era incominciato nel migliore dei modi possibili e, se nulla fosse intervenuto a migliorarlo, sarebbe potuto essere anche ricordato come il peggiore dei suoi oltre trentacinque anni di vita, risultato comunque già ammirevole per una professionista suo pari.
All'inizio dell'anno, della stagione primaverile, ella aveva supposto di poter trarre in trappola una sua antica nemica, una nemesi che per troppi anni aveva ignorato e che, per tutta risposta, era ancora intervenuta nella sua quotidianità desiderosa di privarla di serenità uccidendo coloro a lei più vicini. Purtroppo, però, il piano volto a eliminare dalla circolazione la sua sorella gemella, Nissa Bontor, non aveva ottenuto l'esito sperato: il decimo giorno del mese di Payapr, secondo della stagione primaverile, Carsa Anloch, una sua collega nonché ipotetica alleata, ne aveva tradito la fiducia alleandosi con la sua avversaria, mentre Howe e Be'Wahr, altri due colleghi, e Seem, il suo scudiero, erano forse rimasti uccisi, impossibile a dirsi ove ella, proprio malgrado, era stata abbattuta e tratta prigioniera.
Dopo essere stata mantenuta per diverse settimane, a bordo di un veliero pirata, la Mera Namile, a bordo del quale Nissa era riconosciuta qual sovrana, avendo eretto, nel corso degli anni, una vera e propria nazione riunificando con forza e con carisma tutti gli equipaggi di predoni dei mari prima lì indipendenti e, spesso, rivali, e offrendo loro qual capitale l'isola di Rogautt, nei mari del sud; Midda Bontor era stata tratta in salvo da un'azione condotta da un'insolita alleanza fra un locandiere shar'tiagho suo ultimo compagno di vita e di letto, Be'Sihl Ahvn-Qa, e l'equipaggio di una goletta, la Jol'Ange, a bordo della quale anch'ella, in passato, aveva prestato servizio, in effetti traendola da un cimitero e rimettendola in sesto insieme a colui che poi ne era divenuto capitano, Salge Tresand. Un'azione, quella posta in essere dell'equipaggio della stessa Jol'Ange allora comandato dal capitan Noal, mirata, invero, non solo a recuperare la mercenaria lì prigioniera ma, anche e ancor più, a condannare la stessa regina dei pirati per l'assassinio di Salge Tresand, occorso cinque anni prima qual ennesima azione in contrasto alla serenità della propria gemella. Un salvataggio, quello che pur, sotto certi aspetti, avrebbe potuto considerarsi portato a compimento con successo, che purtroppo avrebbe dovuto essere accolto qual caratterizzato dall'aspro sapore della sconfitta, ove la libertà della Figlia di Marr'Mahew era allora costata la vita a una donna e aveva visto ben altri due membri di quel già piccolo equipaggio essere tratti in ostaggio al suo posto, allo scopo di costringerla, entro il giorno di Transizione conclusivo della stagione estiva, a presentarsi a Rogautt, conducendo seco due antichi, preziosi, e pericolosi, scettri che ella aveva recuperato oltre un anno prima nel lontano regno di Shar'Tiagh, a nord del continente di Qahr.

sabato 21 gennaio 2012

1463


R
esidente, da molti anni, lustri addirittura, all'interno della città del peccato kofreyota, Kriarya, e lì proprietario di una modesta locanda, o, così come era solita ripetere Midda Bontor, modesto proprietario di una locanda, Be'Sihl Ahvn-Qa aveva maturato una certa confidenza con alcune dinamiche proprie dell'umana natura in situazioni tutt'altro che accomodanti, in cosiddetti tempi di guerra, quali in Kofreya erano praticamente da secoli, se non, forse, da sempre. E, fra tali dinamiche, aveva avuto modo di comprendere come non fosse assolutamente retorica l'idea che la stessa guerra potesse suggellare strane alleanze, unioni a dir poco inusuali, se non, addirittura, blasfeme.
Lungi dall'attribuire alla propria medesima figura eccessiva importanza, egli era pur conscio di come, in una diversa situazione, mai e poi mai sarebbe giunto ad accettare di fidarsi di una creatura qual Desmair, non tanto, e solamente, per il proprio sgradevole aspetto fisico, richiamante immediatamente alla mente figure tutt'altro che benevole di determinati pantheon, divinità oscure e demoni il cui unico diletto sarebbe stato pasteggiare con le anime degli uomini, quanto, e piuttosto, per il legame che egli aveva imposto alla propria amata mercenaria dagli occhi color ghiaccio, matrimonio da lui, in verità, non desiderato in quegli specifici termini e nel quale, tuttavia, non aveva concesso alternativa a colei in ciò divenuta sua interdetta sposa. Dal suo personale punto di vista, il locandiere avrebbe potuto tranquillamente tollerare l'idea dell'esistenza in vita di un essere qual quello se solo lo stesso non si fosse tanto impropriamente vincolato alla donna che lui amava. Tuttavia, proprio per quella stessa donna e in grazia del suo amore verso di lei, Be'Sihl era giunto ad accettare di scendere a patti con il mostro e, persino, a fidarsi di lui, quando persino la stessa Figlia di Marr'Mahew lo avrebbe esplicitamente diffidato dal concedergli tanta apertura, se solo ne fosse stata informata. Ma, come recitava un vecchio adagio della propria terra, per quanto impetuoso avrebbe potuto scorrere il fiume, al deserto sarebbe stata sufficiente una singola opportunità per imporre la propria arsura anche sulla terra più fertile. E, così, ove già una volta, in passato, aveva accettato di scendere a patti con Desmair, inevitabile sarebbe stato per lui ricadere ancora nell'errore, e ancora, e ancora una volta, sino a quando, spiacevolmente, sarebbe stato completamente consumato dal medesimo senza neppure rendersene conto, ove sempre sospinto dalle migliori intenzioni.
In tutto ciò, ove anche in passato egli avrebbe considerato follia il semplice prendere in esame l'idea di offrire tanta libertà al proprio antagonista, ormai, e purtroppo, lo shar'tiagho non avrebbe saputo ipotizzare alcuna migliore soluzione alternativa, soprattutto nell'essere stato reso perfettamente consapevole delle proprie attuali condizioni. Perché, in verità, Desmair non lo aveva preso in ostaggio imprigionandolo all'interno della propria mente, o ovunque si trovasse in quel momento. No. Desmair gli aveva concesso un'opportunità di scelta, lo aveva lasciato libero di prendere confidenza con l'incredibile dolore conseguente a tutti i danni subiti dal suo corpo in conseguenza della caduta, del volo che, straordinariamente, lo aveva comunque condotto in salvo a bordo della Jol'Ange, spinto in tal direzione solo dalla benevolenza degli dei ancor prima che dallo sprone dei propri stessi muscoli. E, nel confronto con tanta pena, in conseguenza alla quale, nel migliore dei casi, sarebbe morto, se non, peggio, impazzito, Be'Sihl aveva vigliaccamente scelto di accettare la possibilità concessagli dal proprio pericoloso alleato, l'opportunità di ovviare a tanto dolore e di rifugiarsi in quello stesso ambiente nel quale, sino a quel giorno, già erano stati condotti tutti i loro incontri e dove, separato dal proprio stesso corpo e dalla sua sofferenza, egli avrebbe potuto concedere al medesimo di guarire nei tempi più consoni, intrattenendosi in altre attività.
Fu per tal ragione, quindi, che dopo aver rifiutato di spendere le ore, i giorni, le settimane di tempo necessarie a superare quel trauma in compagnia di fittizi simulacri rappresentanti non solo Midda, ma anche tutte le sue compagne passate, con le quali Desmair gli avrebbe concesso di intrattenersi in quello che molti altri uomini avrebbero probabilmente considerato quanto di più prossimo all'aldilà degli eroi, all'oltretomba di coloro che avevano concesso la propria vita in sacrificio agli dei; Be'Sihl si ritrovò a trascorrere quella propria fasulla quotidianità nello stesso modo in cui sarebbe stato solito trascorrere la propria consueta vita in un periodo di normalità, in una situazione diversa da quella che lo aveva visto porsi in viaggio attraverso terre e mari per soccorrere la propria amata, ovunque ella fosse stata condotta: gestendo la propria locanda.

« Salute a te, locandiere. » gli rese omaggio l'unica voce degna di essere effettivamente ascoltata all'interno del marasma di irreali avventori lì pur sempre impegnati a spendere soldi mangiando e bevendo a volontà, così come era solito avvenire.
« Desmair… » salutò l'uomo, senza eccessivo entusiasmo, e pur senza evidente inimicizia, così come, in passato, aveva pur necessariamente compiuto nei suoi riguardi.

All'ingresso della locanda, in verità troppo piccolo per permettere a una figura tanto possente, colossale, di varcarlo, era infatti nuovamente apparso il suo alleato, in quella che, ormai quotidianamente, era divenuta sua consueta, abituale visita, volta a concedergli possibilità di essere aggiornato nel merito di quanto in corso attorno a sé, di quanto fosse avvenuto e stessa ancora avvenendo nel mondo a lui esterno e dal quale, non diversamente alla propria reale e consueta condizione di vita, era isolato all'interno del piccolo, quieto e accogliente mondo rappresentato da quello stesso edificio.
Interessante, in tal frangente, fu notare come nessuno, fra i viandanti già presenti all'interno della variegata schiera di abituali e non abituali frequentatori di quelle mura, parve trovare alcunché di particolare nella comparsa di Desmair fra loro. Un particolare, questo, tutt'altro che privo di valore, di significato, ove comunque utile a permettere al locandiere di non perdere la giusta misura su quanto fosse verità e quanto, altresì, fosse menzogna, e a non scordare come il mondo lì ricreato in maniera estremamente fedele a partire dai suoi stessi ricordi, dalle sue memorie, non avesse comunque da essere confuso con quanto in sua attesa al di fuori di tutto quello, una realtà in cui un mostro qual Desmair non avrebbe mai potuto aggirarsi fra delle tavolate affollate da gente pressoché ubriaca senza attrarre alcun commento, alcun interesse o, in effetti, alcuna avversione.

« Cosa posso offrirti? » domandò l'anfitrione non appena il suo ospite si fu avvicinato a sufficienza da poter prendere in esame l'idea di accomodarsi al bancone, ove pur, nel confronto con le sue proporzioni, sarebbe necessariamente risultato troppo basso e, in ciò, persino scomodo.
« Il solito, grazie… » sorrise amabilmente il semidio, piegando appena il pesante capo ornato da corna di lato, quasi a volerlo meglio studiare « Tutto bene, vecchio mio? »
« Certo. Qui va sempre tutto a meraviglia… » replicò il locandiere, sollevando le spalle e lasciandole ricadere, a minimizzare la questione « Dopotutto, come potrebbe essere diversamente, dal momento che hai creato tutto questo a mio esclusivo uso?! »
« Se desideri maggiore animazione non hai che da chiedermelo… » propose Desmair, allungando la propria destra verso la coppa nel contempo preparatagli dal proprio interlocutore, e riempitagli, per l'occasione, della consueta bevanda dalla consistenza del sangue, nel merito della natura della quale Be'Sihl aveva rifiutato di porsi domande, supportato in tal senso dalla consapevolezza di quanto, anche quella, non avesse da considerarsi più reale, più concreta, rispetto al resto del mondo a lui circostante « Preferiresti qualcosa di più consueto, di più naturale, come un terremoto o, che ne so, un'invasione y'shalfica? Oppure, magari, vorresti sperimentare esperienze più forti, come l'arrivo di uno stormo di draghi sopra la città? Adoro quando quelle simpatiche bestioline inceneriscono il midollo di chi tanto stupido da ipotizzare di poterle arrestare… » argomentò, non offrendo dubbio alcuno nel merito della sincerità delle proprie ragioni per così come definite.
« No. No. Non ti preoccupare… » scosse il capo l'uomo « E' tutto perfetto così come è. »
« Ricordati che se tu desiderassi avere qui anche Midda, sarebbe questione di un istante accontentarti. » sottolineò, sollevando la coppa e sorseggiandone il contenuto, nel condurre quel dialogo quasi fosse una conversazione assolutamente consueta fra due amici di vecchia data.
« Preferisco attendere di poter tornare ad abbracciare l'originale piuttosto di tradirla con una di queste… ombre. » negò Be'Sihl, sinceramente turbato alla prospettiva o, forse, turbato dalla consapevolezza che una parte di più, meno razionale, avrebbe accettato volentieri anche un'imitazione della propria amata in attesa di quella vera « Piuttosto: come sta? » domandò, reindirizzando la conversazione verso un tema più costruttivo e interessante rispetto alla futilità delle proposte appena ascoltate « Sta riprendendo forze? »
« Sì. Ovviamente. » annuì Desmair, tollerando di buon grado quel cambio d'argomento per così come impostogli dalla controparte, dimostrandosi, come già nei giorni precedenti, più disponibile, più tollerante verso di lui, allontanandosi dalla figura egocentrica che pur, in passato, aveva ampiamente dimostrato di saper essere « Mia moglie non è una donna qualunque. E, soprattutto, non si potrà permettere di esserlo per compiere quanto dovrà compiere per salvare la propria vita e la vita di chiunque a lei caro. »
« Tua moglie… » sussurrò lo shar'tiagho a denti stretti, ancora mal digerendo che egli potesse rivolgersi a lei in tali termini e, tuttavia, non potendo fare nulla per ovviarlo, laddove, effettivamente, tale era il loro vincolo, il loro legame « L'importante è che riprenda a mangiare regolarmente… e un poco alla volta. » proseguì, con tono consueto, a commento delle parole appena ascoltate « Dopo quanto le è stato imposto, deve permettere al propria corpo di riabituarsi al cibo. E, se vuoi saperlo, ella non è mai stata attenta né alla regolarità, né al contenuto dei propri pasti. »
« Poco male, direi, nel considerare il risultato finale… » ironizzò maliziosamente il semidio, riappoggiando la coppa sul bancone « Non trovi? »

Ma Be'Sihl non volle raccogliere la provocazione, già mal digerendo l'idea di quanto, attraverso i propri spiriti, quell'essere avesse potuto essere testimone della loro intimità, dei loro momenti più riservati, trovando, in essi, di che sparlare. Così, riempiendo nuovamente il calice con altro sangue, o qualunque cosa fosse, preferì restare in silenzio, nella volontà di non permettere al medesimo di scadere così come avrebbe potuto troppo facilmente finir per essere…

« Comunque sia… » riprese voce Desmair, ben sapendo a quale altro interrogativo sarebbe andato egli presto a parare « Di lei non si è ancora ricordata. Non ha ancora compreso chi si sia impossessata del corpo di sua sorella. E, quindi, con quale nemico abbia realmente a che fare. »
« E nessuno, a bordo della Jol'Ange, è in grado di spiegarglielo… » commentò Be'Sihl, tutt'altro che rallegrato da tale conferma « Nessuno a parte me, ovviamente. » concluse, interrogandosi intimamente su come avrebbe mai potuto condividere con lei certe informazioni senza, in ciò, perderla per sempre.