Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.
Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!
Scopri subito le Cronache di Midda!
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E siamo a... QUATTROMILA!
Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!
Grazie a tutti!
Sean, 18 giugno 2022
Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!
Grazie a tutti!
Sean, 18 giugno 2022
martedì 30 aprile 2019
2896
Avventura
056 - Un oscuro ordito
« Parli bene, Pitra… tuttavia le argomentazioni che offre la tua amica suggeriscono una realtà ben diversa. » sancì per tutta risposta la donna guerriero, non potendo ovviare a evidenziare quanto fra le parole da lui pronunciate e le azioni poste in essere da parte dell’ofidiana non avessero a dimostrare alcuna intesa.
« Hai ragione. » ammise l’uomo, dimostrandosi allora palesemente indispettito dalla situazione, al punto di accennare un lieve passo in avanti, a palesare la propria volontà di prendere in mano il controllo della situazione « Soldato… arresti il suo operato. » ordinò quindi, alla volta dell’ultima arrivata all’interno di quella scena, e alla volta di colei che, in quel momento, tutto avrebbe evidenziato tranne la benché minima volontà di porre un freno al proprio operato, nell’incedere incessante a speranzoso discapito della propria antagonista, e di quella donna la minaccia rappresentata dalla quale per l’accusatore non sembrava semplicemente voler arginare, quanto e piuttosto estinguere, ed estinguere definitivamente.
Parole sufficientemente chiare, quelle che il magistrato ebbe lì a scandire, le quali, tuttavia, non parvero riscuotere un’effettiva occasione d’ascolto da parte della diretta interessata. Al contrario ella, quasi nessuna voce fosse stata levata nei suoi confronti, continuò semplicemente ad agire, e ad agire con inalterata foga, con incessante furia, nell’intento di riuscire a trovare un’occasione utile per violare i confini della guardia del proprio obiettivo, della propria nemica, e di quella nemica che, alla prima occasione utile, avrebbe allora abbattuto, e abbattuto senza pietà alcuna.
Ma se pur, dal punto di vista della Figlia di Marr’Mahew, alcuno stupore ebbe ad accompagnare tutto ciò, nulla di diverso attendendosi, invero, rispetto a quanto stava allor venendo proposto; da parte dello stesso Pitra Zafral tutto quello ebbe a risultare quantomeno scandaloso, forse e persino in misura maggiore rispetto alla stessa presenza di una latitante ricercata all’interno del proprio appartamento: perché se su Midda Bontor egli non avrebbe potuto obiettivamente sperare di vantare alcun autorità, rifiutandosi di essere sì ingenuo da credere che una donna come lei avrebbe potuto offrire reale attenzione a qualunque propria richiesta; discorso diverso avrebbe avuto a dover essere giudicato quello riguardante quella sconosciuta subentrata all’interno del confronto in atto, e subentrata, per propria stessa dichiarazione, in sua difesa, in evidente ottemperanza a un qualche incarico governativo di sorveglianza sulla sua persona. Un incarico che, invero, avrebbe avuto già a doversi giudicare sufficientemente ambiguo nella propria stessa natura, innanzi al giudizio dell’accusatore, giacché, in effetti, egli non avrebbe avuto a poter vantare alcuna conoscenza pregressa nel merito di un’altra squadra clandestinamente impegnata nella sua protezione, nella sua difesa, né, forse, avrebbe avuto ad apprezzarla… non laddove, quantomeno, così come allora appariva, i membri di tale squadra non avrebbero avuto a dover essere riconosciuti qual contraddistinti da approcci poi troppo diversi da quelli di un qualunque fuorilegge.
« Soldato. » insistette egli, con tono fermo, avanzando ancora verso le due donne, nella ferma volontà di porre fine alla follia di quel confronto « Qual accusatore dell’omni-governo di Loicare, io, Pitra Zafral, le ordino di cessare immediatamente ogni azione ostile a discapito della ricercata qui presente, e di identificarsi con il nome, grado e numero di matricola. » si ripeté e ampliò l’ordine precedente, deciso a poter comprendere qualcosa di più nel merito di quanto stesse accadendo, nel non voler permettere a nessuno di ignorare il valore proprio della legge: non a Midda Bontor o ai suoi amici, né, tantomeno, a quella sconosciuta guardia accorsa in suo soccorso e pur, in tal senso, non identificatasi, in contrasto a qualunque regolare procedura di intervento.
Parole imprescindibilmente chiare, quelle che il magistrato ebbe lì a scandire, le quali, allora, non poterono ovviare a raggiungere persino la donna guerriero, la quale, obiettivamente, non poté che essere positivamente colpita dal fermo impegno con il quale, in quel mentre, egli si stava impegnando, in tal maniera, a far valere la propria autorità e a imporre una possibilità di tregua su tutto quello. Un impegno, quello reso proprio dall’uomo, che non avrebbe potuto ovviare a confermare il parallelo interesse da lei dimostrato nei suoi stessi riguardi, nei suoi stessi confronti, individuandolo paradossalmente qual l’unico, possibile e concreto alleato in quel momento, in quel contesto, e in quel contesto di sfida all’intero omni-governo di Loicare a confronto con il quale, in caso contrario, difficile sarebbe stato riuscire anche solo a immaginare come approcciare. Al contrario, in grazia all’integrità morale di quell’uomo, e a un’integrità morale estremamente particolare, squisitamente viziata dai propri pregiudizi e dalle proprie idee radicali, e, ciò non di meno, tale, egli avrebbe potuto rappresentare il giusto zelota utile alla loro causa, e a una causa che, d’altronde, egli non avrebbe potuto ovviare ad abbracciare qual propria nel momento in cui si fosse reso consapevole di quanto, alle sue spalle, stesse accadendo proprio entro i ranghi dello stesso omni-governo.
Ma se pur, dal punto di vista della Figlia di Marr’Mahew, quieta soddisfazione non poté che accompagnare tutto ciò, nulla di diverso avendo a sperare, invero, rispetto a quanto stava allor venendo proposto; da parte della giovane ofidiana lì schierata in sua opposizione, quell’insistenza propria del magistrato a proprio discapito non avrebbe potuto ovviare a essere accolta con un certo disappunto, e con il disappunto proprio di chi, in fondo, avrebbe avuto a dover essere lì riconosciuto più interessata a concludere quella sfida, e a concluderla nella maniera più brutale possibile, allorché a imporre un clima di pace e legalità. E, in questo, seppur ora con minore convinzione, ella cercò ancora di portare a segno un ennesimo attacco, e un attacco che, piombando dall’alto, nella forma di un violento fendente, avrebbe potuto essere eventualmente giustificato, laddove fosse stato condotto a termine, qual conseguenza di un improprio eccesso di enfasi, privo tuttavia di una qualche reale volontà di disubbidienza all’ordine ricevuto.
Un ultimo attacco, quello proprio di quell’aggreditrice, che la donna guerriero non ebbe allora a schivare, quanto e piuttosto a parare e a parare con il chiaro intento di riappropriarsi della propria arma e, in tal senso, di venire incontro alle richieste dello stesso Pitra Zafral in favore dell’interruzione di quel conflitto. Così ella, incrociando la propria mano destra e il manganello sorretto nella mancina, non soltanto ebbe ad arrestare la discesa della pesante lama ma, ancor più, ebbe a compiere un elegante, sinuoso e ben commisurato movimento di scarto verso il proprio fronte destro, accompagnando la lama così intrappolata fra il bastone e il proprio polso a piegarsi lateralmente, torcendo di conseguenza anche i polsi di colei che la stava impugnando e, all’ultimo, con una precisa rivoluzione della propria destra, mutando la parata in una presa, e così, quindi, impegnandosi a strattonare via la propria arma prediletta dalle mani della controparte. Un gesto decisamente più complesso nella propria esecuzione rispetto a quanto non avrebbe potuto allor apparire, che si dimostrò ammirevolmente efficace e rapido nella propria esecuzione, e che, quasi senza concedere occasione all’ofidiana di maturare coscienza nel merito di quanto stesse allor accadendo, non poté permetterle di conservare il controllo impropriamente conquistato su quella spada bastarda, la quale, pertanto, ebbe a ritornare quietamente fra le mani della sua proprietaria, imponendo, molto più delle parole dell’accusatore, una necessaria interruzione all’evoluzione di quel conflitto.
« Soldato… basta! » esplose, comunque e nuovamente, a margine di tutto quello, la voce dell’uomo, francamente irritato dall’incapacità di quella chimera di ubbidire ai suoi ordini e, in tal senso, di rispettare il suo volere, per così come, pur, la legge le avrebbe dovuto imporre, nel riconoscergli un grado di comando rispetto a qualunque forza operativa presente su un qualunque campo di battaglia proprio di quel sistema.
« Signore… signorsì, signore. » sbuffò per tutta replica l’altra, ritraendosi allora dall’impegno con la propria antagonista, riconoscendosi proprio malgrado spiacevolmente disarmata e, in tal senso, impossibilitata a proseguire in quella direzione, anche laddove ella avesse potuto avere piacere a farlo… e, per così come il fremito dei suoi muscoli al di sotto della sua verde pelle non avrebbe potuto ovviare a rendere palese, ella avrebbe avuto sicuramente estremo piacere a farlo.
lunedì 29 aprile 2019
2895
Avventura
056 - Un oscuro ordito
Ridefiniti i limiti del proprio ingaggio con la controparte, passando da “nessun genere di confronto” a “potrei anche essere disposta a spezzarle un braccino”, per la Figlia di Marr’Mahew l’incedere di quel confronto parve migliorare leggermente, almeno nelle prime battute. Complice l’effetto sorpresa imposto a quella controparte, che pur evidentemente non si sarebbe potuta attendere tanta avversione da parte di una figura idealmente amica, dopo quel primo colpo ella si dimostrò in grado di portarne a segno qualcun altro prima che, anche sul fronte avversario, qualcosa avesse a dover essere nuovamente tarato.
Perché se pur, almeno all’inizio, a Lys’sh, o a chiunque ella fosse, non era stata richiesta particolare necessità di reale concentrazione in quel confronto, in quella disfida, predominando più in grazia al fatto di possedere il volto che possedeva allorché in mera conseguenza alle proprie capacità guerriere; venuto meno tutto ciò, ella non avrebbe potuto ovviare, a sua volta, a porre tutta la doverosa attenzione nei riguardi di quell’avversaria, e di quella sconosciuta avversaria che pur si stava dimostrando decisamente più caparbia e capace rispetto a quanto mai avrebbe potuto attendersi da parte sua. Un merito, quello, che ella volle persino riconoscere apertamente alla propria antagonista, nel momento in cui, dopo quel riassestamento di equilibri contrapposti, lo stallo fra loro ebbe nuovamente a imporsi in maniera decisamente antipatica, e antipatica nella misura utile, quantomeno, a non offrire evidenza di possibilità di predominio dell’una sull’altra, o viceversa, suggerendo spiacevolmente un conflitto potenzialmente eterno fra loro...
« Te ne devo rendere atto, rossa… non sei affatto male. » le concesse pertanto, comprovando quanto, ancora, non fosse certamente colei che appariva essere, nella difficoltà a concederle il riconoscimento del proprio stesso nome, e di quel nome che, probabilmente, neppure avrebbe potuto vantare di conoscere, a margine di tutto ciò « L’accusatore Zafral ti ha chiamata Midda Bontor se non erro… » soggiunse poi, concedendole un pur minimo sforzo in tal direzione « Signore… non abbia a dover temere: nel mentre in cui noi parliamo, un gruppo di uomini e donne ben addestrati si stanno occupando del resto della banda della sua assalitrice. Ancora pochi minuti e tutti avrà a risolversi nel migliore dei modi. »
Parole, quelle ultime così pronunciate, che parvero volersi offrire, per la prima volta, in maniera più che onesta, trasparenti, quantomeno, dei reali interessi dell’ofidiana, o di chiunque ella fosse.
A prescindere, infatti, dall’ancor non svelato mistero nel merito della sua identità, indubbiamente palese avrebbe allora avuto a doversi considerare quanto l’ingresso in scena di quella figura femminile non avesse a doversi fraintendere qual casuale, quanto e piuttosto ricollegato a un’azione d’emergenza mirata a contrastare quanto lì stava occorrendo. Ingenui, in tutti ciò, avrebbero avuto probabilmente a doversi considerare la Figlia di Marr’Mahew e i suoi compagni, nel credere, erroneamente, di potersi permettere quell’azione a equivocabile assalto a discapito di uno degli accusatori più importanti dell’omni-governo di Loicare senza che, a margine di ciò, la loro azione avesse a essere notata e, soprattutto, senza che, ancora, qualcuno avesse a intervenire nel minor tempo possibile, per così come, altresì, stava quindi venendo annunciato stesse occorrendo.
Chiunque fosse in quel momento quella sosia di Lys’sh, chiaro avrebbe avuto a dover essere così inteso, da parte sua, un coinvolgimento con l’omni-governo di Loicare e, in particolare, con un intervento in favore, in soccorso all’accusatore, il quale, dal canto suo, se pur non aveva palesato familiarità con quanto allora stesse avvenendo, al tempo stesso non ebbe a dimostrarsi neppur sorpreso innanzi a quelle ultime parole, e a quelle parole allor utili a rassicurarlo nel merito di quanto, tutto quello, avrebbe presto trovato giusta conclusione.
« Ci tengono veramente a te, Pitra… » constatò la donna guerriero, nel riuscire, in tal maniera, a colmare una parte di quel mosaico il cui quadro d’insieme ancor non avrebbe avuto a potersi considerare ovvio, non fino a quando non si fosse scoperta l’identità della sua antagonista e, soprattutto, se quello avesse a doversi considerare realmente il suo corpo oppure no.
Purtroppo, nel non potersi permettere di ignorare quanto dichiarato dalla controparte, la Campionessa di Kriarya non avrebbe potuto ovviare, a margine di tutto ciò, a considerare di dover avere necessariamente tempo ridotto per concludere il proprio operato e, soprattutto, di doversi preoccupare, a margine della questione Pitra Zafral, di comprendere effettivamente in quale misura le parole della propria avversaria avrebbero avuto a doversi considerare pericolose per il fato dei propri compagni d’arme e amici, per la sorte della propria famiglia, e di quella famiglia che, là fuori, probabilmente avrebbe avuto a doversi quindi riconoscere egualmente impegnata a combattere, e a combattere contro chissà qual genere di forze avversarie. Forze, quelle lì schierate dall’omni-governo, che avessero dovuto considerarsi tutte equivalenti a quelle dell’ancor sua non meglio definita antagonista, certamente non avrebbero avuto a doversi fraintendere qual irrilevanti nella propria presenza. Anzi. E per quanta cieca fiducia ella potesse vantare nei riguardi di Be’Sihl e delle proprie tre sorelle di ventura, non tanto questione di stima avrebbe avuto a doversi riconoscere quella in giuoco, quanto e piuttosto questione di razionale premura, e di razionale premura nel confronto con l’idea di quanto una squadra di guerrieri pari a quell’ofidiana lì schierata, allora, innanzi a lei, avrebbero potuto creare danno a tutti loro…
… questo, ovviamente, senza scendere nel dettaglio dello scenario rappresentato dall’eventualità propria in cui, allora, schierata contro di lei avesse a doversi considerare realmente Lys’sh, vittima di una qualche tecnologia, o di una qualche magia, per il controllo della mente, in un’eventualità che, laddove confermata, avrebbe potuto aprire un ancor più pericoloso e complicato scenario, e uno scenario nel quale anche altri membri della sua squadra avrebbero potuto essere stati egualmente compromessi, e stessero impegnandosi, in quel frangente, in contrasto a chi, altresì, ancor dotato di una certa autonomia mentale.
« Nell’assolvimento del mio dovere, io rappresento lo stesso omni-governo di Loicare. » dichiarò, per tutta risposta, l’accusatore, così da lei indirettamente interpellato « Non puoi sorprenderti, ora, se la tua operazione clandestina ha finito per richiamare maggiore attenzione rispetto a quanto tu non avessi a credere. » puntualizzò, con tono di voce quietamente impostato, a dimostrare un certo controllo sull’evoluzione di quegli eventi, benché, sino a quel momento, ogni sua reazione avesse comprovato il contrario, ossia quanto, anch’egli, avesse a doversi riconoscere un semplice spettatore in tutto ciò, privo di maggiore confidenza con quanto stesse occorrendo rispetto alla sua stessa ospite « Ti invito a dichiarare la tua resa, Midda Bontor: la tua collaborazione, in questo momento, potrà essere intesa come riprova di una positiva volontà di ravvedimento e sarà presa favorevolmente in considerazione nel mio giudizio. » le suggerì alfine, cercando di prendere il controllo della situazione, e di una situazione nella quale, sino a quel momento, si era ritrovato pressoché qual vittima, e della quale, al contrario, da quel momento in avanti avrebbe potuto scoprirsi qual interprete attivo.
Ciò non di meno, e quasi a voler smentire nell’immediato quella sua positiva promessa, la spada dagli azzurri riflessi, ancor impugnata dalla falsa Lys’sh, ebbe a essere nuovamente roteata con mirabile eleganza e straordinaria precisione, al solo scopo di poter giungere alle carni della sua stessa proprietaria, per offrirle, in tal senso, un fato decisamente meno misericordioso rispetto a quanto, nel contempo di ciò, egli non stesse ipotizzando per lei. Un gesto estremamente scortese, da parte di quella giovane ofidiana, che pur non ebbe, ancora una volta, possibilità di trovare conclusione, non nei termini entro i quali ella avrebbe potuto sperare avvenisse, nel ritrovarsi, ancora una volta, piuttosto reindirizzata in altra direzione dal quieto controllo della destra della Figlia di Marr’Mahew, nel mentre in cui la sua mancina, nuovamente, tentò un affondo con il manganello, finendo, parimenti, elusa da una rapida ritirata della controparte, a ristabilire quel sempre più pericoloso nulla di fatto fra loro.
domenica 28 aprile 2019
2894
Avventura
056 - Un oscuro ordito
Ancora una frase da parte di quella donna dall’aspetto e dalla voce di Lys’sh, e ancora una smentita del fatto che ella potesse essere Lys’sh, giacché la vera Lys’sh non avrebbe avuto incertezza nel merito dell’origine della spada: al contrario, ella avrebbe potuto vantare perfetta conoscenza riguardo alla storia di quell’arma, e alle dinamiche che avevano portato la Figlia di Marr’Mahew a possederla, avendo avuto più occasioni, in quegli anni, di parlare dei rispettivi passati, delle alterne vicende che, in un modo o nell’altro, avevano finito per riunirle in quel carcere lunare nel quale era avvenuto il loro primo incontro. Ma se, a formulare le frasi da pronunciare, non era la mente di Lys’sh, forse e comunque a scandire quelle stesse parole avrebbero avuto a dover essere riconosciute le sue labbra, motivo per il quale, allora, la donna guerriero avrebbe dovuto fare ben attenzione a non infierire eccessivamente nei riguardi di quell’avversaria, sino a quando non ne avesse saputo di più. Dopotutto, se quell’ipotesi, per quanto forte, si fosse dimostrata reale, quella non avrebbe avuto a doversi considerare la prima volta in cui una sua amica si sarebbe ritrovata posseduta da una volontà esterna alla propria e, in tal senso, si sarebbe impegnata a tentare di ammazzarla, pur senza una qualche effettiva motivazione a tal riguardo.
Follia…? Sicuramente. Ma quella follia era quanto ella, da più di tre decenni, era solita definire qual la propria vita quotidiana.
Così, anche a confronto con nuovi tentativi di prevaricazione, e di letale prevaricazione, da parte dell’ofidiana, Midda Bontor minimizzò ogni possibilità di violenza contro di lei, limitandosi, di volta in volta, a ovviare alla traiettoria della lama o, all’occorrenza, a deviare il colpo in grazia al manganello del quale si era impossessata o, direttamente, del proprio stesso braccio destro, nel merito della resistenza del quale avrebbe potuto fare sicuramente più affidamento rispetto a qualunque altra risorsa più o meno improvvisata come, pur, avrebbe avuto a doversi considerare l’arma con la quale si era estemporaneamente equipaggiata.
Purtroppo per lei, chiunque fosse la propria controparte, sicuramente ella avrebbe avuto a doversi giudicare competente. Estremamente competente. E insolitamente competente anche nell’impiego di un’arma qual la propria, un’arma l’impiego della quale, in verità, non avrebbe avuto a dover essere fraintesa qual consueta nella variegata vastità del cosmo. Perché se pur le armi bianche non avrebbero avuto a dover essere giudicate obsolete in conseguenza dell’avvento delle armi da fuoco, impiegate qual ancora di ben ponevano in qualsivoglia conflitto spaziale, nell’eccessivo pericolo che avrebbe potuto rappresentare per l’integrità strutturale di una nave l’alternativo uso di laser o plasma; al tempo stesso le armi bianche lì predominanti avrebbero avuto a doversi riconoscere qual decisamente più maneggevoli, soprattutto in spazi ristretti, rispetto a quella spada bastarda e a quella spada che con i suoi quattro piedi di lama non avrebbe avuto a dover essere fraintesa qual propriamente comoda da impiegare, in passaggi larghi magari meno di due terzi della sua stessa estensione. Allorché armi tanto impegnative, quindi, quanto avrebbe avuto a essere preferito sarebbero stati pugnali di varie forme e dimensioni, daghe e spade corte, o, tuttalpiù, spade e sciabole contraddistinte da lame sottili e, in questo, indubbiamente più agili nel puntare ad affondi e scoccate allorché a quei movimenti più ampli e appariscenti propri di una spada qual quella dagli azzurri riflessi della Figlia di Marr’Mahew.
Insolita, quindi, avrebbe avuto a dover essere riconosciuta la confidenza, e la maestria, che quella sconosciuta stava dimostrando nell’impiego della sua arma, non limitandosi a menare colpi più o meno azzeccati nella propria traiettoria, ma lasciando agire quella lama come una naturale estensione dei propri arti, e lasciandola scivolare nell’aria, nello spazio a sé circostante, con un controllo assoluto e con una squisita eleganza che, difficilmente, avrebbero potuto trovare giustificazione in un gesto improvvisato.
« Chi sei…? » provò a domandare, alfine, la donna guerriero, promuovendo per la prima volta apertamente il proprio dubbio nel merito della natura stessa della controparte « E, soprattutto, dove hai imparato a combattere in questo modo…?! » soggiunse, sinceramente curiosa a tal riguardo, trovando in quei gesti, in quelle movenze, un nostalgico sapore di casa qual da quattro anni non aveva avuto più occasione di avvertire, di provare.
« Lo hai detto tu stessa… sono la tua cara amichetta Lys’sh! » sorrise l’altra, piegando appena il capo di lato « Ora, se vuoi farmi il favore di fermarti un istante, magari potrò anche aprirti la testa in due, come un melone maturo. »
« Una prospettiva davvero affascinante… » osservò l’Ucciditrice di Dei, inarcando un sopracciglio con aria poco convinta « … grazie, ma no grazie. Sono troppo affezionato alla mia testa, per regalarla così facilmente alla prima che passa. »
« Non sono la prima che passa… siamo amiche e compagne di ventura, te lo sei dimenticata?! » insistette l’ofidiana, approfittando di quello scambio di battute per cercare, ancora una volta, un affondo, e, ciò non di meno, ritrovandosi ovviamente e ineluttabilmente arginata nel proprio incedere dalla guardia di lei, decisamente più solida rispetto a quanto non avrebbe potuto desiderare fosse.
« Tu non sei Lys’sh… smettila con questa pantomima, prima di farmi arrabbiare. » la invitò la donna dagli occhi color del ghiaccio e dai capelli color del fuoco, scuotendo appena la testa « Ti assicuro che potrei non piacerti quando mi arrabbio… » sancì, ovviando, ancora una volta, a reagire ai suoi attacchi, ancora spiacevolmente incerta sull’effettiva natura della propria controparte per potersi permettere di assumere una posizione chiara a tal riguardo.
« Se tu fossi tanto sicura che io non sia Lys’sh, non freneresti in questo modo i tuoi gesti… non è vero…?! » non mancò di evidenziare l’altra, dimostrando quanto, purtroppo per Midda, la sua posizione di superiorità psicologica fosse comunque ancora palese e, soprattutto, a lei nota e a lei nota nella misura in cui ciò avrebbe potuto rappresentare per lei un indubbio vantaggio strategico nei suoi riguardi « Hai troppa paura di fare del male a una tua amica per menare un colpo decente…! »
Che quello fosse, o meno, il corpo di Lys’sh, la Figlia di Marr’Mahew non avrebbe potuto concederle, comunque, una tanto assoluta libertà d’azine nei propri riguardi o, in caso contrario, avrebbe fatto prima a concederle direttamente la lunghezza del proprio tornito collo per chiederle di decapitarla. In ciò, quindi, e con buona pace per la supposta salute della stessa ofidiana, ella decise essere giunto il momento di rispondere a quell’offensiva, e di rispondere, ovviamente, in maniera non letale e, ciò non di meno, non necessariamente indolore.
E così, al successivo tentativo di affondo nei suoi riguardi, la donna guerriero ebbe a smarcare, come di consueto, la traiettoria della sua stessa lama contro di lei rivolta con un movimento perfettamente commisurato della propria destra, nel mentre in cui, avanzando allorché retrocedendo, ella ebbe a mirare, con velocità e precisione straordinarie, un energico colpo di manganello dritto all’altezza delle reni della propria controparte, in un gesto che, nella propria simultaneità con il suo affondo, non avrebbe mai potuto essere da lei eluso e che, appunto, non venne vanificato, giungendo a segno e imponendo necessariamente una forte scarica di dolore lungo tutta la schiena dell’ofidiana, strappando dalla sua bocca un alto e costretto gemito per quanto così sorprendentemente subito…
« ... dicevi?! » domandò poi, ritraendosi rapidamente da lei e dalle possibilità d’azione della sua lama, per quanto, dopo un colpo del genere, qualche istante di tranquillità avrebbe dovuto esserle assicurato, nella difficoltà che doveva averle imposto persino nel riuscire a mantenere uno sguardo lucido sul mondo a sé circostante.
« … maledet… ta vac… ca…. » ansimò Lys’sh, con occhi sgranati, quasi fuori dalle orbite, per il dolore fisico, e per l’umiliazione psicologica, di quel gesto, e di quel gesto a confronto con il quale non avrebbe potuto ovviare a esigere un’occasione di immediata vendetta.
sabato 27 aprile 2019
2893
Avventura
056 - Un oscuro ordito
Un gesto, quello proprio dell’ofidiana, che non restò fine a se stesso, ma che vide la stessa, allora, levare quell’arma a discapito della propria antagonista, nonché della legittima proprietaria di quella medesima arma, per menare un nuovo colpo e un nuovo colpo che, nel confronto con il perfetto filo di quella lama dagli azzurri riflessi, sarebbe stato certamente letale, se solo avesse avuto occasione di giungere a segno. Ovviamente, però, la Figlia di Marr’Mahew, già colpevole di essersi fatta sorprendere in maniera sì banale, in termini fondamentalmente indegni persino dell’ultimo fra tutti gli scudieri, figuriamoci di colei che in molti, un tempo, avrebbero potuto considerare la prima fra tutti i cavalieri, non offrì possibilità alcuna alla propria controparte di volgere a proprio discapito quella lama, evadendo nuovamente dalla traiettoria dei suoi colpi e, nel contempo di ciò, rivolgendo uno sguardo carico di disapprovazione alla propria amica, il comportamento della quale, in quel frangente, non avrebbe potuto essere in alcuna maniera giustificato, né tantomeno accettato…
« Lys’sh… ti stai comportando da pazza! » protestò quindi, ritrovandosi, a margine di tutto ciò, con il manganello prima teorizzato a suo discapito ancora stretto nella propria destra e, in ciò, non negandosi occasione utile per impugnarlo, e per impugnarlo, allora, nella mancina, pronta a adoperarlo contro la propria amica laddove fosse stato necessario « Possiamo provare a parlarne prima che qualcuna fra noi si faccia davvero male…?! » insistette a proporle, verificando, nel contempo di ciò, quanto tutta l’energia propria del manganello fosse ormai stata assorbita dal nucleo all’idrargirio del proprio braccio, in una mai inutile ricarica in favore del medesimo, e quanto, di conseguenza, l’arma così da lei impugnata non avrebbe avuto a doversi altro considerare se non un semplice bastone mozzo, la cui resistenza, molto probabilmente, avrebbe di lì a breve collaudato in opposizione alla migliore spada che mai il suo mondo fosse stato in grado di generare, o quantomeno quella in tal maniera riconosciuta entro i limiti della sua personale, e pur impressionante, esperienza di vita.
« Non mi stupisce che tu non capisca, con il davanzale che ti ritrovi. » le replicò piccata l’altra, non in termini ironici o sarcastici, ma con evidente disprezzo verso di lei e con palese intenzione di ferirla… forse persino troppo palese, troppo marcata per poter essere considerata reale « E’ risaputo, del resto, quanto il quoziente intellettivo, nelle vacche tuo pari, ha da considerarsi inversamente proporzionale alla misura della propria circonferenza toracica… » insistette, offrendole altre argomentazioni assolutamente non inedite e, anzi, facenti parte del repertorio di base di quasi qualunque proprio avversario, e, in particolare, di quegli avversari più o meno improvvisati, i quali, neppur sapendo riconoscere chi avessero innanzi, avrebbero avuto a doversi considerare limitati, nella propria capacità espressiva, a generici insulti stereotipati come quello « In verità, a confronto con tutto questo, vi è pure da stupirsi che tu riesca a formulare frasi di senso vagamente compiuto… »
Qualcosa non stava quadrando innanzi al giudizio della Figlia di Marr’Mahew. E non tanto nel comportamento a dir poco psicotico che, in quel momento, avrebbe avuto a dover essere associato alla propria amica, quanto e ancor più nelle parole da lei pronunciate a margine di tutto quello.
Nei propri modi, nelle proprie parole, Lys’sh si stava allor comportando quasi come ella avesse a dover essere una perfetta estranea, provando sì a provocarla emotivamente con insulti e accuse di vario genere e, ciò non di meno, senza realmente riuscire a sfiorare nulla di più della superficie della sua identità, senza mai scendere nel dettaglio, e nel dettaglio allor rappresentato da tutta la loro comune storia personale alla quale, all’occorrenza, ella avrebbe potuto quietamente attingere più di una motivazione utile per andarle contro. Ciò non di meno, e ignorando tutto quello, la giovane ofidiana stava continuamente e semplicemente aggredendola, almeno a livello verbale, con la stessa puntualità propria della prima antagonista capitata lì per puro caso, senza poter neppure vantare, in effetti, una qualche confidenza nei riguardi del suo stesso nome, il suo nome che mai, sino a quel momento, aveva pronunciato a margine dei propri interventi, di tutte le proprie invettive contro di lei. Altro discorso, invece, avrebbe avuto a doversi considerare per le doti che, sul piano fisico, ella stava lì riuscendo a dimostrare, doti che, senza nulla volerle rimproverare, avrebbero avuto a doversi riconoscere decisamente migliori rispetto a quanto, abitualmente, non avrebbe potuto esserle riconosciuto qual proprio…
Cosa stava accadendo? Possibile che quella donna lì schierata innanzi a lei, che pur parlava con la voce Lys’sh e di Lys’sh aveva l’aspetto, non fosse effettivamente Lys’sh?!
Ma in tal caso, chi o cosa avrebbe avuto a dover essere giudicato tutto quello? Fosse stata un’illusione come quelle che, abitualmente, il suo sempre odiato Desmair si divertiva a proiettarle nella mente, certamente sarebbe stata contraddistinta da una maggior precisione della caratterizzazione del personaggio. Questo senza dimenticare quanto, ormai, con Desmair fossero tornati a combattere sullo stesso fronte, e, soprattutto, l’insperata restituzione del proprio bracciale dorato, e di quel bracciale dorato che, dopo troppi anni era riuscito finalmente a riproporsi attorno al suo braccio macino, avrebbe avuto a doverla proteggere da qualunque possibile allucinazione indotta dall’esterno…
Ergo, ancora una vota, che diamine stava accadendo?!
« Pitra… scusa la domanda… » decise quindi di tornare a rivolgersi all’anfitrione, nel mentre di tutto quello necessariamente sollevatosi e allontanatosi da lei, o da loro, per ovviare a ritrovarsi a essere impropriamente coinvolto nell’evoluzione di quegli eventi « La vedi anche tu, non è vero? E vedi una giovane ofidiana di bell’aspetto?! »
« Sei più folle di quanto io non credessi se arrivi a dubitare di ciò che vedi, Midda Bontor. » obiettò l’uomo, storcendo le labbra verso il basso in segno di disappunto per quell’interrogativo « Certo che la vedo anche io… anche se, francamente, non ho sufficiente feticismo per le chimere in misura utile a valutare se sia di bell’aspetto o meno. » soggiunse e puntualizzo, declinando al negativo l’intera frase a dimostrazione, proprio malgrado, di un innato pregiudizio nei confronti delle specie non umane, in termini che, certamente, non avrebbero avuto a volgere particolarmente a proprio favore dal punto di vista umano.
« Per questa volta soprassiederò sul tuo razzismo… » sospirò l’Ucciditrice di Dei, ben lieta, comunque, della conferma offertale e del fatto che quella non avesse a dover essere fraintesa qual un’allucinazione, per quanto, allora, tutto ciò avrebbe aperto un vasto interrogativo nel merito di chi, quindi, accidenti fosse la propria antagonista.
Approfittando di quello che, erroneamente, ebbe a giudicare un suo momento di distrazione, Lys’sh, o chi per lei, tentò nuovamente un attacco nei suoi confronti, compiendo un elegante movimento con la spada e, in ciò, conducendo con mirabile maestria quella lunga e non leggera lama a compiere un’amplia giravolta prima di essere mirata nell’esecuzione di uno splendido tondo dritto all’altezza del collo della controparte, in un gesto che, laddove fosse giunto a compimento, l’avrebbe vista ineluttabilmente decapitata.
Un gesto al quale, ovviamente, la donna dagli occhi color ghiaccio non offrì alcuna possibilità di compimento, apprezzando eccessivamente la propria integrità fisica, e la vita stessa, per potersele veder tolte in maniera così ovvia dalla prima avversaria passata di lì…
« Bella spada… inusuale nella propria foggia, ma squisitamente equilibrata. » constatò l’ofidiana, sorridendo non senza soddisfazione nel confronto con l’esecuzione di quel proprio ultimo tentativo d’attacco, per nulla turbata dal fallimento del medesimo e, piuttosto, piacevolmente rapita dall’arma della quale si era così riuscita a impossessare « Non ti chiedo dove l’hai comprata perché tanto, da morta, non ti servirà più! » soggiunse, definendo quanto, ormai, il proprio intento non avrebbe più avuto a dover essere equivocato in altri termini se non nella ricerca di una sconfitta definitiva di quell’antagonista.
venerdì 26 aprile 2019
2892
Avventura
056 - Un oscuro ordito
« Thyres! » esclamò, scattando di lato all’ultimo istante utile per evitare la ricaduta di quel manganello dritto contro la propria schiena, in un attacco che, se pur non fosse stato letale, non avrebbe avuto neppure a doversi fraintendere qual piacevole « Che ti prende, Lys’sh…?! » domandò poi, ritrovandosi costretta a un nuovo gesto d’evasione, nella necessità di sottrarsi a una nuova offensiva, a uno sgualembro roverso, ora, che tentò di valorizzare quel pur parzialmente mancato effetto sorpresa nel concedersi un altro tentativo prima ancora che ella potesse realmente assumere il controllo della situazione, e nel concederselo in grazia a quell’arma pericolosamente carica dell’energia propria del plasma.
« Che mi prende…?! » ripeté l’altra, aggrottando appena la fronte con aria di disappunto nel confronto con il proprio duplice insuccesso e, in ciò, non mancando di tornare a insistere, e insistere in rapida sequenza con un tondo dritto, un ridoppio roverso e un nuovo fendente, tutti colpi perfettamente eseguiti e, purtroppo per lei, tutti colpi che finirono, comunque, per sfumare nel nulla dell’aria a lei circostante, allorché raggiungere le carni della propria avversaria e lì avere a porre fine a quel confronto « Mi prende che sono veramente stanca di te, stupida vacca rossa. » la insultò, scuotendo appena il capo « Con le tue arie da gran capo, quasi avessi a doverti considerare migliore rispetto a tutti noi… »
« … stupida vacca rossa?! » ripeté la donna guerriero, non potendosi negare una certa sorpresa, e una certa sorpresa nell’udire delle parole del genere emergere dalla bocca della propria amica sororale, di quella giovane che per lei aveva combattuto per lunghi mesi attraverso mezzo cosmo, comprovando la forza di un affetto smisurato, secondo solo all’amore del suo dolce shar’tiagho egualmente impegnato, in quel medesimo periodo di tempo, per lei, nella volontà di salvarla dalla prigione psichica nella quale il suo mai amato sposo, Desmair, l’aveva crudelmente precipitata.
In verità, “cagna” e “vacca” avrebbero avuto a doversi riconoscere, per lei, degli epiteti più che consueti, in termini tali per cui persino più altisonanti nomi, qual Figlia di Marr’Mahew, Ucciditrice di Dei, Campionessa di Kriarya, e così via dicendo, avrebbero avuto a dover essere giudicati quasi delle eccezioni a confronto con essi. La definizione di “cagna”, per amor di dettaglio, avrebbe avuto a doversi riconoscere per lo più predominante nella sua esistenza passata, e in quel passato relativo a quattro decenni di vita trascorsi entro i confini del proprio mondo natale, nella più assoluta e serena inconsapevolezza di quanto, oltre a esso, molti altri mondi, e molte altre realtà, esistessero al di fuori del medesimo. Al contrario, in termini tali per cui qualche linguista probabilmente avrebbe trovato ragione di interesse a tal riguardo, la definizione di “vacca” sembrava prevalere in quegli ultimi tre-quattro anni, da quando, lasciati i confini del proprio pianeta sulle ali della fenice, ella si era immersa in una realtà decisamente più ampia rispetto a quanto mai avrebbe potuto prima immaginare. E se pur, a livello etimologico, facile sarebbe stato ricondurre tale definizione alla sempre inalterata abbondanza della sua circonferenza toracica, non più eccezionale, invero, nel confronto con un universo in più di persone, e, in esso, con sicuramente un quantitativo più importante di altre figure femminili egualmente dotate, se non, addirittura, persino più rifornite rispetto a lei; ancor non chiaro, dal suo punto di vista, avrebbe avuto a dover essere considerata la ragione per la quale, al precedente “cagna”, ormai avesse avuto a essere stato sostituito quel “vacca”. Così come ancor nebuloso avrebbe avuto a doversi considerare in quale misura “cagna” e “vacca” avrebbero avuto a doversi giudicare insulti equivalenti, e non, eventualmente, uno una declinazione peggiore dell’altro o viceversa.
Al di là del termine impiegato per insultarla, comunque, la sorpresa propria per la donna dagli occhi color ghiaccio e dai capelli color del fuoco non avrebbe avuto a doversi fraintendere nell’insulto in sé, al quale, per l’appunto, avrebbe avuto a doversi giudicare più che abituata, al punto tale da potersi ritenere addirittura disorientata nei momenti in cui, da troppo tempo, non si ritrovava a essere in tal modo apostrofata; quanto e piuttosto dal soggetto che, in quel particolare frangente, le si stava rivoltando contro in simili termini, e, per lo più, in una sequenza continua di attacchi difficilmente fraintendibili nel proprio fine ultimo.
Ma se anche, per quei primi istanti, ella non ebbe a negarsi l’occasione di una certa sorpresa, tale disorientamento ebbe a essere presto superato e superato in maniera tale da permetterle allor di reagire, e di reagire in maniera più incisiva rispetto a quanto non avesse compiuto sino a quel momento, nel limitare a sottrarsi all’amica e ai suoi attacchi. Così, di fronte all’ennesimo tentativo di affondo, la Figlia di Marr’Mahew scelse allora di imporre un freno a quella follia, e di imporlo nel levare il proprio braccio destro innanzi a sé: quel braccio che, perduto quasi venticinque anni prima, in quegli ultimi tempi si era visto rimpiazzato da un’interessante protesi robotica alimentata da una batteria all’idrargirio, e da una batteria che, oltre a permettere ai servomotori di quell’arto di muoversi in maniera squisitamente fluida e, soprattutto, straordinariamente energica, concedendole forza sufficiente, all’occorrenza, per poter sollevare fino a mille libbre di peso, avrebbe potuto vantare una capacità secondaria quantomeno appropriata in un frangente come quello: la capacità di assorbire energia nella maggior parte delle proprie declinazioni, inclusa anche quella propria di un’arma al plasma, e di un’arma al plasma come quella che, lì, stava cercando di avere la meglio su di lei, in termini utili, quindi, da permetterle di afferrare al volo quel manganello, arrestandone la minaccia senza subire alcuna spiacevole conseguenza nel confronto con un tale, pericoloso contatto.
« Che ne dici se ci diamo una calmata e proviamo a parlarne un attimo…?! » propose nel contempo di ciò alla giovane ofidiana, inarcando il sopracciglio destro con fare critico nel confronto con quegli eventi, e quegli eventi quantomeno confusi dal proprio punto di vista « Dove con “ci diamo”, ovviamente, intendo dire “ti dai”, dal momento che, francamente, io non ho da vantare alcun genere di questione in sospeso verso di te… »
Con una mossa sorprendentemente rapida e mirabilmente perfetta nella propria esecuzione, tuttavia, Lys’sh ebbe allora a reagire in termini alcun più sconvolgenti rispetto a quanto sino ad allora compiuto, non soltanto non arrendendosi di fronte all’evidente inefficacia del proprio attacco ma, anche, allungando improvvisamente la propria mancina verso il fianco sinistro della donna di fronte a lei, per andare ad afferrare, con un gesto assolutamente inedito nella lunga vita guerriera della sua controparte, l’impugnatura della sua spada bastarda, soltanto per aver allora occasione di estrarla dal fodero appeso alla sua cintola e, così, impossessarsene, e impossessarsene nel non imprevedibile scopo di usarla a suo stesso discapito. E se pur impossibile da calcolare avrebbe avuto a dover essere considerato il numero di combattimenti nel quale Midda Bontor era stata coinvolta nel corso della propria vita, e di una vita vissuta, per lo più, fra battaglie e guerre, mai, prima di allora, ella si era vista disarmare in maniera tanto semplice e incredibilmente lesiva per il proprio orgoglio personale come in quell’occasione, e in quell’occasione nella quale, allora, a esserle portata via, per essere impiegata contro di lei, avrebbe avuto a dover essere riconosciuta la sua storica arma, e quell’arma che, al di là di tutte le rivoluzioni recentemente occorse nella propria quotidianità, era stata al suo fianco negli ultimi tredici anni, condividendo con lei vittorie e fallimenti, sconfitte e trionfi, più di qualunque altro alleato, più di qualunque altro commilitone o complice…
« Thyres! » imprecò nel confronto con la lunga lama di lega metallica dagli azzurri riflessi, forgiata secondo un’antica tecnica nota solo a pochi fabbri figli del mare del suo mondo natale, e, in quel momento, in quel frangente, levata pericolosamente contro di lei.
Una situazione spiacevolmente inedita, quella così venutasi a creare, tale non soltanto da un punto di vista squisitamente fisico, quanto e ancor più da un punto di vista di ordine psicologico, e quel punto di vista a confronto con il quale, allora, la donna guerriero non avrebbe potuto ovviare a provare un profondo senso di rabbia a proprio stesso discapito, per essere stata così sciocca da concedere a un’avversaria, qual ormai chiaramente avrebbe avuto a dover essere riconosciuta la propria amica, di arrivare a compiere un simile gesto, e un simile gesto a suo esplicito discapito.
giovedì 25 aprile 2019
2891
Avventura
056 - Un oscuro ordito
Midda Bontor non era mai stata solita concedersi occasione utile a scoraggiarsi. Ciò non di meno, in buona parte della sua vita, ella avrebbe avuto a doversi riconoscere qual la figura più testarda presente in scena, in termini tali per cui, proprio malgrado, la caparbietà dimostrata da parte di Pitra Zafral nel difendere le proprie posizioni non avrebbe potuto ovviare a disorientarla, spingendola a domandarsi se davvero la propria fosse stata una scelta azzeccata.
Tuttavia, benché spingersi nel cuore stesso di Loicare non avrebbe avuto a dover essere riconosciuto necessariamente qual privo di problemi e di rischi, a fronte delle ultime informazioni giunte in loro possesso ella non avrebbe potuto ovviare a cercare quel contatto, e cercare quel contatto qual quello dell’unica risorsa a lei nota, e per lei sufficientemente affidabile, all’interno della complessa gerarchia di potere di quel mondo, di quel sistema stellare. Anche nell’ipotesi di poter vantare effettiva conoscenza nel merito dell’attuale identità della regina Anmel Mal Toise, informazione pur non in loro possesso, infatti, improbabile sarebbe stato per un pugno di uomini e donne, quali quelli propri della Kasta Hamina, poter pensare di offrire battaglia al cuore stesso di Loicare, il suo omni-governo, senza un qualche solido aggancio all’interno, qualcuno che potesse aiutarli a giungere sino al loro obiettivo senza, necessariamente, dover affrontare una delle più imponenti forze militari esistenti nell’universo conosciuto. E, proprio a tal fine, avrebbe avuto a doversi riconoscere l’utilità ipotizzata per il loro accusatore preferito… lo stesso che, purtroppo, in quel particolare momento, non si stava dimostrando particolarmente collaborativo nei loro riguardi.
Consapevole, in ciò, di non avere comunque alternative a trovare occasione di scendere a patti con lui, la Figlia di Marr’Mahew non avrebbe potuto permettere alla di lui ostinazione di prevalere su di lei. Anzi… a qualunque costo ella avrebbe avuto a dover trovare occasione, se non di condurlo dalla propria parte, quantomeno di innestare in lui il seme del dubbio, in termini tali che, con un po’ di fortuna, alla fine sarebbe stato proprio lui a rendersi conto di tutte le incoerenze in quanto stava lì accadendo, e sarebbe stato proprio lui a cercarla, nella necessità di scendere a patti con quella situazione, per quanto assurda essa avrebbe potuto essere giudicata innanzi al suo sguardo.
A interrompere, tuttavia, il loro confronto, e a interromperlo in quel momento voltosi a proprio apparente discapito, ebbe a subentrare l’insistente suono del campanello d’ingresso, un suono che, in verità, ella non avrebbe avuto a dover allora udire, giacché, nella presenza a guardia dell’appartamento di Lys’sh e Be’Sihl, nessuno avrebbe avuto a doverli disturbare. Ergo, se quel campanello stava bussando, facile sarebbe stato intendere la presenza di una ragione di allarme, di pericolo, e un pericolo che, allora, avrebbe sicuramente fatto meglio a non sottovalutare…
« Perdonami un istante… » si scusò, pertanto, con il proprio anfitrione, muovendosi in direzione dell’ingresso all’appartamento, per andare a rispondere a quell’ossessivo richiamo.
« Ma prego… fai pure come fossi a casa mia. » ironizzò l’uomo, non negandosi, in un sospiro, di volgere lo sguardo metaforicamente verso il cielo, a invocare la clemenza di qualche entità superiore, e di qualche entità superiore nella cui benevolenza, allora, egli sarebbe riuscito a liberarsi di quell’incomoda ospite, arrogatasi il diritto di gestire casa sua come fosse propria « Non che finora non ti sia presa ogni libertà… » puntualizzò, quasi a voler ovviare a equivoci di sorta nel merito dell’intento di quella propria sarcastica osservazione, nell’eventualità in cui ella non avesse a comprendere quanto, da parte sua, tutto ciò avesse a doversi intendere, per l’appunto, un intervento a dir poco causticamente grottesco.
Malgrado l’impegno ad apparire mordace nel proprio intervento, e, addirittura, a esplicitare quanto, per l’appunto, tale intervento non avesse a dover essere frainteso nelle proprie ragioni, l’Ucciditrice di Dei non sembrò particolarmente impressionata da tutto ciò. Al contrario, ella parve ignorare completamente la sua risposta, così come se egli non avesse neppure aperto bocca. E come se egli non avesse aperto bocca, né avesse ragione per obiettare qualcosa nel confronto con l’arrogante libertà che ella si stava riservando entro i confini del suo appartamento, la donna guerriero si mosse sino alla porta d’ingresso, aprendola con un gesto delicato, ma deciso, della propria mancina, non avendo da temere, idealmente, nessuna minaccia da là fuori, nella fiduciosa certezza di quanto, qualunque problema avrebbe potuto mai esservi, i suoi amici sarebbero stati in grado di affrontarlo.
La porta, tuttavia, non fece neppure in tempo a dischiudersi che una rapida e agile figura femminile ebbe ad avanzare all’interno dell’appartamento, dimostrando una decisa concitazione e, in tal senso, immediatamente richiudendo l’uscio alle proprie spalle, quasi a impedire a qualche minaccia esterna di poter varcare, a sua volta, quel passaggio. E se agitati ebbero a risultare i suoi gesti, pari senso di ansia ebbe a trasparire dal suo volto, un volto più che noto alla Figlia di Marr’Mahew, nell’essere quello della propria amica sororale Lys’sh.
« Che succede…? » domandò, quindi, ella, ponendo istintivamente mano all’impugnatura della propria spada bastarda, nel prepararsi al peggio, in qualunque sembianza esso avrebbe avuto a presentarsi « Dov’è Be’Sihl…?! » soggiunse poi, non potendo ovviare a portare il proprio preoccupato pensiero al suo amato, e al suo amato evidentemente rimasto fuori dalla porta, in compagnia di qualunque minaccia potesse sussistere all’esterno dell’appartamento.
« Una donna… una donna ci ha aggrediti. » annunciò con fare concitato la giovane ofidiana, osservando l’amica con occhi sgranati per lo spavento « Non so chi fosse, né cosa volesse… ci ha attaccati e ha steso Be’Sihl con un sol gesto. » scosse il capo, a sottolineare quanto, purtroppo, egli non avesse avuto molte possibilità di difesa nel confronto con una tale antagonista « Nell’enfasi della lotta sono riuscita a precipitarla giù dalle scale… ma temo non abbia a doversi considerare qual una soluzione definitiva. » puntualizzò, piegando la linea della propria bocca, e quella linea non ornata da labbra, verso il basso, a dimostrare tutto il proprio disappunto a tal riguardo « Dobbiamo andarcene di qui… prima che ella ritorni! »
In ubbidienza alla preoccupazione per la sorte del proprio amato, Midda avrebbe allora aperto la porta e si sarebbe precipitata fuori, a cercare di raggiungerlo e ad affrontare, per proteggerlo, qualunque minaccia avrebbe mai potuto attenderla là fuori. In ascolto, tuttavia, a un minimo di raziocinio tattico, nel confronto con l’evidente sconvolgimento che quell’avversaria era stata in grado di imporre a una combattente esperta qual Lys’sh, ella non avrebbe dovuto agire con eccessiva imprudenza, gettandosi a cercare il cieco confronto, a testa bassa, con qualunque minaccia là fuori potesse star attendendola. E se una minaccia là fuori la stava attendendo, una persona avrebbe dovuto avere a riconoscersi, certamente, informata a tal riguardo… l’accusatore Pitra Zafral!
Così, allorché offrire ascolto al proprio cuore, ella ubbidì ai dettami della propria mente, e si volse per fare rapido ritorno verso la sala dove aveva lasciato il proprio prigioniero. E lì ritrovandolo, ancora seduto al tavolo attorno al quale si erano confrontati sino a quel momento, ella non esitò a muoversi con foga verso di lui, per porgli una questione tanto semplice quanto diretta…
« Oltre alla guardie che abbiamo steso, c’è qualcun altro preposto alla tua sicurezza…?! » lo inquisì, certa che la presenza di una tale avversaria, là fuori, non avrebbe avuto a doversi considerare in nulla qual casuale.
Prima, tuttavia, che egli potesse avere occasione di formulare una risposta, il suo istinto guerriero, quel sesto senso maturato in molti, troppi anni di battaglie, di guerre, utile a difenderla anche laddove la sua concentrazione avrebbe avuto a doverla riconoscere distratta su un diverso fronte, ebbe allora a imporle di cogliere un inquietante riflesso sulla superficie di vetro di un quadro posto alle spalle del proprio interlocutore, e un inquietante riflesso allora volto a palesare, alle proprie spalle, la medesima figura di Lys’sh lì improvvisamente impegnatasi a sollevare la propria arma verso di lei, per menare con quieta fermezza il colpo che l’avrebbe posta fuori combattimento.
mercoledì 24 aprile 2019
2890
Avventura
056 - Un oscuro ordito
« Ahia. » si lamentò, stringendo i denti e storcendo le labbra verso il basso, a dimostrare tutta la propria più quieta contrarietà nel confronto di quanto occorso e, in particolare, dell’essersi concessa opportunità di garantire a quell’uomo occasione di sorprenderla e di ribaltarla con tanta facilità.
« Non ho idea di chi voi siate o di cosa vogliate, ma ti posso assicurare che tu e la tua amichetta vi pentirete di essere venute a cercare rogne qui su Loicare! » avvisò l’uomo, un tipaccio sì poco raccomandabile, nell’aspetto, nei modi e, soprattutto, nella propria imperiosa stazza, da lasciar supporre, senza eccessivo sforzo di immaginazione, a uno strano incrocio fra un umano e un tauriano, o, forse, fra un umano e un ursiano, qual unica giustificazione all’esistenza di un simile individuo.
E se la carica di quell’individuo non avrebbe potuto ovviare a preoccupare chiunque, avesse il di lui potenziale antagonista a dover essere riconosciuto qual un esperto guerriero piuttosto che all’ultimo degli scudieri, Rula non ebbe occasione di maturare effettiva ansia al confronto con quell’immagine, con quella scena, nell’evoluzione che presto essa ebbe a riservarsi, e a riservarsi nell’ingresso, all’interno del suo campo visivo, della mirabile bruna bellezza della straordinaria Duva Nebiria, sua amica, compagna d’arme, nonché primo ufficiale, la quale sino a lì sopraggiunse giusto in tempo per andare a colpire, con il pomello della propria spada, il retro della nuca di quell’uomo, e colpirlo, allora, nel mentre di una costretta elevazione, di un necessario salto lì utile a spingerla a coprire l’inquietante altezza di quell’individuo.
Un colpo deciso, un colpo secco, quello che ella non si frenò dal precipitare mirando alla congiuntura fra il collo e il cranio, che non avrebbe potuto perdonare alcuno e che, in quel mentre, non ebbe a dimostrare per lui la benché minima misericordia, spegnendo istantaneamente la sua coscienza e lasciandolo precipitare a terra come una marionetta alla quale fossero stati tagliati i fili.
« Mi stavo iniziando a preoccupare! » la salutò Duva, sorridendo sorniona, non priva di una certa soddisfazione nel vedere precipitare a terra quel bestione, pur consapevole di quanto, allora, la battaglia non avrebbe avuto a doversi fraintendere qual conclusa, quanto e piuttosto semplicemente iniziata « Te la sei presa un po’ troppo comoda, eh…?! » si lamentò scherzosamente, tendendole la propria mancina per aiutarla a rialzarsi, nel contempo in cui, un attimo dopo, si ritrovò a levare la propria destra, e la spada lì impugnata, a proteggersi da un fendente, e da un brutale fendente a lei destinato da uno dei loro ancor non meglio definiti antagonisti.
« … sono stata un po’ impegnata a imparare a volare. » ironizzò Rula, per tutta replica, scuotendo appena la testa nel non piacevolissimo ricordo dei propri due balzi, e di quei due balzi, in verità, terminati entrambi nel modo migliore, e che, ciò non di meno, non si sarebbe arrischiata a ripetere… non quantomeno e di certo nell’immediato « Sai che non è per nulla facile senza un paio di ali sulla schiena?! » sorrise divertita, lasciandosi accompagnare a rialzarsi dal gesto dell’amica e, in tal senso, proseguendo nell’impeto di quel movimento, fino a catapultarsi volontariamente in contrasto all’antagonista precipitatosi in tuo contrasto, per rispondere a quell’offensiva a discapito della propria compagna né più né meno come avrebbe potuto rispondere fosse stato diretto contro di sé, costringendo la controparte a ritrarsi, e a ritrarsi nel non volersi ritrovare spiacevolmente sventrato da un tondo all’altezza del suo basso addome.
« Ammetto di poterlo solo immaginare, giacché non ho mai avuto il piacere di tentare di imparare a volare. » osservò l’altra, magnifica bellezza dalla pelle color della terra e dai muscoli guizzanti al di sotto di tale epidermide, non mollando la mano dell’amica, o, per meglio dire, il suo polso, attorno al quale aveva racchiuso le dita della propria mancina, al solo scopo di sfruttare la spinta da quest’ultima riservatasi in conseguenza al suo aiuto, al solo fine di lasciarsi a sua volta trascinare in quel gesto, in quel movimento, roteando attorno a lei, e proseguendo oltre, quasi in una sorta di danza, di ballo popolare, accompagnato, tuttavia, nelle loro estremità libere dalla presenza delle rispettive lame, e di quelle lame che, simili a un mulinello di lucente acciaio, avrebbero rappresentato una ben spiacevole promessa di morte per chiunque avesse avuto l’ardire di avvicinarsi troppo a loro « Alla fine sei riuscita a farlo…? » incalzò nella curiosità attorno a quel tema, nel mentre in cui, così avanzata oltre di lei, non mancò di incalzare ancora in offesa a colui che tanto le aveva tentato di imporre danno, raggiungendolo, volutamente con il piatto della lama, all’altezza delle ginocchia e lì imponendogli un colpo tanto violento da sbalzarlo, letteralmente, con le gambe in aria, prima di lasciarlo precipitare pesantemente a terra, tramortito per effetto di quella stessa caduta.
« All’incirca… anche se, lo ammetto, più che imparare a volare credo di aver imparato a cadere. » osservò l’altra, con quieta autocritica e ammissione dei propri limiti, non potendo altresì considerare di aver effettivamente volato, quanto e piuttosto di aver contenuto, in maniera sufficientemente decorosa, i più negativi effetti propri della gravità « Attenta che tiro! » la avvisò poi, rendendosi conto dell’arrivo, alle loro spalle, della carica di altri due uomini desiderosi di regolare i conti con loro e, in questo, decidendo di proseguire in quella tattica tanto improvvisata, quanto tuttavia evidentemente efficace, nel mantenere la stretta attorno al polso dell’amica e, in ciò, non nel proseguire nella direzione inizialmente intrapresa, quanto e piuttosto nell’invertire il loro senso di marcia, e nell’invertirlo tirando verso di sé Duva e imponendole, e imponendosi, una nuova rotazione, e una nuova rotazione che, di conseguenza, potesse precipitarla verso la nuova minaccia, a riprendere in tal direzione quella loro elegante danza di guerra.
Legate l’una all’altra da quella reciproca stretta attorno ai polsi mancini, e armate, entrambe, nelle proprie destre, le due donne, una accanto all’altra, l’una in verso opposto all’altra, turbinarono in tal maniera attraverso i loro avversari ancora diverse volte, sbalzandosi reciprocamente una volta in avanti, una indietro, al fine di presentarsi sempre unite e sempre vicine innanzi a qualunque antagonista, a qualunque avversario, in termini probabilmente non così congeniali rispetto all’iniziale intento di coglierli su due fronti opposti e, ciò non di meno, egualmente efficaci nell’affrontare quella compagine tutt’altro che compatta di avversari, e di avversari che, comunque, a seguito dei primi confronti, dei primi contrasti, già si erano mischiati a sufficienza da non aver più a dover essere considerati qual un’unica entità in contrasto alla quale muoversi, quanto e piuttosto una folla disordinata, e una folla disordinata, di conseguenza, da affrontare in modi e in termini assolutamente non preordinati, per essere sempre in grado di presentarsi contro l’avversario giusto al momento giusto.
Modi e termini che, per quanto improbabile, quell’improvvisata sinergia sembrò loro garantire, e garantire in maniera non soltanto meritoriamente acclamabile, quanto e piuttosto anche squisitamente elegante nella propria esecuzione, e in quell’esecuzione che, addirittura, vide la giovane Rula essere sospinta, nell’ennesima giravolta, a correre estemporaneamente su una delle pareti del vicolo, nel ristretto spazio su quel fronte per lei allora offerto e nella necessità, comunque, di proiettarsi più in là, e più in là di precipitare con foga guerriera sulle teste di tre antagonisti in furente carica a loro discapito…
« Beh… non sarà volare, ma devo ammettere che gli si avvicina parecchio! » non mancò di complimentarsi Duva nel confronto con quel gesto, e quel gesto che, proprio malgrado, non aveva previsto, aver mal misurato la profondità a disposizione dell’amica nella concitazione di quel momento, di quel bellicoso turbinio di uomini e di lame « Tanto di cappello, amica mia! »
« E’ più incoscienza che bravura, la mia! » minimizzò tuttavia la destinataria di quel plauso, riconoscendo quando, in effetti, non avrebbe avuto a doversi considerare per nulla confidente con la possibilità di compiere quell’ennesimo breve volo, salvo essersi lasciata prendere dalla foga e, in ciò, non essersi concessa particolari possibilità di dubbio nel merito della riuscita o meno di un tale gesto.
« Incoscienza è soltanto quella di questi disgraziati, che davvero si illudono di avere una qualche occasione in nostro contrasto! » rettificò tuttavia la prima, scuotendo il capo e preparandosi a imporre all’amica una nuova occasione di volo, nel ravvisarne la necessità sul fronte opposto e, in ciò, nel non avere neppure a porla in guardia, affidandosi completamente alla loro intima intesa nella certezza di quanto, allora, ella avrebbe ben inteso cosa compiere e in che maniera.
martedì 23 aprile 2019
2889
Avventura
056 - Un oscuro ordito
« Signorina Zaurr… » la apostrofò, di nuovo all’improvviso, la solita voce dell’anziana signora Corphra, evidentemente tutt’altro che desiderosa di avere a riconoscerle la serenità da lei domandata « Mi perdoni ancora una domanda: quando ha detto che passerà di nuovo per quel controllo…?! »
« Miseriaccia… » ebbe il tempo di sussurrare la giovane moglie del capitano Rolamo, prima che la battaglia avesse allor inizio.
Se la prima volta, infatti, l’occorrenza dello scambio di battute fra lei e quell’insistente interlocutrice le era stata perdonata in maniera benevolmente gratuita dagli dei, o da qualunque forza superiore in quel momento stesse orchestrando la gestione di quegli eventi, non vedendo subentrare a suo discapito alcuna immediatamente conseguenza, e, soprattutto, alcuna immediata e fatale conseguenza; quel secondo intervento, purtroppo, ebbe a dimostrare nei loro riguardi decisamente minore tolleranza. Minore tolleranza, per lo meno, per quanto allora utile a veder esplodere una violenta sequenza di spari che, fortunatamente non eccessivamente precisi nella propria mira, ebbero a scaturire dal basso verso l’alto, e verso l’alto allor rappresentato su un fronte dalla stessa signora Corphra, e sull’altro dalla povera Rula, necessariamente elette qual bersaglio di tanta furia, di simile violenza.
Un grido fu l’ineluttabile reazione della signora Corphra a quanto stava lì allor occorrendo, nel mentre in cui, tremante e con il pelo gonfio in volto e sulle mani, ebbe a ritirarsi rapidamente all’interno del proprio appartamento, finalmente allontanandosi, fortunatamente indenne, da quella pericolosa finestra. Un’imprecazione sibilata fra i denti fu, parimenti, l’obbligata reazione della povera Rula Taliqua, la quale, gettando un necessariamente rapido e disattento sguardo sotto di sé, fu costretta a lasciarsi andare, ad abbandonare la tanto faticosamente conquistata presa su quella conduttura, per concedere alla forza di gravità di fare il proprio necessario corso e, in ciò, di precipitarla al suolo, in termini che non avrebbero avuto allora a doversi considerare piacevoli e che, tuttavia, sarebbero sicuramente risultati meno sgradevoli rispetto al ritrovarsi colpita da uno dei fasci laser che, in quel momento, stavano venendo proiettati verso di lei, sempre con maggior cura della mira.
Così, abbandonandosi alle leggi della fisica, ella non cercò più di contrastare la propria caduta al suolo, quanto e semplicemente di accompagnarla, e di accompagnarla in misura tale da minimizzare i danni che, in conseguenza a quel pur non banale volo, avrebbero potuto conseguire per lei. Allorché irrigidire i propri muscoli, così come pur la situazione avrebbe potuto suggerirle a livello psicologico, ella si sforzò quindi di ammorbidirli, nella volontà non di contrastare il pur inevitabile urto, quanto e piuttosto di assorbirlo, e di assorbirlo, con la stessa flessibilità propria di un felino, o di un feriniano, consapevole di dover, in tal senso, impegnarsi ad accompagnare il contatto con il suolo, e, soprattutto, di dover dedicare tutta la propria attenzione, tutto il proprio sforzo, nel reindirizzare la propria energia cinetica in altra direzione differente da quella eguale e opposta a quella della medesima caduta, laddove, altresì, l’impatto sarebbe stato allor probabilmente letale. E se pur sol il tempo proprio di un battito di ciglia ebbe a esserle concesso per affrontare tutto quello, la scarica di adrenalina che non mancò di inebriarla in concomitanza a quegli eventi non poté ovviare a sconvolgerla, e a sconvolgerla nella misura allor utile a mantenere quel lucido controllo necessario per compiere tutto ciò e, in tal senso, per sopravvivere a se stessa e alla propria probabilmente mal commisurata audacia.
Volando a terra, così, coprendo i diversi piedi di altezza che ancor la separavano dal contatto con il suolo, la giovane donna si dimostrò capace di atterrare al suolo con una pur ammirevole grazia, e l’eleganza utile a vederla, in quel mentre, rotolare in avanti, in un paio di ben soppesate capriole, utili a rallentare il proprio moto, il proprio incedere, sino a un completo arresto, senza, in questo, aver a subire eccessivi danni, lì mirabilmente limitati soltanto a qualche escoriazione superficiale e a una leggera contusione, ma non alla ben più temuta frattura di un arto. E se pur quel nuovo balzo non ebbe a tradirla, ella non ebbe a potersi concedere neppure un fugace istante utile a gioire per il proprio successo… non laddove, quantomeno, non avesse desiderio di ritrovarsi sgradevolmente esposta a nuovi attacchi, e a nuovi attacchi che, certamente, non avrebbero avuto occasione di dimostrarsi meno letali di quanto non avrebbe potuto essere un’evoluzione meno apprezzabile di quel volo.
« Beh… direi che ci siamo. » sospirò ella, estraendo, allora, la propria arma, un efficace cannoncino sonico, e immediatamente aprendo il fuoco, nel generare, in tal senso, un’amplia e violenta onda d’urto che ebbe a travolgere chiunque innanzi a lei, senza esigere, da parte sua, una mira particolarmente appropriata né, tantomeno, l’effettiva individuazione dei propri antagonisti, sino a quel momento, obiettivamente, ancor neppure inquadrati nella propria presenza.
Diversamente da un’arma laser o da una al plasma, un’arma sonica avrebbe potuto vantare, infatti, accanto a un approccio non necessariamente letale, un campo di azione decisamente più amplio, ossia esattamente quanto lì necessario alla giovane donna per poter replicare all’attacco a lei rivolto pur non potendo vantare, sostanzialmente, alcuna reale confidenza nei riguardi della precisa posizione dei propri antagonisti né, tantomeno, del proprio numero: un’efficacia più grezza, sicuramente, ma non per questo meno marcata, il prezzo della quale, tuttavia, avrebbe avuto a doversi qualificare in tempi di ricarica decisamente maggiori rispetto a quelli propri delle alternative, tempi che, in effetti, per un’arma laser avrebbero avuto a doversi riconoscere praticamente immediati, mentre per un’arma al plasma avrebbero avuto a esigere del tempo, sì, ma in misura comunque inferiore rispetto a quello proprio di un’arma sonica.
Così, alla prima, violenta esplosione sonica, ella non ebbe a poter immediatamente lasciarne seguire una seconda, avendo in ciò a doversi riservare un intervallo d’attesa pericolosamente prolungato, e un intervallo d’attesa a confronto con il quale, allora, la cosa migliore da fare sarebbe stata quella di approfittare dello scompiglio generale per rialzarsi, e per precipitarsi alla carica dei propri avversari, nella necessità di trasferire il livello di quello scontro da uno scontro a distanza a un impegno fisico, così da tentare di riservarsi un maggiore controllo sull’evoluzione di quel conflitto, e, soprattutto, sulla natura e sul numero dei propri antagonisti, l’incognita nel merito dei quali avrebbe avuto a doversi giudicare, a margine di tutto ciò, la sua carenza più marcata. Senza contare che, continuando a far fuoco con la propria arma sonica, ella avrebbe corso il rischio di aver a coinvolgere in quell’onda d’urto anche la propria compagna d’arme, nel momento in cui ella fosse avanzata all’interno del vicolo, in termini che, presumibilmente, di lì a breve avrebbero avuto a dover occorrere.
Dimenticando il cannoncino sonico appeso al proprio fianco, ed estraendo allora una corta daga, Rula non esitò a proiettarsi in avanti, e a proiettarsi in avanti nel sfruttare quei pochi istanti di quiete che le avrebbero potuto lì essere offerti in conseguenza al colpo sonico appena esploso, per raggiungere i propri antagonisti e, soprattutto, per scoprire chi essi avrebbero avuto a dover essere individuati essere. Antagonisti i quali, in quel contesto, non mancarono così di apparire al suo sguardo, alla sua attenzione, ancora a terra, ancora frastornati per quanto subito, e, in parte, già fuori combattimento, in una notizia quantomeno gradevole nel confronto con il loro numero inoppugnabilmente superiore, e superiore, per quanto ella ebbe la possibilità di contare in tale esordio, almeno nell’ordine di una dozzina di unità in più rispetto a quanto non avrebbe potuto essere considerata la loro corrente forza offensiva, composta, per il momento, soltanto da lei e da Duva… o, in effetti, soltanto da lei, laddove Duva, ancora, non aveva fatto la propria comparsa in scena.
Con colpi decisi, quindi, Rula si avventò innanzitutto sulle armi da loro impugnate, per averle ad allontanare dalle loro mani e, in ciò, per aver a costringere quel conflitto a un diverso livello, e a un livello decisamente più fisico. Livello fisico occasione della quale, tuttavia, non le fu negato dall’insorgere di un uomo decisamente massiccio, un manrovescio del quale la raggiunse in maniera assolutamente inaspettata, slanciandola violentemente a diversi piedi di distanza dalla posizione da lei sino ad allora raggiunta…
lunedì 22 aprile 2019
2888
Avventura
056 - Un oscuro ordito
Negare una certa sorpresa a fronte del proprio inatteso successo, per Rula, sarebbe equivalso a mentire, e a mentire spudoratamente innanzitutto a se stessa.
Se, infatti, nel compiere quel salto ella aveva posto innanzi a sé tutto il proprio cuore, tutta la propria forza d’animo, negandosi ogni occasione di timore o di ripensamento, con un’audacia incommensurabile sì prossima all’autolesionismo; la parte più razionale della propria mente, del proprio intelletto, non avrebbe potuto ovviare a presupporre un pessimo esito negativo per tutto ciò, in misura tale per cui, che ella potesse accettarlo o meno, molto probabilmente avrebbe finito per schiantarsi spiacevolmente al suolo, rompendosi qualche osso e fallendo miseramente nel proprio proposito… o forse no. Perché, in verità, anche laddove ella non ne fosse uscita indenne, certamente quella sua caduta avrebbe finito per attrarre l’interesse, l’attenzione di coloro lì appostati a minaccia della propria amica, attirandone l’attenzione e finendo, necessariamente, per fungere da diversivo, esattamente per così come sarebbe stato utile avvenisse. Insomma, qualunque esito, per quel volo, avrebbe comunque condotto, speranzosamente, a un esito positivo anche per la sua missione. E solo ciò, dal proprio punto di vista, avrebbe avuto valore.
Al di là di quanto, a prescindere dalla propria sorte, il risultato finale non avrebbe avuto a mutare nelle proprie dinamiche, essere riuscita, in maniera sorprendentemente inattesa, a compiere quel volo, e a compierlo esattamente per così come immaginato, giungendo ad aggrapparsi indenne a quella conduttura, non mancò di rappresentare per la giovane donna un piacevole traguardo, e un piacevole traguardo utile non soltanto a rinfrancare la propria autostima, ma, anche, a offrirle conferma di quanto, probabilmente, ella fosse solita sottovalutare le proprie capacità, le proprie potenzialità, sminuendosi, immeritatamente, nel confronto con quanto, altresì, avrebbe potuto ottenere, con quanto avrebbe potuto raggiungere.
Più che lieta, quindi, ella non poté che scoprirsi essere innanzi a quel primo trionfo, galvanizzata in esso nelle proprie speranze di successo, in termini tali per cui, forse, schierarsi sola nel confronto con un numero imprecisato di non meglio definiti avversari, non avrebbe necessariamente rappresentato un suicidio. Ma prima di giungere a ciò, ella avrebbe avuto a dover conquistare una posizione migliore rispetto a quella da lei allora occupata. E, soprattutto, avrebbe dovuto raggiungere tale posizione, possibilmente, senza attirare l’attenzione dei propri potenziali antagonisti, in termini tali per cui, obiettivamente, ancora alcuna certezza avrebbe potuto essere da lei vantata. Il fatto di essere riuscita a compiere quel salto, infatti, non avrebbe necessariamente significato essere riuscita a compierlo senza attrarre, malamente, l’interesse degli uomini e delle donne lì appostati, e, in ciò, da un istante all’altro un qualche colpo di arma da fuoco, laser o al plasma che dir si volesse, avrebbe potuto quietamente raggiungerla, e sancire per lei una ben tragica conclusione al proprio solitario operato.
Fortunatamente, nell’inalterato rumore di fondo che ebbe ad accompagnare gli istanti successivi al suo balzo, Rula poté quietamente intuire quanto inosservato fosse riuscito a risultare il suo atto, sì plateale, e pur compiuto a una distanza tale da terra da non poter essere colto da alcuno, nell’assenza, da parte anche della più prevenuta sentinella, di ragioni utili a levare lo sguardo sin lassù, a condurre la propria attenzione verso quel punto. Così, rassicurata nuovamente di quanto, sino a qual momento, la fortuna stesse proverbialmente arridendo la sua audacia, la giovane donna si impegnò, con gesti leggeri e delicati, a ridiscendere lungo quella tubatura, nella speranza di raggiungere, con la stessa discrezione che sino a quel momento l’aveva accompagnata, il livello del suolo.
« Ehy… ma cosa ci fa lì appesa…?! »
Ad attrarre, tuttavia e spiacevolmente, la sua attenzione, intervenne allora una voce per lei non completamente ignota, sebbene, al tempo stesso, neppur effettivamente conosciuta.
In effetti, non fosse essa stata l’ultima voce udita a eccezion fatta della propria, probabilmente Rula non avrebbe neppure avuto possibilità di riconoscerla: ma non avendo avuto altre distrazioni nel mezzo di tutto ciò, la voce propria dell’ultima persona con cui aveva avuto occasione di parlare non avrebbe avuto a poter essere fraintesa nel proprio riproporsi, per quanto, in quel momento, in quel frangente, in termini quantomeno inattesi.
« Signora Corphra! » esclamò Rula, voltandosi in direzione dell’edificio dal quale era appena balzata fuori solo per poter distinguere, affacciata alla finestra sotto a quella dalla quale era volata, la sagoma di una donna feriniana sulla sessantina, con una coppia di pesanti occhiali appoggiati sul naso e uno sguardo di critica disapprovazione dietro quelle spesse lenti, intenta qual era, allora, a osservarla, e a osservarla con severità « Cosa fa lei lì alla finestra?! Mi avesse sorpresa un po’ di più, avrei potuto anche cadere e farmi male! » la rimproverò, osservandola con aria seria, e definendo, implicitamente, in tal maniera, tutta la propria più assoluta ragionevolezza nel ritrovarsi in quel momento lì appesa, quasi avesse a doversi considerare la cosa più normale del Creato.
« … ma… io… » esitò l’anziana signora, tutt’altro che convinta da quell’argomentazione, e da quell’argomentazione volta a condurla dalla parte del torto benché, obiettivamente, in tutto quello sua avrebbe avuto a doversi riconoscere quieta ragione per la questione così formulata.
Come sovente accade nella vita, e, in particolare, nei rapporti interpersonali, quanto importante, in quel momento, non avrebbe avuto a doversi considerare la ragionevolezza, o la colpa, dell’una piuttosto che dell’altra, quanto e semplicemente la confidenza con la quale l’una sarebbe stata in grado di imporre all’altra un senso di totale correttezza nel proprio incedere, lasciando percepire alla controparte di essere in torto, e di esserlo nella propria più semplice curiosità, quasi quel medesimo interrogativo avesse a doversi giudicare assolutamente inopportuno.
E se, pur, nel proprio intervento la signora Corphra era stata in grado di spiazzare la propria interlocutrice, lì sorpresa dalla sua voce, e dalle sue parole; la quieta fermezza del rimprovero che Rula ebbe a muoverle si dimostrò capace di spiazzarla, colpevolizzandola per quanto pur avrebbe avuto a doversi riconoscere un suo quieto diritto, e costringendola, in ciò, a chinare lo sguardo con aria tristemente rassegnata…
« Avanti, signora Corphra. Rientri in casa, per cortesia! » la incalzò la giovane donna, scuotendo appena il capo e facendole gesto con la mano di ritrarsi, preoccupata, in quel momento, non soltanto per se stessa ma anche per lei, laddove, se soltanto più in basso vi fosse stata evidenza di quello scambio di parole, troppo facilmente anche quell’anziana feriniana avrebbe potuto ritrovarsi esposta al fuoco avversario, ritrovandosi spiacevolmente coinvolta in una questione più grande di lei, e di fronte alla quale avrebbe avuto a doversi giudicare, a ragion veduta, del tutto innocente « Mi lasci finire di lavorare… tanto, come le ho promesso, ci risentiremo presto! » mentì spudoratamente, risultando tuttavia estremamente convincente nella propria interpretazione, al punto tale che, la sua diretta interlocutrice, altro non poté fare che annuire e ritrarsi all’interno dell’appartamento, richiudendo la finestra che aveva aperto solo per poterle rivolgere la parola.
Ancora un istante di silenzio e di immobilità fu quello che, dopo quel fugace momento di interruzione, Rula ebbe a volersi riservare e a volersi riservare nella necessità di comprendere se fosse stata capace, senza merito alcuno, di sfuggire all’attenzione dei propri supposti avversari o se, semplicemente, di lì a un istante dopo un qualche colpo d’arma da fuoco si sarebbe divertito a tirarla bruscamente giù da lì.
Fortunatamente, tuttavia, e come già pocanzi, la quiete che ebbe allora lì a imperare sembrò suggerire quanto, in gloria a qualunque divinità la stesse assistendo, nessuno, più in basso, si fosse reso conto di quanto stesse avvenendo, essendosi probabilmente ritrovate, le loro voci, coperte dal rumore di fondo di una città comunque viva e indaffarata, qual era quella a loro circostante. Così, tirando un profondo sospiro di sollievo, la giovane riprese la propria delicata e silenziosa discesa, sperando di non avere più a essere interrotta da nuovi, inattesi interventi.
domenica 21 aprile 2019
2887
Avventura
056 - Un oscuro ordito
Purtroppo anche quell’ennesimo attacco sfumò nel nulla, in una riconfermata situazione di fondamentale equilibrio fra le parti, e di un equilibrio che, né gli uni, né tantomeno l’altra, sembravano essere in grado di infrangere, malgrado tutti i propri sforzi. Poiché se da un lato l’affondo della sconosciuta ebbe a incontrare la difesa dell’ofidiana, dall’altro l’offensiva dello shar’tiagho ebbe a ritrovarsi, nuovamente, sfogata verso l’aria, e verso quella vuota aria che la loro avversaria ebbe premura di concedere ai suoi gesti, sottraendosi, con elegante rapidità al ruolo di vittima pensato per lei. E laddove quello stallo non pareva offrire spazio alcuno a sviluppi alternativi, null’altro riservando loro che un costante e continuo pareggio, fu allora che qualcosa accadde, e accadde a sparigliare le carte in tavola in maniera così improvvisa, e sorprendente, in termini tali per cui, che potessero desiderarlo o meno, Be’Sihl e Lys’sh non poterono ovviare a restarne sorpresi, offrendo, per un fugace istante, il fianco scoperto alla loro antagonista.
Nel mentre di quella situazione sfiancante, infatti, la porta dell’ascensore tornò ad aprirsi al loro piano, al loro livello, a presentare nuovamente, in maniera del tutto imprevista, e obiettivamente imprevedibile, proprio la medesima figura femminile contro la quale, in quel frangente, i due compagni della Figlia di Marr’Mahew si stavano ponendo impegnati a combattere…
« … » esitò Be’Sihl, voltatosi in quella direzione a temere il sopraggiungere di nuove minacce, e, in tal senso, ritrovatosi improvvisamente riportato indietro nel tempo… o quasi.
In fondo a quel corridoio, quasi come se effettivamente il normale flusso del tempo fosse stato improvvisamente soverchiato e ogni evento fosse stato ricondotto a pochi minuti prima, prima dell’inizio di quel conflitto, la medesima donna che, pur, ancora, si stava lì impegnando in loro contrasto, si offrì distrattamente intenta a lasciare la cabina dell’ascensore, trasportando seco i due pesanti sacchetti della spesa e parlando con un non meglio identificato interlocutore, attraverso i propri auricolari.
« … cosa vuol dire che stasera non vieni a cena?! » si stava lamentando, rivolgendosi nuovamente al proprio ignoto interlocutore o interlocutrice che dir si volesse in quel frangente, esattamente così come era avvenuto poco prima.
Ma se, poco prima, ad accogliere quella sconosciuta era stato un corridoio sgombro e privo di qualunque possibilità di interesse, fatta eccezione per la presenza dell’uomo e dell’ofidiana a quieta sorveglianza dell’ingresso dell’appartamento di Pitra Zafral in sostituzione alle due guardie lì originariamente presenti e già da tempo legate e imbavagliate dentro un ripostiglio; in quel momento, in quel mentre, a dare il bentornato a casa a quella figura, o, quantomeno, alla sua seconda istanza, non mancò di essere quel vero e proprio campo di battaglia, là dove un uomo e un’ofidiana stavano lottando apertamente in contrasto a… una donna a lei del tutto identica!
« Ahhhh! » ebbe così a gridare la nuova arrivata, sgranando gli occhi con fare spaventato e lasciando cadere a terra le due borse colme della propria spesa, nel mentre in cui, con una certa ansia, tento di rientrare nell’ascensore alle proprie spalle, l’accesso al quale, tuttavia, non appariva più possibile nell’essere, questi, probabilmente stato richiamato nel contempo di ciò a un altro piano dell’alta torre di vetro e metallo « Ahhhh! » insistette, picchiando un pugno contro quella porta chiusa, in un gesto irrazionale e pur lì giustificati dalla follia di eventi incomprensibili dal proprio personale punto di vista, così come, obiettivamente, anche da quello di due dei tre protagonisti della scena, i quali non avrebbero potuto obiettivamente comprendere il senso di quanto lì stava avvenendo.
« … ma che diav…?! » si ritrovò a essere necessariamente distratta anche Lys’sh, la quale sino a quel momento, sino a quelle grida, aveva tentato di non lasciarsi distrarre, salvò, a confronto con tutto ciò, non poter mancare di portare, per un breve, fuggevole, e tuttavia imperdonabile, istante il proprio sguardo in direzione di quei nuovi eventi, e di quei nuovi eventi assolutamente incomprensibili, soprattutto nel considerare quanto la prima sconosciuta lì sopraggiunta fosse ancora innanzi a loro, impegnata a cercare un’occasione utile per sopraffarli.
Occasione, quella da lei attesa, e che le venne quindi così offerta, che non ebbe a essere ignorata nella propria occorrenza. E per quanto, proprio malgrado, Be’Sihl e Lys’sh si fossero ben impegnati, sino a quel momento, a tentare di non offrire, né metaforicamente, né fisicamente, il fianco scoperto alla propria avversaria, quanto accadde in quel frangente lì portò, spiacevolmente, ad abbassare la guardia, a concedersi quel pur fugace, e ciò non di meno letale, momento di distrazione tale per cui, là dove un istante prima il combattimento avrebbe avuto a doversi considerare in stallo, un attimo dopo tutto si era risolto, e si era drammaticamente risolto nel peggiore dei modi possibili, vedendoli costretti entrambi a precipitare a terra privi di sensi, per effetto di una violenta scarica di energia attraverso i propri corpi.
« Ahhhh! » continuò a gridare, quasi isterica, la nuova arrivata, premendo in maniera compulsiva il pulsante per richiamare l’ascensore, nel mentre in cui, con sguardo terrorizzato, si ritrovò testimone di quegli eventi, della conclusione di quel conflitto e, in tal senso, della vittoria della propria inquietante sosia, chiunque ella fosse, su quella coppia un istante prima schierata in sua opposizione.
« E smettila di starnazzare come un’anatra spaventata… » protestò la sua immagine riflessa, volgendo a lei lo sguardo e, in tal senso, offrendole soltanto un giudizio impietoso, per quanto, in effetti, avrebbe avuto a doverla ringraziare per l’imprevista, ma utile, collaborazione così offertale.
In tal modo rimproverata, l’ultima sopraggiunta sulla scena si ammutolì di colpo, nell’iniziare ora a temere il peggio, e a temerlo per la propria stessa sopravvivenza.
Ma se pur, per un istante, vi fu una fuggevole parvenza di lucidità nella mente della donna schiacciata contro la porta dell’ascensore, breve fu il suo autocontrollo. Breve, per lo meno, quanto il tempo per colei che, un attimo prima le si stava proponendo qual un’immagine riflessa, per iniziare a distorcersi, rimodellandosi in maniera grottesca e oscena innanzi al suo attonito e terrorizzato sguardo, nel rimodellare, sotto la pelle, i suoi zigomi, le sue forme, le sue proporzioni, ad assumere caratteristiche diverse, ad assumere contorni diversi, e, addirittura, invero, caratteristiche allor non umane.
Perché laddove un attimo prima il gradevole viso di quella donna umana avrebbe avuto a dover essere riconosciuto impresso sul suo volto, un istante dopo il non meno gradevole, ma completamente alieno, viso di un’ofidiana aveva fatto la sua apparizione, nella scomparsa del suo naso, dei suoi capelli, delle sue orecchie, delle sue labbra, e nell’apparizione, altresì, sulla sua epidermide, di quelle sottili e vellutate scaglie componenti la sua pelle, in meravigliose sfumature smeraldine. E laddove i suoi occhi, un istante prima, avrebbero avuto a dover essere riconosciuti quali quelli della propria attuale interlocutrice, un attimo dopo erano stati sostituiti da quelli altresì propri di un’ofidiana, con nere pupille verticali. Una mutazione, quella così in corso, che non restò confinata entro il limitare del suo volto, ma che, nel contempo di ciò, ebbe a sconvolgere il suo intero corpo, a partire dalla sua altezza, dalle proporzioni del suo fisico, per poi passare ai più minimi dettagli, inclusi gli stessi abiti che, quasi fossero una semplice estensione della sua carne, si ebbero a tradurre in forme e colori diversi. Forme e colori, quelli dei suoi abiti, del suo corpo e del suo volto, che non avrebbero potuto essere in alcun modo equivocati nel proprio intento di emulazione, nella propria volontà di rubare, ancora una volta, l’identità di qualcuno, e di qualcuno che, allora, avrebbe avuto a dover essere intesa, senza dubbio alcuno, senza la benché minima possibilità di incertezza, in quella della stessa Har-Lys’sha, lì priva di sensi a terra.
E nel ritrovare il proprio volto mutato in quello dell’ofidiana, il proprio corpo trasformato in quello di quella chimera, l’ultima sconosciuta lì sopraggiunta non poté ovviare a essere sopraffatta dal terrore, perdendo coscienza di sé e ricadendo come bambola inanimata sul pavimento, nel mentre in cui, finalmente, la porta dell’ascensore ebbe a riaprirsi, ormai inutilmente, dietro di lei.
sabato 20 aprile 2019
2886
Avventura
056 - Un oscuro ordito
Se Lys’sh fosse stata un po’ più sensibile sull’argomento, probabilmente quelle parole avrebbero potuto risultare per lei d’offesa.
Pur esistendo, infatti, nell’universo conosciuto, dozzine e dozzine di specie senzienti e tecnologicamente progredite, in misura tale da potersi permettere di viaggiare attraverso il cosmo a bordo di navi interstellari; due in particolare avrebbero avuto a doversi riconoscere, per un’incomprensibile fatalità o per l’influenza di un’entità superiore, quali predominanti nella propria diffusa presenza fra i vari mondi, fra i vari sistemi, e non per un semplice discorso di colonizzazione, quanto e piuttosto per un enigmatico sviluppo parallelo di similari civiltà a migliaia di anni luce di distanza le une dalle altre: la specie umana e la specie ofidiana. In una sì marcata predominanza nell’immensità dello spazio siderale, e per una semplice questione di probabilità statistica, quindi, troppo sovente, nel corso della Storia, erano occorsi conflitti proprio fra tali specie, fra tali civiltà, ancor prima che nel confronto con qualunque altra specie esistente nel cosmo: non che canissiani, feriniani, o altre specie fossero esenti da impulsi guerreschi, ma, semplicemente, in una presenza più alta, più marcata di umani e ofidiani nel cosmo, le più grandi guerre erano necessariamente intercorse fra tali specie, generando un clima di reciproco e profondo antagonismo. Un antagonismo che, a seguito dell’ultima grande guerra intergalattica occorsa fra tali specie, era stato diplomaticamente superato in grazia a un trattato di pace, e da un trattato di pace con il quale tutti i governi dei vari mondi, fossero essi umani, fossero essi ofidiani, avevano così sancito non soltanto il cessate il fuoco, ma, anche, una rispettosa necessità di integrazione reciproca, onde ovviare all’altresì ineluttabile alternativa dell’annientamento reciproco: ciò non di meno, dopo secoli di inimicizia, ancora in molti umani, e in molti ofidiani, avrebbe avuto a doversi considerare sussistente un sentimento di avversione reciproca, e un sentimento di avversione reciproca che, simile alla brace apparentemente spenta al di sotto di uno strato di cenere, avrebbe potuto essere facilmente riattizzato nel momento in cui una nuova scusante, una nuova giustificazione avesse offerto il via libera alla battaglia.
Fortunatamente, accanto a estremismi sovranisti che nulla avrebbero potuto promuovere se non la diffidenza e l’odio, nel timore degli uni verso gli altri, e nella paranoia di un’improbabile eliminazione della propria specie in favore dell’altra, molti avrebbero avuto a dover essere riconosciuti coloro i quali, altresì, non avrebbero potuto rendere proprio alcun genere di timore, alcun genere di paura, nei riguardi del prossimo: persone illuminate, capaci di spingere la propria capacità di comprensione oltre i limiti del proprio naso, sino a raggiungere la quieta consapevolezza di quanto, al di là di ogni differenza fisica esistente, nulla avrebbe avuto a mutare nel profondo dei cuori, degli animi, di tutti loro, in misura tale da non poter considerare sussistente alcuna differenza fra un umano e un ofidiano, non da un punto di vista intellettuale, non da un punto di vista spirituale, non, tantomeno, da un punto di vista fisico. E, di questo, Lys’sh avrebbe avuto a doversi considerare incarnazione sotto molti diversi punti di vista: non soltanto per la propria quotidianità, e quella quotidianità che l’avrebbe vista quietamente inserita all’interno di un equipaggio, di una famiglia di umani, quanto e ancor più per la propria stessa origine, e quell’origine che, a tutti gli effetti, avrebbe avuto a dover riconoscere nel suo sangue, nel suo genoma, tracce di quell’umanità da qualcuno disprezzabile e disprezzata, un’umanità che, se da un lato l’avrebbe condannata a essere considerata una mezzosangue, da un altro punto di vista l’avrebbe resa evidenza concreta di quanto, addirittura, potesse esistere l’amore fra uomini e ofidiani, al punto tale da poter permettere l’incrocio delle relative specie.
In ciò, a poco, a nulla, ebbe a servire l’impegno che quella sconosciuta avversaria ebbe a porre nel tentare di lenire l’orgoglio, l’amor proprio della giovane ofidiana della Kasta Hamina, giacché nulla, in quelle parole, avrebbe potuto risuonare per lei d’offesa: per lei essere riconosciuta qual ofidiana, o essere considerata qual umana, non avrebbe rappresentato alcuna differenza, e se, anzi, nella propria stessa esistenza in vita avrebbe potuto permettere ad altri uomini, o ad altri ofidiani, di superare i confini propri dei loro intelletti, nella ricerca di qualcosa di più amplio, allora sarebbe stata ben lieta di ritrovarsi destinataria di simili insulti… o, anche, di peggiori.
« Perdi tempo con me, carina… » escluse pertanto Lys’sh, approfittando della propria mancata distrazione soltanto per ritornare a lei, e tentare, nuovamente, un attacco, e un attacco, ora, all’altezza delle sue gambe, in un’amplia spazzata, e una spazzata utile a sperare di gettarla a terra senza possibilità di appello « Per me non vi è differenza fra ofidiani e umani… e, anzi, se per caso tu conoscessi qualche bel ragazzo simpatico, interessante e disponibile, dagli pure il mio nome. » tentò di provocarla di contraccambio, nel suggerire quel proprio interesse nei riguardi di qualche giovane umano, in termini tali per cui, se la propria controparte fosse stata sufficientemente xenofoba come stava presentandosi essere, certamente non avrebbe tollerato da parte sua simile ironia.
Reciproci tentativi di affondi psicologici, emotivi, quelli che così tanto gli uni, quanto l’altra, si stavano allor scambiando, che avrebbero avuto a dover essere riconosciuti in parallelo ad altri affondi, di natura più fisica, nel tentativo comune di trovare occasione di predominio gli uni sull’altra e viceversa, se non dal punto di vista fisico, quantomeno da quello emotivo o psicologico. Tentativi, per l’appunto, che tuttavia si stavano continuando a dimostrare soltanto tali, senza riservarsi reale occasione di alterare l’equilibrio proprio di quel confronto, e quell’equilibrio che, in assenza di altre possibilità, avrebbe avuto presto occasione di essere autonomamente alterato nel momento in cui, presto o tardi, una delle due parti avrebbe iniziato ad accusare stanchezza, nel raggiungimento di quel limite che, umano o ofidiano che dir si volesse, avrebbe dovuto necessariamente contraddistinguerli.
A un affondo seguì una schivata, a un fendente seguì una parata, a un montante seguì una spazzata, talvolta di Be’Sihl verso la sconosciuta, talvolta della sconosciuta verso Be’Sihl, talvolta della sconosciuta verso Lys’sh, talvolta di Lys’sh verso la sconosciuta: una sequenza di colpi, di attacchi e di difese, di aggressioni e di evasioni, inizialmente estremamente acrobatiche, squisitamente sceniche, e poi, man mano, sempre più misurate nel proprio incedere, sempre più controllate e contenute nel proprio espandersi, nell’evidente, e comune, obiettivo, di dosare le energie, di dosare le proprie forse, nella consapevolezza di quanto, purtroppo, non avrebbero potuto proseguire in eterno in quella maniera, e, ancor più, di quanto il primo, o la prima, che si fosse spinto troppo oltre i propri limiti, certamente sarebbe stato anche colui, o colei, che avrebbe conosciuto la meritata sconfitta.
« Vi state stancando… » sorrise divertita la sconosciuta, tentando di incalzare, nel contempo di quelle parole, i propri attacchi, quasi a dimostrazione di quanto, dal proprio punto di vista, le energie fossero per lei ancora abbondanti, in misura utile a non potersi concedere possibilità alcuna di sconfitta.
« Anche tu. » puntualizzò immediatamente Be’Sihl, a non concederle, ancora, nessun genere di vantaggio psicologico a loro discapito, forse meno confidente, rispetto a lei, con la guerra e le sue dinamiche, e, ciò non di meno, sufficientemente confidente con Midda Bontor, che della guerra avrebbe avuto a potersi considerare concreta incarnazione, per permettersi di non riconoscere, nuovamente, un semplice trucco, e un semplice trucco che, tuttavia, avrebbe potuto riservarsi gran danno laddove fosse stato lasciato libero di esprimersi in tutta la propria violenza.
« Può essere… o forse è soltanto quello che desidero farvi credere. » ammiccò, riservandosi l’occasione di un balzo all’indietro solo per poi, immediatamente, spingersi di nuovo in avanti, a tentare di travolgerli, e, in tal senso, a dimostrare, con tanta audacia, quanto da parte sua la stanchezza non avesse a doversi fraintendere qual ancora predominante su di sé, sulla propria mente o sulle proprie membra.
« Puoi provarci, ma non riuscirci. » sorrise per tutta risposta Lys’sh, non permettendole di coglierli di sorpresa e, innanzi a quell’affondo, schierando una solida difesa, e una difesa a confronto con la quale non avrebbe mancato d’essere delegato al proprio compagno il compito dell’offesa, e, speranzosamente, di un’offesa risolutiva sulla questione in essere.
venerdì 19 aprile 2019
2885
Avventura
056 - Un oscuro ordito
Nel mentre dell’apparente stallo nel confronto fra Midda e Pitra Zafral, anche all’esterno dell’appartamento da loro occupato, la disfida là in corso non avrebbe avuto a doversi fraintendere qual giunta a una risoluzione più chiara… al contrario.
Per quanto, infatti, Lys’sh e Be’Sihl non avrebbero avuto a doversi fraintendere qual privi di abilità guerriere, nel doversi riconoscere, piuttosto e obiettivamente, qual due combattenti straordinari, il cui affiatamento, come coppia di commilitoni, di sodali in arme, aveva avuto occasione di crescere in maniera inverosimile nel corso di quell’ultimo anno, la loro ancor sconosciuta antagonista, quella donna lì sopraggiunta in maniera quasi distratta e, tuttavia, poi rivelatasi qual una temibile avversaria, stava dimostrandosi in grado di offrire fiero contrasto a entrambi, mantenendo un quieto controllo della situazione e, in ciò, non garantendo, né all’uno, né all’altra, la benché minima occasione di sopraffarla. Un’abilità, quella così da lei comprovata nei fatti, che le avrebbe forse e addirittura permesso di rivaleggiare in una situazione di sufficiente parità anche nel confronto con la stessa Midda Bontor, in un paragone che avrebbe avuto a dover apparire a dir poco incredibile nella propria stessa formulazione, e che pur, allora, non avrebbe potuto ovviare a riservarsi le proprie razionali argomentazioni nel confronto con la realtà dei fatti. L’eleganza e l’agilità con la quale, del resto, quella tanto minacciosa, quanto aggressiva antagonista poneva nei propri gesti, nei propri movimenti, avrebbe avuto a poter vantare un’enfasi, un impeto, senza possibilità d’eguali, non poi così dissimile da quello proprio di una fiera, di una bestia selvaggia e brutale, e pur, al tempo stesso, anche un controllo sì assoluto, sì totale, in una misura tale per cui alcuno di quei movimenti, di quei gesti, avrebbe avuto a doversi erroneamente considerare qual meno che ponderato nelle proprie dinamiche, nei propri scopi, così come soltanto una donna che aveva reso della guerra la propria vita, della lotta la propria quotidianità, avrebbe potuto allor sperare di essere in grado di offrire. Non tuttavia una semplice combattente, non un qualunque soldato addestrato, avrebbe potuto riservarsi una tale opportunità di espressione, quanto e piuttosto un’artista, e un’artista lì impegnata a tratteggiare, con sapienti colpi di un metaforico pennello, un ritratto di sangue sulla tela della vita dei propri avversari, delle proprie controparti.
E se, obiettivamente, neppure l’unione di tutti i membri della Kasta Hamina, o di molti più alleati, avrebbe potuto riservarsi un’ipotetica speranza di sconfiggere la Figlia di Marr’Mahew, forse, al più, concedendosi soltanto quella di resistere all’irruenza dei suoi attacchi per qualche, glorioso minuto; l’evidenza di quanto impegno stesse lì venendo richiesto a Be’Sihl e a Lys’sh per sostenere il confronto con quella sconosciuta senza, tuttavia, ipotizzare di ribaltarne le sorti a proprio favore, non avrebbe potuto ovviare a giustificare la potenziale, e tutt’altro che fantasiosa, equivalenza fra quell’ignota figura femminile e la loro amica, e quell’amica per proteggere la quale, a maggior ragione, essi avrebbero lì avuto a doversi impegnare, e a doversi impegnare per tentare se non di fermare, quantomeno di rallentare, l’avanzata di quella minaccia, qualunque avessero a dover essere supposte le sue motivazioni.
« Sei in gamba… » le volle riconoscere Be’Sihl, sperando, in tal senso, di distrarla, nel parlarle, e nel concederle il proprio giusto merito « Persino troppo in gamba per questo mondo… o per qualunque altro mondo come questo. » soggiunse poi, laddove, invero, per quanto il combattimento corpo a corpo non fosse stato completamente sostituito dall’uso delle armi da fuoco, comunque troppo pericolose da impiegare all’interno dei ristretti e fragili ambienti propri di una nave stellare, una simile abilità guerriera nell’uso delle armi bianche avrebbe avuto a dover essere riconosciuta qual più prossima alle dinamiche di un mondo come quello da cui lui e Midda provenivano, anziché di un mondo come Loicare o come qualunque altro a esso assimilabile « Dove hai imparato l’arte della guerra…?! »
« Dove tutti la imparano: sul campo di battaglia. » replicò ella, indifferente a quel tentativo di distrazione, proponendosi comunque concentrata su quanto stava lì accadendo, e sull’ennesimo, duplice affondo che, tanto da parte della femmina ofidiana, quando da parte del maschio umano, non tardò a esserle rivolto, l’una mirando alle sue reni, l’altro al suo petto, e pur, entrambi, venendo quietamente banalizzati nella propria minaccia, nel proprio impegno a suo discapito dall’ennesima, atletica giravolta con la quale non soltanto ebbe a sottrarsi a tali gesti ma, ancor più, si riservò occasione di rispondere agli stessi, ricercando, a sua volta, di imporre la propria vittoria, il proprio predominio, su quella coppia « Comunque anche voi non siete male… ed è quasi un peccato pensare che, purtroppo, tutti i vostri sforzi non vi condurranno ad alcun risultato, nel momento in cui, comunque, alla fine sarò io a predominare. »
Capace, ambiziosa e, a tratti, persino superba, quella donna, qualunque fosse il suo nome, qualunque fosse la sua storia, non avrebbe avuto a dover essere banalizzata nel proprio valore, non avrebbe avuto a dover essere sottovalutata nella propria minaccia, e in quella minaccia a confronto con la quale, tanto Be’Sihl, quanto Lys’sh, stavano faticando a resistere, e a resistere adeguatamente. E, in tal senso, anche le sue parole non avrebbero avuto a dover essere sottovalutate nella loro importanza, nel loro valore. Non laddove, quantomeno, quelle medesime parole avrebbero potuto riservarsi esattamente il medesimo scopo per il quale lo shar’tiagho aveva appena pronunciato il proprio apprezzamento verso di lei: un tutt’altro che casuale diversivo, a cui aggiungere, con maggiore malizia, l’impegno di disanimo, di scoramento, in termini utili a non permettere loro di avere ulteriormente fiducia in un proprio successo, in un proprio trionfo e, in tal senso, in un simile, autonomo, convincimento, già definendo drammaticamente la propria sconfitta.
Ma se pur un simile tentativo ella non mancò di concedersi nella speranza di abbreviare il perdurare di quella disfida, una tale malizia non poté trovare occasione di dominio sul cuore o sulla mente di Be’Sihl, non laddove, in effetti, egli aveva già avuto passata occasione di testimoniare l’impiego di simili tecniche da parte di chi, di ciò, aveva reso la chiave di volta dell’edificazione di molti propri straordinari successi, per così come, altrimenti, non avrebbero probabilmente avuto eguale possibilità di occorrere: Midda Bontor, la Figlia di Marr’Mahew, la sua donna.
« Apprezzo lo sforzo, bella sconosciuta… ma non ti illudere che simili trucchi psicologici possano trovare terreno fertile in noi. » sancì egli, estendendo il discorso anche a Lys’sh, allo scopo, in tal senso, di comunicarle una giusta occasione di sprone a discapito di ogni tentativo avverso da parte della loro abile controparte « C’è una donna che tutto ciò che tu potresti mai fare o dire lo ha già fatto e detto. E quella donna è proprio l’amica, la compagna che in questo momento stiamo difendendo… e la ragione per la quale, al di là di quanto tu ti possa impegnare, non avrai possibilità di prevalere su di noi. » dichiarò, definendo in maniera inappellabile la loro inamovibilità nel confronto con quel loro impegno, e con quell’impegno assunto non per un qualche mero capriccio, o per un qualunque intendimento mercenario, quanto e piuttosto per quel senso di amicizia, per quel legame d’amore, che li legava alla stessa Midda, in termini tali per cui, pertanto, nulla di quanto l’altra avrebbe potuto fare, o dire, li avrebbe mai potuti far desistere dal proprio scopo, da quel fine ultimo « Tu non passerai oltre. Noi ti fermeremo. E ti fermeremo a qualunque costo. »
« Parole audaci, per un uomo che non indossa neppure un paio di scarpe… » osservò l’altra, deridendo beffardamente il proprio interlocutore, nell’evidente duplice volontà, ancora una volta, di distrarlo e di demolire la sua fermezza, quella sicurezza dietro alla quale, come quell’ultimo intervento avrebbe potuto testimoniare, egli si stava arroccando, e si stava arroccando tanto a livello fisico, quanto e ancor più a livello psicologico « … e per… e tu cosa dovresti mai essere di grazia? Un’ofidiana…?! » domandò, tutt’altro che convinta da quell’ipotesi di identificazione, per quanto corretta « Parli come un’umana, ti muovi come un’umana, e vivi con degli umani… non sarà che, probabilmente, tu sei più umana di quanto non ti piacerebbe pensare di essere?! » suggerì, ora reindirizzando le proprie provocazioni all’indirizzo dell’altra donna, nella speranza, forse, di avere a trovare in lei minore opposizione rispetto a quanto egli non si era dimostrato più che capace di offrirle.
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