11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

www.middaschronicles.com
il Diario - l'Arte

News & Comunicazioni

E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

domenica 14 aprile 2019

2880


Rula non desiderava perdere ulteriormente del tempo, ragione per la quale, a fronte di quel mancato riscontro da parte della propria sconosciuta interlocutrice, decise non esservi ragione utile per proseguire in tal senso: meglio ovviare a perdere ulteriormente tempo innanzi a quella porta e, per quanto la discesa sarebbe necessariamente risultata più rischiosa, meglio provare direttamente a suonare alla porta successiva… e, per la precisione, alla porta del piano successivo, nella speranza, lì, di riservarsi maggiore occasione di fortuna.

« Non si preoccupi, signora Corphra… l’errore è stato mio. » concluse pertanto, sorridendo serena e scuotendo il capo « Tornerò un altro giorno, nella speranza che, ora di allora, la comunicazione le sia arrivata. » ripromise, al solo intento di mantenere una parvenza di credibilità nel proprio ruolo, prima di salutare « Buona giornata, signora… e grazie ancora per il tempo che mi ha dedicato! »

Senza neppure attendere l’eventualità di una risposta, laddove, obiettivamente, già troppo tempo era stato speso sino a quel momento in attesa dell’apertura di una soglia altresì destinata a restare serrata, la donna decise di allontanarsi quanto più rapidamente da lì, per dirigersi nuovamente agli ascensori e, da lì, passare al piano successivo, nella speranza di potersi riservare maggiore fortuna…
… fortuna, quella nella quale ella ebbe a confidare, che le venne riconosciuta. E le venne riconosciuta, in particolare, nel momento in cui, giunta in esatta corrispondenza della porta della signora Corphra, ella ebbe a ritrovarsi a suonare e ad attendere per più di un minuto buono senza ricevere alcuna risposta, in un silenzio, in una quiete, a fronte della quale, allora, avrebbe potuto ritenere con sufficiente sicurezza che l’appartamento avesse a doversi considerare vuoto. Fu così, quindi, che un colpo della sua pistola laser, sparato dritto nella serratura di quella soglia, ebbe a vederla dischiudersi innanzi a lei e, in ciò, a offrirle una possibilità di accesso all’interno dell’appartamento, che ebbe ad attraversare senza prestare il benché minimo interesse a quanto a lei lì circostante, nel volersi concentrare, piuttosto, sul raggiungere la finestra desiderata e, in particolare, sullo sperare di non aver allora sbagliato i propri calcoli, nel giudicare proprio quella colonna di appartamenti quali quelli a lei più utili.

« Sì! » esclamò non senza una decisa soddisfazione, nel momento in cui, raggiungendo il lato opposto dell’appartamento rispetto alla porta d’ingresso, ella ebbe a constatare quanto, effettivamente, la finestra raggiunta si affacciasse proprio sul vicolo di suo interesse, benché purtroppo, ormai, a una notevole distanza da terra, tale per cui, da parte sua, riuscire a calarsi da lì non sarebbe stato affatto banale « Se ora riuscissi a trovare un modo per arrivare a terra senza suicidarmi, la cosa potrebbe risultare estremamente gradita… » puntualizzò sottovoce, in un appunto al proprio stesso indirizzo, alla propria attenzione, non senza una nota quasi critica nella propria voce, al pensiero di dover affrontare quel volo e, soprattutto, di non avere la benché minima idea di come farlo.

Per quanto, infatti, Midda fosse solita non considerare esistenti differenze fra lei e gli uomini e le donne della Kasta Hamina, nell’indicare se stessa, e tutti loro, come fratelli e sorelle marinai, e nell’omologare, in ciò, il concetto di nave e quello di nave stellare, improbabile sarebbe stato considerare effettivamente equivalenti le due idee, fosse anche e soltanto in virtù della ben diversa fisicità richiesta agli uni e agli altri. Una ben diversa fisicità, quella sussistente fra dei marinai di mare, e dei marinai delle immensità degli spazi siderali, che avrebbe preteso dai primi, fra varie abilità, un indubbio senso dell’equilibrio e una grande abilità ad arrampicarsi, e ad arrampicarsi lungo il sartiame della nave, capacità altresì del tutto inutili nel confronto con i secondi, e le esigenze proprie di una nave stellare: non che, invero e da un diverso punto di vista, i secondi non avrebbero potuto vantare abilità assenti ai primi… ma, purtroppo per Rula, e purtroppo per Rula in quello specifico frangente, non abilità a lei allor utili, e utili, allora, per potersi calare da più di cinquanta piedi da terra con sereno controllo della situazione, soprattutto nel considerare quanto, a offrirsi alle sue dita, in quel frangente, avrebbero avuto a doversi riconoscere almeno una dozzina di piedi di parete di vetro e metallo, sulla quale, allora, gli appigli non avrebbero avuto a dover essere fraintesi qual propriamente abbondanti. Non un’impresa semplice, pertanto, per la giovane donna, così come non lo sarebbe stato, parimenti, neppure per la sua compagna Duva, laddove i loro ruoli avessero avuto a doversi riconoscere invertiti. Tuttavia, in quel momento, avrebbe avuto a essere lei lì presente, e non Duva. E Duva, altresì, avrebbe avuto a dover essere giudicata in quieta attesa di quel segnale che, proprio malgrado, stava tardando a occorrere… e di quel segnale allor utile a suggerire l’attuazione del piano da lei suggerito.
Così, costretta dalla situazione avversa, a Rula non poté fare altro che scegliere, in quel contesto, una via alternativa, e non una via più semplice o sicura, non una via più facile o indolore, quanto, e piuttosto, una via alternativa, e alternativa a quello che, ineluttabilmente, sarebbe stato un lungo volo sino a terra. Perché, nell’osservarsi attorno, e nel cercare di capire come poter affrontare quella discesa, il suo sguardo non poté ovviare a cogliere la presenza, a non meno di sei, forse otto piedi di distanza da lei, di un altro palazzo, uno dei due atti a delineare l’esistenza stessa di quel vicolo, e un palazzo lungo la verticale del quale, nella sua direzione, avrebbe avuto a dover essere identificata una lunga conduttura verticale, probabilmente una grondaia o una qualunque altra infrastruttura per il passaggio protetto di qualche fascio di cavi, fossero essi conduttori di energia o di un qualunque genere di segnale. Una conduttura anonima, abitualmente inosservata dai più, che, tuttavia, per lei, avrebbe potuto tradursi in una comoda occasione di ridiscesa… se soltanto non si fosse presentata, per l’appunto, a una certa distanza orizzontale da lei, e una distanza coprire la quale non sarebbe poi stato così privo di rischi...

« Sono praticamente certa che, in un momento come questo, Midda ricorrerebbe a qualche frase del tipo “o la va, o mi spacco”… » ironizzò, per cercare di banalizzare la tensione allor in lei crescente, e quella tensione che, comunque, non le sarebbe stata particolarmente utile nel confronto con quell’impresa.

Decisa a fare tutto il possibile, e anche l’impossibile, per non deludere le proprie amiche, Rula, dopo aver aperto per bene la finestra e aver sgombrato ogni ostacolo lungo il proprio cammino, prese un profondo respiro e chiuse gli occhi per un breve istante, a concentrare tutte le proprie energie, mentali e fisiche, in quanto di lì a un istante avrebbe compiuto. E nel chiudere gli occhi, e a escludere il resto dell’universo attorno a sé, ella ebbe a contare i battiti del proprio cuore, per scandire, in essi, un breve conto alla rovescia prima dell’ineluttabile.
Uno. Ed ella ebbe a visualizzare innanzi a sé i propri passi, il breve slancio che si sarebbe riservata occasione di compiere prima di proiettarsi nei vuoto, e la parabola che, quindi, avrebbe dovuto compiere, e avrebbe dovuto compiere per poter raggiungere quella conduttura metallica, e quella conduttura metallica sulla quale le proprie mani avrebbero dovuto riservarsi occasione di trovare una rapida possibilità di presa.
Due. Ed ella ebbe a visualizzare innanzi a sé quello che sarebbe conseguito la propria discesa a terra, nell’ingaggio che avrebbe avuto a riservarsi con i loro ancor non meglio individuati avversari, e nel successivo intervento di Duva in suo aiuto, in suo sostegno, a liberarsi presto di quel problema, di quella minaccia, e, magari, a margine di ciò, a meglio comprenderla, a meglio identificarla nelle proprie origini, per così come, sino a quel momento, non avevano avuto ancora occasione di compiere.
Tre. Ed ella ebbe a cancellare ogni pensiero, a cancellare ogni immagine dalla propria mente per non avere distrazione, per non avere possibilità di deconcentrazione, prima di tendere i propri muscoli e spingersi in avanti, in una breve ma intensa corsa, e una breve ma intensa corsa che la condusse, allora, a poggiare il proprio piede destro sul cornicione della finestra e, di lì, la slanciare la propria gamba sinistra, e con essa il proprio intero corpo, in avanti, verso il vuoto innanzi a sé e verso quella che, avesse avuto a scoprirsi una mossa errata nella propria valutazione, non l’avrebbe condotta a un piacevole finale.

Nessun commento: