11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

mercoledì 30 novembre 2011

1411


I
nevitabile, pertanto, fu in consumarsi di quella strage, ormai non semplicemente utile, ma addirittura considerabile necessaria. Inevitabile non di meno rispetto a quanto lo stesso Be'Sihl non poté stupirsi qual altrettanto necessario in immediata conseguenza della conclusione di quelle morti, del mai troppo rapido epilogo di quelle vite, ossia un nuovo, intimo incontro fra sé e il proprio solo alleato, colui a cui, senza particolare retorica o dialettica, avrebbe dovuto riconoscere di dover la propria attuale esistenza in vita, in quell'ultima, e forse tutt'altro che definitiva, occasione così come già in passato.
Alcuna sorpresa, quanto piuttosto, e addirittura, una sensazione di sollievo, di soddisfazione, qual solo sarebbe potuta derivare dall'affrontare una situazione nota e in questo ampiamente prevedibile e prevista, fu quella che avrebbe potuto animare, e animò, il cuore dello shar'tiagho, nel trovarsi a essere nuovamente di fronte a Desmair e, in quel piano tutt'altro di realtà tutt'altro che materiale, nel porsi in tal stato, in simile condizione, qual completamente riposato, nel non dover più offrire riferimento a un corpo fisico stremato qual, senza possibilità d'imbroglio, era il suo.

« Desmair… » prese subito voce, nell'avvicinarsi al trono sul quale, ancora una volta, il semidio si volle mostrare alla sua attenzione, quasi a voler ribadire, in simile collocazione, un intrinseco distacco fra loro, una differenza non semplicemente di ceto, ma addirittura di mera e naturale essenza tale da non poterli far apparire quali appartenenti a un comune livello, psicologico, emotivo, spirituale o, anche e solamente, fisico « … grazie. » definì, senza particolari chiasmi e, ciò nonostante, senza esitazioni, nel riconoscere, oggettivamente, il merito dell'altro in quanto appena accaduto.
« Non posso ignorare come il ricorso a un tono tanto confidente e colloquiale da parte tua, di un semplice mortale tuo pari, continui a risuonare alle mie orecchie e alla mia attenzione qual latore di un offesa ancor prima che di qualunque altro possibile significato. » volle puntualizzare il demone, esprimendosi in tal senso con aria quasi distratta nonostante, indubbiamente, fosse stato proprio lui a richiedere quella possibilità d'incontro, ove, in caso contrario, essa non sarebbe mai potuta avvenire « Ciò nonostante, non voglio negare come una tua espressione di gratitudine nei miei riguardi possa essere apprezzabile, al di là dei difetti di forma… » riconobbe, arcuando le labbra a offrire un inquietante sorriso, qual solo sarebbe inevitabilmente potuto essere il suo, al di sopra di denti simili a zanne « Non hai mai preso in esame l'ipotesi di rivolgerti a me con il termine "mio signore"? Potrebbe rendere questi nostri dialoghi indubbiamente più piacevoli nella loro stessa occorrenza... »
« Il giorno in cui dovessi arrivare a rivolgermi a te in questo modo, ti prego di scatenare l'orrenda violenza dei tuoi servi contro le mie membra, affinché io non possa sopravvivere a tale errore. » richiese il locandiere, non dimostrando alcun interesse a votarsi a quell'oscuro semidio, per quanto potente o immortale egli avrebbe potuto dimostrarsi essere « Io riconosco solo le divinità dei miei padri, e dei padri dei miei padri… »
« Divinità fasulle e inutili, dal momento in cui alcuna fra loro avrebbe potuto intervenire a salvarti al mio pari, così come ho appena compiuto. » osservò Desmair, con tono divertito, in aperta critica all'idea di quel pantheon di divinità dal proprio interlocutore ancora tanto rispettato nonostante l'evidenza della propria esistenza ne avrebbe dovuto chiaramente annullare ogni possibile valore.
« Tentativo astuto, e pur vano, ove le tue parole sono già state ampiamente smentite dai fatti. » sorrise Be'Sihl, ora dimostrando anch'egli ironia, in legittima reazione a quanto ricercato dalla controparte a suo discapito, quella desiderata esitazione entro la quale, probabilmente, l'altro avrebbe potuto trovare facile giuoco nel desiderio di asservirlo a sé, di trasformarlo in un proprio seguace « Dimentichi, forse, che uno di coloro che tu indichi quali falsi e inutili dei ha liberato la mia Midda dal giogo del controllo mentale che avevi imposto su di lei? Dimentichi, forse, di come sia stato sufficiente un braccialetto d'oro a permetterle, per quanto non shar'tiagha, di godere della protezione di una fra le mie divinità?! »

Se Desmair si pose infastidito da tale affondo verbale a proprio discapito, nel corretto ricordo di quell'improvvisa impossibilità, per lui, a ottenere contatto diretto con la propria sposa, egli non ne diede trasparante riprova, ancora continuando a sorridere e a scuotere appena la testa, quasi animato da un sentimento di compassione per la limitante ignoranza dimostrata dal proprio ospite, che pur tanto abile si doveva esser creduto in sua opposizione con quel riferimento, con quella memoria così rievocata.
Una reazione o, per meglio dire, un'assenza di ogni reazione, che non avrebbe mai potuto essere scioccamente ignorata, o minimizzata, da parte dello shar'tiagho, il quale, in effetti, si ritrovò a essere profondamente turbato dalla medesima, nei possibili valori impliciti dei quali essa avrebbe potuto rendersi testimone. Per un istante, pur sinceramente affezionato ai propri dei, il locandiere non poté evitare di temere come, effettivamente, il braccialetto dorato donato alla propria compagna avesse da giudicarsi del tutto inutile, privo di qualunque efficacia in contrasto al semidio e reso apparentemente tale solo da un sofisticato piano elaborato da parte del medesimo per far credere alla propria sposa di potersi essere liberata dalla sua presenza. Un'ipotesi estremamente spiacevole, dalla quale un numero esorbitante di negativi scenari sarebbero potuti derivare, e di fronte alla quale, forse per vigliaccheria, o forse per forza d'animo, l'uomo non volle riservarsi ulteriore possibilità di sospetto, di dubbio, di prudenza o di paranoia, preferendo non abiurare alla propria fede, al Credo con cui era nato e cresciuto, e in ciò continuando a ritenere la propria compagna libera di pensare e agire come del resto ella aveva sempre voluto essere, priva di qualsiasi confine entro il quale doversi mantenere, fisico o psicologico che esso fosse. Anche perché, possibilmente, l'unico obiettivo proprio di Desmair nel rinchiudersi in tale silenzio, in simile assenza di ogni replica, con superficiale superiorità nei suoi riguardi, avrebbe potuto anche essere giudicato quello volto a imporre alla sua attenzione quel dubbio, quella sgradevole possibilità, manipolandolo in maniera discreta sino a spingerlo, magari, a dubitare della propria stessa compagna, così come era riuscito a fare, in passato, con la medesima, rendendogliela avversaria, antagonista… nemica.

« Hai forse notizie tali da giustificare l'esigenza di questo incontro? O, banalmente, desideravi porre alla prova la fedeltà che offro agli dei tutti? Ai veri dei, s'intende. » domandò, costringendosi a riprendere parola per non concedersi di pensare ad altro così come, altrimenti, avrebbe rischiato di continuare a fare, influenzato dal sospetto abilmente seminato nella sua mente « In tal caso, mi dispiace aver tradito le tue aspettative… » soggiunse, pur consapevole di come le ragioni di quell'incontro non avrebbero dovuto essere similmente banalizzate, avendo del resto ampiamente previsto tale sviluppo ancor prima della sua stessa evoluzione, ancor prima di essere lì richiamato al suo cospetto.
« No. Non ho notizie utili, almeno per ora. » negò il semidio, riprendendo voce così interrogato e, subito, specificando meglio la corretta interpretazione da dover attribuire alle proprie parole « Invero, così come già in passato, sto mantenendo sotto controllo la mia combattiva metà anche in questo stesso momento, attraverso un contingente di miei rispettosi sudditi. Tuttavia nulla è mutato in questi ultimi giorni, essendo ella ancora fermamente prigioniera a bordo della Mera Namile ed essendo ella ancora in viaggio verso una destinazione non meglio identificata, dal momento in cui la sua gemella non sembra aver ancora maturato una reale consapevolezza nel merito del destino al quale condannarla… » esplicitò, offrendo comunque al proprio interlocutore quanto di più piacevole avrebbe mai potuto comunicargli in un momento qual quello, nell'informarlo nel merito dell'inalterata esistenza in vita della propria amata, malgrado la sua non facile situazione « Per tal ragione è sufficientemente inutile cercar riferimento a lei, almeno fino a quando anche tu non sarai arrivato a destinazione e non ti sarai imbarcato, per poterla seguire. »
« Non so se tu ne hai avuto evidenza, dal tuo bel castello fra le vette ghiacciate, ma sto facendo l'impossibile per consumare questo tragitto nel minor tempo possibile! » asserì Be'Sihl, sentendosi ingiustamente criticato per simile osservazione da parte dell'interlocutore, quasi a lamentare un suo qualche ritardo nel confronto con una tabella di marcia già puntualmente compilata.
« Sì… ne ho avuto evidenza. » annuì il demone « E, in effetti, è proprio a tal riguardo che desidero interloquire con te… »

martedì 29 novembre 2011

1410


E
Desmair, per quanto improbabilmente avrebbe potuto essere definito nei medesimi termini adoperati dall'avversario di Be'Sihl, non mancò di intervenire in difesa di quest'ultimo, così come preannunciato dal medesimo e così, persino, come altresì sfidato da parte di quell'uomo, di quel predone. Prima ancora che la spada del medesimo, infatti, potesse avere opportunità di ridiscendere secondo desideri tanto palesemente espressi, in ottemperanza alla violenza così indiscutibilmente riservata qual propria, l'aggressore si ritrovò a essere improvvisamente aggredito, il predatore venne tramutato in preda, venendo fatto a pezzi davanti agli occhi dei suoi compagni senza che alcuno fra i medesimi potesse riservar qual propria opportunità di comprendere chi, o cosa, avesse agito in maniera tanto brutale. E se un qualche bardo avesse mai voluto esprimere l'orrore di quel momento, nell'indicare semplicemente quel disgraziato qual tragicamente ucciso, violentemente e mortalmente offeso da un qualche non meglio riconosciuto antagonista, assolutamente insufficiente si sarebbe dimostrato allo scopo prepostosi, dal momento in cui, letteralmente, quella vittima venne smembrata, macellata, innanzi all'attenzione di tutti i presenti lì schierati, nella sola eccezione dello stesso Be'Sihl che, a tale spettacolo, cercò di non serbare particolare attenzione, eventuale entusiasmo, in positivo o in negativo.
Alcun guadagno, dopotutto, avrebbe mai potuto essergli proprio nel ricercare oscenamente, e perversamente, contatto visivo con un corpo umano inaspettatamente bloccato nei propri movimenti, in ogni possibile azione, dalla presenza di mani invisibili, tali da imporgli una morsa inviolabile, e poi sollevato da terra di almeno due, forse tre piedi, solo per poter permettere alle proprie vesti, inizialmente, alla sua pelle, subito dopo, e ancora ai fasci muscolari, agli organi interni e alle sue stesse ossa di essere lentamente e macabramente strappate dalla propria naturale posizione, per essere rigettate senza controllo alcuno lì attorno, ricadendo a volte a terra, altre sugli stessi uomini e donne fino a un istante prima suoi compagni di vita e di misfatti. Alcun vantaggio, del resto, avrebbe mai potuto essere proprio di alcuno nel seguire, con orrore e pur con necessaria attenzione, nell'essere paralizzati dalla prepotenza della propria paura, il sangue sprizzare con violenza da quel corpo, verso il cielo come verso la terra, nonché, inevitabilmente, anche verso di sé, sui propri volti, sui propri corpi, in una doccia calda e dal sapore lievemente ferruginoso, nel mentre in cui quella lenta e pur sistematica operazione chirurgica veniva condotta a termine, prestando, in tal senso, la massima attenzione a non violare immediatamente le funzioni essenziali di quel corpo, i suoi organi vitali, a concederli, impietosamente, di mantenere coscienza della propria sorte, della propria fine, della propria terribile morte, tanto orrenda da non poter essere probabilmente augurata neppur ai propri più acerrimi avversari, e, inevitabilmente, da costringersi a pregare in direzione degli dei tutti per una più rapida conclusione. E se alcun guadagno, alcun vantaggio, avrebbe mai potuto essergli proprio, Be’Sihl, che già ai propri aggressori non aveva rivolto un singolo sguardo in precedenza, ancor si negò qualunque possibilità di contatto visivo con i medesimi, probabilmente animato, in tal scelta, in tal decisione, dalla volontà di non essere costretto a umanizzarli, a considerarli qual realmente esistenti, e, in ciò, a liberare la propria coscienza dall'orrore di quelle uccisioni tanto tremende, tali da far preferire, indubbiamente, l'idea di decapitarli personalmente, a concedere agli stessi una rapida, e sufficientemente generosa, occasione di morte, di incontro con le proprie divinità o con qualunque altra presenza si sarebbe dimostrata esistente nel regno proprio dei trapassati.

« Gorl! »

Un gemito più che comprensibile, addirittura prevedibile, quello emesso da uno dei banditi lì membri di quel disgustato pubblico, il quale, ritrovatosi a essere con gli occhi colmi di lacrime e con le braghe sporche della propria urina e delle proprie stesse feci, volle rendere propria, in tal senso, una reazione istintiva, umana, più che comprensibile in una situazione qual quella, e pur, ciò nonostante, forse inappropriata per chi, probabilmente, già macchiatosi più volte in passato le mani del sangue di vittime innocenti, altri viaggiatori precedenti a Be'Sihl e, differentemente da lui, non sì ben protetti da una presenza sovrannaturale, anzi, da un'intera schiera di presenze sovrannaturali, aventi quale solo, espresso ordine quello di scortarlo, sano e salvo, fino al porto di destinazione. Una reazione, la sua, tutt'altro che singolare in quello stesso frangente, e che, al già sgradevole odore conseguenza di quello smembramento, vide aggiunti altri olezzi non maggiormente apprezzabili, i quali, fortunatamente per Be'Sihl, avrebbero potuto ritrovare nella fresca brezza di quella serata di metà primavera, un'occasione di dispersi rapidamente, non disgustandolo di più di quanto il semplice pensiero di quello che lì stava accadendo avrebbe potuto fare.

« E' un dannato stregone… » esclamò un'altra voce, facendosi testimone di un pensiero più che condiviso fra tutti coloro che a tanto macabro spettacolo erano stati costretti ad assistere.
« Come ho già cercato di spiegare… no! » si difese lo stesso shar'tiagho, in un lieve sussurro, non destinato a essere udito là dove, del resto, che potesse essere apprezzato o meno a ben poco sarebbe importato, ove tutti loro erano già stati condannati a morte, nel seguire l'esempio già dettato nell'esecuzione del loro compare « Anche se, probabilmente, dal vostro punto di vista sarebbe sicuramente stato auspicabile che io lo fossi… » soggiunse poi, privo di ironia « … in tal caso, per lo meno, vi avrei assicurato una fine più rapida e meno dolorosa. »

Parole cariche di amarezza, quelle in tal intervento rese proprie da parte del locandiere, il quale se pur non avrebbe potuto provare particolare simpatia per chi, altresì, si era a lui presentato qual animato solamente dalla volontà di ucciderlo allo scopo di privarlo dei propri non particolarmente sostanziosi averi, parimenti non avrebbe neppure potuto provare un tale astio, una simile avversità, da augurare loro di divenire prede degli spettri di Desmair, il cui particolare modo di agire, di dispensare dolore e morte aveva già avuto modo di non apprezzare in occasione della loro precedente collaborazione.
Privo, pertanto, di particolare soddisfazione, di concreto appagamento, all'uomo non poté essere offerta alternativa rispetto a quella di restare lì quietamente accomodato a terra, con lo sguardo perso in direzione del fuoco innanzi a sé e dei resti della propria frugale cena ancora in tal punto sparsi, cercando di non offrire particolare attenzione ai suoni e alle grida che, ancora per oltre un quarto d'ora, saturarono quell'intera area, disinteressandosi, persino, a quegli schizzi di sangue ai quali, pur, avrebbe potuto ovviare nel levarsi in piedi e nell'allontanarsi da lì. Un'indolenza fisica, la sua, obbligata dalla propria stanchezza, ancor prima che da una qualche apatia psicologica, e della quale, a tempo debito, avrebbe sicuramente avuto occasione per cui rimproverarsi, ma che, in quel particolare frangente, nell'ossessivo pensiero rivolto alla propria amata, alcun particolare valore, negativo o positivo, avrebbe potuto comunque rappresentare per lui.

« … pietà… » lo supplicarono più voci, verso di lui pregando non tanto ricercando una qualche occasione di perdono, e di condono dalla propria fine già sancita, quanto, piuttosto, nella speranza di poter essere rapidamente uccisi, senza essere ancor costretti a subire tanta, inumana violenza.
« Purtroppo non dipende da me… mi dispiace. » replicò egli, a una fra le tante, ammettendo onestamente, candidamente, tale propria impossibilità, simile proprio limite, dal momento in cui, anche volendo, mai avrebbe potuto garantire loro una qualche occasione di salvezza, o, per lo meno, di misericordia, nell'evitare loro una tanto disgraziata fine.

E se pur, di misericordia, egli non sarebbe stato avido, concedendola più che volentieri a tutti loro, di salvezza Be'Sihl non si sarebbe potuto, in tutta sincerità, considerare egualmente generoso, ove, malgrado il suo spirito non si sarebbe mai potuto giudicare qual caratterizzato da particolare sete di sangue o morte, era pur consapevole di quanto pericoloso, per sé e per l'esito della propria missione, sarebbe stato concedere loro di sopravvivere a simile incontro, in quanto testimoni di una scellerata alleanza fra sé e un mostro disumano, un semidio demoniaco una minima parte del potere del quale era così stata lì appena espressa. Un’alleanza, invero, ignota persino a colei che sola avrebbe dovuto esserne considerata la causa, l’ispirazione, la ragione: Midda Bontor, sposa dell’uno, amata dall’altro.

lunedì 28 novembre 2011

1409


U
n comportamento umanamente comprensibile, ove animato, nei propri gesti, nelle proprie decisioni, dall'impeto proprio di forti passioni, di irrefrenabili emozioni, che pur la mercenaria da lui amata, se solo fosse stata lì presente, non avrebbe potuto perdonare, soprattutto nel considerare quanto anch'ella, a propria volta, in più passate occasioni aveva commesso il medesimo errore, sempre, a posteriori, trovando ottime ragioni di cui pentirsi, nel momento in cui, quand'ormai troppo stanca, spossata, fisicamente ancor prima che mentalmente, per il percorso impostosi, si era ritrovata posta in difficoltà, e in pericolo non tanto per una qualche reale abilità avversaria, quanto più per la propria esplicita debolezza.
Purtroppo per Be'Sihl, in quel momento, la sua mercenaria prediletta non avrebbe mai potuto offrirgli un qualunque sguardo di rimprovero con i propri stupendi occhi azzurro ghiaccio, sì terribili per chiunque e pur sì piacevoli per lui, nel porlo in guardia dai rischi di quel suo modo d'agire, di quel suo affaticamento che a nulla lo avrebbe portato se non a dimostrarsi alfine inutile per offrirle una qualunque possibilità di soccorso. Fortunatamente per lo stesso, tuttavia, in quel medesimo momento, un diverso genere di sguardi stava vegliando su di lui, sul suo tragitto e sulla sua vita, ragione per la quale, in quella sosta serale, una disavventura impostagli si dimostrò particolarmente breve…

« Salute a te, o peregrino! Ti preghiamo di non scomodarti a impugnare armi… » esclamò una voce, offrendo omaggio all'uomo e, contemporaneamente, consigliando da parte sua una quieta occasione di risposta alla propria sopraggiunta presenza, raggiungendolo invero qual più prossimo a una condizione di svenimento per eccessiva stanchezza che a una qualche possibilità di pronta reazione, né in propria difesa, né, tantomeno, in offensiva a eventuali avversari « … sarebbe inutile! » puntualizzò, apparentemente sereno, e pur, forse, anche minaccioso in quel proprio invito.
« La notte è buia, e il tuo fuoco è estremamente luminoso. » proseguì una seconda tonalità, con tono ugualmente serio e sereno, seppur, a una mente attenta, difficilmente avrebbe potuto celare una sottile nota di sarcasmo, di divertita ironia nello scandire quelle medesime parole « Impossibile resistere alla curiosità di scoprire a chi tanta luce potesse offrir riferimento… »
« Oh, sì! » confermò una terza, o forse ancora la prima, facilmente confondibili l'una con l'altra non per un qualche comune cadenza, quanto, più semplicemente, per il totale disinteresse verso di loro rivolto da parte dell'ipotetico interlocutore, il quale neppure si sforzò di levare lo sguardo verso il singolo, la coppia o il gruppo così presentatogli « Volevamo proprio venirti a incontrare, magari approfittando della tua cena, e, perché no?!, di una qualche tua generosa donazione a un gruppo di poveri disgraziati qual noialtri… »
« Purtroppo sembra che tu non abbia preparato granché stasera… » osservò il primo, o il secondo, o forse un quarto, nel proseguire nella medesima direzione del compagno « Vorrà dire che ci dovremo accontentare del tuo oro, almeno che tu non sia intenzionato a offrirci anche la tua vita. »
« Andatevene… » replicò lo shar'tiagho, con voce stanca, neppur cercando di dissimulare, forse vanamente, le proprie condizioni « Non sono in cerca di guai. E non desidero che le vostre pur inutili esistenze possano essere prematuramente stroncate a causa della vostra stupida brama di guadagno. »

Un'affermazione, quella da lui in tal modo resa propria, che non avrebbe dovuto essere giudicata qual gratuita, qual sciocco tentativo di intimidazione a discapito del gruppo, o, ancora, qual egocentrica enfatizzazione delle proprie personali capacità guerriere, quanto, e disgraziatamente per tutti loro, una semplice constatazione dei fatti, della realtà così come sarebbe stata loro offerta, necessariamente promessa. In quella particolare occasione, al di là di quanto Arasha, prima, e quegli sventurati predoni, poi, avrebbe potuto ritenere, il locandiere shar'tiagho non avrebbe dovuto essere giudicato qual solo nel compimento di quel viaggio, non sarebbe dovuto essere riconosciuto qual abbandonato al proprio fato lungo quel non breve e non facile tragitto, là dove, seppur non visibile, non percettibile, attorno a lui, a sua protezione, sarebbero rimaste presenti le schiere ubbidienti al semidivino Desmair, marito della sua amante, ipotetico nemico e pur, lì, nuovamente suo principale alleato in un'impresa in assenza del quale non avrebbe avuto probabilmente alcuna speranza di successo, di sopravvivenza.
Allora come già in passato, infatti, gli interessi di quel demone, per ragioni non meglio comprese, sembravano poter coincidere con i suoi, entrambi preoccupati per la sopravvivenza di Midda Bontor, ragione per la quale alcun pericolo, alcuna minaccia, umana o non, avrebbe potuto offendere il buon Be'Sihl in quello stesso tragitto verso Moniath, sebbene tale percorso avrebbe dovuto essere oggettivamente riconosciuto qual più impegnativo, e in questo rischioso, rispetto al pur non ovvio raggiungimento della più vicina Seviath, principale capitale portuale della medesima penisola tranitha, sita sul fronte opposto rispetto a quello della sua attuale destinazione. Una garanzia di successo, quella in tal modo necessariamente caratterizzante il viaggio dell'uomo, nel merito della quale, loro malgrado, ebbero occasione di maturare piena e tragica comprensione, concreta e terribile consapevolezza, tutti i membri di gruppo di banditi, i quali avevano deciso di inserire quel viandante solitario all'ultimo posto nel lungo elenco delle loro vittime, animati in ciò dalla brama per il suo oro, il possesso del quale, dopotutto, avrebbe pur dovuto distinguere un peregrino suo pari.

« No… scusa un attimo… perdonami. » riprese voce uno dei suoi non meglio identificati antagonisti, tali per sua ormai trasparente assenza di volontà in tal direzione « Ma davvero ci stai minacciando? »
« Sbagli. » negò Be'Sihl, sbadigliando vistosamente, in un gesto incontrollato e, in quel momento, neppur desiderato qual controllato « Come ho appena detto, vorrei solo evitare qualche inutile spargimento di sangue. Anche perché ho l'impressione che il mio demoniaco compare non si limiterebbe a uccidervi nel modo più semplice possibile… al contrario. » tentò di spiegare, assolutamente sincero, onesto nelle proprie motivazioni « E, per quanto vi potrei sembrare poco virile, vorrei evitare di conservare memoria dell'immagine dei vostri corpi trucidati… »

In un mondo qual il loro, nel quale sempre troppi, per quanto pochi, negromanti e stregoni erano soliti imporre il proprio potere a discapito dei più, chi rivolgendo il proprio interesse all'acquisizione di maggiore controllo possibile sul mondo a sé circostante, chi animato da un non meglio comprensibile, e pur trasparentemente folle, desiderio rivolto a un qualche mai chiarito obiettivo finale; probabilmente saggio, sicuramente prudente, sarebbe stato per i saccheggiatori lì radunatisi attorno allo shar'tiagho dimostrare un certo spirito di autoconservazione non minimizzando la non minaccia così come da lui appena presentata, domandandosi, fosse anche solo a livello intimo, entro quali termini sarebbe stato effettivamente conveniente per loro porre in dubbio l'occasione di godere di una nuova alba per qualche manciata d'oro. Nonostante ciò, proprio in un mondo qual il loro, nel quale il sovrannaturale troppo facilmente si intrecciava al naturale, un certo scetticismo di fondo, un qualche dubbio, non sarebbe comunque venuto mai meno innanzi alla prospettiva di un incontro con un negromante, con uno stregone o, ancor più, con un qualche demone, così come appena suggerito da parte di Be'Sihl, dal momento in cui maggiormente probabile sarebbe stata l'eventualità di incappare in un imbonitore, in un impostore, vantante poteri da lui pur non posseduti, che in un reale e tanto pericoloso personaggio. Ipotesi, quest'ultima, che, in quella specifica occasione, sarebbe potuta essere facilmente avallata dalla semplice constatazione di quanto, se realmente egli avesse dovuto essere riconosciuto, e temuto, qual negromante o stregone, difficilmente chiunque fra loro avrebbe potuto essere ancora in vita per meditare a tal riguardo.
Tuttavia, e purtroppo per loro, nelle proprie parole, nella propria presa di posizione, il locandiere shar'tiagho non aveva assolutamente preteso di imporsi qual dotato di particolari e terribili poteri, quanto, più banalmente, aveva appena asserito di essere supportato, nel proprio cammino, da una creatura sovrannaturale. Differenza evidente di impliciti, quella in tal modo scandita, la mancanza di percezione per la quale appariva ormai inderogabilmente qual destinata a definire l'avverso fato per quel gruppo di predoni.

« Io credo che tu stia raccontando un sacco di storie… » rise uno fra loro, sguainando la propria arma e, nel far ciò, avanzando rapido in direzione dell'interlocutore, nella volontà di concludere nel sangue quel dialogo ormai sgradito « Vediamo un po' se il tuo amichetto potrà salvarti da questo! » lo sfidò, levando la lama così impugnata e preparandosi a un violento fendente a discapito dell'uomo, ancora seduto a terra.

domenica 27 novembre 2011

1408


E
Be'Sihl non volle sentir ragioni.
Egli non era un uomo di guerra, non era un combattente né avrebbe mai potuto apparir qual tale là dove, se pur avrebbe saputo sorreggere la spada dono della propria amata Midda, con la medesima mai avrebbe probabilmente saputo difendersi da un attacco a lui offerto da un guerriero degno di tale nome, né, parimenti, avrebbe saputo condurre a segno una qualsiasi offensiva a discapito di chi, differentemente rispetto a lui, della lotta, della violenza e del sangue dei propri avversari, aveva reso la propria principale occasione di sopravvivenza, nonché la propria unica fonte di reddito. Ciò nonostante, egli non volle sentir ragioni, né da parte dei propri clienti, in fondo interessati a mantenere in circolazione e in salute il loro locandiere di fiducia, né da quella dei propri garzoni, o, tanto meno, da parte di Arasha, altrettanto interessati a non perdere il loro principale riferimento professionale, nei riguardi del quale il rispetto e la fiducia di ponevano da sempre illimitati.

« E' una follia, Be'Sihl… » aveva protestato la giovane, scuotendo vigorosamente il capo e, con esso, lasciando ondeggiare i propri lunghi e lisci capelli corvini, al di sopra di un'esotica pelle bronzea, sebbene nata e cresciuta entro i confini propri di quella stessa capitale, qual espressione di un sangue misto non inferiore rispetto a quello dello shar'tiagho « Un conto è attraversare il continente in compagnia di Midda, della più grande guerriera che questo angolo di mondo abbia mai conosciuto, un altro è incamminarsi da solo in un viaggio privo di significato… »
« Per favore, non mi ritenere così sprovveduto. » aveva replicato l'uomo, celando dietro a un quieto sorriso le reali ragioni della propria urgenza, della necessità di partire per una meta, in verità, ancora ignota, dal momento in cui l'unica indicazione che Desmair gli aveva saputo offrire era stata quella volta a sospingerlo in direzione di Moniath, seconda capitale portuale della penisola maggiore di Tranith « Credi forse che da Shar'Tiagh a qui sia giunto in sola grazia del mio bel viso? » aveva commentato, non privo di autoironia.

Nelle proprie risposte, il locandiere si era così seriamente sforzato nel negare all'interlocutrice reale informazione nel merito del fato che poteva essere stato proprio di Seem, per così come a lui riferito, là dove ella, in tal caso, non avrebbe avuto esitazioni a domandare di seguirlo, ponendo in ciò a rischio la propria vita in un viaggio mai giudicabile qual ovvio nella propria conclusione; e là dove, purtroppo e fra l'altro, nulla di preciso avrebbe potuto riportarle nel merito delle reali condizioni del medesimo, così come degli altri due compagni di ventura della propria amata, in quanto, ancora, lasciato privo di certezze a tal riguardo dal proprio demoniaco committente.
L'unica informazione che egli aveva voluto condividere con tutti coloro presenti insieme a lui nelle cucine de "Alla Signora della Vita", a seguito di quello che era apparso essere, per il medesimo, un lungo periodo di silenzio, di distacco dalla realtà, immerso in personali e profonde elucubrazioni, era pertanto stata quella di avere necessità di partire immediatamente per un viaggio verso sud, alla volta del regno di Tranith. E di dover partire da solo, privo di qualsiasi genere di accompagnatore, fosse anche la presenza di questi rivolta esclusivamente alla sua personale sicurezza.

« Dannazione… quel viaggio lo hai compiuto ancora prima che io nascessi! » aveva esclamato Arasha, con tono provocatorio ma, in effetti, tutt'altro che eccessivo in tale valutazione, ove, effettivamente, anno più, anno meno, i conti si sarebbero facilmente dimostrati a favore di quella sua asserzione « Il mondo è cambiato… e anche tu sei cambiato. » aveva definito, riprendendo poi immediatamente voce « Non hai idea di cosa potrebbe attenderti lungo il cammino… » aveva cercato di porlo in guardia, offrendo implicito riferimento a una recente disavventura occorsale in compagnia della donna guerriero proprio nel compimento del tragitto fra Kriarya e il regno di Tranith.
« Non ci sono più stati attacchi di mostri da quando Midda ha risolto quel problema… e lo sai bene anche tu, dal momento in cui eri presente quando ciò è accaduto. » aveva minimizzato per tutta risposta Be'Sihl, sorridendole con affetto nell'apprezzare la premura da lei così dimostrata nei propri riguardi « Sarà un viaggio tranquillo: non devi avere timore per me. »
« Per Gorl… » si era alfine arresa la giovane, levando le mani a esprimere tale propria sconfitta.

Sfortunatamente, Arasha non avrebbe potuto annoverare in proprio supporto elementi di sorta in grazia ai quali comprendere le ragioni di quella decisione improvvisa, quasi isterica nella repentinità della propria maturazione e nella fretta che l'uomo aveva allora dimostrato, subito abbandonando ogni altra attività per dirigersi alle proprie stanze e lì iniziare a preparare il proprio bagaglio, nel mentre in cui un garzone era stato inviato alle stalle più vicine per procurargli un cavallo. E, al di là di ogni possibile insistenza, impossibile sarebbe stato negare come Be'Sihl fosse e sarebbe rimasto sicuramente un uomo maturo, più che maturo, e in questo assolutamente libero di decidere in che termini scegliere di sprecare la propria esistenza senza che alcun altro, o altra, potesse intromettersi nel definire per lui diverse vie, altri modi, seppur più salubri.

« Spero solo che tu possa tornare prima di lei… non vorrei ritrovarmi costretta a spiegarle le ragioni per le quali sei uscito di senno, visto e considerato, fra l'altro, che anch'io le ignoro. » aveva concluso, scuotendo nuovamente il capo, con incedere rassegnato e pur, in quell'ultima asserzione, non negandosi un implicito riferimento all'unica donna il cui semplice pensiero, sperava, avrebbe potuto restituire saviezza alla sua mente, equilibrio al suo intelletto, al di là di ogni enfasi potesse allora averlo compromesso.

E l'uomo, a quell'ultimo accenno, aveva alfine replicato con un semplice sorriso, un sorriso, forse, più carico di amarezza e malinconia rispetto a quanta non sarebbe stato indicato dimostrarne in quel momento, e pur lì incontenibile, irrefrenabile, soprattutto nel confronto, psicologico, con l'idea di un ritorno a casa per la propria amata, per colei che, forse, in quel momento stava venendo torturata o uccisa dalla propria tutt'altro che amabile gemella.
Così Be'Sihl era partito, non sentendo ragioni e dimostrandosi assolutamente disinteressato al proprio stesso futuro, alle proprie aspettative di vita in quello che, in un mondo quale il loro, non avrebbe mai potuto essere giudicato qual un viaggio tranquillo. Certamente, nel consumare abitualmente le proprie giornate all'interno della città del peccato, egli avrebbe potuto essere riconosciuto qual abituato a una realtà meno ipocrita di quella che avrebbe potuto caratterizzare qualsiasi altra capitale kofreyota, e in ciò tale da averlo abituato a un clima di violenza, di guerra e di morte, pur apparentemente intrinseco nella stessa condizione umana, e, nonostante tutto, troppo spesso celato dietro a falsi sorrisi, vacui sguardi ipoteticamente compassionevoli. Nulla di positivo, pertanto, egli avrebbe potuto attendere dal proprio viaggio, riconoscendo assoluta ragione, in ciò, alle argomentazioni di Arasha.

Fedele al proprio ruolo, al compito eletto qual proprio, e a dispetto di tutte le rassicurazioni pur spese per tranquillizzare la propria giovane collaboratrice e negare di essere intenzionato a sprecare la propria vita in una maniera incredibilmente sciocca e priva di significato, nei propri primi quattro giorni di viaggio, Be'Sihl non volle mai dimostrare di aver riservato qual propria una qualche particolare preoccupazione, un qualche reale interessamento per il fato verso il quale pur, in quell'affrettata partenza, avrebbe potuto destinarsi con la propria avventatezza, con quell'assoluta mancanza di criterio già rimproveratagli.
Paradossalmente, se solo Midda non fosse stata oggetto del suo viaggio, obiettivo di quel suo improvviso impegno, sarebbe sicuramente stata la stessa Figlia di Marr'Mahew a rimproverarlo per aver agito in maniera sì sciocca, tanto sprovveduta, non solo nell'essersi completamente affidato alla parola di una figura qual quella di Desmair, a lui potenzialmente avversaria, quant'anche, e ancor più, per la più completa incuria che, in quello stesso percorso, il locandiere stava dimostrando di voler dedicare a se stesso. Animato infatti dalla sola volontà di raggiungere quanto prima la propria destinazione, le uniche soste che il locandiere shar'tiagho era stato sino a quel momento solito concedersi avevano allora comprovato maggiore premura nei riguardi del proprio equino sodale che di se stesso, negandosi l'esigenza di un qualche momento di riposo e pur arrestandosi almeno due volte al giorno, e ogni notte, al fine di non uccidere, involontariamente, l'animale eletto a proprio unico compagno in quel viaggio.

sabato 26 novembre 2011

1407


« C
ome è possibile che sia avvenuto questo? » decise di esprimersi ad alta voce al termine di un sin troppo lungo periodo di astensione verbale da parte dell'interlocutore, il quale, malgrado l'apparente urgenza intrinseca in quel dialogo, sembrava intenzionato a farsi pregare al fine di offrire le necessarie spiegazioni all'ospite così a sé convocato « Midda non è una sprovveduta… e anche tu, malgrado tutto, non dovresti avere dubbi a tal riguardo. » argomentò, riferendosi, implicitamente, ai trascorsi occorsi fra la donna guerriero e il proprio sposo, eventi certamente tutt'altro che già dimenticati da parte del medesimo.
« No… mia moglie non è una sprovveduta. » confermò il demone, accarezzandosi il lungo e appuntito mento con la destra, nel mentre in cui nella mancina sorreggeva il calice con posa tranquilla, rilassata « E, malgrado non sia ciò che desideravo, una parte di me non può negarsi un certo diletto al pensiero che ella, sì indomita, sì audace, sì coraggiosa, sì irrefrenabile anche nell'affrontare l'impossibile, sia comunque a me legata, al di là della nostra reciproca inimicizia. » sorrise, inarcando l'angolo destro della bocca e, nel compiere simile gesto, lasciando trasparire affilati denti bianchi al di sotto delle labbra, rosse al pari del resto del suo corpo « Insomma: se proprio ella ha il diritto di sfoggiare il mio nome qual quello del suo sposo, meglio che sia degna di tale onore… »
« Personalmente avrei detto "orrore", non "onore"… » commentò Be'Sihl, più rivolgendosi a se stesso che in direzione del proprio interlocutore « Ma non credo che questo genere di questioni possa interessarci ora. » minimizzò, ben lontano dal potersi definire entusiasta tanto per la digressione così intrapresa dal tema fondamentale al centro di quel loro incontro, quanto per l'argomento scelto qual oggetto di simile deviazione, non potendo certamente approvare l'idea dell'esistenza di un legame, e di un legame profondo quale il matrimonio, fra la propria amata e quel mostro osceno, la cui stessa esistenza sembrava essere blasfemia.

Purtroppo per lui, come nuovamente ebbe modo di disapprovare, Desmair non sembrava intenzionato a concedere al loro dialogo di dimostrarsi qual espressione di un rapporto fra pari, ragione per la quale, pur senza reagire malamente, cedendo all'irritazione per il suo ardire o, addirittura, interrompendo quel loro contatto, lo volle punire con un nuovo prolungato momento di silenzio, solamente utile a torturarlo, a metterne alla prova la pazienza soprattutto in un momento tanto delicato, per non dire critico. Come già pocanzi, però, allo shar'tiagho non poté essere riconosciuta altra possibilità rispetto alla quieta sopportazione di tale silenzio, nel timore che, insistendo troppo, il suo interlocutore non si sarebbe dimostrato ancora tanto clemente nei suoi riguardi e, in questo, gli avrebbe negato di entrare in possesso di quelle informazioni pur, ormai, da lui a dir poco fondamentali per il mantenimento di un qualche equilibrio psicologico, ove troppo semplice, allora, sarebbe stato lasciarsi precipitare nuovamente nel baratro di depressione già spiacevolmente sperimentato nell'occasione in cui Midda aveva emulato la propria morte proprio all'interno delle mura della sua locanda.
Così, ingoiando ogni ulteriore commento, ogni asserzione, o semplice esortazione, e trattenendo in tal senso tutta la propria enfasi, tutta la frenetica brama di essere meglio informato nei termini del fato della propria amata, Be'Sihl attese inerme la ripresa di quel dialogo, o forse monologo, ripromettendosi di non offrirgli più ulteriore occasione di interruzione.

« Non voglio negarlo, ove sarebbe estremamente infantile agire in tal senso: è estremamente piacevole vederti soffrire per l'impazienza di scoprire il fato a cui la mia fedifraga sposa sta venendo condannata… » ammise il semidio, tornando a sorseggiare il contenuto del proprio calice, non tentando di celare ulteriormente quanto il suo comportamento, in quel frangente, non dovesse essere interpretato qual casuale, qual esterno a quello stesso desiderio ora esplicitato « Un diletto che spero tu possa ben comprendere, se pur non apprezzare, nelle proprie ragioni. Per quanto non abbia ricercato io questo matrimonio, è la prima volta che una delle mie spose tradisce la mia fiducia e il vincolo con me sancito. Nulla di cui sorprendersi, pertanto, in questa mia risposta emotiva alla tua sofferenza per la sua sorte… »
Al di là di ogni intima promessa appena scandita, il locandiere non poté mantenersi in quieta e remissiva laconicità in conseguenza a una tale affermazione, motivo per il quale, pur certo di quanto, così facendo, avrebbe avuto ragioni di cui pentirsi, volle riprendere parola verso la controparte: « Quindi è questo il tuo desiderio? Permettermi di assistere, impotente, alla cronaca della disfatta della mia amata per mezzo della tua voce? Meraviglioso… »
« Sarcasmo inutile e completamente fuori luogo il tuo. » negò il demone, scuotendo lentamente il capo ornato da grosse corna bianche, monumentali nella loro presenza ai lati del cranio « Fosse ancora mio desiderio vendicarmi di te, e di lei, potrei approfittare di quest'occasione per chiudere la questione con entrambi e dedicarmi, finalmente, al proseguo della mia esistenza immortale. » sorrise, non sforzandosi di celare quanto tale prospettiva fosse in grado di entusiasmarlo « Tuttavia, questa volta, qualcosa è cambiato… un nuovo interesse anima il mio cuore, una nuova priorità ho scoperto riguardare la mia mogliettina, e, al di là di quello che tu potresti pensare, non riguarda assolutamente la sua pur estremamente generosa circonferenza toracica… »
« Cosa vuoi, Desmair?! » insistette Be'Sihl, neppure tentando di imporsi ulteriore occasione di freno in quella nuova espressione a lui dedicata, desiderando, in verità, solo poter ottenere informazioni relative al fato della propria amata e nulla più.
« Desidero che gli equilibri in questo piano di realtà, e in tutti quelli a questo paralleli, non possano mutare, là dove, nonostante tutte le pessime idee che tu e Midda possiate esservi fatti a mio riguardo, il destino del vostro mondo rientra nei miei più vivi interessi. » esplicitò egli, ora non lasciandosi pregare per offrire chiarezza nel merito della propria posizione « Dopotutto, è nella natura di una divinità mio pari godere della venerazione di schiere di fedeli… e un servitore non può dipendere da due diversi padroni. »

Le parole così scandite dal semidio, per quanto chiaramente da lui ricercate per non offrire ambiguità alcuna attorno ai propri significati, non risultarono comunque si comprensibili all'attenzione del suo interlocutore, ove, come già in precedenza, facenti ancora implicito riferimento ad altre informazioni non espresse e, tuttavia, in tal frangente, ignorate da parte dello stesso locandiere, il quale non ebbe modo di ricostruire l'intero contesto entro il quale quella valutazione, o forse, addirittura, quel monito, avrebbe potuto riservarsi migliore possibilità d'intesa. Una piena comprensione, quella negata a Be'Sihl, in soccorso alla quale, comunque, neppure l'interprete stesso di quell'intervento parve voler spendere un ulteriore sforzo dialettico, nel riprendere immediatamente voce ora in una direzione completamente diversa e volta, almeno in apparenza, a fornire alfine tutte le informazioni da lui a lungo invocate e ancora non concessegli…

« Carsa Anloch ha tradito Midda. » annunciò, forse in tal senso ricollegandosi alla propria ultima asserzione, o forse apparendo in riferimento alla medesima per semplice casualità « Nel mentre in cui i due uomini e il fanciullo lì schieratisi in suo supporto, Howe, Be'Wahr e… Seem, si stavano preparando a negare a Nissa ogni possibilità di fuga, di evasione, in totale accordo agli ordini ricevuti, la mercenaria divenuta pirata li ha aggrediti a tradimento, sorprendendoli con un violento attacco a sorpresa. »
« Dei… » gemette lo shar'tiagho, già facendo proprie le peggiori immagini possibili nel merito di un tanto drammatico, tragico quadro.
« Nel mentre di ciò, il combattimento fra le due gemelle si è protratto per molto meno tempo di quanto Midda avrebbe potuto credere o sperare: Nissa, tutt'altro che sorpresa per la presenza della propria nemesi entro il limitare proprio del tempio scelto qual luogo per la trappola, è riuscita a imporre rapidamente il proprio imperio su di lei. » proseguì, non palesando particolari emozioni in simile descrizione, quasi propria volontà si fosse improvvisamente ridotta a quella di informare semplicemente il proprio ospite e nulla di più, senza ulteriori giuochi con lui « E così, dopo aver lasciato i tre disgraziati al suo seguito più prossimi alla morte che alla vita, la regina dei pirati ha condotto mia moglie, priva di sensi, verso il proprio fato… »
« Dov'è? Dove si trova?! » richiese Be'Sihl, scattando ora in avanti, verso il proprio interlocutore, in una reazione priva d'avversione verso di lui, in quanto semplicemente carica di tutta la propria preoccupazione per la sorte dell'amata, allora tutt'altro che rivelatagli da espressioni ancora troppo ambigue « Devi dirmelo, per l'amore di tutti gli dei del cielo e della terra! »

venerdì 25 novembre 2011

1406


« I
n questo momento ella ancora vive. » esplicitò Desmair, per quanto tutt'altro che entusiasta alla prospettiva di cedere, in tal modo, ai capricci di quello sciocco mortale, nel concedergli una conferma pur già sostanzialmente espressa « Ciò nonostante, fossi in te, eviterei di arroccarmi nella serenità di una tale considerazione, ove non è scontato che tale condizione possa perdurare inalterata ancora a lungo… »
« Parla quindi… hai tutta la mia attenzione. » definì Be'Sihl, non specificando quanto, in effetti, non avrebbe potuto far propria particolare alternativa a concedergli tale interesse, dal momento in cui, ritrovatosi a essere lì bloccato, psichicamente ancor prima che fisicamente, non avrebbe potuto far propria alcuna alternativa a prestarsi al giuoco dell'interlocutorie anche ove, a differenza di quello specifico momento, non vi fosse stata in lui alcuna reale curiosità nei riguardi di quanto egli avrebbe potuto comunicargli.

Rimasto seduto, sino a quel momento, su un enorme trono utile a contenere in maniera adeguata le proprie dimensioni, indubbiamente superiori a quelle che avrebbero potuto essere proprie di qualunque uomo con oltre sette piedi di altezza e trecentotrenta libbre di peso a caratterizzare un fisico comunque estremamente virile, scultoreo nei propri muscoli guizzanti sotto la sua tesa e glabra pelle rossa, Desmair a quell'invito, a quell'esortazione, offrì un inedito movimento, levandosi in piedi, ergendosi in tutta la propria altezza di fronte all'ospite, di almeno un piede e mezzo, forse due, più basso rispetto a lui, e con una massa corporea probabilmente dimezzata, o forse più, e mosse qualche passo in direzione di un tavolinetto lì prossimo, prima neppur preso in considerazione da parte dello shar'tiagho, sul quale una brocca e un calice lo stavano attendendo. Brocca, forse in argento, o forse in oro bianco, per quanto ebbe modo di valutare a tale distanza il locandiere, dal quale venne riversato in un calice di eguale prezioso materiale un liquido rosso scuro, estremamente intenso e corposo, che difficilmente avrebbe potuto confondere con del vino ove, anche in grazia alla propria professione e alla particolare città ove essa era esercitata, ben sapeva distinguere, egli, la consistenza del vino da quella del sangue, impossibile definire se animale o umani: particolare indubbiamente sgradevole, quello così imposto alla sua attenzione, nel confronto del quale Be'Sihl volle riservarsi sufficiente presenza d'animo da imporsi di ricordare come nulla di tutto quello avesse da considerarsi reale, in quanto, al di là di quanto i suoi sensi potessero imporgli, potessero fargli credere, egli avrebbe dovuto essere sempre fisicamente individuato ancora nella propria locanda, forse lì rimasto in piedi, immobile e smarrito qual una statua, o forse, addirittura, svenuto a terra, e in questo rapidamente soccorso da Arasha e dai propri garzoni. Riempitosi il calice, e fatto quieto ritorno al trono, Desmair sorseggiò il liquido così reso proprio, riservandosi, in tal gesto, in simile atto, una chiara volontà di attesa, un evidente momento di intervallo, probabilmente utile, in maniera implicita, a rimproverare l'uomo per i propri modi, ove, al di là della confidenza che pur egli avrebbe potuto riservarsi nei suoi riguardi, mai avrebbe dovuto commettere l'errore di dimenticare l'identità di colui con il quale si stava relazionando, figlio di un dio, seppur minore, e di una delle più grandi regine, se non la più grande in assoluto, di tutta la storia di Qahr.
Un silenzio, il suo, nel confronto con il quale lo shar'tiagho avrebbe volentieri offerto protesta, soprattutto a seguito del terribile annuncio del quale si era reso ambasciatore, e che pur, avendo inquadrato a sufficienza il carattere dell'individuo in questione, non avrebbe potuto equivocare nei propri significati, nella volontà per lui propria in tale atto. E dal momento in cui, purtroppo, il demone avrebbe dovuto essere riconosciuto qual unico reale protagonista di quel loro dialogo, di quella loro nuova occasione d'incontro da lui stessa resa possibile, in effetti non diversamente dalle precedenti, Be'Sihl non poté fare altro che attendere in silenzio, tragicamente rassicurato, qual paradossalmente sarebbe potuto essere descritto, dalla consapevolezza di come, nelle distanze intercorrenti fra sé e l'amata, un istante in più o un istante in meno, purtroppo, non avrebbero potuto cambiarne le sorti, non avrebbero potuto dimostrare reale influenza nel destino della Figlia di Marr'Mahew, ove questa fosse già stata, suo malgrado, condannata a morte.

« La trappola… » riprese alfine voce Desmair, quasi a concludere un lungo discorso pur mai realmente iniziato « La trappola che Midda aveva pianificato a discapito della sua gemella, si è purtroppo ritorta contro di lei e contro coloro che al suo fianco hanno deciso di porsi, in suo supporto. »

Ancora in silenzio, nell'attendere con pazienza il proseguo di quella spiegazione, il locandiere trascurò completamente gli stessi particolari già ignorati dal mostro, non perché per lui privi di qualunque importanza, qual pur in quel frangente erano, quanto, e piuttosto, perché da lui già noti, già spiacevolmente conosciuti in ogni loro più precisa sfumatura.
A quale gemella Desmair stava riferendosi? Alla sorella gemella di Midda Bontor, Nissa Bontor, la quale, come solo in tempi recenti egli stesso aveva avuto modo di scoprire, da un'intera vita si era schierata in aperta opposizione alla propria parente, sentendosi da lei tradita nei propri affetti, nei propri sentimenti, e in questo prendendo la ferma decisione di rovinarle la vita, non semplicemente uccidendola, quanto, piuttosto, andando a colpire chiunque altro attorno a lei, a lei prossimo, per negarle qualsiasi possibilità di nuovi legami. Nella speranza di soddisfare la sete di vendetta della stessa Nissa, nel frattempo ascesa al ruolo di regina dei pirati dei mari del sud, dopo aver riunito tutti i predoni in maniera anarchica lì prima operanti a dar vita a una nazione coesa e coordinata, avente qual capitale l'isola di Rogautt, Midda più di quindici anni prima aveva deciso di abbandonare la via dei mari, la vita da marinaia che pur tanto l'aveva appassionata sin da bambina, cercando il proprio futuro nella terraferma e in una nuova professione da mercenaria. Rinuncia estremamente sofferta, quella così abbracciata dalla Figlia di Marr'Mahew, che pur non era stata sufficiente ad appagare l'antagonista, la quale aveva continuato a perseguitarla, sin'anche arrivando a colpirla nella stessa Kriarya, città del peccato, in un momento di sua assenza, uccidendo una sua cara amica, nonché sposa del suo abituale mecenate.
Nel merito di quale trappola il demone stava offrendo parola? Della trappola conclusiva di una lunga strategia elaborata dalla propria compagna, strategia in grazia alla quale Midda aveva deciso arrivare a una definitiva conclusione nel proprio rapporto con Nissa, qualunque questa sarebbe poi potuta occorrere. Per troppi anni, più della consueta aspettativa di vita della maggior parte degli abitanti di Kofreya e, in particolare, di Kriarya, città del peccato, la sovrana di Rogautt, pur da lei non ancora riconosciuta qual realmente sua nemica, aveva sparso solamente dolore e morte attorno a lei, dando vita a una situazione che ella non avrebbe più voluto né potuto tollerare, ragione per la quale, qualunque fosse stato l'esito di un loro duello, di una loro disfida diretta, la Figlia di Marr'Mahew non avrebbe più accettato altra soluzione al di fuori di quella in tal modo riservatale.
A quali compagni avrebbe potuto il semidio riferirsi, nell'indicarli quali a propria volta caduti in trappola suo pari? A uno scudiero, Seem, compagno di Arasha, da Midda accolto in tempi recenti al proprio fianco in grazia alla propria forza di volontà, alla propria ferma decisione di divenire l'unico artefice del proprio destino, e di un destino, propriamente, qual scudiero accanto a lei; e a tre altri mercenari, due uomini, Howe e Be'Wahr, e una donna, Carsa Anloch, con i quali la Figlia di Marr'Mahew aveva già avuto passata occasione di collaborazione, e che, da lei, erano stati giudicati qual i soli, possibili complici nell'attuazione di quella strategia, di quella trappola. Una scelta, in particolare, che aveva visto la donna, Carsa, impiegata in un ruolo estremamente importante nell'attuazione di quel piano, nell'affidarle, in grazia alle proprie particolari capacità di infiltrazione, il compito di conquistare un'occasione di contatto con la stessa Nissa Bontor, per non farla mancare all'appuntamento così fissato e in occasione del quale ella stessa avrebbe dovuto far proprio un ruolo da protagonista, per quanto a sua più completa insaputa.
Come avrebbe mai potuto il mostro vantare una tale confidenza con tanti dettagli propri della vita di Midda, non solo in riferimento alla pianificazione di quella trappola ma, anche, e ancor più, nel riguardo del presente, dell'immediato, tale da poter informare Be'Sihl nel merito di un combattimento forse appena conclusosi a grande distanza da Kriarya e, maggiormente, dal luogo ove egli era stato intrappolato? Nello stesso modo in cui, dopotutto, non aveva mai cessato di seguire, e perseguitare, la propria sposa da dopo il suo allontanamento dalla propria fortezza, o, ancora, nello stesso modo in cui, anche in quel momento, si stava concedendo occasione di dialogo con lui, pur fisicamente ancora all'interno delle cucine della propria locanda: con i propri spettri, con le proprie inquietanti schiere di servitori dannati, Desmair non aveva mai permesso alla moglie un qualche effettivo distacco da lui, accompagnandola in ogni propria azione anche ove l'interferenza derivante dalla presenza del bracciale di Ah'Pho-Is gli aveva negato occasione di contatto diretto con la sua mente, così come era stato in passato. Alcuna ragione di concreto stupore, pertanto, avrebbe potuto essere propria per il locandiere innanzi a tale apparente onniscienza, che non qual tale avrebbe dovuto essere confusa, quanto, piuttosto, qual dimostrazione di ben altri poteri, di ben diverse capacità di predominio e controllo.

giovedì 24 novembre 2011

1405


O
, così, per lo meno, fino al pomeriggio del decimo giorno del mese di Payapr di quel nuovo anno, quando, improvvisamente, senza alcun minimo preavviso e senza, in verità, alcuna possibilità di reazione in senso contrario da parte sua, Desmair tornò a pretendere l'attenzione di Be'Sihl, facendosi latore di un terrificante annuncio…

« Midda Bontor, mia moglie e tua amante, è appena caduta in battaglia! »

Un istante prima della comparsa di Desmair innanzi ai propri occhi, o forse della propria comparsa innanzi agli occhi del demoniaco semidio, Be'Sihl si era mostrato impegnato a finire di organizzare la preparazione dei pasti per la cena di quella sera, che, come di consueto, avrebbe visto consumate una straordinaria quantità di carni, pani e birre all'interno de "Alla Signora della Vita", la locanda di sua proprietà, o, meglio, di sua comproprietà insieme alla sua amata e amante, Midda Bontor. Un compito, il suo, in effetti divenuto ormai più prossimo a un incarico di rappresentanza ancor prima che di reale partecipazione all'interno della vita della propria stessa locanda, là dove, da un anno a quella parte, una nuova figura era subentrata prima in sua temporanea sostituzione, e poi in suo supporto, a dirigere, e dirigere in maniera eccellente, l'intera attività, e riuscendo in tal senso, pur all'interno di un territorio pericoloso qual quello definito dalle mura geometriche di Kriarya, a imporsi con polso non meno fermo rispetto al suo, pur presentandosi nelle più esili fattezze di una dolce fanciulla di nome Arasha.
E proprio Arasha, in verità, stava allora coordinando l'operato dei vari garzoni lì impiegati, e a lei facenti riferimento con lo stesso rispetto già necessariamente rivolto in direzione di Be'Sihl, lasciando in ciò allo shar'tiagho sufficientemente occasione di distrazione, qual, egli era certo, sarebbe apparsa la sua nel mentre in cui Desmair aveva deciso di riservarsi una nuova occasione di incontro con lui. Perché se pur indubbia avrebbe dovuto essere giudicata la condizione di prigionia per il semidio, altrettanto indubbia avrebbe dovuto essere riconosciuta la sua capacità di interazione con il piano di realtà proprio della sposa, in grazia, innanzitutto, alle sue forse interminabili schiere di spettri e, poi, sicuramente anche ad altre risorse, per quanto, sino a quel momento, al locandiere non fosse stata offerta occasione di approfondimento a tal riguardo, non che da parte sua si sarebbe dovuto riscontare particolare interesse in tal senso. Attraverso l'interazione di uno spettro con il suo cranio, o qualcosa di simile, almeno nelle parole proprie del mostro, già in passato questi si era riservato occasione di contatto di l'amante di sua moglie, proiettandone, in ciò, la coscienza su un fittizio piano d'incontro per entrambi o, forse, proiettando la propria coscienza direttamente nella mente del proprio interlocutore, e lì, nei meandri della sua psiche, facendo propria eguale possibilità: dettagli pur pratici, e pur del tutto irrilevanti per l'uomo in tal modo trascinato a contatto con forze più grandi di lui, poteri più estesi rispetto a ogni sua possibilità di comprensione o immaginazione, per la confidenza con i quali Be'Sihl non avrebbe certamente perduto il sonno, e che, comunque, come già in passato, lo condussero a una sola, forse ineluttabile, sorte, nell'essere improvvisamente sottratto alle pareti della propria locanda per essere catapultato sino alla fortezza dominio del proprio interlocutore, che a lui, in ciò, lo aveva voluto convocare.
Una convocazione non piacevole, un contatto quello in tal modo impostogli tutt'altro che gradevole o gradito, e che pur, nelle parole proprie di quel rapido esordio privato di ogni orpello, non avrebbe potuto ovviare a catturarne immediatamente l'attenzione, imponendogli di esclamare, ancor prima del nome dell'altro, una ben diversa questione…

« E' morta?! »

Una domanda sincera, e sicuramente giustificabile e giustificata nelle parole pur scelte dall'altro per scandire simile annuncio, che pur, come lo stesso Be'Sihl ebbe successivamente modo di ragionare in successive, e più fredde, distaccate analisi nel merito di quanto lì occorso, avrebbe potuto ritrovare adeguata risposta già, semplicemente, nei fatti così come avvenuti. Sicuramente, infatti, se solo Midda fosse già salita in gloria ai propri dei, Desmair non avrebbe avuto alcuna ragione, alcuna motivazione per prendere contatto con lui e farsi, in tal modo, latore di una tale novella, dal momento in cui, con la morte della mercenaria il loro matrimonio avrebbe potuto essere considerato concluso ed egli avrebbe potuto impegnare le proprie energie, la propria attenzione, nella ricerca della novecentododicesima moglie, possibilmente dotata di sufficienti poteri da concedergli quell'occasione di sostanziale fuga da lui tanto ricercata.
Non sussistendo nel demone, pertanto, alcun interesse a rendere proprio un ipotetico annuncio di morte, in una chiave ben diversa avrebbe dovuto essere interpretata la sua presenza lì, ovunque fossero, in quel momento. Chiave che, sicuramente, avrebbe dovuto prevedere, da parte suo, un qualche interesse di sorta utile a concedere al proprio alleato e antagonista una tale, preziosa informazione, fosse anche allo scopo di poterlo porre in trappola, di poterlo condurre a morte certa, eventualità, invero, ancora una volta resa altresì vana nella propria occorrenza dalla consapevolezza di come egli, desiderando in tal modo agire, avrebbe potuto già liberarsi di lui in passate occasioni, invece che attendere proprio quel giorno, presentandosi oltretutto con una simile scusa.

« Ti prego, Be'Sihl. » prese nuovamente voce il mostro, scuotendo appena il capo e lasciando arricciare, in tal gesto, il proprio labbro superiore, in un'espressione trasparentemente dispregiativa innanzi all'evoluzione propria di quei fatti « Credevo che fra noi fosse stata ormai superata la fase degli stupidi interrogativi retorici: non farmi rimpiangere l'idea di aver pensato proprio a te qual mio interlocutore in un momento grave qual solo può essere considerato questo. » lo volle rimproverare, palesando nel proprio tono, quanto simile dialogo, dal proprio personale punto di vista, non avrebbe potuto essere giudicato sostanzialmente diverso da quello che un qualunque uomo avrebbe potuto attendersi di intrattenere con un cane, nell'aggravante rappresentata dalla fastidiosa presenza della voce propria dello shar'tiagho a differenza dell'animale.
« Come puoi pretendere di presentarti, in questo modo, davanti a me, pronunciando simili parole, senza suscitare, da parte mia, una qualche reazione, fosse anche essa stupidamente emotiva?! » replicò l'uomo, rabbuiandosi in volto in conseguenza del non apprezzato richiamo rivoltogli.

Nei riguardi del semidio, nel confronto con il quale, probabilmente, chiunque altro si sarebbe dimostrato molto meno ardito, desideroso di difendere la propria posizione con il rischio, in ciò, di poterne suscitare la collera, di poter divenire vittima della sua ira, il locandiere poté, in tal modo, far propria una straordinaria confidenza, non tanto in conseguenza ai loro rapporti passati, alla complicità che già una volta li aveva visti uniti, quanto, e piuttosto, dalla consapevolezza di quant'egli, nonostante la propria origine, avesse da considerarsi, né più né meno, come uno dei numerosi avversari della propria amata, forse rispetto ad altri apparentemente più coriaceo, e pur già destinato, presto o tardi, a una sorte non dissimile da quella comune a tutti coloro che in passato avevano osato sfidare Midda Bontor. Una consapevolezza forse ancor stupidamente emotiva, e alla quale il locandiere, soprattutto in un momento come quello, a seguito di un annuncio qual quello rivoltogli, non avrebbe potuto che pretendere qual propria nel ripensare alla propria amata non quale una semplice donna, quanto, piuttosto, qual quella mercenaria straordinaria, guerriera impareggiabile, che si era dimostrata in grado di compiere incredibili avventure, trasformando l'impossibile in realtà e, fra i tanti, arrivando a conquistare un epiteto particolarmente significativo delle proprie ineguagliabili doti combattive, qual quello di Figlia di Marr'Mahew, divinità della guerra propria del pantheon di un gruppo di isole a ponente di Kofreya.
Dopotutto non minore, o meno sincera, audacia egli aveva già reso propria in passato innanzi a lui, e, certamente, alcuna ragione avrebbe potuto ormai avere per non relazionarsi da suo pari, sebbene mai avrebbe potuto illudersi di essere effettivamente tale. Un comportamento il suo, in effetti, non nuovo alla natura di quel pur tranquillo figlio di Shar'Tiagh, là dove in termini non diversi egli si era da sempre proposto anche nei riguardi di qualunque signore di Kriarya, potenti criminali lì ascesi a un ruolo di sostanziale predominio su chiunque e qualunque cosa all'interno dell'urbe, spartendola in parti eguali in totale indifferenza dei supposti feudatari lì ipoteticamente imperanti, e innanzi ai quali, a differenza di qualunque altro locandiere od oste lì esercitante professione, Be'Sihl non aveva mai chinato il capo, rifiutando qualunque ipotesi di controllo, e rappresentando, in tal senso, un'eccezione straordinaria, più unica che rara, indubbiamente meritevole di rispetto.

mercoledì 23 novembre 2011

1404


N
ato e cresciuto entro i confini del regno di Shar'Tiagh, nell'estremità nord-orientale del vasto continente di Qahr e in prossimità ai regni desertici centrali, Be'Sihl Ahvn-Qa non aveva mai dimostrato volontà volta a cercare un qualche distacco dalle tradizioni o dalla religione della propria terra, del proprio popolo, così come il suo stesso aspetto fisico avrebbe potuto tranquillamente testimoniare, al di là del proprio sangue misto che negava un'immediata evidenza della propria effettiva origine shar'tiagha.
In estetica armonia con le tre principali caratteristiche proprie di tutti i figli di Shar'Tiagh, con folti capelli neri composti in una miriade di piccole treccine, una moda imperante in tali terre sin dalla notte dei tempi, sin da prima della nascita di molti altri regni lì confinanti; con piedi mantenuti perennemente scalzi, a rimembrare a tutte le genti di Shar'Tiagh, un tempo consideratesi popolo eletto, la necessità di essere umili nel confronto con gli dei tutti, non arrogandosi alcun diritto innanzi a loro o innanzi ad altri o, in loro vece, innanzi ad altri popoli; nonché con una variegata e ricca collezione di monili dorati sempre indossati e sempre in piena evidenza, non per scopi ornamentali, quanto e prima ancora, nella volontà di consacrarsi, attraverso gli stessi, a una o a più divinità, ricevendo dalle medesime adeguata benedizione e protezione; Be'Sihl non avrebbe mai potuto essere riconosciuto qual appartenente a una tradizione, a una cultura, a una fede diversa dalla propria, nonostante una pelle molto scura, labbra decisamente carnose e zigomi più tondeggianti, meno marcati rispetto ai consueti canoni di Shar'Tiagh, tali da poterlo far apparire maggiormente prossimo ai popoli nomadi dei regni desertici centrali, dai quali, in effetti, era discesa sua madre. Così, benché egli, quasi vent'anni prima, avesse voluto ricercare volontariamente un'occasione di distacco, di allontanamento dalla propria terra natia, dalla casa in cui era nato e cresciuto, e dalla sua intera famiglia, per peregrinare a lungo senza meta attraverso l'interno continente di Qahr, da settentrione a meridione e da levante a ponente, arrivando alfine a definire il proprio destino nell'ultimo dei luoghi che chiunque avrebbe mai potuto apprezzare qual propria dimora, all'interno dell'inospitale territorio proprio del regno di Kofreya e, in particolare, della sua capitale più violenta e pericolosa, abitata quasi integralmente da mercenari e assassini, ladri e prostitute, e per questo conosciuta addirittura con il nome di città del peccato, Kriarya; Be'Sihl non avrebbe dovuto essere riconosciuto qual intimamente distante dalla propria terra così come aveva deciso di esserlo fisicamente, continuando a rispettare ogni tradizione e, con esse, anche la propria fede, il proprio culto, nel rispetto di tutti gli dei appartenenti a un pantheon totalmente alieno a quello altresì proprio della sua nuova dimora, del luogo da lui eletto qual propria nuova casa e all'interno del quale, addirittura, aveva acquistato una locanda.
A Ur, il cielo, e a Ut, il mare, principi fondamentali dell'interno Creato; così come a Tu, la terra, e Ru, il fuoco, loro primogeniti; era pertanto ancora rivolta tutta la sua fede, non dimentico, ovviamente, di tutta la ricca schiera di altre divinità derivanti da essi, quali Oh'Sihr-Is e Ih'Sihd-Et, Ah’Nuba-Is e Ba’Seht-Et, e molte altre, a cui era stato concesso dai propri creatori potere assoluto su ognuno dei propri rispettivi territori, insieme a necessarie responsabilità, doverosi e personali campi di interesse, di controllo. Mai Be'Sihl Ahvn-Qa avrebbe potuto negare la loro esistenza, la loro concreta influenza sul mondo intero, influenza della quale, dopotutto, a sua volta era solito considerarsi fortunato beneficiario. Ciò nonostante, malgrado una fede integerrima, una fiducia illimitata nella propria fede e nei principi caratteristici della stessa, che alcuno spazio, ovviamente, avrebbe potuto riconoscere ad altri pantheon, ad altre divinità estranee a quelle da lui stesso conosciute e riconosciute, in quegli ultimi anni, nella propria esperienza diretta in confronto con la vastità del mondo e, ancor più, nell'esperienza per lui indiretta, e pur altrettanto importante, qual quella derivante da una straordinaria figura sua amica, addirittura sua amante, donna guerriero e mercenaria, che l’impossibile aveva reso propria quotidianità; egli era stato costretto ad accettare l'esistenza di molti dettagli, molti particolari, molte sfumature proprie del Creato per lui prima sconosciute, addirittura ignorate dalla sua stessa fede qual esistenti, per quanto effettivamente e incontestabilmente tali. Riconoscimento, quello da lui necessariamente offerto nei riguardi di simili nuove verità, tale ampliamento della propria conoscenza con il mondo e con le sue interminabili sorprese, che pur mai, almeno sino a un anno prima, era giunto a rinnegare o, quanto meno, a contestare apertamente la propria specifica confidenza con gli dei tutti, con il pantheon proprio di Shar'Tiagh e di alcun altro popolo esterno a essa.
Un anno prima, invero e in aperta violazione a ogni proprio Credo e sebbene definibile ancor più nolente che volente, Be'Sihl era stato posto a confronto con una creatura appartenente a una sfera estranea a quella delle proprie divinità, una creatura dichiaratasi semidivina, nell'imporsi qual figlio di un dio minore proprio dei territori a sud di Qahr, di un ormai dimenticato culto esistente fra Kofreya e la vicina Tranith. E con la propria semplice esistenza in vita, o qualunque condizione la sua avesse da essere riconosciuta, Desmair, tale il nome di simile mostro, perché in simile modo egli appariva facendo sfoggio di un corpo da demone, con lucida pelle rossa, grandi corna bianche ai lati del capo e zoccoli neri alle estremità inferiori di quelle che avrebbero potuto essere definite qual sue gambe, aveva in un solo istante posto enorme dubbio nel merito di molte delle certezze dell'uomo, non diversamente da come sarebbe potuto essere l'improvviso annichilimento del cielo sopra la sua testa o della terra sotto ai suoi piedi. Ancor peggio, in tal già spiacevole contesto, avrebbe poi dovuto essere considerato da parte del locandiere shar'tiagho l'apprendere come un ipotetico semidio, pur intrappolato all'interno di un quadro, o di una qualche realtà alternativa, qualunque concetto simile espressione avrebbe potuto effettivamente sottintendere, avesse da essere riconosciuto, senza metafore di sorta, qual coniuge di quella meravigliosa donna precedentemente divenuta sua amante, a tal oscena presenza unitasi in matrimonio, e solo in matrimonio, con l'inganno, al solo scopo di preservare la propria stessa sopravvivenza e, con essa, la libertà di altre due donne in quell'avventura, o disavventura, al suo fianco e, in questo, da lei considerate quali proprie protette. Un vincolo, quello imposto sulla non entusiastica sposa, che ella aveva ovviamente cercato di infrangere immediatamente, attraverso vie estremamente dirette e assolutamente esplicite del proprio nullo sentimento verso di lui, quali una netta decapitazione che pur a nulla era comunque valsa, in un'apparente immortalità per lui propria. Un vincolo, quello imposto sul non entusiastico sposo, del quale egli avrebbe volentieri voluto liberarsi, ove per lui del tutto inutile nella propria ricerca di una moglie dotata di negromantici poteri in grazia alla quale poter riottenere occasione di libertà dalla propria prigionia, ritrovandosi, proprio malgrado, altresì costretto in grazia di un inviolabile giuramento da lei estortogli a non rivolgere direttamente le proprie offensive né nei confronti della non voluta coniuge, né a discapito delle sue due compagne dell'epoca. Giuramento saggio, quello da lei così ottenuto, che pur anche stolido si era successivamente dimostrato, nel non aver previsto di tutelare alcuna delle tre donne da azioni indirette, quali quelle volte a colpire coloro a loro stesse prossimi ancor prima che le medesime. E così, anche lo stesso Be'Sihl aveva rischiato di morire, nel momento in cui quel semidio aveva voluto rivolgere tutta la violenza del proprio rancore nei suoi riguardi attraverso l'azione della propria stessa, e allora inconsapevole, amata, da lui ingannata con il proprio potere ingannata e, in ciò, convinta dell'insana verità di un mostro necrofago celato dietro le quiete apparenze dello shar'tiagho.
Fortunatamente per lui, in tale occasione, nella quale pur Be'Sihl era comunque stato seriamente posto prossimo a una prematura dipartita dal regno dei vivi, venendo ferito in maniera sufficientemente grave, al punto tale da costringerlo successivamente a un lungo periodo d'inerme incoscienza a letto, i suoi stessi dei, da lui mai rinnegati, gli erano venuti in aiuto, in soccorso, permettendogli di liberare la propria amata dall'influenza negativa del suo sposo in grazia all’imposto contatto fra il suo arto mancino e un bracciale dorato di manifattura shar'tiagha, nella fattispecie votato al dio Ah'Pho-Is, signore degli inganni. Una benedizione, quella per lei derivante dalla presenza di tale monile, utile a concedere alla mente della donna una nuova possibilità di autodeterminazione che pur, nell'esistenza di una figura estranea al suo pantheon e pur di ipotetiche origini divine, non avrebbe dovuto sussistere, e che pur, per grazia di una sconfinata benevolenza divina, non aveva visto tradite le aspettative di quel figlio del popolo eletto, garantendogli quanto da lui sperato al punto tale da inibire in maniera duratura ogni possibilità di diretto contatto fra i due sposi antagonisti. Sfortunatamente per lui, proprio a seguito di tale occasione, Be'Sihl si era ritrovato a diretto, personale, privato, contatto con lo stesso Desmair, il quale, per ragioni di convenienza, aveva allora deciso di stringere un patto di non belligeranza con l'amante della propria stessa novecentoundicesima e attuale moglie, addirittura concedendogli di salvarsi da un tragico destino verso il quale, sventuratamente, era stato condannato in conseguenza della cattura da parte di una carovana di mercanti di schiavi. Un patto in conseguenza al quale lo shar'tiagho non avrebbe potuto ovviare a temere per la propria anima e che pur, dall'epoca di tali eventi, non era sembrato successivamente tornare a imporre ulteriori spiacevoli sviluppi, né per sé, né per la propria amata.

martedì 22 novembre 2011

Sangue nelle tenebre (3 di 3)

NOTA INTRODUTTIVA: Il seguente episodio, terzo di tre, ha da considerarsi quale parte di un racconto breve scritto nella speranza che fosse pubblicato sul quarto numero della rivista cartacea FM, di FantasyMagazine. A differenza dello Speciale 1000 e dello Speciale Natale, sebbene qui riportato quale pubblicazione "speciale", questo racconto breve ha da intendersi qual appartenente alla continuity narrativa delle Cronache, collocandosi fra il ventottesimo e il ventinovesimo racconto della serie (o, se preferite, in parallelo al ventinovesimo appena concluso) e tale da offrire uno sguardo su una delle avventure comunque vissute da Midda Bontor nei mesi di attesa per l'appuntamento con Carsa Anloch.

« T
hyres… » invocò, a denti stretti, il nome della propria dea prediletta, gettandosi senza esitazione alcuna in loro sfida, animata da quello stesso desiderio di sangue, sentimento di morte che, indifferentemente, le sarebbe stato proprio in ogni caso.

Un solo battito di ciglia sprecato nel tergiversare sulla questione, ella era conscia, avrebbe definito qual tragedia il fato di Seem e Arasha, lì ritrovatisi circondati da cinque, orribili creature, apparentemente umanoidi e pur incredibilmente prossime a bestie, forse mannari, forse altro, impossibile e vano a definirsi: esitazione, quella che avrebbe diviso la vita dalla morte, della quale la mercenaria non desiderava essere responsabile, ove, altrimenti, mai sarebbe riuscita a perdonarsi, nell'affetto vissuto verso entrambi.
Simile a un lampo di luce nelle tenebre di quella notte priva di luna o di stelle, apparve il riflesso prodotto dal movimento della sua lama, che, rapida e decisa, guizzò a ricercare la carne della creatura a lei più prossima, tentando di aprirle uno squarcio lungo la schiena, nel contempo in cui il proprio pugno destro, in nero metallo, agì qual seconda arma in offesa a un'altra bestia, scagliandosi, con violenza e forza, al centro della sua colonna vertebrale, nella speranza di poterla infrangere. Tentativo e speranza, quello della spada e del pugno, che, proprio malgrado, non riportarono l'evidenza di successo alcuno, ritrovando la prima sì attraversare la schiena del mostro, senza ricavare dal medesimo una stilla di sangue, e, parimenti, vedendo il secondo sì impattare sulla colonna vertebrale del suo compare, senza, ancora, ottenere risultato migliore rispetto a quello di un violento contraccolpo che poco mancò a lussarle la spalla destra. Un quasi completo insuccesso, comunque, non privo di risultato, in quanto, come in cuor suo pregato, ella ebbe occasione di distrarre l'attenzione di quel branco da due prede minori in favore di un'avversaria più combattiva, e, in ciò, più interessante e accattivante.

« E così siete voi i cattivi della storia? » ironizzò, balzando indietro per ovviare agli spiacevoli effetti del contatto di terribili artigli contro le proprie forme « Spero solo di non prendermi le pulci. Quello sì che sarebbe un pessimo ricordo per questa serata… »

Estasiante e ammaliante, inebriante e coinvolgente, fu lo spettacolo che venne presentato agli occhi dei due soli testimoni di quella battaglia, tanto appassionato da cancellare, nella propria foga, ogni timore per il futuro conseguente alla comparsa di quelle creature da incubo. Tale, invero, era sempre stata, e probabilmente sarebbe sempre rimasta, l'unica reazione ammessa di fronte all'eleganza e all'energia, al vigore e alla leggerezza, proprie di Midda Bontor, che guerra e morte aveva reso protagoniste della propria quotidianità ove, chiunque altro, avrebbe invocato pace e vita.
Una donna, cinque mostri: disparità numerica solo apparente per colei capace di muoversi, con la maestria e il fascino di un'esotica danzatrice y'shalfica, e la furia e la violenza di un potente esercito, che, in altre condizioni non avrebbe permesso ad alcuno di dubitare dell'esito di tale scontro, ma che, nel confronto con l'apparente insensibilità di quelle bestie a qualunque offensiva, costrinse la mercenaria a riflettere rapidamente sul da farsi, sulle proprie possibilità per garantirsi vittoria, non semplicemente qual evento fine a se stesso, quanto qual risultato obbligato nella volontà di preservare l'esistenza in vita propria e dei propri due compagni di viaggio, allora divenuti suoi protetti.

« Immagino non sia vostro desiderio rivelarmi in qual modo riuscire ad accopparvi, vero?! »

Nel mentre in cui la sua lama, incessantemente, tentò di ferire o mutilare quei mostri, senza riportare successo, e nel mentre in cui il suo braccio destro, come di consueto, si erse a sua protezione, a sua difesa, più efficiente e maneggevole di qualunque scudo nella propria intrinseca natura di arto, questione retorica fu quella scandita verso i propri avversari, per la quale ella non si sarebbe attesa alcuna replica, alcuna risposta, e che, pur, risultò utile a umanizzare chi di umano poco, o nulla, era in grado di dimostrare, per non affrontare quell'impresa vittima dello spiacevole limite psicologico derivante dal ritenere invincibili o immortali i propri nemici, e, di conseguenza, ormai ineluttabile la propria fine.
A un nuovo tentativo d'affondo di un lungo, grosso e incredibilmente villoso braccio in direzione del suo basso ventre, ella reagì con un colpo di reni, utile a sospingerla di lato e a porre quel minimo, sufficiente, spazio fra sé e il movimento avversario, e tale da concedere alle sue brame solo impalpabile aria, per poi lì lasciar precipitare la propria lama nella speranza, purtroppo improduttiva, di riuscire a condurre a compimento quell'amputazione senza essere arrestata dalla resistenza d'un osso forse infrangibile. All'ennesimo ipotetico morso diretto da enormi fauci verso il suo collo, tale da far temere l'eventualità di una netta decapitazione a proprio discapito, ella non frenò l'azione del pugno destro, nella duplice volontà di arginare quell'offesa e di fracassare quel cranio così come, in passato, era spesso riuscita a compiere, tanta la violenza propria di quel gesto, altresì guadagnando, qual sola conseguenza, un'occasione utile a proseguire nella battaglia, senza imporre alcun danno al proprio nemico. E, ancora, all'impegno di un terzo mostro in direzione delle sue gambe, nella speranza di ghermirla e trascinarla indifesa al suolo, ella propose un agile salto, tale da condurla, con un conturbante volteggio, ad atterrare sulla schiena della creatura, e lì tentare di inchiodarla al suolo, trapassandone il petto alla presunta altezza del suo cuore, senza ottenere, malgrado la terribile precisione di tale atto, il minimo risultato.
Stancante avrebbe dovuto essere riconosciuta tanta continua danza, alla quale la donna era obbligata nell'ignoranza sulla reale natura di quei mostri, e della corretta via attraverso la quale sperare di frenarne il terrificante moto: la sola opportunità concessale sarebbe stata quella di proseguire incessante nella battaglia, sin'anche all'esaurimento delle proprie energie, confidando, prima di ciò, di comprendere ove menare il colpo fatale.

« Mia signora! » irruppe imprevedibile la voce di Seem, accompagnando un folle intervento in suo soccorso.

Nel mentre in cui la mercenaria stava ancora estraendo la propria lama dall'ultimo corpo inutilmente trapassato, uno fra i mostri era rapidamente sopraggiunto alle sue spalle, scatenando, nel timore di quanto sarebbe potuto avvenire, l'immediata reazione del fedele scudiero, il quale, senza riservarsi dubbio alcuno sulla propria vita, si era scagliato alla gola del medesimo, lì avvinghiandosi e trapassandola furente, più e più volte, con un corto pugnale, intimamente conscio di quanto tutto ciò fosse vano, e pur, non per questo, frenandosi. E se anche, con una semplice e violenta scrollata di spalle, la bestia aggredita riuscì a liberarsi senza fatica alcuna da quell'incomoda presenza, Seem apparve benedetto dagli stessi dei, nei quali non era solito riporre fiducia, nel riuscire a compiere quel solo gesto necessario per modificare drasticamente le sorti della battaglia.
Venendo sbalzato lontano dal mostro, egli richiuse infatti le proprie dita attorno a un laccio sino a quel momento non colto, e pur presente alle gole di tutte le bestie, ornandole con piccolo ciondolo, un manufatto stregato in assenza del quale l'incubo lì incarnato da quella creatura si dissolse, restituendole proporzioni umane e umana mortalità, qual venne subito palesata dal sangue che, copioso e abbondante, iniziò a fuoriuscire dal suo collo ancora ferito.

« Seem… » esclamò Midda, con tono gioioso a quell'inaspettata rivelazione « Spero che Arasha mi possa perdonare… ma io credo di amarti! »

Estremamente breve fu la conclusione dello scontro in grazia della scoperta compiuta dal coraggioso scudiero, ove altrettanto breve fu l'intervallo di tempo necessario alla donna per individuare i quattro, malefici ciondoli ancor in giuoco ed eliminarli, condannando a morte ognuno di quei mostri, ritornati umani prima che le ferite subite potessero rimarginarsi.
Purtroppo, malgrado la vittoria in tal modo riportata, solo il sapore di un amaro nettare rimase a dominare nella bocca della donna nel momento in cui, alfine, la sua spada poté ritornare quieta nel fodero, retrogusto proprio di un massacro che, ella sapeva, sarebbe purtroppo rimasto privo di spiegazioni. Ove anche i bardi avrebbero presto esaltato il suo valore in quell'impresa, enfatizzandone i toni e le proporzioni, nulla essi avrebbero potuto scandire nel merito delle ragioni di quanto avvenuto, delle motivazioni utili a sospingere cinque disgraziati a trasformarsi in mostri e a imporre sì violenta morte su ogni innocente lì di passaggio.
Mai ella, né altri, avrebbero infatti riportato informazione riguardate il fugace dialogo che aveva avuto con uno di quegli assassini, tale da identificarlo qual appartenente al brigantaggio, al movimento rivoluzionario in opposizione alla monarchia kofreyota e all'assurda guerra con Y'Shalf. E mai essi avrebbero riferito ad alcuno di quell'imperdonabile tentativo di danneggiare i grandi signori di Kofreya colpendo i loro interessi economici attraverso l'interdizione di quella via commerciale. Perché così come fra i mercanti vi erano donne e bambini innocenti, vittime senza colpa di una scelta orrendamente politica qual quella compiuta dal brigantaggio nel decretare tale strage; allo stesso modo fra i briganti vi erano donne e bambini innocenti, che ella non avrebbe mai trasformato in vittime senza colpa di una scelta orrendamente politica qual quella che sarebbe stata egualmente compiuta da qualche mecenate kofreyota per prevenire nuovi massacri.
Il sangue degli innocenti lì già caduti avrebbe dovuto essere vendicato, per offrire loro occasione di pace, ma tale castigo avrebbe dovuto seguire percorsi meno stolidi di quelli che avrebbero potuto essere scelti da chi incapace a distinguere il bene dal male, l'empio dalla vittima.

« E ora… cosa facciamo? » domandò Seem, cercando consueto riferimento nella propria signora.
« Voi tornerete a casa, dal momento in cui la vostra presenza qui non è più richiesta. » replicò la donna, con tono tale da non ammettere repliche « … io proseguirò con il mio incarico. »
« Ma i colpevoli sono già stati individuati e puniti… » osservò Arasha, sconvolta da quanto accaduto e dalle rivelazioni lì offerte « Il tuo incarico è concluso. »
« Oh… no. » scosse il capo Midda Bontor, seria in viso e gelida nello sguardo « Il mio incarico sarà concluso solo quando anche l'ultimo fra tutti i capi dei briganti, coinvolto in questo schifo, avrà pagato il giusto debito di sangue. »

lunedì 21 novembre 2011

Sangue nelle tenebre (2 di 3)

NOTA INTRODUTTIVA: Il seguente episodio, secondo di tre, ha da considerarsi quale parte di un racconto breve scritto nella speranza che fosse pubblicato sul quarto numero della rivista cartacea FM, di FantasyMagazine. A differenza dello Speciale 1000 e dello Speciale Natale, sebbene qui riportato quale pubblicazione "speciale", questo racconto breve ha da intendersi qual appartenente alla continuity narrativa delle Cronache, collocandosi fra il ventottesimo e il ventinovesimo racconto della serie (o, se preferite, in parallelo al ventinovesimo appena concluso) e tale da offrire uno sguardo su una delle avventure comunque vissute da Midda Bontor nei mesi di attesa per l'appuntamento con Carsa Anloch.

I
mpossibile, in conseguenza del compenso da lei richiesto al proprio mecenate, promotore di quell'iniziativa, sarebbe stato per chiunque comprendere in quale misura una mercenaria professionista, qual ella era, potesse star agendo sospinta dalla sola brama rivolta all'oro promessole, o, al contrario, in quale altra e diversa misura ella stesse lì operando per mero diletto personale, se non, addirittura, nella ricerca di un bene superiore. Indubbio avrebbe dovuto tuttavia essere riconosciuto quanto, in assenza di un adeguato stimolo atto a giustificare tale azione, fosse esso di natura veniale o no, ella difficilmente avrebbe accettato di interpretare il ruolo di un'anziana e stanca madre, in apparenza presente su quel carro in sola funzione dell'impegno del proprio figlio unigenito, in verità il suo scudiero, Seem, e della nuora, la compagna di questi, Arasha, alla conduzione del carro stesso. Una situazione giudicata qual sufficientemente svilente, per il suo orgoglio, nonché insoddisfacente, per la sua costante brama di adrenalina, con la quale da giorni ella si era comunque, e diligentemente, costretta a convivere, in attesa del momento in cui tanta sopportazione sarebbe stata alfine ricompensata nell'incontro con la minaccia da loro lì ricercata, addirittura invocata.

« Mia s… Madre. » si corresse Seem, per l'ennesima volta, invitato in tal senso da un repentino movimento del ginocchio dell'amata Arasha a impattare contro il suo « Siamo ormai prossimi al tramonto e ritengo sia opportuno, per noi, arrestarci in una qualche radura, prima di essere sorpresi dalle tenebre della notte in luoghi meno convenienti. »
« Mio caro. » prese voce la sua compagna, impegnandosi a riservargli, in reazione a quanto asserito, un tono stizzito, irritato, sì realistico da rendere difficile una qualunque presunzione di dissimulazione da parte sua « Se proprio lo desideri, non nella tua stanca madre, quanto, piuttosto, nella tua affezionata moglie, dovresti ricercare consiglio. » osservò, scuotendo appena il capo e palesando le ragioni della propria reazione, conseguente all'inesistente considerazione a lei riservata da parte di chi suo presunto sposo « Or dunque, prosegui ancora per qualche miglio, che l'oscurità non è imminente qual tu temi e arrestandoci prima del tempo, mai avremo occasione di raggiungere i porti tranithi. »
Celate dall'ombra del proprio scialle, le carnose labbra della mercenaria non poterono ovviare a un lieve sorriso di sincero divertimento, emozione fugacemente ribadita anche da un gioioso riflesso di luce nei suoi occhi color ghiaccio: « Te ne prego, figliuolo: non rendermi ragione d'imbarazzo innanzi alla mia splendida nuora, che tanta pazienza verso te già rivolge. » asserì, con voce volutamente incerta, tremula nello scandire ogni singola sillaba, a fingere grande stanchezza.

Parole comprensibilmente ironiche, quelle destinate a Seem, che vollero riconoscere merito alla brava Arasha per la propria collaborazione, quale presenza non ovvia, e, invero, neppur prevista, ma lì egualmente tale per propria esplicita volontà, e già dimostratasi perfetta nel ruolo assegnatole.
In un quadro d'insieme nel quale, proprio malgrado, l'insicuro scudiero avrebbe potuto risultare non così adatto quale capofamiglia, sempre troppo psicologicamente vincolato al giudizio del cavaliere, e, ancora, nel quale la stessa donna guerriero avrebbe potuto apparire sin troppo imperante, al di là del proprio misero aspetto, Arasha si era già dimostrata capace di riequilibrare in modo perfetto il gruppo, riconducendo, con mano ferma e mente vigile, ogni questione alla giusta misura ed evitando alla sola e reale protagonista di quel viaggio qualunque prematura esposizione. Così avvenne in quel breve dialogo, così era stato nei giorni precedenti e così sarebbe stato nei successivi se, in quella stessa notte, gli eventi non fossero finalmente precipitati.
Quieto, in reazione al dispotico intervento dell'amata, che comprendeva esser impegnata unicamente nel successo della loro comune missione, lo scudiero, falso mercante, continuò a condurre il carro ancora per quasi un'intera ora, prima di esser alfine costretto ad arrestarsi per la notte, allo scopo di allestire il consueto, e temporaneo, campo utile a permettere alla famigliola di consumare un modesto pasto e di predisporsi al riposo dei giusti.

« Madre? » esclamò Seem, levandosi in piedi al termine della cena, nel cogliere il passo forzatamente lento della donna, rivolta a cercare allontanamento dal fuoco acceso « Qualcosa turba…?! »
« Arasha, te ne prego. » richiese la mercenaria, non replicando in maniera diretta all'interlocutore, nel delegare la questione all'intermediazione della presunta nuora « Potresti essere sì cortese da ricordare al mio sin troppo premuroso figliuolo come una donna necessiti di intimità in talune occasioni? »

Offrendo invero ragione all'interesse del ragazzo, come in ogni altra sosta, solo desiderio per Midda avrebbe dovuto essere riconosciuto quello rivolto all'esplorazione dell'area circostante l'accampamento, a maturare confidenza con la medesima e a predisporsi, in ciò, a qualunque eventuale pericolo sarebbe potuto essere nascosto fra quelle ombre, già protagoniste di tanti tragici eventi. Nulla per cui, ovviamente, Seem avrebbe dovuto serbare preoccupazione per lei, quanto e piuttosto, nel caso in cui desiderasse sprecare emozioni d'ansia e di timore, per sé e per la propria amata, in tali momenti lasciati soli, privi della protezione altrimenti assicurata dalla presenza della mercenaria: ma il giovane, forse criticabile, forse ammirabile, per tal comportamento, non avrebbe mai riservato il suo primo pensiero a se stesso, alla sua incolumità, costantemente memore del proprio giuramento di fedeltà a colei che, tempo prima, gli aveva concesso una ragione di vita.

« Non dovresti starle sempre tanto addosso. » lo rimproverò Arasha, con dolcezza, distraendolo dalle proprie elucubrazioni e richiamandolo a sé « Tua madre è una donna adulta… e ha diritto di pretendere i propri spazi, le proprie libertà. » commentò, miscelando, con saggezza, riferimenti reali al contesto fittizio, a voler tranquillizzare colui temporaneamente eletto al grado di marito e che, forse, un giorno, sarebbe effettivamente divenuto tale, se entrambi lo avessero voluto.
« Lo so… ma… » esitò Seem, volgendosi a sorridere verso la seconda donna più importante della sua vita, terza nel conteggiare anche la sua vera madre, mai rincontrata dagli anni dell'infanzia « … ma è più forte di me. Ho sempre timore che ella possa aver bisogno d'aiuto e che io, in quel momento, non sia presente al suo fianco. »
« Se non fosse tua madre, immagino potrei anche essere gelosa di tanta adorazione. » commentò con fare sornione, scuotendo il capo e, con esso, i lunghi e lisci capelli scuri « Per fortuna so che… »

Un suono; un rumore; un esile fruscio; o, forse e solamente, un'impercettibile perturbazione nel contesto a loro circostante: fu questo a interrompere il sereno dialogo in corso, ponendo all'erta, in maniera istintiva, i sensi della giovane, per quanto priva dell'addestramento all'arte della guerra ricevuto dal suo compagno.
Alcuna formazione, dopotutto, era mai occorsa all'umanità, nella predominante rappresentanza dei propri membri, per assicurarsi occasione di giungere dai tempi del mito sino ai giorni presenti, sicuramente decretando crudele condanna per coloro dimostratisi incapaci di cogliere un'insidia quando imminente, e pur, al contempo, in tale tributo di sangue, selezionando individui intrinsecamente votati alla sopravvivenza. E così come, sin dall'origine della specie umana, dagli arbori della civiltà, una sola reazione era sempre stata interpretata qual segnale d'allarme, richiamo per una comunità innanzi a una minaccia, Arasha non si serbò esitazione alcuna nello svuotare, con forza, i propri polmoni, a emettere un alto grido, un urlo che, accanto alla paura per l'orrore innanzi a loro proposto, volle invocare l'intervento della loro sola speranza rivolta al futuro… Midda Bontor!

In termini per lei estremamente sgradevoli, il richiamo di Arasha colse la donna guerriero di sorpresa.
Midda, malgrado indubbie capacità predatorie e una naturale attitudine al combattimento, non aveva avuto modo di rilevare nulla di insolito, di estraneo al contesto loro circostante, ragione per la quale non solo si arrabbiò con se stessa per tale mancanza, ma, anche, si preoccupò per il fato dei propri due collaboratori, in tal grido sì simile a una divina condanna per l'insufficienza da lei dimostrata. Non ira o ansia avrebbero tuttavia dovuto guidare i suoi passi e la sua mano ove ella avesse voluto aiutare, o vendicare, Arasha e Seem: consapevolezza in grazia alla quale repentino fu il ritorno per lei al gelo, nell'anima come nei suoi occhi.
In ciò, dove la sagoma di un'anziana e debole donna, curva sotto il peso di troppi anni, ammantata in triste stoffa incolore, tale da offrire immediata trasparenza all'idea della stagione invernale alla quale era ormai giunta la sua vita, si era inoltrata all'interno della selva; l'estranea immagine di una matura ed energica combattente, fiera ed eretta nel proprio portamento e nei propri gesti, facente sfoggio della dorata pelliccia d'una sfinge a simbolica e sostanziale riprova del proprio valore, fece ritorno da essa, impugnando strettamente nella mancina una splendida spada bastarda, la cui perfetta e letale lama aveva avuto occasione di temprarsi nel sangue di innumerevoli avversari.
Rientrata al campo, ciò che ella si ritrovò a osservare parve solamente offrir allora ragione a tutte le voci che aveva avuto modo di udire, e di minimizzare, dal momento in cui, malgrado ogni propria reticenza a tal riguardo, non uomini, ma mostri, le vennero proposti quali avversari.