Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.
Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!
Scopri subito le Cronache di Midda!
www.middaschronicles.com
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E siamo a... QUATTROMILA!
Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!
Grazie a tutti!
Sean, 18 giugno 2022
Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!
Grazie a tutti!
Sean, 18 giugno 2022
lunedì 16 dicembre 2019
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Avventura
060 - La resa dei conti
Sebbene Midda Bontor non avesse alcuna motivazione razionale per offrire attenzione alle parole della propria antagonista, e per quanto non vi fosse la benché minima ragione logica per poterle riconoscere qualsivoglia credibilità, qualcosa, nel suo tono, o nelle parole da lei scelte, ebbe a confondere spiacevolmente la Figlia di Marr’Mahew, colpendola più profondamente di quanto ella non avrebbe avuto piacere a riconoscersi colpita in quel momento, in quel particolare frangente.
Quasi quindici anni erano trascorsi dagli eventi che avevano condotto al recupero della corona perduta della regina Anmel Mal Toise, e, malgrado tanto tempo fosse trascorso, ancora ben chiaro risuonava nella sua mente il testo chiave che aveva guidato lei, Howe, Be’Wahr e Carsa sino al raggiungimento di tale empio artefatto. Un testo che, sin dalle proprie prime righe aveva voluto tentare di metterli in guardia nel confronto con la follia di quanto, allora, avrebbero compiuto.
Al destino ella non volle fine,
concedendo corpo alle colline
ma legando anima condannata
a ciò che l'aveva rappresentata:
il diadema che andate cercando
ignavi di quanto state rischiando.
Tanto criptico nella propria prima lettura, quanto incredibilmente esplicito nel confronto con il proverbiale senno di poi, in poche semplici parole veniva dichiarato quanto lo spirito della regina fosse allor stato legato alla sua corona… e quanto, per coloro i quali si sarebbero avventurati alla ricerca della stessa, simile impresa avrebbe rappresentato un rischio e un rischio mortale, non tanto nel confronto con le sfide che, subito dopo, erano state accuratamente descritte, quanto e piuttosto con l’evidenza di quanto, il superamento di tali sfide, avrebbe permesso a tale spirito di riottenere la tanto agognata libertà.
Sette sfide, da lì, si erano proposte al loro gruppo. Sette sfide ognuna peggiore rispetto alle precedenti.
Una prova di coraggio: “… di coraggio dovrà dimostrar storia...”.
Una prova di forza, “Di forza si offre prova seconda…”.
Una prova di temperanza, “… senza della temperanza più pura…”.
Una prova di destrezza, “… quali sol destrezza potrà salvare…”.
Una prova di saggezza, “… e sol saggezza ad attraversare…”.
Una prova di rettitudine, “…poiché sol al retto esser concesso…”.
E, per ultima, ma già rievocata dalle parole stesse della regina Anmel Mal Toise, una prova di sacrificio, “… se alcun sacrificio sarà lesto…”.
Sette sfide mortali, atte, per così come dichiarato dal testo stesso, a consegnare la corona soltanto a un giusto: non soltanto a un impavido, non certamente a un prepotente, quanto e piuttosto a un giusto. E a un giusto che, posto a confronto con l’immane potere proprio della Portatrice di Luce e dell’Oscura Mietitrice, non avesse a lasciarsi corrompere dal medesimo.
L'onere a noi il fato concesse
di custodir frutto di triste messe,
perché non indegne brame di gloria
in ognuno suscitassero boria:
e così sette le prove saranno
cui solo i giusti sopravvivranno.
Così, per quanto razionale sarebbe stato giudicare quelle parole, le parole allor proposte dalla medesima, e rediviva, Anmel Mal Toise, qual un tentativo di distrarre la propria avversaria, costringendola a confrontarsi con un pensiero quantomeno disturbante, inutile sarebbe stato negare come tutto ciò avesse un senso… e un senso terribilmente spiacevole.
Possibile, quindi, che tutto quello non fosse soltanto mera provocazione…?
Possibile, quindi, che alla base della follia di quegli ultimi tre lustri fosse stato, da parte di Midda Bontor, il mancato completamento della propria missione, e quel mancato completamento non tanto per il non superamento di una delle sette prove, quanto e piuttosto per non aver preso a sé, al termine di tali prove, quanto sol avrebbe dovuto spettarle di diritto, quella corona perduta e, ancor più, il suo terribile fardello…?!
Ma se tale avesse avuto a dover essere il suo compito, perché la fenice non si era mai scomodata a dirlo in maniera chiara…?! Perché scorrazzarla attraverso l’intero universo all’inseguimento di una nemica che aveva sempre creduto di dover abbattere e che, allora, stava scoprendo altresì destinata a… a cosa?!
Dannazione… a cosa?!
Midda non avrebbe potuto negare di sapere esattamente quello che avrebbe avuto a dover compiere. E, ciò non di meno, dopo tanti anni spesi a riconoscere in Anmel l’origine di ogni male, difficile sarebbe stato per la sua mente accettare emotivamente tutto ciò.
E così, decisamente più sconvolta rispetto a quanto non avrebbe potuto preferire, decisamente colpita più profondamente di quanto ella non avrebbe avuto piacere a riconoscersi colpita in quel momento, in quel particolare frangente, la Figlia di Marr’Mahew non poté ovviare a distrarsi nuovamente…
… e non poté ovviare a pagare a caro prezzo quella distrazione, nel momento in cui un nuovo, violento colpo la raggiunse e la raggiunse catapultandola, nella dirompenza propria dell’impatto non soltanto di un manganello ma, ancor più, del plasma da esso condotto, contro la balaustra del palco d’onore e, di lì, a ricadere all’indietro, verso quella stessa platea in direzione della quale già molti uomini e donne ella stessa aveva lanciato sino a quel momento.
« … Thyres… »
Un gemito e nulla più fu quello che le venne allor concesso prima di ritrovarsi a perdere coscienza del mondo a sé circostante, quasi neppur avvertendo lo sgradevole impatto al suolo che le fu imposto al termine della propria caduta, di quel fortunatamente breve, e pur non innocuo, volo fino all’altezza della platea e alle poltroncine lì ordinatamente presenti, sulle quali le proprie membra finirono per accartocciarsi in maniera scomposta. E, nel male di quella situazione, fu paradossalmente quasi un bene il fatto che ella avrebbe avuto a doversi riconoscere allor più tramortita che altro, giacché, non tentando di opporsi all’impatto, permise al proprio corpo di adattarsi mellifluamente a quanto avvenne, senza, in ciò, subirne consapevolmente l’ineluttabile dolore.
Purtroppo, nucleo all’idrargirio o meno presente nel suo braccio destro, due colpi di plasma infertile in maniera sì violenta e diretta, uniti a quella caduta, furono molto più di quanto ella non avrebbe potuto riservarsi umana occasione di subire. Ragione per la quale, per quanto non desiderasse, allor, lasciarsi andare, per quanto non desiderasse, allor, arrendersi, ella non poté evitare di perdere inesorabilmente contatto con la propria stessa coscienza, con il proprio stesso corpo, sprofondando inesorabilmente nelle tenebre e, in ciò, arrendendosi a qualunque cosa fosse allor accaduta.
E lì riversa in maniera scomposta su quelle poltroncine, con il volto rivolto verso l’alto, l’ultima immagine che ebbe occasione di distinguere, sicuramente allucinatoria ancor prima che evidenza di una qualche realtà effettiva, fu quella propria di Be’Sihl… del suo amato Be’Sihl… che dall’alto dei cieli scendeva a lei, per abbracciarla, accogliendola nel dolce tepore del proprio corpo.
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