11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

domenica 31 ottobre 2010

1024


E
d ella, similmente privata di qualsiasi freno, colpì, e colpì ripetutamente, massacrando senza la benché minima possibilità di compassione, di pietà, coloro i quali, del resto, non avrebbero avuto più diritto ad alcun similare sentimento, con un'enfasi che non sarebbe altresì stata riconosciuta a normali avversari umani non per un eventuale istinto caritatevole nei loro possibili riguardi, quanto, piuttosto e invero, per semplice inutilità ad agire con tanta insistenza contro chi già morto dopo un semplice, rapido e diretto colpo, fosse esso fendente o montante, sgualembro o tondo, dritto o rovescio. Se, infatti, per terminare un consueto combattimento contro un eguale numero di antagonisti mortali, alla donna guerriero non sarebbe occorso più di qualche istante, così come già ampiamente dimostrato nella creazione stessa di quei non morti, nella sfida così ora offertale da un gruppo di bizzarri zombie quali quelli erano, ella era ormai consapevole di dover agire allo stesso modo in cui, in passato, aveva affrontato in più occasioni il proprio crudele e semidivino sposo, una creatura di nome Desmair che in quell'universo non avrebbero esitato a descrivere qual demone, e che, al pari di quelle sue attuali controparti, era abituato a ricomporsi senza dimostrare il più semplice patimento a ogni colpo inflittogli, a ogni mutilazione addotta a suo ipotetico discapito. E così, ella non si limitò a combattere contro quella compatta e pur indubbiamente letale schiera, infierendo, piuttosto, sulla medesima e cercando, in ciò, una letteraria mattanza, nella speranza di riuscire a smembrarli in misura sufficiente a garantire a sé e ai propri due compagni un certo margine di fuga senza la minaccia di un improvviso, inatteso e sicuramente sgradevole attacco alle spalle, che avrebbe potuto decretare la sua, ancor prima della loro, prematura fine.

« La nostra committente ha omesso qualche piccolo dettaglio nel merito di questa furia… » sussurrò Bema, nel rivolgersi alla propria camerata, osservando a distanza di sicurezza l'azione della mercenaria loro iniziale antagonista e, ora, effimera alleata « … non avremmo mai dovuto accettare questo incarico. »
« E' pur sempre una donna, una singola e solitaria donna. Non l'incarnazione stessa del concetto della guerra… » obiettò Gechi, impegnandosi a dimostrare indifferenza nel confronto con lo spettacolo lì offerto, per quanto perfettamente trasparente delle ragioni del massacro avvenuto, nel corso del quale il loro iniziale contingente era stato tanto rapidamente decimato da quella stessa, "singola e solitaria", donna.
« Non ne sarei tanto sicuro. » scosse il capo l'uomo, esternando senza alcun imbarazzo, così come già pocanzi, tutti i propri timori, tutte le proprie ritrosie di fronte alla situazione attuale, in un comportamento che alcuni avrebbero probabilmente giudicato indegno per un guerriero, ma che egli non ebbe ritrosia a palesare « Ci ha sconfitti… in netta minoranza, ci ha sconfitti a bordo della nostra stessa nave. »
« Siamo ancora in tempo per rimediare. La nostra missione non deve essere ancora considerata quale fallita. » suggerì la donna, per tutta risposta, socchiudendo gli occhi con fare predatorio nell'osservare colei che si stava impegnando, in quello stesso momento, in loro stessa difesa, in loro stesso soccorso « Abbiamo perso qualche compagno… e questa nave… ma il nostro obiettivo, lo scopo del nostro incarico, è ancora ben lontano dal potersi considerare egualmente perduto. »

Di tale dialogo, ovviamente, alcuna possibilità di percezione, di ascolto, fu riservata al capo della sicurezza della Kasta Hamina, la quale, a distanza eccessiva dalla coppia di congiuranti, e innegabilmente concentrata sulla propria attuale battaglia, non ebbe alcuna occasione per intuire quanto allora complottato a proprio indubbio discapito. Così, quando degli zombie loro avverarsi non rimase altro che un fitto nugolo di pezzi sparsi per l'intero corridoio, ella si mosse nella direzione dei due animata dai migliori sentimenti di collaborazione verso di loro, sentimenti, ovviamente, sempre subordinati alla sua innata sfiducia per il prossimo, alla sua immancabile paranoia tale da impedirle di considerare tanto semplicemente un alleato qual tale, ove anche di professione mercenaria suo pari.

« Se avessi saputo prima delle loro limitate capacità di confronto corpo a corpo, avrei già provveduto a trasformarli in spezieria da lungo tempo. » affermò sorridendo verso la coppia « Non comprendo tanta ragione di agitazione quale quella da te dimostrata… Bema… » soggiunse, nell'apostrofare l'uomo con quello che aveva intuito essere il suo nome.
« … spezieria?! » ripeté il medesimo, non comprendendo l'evidente errore compiuto dal traduttore nell'offrire la parola "spezieria" in vece della parola "spezzatino" e, ciò nonostante, subito tralasciando la questione per ritornare a un argomento più importante « Questo primo gruppo è stato relativamente semplice da abbattere… ma gli altri non saranno altrettanto. » avvertì, serio in quella che non appariva essere un'opinione, quanto, piuttosto, un concreto dato di fatto.
« Andiamo… presto! » incitò Gechi, prendendo voce e dimostrando, in tale intervento, in modo assolutamente razionale e sinceramente condivisibile, maggiore interesse nel completare, quanto prima, il cammino interrotto, ancor più che riservarsi occasioni di filosofica riflessione nel merito delle capacità intrinseche nei membri della Sezione I in conseguenza alla loro stessa morte « Potrete parlare strada facendo, se proprio avrete fiato da sprecare. »

Seguendo, in ciò, la donna nero vestita, l'uomo suo pari e la donna guerriero ripresero a nuotare con incredibile agilità, movimenti fluidi e perfettamente coordinati, attraverso i corridoi della nave, per ridiscendere, non senza qualche fugace momento di difficoltà, verso l'aviorimessa, nel percorrere, in ciò, i molteplici ponti della nave già esplorati dalla stessa mercenaria nella sua precipitosa, e caotica, fuga in direzione della stessa plancia.
Nonostante la maggior parte di quegli ambienti sarebbe dovuta essere ormai considerata qual nota anche all'attenzione del capo della sicurezza della Kasta Hamina, in conseguenza del cambio di prospettiva imposto loro dalla perdita della gravità artificiale all'interno dell'intero complesso, ella non poté evitare di ritrovarsi, talvolta, disorientata in quell'avanzata verso quella particolare meta ormai più che conosciuta nella propria ubicazione e negli scenari a essa circostanti, quasi tutto quello fosse, in verità, un cammino assolutamente estraneo. Tutt'altro che tale, tuttavia, non poté che essere giudicato in maniera obiettiva e definita, nel momento in cui il trio così formato si ritrovò a percorrere lo stesso corridoio nel quale Midda aveva fatto irruzione nel corso del proprio abbordaggio, perfettamente riconoscibile nella propria identificazione non solo in conseguenza dello squarcio ancora presente sul fianco della nave, precariamente posto sotto controllo dalla presenza degli scudi energetici, utili a mantenere costante, nonostante tale pericoloso danno, l'atmosfera all'interno della nave, quanto più dal mai rimosso sangue sparso lungo quello stesso tratto, il sangue un tempo appartenuto a coloro che, ora, pur privati della vita, non avevano ancor smesso di offrire caccia alla loro avversaria e assassina.

« Non vi è alcuna negromanzia alla base dell'esistenza di quei mostri… della nostra stessa esistenza, dal momento che, ognuno di noi, quando verrà ucciso, diverrà eguale a loro. » riprese l'uomo, nel corso di quel trasferimento altrimenti immerso nell'assoluto silenzio, così come apparentemente tanto gradito alla stessa Gechi « E' tecnologia quella impiegata a rianimare i nostri corpi a seguito di una prematura e violenta morte, tecnologia che, nello scopo originario del progetto alla base dell'esistenza della Sezione I, alla quale tutti noi apparteniamo, avrebbe dovuto permetterci di risorgere, ma che, purtroppo, si è dimostrata solo capace di imporci questa grottesca parvenza di vita impossibile da considerare effettivamente qual tale. »

In silenzio, la donna dagli occhi color ghiaccio e dai capelli color fuoco, accolse allora quella prima spiegazione, probabilmente superficiale e sicuramente da lei non pienamente compresa, in conseguenza della confidenza ancor minimale con le risorse proprie di quella particolare realtà, serbando nel proprio cuore un sarcastico commento sullo scarso intelletto proprio di chi tanto stolido da candidarsi a un simile esperimento, condannandosi a quell'orrenda piaga per sfuggire alla quale, nel suo mondo, nel suo tempo, già da secoli non si era più neppure soliti seppellire i propri defunti, preferendo cremarli e, in ciò, assicurare loro un'occasione di riposo eterno, lontani da ogni possibile negromantico interesse.

sabato 30 ottobre 2010

1023


L
a stessa Gechi, dal proprio canto, non volle dimostrare maggiore indolenza rispetto al proprio compagno e collega, seguendolo con incredibile agilità, nonché indubbio coraggio e, persino, apparente indifferenza, nel confronto con il letale pericolo pur imposto sopra di loro, nel contrasto agli zombie, nella volontà di sfruttare i limiti noti dei medesimi a loro esplicito svantaggio. Anche quei non morti, infatti, pur evidentemente più dinamici, veloci e intelligenti rispetto ai loro negromantici pari a cui Midda Bontor era abituata, e nel confronto con cui, ancora pur priva di spiegazioni, ella stessa aveva compreso non sarebbero potuti essere confusi quei nuovi avversari, avrebbero infatti potuto accusare a loro volta di concrete debolezze, tali da permettere di poterli affrontare in scontri rapidi, in azioni tempestive, volte non tanto al loro effettivo abbattimento, quanto, piuttosto e semplicemente, a concedere ai disgraziati loro avversari una qualche speranza di sopravvivenza. Riportati in una condizione di grottesca imitazione di vita dall'azione di nanotecnologie e non di oscuri malefici, quelle creature non morte, a differenza dei loro più classici simili, e forse persino ispiratori, non si dimostrarono animati da un'insana e violenta sete di sangue e fame di carne viva, in quello che, semplicemente, per gli altri zombie avrebbe dovuto essere giudicato, oltre la loro principale arma, anche il loro unico mezzo di riproduzione, l'unico metodo utile a incrementare le proprie stesse schiere: impossibilitati, in conseguenza alla propria stessa natura, al ricorso a un simile sistema di assimilazione, essi erano pertanto privi dell'istinto necessario a ricorrere alle unghie e ai denti per tentare di strappare la vita dai propri antagonisti, preferendo continuare ad affrontarli così come avrebbero compiuto in vita, nell'apparire, in ciò, al tempo stesso estremamente letali e, pur, paradossalmente limitati nelle proprie capacità d'offesa, soprattutto a distanze troppo ravvicinate. E se anche, sino a quel momento, la donna dagli occhi color ghiaccio non aveva avuto alcuna occasione per comprendere, per intuire e, quindi, apprezzare tale particolare, nell'osservare l'audacia caratteristica dei propri nuovi alleati, anch'ella non poté ovviare a imitarne le azioni, trasferendo il confronto dalle lunghe alle brevi distanze, e, in ciò, sostanzialmente, non solo eliminando il vantaggio proprio di quelle creature, ma riservando per se stessa una prerogativa ancor più marcata, qual solo sarebbe potuta essere considerata quella intrinseca nella sua stessa spada bastarda.
Un istante dopo Bema e Gechi, pertanto, anche Midda si ritrovò a essere nuovamente slanciata all'interno dello stesso corridoio dal quale era appena evasa, spostandosi con ancor più destrezza e scioltezza rispetto agli altri due e, in breve, superandoli, nel trascinare con sé ben quattro fra quei fantocci a dimensione umana loro antagonisti, ancora impegnati a tempestare con i colpi delle proprie armi laser l'ingresso della plancia nella quale aveva tentato di ricercare asilo. Un intervento, quello proprio della donna guerriero, che attrasse immediatamente l'attenzione di tutti i non morti lì presenti, ormai una decina nel considerare le perdite subite in conseguenza del primo colpo al plasma offerto dalla donna nero vestita, che non mancarono di dimostrare la propria più fedele, completa e assoluta predilezione per lei ancor prima che per qualsiasi altro possibile avversario, quasi dimenticandosi degli altri due già lì presenti nel desiderio di riversarsi in esclusivo contrasto di quel loro ancor primario obiettivo, ancor primo scopo d'immortale e innaturale esistenza.
Una scelta, quella così compiuta da quel piccolo contingente di blasfeme creature, la cui esistenza era considerata, allo sguardo della mercenaria, quale un insulto a ogni divinità, che, se pur liberò la via al secondo gruppo di suoi alleati, coloro incaricati del recupero della moglie di Beri Vemil, sembrò allora scontentare gli altri, più Gechi che Bema, in verità, nel considerarli, loro malgrado, privi di ogni interesse, privi di ogni valore, almeno sino a quando il capo della sicurezza della Kasta Hamina avesse ancora goduto del mai sgradito dono della vita.

« Questi… zombie… sono molto strani. » esclamò la stessa donna dagli occhi color ghiaccio, prendendo voce in implicita direzione dei propri due inattesi compagni, a cercare confronto con loro a tal riguardo, nell'intuire una loro effettiva e concreta familiarità con i medesimi « Sono addirittura incerta fra poterli definire quali tali. Quale assurda negromanzia è alla base della loro esistenza? » precisò, non permettendo, ovviamente, a tali curiosità, e, ancor più, a simili parole, di distrarla dal naturale e principale impegno a lei richiesto in quel momento, qual solo avrebbe dovuto essere considerata l'autoconservazione, la sopravvivenza a quello scontro.

Maestosa, quasi meravigliosa, se pur al contempo macabra e disgustosa, la lunga e perfetta lama dell'arma della donna guerriero solcava allora l'aria attorno a sé, dimostrandosi, nei propri movimenti, nell'eleganza e e nella puntualità degli stessi, quasi del tutto indifferente alla mancanza di gravità che, ancora, costringeva tutti loro a galleggiare negli spazi lì concessi, colpendo senza alcun timore, infierendo senza il più leggero imbarazzo, in contrasto ai corpi lì a lei presentati, nel cercare di martoriarli nella misura maggiore possibile allo scopo di renderli inabili a qualsiasi genere di attentato a discapito suo e dei suoi compagni, nella durata, per lo meno, della loro prossima e inevitabile fuga da quell'area. Ciò nonostante, alcuno dei tagli, delle profonde ferite o delle tremende mutilazioni da lei imposte in opposizione a quelle creature, sembrò sortire effetto, non banalmente così come ella avrebbe potuto attendersi da un avversario ancora in vita, ma, anche, da altri zombie loro ipotetici pari, per così come da lei conosciuti: ove, infatti, un braccio veniva reciso a una di quelle creature, subito il medesimo era ricercato e recuperato dalla medesima, per poter essere nuovamente conciliato con il resto del suo corpo, ancora una volta posto nella propria legittima sede e, lì, ritrovando con spontaneità disarmante la propria originale funzionalità, come se nulla fosse mai accaduto.

« Non so di cosa tu stia parlando, Midda Bontor. » negò ogni ipotesi di risposta la stessa Gechi, scuotendo il capo e gettandosi accanto a lei, per cercare di ridurre la pressione su di lei stessa imposta da quelle creature, nel temere per la sua incolumità, per la sua effettiva possibilità di sopravvivenza e, con esso, per la loro più generica e comune aspettativa di vita « Se cerchi delle spiegazioni nel merito della Sezione I, sarà meglio attendere un momento migliore… non trovi? »
« Sezione I? » questionò, ancora, la mercenaria, decidendo, tuttavia, subito dopo di lasciar perdere l'argomento almeno sino alla conquista di una via di fuga da quell'assurda bara di metallo, entro la quale tutti sarebbero morti se non si fossero riservati la maggior attenzione possibile, nel comprendere come, evidentemente, ai propri nuovi e temporanei commilitoni potesse non essere gradito del chiacchiericcio nel mentre di un combattimento, al contrario rispetto a lei e a Duva.
« Gli altri sono tutti usciti dalla plancia… » prese voce Bema, nel raggiungere e sorpassare la posizione delle due donne, galleggiando poco sopra le loro teste « Possiamo andare anche noi, ora! »
« Presto… » approvò e incalzò la sua compagna d'arme, annuendo a quella notizia e rivolgendosi, in quell'incitazione, verso la loro ex-avversaria e ora alleata « L'aviorimessa è lontana e la via per raggiungerla sarà resa ancor più gravosa dall'insistenza dei tuoi ammiratori. »
« Iniziate ad andare avanti! » ordinò la donna guerriero, con tono che non avrebbe ammesso repliche « Ho bisogno di garantirci la possibilità di muoverci senza rischiare di essere bucherellati dai loro colpi, e la vostra presenza mi è solo di ostacolo in questo momento… »

Una sentenza estremamente severa, e pur sincera, quella che ella formulò allora, non tanto nel voler porre sotto accusa le potenzialità dei due, già dimostratisi sufficientemente coraggiosi e abili per non essere assolutamente d'ingombro nel cuore di una battaglia, quanto, piuttosto, nel volersi riservare l'occasione di muovere con libertà la propria spada in quella situazione già estremamente complicata, in conseguenza dell'ambiente stretto e dell'assenza di gravità, senza temere, in ciò, di ferirli o, peggio, ucciderli in maniera involontaria.
Nel merito di tali ragioni, per quanto tutt'altro che esplicitate, sembrarono tuttavia maturare subito coscienza entrambi i destinatari di tali parole che, senza aggiungere altro, si proiettarono più avanti nel corridoio, lontano da lei e dalle creature, nell'indifferenza più totale di queste ultime, che non cercarono in alcun modo di ostacolare quella loro fuga, ben liete, al contrario, di poter restare sole in compagnia del loro obiettivo. Un'apparente, irreale, contentezza, quella umanamente attribuibile a quei mostri ormai incapaci di provare qualsiasi genere di emozione o sentimento, che più concretamente, più realmente, sarebbe allora potuta essere attribuita alla stessa donna guerriero, che, così rimasta sola, poté sfogare tutta la mortale foga dei suoi attacchi, senza temere per alcuno.

venerdì 29 ottobre 2010

1022


« P
urtroppo non abbiamo alternative… » insistette la portavoce dei nero vestiti, in immediata replica alla loro nuova sodale in quella pericolosa battaglia, aprendo ancora una volta il fuoco in contrasto a quel nuovo tentativo d'assalto, costretta, tuttavia, in questa occasione a ridurre l'intensità della propria arma al plasma, per ovviare agli altrimenti lunghi tempi di ricarica della medesima per un altro colpo a piena potenza « Mentre tu, io e Bema cercheremo di riconquistare una minima parte dell'aviorimessa, gli altri raggiungeranno la zona detentiva e libereranno la tua protetta. »

Una decisione, quella allora non semplicemente proposta, quanto, piuttosto, promulgata da parte della fiera Gechi, che non mancò di apparire quale trasparente di estrema saggezza all'attenzione della sua principale interlocutrice, là dove evidente conseguenza, in tale particolare scelta, di numerose e ponderate valutazioni tanto nel merito della formazione di quei due gruppi, quanto, più, a riguardo delle rispettive priorità.
Includendo, infatti, nella prima, minimale squadra, se stessa, divenuta prima promotrice dell'accordo con Midda, e il compagno già identificato con il nome di Bema, al suo contrario prima voce critica in tal senso, ella si stava riservando una chiara e necessaria occasione per mantenere sotto controllo il proprio sodale e, al tempo stesso, di distrarlo dalle proprie definite paure, dai propri evidenti timori, in un'azione tanto folle, al limite del suicidio, tale da non concedergli ulteriori occasioni per condurre eventuali, intime e autonome elucubrazioni in grazia delle quali egli avrebbe potuto abbracciare qualche insana conclusione, nel giudicare perduta ogni speranza pur ancora flebilmente loro riservata. Oltre a questo, delegando alla maggior parte dei sopravvissuti fra i propri compagni l'importante compito di liberare la detenuta, il loro ostaggio, ella stava, implicitamente, riservando a quello stesso contingente, così volutamente più numeroso, un'ulteriore, se pur labile, prospettiva di salvezza, anche nel caso in cui, sfortunatamente, loro tre fossero prematuramente caduti nel confronto con gli stessi zombie. E ancora, in grazia di quella stessa decisione, di tale scelta, ella stava comunque assicurandosi, da parte di tutti, un assoluto rispetto del piano così imposto, similmente definito, non solo costringendo la donna guerriero, desiderosa di salvare la loro prigioniera, a offrire loro la massima considerazione possibile, a evitare l'occasione di ipotetici tradimenti da parte sua, ma, al tempo stesso, anche costringendo i propri stessi camerata, all'eguale osservanza dell'accordo, dal momento in cui, indubbiamente, sino a quando la donna dagli occhi color ghiaccio fosse sopravvissuta ella non avrebbe mai accettato di partire senza colei per la salvezza della quale era lì giunta, e, nel caso in cui la stessa mercenaria fosse spiacevolmente stata tradita e uccisa dal una coalizione a lei ribelle, alcuno fra loro avrebbe potuto sperare di sopravvivere a lungo, nel ritrovarsi, anche ove eventualmente in salvo su una navetta, inevitabilmente privati della possibilità di raggiungere una nave amica grazie alla quale ritornare alla civiltà, come, per merito suo, altresì loro promessa.
Tutt'altro che sciocca, pertanto, avrebbe dovuto essere accolta quella figura, in tutto ciò dimostratasi indubbiamente dotata delle capacità necessarie a un condottiero, a un capitano, fosse ella effettivamente tale fra i propri compagni o no. E, di questo, Midda non mancò di renderle atto nella propria ultima risposta…

« Così sia. » sorrise, annuendo con sincera convinzione « E che la benevolenza di Thyres possa guidare i passi di coloro che si dimostreranno valorosi ai suoi occhi… »

Se pur alcuno fra i presenti, invero neppure la stessa donna guerriero che, in tali termini, aveva formulato il proprio augurio, avrebbe potuto riservarsi la benché minima possibilità di comprensione nel merito di un ipotetico intervento divino in loro favore, di una qualsivoglia grazia superiore riconosciuta loro da una creatura onnipotente e ineffabile, indubbio si propose il valore che tutti loro non mancarono allora di dimostrare in quell'azione, in quell'imprevista e assurda battaglia che, pur, si era così dimostrata capace di riunire in una medesima squadra, in una sola compagnia, coloro che, altresì, avrebbero dovuto reciprocamente considerarsi acerrimi nemici, impegnati a contendersi una medesima, sfortunata, vittima verso la quale, paradossalmente, né gli uni, né l'altra, avrebbe potuto vantare il più superficiale, concreto interesse. Una situazione, quella così proposta, che sarebbe potuta essere giudicata assurda addirittura in partenza, nelle proprie stesse basi, ancor prima che in quello specifico sviluppo, e che pur, agli occhi dei presenti, non sarebbe mai stata accolta qual tale, non in virtù di una strana follia, di un bizzarro e diffuso disequilibrio mentale, quanto, piuttosto, nel rispetto delle loro comuni origini mercenarie, quella professione, quella particolare attività, in ottemperanza ai principi della quale alcuno di loro avrebbe, in effetti, avuto necessità di un reale coinvolgimento personale, di una concreta e solida ragione, al di fuori di una mera ricompensa economica. Professione che, se per gli uomini e le donne della Sezione I, avrebbe potuto pur essere riconosciuta in maniera esplicita qual tale, in conseguenza all'esistenza di una tangibile ricompensa pattuita per il completamento di una particolare missione nel corso della quale quel rapimento era stato previsto quale semplice strumento per un obiettivo più importante, non sarebbe dovuta essere, allora, intesa qual meno reale, meno concreta, neppure nel confronto con la figura della stessa donna dagli occhi di ghiaccio e dai capelli di fuoco, li dopotutto coinvolta innanzitutto per il compiacimento del volere della propria compagna d'arme, e, in conseguenza di ciò, del proprio capitano, più che per un proprio effettivo interesse nel favorire o meno il disgraziato Beri Vemil.

Non quali paladini ispirati da un ideale superiore, quei guerrieri, quegli uomini e donne, avevano agito sino a quel momento, e non qual tali continuarono, pertanto, ancora ad agire a seguito di quel cambio di priorità, di interessi, di scopi, offrendosi, invece, quali semplici, e pur estremamente efficienti ed efficaci, professionisti della guerra, impegnati ora nell'offrir battaglia a quei non morti con la stessa impassibilità, con la stessa indifferenza, quasi, che avrebbero rivolto a un qualsiasi altro genere di avversario, sì consapevoli, e per questo giustamente intimoriti, nel merito della particolare natura delle proprie controparti, e pur, non per questo, prematuramente volti alla resa.
Esattamente come poc'anzi previsto da Gechi, nel mentre della propria rapida pianificazione, persino lo stesso Bema, l'uomo che da subito aveva dimostrato particolare negatività nel confronto con l'ipotesi di una loro pur vaga speranza di salvezza, posto a costretto e diretto confronto con quegli zombie pur spiacevolmente rappresentati il proprio stesso fato in caso di prematura e violenta morte, non mancò di dimostrare al pieno il proprio valore, addirittura, nell'uscita stessa dalla plancia, anticipando non solo la propria sodale e pari, quanto, piuttosto, la stessa Midda Bontor, nello scagliarsi con foga e forza contro i loro avversari e, in ciò, nel respingerli con incredibile audacia, con concreto sprezzo di ogni pericolo, nella misura sufficiente a permettere a tutti gli altri superstiti di guadagnare a propria volta l'uscita. Un gesto indubbiamente impavido, il suo, nel quale, tuttavia, non avrebbe dovuto essere fraintesa alcuna volontà volta all'autodistruzione, al suicidio, come nelle parole che allora si ritrovò a pronunciare, in maniera continua, ritmica, costante, addirittura ossessiva, chiunque avrebbe potuto avere evidente riprova…

« Non diventerò mai come voi… non diventerò mai come voi! » gridò, in tale slancio, in quel pericoloso azzardo che, al di là di ogni personale abilità e agilità, non avrebbe mancato di esporlo in maniera estremamente diretta ai colpi delle armi impugnate dai non morti « Non diventerò mai… come voi… » insistette, senza tregua, nel mentre in cui i laser e le scariche di plasma venivano agilmente evase, nel condurlo sempre più in prossimità agli zombie, nel desiderio sbaragliarli con il proprio impeto, con la propria irruenza così come, purtroppo, ormai nessuna particolare arma in loro possesso sarebbe pur riuscita a compiere.

Simile a una preghiera, o forse a una incitazione assolutamente personale, quella frase venne allora ripetuta senza sosta, senza alcuna tregua, probabilmente a concedergli di imporsi lo sprone necessario a compiere tutto ciò, nell'identificare in quelle poche, chiare parole, uno scopo utile a permettergli di lottare, di affrontare quell'orrore da sé e dai propri compagni indubbiamente vissuto con maggiore coinvolgimento rispetto a quanto mai sarebbe potuto essere nella loro nuova e imprevista alleata: non semplicemente la propria stessa sopravvivenza, quanto, piuttosto, una concreta occasione di fuga da un destino nel quale sarebbe stato dannato per l'eternità.

giovedì 28 ottobre 2010

1021


P
robabilmente, se solo non si fossero ritrovati a essere posti sotto assedio da un branco di zombie dotati di un pericoloso intelletto e, peggio ancora, di micidiali armi e della capacità di utilizzarle, alla frase della donna dagli occhi color ghiaccio e dai capelli color fuoco così audacemente giunta a dichiarare loro un’assurda guerra alla quale, in conseguenza di quell’osceno sviluppo, non sarebbero mai sopravvissuti, essi avrebbero riservato un lungo istante di silenziosa riflessione, nella necessità di valutare la questione per così come presentata, nelle sue diverse sfaccettature e nelle eventuali possibilità alternative a quell’assurda alleanza. Purtroppo, o per fortuna, a seconda di quale punto di vista sarebbe voluto essere gettato sulla questione, in quel momento, alcuna serenità, alcuna quiete, sarebbe potuta essere riconosciuta loro, nell’incessante fuoco riservato dagli zombie e nella loro irrefrenabile avanzata, in virtù della quale molto presto avrebbero certamente raggiunto anche lo spazio della plancia, ragione per cui ogni decisione dovette allora essere elaborata in maniera estremamente rapida, ogni voto dovette essere espresso con straordinaria immediatezza.

« Puoi davvero compiere ciò che dici?! » prese voce la stessa donna che già, poc'anzi, aveva invitato i propri compagni a prendere d'assalto l'intrusa, dimostrano un maggiore e paradossale interesse a suo discapito ancor prima che in contrasto ai non morti, quasi questi ultimi non rappresentassero il pericolo altresì subito definito e riconosciuto dal proprio stesso compagno di squadra.
« Gechi… non possiamo fidarci di lei! E' solo per colpa sua ch… » tentò di protestare lo stesso uomo che, sin dal primo istante, aveva colpevolizzato la loro ospite per l'oscena piega presa dagli eventi, sancendo in tal modo la concreta, e pur ignorata, responsabilità della medesima nella generazione di quegli zombie.
« Non possiamo neppure permetterci di non farlo, Bema. » negò l'altra, storcendo le labbra verso il basso all'obiezione così presentatale « O con lei… o con loro… » sentenziò, in evidente riferimento al fato che li avrebbe tutti accomunati se fossero stati privati in maniera violenta delle proprie vite, quell'assurda maledizione che li aveva disgraziatamente marcati per sempre, sebbene inizialmente propostisi quali volontari per le sperimentazioni della Sezione I.
« La Kasta Hamina non sarà grande come la vostra nave… ma potrà offrirvi ospitalità per il tempo necessario a raggiungere un pianeta abitato, un porto sicuro ove lasciarvi. » confermò la mercenaria dagli occhi di ghiaccio, annuendo seria verso la propria principale interlocutrice, colei evidentemente preposta a comando del gruppo, o forse, semplicemente autoproclamatasi portavoce del medesimo « Tutto ha il suo prezzo, però… e il mio… il nostro, in questo caso, ha da intendersi nella liberazione del vostro ostaggio. »

Troppe parole, quelle fra loro così scambiate, quelle in cui, nonostante l'incredibile celerità propria nell'assunzione di quelle decisioni, nella stipulazione di quel temporaneo patto di non belligeranza fra le parti lì coinvolte, che si proposero, immancabilmente, a favore dei loro comuni avversari, dei soli, veri nemici con cui mai alcuno fra i presenti avrebbe potuto cercare di intavolare un qualsiasi genere di dialogo, di aprire una qualsiasi speranza di confronto, due dei quali, nel mentre in cui quelle stesse chiacchiere stavano coinvolgendo Midda e l'altra donna, riuscirono alfine a raggiungere la soglia semidistrutta di ingresso alla plancia, facendo capolino all'interno della medesima e osservando la piccola folla lì presente con occhi smorti, sbiancati, privi di ogni barlume di vitalità, prima di sollevare nuovamente le proprie armi e dirigerle verso lo stesso capo della sicurezza della Kasta Hamina, il loro obiettivo primario, il loro bersaglio principale, colei soltanto nella morte della quale avrebbero offerto una qualche ragione alle loro stesse esistenze, a quella loro innaturale rianimazione.
In inatteso supporto alla donna guerriero, la quale, in tale frangente, si ritrovò suo malgrado a essere eccessivamente scoperta, facile vittima di fronte a qualsiasi genere di offensiva armata le sarebbe potuto essere rivolto contro, si presentò, tuttavia, una violenta scarica di plasma, in grazia alla quale l'orda così sopraggiunta fu, in maniera pur inevitabilmente effimera, respinta, venendo bruscamente sbalzata all'indietro in conseguenza di una impietosa deflagrazione che coinvolse le due creature non morte loro avanguardia, bruciando gran parte delle loro membra e spargendone le restanti nell'ambiente circostante, in uno spettacolo estremamente macabro e, ciò nonostante, al contempo paradossalmente gradevole all'attenzione degli spettatori ancora in grado di godere per meraviglioso dono della vita, là dove capace di ridurre, se pur in minima parte, il conteggio loro altrimenti avverso.

« Come hai giustamente sottolineato, da morti non potremo godere di alcuna ricompensa. E nessuno fra noi ambisce allo stesso fato a cui hai già condannato i nostri compagni. » commentò Gechi, mantenendo innanzi al proprio corpo l'arma appena utilizzata per garantire salvezza alla propria imprevista alleata « Accanto al nostro più sincero odio per ciò che hai compiuto, per questa volta, Midda Bontor, ti sei guadagnata anche la nostra altrettanto leale collaborazione. »
« Dove è la moglie di Beri Vemil? » insistette la mercenaria, neppur cogliendo il riferimento esplicito al proprio nome e cognome, un dettaglio che, in altri momenti, in un diverso contesto, avrebbe dovuto stimolare in lei numerose riflessioni, diverse ipotesi, ma che, in quel momento, fu del tutto ignorata, non considerata, probabilmente giudicando consueta la possibilità di essere tanto facilmente riconosciuta in conseguenza dell'abitudine a essere effettivamente tale nel proprio mondo, nella propria epoca.
« Nell'area detentiva… esattamente dal lato opposto della nave, rispetto alla nostra attuale posizione. » illustrò un terzo uomo, uno degli stessi già avventatisi contro di lei, prendendo a sua volta voce nella questione a dimostrazione della propria evidente accettazione all'idea di quella collaborazione « Ma, in questo momento, se tu ti dirigessi in quella direzione, li trascineresti semplicemente sui tuoi passi ponendo a rischio la vita di colei per cui stai rischiando tanto: i nostri compagni risorti hanno te quale loro primo obiettivo… e ti staranno con il fiato sul collo. »
« Ha ragione. » confermò la compagna del medesimo, la stessa giovane donna che, insieme a lui, aveva appena attentato alla vita della mercenaria « Dobbiamo dividerci: una parte di noi farà da esca, insieme a lei, per distrarre i non morti… mentre gli altri andranno a recuperare la prigioniera. » propose, in una tattica semplice ma potenzialmente efficace, a dimostrazione di quanto, comunque, quel gruppo fosse abituato a gestire operazioni di stampo paramilitare.
« Appuntamento all'aviorimessa… » annuì Gechi, approvando il piano così rapidamente elaborato e concordato « Avremo bisogno di almeno una navetta per raggiungere la… »
« L'aviorimessa è sotto il controllo degli altri vostri ex-amici. » negò, tuttavia, la donna guerriero ritrovando parola dopo aver ridotto al minimo indispensabile il proprio interesse a intervenire nelle questioni lì dibattute, nel preferire rivolgere la propria attenzione all'ingresso della plancia, sempre pericolosamente assediato dagli zombie.

I non morti, dal canto loro, recuperato nuovamente il controllo dei propri movimenti all'interno di quell'ambiente privo di gravità a seguito dello scompiglio causato dall'offensiva di Gechi, avevano ormai ripreso ad avanzare verso la meta già prefissa qual propria, lasciandosi immancabilmente preannunciare dall'ormai consueta pioggia di laser e plasma, fortunatamente incapace di sconquassare la plancia più di quanto, sino a quel momento, non erano già stati in grado di compiere, sfortunatamente distruggendo, in quello stesso modo, quasi ogni strumentazione lì presente e, solo miracolosamente, lasciando ancora illesi quasi tutti i presenti, prudentemente disposti lontano dalle traiettorie tipiche di quegli attacchi.
Fra tutte le consolle malauguratamente distrutte, probabilmente, avrebbe potuto essere conteggiata anche quella dedicata alle comunicazioni radio, la stessa che la mercenaria aveva inizialmente sperato di poter adoperare per prendere contatto con Duva: contatto che, in effetti, ormai giudicava più appropriato evitare, non desiderando rischiare di invitare la propria compagna d'armi e amica a prendere parte a quel massacro, a quell'assurdo assedio dal quale, forse, nonostante l'alleanza ora stretta con i propri ex-avversari, non avrebbe potuto ugualmente trovare speranza di sopravvivenza.

mercoledì 27 ottobre 2010

1020


U
n breve intervallo, una fuggevole finestra di opportunità, fu quella così proposta alla mercenaria, della quale ella approfittò immediatamente, non concedendosi alcuno stupore nel confronto quella nuova situazione ambientale e, anzi, elegantemente sfruttando la medesima a proprio tornaconto, al fine di guadagnare l'ingresso alla plancia e, con essa, almeno sperava, a una qualsivoglia possibilità di salvezza, qual sola avrebbe potuto offrirle un contatto con la propria navicella, nell’ipotesi, purtroppo ancora priva di possibilità di conferme, che i sistemi di comunicazione della nave non fossero stati danneggiati al pari di quelli relativi al controllo gravitazionale.

« Li ha uccisi… li ha uccisi tutti quanti! » gemette un uomo nero vestito, in chiaro riferimento non tanto all’antagonista lì sopraggiunta, quanto piuttosto ai non morti alle sue spalle, gli stessi che, se pur inizialmente offesi dall’improvvisa assenza di gravità, non persero occasione per dimostrare la propria intelligenza tutt’altro che primordiale, nel riadattarsi al nuovo contesto e, in ciò, nel ritornare alla carica verso il solo obiettivo prefisso.

In un’ampiezza indubbiamente maggiore rispetto a quella che sarebbe potuta essere offerta dalla plancia della Kasta Hamina, una ventina di nuovi, potenziali, avversari furono allora presentati allo sguardo della donna guerriero, scaraventati in maniera confusa, disordinata, in evidente conseguenza dell’inattesa, e inattendibile, perdita di peso così causata dalla distruzione di una pur minima parte della strumentazione lì presente. Un’inferiorità numerica sempre più marcata, quella con cui ella si ritrovò a confronto, la quale, tuttavia, non avrebbe potuto seriamente preoccupare la stessa mercenaria, dal momento in cui il nuovo, particolare contesto scenario di ogni eventuale scontro sarebbe dovuto essere giudicato troppo sensibile, troppo delicato, per permettere loro l’occasione di ricorrere alle proprie armi da fuoco, scelta che avrebbe solo aggravato la già grave situazione così come spiacevolmente proposta dall’impeto degli zombie.

« Salute a voi, miei cari anfiteatri… » sorrise Midda, rivolgendosi verso i presenti e galleggiando con naturalezza all’interno dello spazio lì presentatole, ritrovandosi, probabilmente in conseguenza della propria familiarità con le acque del mare, nelle quali era cresciuta, e aveva appreso a nuotare, quasi prima di camminare, più a proprio agio paradossalmente anche rispetto ai propri stessi anfitrioni così erroneamente definiti dal suo traduttore « … e grazie per la vostra squisita ospitalità! »
« Fermatela! » esclamò, per tutta risposta, una donna fra le presenti, nel rendersi conto di quell’intrusione e, tuttavia, nel ritrovarsi del tutto impossibilitata ad agire in suo contrasto, troppo lontana da lei e, peggio ancora, bloccata in un angolo dal timore degli incessanti colpi dei propri ex-compagni ora defunti.
« Sinceramente ignoro chi siate e cosa vi spinga a fare quanto state facendo… sebbene mi senta confidente del fatto che possiate essere identificati quali mercenari e, in ciò, non abbisognate di concrete ragioni per agire in tal senso. » commentò la mercenaria dagli occhi color ghiaccio, difendendosi, allora, da un primo, raffazzonato, attacco a lei proposto da un omaccione a breve distanza, respingendone la carica senza eccessiva difficoltà, per quanto, ineluttabilmente, a propria volta sospinta all’indietro in naturale reazione alla propria stessa azione « Vi pregherei, tuttavia, di voler essere sufficientemente cortesi da arrendervi, affidare alla mia protezione colei che avete rapito e lasciarmi libera di ritornare ai miei affari, non interferendo ulteriormente con i vostri. »
« Stupida sgualdrina… non ti rendi conto di cosa hai causato?! » riprese voce il primo ad aver parlato, l’uomo già dimostratosi timoroso nel confronto con l’immagine dei non morti e, ora, evidentemente tornato a tale argomento, a simile questione, ove purtroppo non trascurabile « Ci hai condannati tutti a morte. Tu, lei, noi tutti… faremmo prima a spararci un colpo in testa, piuttosto che continuare a combattere, dal momento in cui, presto o tardi, loro avranno comunque la meglio! »

Parole sincere, estremamente appassionate, quelle allora proposte da chi, qual professionista del proprio settore, avrebbe potuto dimostrarsi altresì freddo e distaccato anche nel confronto con una simile questione e che, per tal ragione, non mancarono di incuriosire la donna guerriero, pur senza distrarla dalle nuove minacce rappresentate dalla carica di un altro uomo e un’altra donna a suo discapito, i quali, in questa occasione, non mancarono di proporsi armati, impugnando saldamente i loro consueti pugnali di foggia militare, facenti sfoggio di una lama liscia e di un opposto fronte seghettato.
Ben lontana dall’essere animata da una qualsivoglia bramosia volta a incrementare le già numerose schiere dei non morti lì creati, nonostante il desiderio di sangue così tanto chiaramente dimostrato dai due, a tale coppia di antagonisti Midda non presentò in risposta la propria spada bastarda, quella lama con cui, del tutto indifferente all’assenza di gravità, avrebbe potuto imporsi su di loro senza particolare difficoltà ancor prima di una qualsiasi possibilità di danno personale, preferendo ricorrere, più prudentemente, alla propria stessa agilità, nonché alla propria esperienza nel combattimento corpo a corpo, per quanto raramente sperimentato in una condizione paragonabile a quella. In ciò, nel mentre in cui un primo pugnale, mantenuto da quell’uomo a lei ora dichiaratamente avverso, tentò un affondo all’altezza del suo basso ventre, ella afferrò con la mancina quello stesso braccio teso, contraendo i muscoli dell’intero corpo per sollevarsi contro la lunghezza del medesimo, nella sua parte inferiore, e, lì giunta, per guidare rapidamente le proprie gambe a incrociarsi più in alto, attorno al collo dell’avversario. Un gesto, quello così ricercato, non volto a imporre la forza di una morsa, quanto, piuttosto, l’impeto elastico di una fionda, in una mossa che, anche in contesti di consueta gravità, avrebbe ottenuto un effetto micidiale, sbalzando violentemente a terra il malcapitato, e che, in quel particolare momento, risultò a dir poco devastante, nel proiettarlo, privo di qualsiasi possibilità di controllo, lontano da lei nell’ampia sala. Nell’azione allora condotta a termine, tuttavia, ella si premurò di non impegnare anche la propria mano destra, in quanto altresì coinvolta nella necessità di difendere il resto del suo corpo dal contemporaneo, e non meno pericoloso, attacco dell’altra donna lì candidatasi al ruolo di protagonista, la traiettoria del pugnale della quale fu, allora, abilmente evasa da quello stesso, elegante, movimento compiuto in reazione al suo compagno, e alla quale ella volle rispondere con un meno raffinato, e pur efficace, schiaffo, che, pur imponendole una minima parte della propria forza meccanica, dell’energia propria di quella protesi robotica, la costrinse a roteare all’indietro, allontanandola dal proprio obiettivo, in un fallimento non diverso da quanto egualmente ottenuto da parte del proprio compare.

« Cercate di mettervi un po’ d’accordo, per Thyres! » si lamentò, con fare volutamente polemico nel ritornare ad assumere una posizione eretta in relazione al sistema di riferimento offerto dall’ambiente circostante « Da un lato mi accusate di avervi condannato tutti a morte, mentre dall’altro cercate ancora di combattermi. Vogliate prendere una decisione chiara, prima che siano i vostri ex-compagni là fuori a definirla per tutti noi… » li invitò, tentando l’azzardo intrinseco in quel tentativo di patteggiamento, di complicità fra avversari in reciproca difesa dal comune nemico rappresentato dagli zombie.

Una strategia, quella da lei ora ricercata e posta in essere nel confronto con gli uomini e le donne nero vestiti all’interno di quella plancia, che avrebbe potuto dimostrarsi una vana perdita di tempo nella propria stessa formulazione verbale, ove le sue controparti, mercenari suoi pari, si fossero comunque dimostrati particolarmente, e stupidamente, fedeli all’incarico ricevuto, ma che, nel caso in cui, al contrario, essi si fossero dimostrati reattivi e collaborativi a un’eventuale speranza di salvezza, avrebbe potuto guidarli a un insperato, e positivo, sviluppo in una situazione sino a quel momento costantemente degenerata di male in peggio.

« L’avete detto anche voi… la vostra situazione non è migliore rispetto alla mia. E, da morti, non potrete godere di alcuna eventuale ricompensa a voi promessa dal vostro mecenate. » insistette ella, nel cogliere incertezza, ora, negli stessi sguardi in cui, sino a un istante prima, era stata in grado di leggere soltanto indubbia avversione « La fuori c’è una nave che aspetta il mio ritorno. Io ho una possibilità di evasione da questo orrore… una possibilità di evasione che, se vorrete, potrà essere condivisa con tutti voi. »

martedì 26 ottobre 2010

1019


L
asciandosi guidare in parte dal proprio istinto, in parte dal proprio raziocinio, per quanto priva di una definita conoscenza sulla planimetria della nave e dei suoi numerosi ponti, Midda riuscì a ritrovare una via verso la propria meta, verso il proprio traguardo: probabilmente non il percorso più diretto, indubbiamente non il cammino più breve, e pur, ineccepibilmente, un itinerario corretto, come alfine apparve chiaro, trasparente, nel momento in cui le si presentò innanzi la prima porta serrata a bordo di quella nave, la prima soglia sigillata da quando aveva messo lì piede, evidenza più che indicativa, nel rapporto con le sue maturate convinzioni nel merito della struttura di quell'astronave, in relazione all'effettivo raggiungimento dell'area prefissata, di quel luogo tanto sensibile all'interno del quale, ella era certa, si dovevano essere asserragliati tutti i membri superstiti dell'equipaggio, in compagnia, forse, persino del loro ostaggio, di colei per salvare la quale, quello stesso assurdo e sanguinario macello aveva avuto origine.
Riservatasi nuovamente, in quella particolare situazione, qualche istante di vantaggio sui propri inseguitori, la donna guerriero, nel ritrovarsi posta innanzi a una solida soglia chiusa, non si concesse alcuna possibilità di resa, di demotivazione, ritrovando, al contrario, in tutto ciò una ferma ragione di reazione, di rifiuto e ribellione a un fato che qualcun altro sembrava essersi impegnato a scrivere in suo sfavore. In ciò, ove anche, suo malgrado, priva di qualsiasi arma utile a sfondare in maniera rapida e indolore quella soglia, ella non tardò a infierire contro quella stessa porta metallica con l'unica risorsa concessale in quel particolare momento: la propria stessa mano destra.

« Avanti, ragazzoni… » esclamò, nel mentre in cui un primo pugno piombò, con decisione, nel punto di congiunzione fra le due metà blindate preposte a serrare quel varco, imponendogli un impeto, una forza, sconosciuta a qualsiasi normale essere umano, qual sola sarebbe potuta derivare dalla natura robotica di quel suo stesso arto, di quella sua protesi lì preposta a surrogato del braccio mancante « Non vorrete rifiutare ospitalità a una splendida donna con un seno generoso e procace qual il mio… »

Se nel proprio mondo, la prima alternativa, di natura magica, che le era stata concessa in sostituzione di quell'arto brutalmente mutilato in ottemperanza a un'ingiusta condanna per pirateria, avrebbe potuto essere considerata, a ragion veduta, un meraviglioso miracolo, in grazia del quale ella aveva potuto rimediare alla propria menomazione, la seconda alternativa, ora di natura tecnologica, riservatale altresì in quella nuova realtà, per quanto più pesante rispetto al proprio predecessore, non avrebbe potuto, in verità, riservarle ragione di rimpianto per quel nero arto metallico dai riflessi rossi purtroppo irrimediabilmente perduto, nel concederle ogni vantaggio già caratteristico del precedente e, in effetti, anche qualche nuovo e apprezzato valore aggiunto. Più snello, più sinuoso e naturale nella propria forma, rispetto al precedente, non più ricavato da un'armatura, ma plasmato appositamente per lei a partire dalle proporzioni proprie del braccio e della mano sinistra, quella protesi meccanica le aveva, sin da subito, assicurato una mobilità del tutto equivalente all'originale arto perduto, con estremità non più grossolane e grottesche quali quelle con cui si era pur abituata a convivere, ma con lunghe dita, delicate ed eleganti, perfettamente funzionali anche per i compiti più delicati, fosse persino stuzzicare le corde di uno strumento musicale: già ragione sufficiente di certa approvazione in favore dell'attuale surrogato a lei offerto, tutto ciò le era stato addirittura garantito senza costringerla a rinunciare a una concreta utilità in situazioni conflittuali, dal momento in cui, al contrario, se prima le era semplicemente stata concessa la medesima forza fisica che avrebbe potuto caratterizzare il suo vero arto, da mantenere in costante allenamento al pari di qualsiasi altra parte del suo corpo, ora le era stata riservata una potenza nettamente superiore, e alimentata, nella propria natura, non più dal suo stesso corpo, quanto da un generatore all'idrargirio, collocato all'interno del medesimo arto.
Una risorsa, quella rappresentata da quel surrogato di arto destro, che se già, in passato, era stata per quasi vent'anni una fedele alleata utile in numerose situazioni al limite della disperazione, ora non solo non aveva perduto il proprio originario valore, ma, anzi, aveva acquistato ancor più importanza, come anche, in quella situazione, non mancò di dimostrare.

« Vi assicuro che, ormai, sono più nuda che vestita… » proseguì, tempestando la porta con un secondo, un terzo e un quarto colpo, di intensità sempre maggiore, simile a un ariete in contrasto alla soglia principale di una città posta sotto assedio « … possibile che non abbiate alcuna curiosità di godervi quanto ho da offrire alla vostra lussuriosa vista?! »

La violenza intrinseca nei pugni così inferti contro il pur solido metallo della porta chiusa innanzi a lei fu straordinaria e micidiale, tale da piegare ben presto, là ove colpita, quella superficie altrimenti perfettamente piana, e tale da non riservare dubbio alcuno sulla possibilità, per la mercenaria, di raggiungere il proprio scopo, il proprio obiettivo di violenta penetrazione all'interno di quell'ambiente sigillato, di quel luogo a lei ora interdetto, se solo ne avesse avuto il tempo, le fosse stata concessa l'occasione di proseguire in tal senso. Purtroppo, però, proprio nel tempo avrebbe dovuto essere individuata la risorsa per lei, allora, meno disponibile, così come, nel mentre del suo quinto attacco a quella superficie, un conosciuto suono di passi, proveniente dal fondo del corridoio alle sue spalle, non mancò di definire, anticipando di un effimero istante una nuova, violenta, pioggia di laser e plasma diretta contro la medesima donna.

« Thyres… » gemette, gettandosi subitaneamente a terra e già maledicendosi per essersi troppo esposta, per essersi così generosamente offerta all'attacco degli zombie, salvo, un attimo dopo, rendersi conto di come, proprio in direzione dei suoi avversari non morti, avrebbe dovuto rivolgere la propria gratitudine.

In immediata conseguenza all'ennesima e impetuosa carica di colpi candidati alla sua distruzione, infatti, ancora una volta le pareti interne alla nave furono irrimediabilmente danneggiate, coinvolgendo, tuttavia, in questa particolare occasione, proprio la stessa porta già posta sotto assedio dal capo della sicurezza della Kasta Hamina, soglia che, in tale occasione, non fu, suo malgrado, in grado di mantenersi intatta, integra, altresì squarciandosi nel proprio centro e aprendo, in tal modo, un passaggio verso l'interno della plancia, direzione entro la quale, drammaticamente, si riverso una seconda pioggia di laser, spazzando senza pietà alcuna chiunque, e qualunque cosa, tragicamente posto sulla traiettoria di quello stesso attacco. Fu in tal modo, pertanto, che il conteggio di morti fra i mercenari nero vestiti della Sezione I si incrementò con altre quattro vittime, nel mentre in cui, ancor peggio, un'ampia parte della strumentazione di bordo fu compromessa, così come un'improvvisa scomparsa della gravità artificiale non tardò a rendere chiaro a chiunque.

« Stupidi idioti! » sussurrò la mercenaria, ritrovandosi catapultata, priva di peso, in aria, e, in ciò, potenzialmente e drammaticamente esposta alle offensive dei non morti « … avreste dovuto aprirmi quando ancora ne avevate la possibilità. » soggiunse, a definire in maniera certa i soggetti destinatari di quel suo insulto, retorico ove, sostanzialmente, non rivolto ad alcun reale interlocutore.

Per sua incredibile fortuna, benevolenza divina per la quale ella non mancò di ringraziare la propria amata dea, la stessa assenza di gravità che l'aveva sbalzata prepotentemente in aria, per un attimo priva di controllo alcuno sui propri movimenti e sulla propria posizione, esponendola in ciò ai possibili attacchi dei propri nemici, coinvolse in egual misura anche gli stessi, i quali, per quanto indubbiamente più reattivi nel confronto con gli zombie con cui ella era abituata ad avere a che fare, non ebbero modo di cogliere con sufficiente prontezza il cambio delle condizioni a contorno di quella battaglia, ritrovandosi, pertanto, a loro volta catapultati, in maniera disordinata, nello stretto spazio del corridoio, nel mentre in cui una nuova serie di attacchi, i nuovi colpi offerti dalle loro stesse armi, si diffusero in modo incontrollato, privi di qualsiasi mira, evitando la sola destinataria di tanto sforzo e, persino, arrivando a rivolgersi in loro stessa offesa, per quanto alcuno fra gli stessi avrebbe potuto risentire di ciò.

lunedì 25 ottobre 2010

1018


L
a sola e semplice idea che un gruppo di non morti potesse riservarsi sufficientemente lucidità mentale da riuscire non solo a collaborare in maniera attiva, o a utilizzare un'arma da fuoco, quanto, addirittura, da organizzare una trappola a suo discapito, si poneva, nel confronto con l'intelletto della donna guerriero, tanto paradossale quanto terrificante, per la complessa serie di scenari che questo avrebbe potuto dischiudere davanti a lei. Se a tutto questo, inoltre, fosse stata aggiunta una discreta mobilità articolare, entro i limiti propri dei loro corpi disfatti, quanto allora presentato alla mercenaria non sarebbe potuto essere oggettivamente accettato quale lo scenario negromantico inizialmente temuto, gli zombie da lei già considerati quali presenti a bordo della nave: per quanto, infatti, quelle creature fossero indubbiamente morte, e a tal riguardo sarebbe stata pronta a scommettere ogni credito accumulato in quel nuovo mondo, nulla in esse le avrebbe potute classificare come zombie… non, per lo meno, nei termini per lei abitualmente propri, non secondo i canoni della propria realtà.
Ma nell'assunto che, effettivamente, in quel nuovo universo, non esistesse negromanzia di sorta, nella sola eccezione di quella lì giunta dal suo stesso mondo, in nome di quale assurdo potere, di quale bizzarra possibilità, quei non morti erano potuti divenire ciò che erano? E, ancor prima di qualsiasi possibile filosofia esistenziale sulla loro origine, in che modo ella avrebbe potuto abbatterli? Avrebbe potuto considerare valide le stesse regole già note o, in quel caso particolare, nuove regole avrebbero dovuto essere apprese nel confronto con chi, sostanzialmente, avrebbe dovuto essere accolto quale un nuovo nemico, mai affrontato prima di quel giorno?
Incerta su come poter effettivamente contrastare quella nuova minaccia, e disincentivata a eventuali possibilità di confronto diretto dalla violenza riversata in suo contrasto attraverso il continuo grandinare di attacchi laser e al plasma, la mercenaria dagli occhi color ghiaccio si ritrovò a correre attraverso i corridoi della vasta nave senza neppure potersi permettere un'idea precisa della propria effettiva meta, nel conoscere troppo poco la planimetria del luogo e nel non avere ulteriore possibilità di analisi delle pur numerose mappe disseminate a ogni ponte. Sebbene accompagnata dalla propria fedele e immancabile spada, in quel particolare momento, in quel preciso contesto, ella avrebbe volentieri ritrovato contatto con una delle numerose armi da fuoco condotte seco a bordo della nave nel corso dell'arrembaggio: purtroppo, però, al pari dei corpi da lei abbandonati nel luogo primo teatro dello scontro, anche delle stesse non era rimasta traccia, probabilmente sottratte dalle medesime creature che, in quel frangente, stavano rivolgendo la propria furia distruttiva verso l'obiettivo da lei stessa rappresentato. Fortunatamente per lei, comunque, per quanto rapidi, quegli zombie potenziati non erano comunque sufficientemente tali da riuscire a competere in maniera efficace con lei, con la sua corsa, ragione in grazia della quale ella riuscì a mantenere sempre un adeguato margine fra sé e il gruppo alle proprie spalle, utile a evitare di esporsi troppo alle loro offensive. Continui, costanti attacchi che, purtroppo, in numerose occasioni furono estremamente prossimi al raggiungerla, al trasformarla in un ammasso informe di sanguinolenta e fumante poltiglia organica, pericolo pur di volta in volta evitato in grazia della propria agilità, della propria prontezza di riflessi, tale da permetterle di evadere, a volte con mosse estremamente azzardate, dalla cupa sentenza di morte così emessa a suo carico.

« Devo ammettere che mi mancavano questo genere di situazioni… » sussurrò, con trasparente ironia, nel lasciarsi scivolare a terra per quasi una dozzina di piedi di lunghezza, nella necessità di raggiungere la successiva svolta nel corridoio allora percorso e, in ciò, allontanarsi dall'impeto della violenza lì dedicatale dai propri avversari, nell'essersi ritrovata, allora, esposta ai loro attacchi « … anche se, in verità, preferirei poter essere pagata adeguatamente e profumatamente per tutto ciò… » soggiunse, in ricordo della sua passata professione, là dove il numero di tagli ancora presenti sulla sua candida pelle, i vestiti stracciati in più punti, sino a mettere parzialmente a nudo i suoi glutei o i suoi seni, sarebbero stati ampiamente ricompensati da un sovrapprezzo percentuale del compenso inizialmente stabilito con il proprio mecenate di turno, in quella che, ormai, era divenuta una sua nota prerogativa.

Suo malgrado, in quella nuova situazione, in quel nuovo mondo, la sua attuale attività prevedeva un semplice stipendio fisso, privo di diaria o di qualsiasi eventuale rimborso aggiuntivo, non per le ferite sanguinanti sul suo corpo, non per il foro presente nella sua spalla, non per l'abito divenuto prematuramente simile a uno straccio a stento in grado di celarne le intimità, e neppure per la dozzina di inarrestabili guerrieri non morti impegnati a tentare di privarla della vita, non con spiacevoli morsi e infettivi graffi, quanto, peggio, con micidiali laser e terribili plasma. Perfettamente consapevole di ciò, quanto da lei allora affermato, non avrebbe dovuto essere giudicato quale un reale rimpianto per il passato, nel prefiggersi il solo scopo di offrire svago, distrazione, alla sua stessa mente, al fine di permetterle di affrontare con maggiore serenità possibile un frangente innanzi alla quale chiunque altro avrebbe probabilmente già perso il controllo.
Abituata, dopotutto, a rischiare la propria vita in competizione con ogni genere di avversari, comprendendo in ciò creature indubbiamente più pericolose di quegli strani zombie, Midda era conscia di quanto fondamentale, non solo importante, avrebbe dovuto essere giudicata la sua quiete interiore, la sua sempre ricercata freddezza d'animo, allo scopo di potersi permettere di valutare con maggiore distacco possibile ogni pericolo, ogni antagonista, ogni sfida, quasi nulla di tutto ciò la riguardasse in prima persona ed ella stessa avesse da considerarsi quale una semplice spettatrice di eventi, di avventure vissute da un'altra persona. In grazia di ciò, ella fu in grado, allora come in passato, di confrontarsi con quelle insidie, con quella letale minaccia, con assoluta naturalezza, così come anche dimostrato dal particolare istante temporale protagonista di quelle stesse parole, che la vide concedersi con completa indifferenza ai colpi sparati a pochi pollici dal suo corpo sdraiato a terra, non lasciandosi atterrire dalla minaccia intrinseca in tutto ciò e, rapida e decisa, rigirandosi lateralmente, a conquistare la protezione riservatale dalla svolta propria di quel corridoio per, lì, subito rialzarsi e riprendere a correre con totale naturalezza, quasi senza affanno, come se tutto quello fosse un semplice allenamento personale, del tutto equivalente a quelli che, quotidianamente, ella si dedicava anche a bordo della Kasta Hamina, e non una corsa per la vita, per la propria sopravvivenza.
Nonostante tanto distacco emotivo dal pericolo su di sé imposto, la donna dagli occhi color ghiaccio e dai capelli color del fuoco era pur consapevole di quanto, a differenza dei propri avversari, di coloro che, in quel frangente, la stavano inseguendo al pari di cani da caccia dietro alla preda fiutata, e di coloro, altresì, lasciati lontani, all'interno dell'aviorimessa, ella non avrebbe mai potuto concedersi di correre all'infinito, di mantenere quel ritmo in eterno, là dove, sebbene indubbiamente allenata, e dotata di una prestanza fisica invidiabile da chiunque, presto o tardi avrebbe dovuto confrontarsi con i limiti della propria natura umana, della propria essenza mortale, vincoli altresì non gravanti sui propri inseguitori. Per questa solida e indubbia motivazione, non casuale, non completamente priva di significato o di scopo, avrebbe dovuto essere giudicata la sua corsa, quanto, piuttosto, volta al raggiungimento di una meta sicura o, per lo meno, della possibilità di riservarsi una meta sicura attraverso l'evasione da quella nave maledetta, da quel bastimento di morte. Obiettivo dei suoi passi, quindi, avrebbe dovuto essere giudicato quello proprio della plancia di comando dell'intera nave, là dove, speranzosamente, altri avversarsi, umani e ancora in vita, le sarebbero allora stati offerti, concedendole con la propria coatta collaborazione, forse, la possibilità di comprendere in misura maggiore quanto stesse accadendo e, sicuramente, l'occasione di contattare la propria compagna d'armi e stabilire, con lei, una nuova tattica, una nuova strategia volta a tirarla fuori da quella bara stellare.

« … in una manovra tutt'altro che ovvia, nel considerare il vuoto spaziale che circonda la nave, meno accogliente e gradevole rispetto alle amorevoli onde del mare mai necessariamente letali anche nel mentre della peggior tempesta. » commentò, offrendo espressione verbale a completamento della riflessione incominciata a livello intimo, in un'aperta critica al concetto e al limite intrinseco alla natura stessa dalle astronavi, sì concepite per permettere all'uomo di violare confini forse riservati solo agli dei ma, in ciò, incapaci di garantire ai propri equipaggi, agli indomiti stolti così trasportati nei propri ventri, una qualche maggiore, e impossibile, confidenza con l'ambiente circostante.

domenica 24 ottobre 2010

1017


« Q
uesto credo che sia uno di quei rari momenti in cui odio scoprire di avere ragione. » sentenziò Midda Bontor, in un inudibile sussurro, un alito di voce, proposto fra bianchi denti al centro di rosse labbra, leggermente dischiuse in una smorfia di disapprovazione per lo spettacolo lì riservatole.

Abituata, in conseguenza della propria particolare professione, a stimare con efficienza ed efficacia il numero degli avversari a lei proposti in una battaglia, o ai suoi esordi, anche quando in ingenti quantitativi, la mercenaria valutò rapidamente la presenza di una cinquantina di figure umane, schierati all’interno della stessa aviorimessa entro la quale ella aveva inizialmente sperato di poter accogliere la propria compagna d’armi, secondo il piano fra loro concordato. Figure indubbiamente umane nell'osservazione delle quali, in verità, ben poco di umano avrebbe potuto essere riconosciuto, là dove offerenti allo sguardo, quasi con sprezzo, oscene e sempre mortali ferite, violenti squarci, profondi tagli, assolutamente letali nella propria stessa proposta, nell'aver subito i quali alcuno fra tutti loro sarebbe potuto essere sopravvissuto. E, in effetti, alcuna fra le figure indubbiamente umane e pur prive di umanità lì presenti avrebbe potuto vantare il più vago anelito di vita, il più semplice spasmo di naturale esistenza, dal momento in cui, come la medesima donna guerriero avrebbe potuto tranquillamente giurare, tutti loro erano pocanzi caduti sotto la violenza dei suoi stessi colpi, nel confronto con lei dispostisi in quegli stretti corridoi, là dove ella stessa era rimasta addirittura ferita.
Non difficile, in quel marasma di corpi oscenamente rianimati, condotti in una blasfema condizione di non vita e, pur, di non morte, sarebbe stato per lei riconoscere la sciocca colpevole di aver aperto quelle mortali danze, di aver dato inizio a quel giuoco al massacro, con il colpo di laser diretto, a tradimento, verso la sua schiena, lì facente ancora sfoggio del pugnale che la sua ipotetica preda, divenuta immediatamente furente predatrice, le aveva proiettato nel centro del collo. O, ancora, a breve distanza da quella donna nero vestita, non più complesso sarebbe stato identificare il suo compagno d'armi, secondo in ordine a cadere sotto l'incontrollata e, probabilmente, eccessiva violenza dei suoi colpi, completamente privato del proprio intero volto, lì ora mostrante un cranio orrendamente frantumato dalla forza artificiale del pugno destro della propria avversaria e nemica e, ciò nonostante, del tutto privo di ogni possibilità di provare dolore, dal momento in cui, nella propria attuale condizione, egli… esso avrebbe dovuto essere considerato al di là di ogni umana limitazione, di ogni vincolo normalmente proprio dei mortali. Zombie: tutti loro erano diventati null'altro che zombie, patetiche, ridicole imitazioni di umanità, la cui esistenza stessa sembrava essere un affronto agli dei tutti, un'offesa imperdonabile al naturale corso degli eventi.

« Thyres… » soggiunse la donna dagli occhi color ghiaccio e dai capelli color del fuoco, un istante dopo il proprio primo commento, nel mentre in cui, al centro delle sue fredde iridi, le nere pupille si espansero, per un fuggevole istante, a offrire testimonianza di sincero stupore, salvo poi contrarsi sino quasi a scomparire, a dimostrare la sua ferma determinazione anche di fronte a quanto imprevisto e imprevedibile.

Invocazione, quella così da lei rivolta alla propria divinità prediletta, che non avrebbe dovuto essere fraintesa nelle proprie ragioni, nelle proprie motivazioni, presumendola qual derivante da un pur paradossalmente consueto confronto con simili, negromantiche creature, con cui ella aveva avuto a che fare in un numero così elevato di occasioni da non potersi più permettere di provare particolare eccitazione, nel bene o nel male, di fronte a simile spettacolo, dal momento in cui, al contrario, desiderava porre un giusto accento in una diversa direzione, quella di un dettaglio, di un particolare che mai, prima di quel giorno, aveva caratterizzato una qualsivoglia orda di non morti.
Ove, infatti, quelle negromantiche creature erano da sempre state proposte all'attenzione della donna guerriero quali semplice carne da macello, ancor prima che fiere ed eleganti legioni di fanteria agli ordini del proprio padrone, di colui o colei che aveva strappato alla morte i loro corpi infondendo in essi un vago sentore di rinnovata esistenza, il minimo necessario a permettere loro di deambulare con movimenti lenti e impacciati, bramando carne e sangue di sventurate creature viventi gettate, o gettatesi, fra le loro braccia, mai ella aveva avuto passata occasione di cogliere in uno zombie un particolare barlume di intelligenza tale da consentirgli di adoperare un'arma, fosse anche una semplice clava, quando pur a sua disposizione, quando pur presente al proprio fianco. Ragione per cui mai Midda avrebbe potuto attendersi di individuare, saldamente impugnate nelle mani dei suoi ritrovati e già sconfitti avversari, le stesse armi, da fuoco e non, da loro precedentemente possedute, lì condotte, addirittura, non in conseguenza a una semplice casualità, alla loro banale presenza su quei corpi orrendamente rianimati, quanto, piuttosto, di quello che avrebbe dovuto essere incredibilmente considerato un effettivo, e pur incredibile, pensiero razionale, come l'immediato volgersi di quelle stesse armi verso la sua direzione, verso la porta innanzi alla quale ella era lì sopraggiunta, sembrò voler dimostrare al di fuori di ogni possibile dubbio.
Alcuna pur legittima curiosità, alcun pur umano e naturale interesse nel merito di quella sconvolgente rivelazione, tuttavia, poté essere propria dell'animo e della mente della donna guerriero, alla quale fu negata ogni possibilità di prolungata sorpresa, ogni occasione di incertezza nel merito delle ragioni di quell'incredibile evoluzione in quegli zombie, nell'esigenza prioritaria, nella repentina necessità, di preoccuparsi per la propria stessa sopravvivenza e, in ciò, di allontanarsi il prima possibile da quello che, senza particolare enfasi, sarebbe potuto rivelarsi essere il suo plotone di esecuzione…

« Maledetti figli d'un cane! » gridò, nel catapultarsi lontano dalla propria posizione, da quella porta, un istante prima di una devastante pioggia di colpi di armi laser e al plasma, diretta in proprio contrasto senza alcun ritegno, senza alcun interesse per l'integrità strutturale della nave attorno a lei, della parete alle sue spalle.

In quel momento, impossibile sarebbe stato, per lei, definire se il peggio poté essere evitato per un semplice scherzo del fato o, piuttosto, per un'effettiva, concreta, eventuale e, in ciò, pur spaventosa, coscienza dei propri antagonisti, i quali, pur avendole rivolto un micidiale attacco con armi ad alto potenziale distruttivo, non imposero, in ciò, la piena potenza delle proprie armi, quanto, piuttosto, quella più lieve, minima, comunque sufficiente, nel suo caso specifico, per ucciderla se solo l'avessero raggiunta, ma non tale da trapassare l'intera nave e, in ciò, aprire un nuovo squarcio verso lo spazio esterno alla medesima, limitandosi a intaccare la singola parete alle sue spalle.
Così come già un istante prima, tuttavia, ancora alcun concreto interesse, alcuna vera attenzione, ella volle porre attorno a tale ambiguità, a simile dubbio nel merito del concreto livello di intelligenza proprio di quei nuovi zombie, così diversi da quelli a cui avrebbe potuto definirsi abituata, nel preferire impegnare ogni propria personale risorsa, fisica e mentale, non tanto al perché si fosse trovata a essere in quella situazione, quanto, piuttosto, al come ne sarebbe potuta uscire viva. Esigenza tutt'altro che priva di impellenza, quella allora da lei prediletta, nel considerare come, non paghi di quel primo risultato, di quel fallimento, sì, e pur tanto prossimo al successo, una dozzina di non morti vollero perseverare nella dimostrazione della propria straordinarietà, separandosi in maniera coordinata dai propri compagni e, con movimenti particolarmente lesti e decisi, avanzando nell'inseguimento della propria assassina, colei allora eletta qual solo obiettivo della propria assurda esistenza.

« Mi stavano aspettando. Maledizione… mi hanno teso un agguato! » commentò ella, con sincera meraviglia in conseguenza di quell'inattesa evoluzione, costretta a riprendere subito la fuga da quell'incombente pericolo di morte, dai nuovi colpi che vennero rivolti in sua offesa « … che mi serva di lezione per il futuro. » sussurrò poi, pronunciandosi a proprio stesso quieto rimprovero, per tutte le sue precedenti dimostrazioni di insoddisfazione nel merito di un'assenza di confronto con imprese degne del suo nome, con avversari degni della sua fama, quali, indubbiamente, avrebbero ora potuto essere individuati quegli assurdi zombie intelligenti.

sabato 23 ottobre 2010

1016


« C
osa c'è a bordo di quella nave, Lange? » domandò Duva, distraendosi da ciò verso cui avrebbe dovuto rivolgere il proprio prioritario interesse, la conduzione della navetta, al punto tale dal giungere prossima a una violenta collisione con un piccolo asteroide posto sulla propria traiettoria, che riuscì a evitare solo all'ultimo momento, in grazia di una manovra decisamente azzardata e pur utile a garantirle una possibilità di sopravvivenza « Parla, per bontà divina… che cosa accidenti c'è a bordo di quella nave?! »
« Sono dei mercenari… soldati veterani, reduci dalla Sezione I. » rispose l'altro, assolutamente serio in quell'affermazione, in quella definizione, in conseguenza alla quale la sua interlocutrice non poté evitare di strabuzzare lo sguardo, quasi perdendo del tutto il già incerto controllo del veicolo controllato.

Prossima a essere considerata più una leggenda che una concreta realtà, la Sezione I era una delle diverse, terribili iniziative che, in un qualche pianeta non meglio precisato fra tutti quelli noti e abitati, in un tempo ugualmente non meglio definito, e per ragioni mai esplicitate, se pur chiaramente intuibili, si era prefissa quale obiettivo la creazione di guerrieri perfetti, soldati post-umani, che mai avrebbero potuto conoscere la sconfitta, che mai avrebbero potuto raggiungere un traguardo diverso dal trionfo, a ogni costo.
Sebbene tutt'altro che minimali nel proprio numero avrebbero allora potuto essere conteggiate le organizzazione, celebri o famigerate, che nell'intera galassia si erano riservate scopi del tutto identici a quelli della Sezione I, ben poche avrebbero, fra tutte loro, potuto essere individuate, distinte, quelle non mero frutto di banali chiacchiere, semplice enfatizzazione, incontrollato passa voce utile solamente a ingigantire scarsi o inesistenti risultati, e, fra queste ultime, ancor meno avrebbero potuto essere riconosciute quelle il cui successo, più o meno duraturo, era stato ufficializzato da concreti risultati, indubbie testimonianze ormai entrate a far parte della Storia. Poche, pochissime, tra le quali indubbio avrebbe dovuto essere giudicato il primato della Sezione I, la quale, ormai da diversi decenni, era riuscita a ritagliarsi una fama tanto cupa quanto diffusa in modo estremamente eterogeneo. Nell'intera galassia, o, per lo meno, in quella parte di universo, ben pochi, infatti, erano coloro che mai avevano avuto occasione di sentir parlare della Sezione I e dei propri terribili soldati, del frutto di esperimenti oltre ogni umana morale, al di là di quelli che, abitualmente, erano accettati quali universali principi etici da ogni popolo, da ogni cultura, da ogni società: esperimenti nel corso dei quali, il solo, grande, limite intrinseco della stessa natura mortale dell'essere vivente, della persona, era stato posto in discussione, nella volontà di riuscire a creare un combattente perfetto in quanto privo della possibilità di una morte permanente.
Sezione I: "i" come "imperituro", "indefettibile", "immarcescibile"… o, più semplicemente, "immortale".

« No… non può essere! » rifiutò Duva, non riuscendo sinceramente ad accettare quell'idea, quella versione dei fatti così come, purtroppo, comunicatale dal suo capitano, dal suo ex-marito, l'uomo al quale, che lo volesse o meno, era ancora legata da un sentimento estremamente profondo e che non avrebbe mai potuto considerare tanto sciocco da mentirle, tanto stupido da inventarsi una storia così assurda quale quella.
« Abbiamo appena ricevuto una comunicazione dalla terza luna di Tharos… dallo stesso Beri Vemil e da pochi sopravvissuti in fuga dalla colonia. » argomentò Lange, a supporto di quella stravolgente notizia che, purtroppo, avrebbe dovuto essere accettata qual vera « Durante un tentativo di interrogatorio agli uomini e alle donne che voi avete lasciato lì privi di sensi, i tirapiedi del signor Vemil hanno calcato un po' troppo la mano e, senza volerlo, hanno ucciso uno dei loro prigionieri. »
« E…? » domandò la donna, purtroppo già consapevole dello sviluppo della questione, della piega che doveva esser stata assunta dagli eventi, per giustificare la conclusione a cui l'uomo desiderava giungere con la narrazione così propostale.

Nonostante lo scopo iniziale della Sezione I fosse stato quello di generare dei soldati immortali il solo risultato che tale iniziativa riuscì a raggiungere, ben noto in conseguenza della sciagurata fama della medesima, non fu quello di ridonare la vita a chi morto, quanto, piuttosto, di privare lo stesso persino della morte, in quello che, agli occhi di una donna come Midda, meno avvezza alle sofisticate tecniche di quel mondo, sarebbe apparso essere solo e semplicemente il risultato di una negromanzia. In verità, comunque, alcuna magia, alcun oscuro rito, avrebbe dovuto essere supposto alla base di quell'assurdo e osceno processo, quanto, meno fantasiosamente, l'applicazione di un complesso, e pur viziato, protocollo di rigenerazione ottenuto per mezzo di microscopici nano-robot in grado di prendere il controllo del corpo del soldato al momento stesso della sua morte e, in ciò, di donargli una parvenza di vita in una grottesca animazione: una resurrezione, quella così ottenuta, pertanto, assolutamente fittizia e tale, piuttosto, da trasformare un uomo o una donna in un grosso burattino, un automa di natura ibrida che si sarebbe impegnato a concludere la propria missione, il compito assegnatogli, privo ormai di qualsiasi umano limite, di qualsiasi mortale vincolo, non solo fisico ma, ancor più, mentale.
Inizialmente impiegati in diverse missioni di guerra, fosse anche allo scopo di valutarne le effettive potenzialità d'impiego, nel momento in cui essi, nefasto successo dell'inventiva dei loro creatori e risultato estremamente lontano dall'ambizione iniziale alla base della fondazione della stessa Sezione I, si dimostrarono di difficile gestione anche per i loro stessi superiori, soprattutto in conseguenza della conclusione dei loro rispettivi incarichi originali, unica ragione per cui sembravano essere in grado di conservare un barlume di lucidità, di indotta e innaturale coscienza, simili orridi burattini decretarono loro malgrado la prematura conclusione dell'intera organizzazione, nell'essere giudicati e condannati dalla comunità interplanetaria quali un abominio inaccettabile e, per questo, solo meritevoli di essere distrutti. Ovviamente, essendo la materia prima alla base di tale iniziativa comunque umana, e, in ciò, comprensibilmente restia ad accettare quel pur concordato ritiro dal mercato, la quasi totalità dei soldati ancora in vita impiegati all'interno del progetto della Sezione I, preferì disperdersi nell'intera galassia piuttosto che rassegnarsi a una fredda condanna a morte, successivamente reimpiegandosi, per ricavarsi di che sopravvivere, nel solo compito che mai avrebbe potuto loro interessare: la guerra.

« E… purtroppo , quell'involontario morto non è rimasto tale troppo a lungo. » asserì la voce del capitano, a triste conferma di quanto già dichiarato « Dopo meno di mezzora, l'intero insediamento lì realizzato è stato praticamente raso al suolo e i pochi superstiti sopravvissuti all'attacco di quei mostri sono stati costretti a una rapida e improvvisata partenza, nella speranza di riservarsi una speranza di futuro lontano da quell'orrore. »

Chiunque avesse deciso di ingaggiare dei mercenari della Sezione I in contrasto al disgraziato Beri Vemil, doveva odiare profondamene quel truffaldino commerciante, in una misura indubbiamente superiore a quella che mai avrebbe potuto animare il cuore di chiunque a bordo della Kasta Hamina pur non dimenticandosi dello scherzo da lui compiuto a loro discapito.
Ma se anche, pur sicuramente interessante, intellettualmente stimolante, avrebbe potuto essere giudicata l'idea di comprendere la natura di quel mandante e, ancor più, le ragioni proprie del suo gesto, di quella sua insana scelta, qual solo sarebbe stata considerata quella destinata a coinvolgere quella particolare risorsa, in quel particolare momento, in quel preciso frangente temporale, nel confronto con l'ormai angosciata Duva, solo un pensiero avrebbe potuto essere riconosciuto qual effettivamente presente e violentemente predominante su ogni raziocinio e su ogni emozione…

« Cielo! » gemette il primo ufficiale della Kasta Hamina, sinceramente impressionata al semplice pensiero del pericolo così rappresentato dai loro avversari e, nella fattispecie, da coloro presenti all'interno della nave abbordata dalla sua compagna d'armi « Questo significa che se Midda si è lasciata prendere la mano… »
« … per lei potrebbe non esserci più molto da fare. » completò Lange, mantenendo ancora fredda e controllata la propria voce, nonostante la tragicità propria di quell'idea, di quello stesso annuncio « A meno che, ovviamente, la fama di cui ci ha reso partecipi con le sue cronache, non sia da lei effettivamente meritata. »

venerdì 22 ottobre 2010

1015


D
opo aver osservato l’audace abbordaggio condotto dalla propria compagna e amica, ed essere rimasta, conseguentemente a ciò, sola a bordo della loro navetta, l’impegno del primo ufficiale della Kasta Hamina, lungi dal poter essere considerato terminato, vide la donna essere costretta a dividere la propria attenzione e le proprie energie non solo nel costante confronto con gli ultimi elementi propri della fascia di asteroidi, quasi completamente superata e pur ancora pericolosa presenza incombente su di lei, ma, peggio ancora, nell’ulteriore sfida rappresentata dalla nave dei propri ancora sconosciuti avversari, la quale, tutt’altro che carente di armi, a differenza sua, non rinunciò alla speranza di abbatterla, rendendola costante bersaglio dei colpi dei propri laser e dei propri cannoni al plasma e, probabilmente, risparmiando i siluri all’idrargirio unicamente perché considerati altrimenti sprecati per un bersaglio tanto inerme quale quello, purtroppo, offerto dalla stessa Duva Nebiria.
In verità, nel corso della propria esistenza, forse meno epica, ma non per questo meno avventurosa rispetto a quella della propria compagna d’armi, la donna dagli occhi color dorati si era già trovata a essere coinvolta in situazioni decisamente peggiori rispetto a quella per lei attuale, e, in ciò, l’idea di essere rimasta a bordo di una navetta del tutto sguarnita di sistemi tattici ed esposta a fuoco nemico, non avrebbe potuto preoccuparla se non nei giusti limiti propri dell’amore per la vita e della conseguente volontà di sopravvivere a tutto quello, fosse anche semplicemente al fine di potersi riservare nuove occasioni di scontro in inesplorati contesti, contro inimmaginati avversari. Per tal ragione, con assoluta tranquillità interiore ed esteriore, ella continuò ad affrontare le continue, incessanti minacce di morte a lei stessa dedicate per mezzo di quegli attacchi, di quelle offensive, attendendo paziente, quieta nel proprio animo in quella misura che, purtroppo, non le era consentito di essere nel proprio fisico, il momento in cui Midda sarebbe tornata a parlarle, a comunicare con lei dall’interno della nave per avvisarla della possibilità di accedere alla medesima, di penetrare nella sua aviorimessa e, da lì, prendere a propria volta parte all’iniziativa così accordata fra loro, per quanto in esplicita violazione dell’incarico loro affidato dal capitano.
Nel merito del successo della propria complice, ovviamente, mai la donna si era concessa di formulare il benché minimo dubbio, là dove, in caso contrario, non avrebbe neppure proposto quell’azione che altri avrebbero giudicato folle e che, invece, entrambe avevano considerato non solo possibile, ma, persino, di sicuro successo. Del resto per quanto, molto spesso, quella mercenaria dagli occhi color ghiaccio fosse apparsa anche a lei quale uno strano enigma, una misteriosa figura impossibile da comprendere nella propria pienezza, in probabile conseguenza della propria bizzarra origine, mai completamente e razionalmente accettata da alcuno a bordo della Kasta Hamina, la simpatia e, meglio ancora, l’empatia che Duva aveva sviluppato con lei sin dal primo giorno, era stata ed era tutt’ora tale da non permetterle di riservarsi alcuna incertezza nel merito di quanto da chiunque sarebbe altresì stato considerato un limite intrinseco della sua stessa umanità, accettando quasi per fede la sua capacità di prescindere a tali vincoli, capacità di cui, del resto, non erano mai mancate numerose e solide riprove tali, addirittura, da giustificare l’idea che, nel suo mondo, ella potesse essere stata addirittura indicata quale una semidivinità.
Nonostante tanta fiducia in colei scelta dal suo capitano per essere posta a capo della sicurezza della loro nave e del loro equipaggio, tuttavia, la tranquillità interiore del primo ufficiale non poté evitare di vacillare, in maniera sincera e spontanea, nel momento in cui una comunicazione in ingresso raggiunse la sua attenzione, non provenendo, come atteso, da parte della nave avversaria, quanto, piuttosto, dalla loro stessa nave madre, dalla Kasta Hamina.

« Qui è il capitano Rolamo che parla… » esordì la voce del suo ex-marito, ricorrendo a quella particolare intonazione, a quella flessione nella propria stessa voce, riservata a occasioni di concreta crisi, di reale preoccupazione, emozioni che egli non desiderava lasciar trasparire, sentimenti che non desiderava condividere con alcuno a bordo, e che pur, conoscendolo, potevano essere riconosciuti anche a quella distanza astronomica « … Duva, riesci a sentirmi? Duva, mi ricevi? Rispondi, per favore… »

Nel considerare come, per la riuscita del piano originale, il silenzio radio era stato giudicato, a ragion veduta, quale indispensabile e, ancor più, nell’offrir attenzione a quel tono così insolito per lui, la donna dagli occhi dorati non poté che presagire l’insorgere di una pessima novella a giustificazione di quella chiamata, di quel tentativo di contatto che non sarebbe altresì dovuto esistere.
Consapevole di ciò, e per quanto ancora impegnata, senza speranza di tregua alcuna, nell’evitare gli attacchi dei propri avversari e i planetoidi alla deriva attorno a sé, Duva rispose in maniera subitanea a quella richiesta, nel desiderio di conoscere quale pericolo stava incombendo sui propri compagni, sola motivazione alla quale, in quel particolare frangente, ella riuscì a pensare.

« Sono qui, Lange… » asserì, nell’aprire un canale in direzione della Kasta Hamina, ponendosi subito a rapporto « Cosa succede? »
« Ti prego, Duva… dimmi che non avete intrapreso alcun genere di azione personale nei confronti dei nostri "amici". » richiese egli, sinceramente speranzoso a tal riguardo, per quanto privo di alcuna fiducia in simile direzione, purtroppo praticamente certo del contrario, per quanto fosse stato egli stesso a elaborare e, successivamente, autorizzare quella particolare strategia, riunendo ancora una volta la coppia fonte divenuta, ormai e purtroppo da tempo, di ogni preoccupazione per lui « Dimmi che Midda è lì con te sulla navetta e che non avete abbracciato alcuna malaugurata iniziativa d'offesa nei contrasti di quella nave. »

Duva esitò in risposta a tale questione, non desiderando mentire attorno a simile argomento e, ciò nonostante, quasi infantilmente temendo l'eventualità di un rimprovero da parte del proprio interlocutore, dal momento in cui, come l'impegno di lui a celare la propria preoccupazione stava ben ponendo in evidenza, probabilmente erano emerse delle particolari ragioni utili a disapprovare tutto quello. Ragioni ben più profonde di una semplice e quasi ovvia disattenzione nel merito delle direttive loro inizialmente impartite.

« Ripeto la domanda: cosa succede? » decise di insistere, tralasciando una risposta purtroppo scontata a una domanda altrettanto retorica « Perché avete interrotto il silenzio radio? »
« Midda non è più lì con te… » asserì la voce dell'uomo, ora priva di qualsiasi intonazione interrogativa, nel cedere il passo a quella che avrebbe potuto essere interpretata quale cupa rassegnazione, triste accettazione di quella che, in verità, egli stesso non avrebbe potuto evitare di condannare quale una propria mancanza, una propria incapacità nella gestione di quelle due particolari risorse del suo equipaggio « E' a bordo della nave… e probabilmente starà compiendo una mezza carneficina. »
« In verità non so cosa stia facendo. » negò Duva, accettando di palesare in tal modo l'attuale collocazione della propria compagna d'arme « Ma sono certa che, se dovesse ricorrere alla violenza, lo farà solo a ragion veduta così come ha sempre fatto. Sai bene quanto ella consideri un fallimento personale l'uccisione di un proprio avversario, soprattutto ove a lei evidentemente infer… »
« Duva. » la interruppe Lange, privo di rabbia nella propria voce, tutt'altro che brusco o rude nei propri modi di fare, così come, dopotutto, egli difficilmente si era concesso di essere, soprattutto in pubblico, anche nelle situazioni peggiori « Duva… ascoltami bene. Ciò che mi sta a cuore, in questo momento, è ricondurre te, e quella scapestrata della tua degna sodale, a bordo della Kasta Hamina, per allontanarci quanto più velocemente possibile da quella disgraziata nave. »

Nell'ascoltare una simile affermazione, una tale dichiarazione d'intenti, di sostanziale resa, provenire dal proprio ex-marito, in questa particolare occasione la donna dagli occhi dorati non si fece dominare dall'ira nei suoi riguardi così come era accaduto poche ore prima, nel duro confronto che li aveva già visti coinvolti: qualcosa, infatti, forse nel tono di lui, forse nel proprio stesso subconscio, la spinse a contenere la propria naturale indignazione innanzi a quella proposta per cercare di comprenderne le ragioni, di coglierne l'origine, ed, eventualmente, preoccuparsi a propria volta così come, tanto chiaramente, era già preoccupato lo stesso buon capitano.

giovedì 21 ottobre 2010

1014


« I
nizio a sentire la mancanza di quelle simpatiche orde di tagliagole, sempre pronte a richiedere la mia testa quale trofeo, appagante testimonianza di un personale, e irraggiungibile, trionfo. » sussurrò fra sé e sé, storcendo appena le labbra, nel percorrere quei labirintici corridoi con la stessa predisposizione d'animo in passato rivolta a soffocanti passaggi sotterranei, abitualmente infestati dalle peggiori apparizioni immaginabili « Avrei dovuto conservarne almeno uno in vita, giusto per tenermi compagnia… » si rimproverò, con assoluta serietà in simile, faceta, autocritica.

Ove anche turbare la quiete lì presente con la propria voce avrebbe significato poter offrire ai propri possibili nemici una chiara informazione nel merito della propria attuale posizione, nell’ipotesi pur priva di fondamento secondo la quale essi non fossero già perfettamente a conoscenza di ogni suo movimento all’interno di quegli spazi, la donna dagli occhi color ghiaccio e dai capelli color fuoco sentì, in quel particolare frangente, la necessità di ricercare diletto nell'ascolto della propria stessa voce, nell'esigenza di sfogare, attraverso quell'umorismo macabro, la propria irrequietudine nel confronto con uno scenario comunque non atteso e difficilmente considerabile quale naturale.
Similmente distratta da se stessa, per un istante, per un fuggevole momento, ella fu allora prossima a tralasciare l’evidenza di un dettaglio sì macroscopico da non poter essere ignorato, non semplicemente allo sguardo di un’avventuriera suo pari, da chi nel pericolo aveva ricercato un ingrediente fondamentale e irrinunciabile della propria stessa quotidianità, quanto, piuttosto, all’attenzione di qualsiasi possibile spettatore lì posto in quel particolare corridoio, in quello stretto passaggio dalle pareti ancora grondanti sangue, a dimostrazione della carneficina che si era da poco lì consumata. Una mattanza, tuttavia, della quale, con la sola eccezione di quella stessa rossa impronta, e di qualche brandello di carne o interiora sparso, non restava ulteriore riprova, altra concreta testimonianza.

« Bene… ora è ufficiale. » commentò aggrottando la fronte nel cogliere, alfine, l’improbabile assenza dei corpi da lei, lì, precedentemente accumulati e, ora, apparentemente scomparsi nel nulla « Questa situazione non mi piace. Assolutamente… »

Nonostante, nell’offrir ascolto alla parte più razionale del proprio animo, ella non potesse evitare di considerare assurda l’ipotesi a cui, per prima, avrebbe naturalmente rivolto i propri pensieri, la propria attenzione, in conseguenza della propria origine, delle peculiarità tipiche del mondo in cui ella era nata e cresciuta e nelle terre e nei mari del quale aveva combattuto contro ogni genere di mostruosità, estremamente difficile fu, per la donna guerriero, non giudicare immediatamente qual sicuro, addirittura indubbio, l’intervento di un potere oscuro all’interno di quella nave, lungo quei corridoi, volto a ridonare animazione a chi, da lei stessa, pocanzi privato della vita.
Sebbene in quella nuova realtà, in quell’universo a lei sì alieno e ricolmo di incredibili tecnologie, tanto ricco di scienza, ogni genere di arti mistiche fossero apparsa, sin dal primo giorno, quanto di più insensato, folle avrebbe mai potuto essere immaginato, in quali altri termini ella avrebbe potuto allora giustificare quell’improvvisa e macabra sparizione? Con quale animo, nel trovarsi innanzi a un corridoio similmente intriso di sangue e pur privato di qualsiasi cadaverica presenza al proprio interno, ella avrebbe potuto abiurare l’idea altresì naturale di una negromantica mediazione, in conseguenza della quale presto si sarebbe ritrovata, per l’ennesima volta nella propria esistenza, a fronteggiare uno stuolo di zombie bramosi della sua stessa carne, delle sue membra?

« E’ una fortuna che Duva non mi possa sentire… » riprese voce, cercando, in simile intervento, di esorcizzare la tensione pur ineccepibilmente e doverosamente crescente in lei, all’idea di poter essere racchiusa, in una grossa bara metallica, insieme a delle schiere di non morti da lei stessa generati con la propria violenza, con il proprio furore « … mi prenderebbe per una sciocca superstiziosa. »

In quale misura, la sua, dovesse essere ritenuta reale superstizione e in quale semplice suggestione, tuttavia, difficile sarebbe stato da definire, soprattutto per lei stessa, nella consapevolezza delle ragioni, mai dimenticate, del proprio viaggio in quella dimensione, del proprio "incarico", se tale fosse potuto essere definito, tanto lontano da quanto per lei considerato normalità, da tutto ciò che, da sempre, aveva caratterizzato la sua vita. Proprio in conseguenza a una piena coscienza nel merito dell'identità di colei per inseguire e combattere la quale aveva accettato di abbandonare il proprio mondo, Midda non avrebbe mai potuto escludere la possibilità di dover affrontare quanto lì giudicato frutto di semplice fantasia, dal momento che proprio la sua avversaria, colei divenuta, a pieno titolo la sua nemesi, era da sempre avvezza a circondarsi di legioni di non morti, così come aveva compiuto persino quand'ancora dormiente, nei lunghi secoli nel corso dei quali era rimasta imprigionata nella propria stessa corona, in quieta e obbligata attesa dell'avvento di un qualche stupido incauto che, come disgraziatamente si era dimostrata essere proprio la mercenaria, con la propria tenacia, con il proprio coraggio, con la propria forza, si sarebbe impegnato a liberarla anche a costo della propria vita.
Estremamente perverso, però, sarebbe stato accettare l'idea, il pensiero, che quella dannata strega si fosse impegnata a tal punto in sua opposizione da orchestrare un piano tanto complesso quanto improbabile, qual solo avrebbe dovuto essere giudicato quello così attuato dall'intervento stesso di un gruppo di mercenari a fittizio rapimento di una malcapitata vittima sotto il suo stesso sguardo, all'unico scopo di attirarla similmente in trappola e scatenare, allora, in suo contrasto, i propri non morti, soprattutto nel considerare quante migliori occasioni ella avrebbe potuto riservarsi in sua opposizione, avrebbe potuto ritagliarsi per attaccarla e ucciderla, in modi estremamente più semplici e diretti rispetto a quello. Solo prendendo in esame, infatti, gli ultimi giorni, le ultime settimane, la donna guerriero avrebbe potuto essere facilmente raggiunta da innumerevoli disgrazie, da le più terribili sventure, nel lungo viaggio che la Kasta Hamina era stata costretta ad affrontare con il solo supporto offerto dalle proprie vele solari, da rendere improvabile, se non addirittura assurdo, la scelta di un momento quale quello attuale per tenderle una trappola, per cercare di coglierla di sorpresa, là dove ella era lì sopraggiunta già animata dalle peggiori intenzioni. Tutto questo, poi, senza dimenticare come per porre in essere una simile strategia, a meno di non voler considerare la sua stessa avversaria quale presente a bordo all'interno di quella medesima nave, il quantitativo di potere che sarebbe dovuto essere speso allo scopo di agire a distanze astronomiche di quelle proporzioni sarebbe stato a dir poco incredibile, in un notevole sforzo che, ammesso ma non concesso potesse esserle concesso, sarebbe necessariamente apparso ingiustificato e ingiustificabile per un piano tanto suscettibile di fallimento, nel non dimenticare come la mercenaria aveva già offerto numerose riprove di essere in grado di affrontare insidie di portata anche maggiore rispetto a quella.
Persa in tali elucubrazioni, smarrita nei propri stessi pensieri e nella valutazione di ogni fattore a favore o in contrasto all'idea di una natura negromantica o stregonesca alla base della sparizione dei cadaveri da lei stessa accumulati alle proprie spalle, la mercenaria si ritrovò a essere particolarmente e giustificatamente incerta fra proseguire nella propria discesa in direzione dell'aviorimessa, là dove, come concordato, avrebbe dovuto intervenire al fine di garantire una via d'accesso alla propria compagna d'arme, o, diversamente, rivolgere i propri passi verso la plancia della nave, a cercare eventuali superstiti e, con loro, una qualche risposta ai propri dubbi, ai propri timori. Una decisione attorno a simile dilemma, fu tuttavia maturata nel momento in cui, rimproverandosi alfine per la propria eccessiva e ingiustificata prudenza, per quella paranoia a cui, sì, era pur da sempre debitrice per numerose occasioni di salvezza nel contrasto di insidie di ogni genere e che, ciò nonostante, in quel momento la stava spingendo a inutili preoccupazioni del tutto prive di ogni prova a loro stesso supporto, Midda valutò essere più opportuno non lasciarsi distrarre, non lasciarsi traviare dai propri propositi iniziali, riprendendo a muoversi, pertanto, verso quella stessa meta inizialmente prefissa qual propria. Decisione in conseguenza alla quale ella giunse alfine a varcare una soglia oltre la quale, purtroppo, ogni timore si ritrovò a essere drammaticamente confermato…