Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.
Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!
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E siamo a... QUATTROMILA!
Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!
Grazie a tutti!
Sean, 18 giugno 2022
Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!
Grazie a tutti!
Sean, 18 giugno 2022
domenica 1 gennaio 2012
1443
Avventura
030 - Il nemico del mio nemico
« Oaaah! » gridò nuovamente il balestriere, con barbara fierezza, allo scopo di evidenziare il proprio successo, quella propria prima, piccola vittoria che sperava poter interpretare qual beneaugurante non solo per sé, quanto e maggiormente per tutti i propri compagni, per l'intero equipaggio della Jol'Ange.
E, a non voler sprecare quell'intervallo, l'occasione ancora concessagli, immediatamente Hui-Wen ricaricò l'arma con un nuovo dardo, prendendo rapidamente la mira e proiettando, ancora una volta, l'impeto roteante di una freccia nel cranio di un altro pirata, ora una donna, e, ancora, di un terzo, di nuovo uomo, con la freddezza propria di un sicario, il contegno caratteristico di un assassino di professione, per lui allora proprio non tanto in conseguenza a una reale abitudine all'omicidio, quanto, e piuttosto, dalla consapevolezza di dover agire in tal modo, e con maggiore efficacia ed efficienza possibile, per garantire a se stesso e ai propri compagni una qualche, pur vaga, speranza di sopravvivenza, un'illusione pur effimera rivolta al domani. Di lì a breve, tutti ne erano consapevoli, le due navi sarebbero state tanto vicine da permettere ai rampini di essere lanciati, e agli uomini e alle donne dell'una e dell'altra di incontrarsi e di scontrarsi, e ciò che, allora, sarebbe conseguito sarebbe stata una battaglia priva di una qualunque parvenza di ordine, in uno scontro che non avrebbe potuto prevedere alcuna regola, e il cui fine ultimo non sarebbe stato quello di essere ricordato e narrato da un qualche bardo, non sarebbe stato quello di vedersi associata una qualche vaga parvenza di epicità, qual mai, dopotutto, avrebbe potuto essere per alcuna battaglia o guerra, quanto, e piuttosto, quello di concedere alle parti in causa, alle fazioni in lotta, di confidare ancora nel futuro. Non un futuro lontano, in verità, quanto quello rappresentato dall'alba successiva o, persino, dall'imminente sera.
Dieci, in virtù di tanta fredda esecuzione, furono i dardi che il figlio delle terre di Hyn riuscì a donare ai propri avversari, prima di comprendere, di rilevare, quanto, ormai, il tempo della balestra fosse terminato e, offrendo alla propria meravigliosa compagna un ultimo saluto, abbandonandola in favore, a sua volta, di una spada, in tutto e per tutto equivalente a quella allora già impugnata da Masva. Dieci, pertanto, furono gli uomini e le donne della Mera Namile che, nella rabbia dei propri impotenti compagni, vennero abbattuti, fomentando tuttavia e solamente una violenta sete di sangue in ognuno dei superstiti, allora in numero non così straordinario qual pur sarebbe potuto essere per loro proprio nelle dimensioni pur preoccupanti di quel vascello, qual conseguenza di una sgradevole decimazione che, all'inizio di quel viaggio, era stata imposta loro dall'intervento, inatteso e inattendibile, di un dragone di mare. Dieci, ancora, furono le maledizioni che, sussurrate, non mancarono di essere scandite dal capitano di quella nave, Dorf Le'Roul, e dal suo nuovo secondo in comando, l'affascinante Tahara, un tempo nota qual Carsa Anloch, in contrasto a coloro che, sgradevolmente, avevano avuto l'ordine di non sterminare, almeno per il momento; laddove, se così non fosse stato, avrebbero potuto tranquillamente concludere il dialogo in corso riversando su tutti loro una pioggia di fuoco che avrebbe rapidamente consumato il legname di quella goletta, di quel guscio di noce al loro confronto, definendo la morte di coloro che di tanta audacia si stavano esaltando.
I desideri della loro regina, tuttavia, non avrebbero dovuto essere discussi, a meno di non voler incorrere nelle sue ire e, in ciò, nella sua condanna, in una feroce sentenza di morte che non avrebbe mancato di essere eseguita non appena ella ne avesse avuto l'opportunità.
« Pirati di Rogautt… » gridò Dorf, richiamando l'attenzione dei propri compagni per ristabilire su di loro quella necessaria e intima quiete pur vanificata dalle dieci morti appena loro imposte « Ricordate il nome della vostra nave. Ricordate il nome del vostro capitano. E, soprattutto, ricordate sempre il nome della vostra regina. » ordinò, e ribadire quanto già noto e pur, in quel momento, quanto chiaramente necessario ribadire, per ovviare alle mai apprezzabili perdite appena subite « Spezzeremo loro tutte le ossa. Li scuoieremo. Li smembreremo. Li eviscereremo. E godremo nel farlo. » annunciò, quasi una necessaria promessa nei loro riguardi, un patto d'onore fra uomini e donne che pur, alcuno, avrebbe potuto riconoscere animati da un qualunque barlume d'onore « Ma ora… andate e catturateli! Catturatene almeno la metà e, in particolare, lasciate illeso lo shar'tiagho. Per la signora di questi mari! Per la sola, autentica incarnazione terrena di Thyres, che nella propria magnifica benevolenza a noi si è concessa! »
« Per la Regina dei Mari… oaaah! » esclamò Tahara, ormai dimentica di tutto ciò che poteva essere stata in passato, ormai dimentica della propria identità qual Carsa Anloch, ormai dimentica di tutto al di fuori della propria sincera e assoluta fedeltà a Nissa Bontor, sovrana dell'isola di Rogautt e di tutti i pirati dei mari del sud, di quelle infinite e meravigliose lande.
« Oaaah! » gridarono tutti, galvanizzati dalle parole del loro capitano e da quel loro stesso grido, quel grido scandito da una decupla quantità di voci rispetto a quelle della Jol'Ange, e in ciò, malgrado il sangue già versato, in grado di garantire loro una facile vittoria, in rapido trionfo su quegli indegni avversari.
E la battaglia ebbe inizio. E nulla, per alcuno, fu più certo. Non gli eventi in corso. Non la realtà a loro circostante. Non la vita. E neppure la morte.
Berah fu la prima a raggiungere la coperta della Mera Namile, arrampicandosi con rapidità e agilità fuori dall'ordinario lungo la cima da lei un istante prima lanciata per riservarsi una tale occasione. Rapida e agile, dopotutto, ella avrebbe obbligatoriamente dovuto essere nella speranza di riuscire, in tal modo, a conquistare il proprio obiettivo prima che un qualunque pirata lì sopra presente potesse essere colto dalla straordinaria idea di tagliare quella corda e, di conseguenza, lasciarla precipitare in mare. Non che alcuno trascurò un tale pensiero, ove, dopotutto, estremamente semplice sarebbe potuto essere, in tal modo, liberarsi di un'avversaria: tuttavia le parole della sovrana, così come anche ripetute dal loro capitano, non avrebbero potuto essere ignorate, trascurate, non considerate, ragione per la quale non una sola lama si levò in opposizione a quella cima e al rampino metallico a essa legato, attendendo, più quietamente, l'arrivo del soggetto che tanto impegno aveva in tal modo reso proprio. Impegno, quello della donna, del secondo in comando a bordo della Jol'Ange, che non mancò di esprimersi in termini eccezionali, quali quelli che la videro non semplicemente arrampicarsi sino a quella balaustra, quanto, addirittura, sospingersi oltre la medesima in un meraviglioso salto, balzo che le permise, al tempo stesso, di raggiungere il traguardo desiderato e, contemporaneamente, di giostrare con la propria lama ad aprire ben due gole di due oppositori in sua attesa, di due antagonisti frementi all'idea di poter essere i primi a catturare uno fra i loro obiettivi, così gratuitamente loro offertosi.
Nel contempo di ciò, Noal fu altresì il primo a riservarsi una ferita, un danno, seppur lieve, quale quello impostogli da una picca avversaria, proiettata da un pirata slanciatosi a conquistare reciprocamente il ponte della loro nave e diretta, nelle intenzioni originali, a danno del giovane Ifra, individuato al timone e, in ciò, rapidamente condannato a morte. Ad arrestare tale volo, la parabola così descritta tanto dall'uomo quanto dalla propria arma, il capitano della Jol'Ange si lanciò a inerpicarsi rapidamente sul cassero e a respingere, con la potenza della propria mazza chiodata, il disgraziato, le viscere del quale sembrarono, in verità, persino esplodere nel momento di quell'impetuoso contatto. Non solo bloccato, ma addirittura catapultato all'indietro, venne allora il pirata, il quale, ciò nonostante, poté avere la soddisfazione di versare il primo sangue nemico, nel seguire la punta della propria asta andar a violare la coscia destra del proprio antagonista, aprendo sulla medesima un taglio non profondo e pur, non per questo, privo di ragionevoli occasioni di dolore. Dolore a provvedere al quale, ovviamente, fu l'adrenalina, in grazia alla quale il ferito non ebbe ragione neppure di accorgersi di quanto addottogli, nel godere, altresì, nel calore del sangue spillato dalla propria vittima, e involontariamente nebulizzatosi sul suo volto, sulle sue spalle e sulla parte superiore del suo busto, prima che il legittimo proprietario potesse ricadere in mare.
« Venite pure avanti, luridi figli d'un cane rabbioso! » sbraitò Noal, offrendosi in quel momento decisamente lontano dall'uomo freddo e controllato che era solito apparire, tanto per il proprio tono, tanto per la propria esaltazione, quanto e ancor più per la maschera scarlatta con la quale si era ricoperto « Che Tarth mi possa affogare se, prima del calare del sole non avrò reso rossa l'acqua di questo mare con il vostro sangue! »
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