11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

giovedì 17 novembre 2011

1401


« M
aledetta figlia d'una cagna… » sussurrò in un alito di voce Howe, praticamente inudibile e pur, impossibilitato a trattenersi in tale espressione pur potenzialmente rivelatrice della propria presenza ove posto a confronto con l'immagine di Nissa, che, in questa occasione, faceva sfoggio per la prima volta, innanzi al suo sguardo, del colore naturale dei propri capelli, in quelle tonalità rosso fuoco a cui, da tempo, Midda aveva rinunciato per ovviare all'eccessiva somiglianza con la propria gemella.
« Ma è la sorella di Midda… » lo volle quasi rimproverare Be'Wahr, non tanto per l'insulto così scandito, quanto, piuttosto, per il riferimento a quella comune madre che, necessariamente, avrebbe legato le due sorelle, volenti o nolenti.
« Sono certo che lei sarebbe d'accordo. » concluse il primo, nel costringersi al silenzio per non porre a rischio la conclusione del loro piano in misura maggiore a quanto, possibilmente, già non aveva fatto nel prendere voce, seppur sì flebilmente, un istante prima.

Per lo shar'tiagho accettare quell'incarico era stato estremamente semplice, ovvio quasi, in un coinvolgimento personale nella questione che non avrebbe mai offerto spazio a possibilità di pagamento da parte di Midda verso di lui per concedergli la possibilità di partecipare alla disfatta di Nissa: quest'ultima, dopotutto, era infatti responsabile dello strazio che aveva veduto il suo braccio destro costretto a una sgradevole amputazione e al rimpiazzo con quell'inutile protesi metallica che ora conduceva seco e con la quale, malgrado un'intera stagione di convivenza, ancora non era riuscito a socializzare in maniera appropriata, impiegandola, nel migliore dei casi, qual utile protezione innanzi al proprio corpo, una sorta di scudo a lui accluso e da lui impossibile da perdere, ma, non per questo, apprezzabile ai livelli dell'arto originale, purtroppo perduto. Comprensibile, in tal frangente, avrebbe quindi dovuto essere giudicato il suo astio verso la regina di Rogautt, così anche come espresso da quell'insulto non trattenuto e intrattenibile, non taciuto e non tacibile verso di lei.
In verità, non fosse stato per il timore di compromettere il piano di Midda, e in questo modo vanificare lunghi mesi di lavoro di Carsa per giungere sino a quel giorno, Howe non avrebbe limitato il proprio intervento in contrasto alla donna con un semplice, sussurrato insulto, quanto, piuttosto, avrebbe ricercato un'aperta offensiva fisica, deciso a ucciderla con le proprie stesse mani o, quanto meno, a morire nel tentativo, non per una qualche romantica e profonda questione d'onore, quanto più umanamente, e apprezzabilmente, per vendetta. Ma se muovendosi da lì avesse permesso a Nissa di cogliere la trappola in atto a proprio discapito e, in questo, di ovviarla, magari fuggendo un'altra volta come già successo in occasione del loro precedente incontro, immobile egli si ritrovò a essere costretto, accanto al fratello, in attesa del momento opportuno per svelare la propria presenza, per dichiarare al mondo, e alla sovrana dei pirati il fato di morte a cui l'avrebbero ben volentieri condannata e, soprattutto, l'ineluttabilità del proprio fato ove, per quanto abile, per quanto straordinaria combattente ella avrebbe saputo dimostrarsi, in confronto con la Figlia di Marr'Mahew e, ancora, con lui, suo fratello Be'Wahr e, persino, Carsa Anloch ben poco avrebbe potuto sperare di ottenere, al di là, eventualmente, di una morte rapida e pietosa qual pur, personalmente, non sarebbe stato disposto a concederle.

« Ci siamo… » avvisò Seem, rimasto in silenzio sino a quel momento accanto alla coppia di mercenari, probabilmente persino dimenticato da parte degli stessi, e ora in tali termini intervenuto al solo fine di richiamarne l'attenzione verso gli eventi in corso.

In quello stesso istante, infatti, Nissa Bontor aveva appena completato il non breve percorso longitudinale all'intera estensione della grotta da loro prescelta, raggiungendo, in tal modo, l'altare al termine della medesima e, lì sopra, lo scrigno da loro stessi lì posto qual elemento fondamentale nella trappola così orchestrata in un ambiente che, qual sarebbe allora potuta essere onesta ammissione di chiunque fra i presenti, mai avrebbe potuto essere scelto qual miglior contesto per tale stratagemma, nell'offrire, in maniera naturale e senza sforzo alcuno, spazio all'ipotesi di un costrutto elaborato in tempi antichi al solo fine di offrire ospitalità alla corona della signora di tutti i mari.
Alcuno stupore avrebbe dovuto cogliere i tre elementi maschili di quella compatta spedizione nel confronto con l'idea di un altare presente all'interno di quella grotta, dal momento in cui, ancor prima di giungere in tale contesto geografico, a lungo Midda aveva loro descritto, in ogni minimo dettaglio, quanto essi avrebbero trovato a destinazione: ciò nonostante, nell'essere alfine posti a confronto con quel particolare scenario, alcuno fra loro aveva potuto astenersi dal formulare una ricca e variegata sequela di colorite espressioni atte a esprimere la propria sorpresa nel confronto con tutto quello, tale era comunque stata la sincera sorpresa loro riservata all'interno di quella roccia. Quell'anfratto di origine pur naturale, infatti, in tempi remoti era stato scelto qual luogo di culto di una non meglio precisata setta religiosa, che, nel cuore di quel territorio roccioso, nelle profondità di un dedalo entro il quale ci si sarebbe potuti facilmente perdere senza essere in possesso di informazioni precise sul cammino da percorrere, qual loro fortunatamente erano in grazia all'esperienza della stessa mercenaria, avevano voluto erigere un tempio per il proprio probabilmente empio culto, rimodellando in ciò il profilo voluto dagli dei per quella stessa grotta e, da quella stessa roccia, ottenendo le forme che sarebbero potute essere proprie dell'interno di qualunque delubro in qualunque angolo di quello stesso paese, dei confini propri del regno di Tranith.
Un tempio, pertanto e ovviamente, assolutamente fedele ai più classici canoni tranithi, nel ricercar qual proprie non forme regolari e geometriche, quanto, piuttosto curve caotiche e confuse, in negazione a ogni ipotesi di umano senso dell'ordinario e al fine di ottenere qualcosa ritenuto probabilmente qual prossimo alla natura, anche ove, in effetti, paradossale sarebbe lì potuto essere un qualunque intervento volto a rimodellare un ambiente già in tali forme composto dalla medesima natura. Così, in grazia a un lavoro ammirevole e degno di lode, per completare il quale impossibile sarebbe stato esprimere una qualche effettiva valutazione di ordine temporale, un pavimento perfettamente levigato era quanto presente sotto i loro piedi, non semplicemente reso straordinariamente liscio nella propria offerta, quant'anche elaborato nelle proprie forme, a creare affascinanti motivi curvilinei, che a partire da una semplice forma simile a una sorta di nodo, si estendeva su tutta l'area orizzontale lì offerta allo sguardo, forse volendo ispirare l'idea delle onde del mare, o forse volendo suggerire quella delle radici di alberi, e pur, necessariamente, reinterpretandole secondo un proprio personale gusto estetico, che Howe, Be'Wahr e anche Seem, nati e cresciuti in Kofreya, e abituati a forme più regolari, non avrebbero saputo istantaneamente apprezzare. Oltre al pavimento, poi, trasparenti dell'intervento umano entro quell'area, due notevoli serie di alte colonne erano quanto mostrate alla destra e alla sinistra dell'intera estensione della navata così ottenuta: colonne che, nell'immancabile stile tranitha, non avrebbero potuto essere definite quali regolari nella propria estensione verticale, né su una base quadrata, né su una circolare, quanto, piuttosto, simili a una serie di tronchi d'alberi, o forse coralli, che dalle proprie basi si volgevano al soffitto aprendosi, in tal direzione, in numerose diramazioni, la conclusione delle quali non sarebbe potuta essere visibile e, pur, per chiunque lì posto a confronto, sarebbe allora stata immaginata qual facente capolino a un qualche livello superiore. A completare, infine, simile contesto, già sufficientemente elaborato da poter essere tutt'altro che giudicabile qual consueto, ovvio, naturale, o tantomeno attendibile entro quell'ambiente, sia le colonne, sia le pareti dietro alle stesse, ma anche il soffitto sopra le loro teste, erano stati completamente rivestiti, nelle proprie superfici, da piccoli tasselli smaltati, piccoli specchi che, nella grazia di un foro di meno di tre piedi ricavato in corrispondenza verticale sopra l'altare, e volto al mondo esterno, erano in grado di rifrangere, riflettere e moltiplicare anche solo pochi raggi di luce allo scopo di rendere quell'ipoteticamente oscuro anfratto qual straordinariamente illuminato, così come, abitualmente, non sarebbe potuto essere non solo una grotta, ma anche un qualunque edificio progettato da mente umana.
In tutto ciò, e nella collaborazione del sole del meriggio che, in verità, quell'intera grotta aveva trasformato in qualcosa di simile a una fornace lucente, pertanto, ogni singolo passo condotto da Nissa Bontor all'interno di quell'ambiente, in direzione dell'altare opposto, nella propria collocazione, all'ingresso al medesimo, sarebbe potuto essere seguito senza incertezza di sorta dagli sguardi dei tre, nascostisi secondo le indicazioni ricevute in posizione utile a negare alla loro avversaria eventuali possibilità di ritirata, tagliandole la via verso l'unica uscita lì per lei, e per chiunque altro, allora presente.

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