11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

martedì 31 dicembre 2019

3141


Maddie era irrequieta.
Da quando era giunta la notizia dell’assalto solitario di Midda ad Anmel, il senso di inutilità che già, da tempo, stava provando, non aveva potuto ovviare a crescere e a crescere a dismisura.
Per carità, la più giovane versione di Midda, circa sette-otto in meno rispetto della titolare di quella dimensione, non avrebbe avuto a doversi fraintendere qual sola a tal riguardo, in quel sentimento di futilità che tanto la stava perseguitando. Anche Howe e Be’Wahr, così come H’Anel e M’Eu, i suoi compagni di viaggio e di ventura, sembravano patire quella situazione, e quella situazione nella quale, dopo aver attraversato un intero universo per mezzo dei nuovi, straordinari poteri di sua sorella Rín, al solo scopo d’essere d’aiuto alla Figlia di Marr’Mahew, alla fine si stavano tutti ritrovando posti in panchina, ad aspettare pazientemente il proprio momento… e il proprio momento per far cosa, fra l’altro?! E, pur con una storia personale sicuramente diversa dalla loro, anche Duva, Rula e Lys’sh, le tre, interessanti, nuove amiche di Midda, stavano chiaramente subendo gli effetti di quel comune senso di inutilità, nel domandarsi per quale ragione avrebbero avuto a dover lì restare in quieta e vana attesa nel mentre in cui, nel pianeta sotto di loro, la loro amica, la loro sorella d’arme, stava ponendo in giuoco, da sola, la propria vita.
Per carità: per amor del vero, e per coerenza di pensiero, dal canto proprio, in effetti, Maddie avrebbe avuto a doversi preoccupare più della “propria” Anmel che di quella in opposizione alla quale, in teoria, in quel frangente, Midda stava muovendo allora i propri passi. Un’Anmel Mal Toise, la sua, aliena quanto lei e quanto Rín a quell’intero piano di realtà, e lì sopraggiunta al solo scopo di eliminare la Midda autoctona, senza, evidentemente, prendere in considerazione l’eventualità di quanto, lì, tale Midda avesse a doversi riconoscere qual ben capace di difendersi da sola e, ancora e soprattutto, già intenta in lotta contro un’altra Anmel, tale da rendere la propria presenza lì, in quel luogo, assolutamente superflua, per non dire, addirittura, ridondante. E se superflua, per non dire, addirittura, ridondante, avrebbe avuto lì a riconoscersi una seconda Anmel, a maggior ragione in eguali termini avrebbe avuto allor a doversi sentire ella stessa, una seconda Midda, e una seconda Midda che, se pur, sino a quel momento, aveva avuto occasione di riservarsi un proprio ruolo nell’occupare il vuoto lasciato dalla prima nel proprio mondo natale, dopo la propria partenza per le stelle del firmamento, nell’essersi portata a sua volta fra le stelle, altro ella non avrebbe avuto a risultare che… di troppo.
Maddie era irrequieta.
E come tutte le persone irrequiete, anche una Midda, o Maddie, che dir si volesse, sarebbe stata spiacevolmente propensa a commettere sgradevoli errori in virtù della propria irrequietezza.

« Non ci sono ancora novità. » confermò loro un ufficiale della Rad Dak-Wosh, aggiornandoli puntualmente nel merito della situazione e della situazione corrente « Un massiccio spiegamento di forze sta cercando di rintracciare Midda e i suoi possibili complici… ma, a ora, senza successo alcuno. »
« Sono trascorse ormai almeno tre ore. » sbottò Howe, alzandosi in piedi a confronto con quell’annuncio e iniziando, in tal senso, a muoversi avanti e indietro all’interno dello spazio di quella saletta, non dissimile da una tigre in gabbia « Se non l’hanno ancora catturata, dove accidenti è finita…? Dove sono finiti tutti quanti…?! »
« Invero sono quattro ore e mezza, ormai… » puntualizzò Lys’sh, dopo aver verificato con precisione quell’informazione dall’altro desunta in maniera tuttavia imprecisa, per quanto pur palese nel proprio intento « … anche se, per quanto siamo tutti stanchi e provati, potrebbero esserne passate anche dodici o più. »
« Al diavolo! » sbottò Maddie, levandosi a sua volta in piedi « Se ancora non hanno comunicato con noi, vuol dire che sono in difficoltà… e se anche non li hanno ancora trovati, ciò non significa che non li troveranno. » sancì, in un’osservazione più che legittima, a dir poco quasi retorica « Dobbiamo fare qualcosa… sono stanca di attendere passivamente l’evolversi degli eventi. »
« Abbiamo già preso contatto con Desmair. » ricordò loro Lange, ancor riservandosi le proprie personali difficoltà a conciliare razionalmente l’irrazionalità propria dell’individuo in questione, pur avendo avuto già passate occasioni di confronto con lo stesso, anche e soprattutto nella sua nuova forma, e in quella forma sottratta a Reel Bannihil « Nessun riscontro in tal senso…? » domandò, alla volta dell’ufficiale che aveva loro appena offerto quell’aggiornamento.
Questi, tuttavia, si limitò a scuotere mestamente il capo, escludendo risposte positive a tal riguardo.
« Altre idee…? » domandò quindi Duva, più che interessata a confronto con le reazione propria di Maddie, e con tale reazione che, complice anche l’identico aspetto e l’identica voce, avrebbe potuto quietamente essere propria di Midda Bontor, se soltanto in quel momento fosse stata lì con loro, attendendosi da lei qualche trovata particolarmente azzardata, ma risolutiva, dell’intera questione.

Già. Idee…
Quello che stava mancando loro avrebbe avuto a doversi considerare proprio simile dettaglio. Perché pur in possesso di una potente nave da guerra, di certo non avrebbero potuto mettersi ad aprire il fuoco, dall’alto dei cieli, su un’inerme città ricolma di tanti, troppi innocenti, che allor sarebbero stati tradotti in una statistica bellica nel solo intento di giungere a una singola persona… e a una singola persona la cui esatta ubicazione, per inciso, non avrebbe avuto a dover essere riconosciuta in loro possesso, o l’azione di ricognizione condotta da Midda e da Be’Sihl non avrebbe avuto ragion d’essere in primo luogo.
E scendere a tentare di recuperare gli amici lì sotto dispersi…?
Improbabile. Per non dire impossibile. Se, infatti, a tal riguardo da oltre quattro ore, quattro ore e mezza ormai, non stavano riservandosi successo alcuno tutte le forze di Loicare, in che modo avrebbero mai potuto essere più incisivi loro, potendo vantare, per inciso, una minor confidenza con l’ambiente e la situazione, oltre che, ovviamente, a un minor numero di risorse fisiche?
No. Dovunque Midda, Be’Sihl e Pitra Zafral fossero finiti, avrebbero avuto a doversela cavare in maniera autonoma. Ovviando, da soli, a tutte le insidie del caso e trovando, da soli, occasione di salvarsi.
… o forse no…?!

« Rín. » suggerì M’Eu, giungendo a quella conclusione praticamente nel contempo in cui anche Maddie non avrebbe potuto mancare di completare un assimilabile ragionamento.
« … dimmi… » esitò la gemella di Maddie, così chiamata in causa, non cogliendo quanto, in quel momento, il suo nome non fosse stato pronunciato a scopo d’appello, quanto e piuttosto nella volontà di suggerire, allora, la soluzione a quel loro stallo psicologico e fisico.
« Oh… no… » escluse tuttavia fermamente Howe, ben interpretando il senso di quel nome, e di quel nome lì così pronunciato, e non rallegrandosi minimamente alla prospettiva di quanto ciò avrebbe potuto significare.
« Oh… sì! » confermò tuttavia Maddie, più che concorde con la proposta del figlio di Ebano, avendo maturato quella medesima idea nel suo contempo « Rín… sei tu la nostra idea! E stupidi noi tutti a non averci pensato prima! » commentò entusiasta la donna guerriero, muovendosi decisa in direzione della sorella « Ci hai permesso di raggiungere Midda attraverso l’intero universo… cosa mai potranno essere pochi milioni di chilometri?! » sorrise, rendendo esplicito il comune pensiero che, in quel momento, stava animando non soltanto lei, ma anche M’Eu e, proprio malgrado, Howe, quest’ultimo per nulla entusiasta a confronto con una simile prospettiva.
« Oh… » arrossì allora la gemella ritrovatasi improvvisamente al centro dell’attenzione collettiva, e arrossì nell’imbarazzo per lei proprio derivante dal non essere stata ella stessa a giungere a un tale pensiero, a una simile conclusione, laddove, in fondo, quella avrebbe avuto a doversi riconoscere qual una propria esclusiva prerogativa « … sì… non ci dovrebbero essere problemi a farlo. »

lunedì 30 dicembre 2019

3140


Desmair era in viaggio verso Loicare. E, secondo la fenice, il nemico stava arrivando.
Ritenere quella una semplice coincidenza sarebbe stato un vero e proprio affronto all’intelletto della donna guerriero, ragione per la quale, necessariamente, ogni muscolo del suo corpo ebbe a tendersi violentemente nel confronto con quella notizia e, in particolare, nel confronto con il proprio sposo.
Una tensione che, ovviamente, non poté ovviare ad apparire evidente nel confronto con la di lui attenzione, per così come, puntualmente, non mancò di evidenziare e di evidenziare con i propri consueti toni caustici…

« Che fremito ti ha scossa al solo sapermi in viaggio verso di te… » sorrise egli, aggrottando appena la larga fronte « … devo supporre che il mio nuovo corpo ti abbia a coinvolgere in misura maggiore rispetto alla mia forma originale…?! » domandò provocatoriamente, non fraintendendo la negatività propria di quella tensione e, ciò non di meno, non volendosi lasciar sfuggire quell’occasione di scherno a suo riguardo.

Uno scherno, nel mal interpretare la reazione della propria sposa, che egli volle allor cavalcare nel mutare e nel mutare aspetto sotto il suo sguardo, lasciando sostituire alle proprie fattezze originali, a quel corpo nerboruto e colossale, in misura persino superiore a quella del già smisurato Pitra Zafral, un altro corpo, e un corpo dalle proporzioni decisamente più umane. Alla pelle rossa, simile a cuoio verniciato, tesa su muscoli oscenamente rigonfi, venne così sostituita delle normale carnagione rosea, contraddistinta da un’agile e guizzante muscolatura più che dignitosa nella propria presenza, senza, in ciò, apparire ossessivamente predominante. Agli zoccoli presenti alle estremità inferiori delle sue gambe, e di quelle gambe equine, furono sostituiti due comunissimi piedi umani, posti a conclusione di due bel proporzionate gambe umane. Alle sue mani artigliate si sostituirono due comuni mani mortali, grandi, sì, ma ben proporzionate e mirabilmente eleganti nelle proprie fattezze. E al suo volto demoniaco, ornato da corna, si ebbe a sostituire un volto decisamente più affascinante, e un volto che, nella propria forma, nei propri zigomi, in quelle fossette ai lati delle carnose labbra, nei profondi occhi e nei lunghi capelli spioventi ai suoi lati, non poté purtroppo mancare di risvegliare sentimenti controversi nella profondità del grembo di Midda, in un’attrazione che non avrebbe voluto allor provare e che, proprio malgrado, non si sarebbe potuta lì negare. Perché se pur il volto che le venne così presentato, con quella corta barba incolta e quel sorriso sardonico, altro non avrebbe avuto a dover essere inteso se non, ovviamente, qual il volto di Reel Bannihil, a confronto con le emozioni nascoste nella profondità del cuore della donna guerriero, tale non avrebbe potuto che essere anche inteso qual il volto di Desmond Risi, l’uomo del quale, nella realtà onirica crudelmente imbastita da parte di Desmair per intrappolarlo, ella si era innamorata, ed era rimasta innamorata per lungo tempo, vivendo accanto a lui la propria quotidianità, e una quotidianità ben diversa da qualunque altra mai ella avesse vissuto prima, né in compagnia di Be’Sihl, né di Ma’Vret, né di Salge.
Desmond non esisteva.
E di questo Midda non aveva dubbio alcuno, ben comprendendo, ben razionalizzando quanto, per creare quell’individuo fittizio, Desmair non avesse fatto altro che impiegare, non senza una certa malizia, le sembianze proprie di Reel Bannihil, il suo nuovo ospite, fondendole ai modi, alle premure, alle dolcezze proprie di Be’Sihl, l’uomo che ella più aveva amato nella propria vita, e in una vita che, in maniera del tutto paradossale, all’interno di quel coma le era stata presentata qual la fantasia propria di un lungo, lunghissimo periodo di coma conseguente a un brutto incidente automobilistico, lo stesso che, per la sua corrispettiva dimensionale di nome Maddie e per sua sorella Rín, era stato purtroppo responsabile della prematura scomparsa di loro madre, oltre che dell’infermità di Rín, quella stessa infermità che ella era riuscita recentemente a superare soltanto in grazia alle misteriose e temibili capacità proprie del tempo del sogno. Nulla di originale, quindi, avendo a inventare, e sol abilmente riutilizzando, riciclando diversi elementi, e diversi elementi pur fra loro del tutto coerenti, Desmair era stato in grado di creare, nella sua mente, un vero e proprio mondo, una realtà alternativa nella quale ella, egoisticamente, si era trovata sì a proprio agio, rifuggendo a ogni orrore della sua vita reale, da accettarla come unica, effettiva, realtà, e, in ciò, da imprigionarsi in essa autonomamente, in maniera ben più profonda di quanto mai lo stesso Desmair non avrebbe potuto credere sarebbe accaduto, in termini tali per cui soltanto l’intervento diretto di Be’Sihl in suo soccorso era stato in grado, a stento, di tirarla fuori da lì, permettendole di risvegliarsi. Un’esperienza, quella tuttavia così da lei vissuta, che non era rimasta priva di conseguenze. Se non sul piano fisico, laddove in grazia all’aiuto di Roro e di tanto sano esercizio e impegno ella era riuscita a ristabilire completamente il proprio corpo, quantomeno sotto il punto di vista squisitamente psicologico, nel lasciarla in balia dei ricordi e delle emozioni di un’altra vita, e di un’altra vita da lei vissuta in relazione a molte persone amate, a una gemella purtroppo perduta, a un padre che, francamente, non era certa avrebbe mai avuto occasione di rivedere in vita propria, e a tutti quegli amici che, se pur anche presenti nella realtà quotidiana, lì si ponevano parte di un mondo diverso, di un mondo a modo suo decisamente più complesso del proprio e, ciò non di meno, un mondo nel quale aveva imparato a muoversi, nel quale aveva imparato a interagire, nel quale aveva imparato a vivere, e nel quale, per molte stagioni, almeno dal proprio punto di vista, ella era stata… felice.
Ritrovarsi, quindi, a confronto con il volto proprio di Desmond, pur consapevole di quanto egli altri non avesse a dover essere identificato se non qual Desmair celato dietro alle sembianze di Reel, non avrebbe potuto ovviare a sconvolgerla, intimamente, più di quanto non avrebbe avuto piacere ad ammettere, nella misura utile a rimpiangere, quasi, il volto originale, e più facilmente odiabile, del proprio sposo. E, di ciò, inutile a illudersi del contrario, egli doveva essere perfettamente conscio, o non avrebbe pronunciato quelle parole, nel scegliere di presentarsi, improvvisamente, in tal maniera, in tali vesti, innanzi a lei.

« Che ne pensi, mia cara…? » la invitò la calda e avvolgente voce dell’amato Desmond, nel mentre in cui egli, levandosi in piedi innanzi a lei, si ebbe a ritrovare praticamente nudo, avvolto qual era dalle consuete vesti bianche di Desmair, e quelle vesti che, tuttavia, mal adattandosi alle proporzioni più contenute di quella nuova forma, ebbero a ricadere ai suoi piedi, offrendo in tal maniera allo sguardo della donna tutta la perfezione atletica di quel corpo perfettamente plasmato « Siamo soli… e nessuno ci disturberà, in questo recondito angolo della tua mente. » sottolineò, mentre ora anche l’ambiente attorno a loro, e l’ambiente proprio di quelle scale, ebbe a mutare, e a mutare nella misura utile ad assumere le sembianze proprie della camera da letto che tanto a lungo aveva condiviso con Desmond « Potremmo forse…? »

E se, per un fugace istante, ella si ritrovò pronta a rispondere di sì, vittima di quell’orrenda malia e di tutti i ricordi di una vita mai vissuta, un attimo dopo la sua coscienza riprese il sopravvento e le impose di rammentarsi chi ella fosse, ma, ancor più, chi fosse quell’uomo, quell’uomo lì di fronte a lei con incedere tanto affascinante, tanto conturbante, e che pur, altro, non avrebbe avuto che a doversi riconoscere qual un inganno, qual un imbroglio, nulla avendo egli a vantar di reale e, a prescindere da ciò, nulla avendo neppur egli a vantar di comune con Desmond… laddove il suo vero “Desmond” altri non avrebbe avuto a doversi riconoscere se non in Be’Sihl.

« No! » ruggì pertanto ella, levando la propria destra e con tutta la potenza concessa dai servomotori del proprio pugno artificiale, andando a colpire il volto di Desmair/Reel/Desmond, sperando obiettivamente di ridurlo in poltiglia e, proprio malgrado, non illudendosi di ciò, rimembrando quanto, in quel momento, nulla di tutto quello fosse reale « Ti ucciderò, Desmair! Io ti ucciderò! »

E con quel grido, e con quelle poche e pur chiare parole, ella ebbe a riaprire gli occhi nella realtà, risvegliandosi ansimante e madida di sudore fra le braccia di Be’Sihl, il quale, a propria volta, non poté che recuperare improvviso contatto con la realtà, sprofondato, qual era a sua volta, nel sonno, per quanto sicuramente in un sonno più quieto e riposante rispetto a quello purtroppo così proprio della sua amata.

domenica 29 dicembre 2019

3139


Nel conteggio degli errori compiuti nel corso della propria vita, la sezione relativa al proprio rapporto con Desmair, per la donna guerriero, avrebbe meritato una categorizzazione a parte, tanto essi avrebbero avuto a dimostrarsi mirabilmente marcati sin dal primo giorno. In ciò, e più che sotto ogni altro possibile punto di vista, Desmair avrebbe avuto a doversi riconoscere qual la sua principale nemesi: non per il fatto di essere il proprio sposo, quanto per il fatto di incarnare le conseguenze stesse di una lunga, e reiterata, sequela di errori, errori iniziati con il loro primo incontro e, in effetti, ancor non conclusi. Perché in quale altra maniera avrebbe avuto a dover essere intesa l’illusione propria di un’alleanza con Desmair se non, per l’appunto, un errore…?!
Fra tutti gli errori compiuti con lui, sicuramente, il più grave fra quelli recenti avrebbe avuto a doversi intendere quello utile a garantirgli, a concedergli accesso a un nuovo corpo, e, soprattutto, a un nuovo corpo immortale qual quello di Reel Bannihil: un sacrificio a cui aveva condotto a propria insaputa lo stesso Bannihil, motivato solo e unicamente da ragioni egoistiche, ed egoistiche nella misura utile, allora, a garantire la liberazione, da tanto sgradevole incombenza, del proprio amato Be’Sihl, nella speranza, a margine di tutto ciò, di riservarsi anche l’opportunità di liberarsi definitivamente di lui, intraprendendo cammini distinti. Sciocca, che era stata! E sciocca in misura disarmante, nel considerare quanto, allora, Desmair l’aveva ripagata per tutto ciò intrappolandola nella propria mente e lì lasciandola a marcire in uno stato di profondo coma, nel mentre in cui, al di fuori della sua possibilità di controllo e di coscienza, il mondo proseguiva per la propria strada, Be’Sihl scopriva il lato più oscuro della propria anima e, alla fine, addirittura moriva, solo per ritrovarsi a essere resuscitato a nuova vita a opera dello stesso Desmair, in grazia ai nuovi poteri per lui propri attraverso il corpo dello stesso Reel Bannihil. E così, paradossalmente, Desmair era rientrato nelle loro esistenze come salvatore solo per aver contribuito a sciogliere quanto egli stesso aveva legato… dimostrando, né più, né meno, quanto essi avrebbero avuto a doversi considerare veramente ingenui nell’insistere ad averlo a riconoscere qual alleato, e qual alleato pur nella lotta contro un nemico come Anmel Mal Toise.
Inutile a dirsi, Midda iniziava a essere francamente stanca di tutto ciò. E iniziava a essere stanca di ciò nella misura utile a potersi considerare pronta a interrompere ogni tregua nei confronti del proprio ex-sposo, per dichiarargli guerra e guerra aperta. Piccolo particolare: per quanto, il giorno delle loro nozze, ella fosse riuscita a estorcergli, con l’inganno, l’impegno a non ucciderla, con quell’ultima, sgradevole, trovata, Desmair aveva dimostrato di aver trovato un piccolo, ma importante, cavillo a cui appellarsi, potendo sfruttare il legame mentale esistente fra loro per imprigionarla all’interno della propria stessa mente, liberandosi di lei senza, invero, avere a ucciderla. Nel momento stesso, quindi, in cui Midda si fosse decisa ad agire in contrasto al proprio sposo, avrebbe avuto a doversi assicurare, prima, di poter essere immune alla sua negativa influenza psichica… o, altrimenti, qualunque propria ribellione si sarebbe vista ben rapidamente soffocata ed estinta, qual la flebile fiamma di una candela. E laddove, purtroppo, al momento del proprio arresto in quel di Loicare, ogni suo effetto personale le era stato sequestrato; e soltanto la spada era riuscita a essere da lei, successivamente, recuperata; ella non avrebbe più potuto riservarsi il sostegno proprio offertole dalla protezione del bracciale consacrato al dio shar’tiagho Ah'Pho-Is, signore degli inganni, quel prezioso monile dorato che, per anni, le era stato utile allo scopo di ovviare alla prepotenza psichica del proprio sposo.
Insomma… per quanto ella avrebbe desiderato, con tutte le proprie forze, opporsi a Desmair, la propria situazione attuale non le avrebbe concesso alcuna possibilità in tal senso. E, anzi, avrebbe visto miseramente fallire ogni possibile impegno a tal riguardo.
Cosa potersi riservare occasione di fare, quindi, se non proseguire ancor come già allora, offrendo il proprio miglior viso al pessimo giuoco che lì le stava venendo imposta ragione di giuocare…?!

« Mia diletta sposa… » sorrise egli, con quel proprio viso demoniaco, quel proprio amplio sorriso maligno, celato fra la curva dell’orrendo naso e quella dell’ancor più orrendo mento, quasi a congiungersi come il becco di un rapace, e con quei due propri piccoli occhi ricolmi di tutta l’empietà propria di quella creatura, e di quella creatura la cui stessa esistenza appariva paragonabile a un errore, in termini più che utili a giustificare, in tal senso, l’operato di sua madre, della regina Anmel Mal Toise, quando, per liberarsene, lo aveva esiliato in una realtà al di fuori di ogni altra realtà « … devo forse rammentarti quanto, in questo momento, si sia tornati a essere alleati nella lotta contro il nostro comune nemico…?! » puntualizzò, scuotendo il capo « Non sono io il tuo avversario… ricorda. »

Ma su chi avesse a dover essere riconosciuto, in quel frangente, qual il proprio avversario, il proprio nemico, Midda non avrebbe potuto ovviare a riservarsi quieti dubbi, complice anche l’ambiguità dell’ultima frase pronunciata dalla fenice, e di quella frase che, a confronto con l’inatteso ritorno di Desmair, non avrebbe potuto ovviare a risuonare in spiacevole correlazione con il medesimo.
Possibile che, alla fine, il nemico preannunciato dalla fenice avesse a dover essere riconosciuto proprio nello stesso Desmair…?!

« E, per inciso, sono qui ora non tanto per mia iniziativa… quanto e piuttosto per richiesta stessa dei tuoi, e miei, alleati… » soggiunse e sottolineò il semidio, a cercare utile occasione di distensione psicologica ed emotiva nei riguardi della propria sposa « … sono stato contattato dal capitano Rolamo con la richiesta di tentare di comprendere in quale guaio ti fossi cacciata, giacché sono tutti estremamente preoccupati per la tua salute. » esplicitò, a meglio contestualizzare il discorso « Pensa che imbarazzo quando mi ritroverò a dover loro spiegare che, allorché trovarti impegnata in una strenua lotta per la sopravvivenza in contrasto a mia madre, ti ho sorpresa addormentata e abbracciata nuda al tuo amante, nel bel mezzo di… mmm… fra l’altro dove ci troviamo in questo momento…?! » domandò, capace di proiettare la propria immagine nella mente della propria sposa, e di giuocare con i suoi sogni e i suoi ricordi più prossimi, e pur fortunatamente privo di un controllo sì marcato da poter contestualizzare autonomamente, e con precisione, quella situazione.
« Pitra e Casta stanno bene…?! » domandò pertanto Midda, cogliendo l’occasione al volo per cercare di riaggiornarsi nel merito di quanto accaduto, tralasciando quanto, proprio malgrado, avrebbe avuto a doversi interfacciare proprio con quell’essere per ottenere informazioni utili a tal riguardo.
« Parti dall’erroneo presupposto che io sappia di cosa tu stia parlando, mia cara… » escluse tuttavia egli, negando qualunque consapevolezza nel merito del destino dei due accusatori, nomi del tutto estranei alla sua conoscenza, almeno in relazione alla sfera di amicizie e alleanze proprie della sua sposa « Comunque sia, credo che tu abbia a ricordare quanto io trovi semplicemente svilente ridurmi al ruolo di mero messaggero fra te e i tuoi amici… e, in questo, non mi chiedere di riportare loro alcun particolare messaggio: cara grazia che mi sono scomodato allo scopo di assicurarmi del fatto che tu e il tuo amante foste ancora vivi. »
« Siamo ancora vivi… e non, certamente, per merito tuo! » colse al volo ella, tuttavia, l’occasione utile a protestare, e a protestare in giustificabile avversione al proprio tanto odiato maritino « Stiamo affrontando tua madre… e tu dove sei? Ci avevi promesso supporto logistico… ci avevi promesso armi e uomini… ci avevi promesso tante cose… »
« Per quanto mi dispiaccia ammetterlo, non è così facile radunare persone come poteva esserlo radunare spiriti… » replicò Desmair, in riferimento all’influenza che, sul loro mondo natio, egli avrebbe potuto vantare nei riguardi di un’amplia moltitudine di spettri, alle proprie esclusive dipendenze « … e il tuo caro Be’Sihl non ha semplificato le cose, nel momento in cui ha sterminato buona parte dei miei luogotenenti. » puntualizzò, arricciando appena le labbra a esprimere apertamente tutto il proprio fastidio a tal riguardo « Comunque sia, ora sono in viaggio verso Loicare… e, quindi, puoi anche chiedermi scusa per questi immotivati toni accusatori a mio discapito. » concluse, attendendosi, realmente, delle scuse da parte della sposa.

sabato 28 dicembre 2019

3138


Difficile discriminare se fu più per colpa o per ingenuità, ma, quanto certo fu che nessuno sopraggiunse a disturbare Midda e Be’Sihl nell’appassionata parentesi che vollero in tal modo riservarsi su quelle scale, in un punto ipoteticamente pubblico e, in quanto tale, spiacevolmente esposto.
Con il proverbiale senno proprio di chi, ormai, già proiettato oltre la linea temporale degli eventi in questione, forse, si sarebbe potuto dedurre quanto, troppo impigriti nel proprio stesso pensiero da tutte le comodità loro offerte dalla tecnologia, nessuno dei loro inseguitori avrebbe potuto prendere in esame la folle idea che qualcuno potesse davvero pensare di affrontare quella fuga ridiscendendo a piedi lungo l’intera estensione dello smisurato grattacielo. Un’ipotesi, quella, che ovviamente non avrebbe assolto né il fattore di colpa, né tantomeno quello di ingenuità proprio di chi, pur, avrebbe dovuto dare loro la caccia; e pur un’ipotesi, a modo suo, non priva del proprio perché, della propria ragione, e di una ragione che, allora, ebbe comunque a manifestarsi nella praticità della quiete, e della quiete che fu loro garantita per tutto il tempo loro necessario, tanto per consumare entusiasticamente molteplici, intensi amplessi, quanto e alfine per riservarsi l’opportunità di crollare, stremati, su quelle stesse scale, lì abbracciati in un breve momento di riposo, e un breve momento di riposo che, complice anche l’assenza, alfine, di ulteriore adrenalina, ebbe a vederli lì dormire per diverse ore, sino al mattino successivo, e a mattino inoltrato.
E se, nel proprio pigro, ma felice, risveglio, Midda avrebbe avuto a doversi riconoscere già pronta a stendere i propri arti intorpiditi, a stiracchiarsi felinamente fra le braccia dell’amato, e quelle calde braccia che, ancor a occhi chiusi, sentiva avvolgerla con dolce prepotenza, non appena ella ebbe a concedersi l’occasione di dischiudere un occhio, quanto le fu offerto alla vista fu l’oscena immagine propria di un cadavere, e di un cadavere smembrato lungo tutta la scala sulla quale, lì, aveva avuto a riservarsi la stolida opportunità di un riposo…

« .. dei… » gridò, non potendosi negare una naturale occasione di spavento nel confronto con quell’immagine, e con quell’immagine così vivida, così raccapricciante e così realistica, per quanto, di lì a un istante, la sua coscienza, allor a sua volta risvegliatasi, ebbe a ricordarle quanto nulla di tutto quello avrebbe avuto a dover essere inedito al suo sguardo…
… e, in tal senso, nulla di tutto quello avrebbe avuto a doversi giudicare reale « Sei malato, Desmair! » ruggì furente, sottraendosi all’abbraccio di quel cadavere, o, per lo meno, di quanto la sua mente le stava proponendo in quanto tale, solo per rimettersi rapidamente a sedere, e ricercare, attorno a sé, l’immagine del proprio sposo, e di quello sposo che, con la propria sì macabra e sopraggiunta presenza, non avrebbe potuto che apparire a sgradevole conferma di ogni ipotesi nel merito dell’avvertimento della fenice.

Era trascorso abbastanza tempo dall’ultima volta che Desmair aveva giocato in tal modo con la sua mente in misura tale da riservarsi, in tal senso, maggior successo rispetto a quanto, con una maggiore costanza, non avrebbe saputo probabilmente rendere proprio. Ma, purtroppo per lei, non era trascorso abbastanza tempo dall’ultima volta per permetterle di dimenticarsi un tale orrore: non, soprattutto, laddove per troppi anni simili scene avevano avuto occasione di affollarsi nella sua mente, e lì di nausearla nella loro verosimiglianza, ogni qual volta ella si concedeva l’opportunità di giacere in compagnia del proprio amato Be’Sihl… e, purtroppo, sin dalla prima volta in assoluto, in un sadico giuoco con il quale il suo mai amato marito sembrava volerla punire per quel proprio comportamento fedifrago.
E se pur, per un lungo istante, nessuno ebbe a reagire a quella sua esclamazione, in termini tali da tentare di procrastinare l’orrore proprio di quell’oscena immagine, alla fine la più sgradevole risata propria di quel tanto odiato alleato ebbe nuovamente a imporsi alla sua attenzione, prorompendo sulla scena con un certo, trasparente, divertimento a confronto con tutto ciò e, in particolare, con la sua sì palese manifestazione di rabbia…

« Lurido figlio di… » ringhiò ella, a confronto con la sua risata, voltandosi verso la direzione di provenienza della medesima e individuando l’enorme e demoniaca figura di Desmair comodamente seduta sulla cima di quella rampa di scale, non distante da dove la sua perversa immaginazione aveva voluto collocare la testa di Be’Sihl, con gli occhi riversi all’indietro e la lingua a penzoloni fuori dalla bocca spalancata in maniera innaturale, per così come solo nella morte avrebbe potuto essere permesso.
« Perdonami… vecchie abitudini. » sorrise egli, scuotendo l’enorme capo ornato da smisurate corna bianche, prima di avere a cancellare l’intera, orrida e macabra immagine così composta con un semplice cenno della propria mano, eliminando ogni traccia della presenza, viva o morta che fosse, di Be’Sihl, e riservandosi l’occasione di restare da solo, per quelle scale, in compagnia di sua moglie « Pensavo avresti potuto apprezzare il piacere nostalgico di un simile scherzetto… »
« Considerando quanto, l’ultima volta che hai giocato con la mia mente, mi hai intrappolata in essa per mesi… no… perdonami ma francamente non provo alcun piacere nostalgico a confronto con simili scherzetti. » escluse la donna guerriero, non dimentica, oltre che di quei lunghi e difficili mesi, per lei addirittura anni, di prigionia psichica, anche dei non semplici mesi a essi successivi, e quei mesi nel corso dei quali aveva dovuto faticosamente riacquistare il dominio sul proprio corpo, e su quel corpo ineluttabilmente deperito, su quei muscoli inevitabilmente atrofizzatisi, in conseguenza al lungo coma.
« D’accordo… ti perdono. » concesse egli, interpretando alla lettera quelle ultime parole e riconoscendole quali un’offerta di scuse da parte della donna verso di lui « In fondo, in qualunque modo avresti voluto avere occasione di completare il tuo insulto in relazione ai miei genitori, non avrebbe potuto che essere più che condiviso da parte mia… » scherzò, ritornando al ringhio precedente, e a quell’insulto morto fra i denti della propria stessa sposa, quell’insulto che, tuttavia, ovunque fosse andato a colpire non avrebbe trovato da parte sua alcuna ragione di contraddizione.
« Desmair! » lo richiamò ella, risalendo con foga quei pochi gradini fra loro esistenti, per avvicinarsi con fare minaccioso a lui, per quanto, purtroppo, ben consapevole di non poter obiettivamente nulla in suo contrasto, non e soprattutto in quel momento, e in quel momento che, altro, non avrebbe avuto a dover essere inteso se non qual frutto dell’influenza negativa dello stesso sulla sua mente, in termini tali per cui, allora, egli non avrebbe dovuto neppure aver a dover essere lì riconosciuto qual presente « Che accidenti vuoi…?! »
« Nell’immediato ero intenzionato a infastidirti un po’… moglie fedifraga. » ammiccò il semidio immortale, sottintendendo in maniera tutt’altro che equivoca a quanto appena occorso, e a quell’ennesimo tradimento da lei perpetrato ai danni del loro voto matrimoniale « Per quanto, in fondo, non possa che provare una certa simpatia verso Be’Sihl, dopo tutto quello che ci ha accomunati in questi ultimi anni, non puoi davvero pensare che mi possa piacere l’idea che tu continui a mancare ai tuoi impegni coniugali con me per divertirti con lui. »
« Sappiamo entrambi che sono tutte fole! » protestò ella, lì schierata completamente nuda innanzi allo sguardo del marito e, ciò non di meno, priva di qualunque genere di pudore, così come del resto lo sarebbe stata innanzi allo sguardo di chiunque altro, non essendosi mai riservata simili inibizioni mentali a confronto con il proprio stesso corpo « Il nostro stesso matrimonio è una fola… e sarebbe anche ora di finirla! »
« E rinunciare alla moglie più interessante di tutta la mia intera esistenza…?! » sorrise egli, scuotendo il capo « E’ vero… quando sei piombata nella mia fortezza, la prima volta, ho sottovalutato il tuo potenziale, nel preferire concentrarmi sulla tua amica negromante. Vuoi darmi torto per questo…? » domandò, stringendosi appena fra le spalle « Ma dopo tutti questi anni insieme, sono sincero, ormai mi sono affezionato anche a te… malgrado tutti i tuoi difetti. »
« Crepa, Desmair. » sbottò la donna guerriero, posta, innanzi a lui, qual innanzi all’unico essere in grado di irritarla, e irritarla in maniera decisamente più profonda di quanto ella non avrebbe potuto avere piacere di ammettere « Troverò il modo di liberarmi di te… te lo giuro! Dopotutto, e non dimenticarlo, ho ucciso persino tuo padre… » rimembrò, e rimembrò, più che altro, a proprio stesso vantaggio psicologico in opposizione al marito, per concedersi, a confronto con tale pensiero, con simile verità, occasione per recuperare una pur effimera parvenza di controllo sulla situazione.

venerdì 27 dicembre 2019

3137


E se pur, in quel bacio, entrambi ebbero a perdere la cognizione del tempo, forse in esso impiegando pochi istanti, forse pochi minuti, o forse ore intere, difficile a dirsi, quando, alfine, si separarono, lo fecero decisamente a malincuore, concedendosi giusto pochi, pochissimi pollici di distanza l’uno dall’altra, pronti, all’occorrenza, a tornare così a stringersi reciprocamente, a fondersi nuovamente l’una nel calore dell’altro, forse e persino dimentichi dell’intero Creato attorno a loro, e di un Creato che, in quel frangente, non avrebbe avuto a doversi fraintendere qual propriamente a loro favore.

« E’ un peccato non poterci riservare qualche momento in più… » sussurrò Midda, non riservandosi alcun pudore di sorta con il proprio compagno, per così come mai si era riservata e per così come mai avrebbe avuto ragione di riservarsi, almeno fino a quando il loro rapporto fosse rimasto quello, almeno fino a quando egli fosse stato il suo compagno « … queste scale, improvvisamente, sembrano straordinariamente comode e accoglienti, quasi quanto un letto imbottito di morbide piume… » incalzò, tornando alle morbide e carnose labbra di lui solo per riservarsi ora l’occasione di agguantare l’inferiore con la punta dei propri incisivi, mordicchiandola appena « … mmm… » gemette, lasciandosi in tal senso trasportare da tutto il proprio desiderio per lui, e a lui tornando a serrarsi appassionatamente.

E se ogni singola membra del corpo dello shar’tiagho, allora, altro non avrebbe potuto che desiderare trarre a sé con dolce prepotenza quel corpo, strappandole gli ultimi brandelli di abiti ancora rimastile e unendosi carnalmente a lei, lì, in quel punto, in piedi contro quel muro, all’occorrenza, o in qualunque altra posizione che quei gradini avrebbero potuto concedere loro; un effimero barlume di razionalità ebbe a frenare il proprio incedere, ricordandogli quanto, in quel momento, incredibilmente stolido, se non persino autolesionista, sarebbe stato concedersi tutto quello, pur con la donna che egli amava, e amava letteralmente alla follia, per la quale sarebbe vissuto e sarebbe morto mille e più volte, se soltanto ciò gli fosse stato possibile… non che, in effetti, almeno una morte non fosse già occorsa, a testimoniare praticamente tutto ciò.
Così, benché le sue mani non poterono ovviare a esplorare possessivamente ogni curva del corpo della propria amata, benché le sue braccia non poterono ovviare a chiudersi attorno a lei, invocando in maniera quasi disperata quell’unione, un lieve alito di voce cercò di opporsi a tutto ciò, invocando, per il bene di entrambi, un momento di razionalità in quieto contrasto a quell’altrimenti inebriante e prepotente passionalità…

« … Midda… » sussurrò, o forse gemette il nome di lei, nel sentire le sue mani muoversi delicatamente al di sotto della sua elegante giacca, nella quieta intenzione di sfilarla dal suo corpo, per ridurre la distanza allor esistente fra la loro pelle « … non… è… il momento… più adatto… »

Midda Bontor, Figlia di Marr’Mahew, Ucciditrice di Dei, Campionessa di Kriarya, era perfettamente consapevole del fatto che quello non avesse a doversi intendere il momento più adatto. In effetti, la propria intera esistenza avrebbe avuto a doversi riconoscere qual contraddistinta da momento non adatti, sin da quando, ancora decenne, ella volle fuggire di casa e imbarcarsi clandestinamente a bordo di una nave mercantile, a ricercare in tal maniera, su di essa, la possibilità di vivere la propria grande avventura. E, in effetti, da quel giorno ella aveva iniziato a vivere la propria grande avventura… e un’avventura che, dopo trentacinque anni ancora non si era conclusa, né mai si sarebbe probabilmente conclusa fino a quando, per lo meno, ella fosse stata ancora in vita.
In ciò, volendo riservarsi la razionalità utile a discernere il momento più adatto da quello meno adatto, ella non avrebbe avuto a poter vivere alcun momento con alcuno. Giacché, nella follia propria della vita che ella aveva scelto per sé, nessuno momento sarebbe mai risultato realmente adatto, realmente opportuno per concedersi il lusso di una tale distrazione, di una simile parentesi. Ma, sin da quando il suo corpo aveva iniziato a conoscere la pubertà, nelle proprie prime emozioni, nelle proprie prime esigenze, ella non si era mai negata quel lusso, non desiderando certamente vivere la propria vita qual unicamente votata alla guerra, per così come pur, a posteriori, il mito attorno al suo nome avrebbe potuto anche suggerire che fosse. Perché se pur, nella guerra, ella aveva trovato una delle proprie principali ragioni di vita, mai, quella donna, avrebbe potuto fraintendere quanto quella non avrebbe mai potuto essere la sua unica occasione di vita. E ogni qual volta, in tal senso, aveva commesso l’errore di muovere i propri passi, aveva avuto soltanto occasione di amari rimpianti, per quanto avrebbe potuto pur essere e, ciò non di meno, non sarebbe mai stato…
Quante volte aveva rinunciato all’idea di una famiglia, perché non era il momento più opportuno? Le figlie della propria gemella ne avrebbero potuto essere testimoni. H’Anel e M’Eu ne avrebbero potuto essere testimoni. E, prima ancora, il sempre rimpianto Salge Tresand ne avrebbe potuto essere testimone… quell’uomo che per primo ella aveva conosciuto, e con il quale, se soltanto non avesse ricercato il momento più opportuno, probabilmente sarebbe stato il fiero padre dei suoi figli, e di figli nati dal proprio stesso ventre, quand’ancora non le era stata negata tale possibilità.
Quante volte aveva rinunciato all’idea dell’amore, perché non era il momento più adatto? Be’Sihl stesso ne avrebbe potuto essere testimone, con i suoi quindici lunghi e pazienti anni d’attesa prima che ella si decidesse ad accettarlo in quel ruolo per lui ora così meravigliosamente proprio. Ma’Vret, il padre di H’Anel e M’Eu né avrebbe potuto essere testimone, al pari, ancora una volta, dello stesso Salge Tresand, nel momento in cui, per ragioni diverse, ella si era negata loro, rinunciando alla possibilità di una vita d’amore insieme semplicemente perché non era il momento più adatto.
Ma ora, posta a così ravvicinato confronto con Anmel Mal Toise, con la propria nemesi per eccellenza, e con chissà quale ancor non meglio identificato antagonista, nel momento sicuramente meno adatto, meno opportuno della propria vita, Midda Bontor, Figlia di Marr’Mahew, Ucciditrice di Dei, Campionessa di Kriarya, non avrebbe più voluto preoccuparsi di ciò. Anche nella quieta e razionale consapevolezza di quanto, probabilmente, ancor pochi, se non alcuno, avrebbero potuto avere a riconoscersi i momenti a lei concessi. E non i momenti più opportuni, i momenti più adatti… ma i momenti, nel senso più amplio del termine.
Così, con la più totale indifferenza nel confronto di ogni razionalità, di ogni logica, ella afferrò brutalmente i vestiti del proprio compagno, a confronto con i quali pocanzi stava cercando di agire in maniera discreta, in maniera delicata, solo per strapparli, e strapparli energicamente dalle sue membra, a dimostrare con un’inequivocabile azione pratica il senso ultimo della propria risposta all’obiezione da lui blandamente sollevata.

« … se deve essere… che sia. » proclamò ella, a margine di tale azione, prima di tornare a premere le proprie labbra su quelle di lui, nulla desiderando allora se non vivere tutto quello, in quell’esatto punto.

E se quell’abito da sera di Be’Sihl, in morbide ed eleganti stoffe, ben poco ebbe a poter a confronto con la prepotenza espressa dalla donna, riducendosi letteralmente a brandelli nella propria parte superiore, quell’azione di forza, quella brutale prepotenza da lei allor tanto esplicitamente espressa, non poterono che inebriare lo shar’tiagho, il quale, improvvisamente dimentico di ogni precedente remora, non volle negarsi, allora, occasione per sfilare dalla stoffa ancor lì rimasta per lei propria quello splendido corpo, quel corpo da sempre amato e desiderato, per avere, a sua volta, occasione di contatto con la pelle di lei, con la carne di lei, e con quella pelle e con quella carne mai sufficientemente amate, mai sufficientemente esplorate, per quanto, dai suoi occhi, dalle sue dita, dalle sue labbra, conosciute in ogni propria singola porzione.

« … se deve essere… che sia. » confermò egli, sollevando con forza l’effimero peso di lei solo per avere occasione di stringere, ancor più intensamente, quelle or nude forme contro di sé, contro il proprio corpo disperatamente abbisognante di quel mirabile contatto.

giovedì 26 dicembre 2019

3136


Non fu certamente banale, ma la scelta compiuta dalla donna guerriero e dal suo compagno e complice in favore di quella ridiscesa, a posteriori, ebbe a rivelare decisamente azzeccata nella propria occorrenza. Azzeccata, quantomeno, nella misura utile a permettere loro di trovare una via di accesso al grattacielo sottostante e, da lì, a iniziare una rapida, e pur al contempo estremamente lunga, scarpinata verso il livello del suolo. Certo, a ovviare a un’infinità di gradini, e di gradini fra loro sì eguali, sì omogenei da offrire, a un certo punto, l’illusione di essere intrappolati all’interno di un circolo vizioso, e di non star realmente muovendosi rispetto alla propria posizione iniziale, essi avrebbero anche potuto votare in favore dell’impiego dell’ascensore, interessante soluzione pratica al problema generato da edifici sì smisuratamente estesi in verticale e che, in effetti, avrebbe potuto trovare quietamente anche la propria possibilità di impiego in quel di Kriarya, contraddistinta da numerose torri e torri certamente non estese quanto quelle di quei mondi, e pur sempre torri: ma ricorrere, in quel momento, a un ascensore, avrebbe significato affidare il proprio stesso destino a una scatola metallica letteralmente appesa nel vuoto e a una scatola metallica che, troppo facilmente, avrebbe potuto essere manipolata, nel proprio stato, dall’esterno e, in ciò, dai loro antagonisti se non, addirittura, dalla stessa Anmel Mal Toise. Per questa ragione, quindi, allorché risparmiare le proprie energie per una sicuramente più comoda e più veloce ridiscesa in ascensore, tanto Be’Sihl quanto Midda non ebbero esitazioni a preferire, piuttosto, l’impiego di un sistema decisamente più antiquato e, ciò non di meno, pur sempre mirabilmente affidabile: le scale… e quell’infinità di scale da percorrere in sola grazia alla forza delle proprie gambe.
E se pur, almeno all’inizio, le chiacchiere fra loro risultarono estremamente moderate, nel non volersi concedere impropria possibilità di distrazione, e di distrazione da possibili pericoli che pur avrebbero potuto sorgere in loro contrasto in qualunque momento, da qualunque direzione, dopo i primi trenta piani, e con ancora, probabilmente, dieci volte tanto da percorrere, e da percorrere nella medesima, monotona, direzione, qualche occasione di confronto verbale non poté iniziare a essere spontaneamente ricercato tanto dall’una quanto dall’altro, in termini tali per cui, dopo altri sessanta piani, quella loro ossessionante ridiscesa avrebbe avuto a potersi reinterpretare qual un quieto momento di dialogo, come forse da troppo tempo non avevano più avuto l’occasione di concedersi…

« Posso essere schietta…?! » domandò a un certo punto la Figlia di Marr’Mahew, invero mai essendosi riservata, nel corso della propria esistenza, opportunità di essere meno che schietta nel proprio approccio alla vita e al prossimo, in quella che, sovente, avrebbe potuto persino intendersi qual una mancanza di discrezione o di tatto da parte propria.
« Quando mai non lo sei stata…? » replicò pertanto l’altro, sorridendo appena nel confronto con la retorica propria di quell’interrogativo, e di quell’interrogativo che ben poco significato avrebbe potuto riservarsi in riferimento proprio a lei.
« Lungi da me voler apparire ipocrita… » premesse quindi ella, aggrottando appena la fronte nella quieta consapevolezza dei termini nei quali aveva vissuto la propria intera esistenza e del quantitativo incalcolabile di sangue che aveva avuto, letteralmente, a dover lavare via dalla propria pelle nel corso di quegli ultimi trent’anni di vita « … ma vi era davvero necessità di compiere quella strage, prima? Avresti potuto trovare occasione di portarmi in salvo anche senza uccidere nessuno di quei disgraziati… »
« Sei consapevole che quegli stessi disgraziati stavano lì impegnandosi al solo scopo di catturarti o, meglio ancora, ucciderti…?! » esitò Be’Sihl, non comprendendo il senso di quel rimprovero o, per lo meno, volendosi impegnare a non comprendere il senso di quel rimprovero, giacché nel profondo del proprio cuore egli stesso non avrebbe potuto rifiutare la verità propria di quanto, sino a qualche anno prima, non avrebbe mai agito in quel modo, non avrebbe mai reagito in quei termini, e in termini tanto gratuitamente violenti nel confronto con una simile situazione « No. Non rispondere. » la fermò tuttavia egli, escludendo qualunque necessità di replica in tal senso « Lo so che hai ragione… »
« Non è che mi interessi aver ragione, amor mio… » escluse tuttavia ella, rallentando per un istante la loro ridiscesa, solo per avere occasione di volgere il proprio sguardo verso quello di lui, e per cercare, con i propri occhi azzurri, o, per meglio dire, con un occhio azzurro e un occhio ancora verde, in conseguenza all’ancor inalterata presenza di una lente sul sinistro, quelli castano-arancioni di lui « … è che… non so. Non mi sembri realmente tu, in queste situazioni. E’ quasi come se volessi essere me… e una me che, francamente, non sono certa neppure io di voler continuare a essere. » ammise ella, affrontando forse per la prima volta, ad alta voce, quell’argomento « So quanto male sei stato quando Desmair mi ha intrappolato nella mia stessa mente… mi hai raccontato quanto hai dovuto affrontare… e non desidero giudicarti per nulla di tutto ciò, laddove certamente, in una situazione inversa, io avrei compiuto anche molto di peggio: ma, per l’appunto, questa sono io… la Figlia di Marr’Mahew, la Campionessa di Kriarya, la donna da dieci miliardi di crediti… un’assassina, una mercenaria, una ladra… » dichiarò, lasciando risuonare in termini estremamente colpevoli quelle parole che, sino a qualche tempo prima, certamente sarebbero risultate quasi di vanto per lei « … ma tu… tu sei Be’Sihl: l’uomo che amo, il mio scoglio inamovibile all’interno della folle tempesta del mare della mia vita… e non c’è bisogno che tu diventi come me, per essermi vicino. Non ho mai voluto nulla di tutto questo. » concluse, arrestandosi, addirittura, nella propria ridiscesa e, in ciò, arrestando anche la ridiscesa del compagno, un attimo prima alle sue spalle, allora accanto a lei, per poterlo osservare e per potergli trasmettere, nel proprio sguardo, quel profondo senso di colpa che pur non avrebbe potuto ovviare a provare nel confronto con l’idea di aver influenzato tanto negativamente la sua vita.
« Midda… io… » esitò nuovamente egli, non potendo ovviare a un profondo senso di imbarazzo, di vergogna per quanto, allora, consapevole di aver compiuto, e per quanto già da molto tempo era consapevole di essere divenuto, non provandone orgoglio e, ciò non di meno, non riuscendo a essere diverso da ciò.

Ma la donna, ben comprendendo la pena che egli stava allor provando, e non potendo ovviare, a confronto con la stessa, a provare anch’ella pena, unita a imbarazzo e a vergogna, nella consapevolezza di quanto tanta corruzione, in lui, fosse stata ispirata soltanto e miseramente da lei stessa, non gli permise allora di proseguire in quella direzione, non gli permise allora di insistere in quell’ammissione di colpa, e di una colpa che non avrebbe mai voluto riconoscergli, interrompendo le sue parole e interrompendole nel coprire la breve distanza allor esistente fra loro, su quelle scale, solo per andare a premere le proprie labbra su quelle di lui, spingendolo appena contro il muro alle sue spalle, e, in tal senso, travolgendolo quindi con la passione propria di quel bacio, e di un bacio allor carico di tanti, troppi sentimenti, sentimenti fra loro contrastanti, e pur sentimenti forti, violenti, travolgenti, come quelli che soltanto a confronto con lui ella avrebbe potuto allor provare: perché egli, quell’uomo dolce e premuroso con lei, quell’uomo attento e presente con lei, quell’uomo violento e implacabile con i suoi nemici, era il suo uomo… ed ella non avrebbe potuto ovviare ad amarlo, e ad amarlo in maniera assolutamente incondizionata, mai giudicandolo per quelle che allora entrambi altro non avrebbero potuto intendere se non quali proprie colpe, e per quelle che, forse, e paradossalmente, non avrebbero avuto a dover essere intese come colpe di alcuno fra loro, quanto e piuttosto della loro stessa vita, e di quella vita così folle a confronto con la quale, certamente, chiunque altro avrebbe perduto il senno già da molto… troppo tempo.
Un bacio carico d’amore, quello del quale Be’Sihl si ritrovò a essere destinatario, che lo vide quindi accogliere il corpo dell’amata fra le proprie braccia e lì stringersi a lei, e stringersi a lei con delicata disperazione, quasi a voler ribaltare, nell’evidenza di quei fatti le parole da lei appena pronunciate, e quelle parole atte a volerlo indicare qual uno scoglio inamovibile, laddove già, da troppo tempo, egli non avrebbe potuto considerare se stesso qual tale, quanto, e purtroppo, in balia degli eventi, e di quegli eventi per sopravvivere ai quali l’unica possibilità rimastagli sarebbe stata quella di aggrapparsi a lei, e di aggrapparsi a lei con tutte le proprie energie, fisiche, emotive, mentali e spirituali.

mercoledì 25 dicembre 2019

3135


Sin dal loro primo incontro, le cose fra lei e Desmair avevano dimostrato di non essere in grado di funzionare. Egli: un semidio immortale, imprigionato dalla propria stessa genitrice in una dimensione estranea al mondo in termini tali da non potersi riservare occasione di danno nella loro stessa realtà, alla disperata ricerca di una sposa o, per meglio dire, della propria novecentoundicesima sposa, candidata ideale al ruolo della quale aveva individuato in una giovane donna, e, in effetti, una giovane negromante, posta sotto la protezione della Figlia di Marr’Mahew, in quanto già promessasi al suo mecenate, lord Brote di Kriarya, in grazia ai poteri della quale il semidio sperava, in tutto ciò, di avere occasione utile per liberarsi dalla propria condizione di prigionia. Ella: una donna guerriero estremamente ostinata, incapace a scendere a patti con il sovrannaturale e generalmente abituata, nel ritrovarsi a confronto con lo stesso, ad agire in maniera decisamente impositiva per mezzo della propria spada, spada che, tuttavia, contro il figlio della regina Anmel Mal Toise e del dio Kah aveva dimostrato tutti i propri limiti, e quei limiti conseguenti all’impossibilità, per lo stesso, di morire, anche laddove decapitato, mutilato, letteralmente fatto a pezzi da lei e, malgrado tutto ciò, egualmente indifferente a qualsivoglia genere di disagio. Ritrovandosi, così, ella di lui prigioniera, e ritrovandosi egli poco entusiasta anfitrione di una tanto chiassosa figura, le cose non avrebbero potuto che peggiorare nel momento in cui ella, presa da un’insana idea, e da un’idea fra le più stolide che in tutta la propria vita le era stata concessa occasione di dimostrare di rendere propria, aveva scelto di sostituirsi clandestinamente alla promessa sposa nel giorno stesso del matrimonio, finendo, in grazia a un’abile messinscena, per ricoprire il ruolo che avrebbe dovuto essere proprio della cara Nass’Hya Al-Sehliot, in un sacrificio più che doveroso per il bene di quella propria amica e protetta, e per rispettare il mandato del proprio mecenate, e quel mandato che certamente non avrebbe riservato margine alcuno di manovra a una simile empia celebrazione innanzi a quella che, piuttosto, avrebbe avuto a dover occorrere con lo stesso Brote una volta giunti a destinazione, e, ciò non di meno, in un sacrificio quantomai stolido, e stolido nella misura in cui, così facendo, ella ebbe a ritrovarsi legata, per il resto della propria mortale esistenza, a un marito non desiderato e che, soprattutto, mai ella avrebbe potuto desiderare, in quanto del tutto estranea a quanto avrebbe mai potuto ricercare al fine di conseguire il proprio più importante scopo, e quello scopo volto a ottenere liberazione dalla prigionia impostagli da lunghi secoli.
Paradossale, con il senno di poi, avrebbe comunque avuto a dover essere riletta quell’intera vicenda, e quella vicenda che, dopo alterni periodi di violenta avversione e di costretta collaborazione, aveva avuto a veder ottenere, da parte dello stesso Desmair, quanto desiderato, quando tanto a lungo ricercato e mai ipotizzato di poter essere allor ottenuto: la propria libertà! Non, forse, la libertà per così come egli avrebbe potuto originariamente immaginare gli sarebbe alfine stata riservata, e quella libertà che lo avrebbe visto ritornare al proprio mondo, e al proprio piano originale di realtà, con il proprio stesso corpo; e, ciò non di meno, comunque una libertà. E una libertà pagata a prezzo della propria stessa vita, con la morte impostagli, dietro mandato della propria stessa genitrice, dalle mani di quel divino padre, e di quel divino padre poi caduto sotto i colpi di colei che, in grazia di ciò, avrebbe guadagnato il titolo di Ucciditrice di Dei; e a prezzo della vita di un altro malcapitato, e un malcapitato di nome Reel Bannihil, all’interno del corpo del quale, dopo lunghe e alterne vicende, lo spirito di quel malvagio semidio era giunto a prendere possesso, e a prendere possesso in maniera non casuale, laddove, attraverso immorali manipolazioni tecnologiche, proprio a Reel Bannihil era stato imposto un dono dal sapor di maledizione, qual quello proprio dell’immortalità. In un corpo nuovo, quindi, e attraverso un percorso costellato di dolore e morte per tante, troppe persone, Desmair aveva ottenuto, più o meno indirettamente per grazia della propria sempre sgradita sposa, di realizzare il proprio scopo, ritrovandosi finalmente libero dalla prigionia della propria genitrice, e, se pur in un corpo non proprio, ancora una volta destinato a vivere una vita immortale.
In un tale scenario, in un simile contesto, e in un contesto che, purtroppo, ancor avrebbe spiacevolmente veduto Midda e Desmair fra loro legati, e legati da quel giuramento compiuto innanzi agli dei tutti, e da quel giuramento che, purtroppo, nessuno, se non la morte, avrebbe potuto spezzare, facile sarebbe potuto essere per una tanto reticente coppia di sposi prendere le distanze l’uno dall’altra, disperdendosi agli angoli opposti dell’universo per vivere, in totale e reciproca indifferenza, le proprie rispettive vite. Ma, pur anche nell’ipotesi non ovvia di poter superare quanto di male era occorso fra loro, su entrambi i fronti, nel corso di quegli ultimi lustri, ancor un interesse comune non avrebbe potuto ovviare a vederli legati, e legati nella misura utile a poter ipotizzare di aver ancora una volta bisogno l’uno dell’altra: la comune avversione nei riguardi di Anmel Mal Toise, nel confronto con la quale, e nel rispetto di quell’antico adagio per il quale “il nemico del mio nemico” con quanto consegue, anche tanto antagonistici marito e moglie avrebbero potuto trovare occasione utile per scendere a patti fra loro.
O, per lo meno, tale era da sempre stato il pensiero della Figlia di Marr’Mahew, dell’Ucciditrice di Dei, la quale, fra i due mali, aveva voluto giudicare, comunque, quello rappresentato da Desmair come il male minore. Un giudizio che, tuttavia e paradossalmente, e sempre in virtù del proverbiale senno di poi, avrebbe avuto tuttavia a meritare forse qualche riesame, e qualche riesame nel confronto con l’evidenza di quanto, invero, il male che, nella propria quotidianità, era derivato da azioni dirette, o indirette, dello stesso Desmair avrebbe avuto a doversi intendere spiacevolmente superiore rispetto a quanto mai, egualmente direttamente o indirettamente, era per lei derivato dall’opera di Anmel.
Possibile, quindi, che proprio in tal senso avrebbero avuto a doversi intendere le parole della fenice? Possibile, quindi, che il nemico a fronte dell’assalto del quale avrebbe dovuto prepararsi avrebbe avuto a dover essere inteso Desmair allorché chiunque altro…?

« No… non ha senso. » escluse tuttavia lo stesso Be’Sihl, riprendendo voce e rinnegando egli stesso l’ipotesi così appena formulata « Non dimentichiamo che Desmair ha viaggiato anch’egli sulle ali della fenice, quando ancora era dentro il mio corpo… » rimembrò, non senza un certo senso di disagio al pensiero del lungo periodo di convivenza con l’animo del semidio, e quell’animo rifugiatosi, dopo la morte del proprio corpo, all’interno del suo, sfruttandolo per la propria sopravvivenza, con fiera indifferenza a ogni legge di natura, e a quella legge di natura che già, nella propria passata immortalità aveva dimostrato di voler irriverentemente ignorare « … se fosse egli un nemico tanto rilevante, da meritare maggiore attenzione persino rispetto ad Anmel, non credo che all’epoca le cose avrebbero potuto svilupparsi per così come si sono sviluppate. »

Un punto a favore di Be’Sihl e, soprattutto, di Desmair: quanto lo shar’tiagho stava asserendo era vero… e, che ciò potesse piacerle o meno, Desmair aveva avuto il proprio pregresso con la fenice e un pregresso a confronto con il quale ella non aveva avuto occasione di esprimere alcun particolare genere di dubbio a suo discapito. Ergo… Desmair non era il nemico. O, quantomeno, non il nemico per metterla in guardia dal quale la fenice si era espressa in maniera tanto criptica.
Ma se non lui… allora chi?!

« Hai ragione. » commentò la donna guerriero, non senza una certa nota di delusione nella propria voce, laddove, egoisticamente, avrebbe più che approvato l’idea di poter reindirizzare ogni avversione, ogni sentimento negativo, a discapito del proprio sposo, e di quello sposo che, del resto, già non avrebbe potuto considerare esattamente qual un proprio amico « … dannazione… » protestò, quasi fra sé e sé, a confronto con la frustrazione derivante dal non riuscire a comprendere nel merito di cosa la fenice potesse averla voluta porre in guardia « Va bene… tanto ora non ha importanza. Quando arriverà questo nemico, ci preoccuperemo anche di lui. » concluse quindi, considerando chiuso l’argomento, nel riconoscere la futilità propria dell’averlo ad affrontare in quel momento « Per intanto preoccupiamoci, piuttosto, di uscire vivi da qui… questione non propriamente banale nella propria possibilità di occorrenza, date le attuali premesse. »

martedì 24 dicembre 2019

3134


La scelta, più o meno obbligata, compiuta da Be’Sihl, prima, e confermata da Midda, poi, di fuggire attraverso il golfo mistico ebbe a rivelarsi quanto mai azzeccata nella propria occorrenza, permettendo loro di distanziare, in maniera decisamente piacevole, i propri antagonisti, nello smarrirsi all’interno di un dedalo di corridoi per loro prima inimmaginabili.
All’attenzione della Figlia di Marr’Mahew, in effetti, quell’inedita esplorazione del Teatro dell’Opera della capitale di Loicare non poté ovviare a richiamare alla mente quanto già scoperto esistere dietro le quinte di una simile struttura in quel della famosa Arena di Garl’Ohr, uno straordinario anfiteatro edificato in quel, per l’appunto, di Garl’Ohr, una delle più importanti capitali del belligerante regno di Gorthia, a nord di Kofreya: anche in quel caso, infatti, dietro a una struttura apparentemente semplice, qual quella di un enorme arena di forma vagamente ovale, aveva avuto occasione di scoprire l’esistenza di una complessa macchina di scena utile a permettere non soltanto a tutti coloro che operavano all’esterno dello spettacolo stesso di agire indisturbati e lontani da sguardi indiscreti, ma, anche e ancor più, di condurre in scena, nei momenti più opportuni, ogni qual genere di fiera o creatura mostruosa, facendole affiorare al centro dell’arena stessa quasi per magia. E se, in quel dell’Arena di Garl’Ohr, ella aveva conquistato il titolo di trionfatrice, un titolo pur rimasto poi in secondo piano rispetto a quelli che, in maniera più consueta, erano soliti accompagnare il suo nome, l’avventura lì vissuta avrebbe avuto a doversi giudicare sufficientemente impegnativa da non voler essere da lei ripetuta, in termini tali per cui, emotivamente, il confronto con tutto quello non poté che risultare sufficientemente spiacevole, lasciandole temere, da un momento all’altro, di ritrovarsi a confronto con quale bestia feroce o, peggio, con un tifone. Ma quel Teatro dell’Opera nulla avrebbe potuto avere a riservarsi a confronto con l’Arena di Garl’Ohr, ragione tale per cui, quei timori, altro non avrebbero potuto che restare, e restarono, per l’appunto, semplici timori, in misura utile a permettere ai due fuggitivi un quieto attraversamento di quei corridoi senza, in ciò, avere a porsi alcuna ragione di sorpresa.

« Immagino che tu non sappia dove stiamo andando… » asserì, a un certo punto, Be’Sihl, nel mentre in cui colse la propria amata sufficientemente posta in dubbio nel confronto con l’ennesimo bivio loro offerto, e l’ennesimo bivio privo di particolari indicazioni utili a permettere loro di orientarsi, in misura tale per cui, in effetti, avrebbero potuto lì star girando allora in tondo.
« Immagini giusto. Ma raramente, nella mia quotidianità, ho mai potuto riservarmi questo lusso… » sorrise ella, per tutta risposta, banalizzando la necessità di riservarsi una tale consapevolezza, almeno in termini di dettaglio, e preferendo riservarsi, più che altro, un’idea di massima, nel vivere poi, istante dopo istante, la propria vita, in una scelta che, allor, avrebbe potuto assumere quietamente le proporzioni proprie di una metafora, e di una metafora nel merito della propria stessa intera esistenza « Comunque sia, considerando che il teatro è posizionato sulla cime di un grattacielo, la cosa migliore che ci può restare da fare è tentare di guadagnare l’accesso ai piani inferiori. » soggiunse poi, a dimostrare di avere, quantomeno, un’idea in linea di massima della direzione entro la quale avrebbero dovuto muovere i propri passi « E, per quanto ancor non possa vantare particolare confidenza con le logiche proprie di questa architettura, mi sento sufficientemente sicura nell’ipotizzare l’esistenza di più di un varco utile a collegare quest’area all’edificio sottostante. »
« Concordo. » non volle obiettare lo shar’tiagho, del resto non trovando ragione utile per esprimersi in termini di dissenso a fronte di quell’analisi.

La necessità di fuggire, e di fuggire il prima possibile dall’immensa confusione che ella stessa aveva contribuito a generare, aveva permesso al pragmatismo di Midda di porre in secondo piano ogni interrogativo in riferimento al proprio breve colloquio con la fenice per riservarsi lì occasione di concentrarsi solo ed esclusivamente sul momento presente, e sulle necessità proprie del medesimo. Ma, al di là di quanto, allora, fosse indispensabile per loro riuscire a trovare una fuga da lì, sopravvivendo a quella giornata per riservarsi occasione di avere a combattere anche l’indomani, e, purtroppo per loro, non soltanto in termini metaforici, la donna guerriero non avrebbe potuto obliare a riflettere nel merito della propria fugace occasione di confronto con la Portatrice di Luce… e, in questo, con tutto ciò che da tale confronto era derivato, tanto per lei, quanto e più in generale per chiunque altro.
Una lunga serie di interrogativi, e di dubbi, il più importante fra i quali avrebbe avuto allora a doversi ricondurre all’ultima incognita non meglio chiarita. E a un’incognita che, nel mentre di quella fuga, volle a un certo punto provare a condividere con il proprio amato, sperando che egli potesse dimostrarsi più attento di lei nel merito di qual interpretazione aver a poter offrire a tutto ciò…

« Se ti dicessi che ho scambiato quattro chiacchiere con la fenice e che mi ha detto che il nemico sta arrivando… a chi credi che potesse mai riferirsi? » formulò quindi, forse peccando di eccessiva sintesi e, ciò non di meno, non avendo allora possibilità di aprire un tranquillo tavolo di discussione, nel quale avere a esporre con quiete ogni punto a tal riguardo.
« E quando avresti scambiato quattro chiacchiere con la fenice…?! » domandò tuttavia e di rimando l’uomo, in un interrogativo, in fondo, non privo di una propria ragionevolezza, non avendo certamente, una creatura come la fenice, a poter passare inosservata nella propria presenza in un luogo.
« Poco fa… mentre ero svenuta e tu mi stavi portando in spalla. » lo informò ella, quasi banalizzando la questione, per quanto, obiettivamente, nulla di banale avrebbe avuto a dover essere riconosciuto in un intervento diretto da parte della fenice, la cui indubbiamente preziosa presenza nelle loro vite era sempre stata decisamente centellinata.
« Ah… » commentò Be’Sihl, non volendo porre in dubbio le parole della propria amata e, in tal senso, ovviando a riservarsi qualunque esitazione nel confronto con quell’affermazione, dopotutto avendo convissuto, personalmente, per lungo tempo con un semidio immortale all’interno della propria stessa testa, ragione per la quale troppo facile, dal proprio punto di vista, avrebbe potuto avere a intendersi l’eventualità di scambiare quattro chiacchiere con qualcuno in un momento di incoscienza « Un nemico sta arrivando… » ripeté quindi, a dimostrare di volersi concentrare sull’interrogativo da lei proposto « … ovviamente escludiamo che si stesse riferendo ad Anmel, vero? »
« Lo escludiamo. » confermò l’altra, ritrovandosi ancor innanzi a un bivio e, ciò non di meno, or imboccando con sufficiente fiducia il percorso alla propria manca, e un percorso che, piacevolmente, ebbe a mostrare loro una serie di gradini discendenti in direzione di un ulteriore livello inferiore.
« Forse sarò di parte nel suggerire una simile eventualità… ma Desmair?! » propose quindi, in riferimento proprio a quel semidio immortale che per troppo tempo era stato sgradito ospite all’interno della sua mente e che, per quanto formalmente loro alleato, ancor non avrebbe potuto perdonare per la trappola all’interno della quale aveva bloccato la coscienza di Midda per lunghi e terribili mesi, mesi nel quale il suo magnifico corpo, ridotto a uno stato di coma, si sarebbe lentamente spento se non fosse stato per le premurose cure di dottor Ce’Shenn e per il mirabile progresso riconoscibile, lì fra le stelle, anche da un punto di vista squisitamente medico.
« Mmm… »

In effetti la Figlia di Marr’Mahew non aveva potuto escludere quell’ipotesi, e quell’ipotesi che, anche dal punto di vista del proprio amato, avrebbe avuto a doversi intendere qual la prima a cui rivolgere la propria attenzione. Un’ipotesi che, al di là della loro attuale e ipotetica alleanza, e di quella loro attuale e ipotetica alleanza sol motivata da un comune antagonismo nei riguardi della regina Mal Toise, difficilmente avrebbe potuto essere esclusa nella propria stessa occorrenza, soprattutto a confronto con il ricordo di quanto male Desmair avesse condotto seco, nella sua vita, sin dal loro primo incontro, quasi tre lustri addietro.

lunedì 23 dicembre 2019

3133


Nel contempo in cui, a bordo della Rad Dak-Wosh, si iniziò così a prendere coscienza della situazione, e della situazione per come occorsa al Teatro dell’Opera; duecentocinquantamila miglia più in basso, miglio più, miglio meno, l’accusatore Pitra Zafral si stava ritrovando impegnato a seguire il cammino tracciato dalla propria collega Casta Nikta, confidando in lei affinché, in fondo, tutto quello non avesse a rivelarsi altro se non uno spiacevole inganno. Un timore, un dubbio, il suo, derivante non tanto da una qualche malafede nei riguardi della splendida accusatrice, quanto e piuttosto nei propri stessi confronti, giacché egli, in una simile situazione, ne era cosciente, non avrebbe mai agito in contrasto all’omni-governo, limitandosi in ciò a seguire gli ordini ricevuti e, magari, a fingere di collaborare al solo e unico scopo di condurre, quietamente, i propri inconsapevoli prigionieri in trappola.
A dispetto di quanto, tuttavia, avrebbe compiuto lui, Casta Nikta non parve celare alcun secondo fine nel proprio sincero impegno in favore suo e della causa dell’appena conosciuta Midda Bontor, ragione per la quale, seguendo i di lei passi, il colossale e nerboruto accusatore ebbe a ritrovarsi rapidamente condotto a un’uscita secondaria del teatro, guidato lontano dalla folla e dal clamore in direzione di un ampio parcheggio qualche livello più in basso rispetto alla cima di quell’enorme torre di vetro e acciaio…

« Per tua fortuna, ho sempre odiato farmi scorrazzare su quegli enormi veicoli di gran gala… » commentò Casta, a giustificare il perché di quella scelta alternativa, e di quella scelta alternativa alla soluzione più ovvia e, al tempo stesso, alla soluzione più erronea, qual avrebbe potuto essere tentare di allontanarsi di lì negli stessi termini in cui Pitra, Midda e Be’Sihl lì erano giunti « … sono venuta con il mio mezzo. » puntualizzò, a meglio spiegare la situazione, e quella situazione a confronto con la quale, quindi, la ridiscesa verso il parcheggio inferiore avrebbe avuto un proprio senso.

Una discesa che, tuttavia, ella arrestò di colpo, in maniera improvvisa e del tutto imprevista, tale per cui mancò veramente poco a ritrovarsi letteralmente travolta da un’involontaria carica dell’uomo alle sue spalle, il quale riuscì ad arrestare il proprio incedere appena in tempo per evitare di travolgerla con la propria mole, e quella mole nel confronto con la quale, sicuramente, l’esile accusatrice si sarebbe ritrovata in una sgradevole situazione di inferiorità fisica, uscendone necessariamente malconcia.
Un brusco arresto, un’improvvisa frenata, quella della donna, che non ebbe tuttavia a doversi fraintendere qual conseguenza di un qualche ravvisato pericolo, quanto e piuttosto della volontà, da parte della medesima, di voltarsi verso di lui per squadrarlo per un istante con serietà, prima di riprendere voce verso di lui con una richiesta, e una richiesta incredibilmente seria…

 « Promettimi di non comportarti in maniera critica verso la mia macchinina. » lo invitò ella, ferma in tal proposito, e in tal proposito a confronto con il quale non avrebbe potuto accettare alcuna risposta negativa… anzi.
« … cosa…?! » esitò egli, ritrovandosi in pratica a prendere voce solo in quel momento sin dall’inizio di tutto ciò, e a prendere voce per esprimere un quieto disorientamento, e un disorientamento non conseguente a chissà quale sconvolgente evoluzione della situazione, come, per esempio, Midda proiettatasi in un solitario e suicida attacco contro l’omni-governo, o Be’Sihl impegnatosi a rincorrerla, o, ancora, Casta Nikta scopertasi improvvisamente loro alleata, quanto e piuttosto conseguente a una questione così minoritaria, così veniale, da risultare, invero, ancor più disturbante rispetto a tutto il resto.
« So che come accusatrice dell’omni-governo dovrei impegnarmi a mostrare un’immagine migliore di me. Ma è ancora il mio primo veicolo, acquistato molti anni fa con non pochi sacrifici… e ci tengo parecchio. » puntualizzò Casta, osservandolo ancora seriamente, quasi da quel suo comportamento avesse avuto a derivare l’intera evoluzione di quella situazione… e non in termini particolarmente metaforici « Promettimi di non criticarla… o, te lo giuro, ti lascerò qui per conto tuo, succeda quel che succeda. »

E se Pitra, dal canto proprio, non avrebbe potuto avere a confermarsi quantomeno disorientato nel confronto con tutto quello, quasi obbligato ebbe a essere un suo quieto annuire, e un quieto annuire che fu così in grado di soddisfare la propria interlocutrice nella misura utile a invitarla a riprendere la propria discesa verso il parcheggio e verso il loro mezzo di fuga.
Un mezzo, quello che li stava aspettando, che, nel momento in cui, alfine, egli ebbe a raggiungere, seguendo la guida di lei, ebbe allor a scoprire decisamente inadatto alla figura propria di un’accusatrice dell’omni-governo di Loicare, quanto avrebbe potuto esserlo una bicicletta o, forse, anche in una misura peggiore. Perché, in netto contrasto con le straripanti dimensioni del veicolo di gala che pur ella avrebbe potuto ritrovarsi assegnato dall’omni-governo stesso, per così come, dopotutto, era stato anche per lui e i suoi due ospiti, il mezzo antigravitazionale che ebbe a presentarsi innanzi allo sguardo dell’accusatore, lì sotto, avrebbe avuto a doversi intendere quanto di più misero avrebbe potuto permettersi un neolaureato al proprio primo impiego, acquistandolo, probabilmente, di seconda mano: una piccola, piccolissima utilitaria appena utile a ospitare quattro persone, senza offrire loro molto spazio entro il quale avere a muoversi, che, ancor peggio, non mistificava in alcuna maniera la propria età, palesandosi come un modello vecchio almeno di dieci, forse quindici anni… e che già, all’epoca, non avrebbe avuto a doversi propriamente fraintendere qual particolarmente apprezzato o apprezzabile.

« Ricordati che, se osi dire qualcosa, ti lascio a piedi… » insistette ella, appropinquandosi al mezzo dal lato del guidatore e comandando l’apertura delle porte « Già sto mandando al diavolo la mia carriera e la mia intera vita per te e per i tuoi amici: non vedo proprio ragione per la quale poter quindi tollerare una qualche battuta a discapito della mia piccola. »

Già: “piccola”. Termine quantomeno appropriato per quella scatoletta bianca a confronto con la quale Pitra, al di là di ogni possibile giudizio di merito, ebbe seriamente a domandarsi se vi sarebbe mai stata occasione, per lui, di riuscire a entrare e a entrare per intero.
Ma, incalzato dalla serietà della propria interlocutrice, e di quella donna in grado di porlo in una situazione di incredibile imbarazzo emotivo, egli non ebbe a poter esprimere alcun genere di dubbio, nel timore di quanto, effettivamente, così facendo ella non soltanto avrebbe potuto decidere di scaricarlo ma, ancor peggio, avrebbe potuto riservarsi un’ulteriore ragione per mal sopportarlo, dopo le molteplici sfortunate uscite che, obiettivamente, già aveva avuto occasione di riservarsi nel corso di quella stessa serata. Così, senza sollevare alcun “se” e alcun “ma”, egli cercò di infilarsi all’interno del ristretto abitacolo, ritrovandosi letteralmente con le ginocchia strette al petto, a premere pericolosamente contro il suo collo taurino a dimostrazione di quanto compresso avrebbe avuto a doversi giudicare in quel mentre lì stipato.

« … » lo osservò attonita ella, aggrottando appena la fronte e inarcando un sopracciglio in segno di evidente critica a suo discapito « … sei consapevole di poter spingere un po’ indietro il sedile? » gli domandò, cercando di comprendere quanto egli stesse così comportandosi per prendersi giuoco di lei e del suo mezzo o quanto, effettivamente, non fosse mai salito su qualcosa di simile, abituato a farsi scorrazzare in giro come tutti gli accusatori « Devo essere sincera, Pitra… ma ti facevo una persona migliore. » concluse, laddove, in ambo i frangenti, la questione non sarebbe stata decisamente edificante per lui.
« … cosa?! » esitò egli, quasi fosse divenuto in grado, allora, soltanto di esprimere quell’interrogativo, nel ritrovarsi, ancor più profondamente precipitato in una situazione di disagio emotivo nel proprio rapporto con lei, non comprendendo cosa mai potesse aver fatto per meritarsi un tal giudizio negativo.

domenica 22 dicembre 2019

3132


A bordo della vasta Rad Dak-Wosh, in ampia orbita attorno a Loicare, tutti gli amici, gli alleati di Midda, Be’Sihl e Pitra stavano serenamente attendendo un qualche aggiornamento nel merito della situazione, e della situazione corrente sul pianeta sotto di loro.
Improponibile sarebbe stato cercare un confronto fra la piccola, e ormai distrutta Kasta Hamina, la nave che era stata di proprietà di Lange Rolamo e di Duva Nebiria, e la smisurata Rad Dak-Wosh, una fra le navi più potenti e avanzate dell’intera flotta militare del potente dominio facente riferimento a Loicare e, per quanto ovviamente nell’ex-equipaggio del piccolo mercantile non avrebbe potuto ovviare a esservi ancora del necessario rancore per quanto era stato loro sottratto, per la vita che era stata loro negata nel momento in cui la Kasta Hamina era stata presa brutalmente di mira dalla Rad Dak-Wosh, la guerra clandestina che entrambi gli equipaggi si erano ritrovati a combattere, e a combattere in opposizione alla medesima antagonista, non aveva potuto ovviare ad appianare le divergenze e a garantire una rapida, se pur estemporanea, integrazione di quegli ospiti all’interno delle numerose schiere di uomini e donne, umani e chimere, lì presenti. Un’integrazione che, nel dettaglio, avrebbe potuto trovare il proprio fulcro, il proprio punto di maggior forza, nella mirabile integrità dei due capitani, i due ufficiali al comando dei rispettivi equipaggi: lo stesso Lange Rolamo e Potr Lomic, il suo corrispettivo per la Rad Dak-Wosh. Scopertisi entrambi vittime di un complotto, e di un complotto nel quale Potr e il suo equipaggio erano stati impiegati in ingiusta opposizione a Lange e agli uomini e alle donne della sua famiglia, e di quella famiglia che avrebbe avuto a dover essere riconosciuto essere il piccolo equipaggio della Kasta Hamina, i due capitani, allorché offrirsi reciprocamente ulteriori ragioni di malcontento, di astio e di risentimento, avevano preferito superare la cosa e affrontare quella crisi con razionalità e autocontrollo, razionalità e autocontrollo che, quindi, non avrebbero offerto spazio alcuno a un qualunque altro genere di comportamenti. E a confronto con il loro esempio, e con l’esempio offerto da quei due uomini evidentemente migliori rispetto a quanto molti altri, al loro posto, non avrebbero saputo dimostrarsi essere, anche i due equipaggi avevano imboccato la medesima via, la stessa direzione, cercando di ignorare i torti passati e di guardare al futuro.
In tal senso, pur non essendo membri della marina militare di Loicare, e, anzi, formalmente avendosi a riconoscere ancor ricercati dallo stesso omni-governo, a tutti i membri dell’ex-equipaggio della Kasta Hamina erano stati riconosciuti, di fatto, gradi equivalenti al proprio ruolo da ufficiali superiori, in termini tali per cui, paradossalmente, anche al giovane Ragazzo, ex-mozzo della Kasta Hamina, erano così stati garantiti i gradi di guardiamarina, con tutti gli onori da ciò derivanti. Un inquadramento all’interno della catena di comando già esistente, il loro, utile, invero, per permettere una certa trasparenza fra i due schieramenti, e per meglio garantire un certo rispetto nei confronti degli ospiti, e di quegli ospiti, in tal maniera, che non avrebbero avuto a dover essere fraintesi quali semplici civili a bordo di una nave militare, e, in quanto tali, decisamente limitati nelle proprie possibilità di movimento o d’azione, quanto e piuttosto dei commilitoni, e dei commilitoni che pur ospiti, avrebbero avuto a doversi riconoscere ogni qual genere di rispetto conseguente al proprio grado. In ciò, quindi, anche gli amici di Midda, ultimi e, invero, mai ufficialmente integrati membri della famiglia della Kasta Hamina, si videro riconosciuti i propri gradi, lasciando esclusi da un tale inquadramento collettivo solamente, e per ovvie ragioni, i due figli di Midda, Tagae e Liagu, i quali avrebbero avuto a doversi considerare obiettivamente troppo giovani per poter vantare qualunque grado militare… fosse questo da ufficiale o meno.
In un tale contesto, in una simile situazione, facile sarebbe stato giustificare quanto, a bordo della vasta Rad Dak-Wosh, in ampia orbita attorno a Loicare, tutti gli amici, gli alleati di Midda, Be’Sihl e Pitra stessero quindi serenamente attendendo un qualche aggiornamento nel merito della situazione, e della situazione corrente sul pianeta sotto di loro e lo stessero attendendo non relegati in qualche stanza, o in qualche area comune, quanto e piuttosto nella sala tattica riservata ai più alti ufficiali in comando a bordo della stessa Rad Dak-Wosh, in compagnia dello stesso capitan Lomic e di alcuni fra i suoi più importanti collaboratori.

« Signore… » esclamò improvvisamente un giovane canissiano, sollevando lo sguardo dal proprio terminale e prendendo voce in direzione del proprio capitano e, ciò non di meno, non mancando di volgere la propria attenzione, rispettosamente, anche all’altro capitano lì presente, accanto al primo « Abbiamo appena intercettato una trasmissione proveniente dalla capitale: pare che, a metà del concerto, Midda Bontor abbia preso d’assalto il palco d’onore con buona parte dell’omni-governo. »

E per quanto estremamente chiare ed estranee a qualunque possibilità di fraintendimento avrebbero avuto a doversi intendere quelle parole, per un lungo, lunghissimo istante non una persona, fra tutti i presenti, fu in grado di reagire a confronto con quel comunicato, e con quel comunicato obiettivamente riconoscibile qual troppo assurdo per poter essere vero.
Purtroppo nessuno scherzo avrebbe potuto essere così spiacevolmente realistico come l’idea di un’imprevista, e totalmente folle, azione di forza da  parte della Figlia di Marr’Mahew, ragione per la quale, dopo il tempo necessario a tutti per poter elaborare coscientemente l’accaduto, ineluttabile fu l’esplosione acustica in reazione a un tale comunicato, e un’esplosione acustica che, da buona parte dell’ex-equipaggio della Kasta Hamina, nella propria formazione più allargata, ebbe a proporsi in termini tali da rendere più che gradito il pensiero dell’assenza, da quella sala, proprio di Tagae e Liagu, nel non voler rischiare, altrimenti, di ampliare in maniera non propriamente elegante il loro ancor giovane vocabolario…

« Dannazione… » protestò Potr Lomic, storcendo le labbra verso il basso con aria di palese disappunto, e cercando di contenere tutta la propria invettiva a quell’unica parola « … non era questi i piani. »
« Benvenuto nel mio mondo. » sospirò Lange Rolamo, con aria di quieta rassegnazione, nel conoscere da più tempo la figura in questione e, in tal senso, da non potersi attendere obiettivamente nulla di meno da parte sua « Mi fa piacere constatare quanto io non abbia a essere il solo a trovare francamente insopportabili certe azioni di forza da parte sua… » commentò, scuotendo appena il capo.
« Midda potrà sovente essere avventata… ma non è certamente una stupida. » intervenne tuttavia in sua difesa Duva, anzi, il comandante Duva, ritrovandosi immediatamente sostenuta, in tal senso, da Rula e da Lys’sh, le tre sorelle d’arme che la stessa donna guerriero era stata in grado di trovare a bordo della Kasta Hamina, e quelle sorelle d’arme che, pur non potendo ritenere incoerente l’accaduto, non avrebbero neppur espresso un così rapido giudizio di condanna attorno a esso, non, quantomeno, in assenza di maggiori dettagli a tal riguardo.
« E’ vero. » confermò Lys’sh, o, per meglio dire, il tenente Lys’sh, nell’offrire manforte alla posizione sostenuta da Duva « Deve essere successo qualcosa… e qualcosa che l’ha costretta ad agire in maniera così, apparentemente, sconsiderata. »
« Qualunque cosa sia successa, siamo nei guai. » osservò il capitano della Rad Dak-Wosh, tornando a volgersi in direzione del canissiano « Continuate a monitorare le trasmissioni, pubbliche e private… e cerchiamo di comprendere cosa stia accadendo. » ordinò, costretto a ragionare velocemente sul da farsi e, proprio malgrado, non potendosi ancor riservare informazioni utili a tal riguardo « Allertate l’intero equipaggio… la pacchia è finita e dobbiamo essere pronti a partire a tempo zero. » soggiunse poi in direzione di un altro proprio collaboratore, nel non poter escludere una rapida ripartenza da lì… e una ripartenza a confronto con l’idea della quale, la sua stessa nave, tutto il suo equipaggio, ed egli stesso, non avrebbero fatto altro che divenire formalmente dei traditori, e dei traditori dell’omni-governo, da destinare, nel migliore dei casi, alla corte marziale se non, direttamente, da eliminare e da eliminare senza porsi troppe domande « Mettiamo in stato d’allarme anche i piloti dei caccia… se saremo costretti a ingaggiare battaglia, e a ingaggiare battaglia nel nostro stesso sistema, sarà meglio farlo con tutte le risorse in nostro possesso. »

sabato 21 dicembre 2019

3131


Fu così che Midda attese paziente, in quella non comoda posizione, il momento giusto per palesare la propria ritrovata coscienza. E null’altro che una quieta riflessione le poté essere allor riservata opportunità di rendere propria in tale attesa, tanto nel merito dell’evoluzione propria di Be’Sihl, quanto e ancor maggiormente nel merito delle parole udite da Anmel, prima, e dalla fenice, poi, quelle parole atte a suggerire una realtà tutt’altro che semplice o piacevole, almeno nell’immediato, per lei. Non che, invero, una qualsivoglia realtà semplice o piacevole avrebbe avuto a doversi fraintendere propria per lo stesso shar’tiagho, nell’immediato, a margine di tutto ciò.
Costretto a combattere, e a combattere per la vita della propria amata, Be’Sihl agì con una lucida furia ferina, che lo vide tener testa a qualunque antagonista gli si parasse innanzi, non soltanto ovviando agli attacchi contro di lui ipotizzati ma, anche e ancor più, rispondendo in maniera puntuale a ogni tentativo a proprio stesso discapito, a ogni affondo ipotizzato contro di lui, tanto con armi bianche, quanto e ancor più con armi energetiche, e armi energetiche a confronto con un semplice contatto con le quali, fosse anche e soltanto sfiorato, tutto ciò avrebbe trovato prematura conclusione. Ovviamente, fino a quando egli fosse rimasto, insieme al suo prezioso carico, bloccato all’interno della platea, bersaglio troppo semplice si sarebbe imposto all’attenzione di tutti, ragione per la quale avrebbe avuto a dover trovare, quanto prima, una via di fuga, e una via di fuga, purtroppo, da un edificio per lui quasi del tutto sconosciuto e un edificio che, nella propria parte già nota, avrebbe avuto ovviamente a doversi giudicare già interdetto, e interdetto in quanto, proprio malgrado, già troppo affollato per poter rappresentare un’utile alternativa. E se pur quella folla avrebbe potuto rappresentare, per lui, un’occasione, e un’occasione di confusione nella quale poter ricercare salvezza, per così come, del resto, si era inizialmente augurata la stessa Midda nel generare tanto panico fra coloro lì presenti ad assistere allo spettacolo; l’eccessiva attenzione della quale prima la propria amata, e ora anch’egli, si erano resi protagonisti, avrebbe necessariamente reso impraticabile quella via, laddove, così facendo, altro non avrebbero avuto che a gettarsi, letteralmente, fra le braccia dei propri antagonisti. Dovendo quindi individuare una soluzione alternativa, la direzione più ovvia nella quale avventurarsi sarebbe stata quella nella direzione specularmente opposta a quella a loro interdetta, vedendolo, pertanto, allorché cercare di guadagnarsi la fuga attraverso l’uscita, dirigersi di gran carriera verso la scena, e, in particolare, verso l’area riservata all’orchestra, il cosiddetto golfo mistico, nella non stolida consapevolezza di quanto, a loro volta, anche i membri dell’orchestra, al pari dei cantanti pocanzi impegnati a intrattenere il pubblico con le proprie più ardite esecuzioni, avevano avuto ragione di cercare di mettersi in salvo non appena la donna da dieci miliardi di crediti aveva interrotto il loro spettacolo: una fuga, la loro, sicuramente occorsa per vie meno affollate rispetto a quelle proprie del pubblico, e vie nelle quali, speranzosamente, entrambi avrebbero potuto riservarsi occasione di evasione da lì.
E fu proprio nel mentre dell’attuazione di quella decisione, approfittando di un tanto fugace, quanto fragile momento di quiete che egli aveva avuto occasione di riservarsi nel sangue dei propri antagonisti, che la Figlia di Marr’Mahew ebbe a reputare utile riprendere voce, e riprendere voce nei riguardi del proprio compagno per permettergli di apprezzare le proprie attuali condizioni di salute e, soprattutto, di liberarsi del pur non banale ingombro rappresentato dal ritrovarsi costretto a farsi carico di lei per tutto quel tempo. Così, prima che egli potesse avere occasione di gettarsi, insieme a lei, nella fossa d’orchestra, ella fece atto di muoversi, al di sopra della sua spalla, e di ricercare dialogo con lui…

« Credo che potrebbe essere utile, per entrambi, che tu mi abbia a posare ora… » suggerì quindi, con tono quanto più possibile quieto, quasi tutto quello avesse, dopotutto, a riconoscersi al pari della norma fra loro, una quieta serata a teatro come tante altre già affrontate insieme « Oltretutto, e, lo sai bene, non lo dico per un qualche sciocco senso del pudore, il pensiero che la pericolosa donna da dieci miliardi di crediti abbia a offrire spettacolo mostrando le proprie terga al mondo intero accanto al volto del proprio compagno e complice non credo che abbia a doversi fraintendere qual propriamente edificante per la mia immagine… »
« Che gli dei tutti siano lodati… » gemette quindi Be’Sihl, sorpreso, ma in senso più che positivo, nel confrontarsi con la voce di lei, arrestandosi in ciò in tempo utile a ovviare al salto e a impegnarsi, piuttosto, a permettere alla propria amata di posare nuovamente i propri piedi a terra « … come ti senti?! Hai fatto un brutto volo, prima… »
« Sto bene… sto bene… » lo rassicurò ella, ritrovando una posizione consona giusto in tempo per ravvisare una nuova carica in arrivo in loro contrasto e, in ciò, per comprendere quanto quello non avrebbe avuto a dover essere inteso né il tempo, né il luogo migliore per avere ad aggiornarsi con lui… o, all’occorrenza, per avere a rimproverarlo per non aver prestato attenzione alla propria volontà, e a quella volontà affidata a Casta, nel rispetto della quale egli non avrebbe avuto a dover più essere lì presente, e, non di certo, presente accanto a lei in quella non facile situazione « Ora leviamoci di qui. Poi ti aggiorno! » lo incalzò pertanto, con un quieto sorriso prima di voltarsi in direzione del golfo mistico e di accennare un salto, per quanto non una singola membra del suo corpo fosse esattamente concorde in tal senso, non dimentica, ancora, degli effetti negativi di ben due attacchi energetici da lei subiti entro un intervallo temporale tanto ridotto.

Ma se pur il suo corpo non sarebbe stato d’accordo con lei, tale non avrebbe avuto a dover essere fraintesa né la prima, né sicuramente l’ultima volta nel corso della quale ella avrebbe agito in quieta opposizione ai suggerimenti del proprio stesso corpo. Ragione per la quale, dolore o meno, ella ebbe lì a saltare, e a ricadere, con sufficiente agilità ed eleganza, all’interno della fossa senza palesare l’evidenza di alcuna particolare ragione di crisi, complice anche una nuova scarica di adrenalina, e una nuova scarica di adrenalina pur sempre utile a permetterle di spingersi ben oltre i propri umani limiti.
Un balzo, il suo, di lì a un istante imitato anche da Be’Sihl, il quale, ancor ragionevolmente confuso a riguardo della situazione, non avrebbe potuto ovviare a ritrovarsi più che sorpreso per l’assoluto controllo che la propria amata stava riuscendo ancora una volta a dimostrare, e a dimostrare in una situazione nella quale, teoricamente, ella avrebbe avuto a doversi ritrovare precipitata in maniera del tutto imprevista e inattesa, e a confronto con la quale, pertanto, non avrebbe dovuto, teoricamente, comprendere come avere a muoversi, diversamente dalla totale confidenza che, allora, stava dimostrando. Ovviamente, al di là di quanto confusa avrebbe potuto risultare quella situazione, assolutamente priva di ambiguità non avrebbe potuto che risultare la necessità di levarsi quanto prima da lì, ragione per la quale, quindi, anch’egli non esitò a seguire l’esempio offerto dalla propria amata, per ricadere in quell’area fino a pochi minuti prima occupata dalla maestosa orchestra lì sì impegnata nel dar corpo a quell’ormai prematuramente conclusa serata.

« Da questa parte! » lo invitò immediatamente l’Ucciditrice di Dei, dimostrando di aver già ben preso in mano le redini della questione e di avere, in tal senso, le idee più che chiare nel merito della direzione entro la quale muoversi, non soltanto a livello metaforico ma, ancor più, a livello fisico, nell’invitarlo a seguirla nella direzione di una già adocchiata via di fuga, e di una via di fuga che, allora, non avrebbe certamente esitato a rendere propria, nella necessità di porre quanto prima maggiore distanza possibile fra loro e i loro inseguitori.

E così, in un quieto ribaltamento dei ruoli, da eroe solitario accorso in aiuto della propria bella, Be’Sihl si ritrovò precipitato nei panni del semplice compagno d’armi, del commilitone, dell’adiuvante della protagonista, in termini che, pur, non ebbero a dispiacergli e che, al contrario, lo ebbero a ritrovare più che soddisfatto, non soltanto dal proprio punto di vista squisitamente shar’tiagho, ma anche nel confronto con l’evidenza di quanto, ovvi timori a parte, Midda Bontor fosse lì ancora pronta a combattere e a combattere per assicurare a entrambi un domani.

venerdì 20 dicembre 2019

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Ma a tale interrogativo ella non poté riservarsi occasione alcuna di risposta. Non nel momento in cui, improvvisamente, la sua coscienza e il suo corpo ebbero a ritrovare una connessione… e il mondo a lei circostante tornò a essere percepito da tutti i suoi sensi.

Vi era stato un tempo in cui Midda aveva frequentato altri guerrieri, altri avventurieri da lei poi non così dissimili, nel proprio approccio alla vita e ai problemi.
Vi era stato, innanzitutto, Salge Tresand, il capitano Salge Tresand, il suo primo, grande amore, quel bambino, prima, giovine, poi, e uomo, alfine, che l’aveva accompagnata dagli ultimi anni della propria infanzia a tutta la propria fanciullezza sino a divenire una giovane donna: un uomo a cui ella aveva voluto stolidamente rinunciare sospinta in tal senso dal timore di perderlo, e di perderlo nel momento in cui la propria gemella, Nissa, avesse deciso di vendicarsi contro di lei attraverso di lui. E se, paradossalmente, per molti anni la scelta da lei compiuta si era rivelata saggia, meno saggio era stato il proprio ritorno al mare, nel giorno in cui, a distanza di dieci anni, e sospinta dall’illusione che, ormai, Nissa non potesse più rappresentare per loro un pericolo, Midda era ritornata sui propri passi, e aveva rincontrato Salge e tutto l’equipaggio, il nuovo equipaggio ormai, della propria vecchia e cara Jol’Ange: Nissa, purtroppo, non si era dimenticata di lei, né, tantomeno, della propria minaccia, quella maledizione scagliata nei confronti di tutte le persone a lei più vicine… e, in questo, Salge era purtroppo stato brutalmente assassinato sotto i suoi stessi occhi.
Vi era poi stato un altro mercenario, e un mercenario all’epoca decisamente noto, famoso, apprezzato in tutta Kofreya, sotto molteplici punti di vista. Il nome di quell’uomo era Ma’Vret Ilom’An, anche noto come Ebano, e, accanto a lui, aveva iniziato a trovare il proprio posto nei primi anni della propria vita in quanto mercenaria, prim’ancora che la fama della Figlia di Marr’Mahew iniziasse a sfociare nella leggenda. Con Ebano vi era sempre stato un rapporto molto intenso, estremamente fisico, carnale, ma, egoisticamente, ella non aveva mai voluto realmente legarsi a lui a livello emotivo, forse ancor ferita per quanto accaduto con Salge, e, in ciò, il loro rapporto si era concluso nel momento in cui questi aveva deciso di non voler sprecare la propria intera esistenza sopravvivendo a stento a se stesso, in quella vita che, pur, non avrebbe potuto riservargli grandi opportunità se non quella di morire ammazzato nel tentare di recuperare una qualche reliquia perduta o nel combattere una guerra non propria. Così Ma’Vret aveva lasciato la vita da mercenario, e si era ritirato per sempre anche da quei luoghi nei quali il proprio futuro avrebbe avuto a doversi giudicare in eccessivamente spiacevole dipendenza dalla propria abilità con la spada, nella volontà, altresì, di costruire qualcosa di diverso… qualcosa come una famiglia. Un desiderio, il suo, che si era poi avverato con colei che avrebbe dato alla luce H’Anel e M’Eu e colei che, chiaramente, non era stata Midda.
Vi era stato un tempo in cui Midda aveva frequentato altri guerrieri, altri avventurieri da lei poi non così dissimili, nel proprio approccio alla vita e ai problemi. E poi vi era stato Be’Sihl… il suo dolce e premuroso locandiere.
Midda e Be’Sihl si erano incontrati pressoché dall’arrivo della stessa in quel di Kriarya, della città del peccato, quando, ancora priva di un nome, ancor priva di una fama, e di una fama come mercenaria, ella lì avrebbe desiderato riservarsi un’opportunità in tal senso. Ma non un’opportunità nella direzione che, complici le sue conturbanti forme, molti avrebbero potuto anche suggerirle, quanto e piuttosto nel cammino proprio dell’avventuriera, del soldato di ventura, nell’abbraccio della quale avere a ricercare la morte ancor prima che l’amore. E se, obiettivamente, menzogna sarebbe stato da parte della donna guerriero ipotizzare d’essersi innamorata sin da subito di Be’Sihl, forse non poi così improprio sarebbe stato suggerire la medesima asserzione in direzione contraria, incarnando ella, in fondo, tutto quanto agli occhi di un giovane shar’tiagho qual lui avrebbe mai potuto rappresentare la sensualità femminile, e non tanto dal punto di vista fisico, quanto e piuttosto da quello emotivo, da quello spirituale, nella straordinaria forza di volontà, nella mirabile emancipazione che ella aveva sempre ricercato qual propria, e che, in quel di Shar’Tiagh, non avrebbe avuto a dover essere osteggiata, quanto e piuttosto riconosciuta qual una delle caratteristiche migliori in una donna. Se pur, tuttavia, Be’Sihl si era forse innamorato di Midda sin dal primo giorno, erano stati necessari quasi quindici anni alla loro relazione per crescere e per accettare di trasformarsi in qualcos’altro, anche e soprattutto complice l’amicizia che nel frattempo, comunque, era nata fra i due… e quell’amicizia che, allor, mai ella avrebbe desiderato rischiare di compromettere per soddisfare qualche semplice sfizio con lui.
In quei quindici anni, e in quei quindici anni antecedenti l’inizio ufficiale della loro relazione sentimentale, Be’Sihl, agli occhi della donna guerriero, era stato quindi un amico, un confidente, un confessore quasi o, più probabilmente, come avrebbe potuto dire Maddie, un terapista: una delle sole persone alle quali, obiettivamente, ella si sarebbe potuta appellare, e appellare sinceramente, nella volontà di ritrovare una risposta ai propri più profondi interrogativi sulla vita, sull’universo e su ogni altra cosa. In tal senso, quindi, egli aveva assunto un’aura di saggezza ai suoi occhi, divenendo l’immagine della quintessenza stessa dell’equilibrio, sapendo sempre come comportarsi, sapendo sempre come agire e come reagire, e come agire e come reagire non tanto in maniera passiva o sottomessa, qual pur il suo carattere apparentemente bonario avrebbe potuto suggerire, nel riconoscerlo, comunque, qual il solo locandiere, e, più in generale, il solo esercente commerciale, in tutta Kriarya, in tutta la città del peccato, non direttamente, né indirettamente, dipendente da un qualche lord della città, in un’eccezione letteralmente più unica che rara.
Di quell’uomo, invero, ella si era innamorata. E, per quanto, nei dieci anni successivi, in quegli ultimi dieci anni, ella avesse avuto occasione di comprendere quanto, dietro all’apparente pacatezza di Be’Sihl si celasse molto di più, in termini che pur mai avrebbero potuto trovarla dispiaciuta o contrariata, una parte di lei non avrebbe potuto smettere di guardare a lui come all’uomo che, inizialmente, era apparso al suo sguardo ormai venticinque anni addietro: quell’uomo quieto e bonario, premuroso e disponibile, che non le avrebbe mai fatto mancare una tinozza d’acqua bollente nella propria camera, al proprio ritorno da un’avventura, e che non avrebbe mai mancato di cercare di imporre alla sua dieta maggiore equilibrio, proponendole ogni mattina tutte quelle verdure, tutte quelle pietanze che, altrimenti, nella propria quotidianità, ella non avrebbe mai avuto occasione di ricercare, nutrendosi principalmente di carne e, per lo più, di carne essiccata.
In tutto ciò, quindi, nel ritrovare connessione con il mondo con il quale, estemporaneamente, aveva perduto ogni contatto, ella non avrebbe potuto negarsi una certa sorpresa, un certo disorientamento, nello scoprirsi allor caricata, di peso, sulla spalla mancina del proprio amato, in maniera non dissimile, forse, da un sacco di patate, e in termini allor comunque utili a permettergli di poterla condurre seco e di poterla condurre seco nel mentre di una turbinosa e sanguinaria battaglia, e una battaglia nel corso della quale, evidentemente, anch’egli doveva aver deciso di cedere all’Oscura Mietitrice, allorché restare quietamente fedele agli ideali propri della Portatrice di Luce di cui, pur, nel di lei cuore, egli non avrebbe potuto ovviare a risultare quanto più piena espressione. E nel non voler distrarlo, e nel non voler rischiare di turbare quella lotta, e quella lotta dalla quale, troppo facilmente, egli avrebbe potuto uscire sconfitto se soltanto avesse perso il polso della situazione, per così come ella avrebbe potuto quietamente testimoniare con il proprio stesso, e vergognoso, esempio, la donna guerriero scelse di restare in silenzio, di non agitarsi e di non reagire in alcun modo utile a palesare il proprio ritorno in sé, limitandosi a osservare l’evolversi degli eventi e a prendere confidenza con quell’aspetto ancor poco noto del proprio amato… e quell’aspetto che, improvvisamente, l’avrebbe quindi ricondotto né più né meno nella schiera dei guerrieri, degli avventurieri, da lei frequentati, non diversamente da Salge o da Ma’Vret.

“Thyres… ho avuto davvero una così cattiva influenza su di lui…?!” non poté ovviare, tuttavia, a domandarsi nel profondo del proprio cuore.