11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

venerdì 31 agosto 2018

2655


Arrivati a terra e lì attraccati, più per merito dei sistemi di volo automatici della navetta ancor prima che per un qualche effettivo merito della donna guerriero nel pilotare la medesima, laddove già buon parte del suo impegno avrebbe avuto a doversi riconoscere, in quegli ultimi mesi, qual rivolto all’apprendimento della lingua franca, in uno sforzo comunque non indifferente, per poterle permettere di riservarsi occasione anche per dedicarsi anche a raffinare le proprie assenti capacità di gestione di quella tecnologia; per Midda e Be’Sihl la situazione loro offerta sulla terza luna del quinto pianeta del sistema di Pomerius non ebbe a doversi considerare poi così aliena come, probabilmente, altri avrebbero potuto avere ad attendersi da parte loro. E non soltanto per il fatto che, ormai, da oltre due anni e mezzo avrebbero potuto vantare di aver sospinto la propria quotidianità oltre i confini del proprio pianeta natale, sino a raggiungere le infinite stelle del firmamento…
In verità, pur riconoscendo necessarie differenze fra un qualunque porto affacciato su uno dei mari del proprio mondo natio, e un qualunque spazioporto che, nell’immensità siderale, essi avevano avuto occasione di incontrare; un gran numero di somiglianze, di parallelismi, avrebbero avuto a doversi altresì considerare qual presenti fra tali realtà, nella quintessenza stessa di tali luoghi. Certamente in un porto del loro mondo, la varietà dei frequentatori, a titolo esemplificativo, avrebbe avuto a potersi discriminare nelle varie etnie di origine, includendo, magari, tranithi, kofreyoti, y’shalfichi e così via dicendo, diversi forse nei colori della propria carnagione, o nella propria lingua o nei propri accenti, così come nelle tradizioni, e pur, comunque tutti umani; nel mentre in cui, in uno spazioporto come quello, la varietà dei frequentatori avrebbe avuto a potersi discriminare nelle varie specie di appartenenza, includendo, eventualmente, umani, ofidiani, canissiani, feriniani, tauriani e molto altro ancora… ma tali differenze estetiche, pur chiare ed estranee a ogni possibilità di fraintendimento, non avrebbero altresì potuto impattare sulla realtà delle cose e, nel dettaglio, sulla realtà delle emozioni presenti nei cuori di ognuna di quelle persone. Perché, che fosse affacciato sul mare o sullo spazio, un porto avrebbe avuto a doversi considerare comunque un porto. E le persone lì presenti, che fossero residenti oppur solo di passaggio, avrebbero avuto a potersi considerare pressoché uguali, lì come ovunque. E per una figlia dei mari qual Midda Bontor avrebbe avuto a doversi riconoscere nella propria più pura essenza, nella propria natura originale, un porto avrebbe quindi avuto a potersi considerare ovunque e comunque qual un territorio familiare, nel quale non avere esitazione a capire come muoversi, e come interagire con gli altri.
Così, per prima cosa, Midda e Be’Sihl ebbero a muoversi in direzione del primo locale presente sul loro cammino, non tanto nella necessità di rifocillarsi, quanto e piuttosto nella volontà di immergersi, pienamente, nel clima locale e di iniziare a tentare di cogliere alcune informazioni fondamentali per meglio avere a orientarsi all’interno di quel porto… e di quel porto grande come un intero satellite.
Per l’occasione, la Figlia di Marr’Mahew avrebbe avuto a doversi considerare vestita in maniera meno marziale rispetto al suo solito, laddove, guardando alla praticità ancor prima che all’eleganza, sino a quel momento aveva quasi sempre preferito completi militari o para-militari, nei quali aversi a considerare comoda e pronta all’azione. In quella particolare missione, per quel particolare genere di recupero, e, soprattutto, nel doversi ritrovare pressoché sola a confronto con un intero, pianeta sconosciuto, tuttavia, ella aveva voluto offrire ascolto all’insistenza delle sue amiche, e in particolare di Rula Taliqua, nella scelta di un diverso genere di abbigliamento, e di un abbigliamento che non vedesse, come di consueto, sacrificata la propria femminilità in nome della praticità, pur, in questo, senza neppur scadere, ovviamente, in qualcosa di per lei totalmente ingestibile. Così, in termini pressoché inediti per lei, le sue gambe, sicuramente non lunghe ed eleganti qual avrebbe potuto vantare la sua antica compagna di ventura Carsa Anloch, e neppur al pari di quelle della propria attuale sorella d’armi Duva Nebiria, e, ciò non di meno, indubbiamente apprezzabili nelle proprie proporzioni e nelle proprie forme atletiche, con guizzanti muscoli in costante fremito al di sotto della chiara pelle, avrebbero avuto a doversi allor considerare non celate all’interno di larghi e comodi pantaloni, atti a castigarle totalmente a qualunque sguardo esterno, quanto e piuttosto lasciate libere, e lasciate libere di mostrarsi al mondo intero in tutta la propria sensualità, nel risultare coperte, in maniera estremamente eufemistica, soltanto da corti, cortissimi pantaloncini neri invero neppur realmente distinguibili al di sotto dell’abito grigio da lei indossato, una sorta di veste di maglia che, a partire dalla sempre conturbante procacità dei suoi abbondanti seni, sarebbe sceso sul suo ventre e, di lì, verso i suoi fianchi, intrecciandosi in maniera inattesa all’altezza degli stessi allo scopo di lasciare praticamente ignuda l’intera gamba destra e di scendere diagonalmente lungo il fronte sinistro a offrire una parvenza di pudore in corrispondenza della gamba macina, che pur sarebbe rimasta egualmente scoperta poco sotto l’altezza del ginocchio. Un abito che ella avrebbe potuto considerare persino elegante, almeno per i propri standard, che pur non avrebbe mancato di essere allora moderato nella propria formalità dalla presenza di una corta giacca di pelle nera a copertura delle sue spalle e delle sue braccia, e da stivaletti di egual materiale a cingere i suoi piedi, cercando, in ciò, di compensare l’apparente delicatezza di quell’abito con qualche dettaglio più aggressivo. Non che la lunga spada bastarda con la quale la sua schiena avrebbe avuto a doversi considerare ornata, indossata a tracolla dalla spalla sinistra al fianco destro, o che il cannoncino sonico con il quale aveva deciso di accompagnare il proprio fianco destro, legato a quella stessa coscia lasciata ignuda dal vestito, avrebbero avuto a mancare di donare aggressività all’immagine così da lei allor offerta.
Al suo fianco, altresì, lo shar’tiagho avrebbe avuto a vantare un abbigliamento non dissimile da quello abitualmente indossato anche a bordo della Kasta Hamina. Un abbigliamento che, di base, avrebbe previsto dei morbidi pantaloni di chiaro tessuto scamosciato, bloccati in vita da una cinta di cuoio scura e accompagnati, sul suo torso, da una camicia di lino bianco, mantenuta sempre con le maniche arrotolate fino a sotto i gomiti. E un abbigliamento che, in quella specifica occasione, avrebbe avuto a offrirsi completato anche da un lungo cappotto in tonalità di blu scuro, con un alto bavero e un elegante doppiopetto ornato da tondi bottoni dorati, da lui pur mantenuto ovviamente aperto innanzi al busto, in quello che, gli avevano spiegato, aver a doversi considerare qual un taglio di stile militare marinaresco. Abiti semplici, i suoi, tuttavia accompagnati dai consueti monili d’oro che da sempre lo contraddistinguevano: due bracciali, un collare e gli orecchini, accessori tradizionali della propria etnia, del proprio popolo, a non concedersi occasione di scordare quanto, in un’epoca lontana, gli shar’tiaghi avessero avuto a considerarsi il popolo eletto dagli dei. Un lusso, un’opulenza, nel valore intrinseco del materiale proprio di tali gioielli e della loro pregevole fattura, in brutale contrasto all’apparente povertà propria del suo incedere scalzo, ai suoi nudi piedi su quel suolo, così come su qualunque altro suolo, sempre nel rispetto delle tradizioni del proprio popolo, della propria gente, a non permettergli occasione utile a dimenticare quanto, proprio in quell’epoca lontana di massimo splendore, fosse stata la loro superbia, la loro alterigia, a distruggerli, e a ridurre la loro fertile e prospera terra in una landa deserta, e a condurre la loro antica e progredita civiltà al declino: una colpa da non obliare nel corso del tempo, delle generazioni, dei secoli, allo scopo di prevenire la tragica eventualità dello stolido reiterarsi di tale errore, ammantandosi di allor obbligata umiltà. Un’umiltà che, ovviamente, non gli avrebbe mai negato l’occasione di lottare, per difendersi, per proteggere se stesso, la propria vita, il proprio futuro, nonché tutti coloro da lui amati, le loro vite, i loro futuri. Ragione per la quale, allora, accanto a tali abiti, e alle caratteristiche proprie del suo popolo, egli non avrebbe potuto rinunciare, e non rinunciò, allora, alle armi utili per combattere qualunque battaglia gli sarebbe stata richiesta di combattere, nella forma di una corta spada, o, forse, un lungo pugnale, tanto discreto quanto agile, e di una pistola laser, con la quale, non senza una certa sorpresa da parte della propria amata, si era riservato occasione di maturare confidenza nei lunghi periodi di lontananza che ella si era concessa da lui, e dalla Kasta Hamina, nel corso dell’anno precedente.
Tale coppia, pertanto, fu quella che ebbe a presentarsi, l’una al fianco dell’altro, sulla soglia del locale, osservandosi attorno nel riservarsi occasione per meglio orientarsi all’interno di quell’area e dell’affollamento lì presente in conseguenza dell’alto numero di avventori già accomodati in quasi ogni angolo della sala…

giovedì 30 agosto 2018

2654


« Immagino che tu abbia a provare soltanto soddisfazione in tutto ciò… » commentò ella, aggrottando appena la fronte e non potendo ovviare a offrirsi altresì leggermente contrariata nel confronto con “tutto ciò”, giacché l’ultima cosa che avrebbe potuto desiderare, in quel momento, sarebbe stato porre a rischio l’incolumità del proprio compagno, del proprio amato e amante, nonché del padre dei loro figli che, in questo, avevano e avrebbero avuto a restar soli a bordo della Kasta Hamina… soli, quantomeno, nella misura in cui, comunque, sarebbero egualmente stati circondati da quella loro famiglia allargata formata da ogni singolo altro membro dell’equipaggio.
« Diciamo che sarei stato decisamente più contento se non vi fosse stata esigenza alcuna di “tutto ciò”… » puntualizzò egli, per tutta risposta, scuotendo appena il capo e riservandosi un profondo sospiro a margine della situazione « Ciò non di meno, fra lasciarti andare a rischiare la pelle da sola, nell’insana convinzione di avere a dovermi proteggere, o essere al tuo fianco a tentare di moderare, per quanto possibile, l’operato di tuo marito… beh… non c’è dubbio che abbi a essere più soddisfatto di questa soluzione corrente. » argomentò, in termini estremamente razionali e che neppure ella, dall’alto della propria altresì palese insoddisfazione nel confronto con “tutto ciò”, avrebbe potuto avere a contraddire.
« A volte sembra che tu ti dimentichi di chi io sia… e di tutto quello che ho fatto nel corso della mia vita. » protestò la Figlia di Marr’Mahew, adducendo indirettamente, in quell’affermazione, una sorta di accusa di mancanza di fiducia nei propri confronti da parte del proprio amato, e di colui che, altresì, avrebbe avuto a dover essere il suo primo sostenitore in ogni situazione, mai negandole tutto il proprio appoggio e tutta la propria fede costi quel che costi « O, forse, è tutta la nostra vecchia vita che ti stai dimenticando…? Quando io ero la Campionessa di Kriarya e tu un semplice locandiere. » lo stuzzicò, un po’ malevolmente, forse, in ciò, a tentare di allontanarlo da sé, di spingerlo via da lei e da tutto ciò, magari, addirittura, incentivandolo a fare ritorno alla Kasta Hamina allorché proseguire al suo fianco.

Ma Be’Sihl Ahvn-Qa non soltanto avrebbe avuto a dover essere riconosciuto qual perfettamente memore di chi ella fosse, quanto e piuttosto avrebbe avuto a doversi giudicare addirittura motivato nel proprio incedere dalla perfetta consapevolezza di ciò, e dal chiaro ricordo di tutte le occasioni passate nel nome delle quali, quella sua presenza, non avrebbe avuto a doversi considerare semplicemente utile, quanto, addirittura, necessaria onde evitare che la propria amata potesse aver a smarrirsi nella propria solitudine.
Sebbene, infatti, ella non avesse mai avuto reale bisogno di alcuno attorno a sé per compiere le proprie imprese leggendarie, per trasformare il mito in quotidianità, e per tradurre l’impossibile in realtà, troppo facilmente, troppo sovente, in passato, aveva finito con il rischiare di perdere se stessa nell’assenza, al proprio fianco, di un compagno, di un alleato, o, fosse anche e soltanto, di uno scudiero, atto a garantirle di mantenere contatto con il mondo a sé circostante, quasi una sorta di ancoraggio vivente alla propria vita e, con essa, alla verità della propria esistenza. Non una necessità fisica, pertanto, la sua, nella volontà di trovare un alleato, un sostegno per il successo delle proprie missioni; quanto e piuttosto una necessità psicologica, utile a permetterle di mantenere un contatto con l’umanità e, soprattutto, con se stessa, attraverso quello che, troppo facilmente, avrebbe avuto a poter essere inteso qual, di volta in volta, il surrogato di una famiglia, e di quella famiglia dalla quale ella era scappata quand’ancora decenne.
E così, Salge Tresand e l’equipaggio originale della Jol Ange, in primo luogo, ma anche Ebano, in tempi successivi, e ancora Howe, Be’Wahr e Carsa Anloch, o il suo giovane scudiero Seem, e ancora molti altri accompagnatori, e coadiuvanti per singole imprese o in molteplici gesta, così come, nel tempo attuale, le stesse Duva e Lys’sh, e più in generale l’intero equipaggio della Kasta Hamina, altro non avrebbero avuto a dover essere intesi se non quali le migliori alternative a una famiglia nelle quali ella avrebbe mai potuto permettersi di confidare, di affidarsi. E, ancora e ancor più, lo stesso Be’Sihl e, ancora, i due piccoli Tagae e Liagu, altro non avrebbero avuto a dover essere intesi qual la concretizzazione della speranza di una nuova famiglia alla quale sentirsi indissolubilmente legata, così come neppure nei riguardi della propria prima aveva avuto occasione di poter vantar d’essere.
Ragione per la quale, al di là di tante proteste, egli non avrebbe mai potuto ovviare a essere certo di quanto, altresì, ella non avrebbe potuto ovviare a essere intimamente o, forse e addirittura, inconsapevolmente felice della sua presenza accanto a lei, a ribadire, in ciò, quel straordinario e importante legame fra loro. Un fermo e solido legame al di là di qualunque evento avrebbe loro potuto occorrere…

« Sarò stato, e probabilmente sono ancora, un semplice locandiere… ma, intanto, questo semplice locandiere è riuscito a conquistare il cuore di una leggenda vivente qual la famosa Figlia di Marr’Mahew. » puntualizzò egli, riservandosi occasione di evidenziare i propri meriti, e quei meriti che, obiettivamente, avrebbero avuto a dover essere riconosciuti qual tali.

E benché, probabilmente, ella avrebbe preferito poter avere occasione di contraddirlo, altro non poté fare che ammettere la ragionevolezza di quell’asserzione e, con essa, implicitamente, la vittoria del suo interlocutore in quel breve confronto verbale fra loro…

« … fosse solo il cuore. » sorrise pertanto, scuotendo appena il capo, con tono ora più accomodante, nel non poter negare, obiettivamente, tutto il proprio amore per lui « Questo semplice locandiere è riuscito a conquistare tutto di me: il mio cuore, la mia mente, il mio spirito e il mio corpo. » incalzò, riconoscendogli ogni proprio merito « E per quanto, probabilmente, a volte preferirei che non fosse così, non posso negare di essere felice di tutto ciò… » sancì, in una quieta, e pur necessaria, ammissione nei suoi riguardi.

Un’ammissione a fronte della quale egli ebbe a riservarsi il buon senso, e l’eleganza utile, a ovviare a festeggiare la vittoria in tal maniera conseguita, limitandosi a sorriderle, e a sorriderle con tutto l’amore che, per lei, aveva provato sin dal momento del loro primo incontro: una reazione estremamente composta la quale, allora, ebbe nuovamente a confermare all’attenzione della propria interlocutrice le ragioni di quella conquista, e della conquista da lei così appena riconosciuta a suo vantaggio, ne presentarle un uomo ben distante dal potersi considerare arrogante nella consapevolezza del loro rapporto, del loro amore, e, soprattutto, dell’amore verso di lui destinato da parte di una donna come lei, quanto e piuttosto umilmente modesto, e modesto nella misura utile a riconoscere la propria natura, il proprio ruolo e, ciò non di meno, a potersi considerare fiero di quanto, a prescindere da tutto quello, avesse avuto l’occasione di conquistare, in grazia non a qualche benevolenza divina, quanto e piuttosto, semplicemente, alla semplice amorevolezza del proprio operato.

« Canaglia. » concluse la donna guerriero, in un profondo sospiro, ben consapevole di quanto, alla fine, fosse stata ella stessa a garantirgli occasione di che potersi considerare soddisfatto di se stesso, in maniera assolutamente trasversale rispetto a quanto mai ella lo aveva accusato di poter compiere pocanzi « Se non fossi tanto bravo a baciare, ti avrei già scaricato da un pezzo… » tentò di minacciarlo, con fare trasparentemente giocoso, nel limitare, in tal senso, tutti i suoi eventuali meriti a quell’unico aspetto, e a quell’aspetto nel merito del quale, pur, non stava esprimendo un giudizio privo di valore… non, quantomeno, da parte propria.
« Buon per me. » commentò, semplicemente, egli, non volendole negare ancora una volta una replica e nel non volerle comunque offrire ragione di discussione, fosse anche e soltanto per una battuta scherzosa qual quella appena scambiata fra loro.

mercoledì 29 agosto 2018

2653


Le informazioni fornite dai servizi segreti loicarioti, tramite l’intercessione dell’accusatore Pitra Zafral, nel merito dell’ultima posizione nota di Reel Bannihil condussero la Kasta Hamina, e la Figlia di Marr’Mahew, in particolare, sino al lontano sistema di Pomerius e, nel dettagli, alla terza luna del suo quinto pianeta.
Là, in quel piccolo sistema periferico per lo più frequentato da qualche ardimentoso colonizzatore desideroso di lasciare i confini dell’universo noto per trovare un nuovo pianeta abitabile da poter considerare proprio, e da trasformare nella propria occasione di fortuna, molti avrebbero avuto a doversi considerare gli spazioporti, più o meno ufficialmente riconosciuti, presenti, spazioporti che, a loro volta, dopotutto, altro non avrebbero avuto scopo se non quello di tentare di realizzare le brame di fortuna di coloro i quali lì si erano sospinti per primi e si erano organizzati al solo scopo di fungere da ultimo porto sicuro prima dell’ignoto. Perché sebbene l’universo non avrebbe avuto a poter essere considerato teoricamente infinito, e benché quanto di esso già esplorato e conosciuto avrebbe avuto a doversi riconoscere pressoché sterminato, ancora molto avrebbe avuto a dover essere considerato sconosciuto, ancora molto avrebbe avuto a dover essere riconosciuto qual in attesa di qualche impavido pioniere desideroso di porre a rischio la propria incolumità, la propria vita e tutto il proprio futuro, per ridurre, ancora un poco, i confini dell’ignoto. E, a margine di ciò, non pochi avrebbero avuto a dover essere considerati quegli impavidi pionieri, contraddistinti, necessariamente, da fortune alterne: impavidi pionieri, forse destinati al successo, forse destinati alla morte, che pur avrebbero, presto o tardi, dovuto passare da quello o da altri sistemi simili, al solo scopo di sospingersi al di là di tale frontiera e, in tal direzione, cercare la propria sorte.
Che cosa un tipo qual Reel Bannihil avrebbe potuto avere a che fare con un luogo come quello, difficile sarebbe potuto essere a intendersi, a immaginarsi per la donna guerriero dagli occhi color ghiaccio o, ancor meno, per i suoi compagni d’equipaggio, per quella sua famiglia allargata a bordo della Kasta Hamina. Anche perché, obiettivamente, ben poco ella avrebbe potuto vantare di conoscere nel merito di quel bizzarro individuo apparentemente incapace a morire.
Certa, innanzitutto, avrebbe avuto a doversi considerare la sua collaborazione con la Loor’Nos-Kahn, una delle più importanti e potenti organizzazioni criminali imperanti nell’intero universo noto, così come la stessa Midda Bontor aveva avuto occasione di apprendere a proprie spese negli eventi che li avevano visti incontrarsi la prima volta. Che tale collaborazione, tuttavia, avesse a doversi considerare effettivamente attiva o meno, difficile avrebbe avuto a potersi giudicare da parte sua, giacché, per quanto egli avesse agito apertamente in difesa degli interessi di tali criminali, arrivando a tradirla, e a tradirla apertamente per schierarsi sul loro fronte, non era passato troppo tempo prima che egli decidesse di cambiare apparentemente fazione e, in ciò, di schierarsi in suo sostegno, in suo supporto, aiutandola a riconquistare quegli stessi figli che, per colpa sua, aveva rischiato di perdere.
Certa, ancora, avrebbe avuto a doversi giudicare quella sua bizzarra avversione alla morte, e alla morte che, impietosamente, la Figlia di Marr’Mahew gli aveva imposto in più di un’occasione, spinta, ogni volta, da motivazioni che ella avrebbe avuto a giudicare più che corrette e tali da nulla riservargli al di fuori di quel fato speranzosamente terminale. Un fato, altresì, dal quale egli era sempre riuscito a trovare impossibile salvezza, non rifiutando, almeno nell’immediato, l’evidenza della propria fine, quanto e piuttosto facendo, ogni volta, ritorno dalla morte, quasi tale condizione, dal suo personalissimo punto di vista, nulla di più e nulla di meno avrebbe avuto a doversi considerare se non estemporanea, al pari di un banale contrattempo assimilabile a un raffreddore. Ma se la frattura della colonna vertebrale, o un pugnale conficcato nel petto, non avrebbero avuto a potersi fraintendere qual banali contrattempi assimilabili a un raffreddore, decisamente incomprensibile avrebbe avuto a doversi quindi considerare l’effettiva natura di quell’uomo, quietamente classificabile qual uno fra i più insoliti individui ella avesse mai incontrato nel corso della propria pur avventurosa esistenza.
Certo, infine, avrebbe avuto a doversi riconoscere il suo bell’aspetto, in una serie di caratteristiche fisiche che non avrebbero mai potuto dispiacere interlocutrici femminili e che, probabilmente, avrebbero avuto anche a interessare una buona fetta di interlocutori maschili. Maschio umano, di presumibilmente trentacinque anni, egli avrebbe mostrato una corporatura atletica e prestante, muscolosa senza imporsi qual impropriamente eccessiva nei propri sei, e più, piedi di altezza, con spalle larghe, braccia forti, grandi mani e fianchi stretti, a completamento di un primo quadro d’insieme indubbiamente promettente. Quadro d’insieme che, nel dettaglio del suo ben proporzionato volto, avrebbe poi mostrato un profilo appena squadrato, e pur morbido nelle proprie forme, contraddistinto da intensi occhi blu e lunghi capelli castani, da un naso ben delineato al di sopra di labbra carnose, e da una corta barba incolta, utile a enfatizzare quel fascino un po’ ribelle che pur alcuno avrebbe potuto negargli.
Al di là di tutto ciò, ben poco in effetti, null’altro ella avrebbe potuto vantare di conoscere a suo riguardo. In verità, al loro primo incontro egli aveva anche soggiunto qualche dettaglio a proprio stesso riguardo, proclamando di provenire dal terzo pianeta del sistema di Freius e, soprattutto, di essere un investigatore privato, ossia una sorta di mercenario suo pari. Ma che tale affermazione avesse a doversi riconoscere qual vera o, semplicemente, qual frutto della fantasia del momento, impossibile sarebbe stato per lei avere a potersi discriminare, sebbene, nel rancore ancor associato a tale evento, facile sarebbe stato comunque protendere verso la seconda ipotesi.
In una tanto disarmante assenza di reali informazioni nel merito di quell’individuo, della sua origine, dei suoi scopi o, anche e soltanto, della sua natura, probabilmente disperata avrebbe avuto a doversi considerare la missione di Midda, giacché, pur avendo delimitato il suo possibile raggio d’azione alla terza luna del quinto pianeta del sistema di Pomerius, tale avrebbe avuto comunque a doversi riconoscere qual un satellite popolato da non meno di un miliardo di persone, umani e non, provenienti dai più diversi angoli dell’universo e lì più o meno stabilmente residenti. Un miliardo di persone al quale aggiungere, necessariamente, qualche altro milione di persone di passaggio, in semplice transito da quel luogo e, ciò non di meno, atte a contribuire alla crescita, estemporanea, del conteggio degli abitanti lì presenti. Un conteggio che, pertanto, avrebbe trasformato quella sua impresa qual la ricerca del proverbiale ago in un pagliaio.
Ma Midda Namile Bontor, Figlia di Marr’Mahew, donna da dieci miliardi di crediti, che tante imprese nel corso della propria vita aveva affrontato traducendo in realtà quanto da chiunque altro ritenuto impossibile, e che, del resto, in maniera pressoché impossibile aveva lasciato persino il proprio mondo per immergersi nelle vastità siderali, non si sarebbe mai fatta frenare da una tanto banale difficoltà. Al contrario, anzi, quella caccia all’uomo non avrebbe potuto ovviare ad alimentare il suo istinto predatorio e, con esso, la sua bramosia di avventura, nell’ennesimo ritorno a un passato del quale ella non sembrava essere in grado di liberarsi completamente, e che pur, in fondo, non le sarebbe mai stato troppo stretto.
Un passato per vivere pienamente il quale, ella non avrebbe quindi avuto problemi a restare sola, e a restare sola a confronto con tutte le sfide, tutti gli inganni che, all’occorrenza, Desmair avrebbe potuto riservarle, a rendere tutto quello ancor più complicato… ma a confronto con l’idea del quale pur non le venne concessa occasione di soddisfazione, non nel momento in cui, a dispetto di ogni decisione da lei fermamente presa, in questa occasione, in questa nuova avventura, una persona in particolare non volle tirarsi indietro, non volle concederle il benché minimo spazio, serrando, anzi, allora come già in passato, le fila e, in ciò, a lei maggiormente avvicinandosi, nella quieta convinzione di quanto, qualunque cosa fosse accaduta, non avrebbe avuto a dover temere danno, non, quantomeno, da parte dell’operato ingannevole del semidio. Perché, così come anche le dinamiche proprie dell’avventura nel tempo del sogno avevano dimostrato in maniera assolutamente trasparente, per quanto crudele, per quanto malvagio, Desmair non avrebbe mai potuto arrecare danno al proprio ospite: non laddove la sua morte avrebbe, necessariamente, rappresentato anche la propria. E così, che ella potesse apprezzarlo o no, al suo fianco, nella discesa su quel satellite, non mancò di imporsi anche la figura del suo amato ex-locandiere… Be’Sihl!

martedì 28 agosto 2018

2652


« … e se non fosse così…?! » domandò il giovane mozzo, in un’esclamazione improvvisa che, quasi, fece sobbalzare lo stesso Mars, colto impreparato nel confronto con tanta enfasi.

Tutti i presenti, quasi all’unisono, ebbero allora a voltarsi verso di lui, osservandolo in maniera obbligatoriamente interrogativa. E interrogativa non tanto per una qualche incomprensione nel merito di quanto da lui così dichiarato, quanto e piuttosto per il senso delle parole da lui così dichiarate, parole decisamente meno ovvie, nel loro reale significato, rispetto a quanto egli stesso non avrebbe potuto attendersi apparissero.
Ma laddove tanti sguardi ebbero lì a imbarazzare quel giovane, lasciandolo disorientato nel merito di come procedere, e, ancor più, dell’effettiva assennatezza propria di un eventuale insistere in quella direzione; fu Thaare, ben comprendendo il suo stato d’animo, a insistere per richiedergli di parlare, e a insistere in termini tali per cui, allora, egli non avrebbe più potuto permettersi di tacere così come, senza reale malizia, stava lì compiendo nell’obbligata timidezza in reazione a tanta palese curiosità…

« Avanti, Ragazzo…! » lo spronò la cuoca, appoggiandogli la mancina sulla spalla destra, quasi a dimostrargli un certo affetto in tutto ciò, e, con esso, una vicinanza non soltanto emotiva ma, in quel particolare momento, anche estremamente pratica « Non puoi uscirtene con una frase del genere e non proseguire in quella direzione… cosa volevi dire con “… e se non fosse così…?!”? »
« Probabilmente è una stupidaggine… » premesse, con il peggior esordio che mai avrebbe potuto rendere proprio in quel momento, laddove, così dicendo, non avrebbe in alcun modo incentivato i propri compagni, i propri amici, a prestare reale valore alle parole da lui pronunciate « … ma… se il problema, per tutti noi, in questo momento, è mantenere le regole del gioco entro i confini propri della strana quotidianità di Midda; non potrebbe essere interessante riuscire a trovare un modo per ricondurre la questione entro quelle altre regole del gioco altresì a noi più consuete…? » suggerì, in una frase che ebbe a risultare probabilmente più confusa di quanto non avrebbe voluto essere, e che pur, parimenti, espresse in maniera estremamente chiara il disordine di pensiero, da parte sua, attorno a simile discorso, pressoché lì improvvisato a braccio e, in questo, continuamente riformulato per tentare di ottenere maggiore chiarezza espositiva « Cioè… se pe noi il problema è quello della magia, perché non ovviare a tale problema trovando modo di trattare la magia al pari di una qualunque tecnologia…?! » riformulò, in termini che, sperava, avrebbero potuto apparire più comprensibili e condivisibili « In questo modo, dovremmo essere in grado di giocare nuovamente con le regole a noi più note… »

Un’idea, quella proposta da parte del giovane, che non avrebbe avuto a doversi considerare così priva di assennatezza, non, quantomeno, nella stessa misura in cui purtroppo, nell’immediato, avrebbe potuto essere del tutto impossibile nella propria applicabilità.
In un suggerimento sufficientemente banale, infatti, egli stava lì ipotizzando di risolvere quella loro difficoltà a scendere a patti con dinamiche estranee a quelle a cui avrebbero potuto considerarsi più abituati, nel ricondurre l’intera questione entro termini per loro gestibili, per loro mantenibili, prossimi a un qualunque altro genere di missione o di attività, senza, in ciò, avere necessità di parlare di demoni, di semidei, di spiriti o di altro di simile. Ma se anche l’ipotesi così suggerita non avrebbe avuto a dover essere considerata tanto disdicevole, meno palese, meno ovvio, sarebbe stato per tutti loro riuscire a comprendere in che termini tutto ciò avrebbe avuto a potersi concretizzare praticamente. E proprio questa mancanza di pratica concretezza, Mars, Roro e Thaare restarono allora in silenzio, nel limitarsi a riflettere sulle parole appena udite e nello sperare che, da parte sua, Ragazzo potesse aver ancora qualcosa da aggiungere, qualche nuovo particolare da condividere.
Integrazione che, tuttavia, non ebbe allor a occorrere…

« Perdonami, figliuolo… e non volermene, ti prego. » prese quietamente la parola il buon medico, aggrottando appena la fronte e inarcando entrambe le folte sopracciglia bianche, fondamentalmente l’unica peluria allor contemplabile sulla parte superiore del suo cranio, laddove già da lungo tempo i capelli lo avevano tacitamente abbandonato « Ciò non di meno, qualcosa mi sfugge nel tuo discorso. Cioè… in che maniera potremmo mai essere in grado di “trattare la magia al pari di una qualunque tecnologia”…? Stiamo parlando di spiriti, demoni, semidei e quant’altro… »
« Stiamo parlando di creature che, con rispetto parlando, la nostra amica Midda è cresciuta considerando al pari di spiriti, demoni, semidei e quant’altro… » puntualizzò Ragazzo, facendosi coraggio per quanto, allora, trovandosi quasi a disagio nel rivolgere quell’indiretta critica all’indirizzo del responsabile della sicurezza, che pur non avrebbe potuto ovviare ad apprezzare e ad ammirare, come compagna di viaggio e anche e soltanto come donna « E lei stessa è stata la prima, in più occasioni, a ribadire un certo disagio al pensiero di quanto, forse, molte creature del proprio mondo natale finora da lei considerate al pari di semplici mostri e, in questo, semplicemente abbattute, avrebbero avuto a potersi eventualmente considerare altresì esponenti di altre specie non umane… quindi… »
« Nella quasi totalità degli altri pianeti, solo una specie ha avuto occasione di evolvere a uno stadio intellettualmente progredito, nel mentre in cui, eventuali alternative, si sono semplicemente estinte. » puntualizzò tuttavia Mars, cercando di seguire la logica del giovane mozzo e, ciò non di meno, non potendosi negare quel ruolo di dissenso, non al fine di smontarne la teoria, quanto e piuttosto di permettergli di avvalorarla meglio, con dettagli in quel momento mancanti o, anche e soltanto, fra loro in contrasto « Nella straordinaria varietà di specie altresì presenti nel suo mondo, una buona parte dell’intero universo avrebbe a dover essere lì considerata qual presente e coesistente in maniera autoctona… sbaglio, dottore?! » cercò conferma nel medico, non avendosi quello a considerare il suo campo d’interesse.
« Non erri. » confermò Roro, annuendo appena.
« Ciò non di meno, una volta Midda ci ha raccontato di quella specie non umana alla quale ha avuto occasione di rivolgersi per ottenere la propria precedente protesi… ricordate?! » rievocò Thaare, prendendo in ciò metaforica posizione accanto al giovane mozzo, nel sostenerne la tesi « E dove vi sono almeno due specie intellettualmente progredite, nulla vieta possano esservene molte altre. » puntualizzò, a meglio trasmettere il senso di quell’intervento.
« Vero anche questo. » osservò nuovamente Roro, non potendo negare la logica propria di quell’affermazione.
« … okay… e quindi?! » insistette tuttavia Mars, ancora confuso nel merito del loro possibile piano d’azione.
« E quindi proviamo a riconoscere meno fiducia alla capacità di Midda di comprendere la realtà a sé circostante, mettendo in dubbio alcune verità da lei finora condivise con noi, prima fra tutte l’esistenza della magia, e cercando di comprendere in quale misura tutto quello che sta accadendo potrebbe essere ricondotto a una sfera di razionalità per noi nota. » dichiarò Ragazzo, intimamente provando profonda vergogna nel trattare, in tal maniera, la propria prosperosa compagna qual nulla di più di una sorta di folle invasata, o di troglodita ignorante, e nell’incitare i compagni a fare altrettanto, nella speranza, ciò non di meno, di trovare una soluzione alla questione, e una soluzione che permettesse a tutti loro di essere realmente utili alla stessa Figlia di Marr’Mahew e alla loro comune causa, così come, sino a quel momento, non erano stati in grado di essere « Dimentichiamoci tutte queste favole da racconto fantastico e torniamo alla nostra concezione della realtà, analizzando la questione e affrontandola come abbiamo sempre affrontato ogni problema. E, forse… ma dico forse, riusciremo a inserire questi accadimenti nelle regole del nostro gioco. »

lunedì 27 agosto 2018

2651


« Ehilà… » salutò allegramente Mars, facendo capolino in mensa e lì trovando, impegnati a consumare i rispettivi pasti, e ad ascoltare le ultime notizie da parte di Thaare, Ragazzo e Roro… i quali, in effetti, avrebbero avuto più a doversi considerare intenti ad ascoltare le ultime notizie allorché a consumare i relativi pasti « … mmm… » soggiunse subito dopo, incupendosi appena alla vista della serietà dipinta sul volto del giovane mozzo nel seguire le parole pronunciate sottovoce da parte della cuoca.
« Eccolo qui. » indicò la stessa Thaare, con un cenno del capo al suo stesso indirizzo « Chiedete a lui i dettagli tecnici della cosa… quello che vi posso dire io è solo che, se non avessimo saputo già da tempo di quel dannato demone che risiede all’interno del buon Be’Sihl, poche ore fa avrei certamente creduto che Midda avesse perso qualche rotella, nel vederla parlare e inveire verso il vuoto assoluto. » dichiarò, offrendo un lieve cenno di diniego del capo, a esprimere tutta la propria compassione per quanto accaduto.

Nell’offrire la propria testimonianza sui fatti precedentemente occorsi in quella stessa mensa, la corpulenta cuoca dalla bruna carnagione non avrebbe avuto a voler imputare alcuna colpa ai protagonisti degli stessi, non potendo, anzi, evitare di provare una certa simpatia, e forse persino un certo affetto, all’indirizzo di Midda e Be’Sihl, e della loro bella famigliola. Ciò non di meno, però, ella non avrebbe potuto neppur ovviare a far emergere tutta la stranezza della situazione, e di una situazione a fronte della quale, in fondo, tutti loro, ella stessa, il meccanico, il medico e il mozzo, avrebbero avuto a doversi considerare costretti ad agire, e ad agire solo per mera fiducia nei riguardi della Figlia di Marr’Mahew e dei pochi che avevano avuto realmente occasione di avere a confrontarsi con quell’essere chiamato Desmair, nel merito dell’esistenza del quale, invero, la maggior parte di loro non avevano avuto alcuna possibilità di interazione… fortunatamente o sfortunatamente che ciò avrebbe avuto a doversi intendere, al confronto con il soggetto in questione.
E se immediatamente chiaro ebbe a essere per Mars il prevedibilissimo tema in oggetto, tutt’altro che chiacchiereccia ebbe a doversi considerare la sua reazione al medesimo, non perché, per proprio carattere, non avesse ad apprezzare un po’ di sana ciancia, quanto e piuttosto perché quel tema aveva finito per divenire quasi una sgradita ossessione per lui, in conseguenza agli ultimi sviluppi occorsi…

« Ah… parlate di questo. » sospirò il meccanico, il quale in quelle ultime ore non aveva fatto altro che essere costretto ad affrontare tale argomento, nel ricevere, in ordine sparso, la visita di Rula, quella di Duva e di Lys’sh, e, infine, quella dello stesso capitano Rolamo, il quale fra tutti avrebbe avuto a doversi considerare paradossalmente qual il più insoddisfatto della piega presa dagli eventi, tutti animati soltanto dalla volontà di meglio comprendere per quale ragione il collare di Be’Sihl avesse interrotto il proprio funzionamento e Midda si fosse ritrovata costretta a scendere nuovamente a confronto con il suo demone personale… e non in senso metaforico « Vi prego… non possiamo spettegolare di altro?! Mi è venuto un certo senso di nausea nel ritrovarmi costretto a continuare a ripetere le stesse cose a mille persone diverse… »
« Se lo desideri, poi passa un attimo da me e vedrò di darti qualche tisana utile allo scopo. » suggerì pacatamente Roro, osservando con aria a metà fra il serio e il faceto il giovane interlocutore, nel celare malamente una risatina al di sotto dei propri lunghi baffi « Ma, per intanto, vedi di aggiornarci… che se dobbiamo avere a che fare con un clima di crescente tensione fra i vertici dell’equipaggio, è meglio essere informati quanto più possibile del perché. » incalzò, dimostrando un evidente senso pratico, o, quantomeno, riuscendo a mistificare eventuale curiosità personale, e mera volontà di ciarle, dietro a quanto avrebbe avuto a dover essere intesa qual una sorta di scelta strategica.

Comprendendo di non poter fare altro che cedere a quella richiesta, laddove in alternativa l’anziano dottore non gli avrebbe concesso alcuna possibilità di requie, Mars si riservò un profondo sospiro prima di riproporre anche a quel pubblico quanto già separatamente dichiarato innanzi all’altra metà di equipaggio, sperando, in ciò, di aver finalmente concluso il giro e di non aver più a dover ritornare, nuovamente, sulla questione.
E così, non senza molta pazienza e ancor più autocontrollo, il tecnico della Kasta Hamina ebbe a illuminare gli astanti dei risultati delle proprie analisi attorno al collare di Be’Sihl. Risultati, purtroppo, tutt’altro che positivi o utili alla questione e, anzi, contraddistinti spiacevolmente da una quieta impossibilità ad agire in qualunque direzione, in misura tale da giustificare, purtroppo, la decisione assunta dalla donna guerriero e tale da spingerla a rinchiudersi in una gabbia, per così come, da più parti, gli era giunta conferma ella avesse deciso di compiere…

« Cavolo… » commentò Ragazzo, dopo aver ascoltato con seria attenzione anche quel suo resoconto, non riservandosi prima di quel momento alcuna possibilità di intervento nel non voler offrire alcun genere di disturbo alla questione « … è… un bel problema. » sancì, in quella che avrebbe avuto a dover essere intesa qual un’eufemistica interpretazione della questione e, ciò non di meno, un’interpretazione sufficientemente completa.
« Già. » confermò Mars, annuendo appena « Senza contare che, a quanto pare, per minimizzare la possibilità di rischi di offensive da parte di Desmair a nostro discapito, Midda ha deciso che affronterà da sola la questione per la quale l’accusatore Pitra Zafral ha posto sotto sequestro la Kasta Hamina e tutti noi… nel mentre in cui, a Loicare, una squadra comandata da Duva cercherà di recuperare il monile dorato che, un tempo, le garantiva una sorta di immunità dai poteri di quell’essere. »
« Demoni intrappolati nei corpi delle persone… visioni di morte… bracciali magici… e chissà quanto altro ancora. » riepilogò Thaare, storcendo appena le labbra « Da quando siamo finiti a vivere in un accidenti di racconto fantastico…?! » domandò, non potendo ovviare a dimostrare una certa polemica e, ciò non di meno, non volendo risultare accusativa a discapito di alcuno, nel non voler certo rivolgere colpa in direzione né di Midda, né di Be’Sihl, né di alcun altro, al contrario della condotta sino a quel momento resa propria dal loro indomito comandante.
« E non dimentichiamoci della fenice… o di quella regina malvagia attorno alla quale tutta questa storia ha trovato il proprio fondamento. » suggerì Roro, accarezzandosi lentamente la lunga e appuntita barbetta presente all’estremità del suo mento, con fare contemplativo « Una questione estremamente complicata a fronte delle regole del gioco della quale, purtroppo, alcuno di noi può considerarsi confidente… »

Già: alcuno di loro avrebbe potuto considerarsi confidente con le regole di quel gioco.
Perché, paradossalmente, benché anche per Midda non fosse stato immediato riuscire ad abituarsi alle dinamiche proprie di quella nuova e più amplia concezione della realtà, con la sua scienza e la sua tecnologia, con le sue protesi meccaniche e le sue navi stellari, con le sue armi energetiche e con tutti i dispositivi elettronici a controllo e gestione della vita quotidiana di ognuno di loro; quell’influenza non avrebbe avuto a doversi fraintendere qual manifestatasi in una singola direzione, e in quella più evidente e predominante direzione. Anzi, allo stesso modo in cui la loro quotidianità era precipitata nella vita di Midda e Be’Sihl, parimenti una parte del loro mondo, di quella loro realtà primitiva e, ciò non di meno, contraddistinta da non meglio comprensibili forze mistiche, non aveva fatto a meno di precipitare nelle vite di tutti loro, influenzandole. All’inizio forse in misura minimale, quasi impercettibile. E, ciò non di meno, giorno dopo giorno, mese dopo mese, ciclo dopo ciclo, iniziando a far sentire sempre in misura maggiore la propria presenza, sino a giungere a momenti come quello per loro attuale a fronte del quale, proprio malgrado, la quotidianità propria della Figlia di Marr’Mahew avrebbe finito con il sovrapporsi in maniera predominante a quella per tutti loro da sempre nota, e da sempre considerata qual la sola esistente.
Così illuminato dalle parole di Roro, e da quella ovvia ma non banale constatazione, fu allora il turno di Ragazzo di avere occasione di esprimere la propria opinione sulla questione e, soprattutto, la propria idea su come avere ad affrontarla…

domenica 26 agosto 2018

2650


Il lungo momento di silenzio che ebbe a seguire quell’affermazione, e implicita richiesta, fu più esplicativo dell’imminente tempesta che, di lì a un istante, si sarebbe necessariamente scatenata sull’uomo. E per quanto Duva, obiettivamente, non avrebbe potuto negarsi un certo piacere all’idea di contemplare la difficoltà propria dell’ex-marito nell’avere a confrontarsi non più con una moglie quietamente solidale a ogni suo capriccio, isolata qual Rula si era inconsapevolmente ritrovata a essere per colpa della sua stupida rivalità, ma, finalmente, con una sposa quietamente integrata in quel gruppo di amiche e, in ciò, desiderosa anche di avere a difendere tale legame, tale amicizia, innanzi a quanto, senza ombra di dubbio alcuno, avrebbe avuto a doversi considerare né più né meno di un sopruso, di una violenza psicologica da parte del marito; il primo ufficiale della Kasta Hamina preferì dimostrare rispetto verso la stessa Rula, ancor più che verso l’ex-marito, nel ritrarsi silenziosamente dallo sgabuzzino da lui eletto a proprio ufficio privato e, in ciò, nel lasciare soli i due sposi a risolvere quella tensione chiaramente esistente fra loro. Una tensione che, dal punto di vista di Lange, sicuramente avrebbe avuto a doversi considerare in più modi, per più vie, riconducibile squisitamente a Midda Namile Bontor, e che, ciò non di meno, avrebbe probabilmente avuto a doversi lì considerare, in tutto e per tutto, più opera sua, della stessa Duva Nebiria.
Volendo riservarsi onestà intellettuale, infatti, Duva non avrebbe potuto ignorare quanto, dietro a molti degli eventi occorsi, avrebbe avuto a doversi giudicare presente più la sua mano che quella della sua amica, per quanto all’ex-marito avrebbe fatto sicuramente più piacere poter avere a prendersela con chi non avrebbe avuto anche ragioni personali utili a rispondergli a tono, a replicare con la sua stessa animosità a ogni accusa. In ciò, fin dal proprio arrivo a bordo, Midda era divenuta, proprio malgrado, una sorta di feticcio utile a permettere a Lange di scontrarsi con Duva senza, in ciò, realmente ingaggiare lite con lei… e la responsabilità di tutto ciò, obiettivamente, avrebbe avuto a dover ricadere anche su di lei, giacché la presenza a bordo della donna guerriero, così come della giovane ofidiana, erano da lei state desiderate non soltanto in nome del legame di amicizia che, nel contempo, aveva avuto occasione di venire a instaurarsi fra loro, ma, ancor più, nella quieta consapevolezza di quanto, portare a bordo quelle due donne, avrebbe rappresentato un grave affronto per l’ex-sposo, nonché comproprietario, suo pari, della Kasta Hamina. E se, pertanto, forse vile avrebbe avuto a doversi considerare, da parte sua, quel proprio ritrarsi nel momento in cui Rula, dopo tanti anni di sofferto isolamento per sola causa sua, stava decidendo di perorare la loro causa, la causa della stessa Figlia di Marr’Mahew innanzi al proprio sposo; ancor più vile non avrebbe potuto essere giudicato il suo eventuale permanere in quella stanza, e crogiolarsi, qual necessariamente avrebbe finito per fare, innanzi alla sofferenza che, in tutto ciò, avrebbe finito per imporre al povero Lange.
Lange il quale, dal canto proprio, non avrebbe potuto ovviare a comportarsi esattamente come stava lì comportando: consapevole, in tutto questo, di non avere a essere il miglior amico possibile per i membri del suo equipaggio; consapevole, in tutto ciò, di star discriminando alcuni dei propri compagni e compagne in favore di altri per ragioni tutt’altro che legittimamente riconducibili a loro mancanze o colpe; e pur, in tal maniera, costretto ad agire dal proprio personale senso di colpa, e quello stesso senso di colpa che, del resto, gli stava impedendo di riuscire a vivere realmente la propria esistenza, la propria vita, dalla morte della propria prima sposa, della giovane e bella Kasta, in quanto, chiunque, non avrebbe avuto difficoltà a considerare un evidente complesso del sopravvissuto. Aver assistito, infatti, alla morte della propria prima sposa, e, con lei, della loro progenie nel suo grembo, a opera di alcuni pirati chimere, non soltanto aveva ispirato, in lui, quel profondo e intimo senso di intolleranza verso le specie non umane, intolleranza che, con straordinario impegno, con tanta buona volontà, ogni giorno cercava di soffocare nel proprio confronto con la straordinaria Lys’sh, alla quale pur alcuna colpa avrebbe potuto recriminare; ma, peggio ancora, lo aveva sospinto a maturare un profondo e intimo senso di necessità di protezione verso coloro a lui affidati, verso il suo equipaggio, innanzitutto, e verso la propria famiglia.
Ma proprio questo eccessivo senso di protezione, ai limiti del soffocante, non aveva potuto trovare occasione di accordo con il carattere di colei che pur, tanto, lo aveva amato, e che pur, tanto, si era impegnata a tentare di permettergli di superare i propri traumi, divenendo, addirittura, la sua sposa e rimettendo insieme quella nave di classe libellula per riprendere, insieme a lui, a solcare le infinite distese siderali, accettando, quietamente e senza gelosia alcuna, di volgere a quella stessa nave il nome della defunta moglie di lui, nella speranza che, questo, avesse a esorcizzare i fantasmi del suo passato. Madornale errore. Perché per Lange, proteggere la “nuova” Kasta Hamina e il suo equipaggio era divenuto immediatamente uno scopo di vita, forse nella speranza, in tal maniera, di avere a espiare le proprie colpe passate e, tuttavia, se pur nulla potendo mutare del passato, certamente in maniera negativa avendo a influenzare il proprio presente e il futuro. Prima con le difficoltà che avevano condotto, alfine, alla conclusione delle nozze con Duva, e ora a tutte le difficoltà che, ineluttabilmente, lo stavano spingendo nel dover tentare di gestire quella complessa situazione, e quella situazione di spiacevole pericolo per tutti i propri compagni, per tutti gli uomini e le donne affidatisi al suo comando.
Così, fra i sensi di colpa propri di Midda, quelli propri di Duva e quelli propri di Lange, il tempo presente della Kasta Hamina e del suo equipaggio avrebbe avuto a dover essere considerato qual purtroppo precipitato in una spiacevole situazione di stallo per tutti, un’immobilità loro imposta non tanto da un qualche effettivo avversario, da un qualche reale nemico, fosse egli Pitra Zafral, Reel Bannihil o Desmair, quanto e piuttosto dalle proprie stesse emozioni, dai propri sentimenti e, soprattutto, dai propri sensi di colpa, nel confronto con i quali, purtroppo, non riuscire a riservarsi alcuna via di fuga.
E se, da un lato, Midda si ritrovò in tal modo prigioniera a bordo della nave della quale avrebbe avuto a dover garantire la sicurezza, in ciò animata proprio da tale scopo e dalla paura di poter, altresì, attentare negativamente all’incolumità dei propri compagni; per Duva e per Lange la situazione non avrebbe avuto a doversi considerare migliore, sì liberi nella fisicità delle proprie persone e pur, ciò non di meno, imprigionati nelle proprie emozioni, nei propri pensieri, costretti ad agire in determinati modi, in favore di certe soluzioni, non per una reale fiducia in tali soluzioni, quanto e piuttosto perché incapaci a individuare soluzioni diverse, alternative migliori. Così Duva, responsabile, dal proprio punto di vista, di tutti i disagi propri dell’amica, nell’averla condotta a bordo, nell’averla esposta in tal maniera al proprio ex-marito e a tutti gli eventi occorsile, non avrebbe potuto ovviare a essere fermamente convinta della necessità di riconoscerle, quantomeno, quel favore nel tentare di recuperare quel monile dorato in sola grazia al quale, allora, ella avrebbe potuto liberarsi della negativa influenza del proprio sposo. E, in termini non poi tanto differenti, Lange, colpevole, dal proprio punto di vista, di non essere in grado di difendere il proprio equipaggio da tutte le continue minacce loro rivolte, non avrebbe potuto ovviare a continuare a volgere il proprio antagonismo a discapito di colei individuata qual responsabile per quanto lì stava accadendo, la stessa Midda Bontor, e, soprattutto, non avrebbe potuto neppure evitare di aggredire verbalmente chiunque in suo favore si fosse schierato, inclusa, sciaguratamente, anche la propria sposa, chiaramente vittima del fascino di quella figura così carismatica e, non di meno, così pericolosa.
A fare le spese, tuttavia, di un tanto spiacevole stallo emotivo e psicologico fra le principali figure in giuoco, non avrebbero potuto ovviare a essere tutti gli altri a loro circostanti, e a loro legati da vincoli di affetto o di amicizia, primi fra tutti Be’Sihl e i due pargoli, Tagae e Liagu, ritrovatisi privati della loro amata compagna e madre adottiva; ma anche Lys’sh, sballottata in maniera incontrollata fra i sensi di colpa dell’una e dell’altra propria amica e sorella d’arme; e, ancora, la giovane Rula, maltrattata dal proprio stesso sposo per la sola colpa di voler avere una propria opinione, e un’opinione allor differente dalla sua nel merito della loro responsabile della sicurezza. Non che, il resto dell’equipaggio, a margine di tutto ciò, avrebbe potuto avere occasione di essere felice… anzi: la cuoca Thaare, il meccanico Mars, ma anche il medico Roro e il mozzo Ragazzo, a maggior ragione, non avrebbero potuto che ritrovarsi involontariamente precipitati nel ruolo di vittime degli eventi, di circostanze sovente estranee alla loro stessa capacità di piena comprensione e, ciò non di meno, lì egualmente trascinati da tutti gli altri.

sabato 25 agosto 2018

2649


Quando la questione giunse all’attenzione del capitano Rolamo, come avrebbe avuto a dover essere considerato ineluttabile accadesse nel crescendo della questione e nell’impossibilità a banalizzarne l’importanza e il valore, per Lange l’ennesima giornata di un periodo già considerato qual negativo ebbe allora a prendere bruscamente una pessima piega, e a prendere tale piega, ancora e prevedibilmente, per colpa della stessa Midda Namile Bontor, quella donna apparentemente incapace a restare estranea ai guai, e che i guai non avrebbero evidentemente mancato di ricercare in qualunque momento, anche in assenza di un suo esplicito interessamento in tal senso. Anzi.
E se, al di là delle proprie infantili questioni personali, egli non avrebbe potuto ovviare, a margine di tutto ciò, a provare una certa, necessaria simpatia per una donna tanto sventurata, per quel bersaglio perfetto per tutti i suoi rimproveri, tutti i suoi malumori, tutti i suoi mal di pancia; nel confronto proprio con tali mal di pancia, con tali malumori, e con la necessità di avere a offrire sfogo a essi in qualche rimprovero, egli non avrebbe potuto mancare che rincalzare la dose già in sua avversione espressa, rifiutandosi di riconoscerla qual vittima delle circostanze e, al contrario, additandola qual unica e sola responsabile della propria stessa situazione. Una responsabilità, la sua, attorno alla quale Lange non volle concedere ad alcuno possibilità di fraintendimento, nelle prime parole che ebbe a pronunciare innanzi a Duva e Rula nel momento in cui entrambe ebbero a presentarsi a rapporto innanzi a lui…

« E’ mai possibile che quella donna non riesca a starsene buona un solo istante…?! » esclamò, coprendosi gli occhi dietro alla mano destra e scuotendo, in ciò, il capo, a esprimere tutta la propria più intima contrarietà a quanto così appena comunicatogli « Non credo di chiedere troppo nel domandare un solo, semplice istante di quiete. Un giorno… un singolo giorno senza che quella Bontor abbia a impegnarsi per mettere a rischio l’incolumità della mia nave e del mio equipaggio. » soggiunse poi, in quella che avrebbe avuto forse a doversi intendere qual una sorta di riflessione personale, per quanto non mancò di essere espressa ad alta voce « Dannazione: e dire che, nel proprio ruolo di responsabile della sicurezza, il suo compito dovrebbe essere proprio quello volto a tenerci fuori dai guai! »

Ma laddove, fino a poche settimane prima, un simile sfogo innanzi a quelle due particolari figure, avrebbe visto esplodere metaforicamente, e quasi letteralmente, la testa della sua ex-moglie, la quale non avrebbe mancato di saltargli metaforicamente, e forse letteralmente, alla gola per lo stolido antagonismo così dimostrato a discapito della propria amica, di quella propria sorella d’arme, di quella donna che alcuno avrebbe mai potuto permettersi di insultare, e di insultare innanzi a lei, sperando di restare, in ciò, impunito; a non negarsi occasione di risposta, e di indispettita risposta in direzione del buon capitano, ebbe allor a essere non la sua seconda sposa, e attuale ex-moglie, quanto e piuttosto la sua terza sposa, nonché attuale moglie, Rula Taliqua.

« A sentirti parlare sembrerebbe quasi che ella stia riservandosi occasione di che divertirsi a ritrovarsi in questa situazione… » commentò la giovane e affascinante moglie dell’uomo, storcendo appena le labbra verso il basso a dimostrare, in ciò, tutta la propria contrarietà alla posizione da lui espressa « … diamine: nel timore di poter arrecare danno a qualcuno di noi ha deciso volontariamente di incarcerarsi all’interno di quella dannata super-cella loicariota. E, non paga, ha persino annunciato di volersi porre da sola sulle tracce di Reel Bannihil, sempre animata dalla medesima motivazione, dalla stessa paura di poter essere tratta in inganno da Desmair e, in ciò, essere spinta da lui in nostra opposizione. » puntualizzò, ripetendo quanto del resto appena riferito al proprio sposo e pur, evidentemente, da lui non adeguatamente apprezzato nel proprio valore o nel proprio significato « E tutto ciò per non farci venir meno all’impegno preso nei confronti di Pitra Zafral e dell’omni-governo di Loicare. » concluse, scuotendo ora ella il proprio capo « Come puoi, in buona fede, lamentarti del fatto che non si stia impegnando a tenerci fuori dai guai…?! »
« Premesso che sarebbe utile, in questo frangente, ricordare quanto l’impegno preso nei confronti di Pitra Zafral e dell’omni-governo di Loicare si sia reso necessario soltanto in diretta conseguenza alle sue azioni e alla sua sempre più invasiva fama… devo veramente sottolineare quanto, nel mentre in cui questa santa donna si avrà a sacrificare nell’impegnarsi sola nella ricerca del signor Bannihil, a voi ha richiesto di rischiare, ancora una volta, la vostra vita e la vostra libertà sullo stesso Loicare, nell’assurda richiesta di recuperare per lei un dannato bracciale dorato?! » replicò l’uomo, cercando di non apparire eccessivamente severo nei confronti della propria giovane sposa e, ciò non di meno, non potendosi ritrovare quantomeno irritato da quel suo tono, e da quella sua obiezione, inquietantemente simili a quanto avrebbe potuto allor attendersi di ascoltare da parte dell’altra figura femminile presente, da parte di Duva, e non, certamente, da parte di Rula, lì, in maniera inedita, schierata in maniera compatta sul fronte delle proprie tre disgrazie « Per inciso… anche di questo tuo attuale  comportamento devo forse ringraziare Midda? »
« … cosa intendi dire…?! » sussurrò, con tono implicitamente minaccioso, la giovane donna, nell’aver già più che compreso l’intento del proprio sposo e, ciò non di meno, nel volergli concedere opportunità di riformulare la propria frase prima di ritrovarsi costretta a litigare con lui, in una direzione che, francamente, non avrebbe desiderato esplorare e che pur, proprio malgrado, si sarebbe ritrovata costretta a compiere se egli non avesse ritrattato la posizione così avventatamente espressa.

A margine di ciò, a confronto con quel dialogo, Duva, dal canto proprio, non poté che ritrovarsi sorpresa nella medesima misura del proprio ex-marito innanzi alla presa di posizione di Rula, e innanzi alla corrente inutilità della propria presenza lì, in quella stanza, in quel momento, laddove, obiettivamente, la propria ex-antagonista, allora, avrebbe avuto a doversi riconoscere qual più che in pieno possesso del polso della situazione e, in tal senso, non soltanto pienamente in grado di rispondere, a tono, al proprio sposo, ma, ancor più, chiaramente desiderosa di difendere l’operato della Figlia di Marr’Mahew, in misura non inferiore a quanto ella stessa non avrebbe potuto riservarsi occasione di compiere. Purtroppo, nel conoscere adeguatamente il proprio ex-marito, la donna dagli occhi dorati e dalla pelle bruna, non poté che intuire una sin troppo facile possibilità di degenero di quella situazione, soprattutto nel momento in cui, allora, al già non breve elenco di accuse che egli stava muovendo a discapito della sua sorella d’arme, della sua più cara amica a bordo di quella nave, laddove troppo facile, per lui, sarebbe così stato riconoscere colpevole la povera Midda di avergli schierato in contrasto la sua stessa sposa, per così come, appunto, già flebilmente, ma concretamente, suggerito da quell’ultimo interrogativo da lui posto, e, per il quale, già negativamente, e non a torto, avrebbe avuto a doversi riconoscere la reazione di Rula nei suoi confronti.
E forse comprendendo a sua volta quanto, iniziando a intraprendere quella strada, le destinazioni alle quali avrebbero potuto arrivare non sarebbero state piacevoli per alcuno fra loro, fu lo stesso Lange Rolamo a cercare di concludere lì il discorso, soprassedendo su qualunque ulteriore sviluppo e, soprattutto, tentando, in tal maniera, di conservare una situazione di apprezzabile pareggio fra loro… o, per lo meno, di quanto egli non avrebbe potuto ovviare a considerare al pari di un apprezzabile pareggio con la propria sposa. Ma laddove, teoricamente, l’intento da parte sua non sarebbe neppur stato così negativo, l’attuazione che ebbe a rendere propria si dimostrò, purtroppo, fondamentalmente criticabile, per non dire esecrabile. Ed esecrabile nella misura tale per cui, lo sforzo ipoteticamente posto a innalzare degli argini per contenere la piena di quel fiume emotivo vide, altresì, fornire sgradevolmente ulteriore forza al medesimo… e forza utile non soltanto a rompere gli argini, ma anche a travolgere ogni cosa sul proprio cammino.

« Ti prego, amore… non ho voglia di iniziare a discutere anche con te. » sancì l’uomo, escludendo tale eventualità con un movimento di diniego del proprio capo, a supporto di quelle che, probabilmente, avrebbero avuto a dover essere considerate alcune fra le peggiori parole che mai egli avrebbe potuto pronunciare in quel particolare momento.

venerdì 24 agosto 2018

2648


Ma se, a bordo della Kasta Hamina, soprattutto nel corso di quelle ultime settimane, Midda aveva avuto occasione di trovare un appassionato, e a tratti infantile, detrattore in Lange Rolamo, il quale a lei non aveva mancato di imputare la colpa di quanto loro accaduto e del ricatto che tutti loro stavano subendo a opera dell’accusatore dell’omni-governo di Loicare, Pitra Zafral; la totalità del resto del pur compatto equipaggio della nave avrebbe avuto a potersi esprimere in posizioni e opinioni più vicine alla posizione e all’opinione espressa e ribadita, anche recentemente e in termini indubbiamente appassionati, dalla cuoca Thaare. E ciò senza prendere in esame, a margine degli eventi più recenti, quello che avrebbe avuto a dover essere considerato il nocciolo duro delle sostenitrici della donna guerriero.
Nocciolo duro formato, nel dettaglio, proprio dalle due amiche, Duva Nebiria e Har-Lys’sha alle quali, in quel frangente, ella stava tentando di appellarsi al solo scopo di farsi rinchiudere all’interno di quella cella. Nocciolo duro al quale, in tempi estremamente recenti, avrebbe avuto a doversi considerare qual aggiuntasi anche la giovane terza, e attuale, moglie di Lange Rolamo, la bella Rula Taliqua, la quale, nel corso di una recente avventura vissuta con quel trio di amiche, si era vista concedere, a propria insaputa proprio per volontà della stessa Figlia di Marr’Mahew, felice occasione di colmare una mai desiderata distanza nel confronto con l’ex-moglie del proprio attuale sposo, la stessa Duva, e, in tal maniera, di diventare il quarto elemento di quella schiera compatta.
Quarto membro che, ovviamente, non si volle concedere occasione di perdere tempo nel raggiungere le amiche non appena informata di quanto stava accadendo, li sopraggiungendo giusto in tempo per poter assistere alla richiesta formulata dalla donna dagli occhi color ghiaccio nel merito del proprio arto artificiale, e, a essa, rispondere nell’unico modo nel quale, obiettivamente, anche Duva o Lys’sh avrebbero avuto a poter reagire, escludendo categoricamente ogni possibilità in tal senso…

« E’ una follia! » dichiarò, non riservandosi neppure occasione per rivolgere un saluto alle presenti o per cercare di indagare attorno alla questione, già sufficientemente aggiornata nel merito degli eventi tanto da parte di Thaare, quanto da parte di Mars.
« Ossia un altro modo di sostenere quanto ho appena dichiarato. » puntualizzò nuovamente Duva, ritrovandosi ancora un po’ stranita nel non aver più a dover necessariamente cercare occasione di conflitto con Rula, e, ciò non di meno, in quel momento assolutamente in accordo con lei, in termini tali per cui non si sarebbe a lei opposta neppure ove avesse avuto ancora a ritenerla un’avversaria.
« Posso comprendere come la presenza di Desmair abbia a turbarti… e la sua influenza abbia a preoccuparti. Ma reagire in maniera così intransigente, a tuo stesso discapito, probabilmente non è la soluzione migliore. » tentò di meglio argomentare Lys’sh, affrontando la questione con quella moderazione della quale aveva offerto più volte riprova in passato, nel tentare di sostenere la posizione espressa dalle due sorelle d’armi in termini contraddistinti da una minore animosità per tentare di volgere appello al raziocinio della Figlia di Marr’Mahew, ancor prima che al suo stomaco « In fondo, significa cedere al ricatto di Desmair… alla sua violenza e alla sua prepotenza. E, sono certa, che tu non abbia a desiderare offrirgli una simile soddisfazione. »
« Già! » confermò Rula, cogliendo il tentativo promosso dall’ofidiana e tentando di rilanciarlo con ulteriori argomentazioni assimilabili, nel comprendere quanto, effettivamente, tentare di rispondere alla mancanza di assennatezza dell’ex-mercenaria con eguale mancanza di assennatezza, probabilmente, non sarebbe stata la soluzione migliore « E, oltretutto, come credi che potremo affrontare le sfide che ci attenderanno in queste condizioni? Ricordati che l’accusatore attende che gli consegniamo quel tizio, quel Bannihil… e tu, a oggi, sei l’unica, fra tutte noi, ad averci avuto a che fare: cosa dovremmo fare, secondo te? Andare a cercarlo alla cieca, mentre tu resti qui rinchiusa in attesa… di cosa, poi?! Che Desmair si abbia a stancare di darti il tormento…?! »
« Ben detto! » concordò nuovamente Duva, appoggiando ancora una volta l’opinione espressa dalla propria ex-antagonista o, quantomeno, da colei che ella stessa aveva voluto considerare per anni al pari di un’antagonista e la quale, altresì, in lei nulla di meglio avrebbe mai potuto sperare di trovare se non un’amica, laddove, in fondo, alcuna ragione avrebbe potuto rappresentare per loro occasione di divisione, nel condividere certamente un uomo molto importante nelle loro esistenze e, ciò non di meno, nel non aver a rappresentare, l’una per l’altra, occasione di minaccia alcuna, nel rappresentare, nell’incarnare, piuttosto, due momenti diversi della vita di quell’unico, evidentemente molto fortunato, uomo.

Una razionalità, quella promossa e ricercata da Lys’sh, in primo luogo, e da Rula, subito dopo, che la donna guerriero non avrebbe potuto ignorare, e non ebbe allora a ignorare, nel confronto con obiezioni più che condivisibili, innanzi alle quali non si era effettivamente concessa opportunità di riflessione, di analisi, nella propria rabbiosa reazione alla ricomparsa di Desmair nella propria esistenza.
Ma se, in tal invito alla razionalità, in quelle argomentazioni per nulla teoriche e, anzi, squisitamente pratiche, lo scopo delle sue tre interlocutrici avrebbe avuto certamente a doversi intendere qual rivolto a spingerla a desistere dal proprio obiettivo di breve termine, da quel proprio proposito rivolto all’autonomo e autolesionista imprigionamento all’interno di quel container adibito a cella, adibito a prigione; il risultato che, proprio malgrado, ebbero a conseguire, le ebbe a trovare quantomeno insoddisfatte, nell’incontrare, per tutta risposta, un ragionamento altrettanto razionale, e altrettanto condivisibile, da parte della stessa Figlia di Marr’Mahew, atto a sopperire ai loro dubbi e, ancora, a suggerire un piano d’azione decisamente più amplio rispetto a quanto, sino a quel momento, preso in esame.

« Avete ragione. » parve concordare la donna guerriero, annuendo appena in apparente approvazione di quel loro breve discorso « Questa soluzione può essere utile nell’immediato, ma non nel lungo periodo. » ribadì, pur, in quelle parole, lasciando già presagire una conclusione differente da quella sperata da parte delle altre, nel non escludere la correttezza di quell’idea, ma, semplicemente, nel limitarne l’applicabilità temporale « Per questo dovremo agire in maniera differente… e, in particolare, recuperare il mio bracciale dorato, il monile in grazia al quale, prima di quel collare, sono sempre stata protetta dagli inganni propri di Desmair. » sancì con tono convinto.
« Ma lo abbiamo già cercato due anni fa, quando poi siamo state in grado di recuperare la tua spada… e non siamo riusciti a scoprire dove lo possano aver archiviato su Loicare. » volle ricordare Duva, all’epoca presente e partecipe a quell’azione di recupero, un’azione del resto già allora motivata da quella stessa necessità, e dalla necessità, per lei, di liberarsi della possibile influenza antagonista dello sposo, e, purtroppo, per come da lei appena ricordato, un’azione priva di risultati.
« Vuoi sfruttare Pitra Zafral per farti consegnare quel bracciale…? » ipotizzò Lys’sh, aggrottando appena la fronte, nel cercare di cogliere il piano così elaborato dall’amica, pur con qualche riserva nel merito di una simile possibilità, giacché, di certo, l’accusatore non avrebbe loro concesso nulla senza richiedere altro… e alcuno fra loro avrebbe potuto apprezzare l’idea di contrarre un nuovo, ulteriore debito nei suoi riguardi.
« Non credo che ce lo riconsegnerebbe. E, soprattutto, non credo che ce lo riconsegnerebbe in maniera tanto gratuita. » escluse la donna guerriero, scuotendo appena il capo « Ma in questi ultimi due anni, da semplice sconosciuta arrestata quasi per caso, sono sostanzialmente divenuta una specie di celebrità su Loicare… e, in questo, sono certa che, ora, potrà essere più semplice risalire alla collocazione precisa del mio bracciale, ovunque esso abbia a trovarsi. » suggerì, non a torto, nel considerare la sua attuale fama di donna da dieci miliardi di crediti… fama che, dopotutto, avrebbe avuto a dover essere considerata la ragione per i loro attuali problemi.
« … e quindi…. » incalzò Rula, temendo in cuor suo di conoscere già ove quel ragionamento avrebbe avuto ad andare a parare in conclusione.

giovedì 23 agosto 2018

2647


« … rullo di tamburi… » non poté trattenersi dal commentare il soggetto in questione, sempre più garrulo a confronto con quella situazione e con la crescente e giustificabile incapacità a sopportarlo propria della donna dagli occhi color ghiaccio e dai capelli color del fuoco.
« Io credo… e temo… che questo collare sia stato inizialmente concepito allo scopo di inibire determinate, passatemi il termine, “frequenze” di funzionamento. Un po’ come una sorta di disturbatore di segnale radio. E credo e temo che, in questi ultimi due cicli, Desmair sia riuscito a comprendere come alterare la propria “frequenza”, allo scopo di rendere vano il collare stesso. » spiegò, cercando di ricorrere a termini più semplici e comprensibili innanzitutto per se stesso, giacché, così come onestamente dichiarato pocanzi, anch’egli avrebbe avuto a dover essere considerato il primo incapace a scendere nel dettaglio tecnico proprio di quella tecnologia e dei principi di funzionamento della stessa « Se non nella sua integrità, quantomeno in riferimento alla possibilità, per lui, di entrare in contatto con te… »
« … ta-dah! » esclamò con innegabile soddisfazione il semidio, aprendo le braccia in un gesto estremamente plateale e volto ad attrarre l’attenzione su di sé, quasi, sino a quel momento, fosse stato nascosto o non considerato dalla propria sposa.
« … che gioia… » sussurrò la Figlia di Marr’Mahew, coprendosi il volto con la mancina e scuotendo vistosamente il capo, con aria sconsolata, consapevole di non poter fare altro che rassegnarsi alla realtà così presentatale, in termini che non avrebbero potuto in alcuna maniera entusiasmarla, o rallegrarla, o appagarla, e che, ciò non di meno, avrebbero avuto a dover essere considerati i soli a confronto con i quali avrebbe potuto lì confrontarsi, nel bene o nel male.
« In altre parole, il collare è divenuto inutile e non c’è nulla che possiamo fare per evitare che Desmair sia libero di tormentare Midda… è corretto? » cercò conferma, o, per meglio dire, sperò in un diniego, l’ex-locandiere shar’tiagho, portando le mani a quello scomodo accessorio che per due anni lo aveva accompagnato e che, al di là dell’assenza di praticità, aveva concesso a lui e all’amata di poter vivere una parvenza di normalità malgrado l’ospite all’interno della sua mente.
« Esatto. » confermò Desmair, annuendo con un vivace movimento dell’enorme capo ornato da corna, a sottolineare in maniera estremamente visibile la correttezza di quell’affermazione, in un gesto, ovviamente, dedicato solo e del tutto alla poco adorata moglie, laddove soltanto ella avrebbe potuto godere della vista del medesimo e di tale fastidiosa pantomima.
« Temo di sì. » confermò quasi in contemporanea Mars, con sincero e palese rammarico, laddove avrebbe di gran lunga preferito poter offrire una risposta diversa.
« Assolutamente no. » escluse tuttavia la donna guerriero, liberandosi il volto dalla mano prima posta a coprirlo, mostrandosi, ora, improvvisamente e nuovamente risoluta, nell’aver ben chiaro come reagire e, soprattutto, come agire a fronte di quella situazione e di quella situazione innanzi alla quale non sarebbe stata in inerme attesa di subire nuovamente gli effetti delle crudeli fantasie del suo sposo, con il rischio, alfine, di esserne vittima e di poter nuocere, in qualche modo, ai propri amici o, peggio, alla propria famiglia, a Be’Sihl o ai loro figli « Qualcosa che possiamo fare c’è… » puntualizzò e meglio esplicitò il senso della propria negazione, non desiderando escludere l’inutilità del collare, ma l’impossibilità, da parte loro, di fare qualcosa per minimizzare le possibilità di danno allor proprie di Desmair.
« … cosa?! » domandarono, praticamente in coro, Be’Sihl e Mars, osservandola incuriositi a confronto con quella ritrovata risolutezza, e quella fermezza della quale, negli ultimi giorni, ella si era dimostrata spiacevolmente privata, e privata dagli sviluppi negativi della questione Pitra Zafral.
« Per cortesia, Mars: avvisa Duva e Lys’sh che sto tornando al container e che ho bisogno del loro aiuto. » incalzò e richiese in direzione del meccanico, spingendosi nel contempo di ciò a sfiorare le labbra dell’amato shar’tiagho in un fugace bacio, prima di voltarsi e di incamminarsi per lasciare la sala macchine e per dirigersi là dove allor annunciato.
« Midda…?! » tentò di richiamarla l’ex-locandiere, ritrovandosi a temere cosa ella potesse avere in mente di compiere, nel ricordo di quanto, dopotutto, già in passato non aveva mancato di riservarsi possibilità di fare per reagire innanzi alla minaccia rappresentata da Desmair, tentando, addirittura, di chiudere il loro rapporto e di scacciarlo lontano da sé, spinta, in tal direzione, dalla sola volontà di proteggerlo e di impedire al diabolico semidio, di manipolarla nuovamente e, in tal mondo, di indirizzare la sua furia assassina a discapito di coloro da lei amati.

Ma la Figlia di Marr’Mahew non rispose a quel richiamo, né si voltò indietro, non desiderando avere a soffermarsi in compagnia di Be’Sihl, o di chiunque altro, un minuto più del necessario, e, soprattutto, non volendo offrire a Desmair una qualche possibilità di ipotesi nel merito di quanto, allora, ella sarebbe andata a compiere. Perché, per quanto egli avrebbe potuto essere pericoloso, neppure lui avrebbe avuto a potersi considerare onnisciente e, in ciò, non avrebbe potuto in alcuna maniera riservarsi consapevolezza nel merito di quanto, allora, avrebbe potuto attenderla all’interno dell’unico container, in quel mentre, presente nella coda della Kasta Hamina.
Intrappolata, infatti, a bordo della stessa nave con tutte le persone a lei care, troppo rischioso, troppo pericoloso, addirittura folle sarebbe stato concedersi l’occasione di attendere quietamente la successiva mossa di Desmair, il suo nuovo inganno in grazia al quale, forse, questa volta egli sarebbe stato in grado di spingerla a levare la propria mano in contrasto a un altro membro del loro equipaggio. E se pur, allora, ella non avrebbe potuto allontanarsi da lì, non avrebbe potuto porre alcuna particolare distanza fra lei e le sue potenziali vittime, di certo avrebbe potuto sfruttare quella straordinaria risorsa concessa loro dallo stesso Pitra Zafral, quella gabbia perfetta dalla quale, sino a quel momento, non erano ancora state in grado di comprendere come fuoriuscire, come evadere, e che, pertanto, avrebbe per lei rappresentato l’ideale cella di contenimento entro i confini della quale essere certa di non poter arrecare danno ad alcuno, per quanto Desmair si sarebbe potuto impegnare a stuzzicarla, a giocare con la sua mente offrendole visioni sempre più reali e coerenti, alle quali non poter fare altro che cedere a meno di non voler letteralmente impazzire, e impazzire nell’altresì obbligata necessità di aver a porre in dubbio qualunque evento a lei circostante.
E laddove, sotto un certo punto di vista, quasi poetico sarebbe stato ricorrere a quanto impostole da un avversario per avere a contrastare un altro avversario, in cuor suo Midda Bontor non poté allora ovviare a rivedere la propria valutazione nel merito dell’evolversi degli eventi, e di quegli eventi per i quali si era imposta cruccio sino a quel momento, ritrovando, piuttosto, in essi l’evidenza concreta della benevolenza degli dei nei suoi confronti, laddove, in assenza di quella gabbia, di quella cella perfetta, la situazione per lei non sarebbe stata di facile risoluzione.
Non che, in verità, coloro attorno a lei avrebbero avuto a potersi considerare concordi nel definire quella risoluzione qual effettivamente facile…

« Sei impazzita…?! » domandò Duva, dopo che ella ebbe rapidamente aggiornato lei e Lys’sh nel merito di quanto accaduto, e nel merito della propria decisione, e di quella decisione volta a essere segregata all’interno di quella cella, imprigionata per propria stessa volontà a bordo della nave della quale ella era la responsabile della sicurezza.
« Non ancora. O, almeno, voglio sperarlo… » dichiarò la donna guerriero, per tutta risposta, escludendo tale eventualità e tentando di difendere la saviezza della propria decisione innanzi all’amica, nonché seconda in comando a bordo della nave « … ed è proprio per evitare il rischio di poter agire come una pazza che voglio che voi mi rinchiudiate là dentro e non mi facciate uscire fino a quando non saremo giunti a destinazione. » proclamò, nel ribadire il concetto già espresso « Anzi… a scanso di equivoci, sarà meglio scaricare la pila all’idrargirio della mia protesi, in maniera tale che non possa trovare il modo di impiegarla per evadere una volta rinchiusa là dentro. »

mercoledì 22 agosto 2018

2646


« Facciamo finta, per un fugace istante, che io possa avere a comprenderti… » dichiarò la donna, in quanto, più che altro, avrebbe potuto essere considerata prossima a una sorta di dimostrazione per assurdo, lì sancita con freddezza tale da escludere un qualunque genere di sostegno nei suoi riguardi « … ciò non di meno, non c’è nulla che alcuno di noi potrebbe mai compiere per restituirti questa tua tanto bramata libertà. O sbaglio…? »
« Sbagli. » risposero pressoché in coro tanto Desmair quanto Be’Sihl, nel suggerire l’esistenza di una soluzione, di un’alternativa che, ciò non di meno, probabilmente non le sarebbe piaciuta, almeno a giudicare dalla serietà del volto del proprio amato in quel momento.
« E con questo abbiamo definitivamente stabilito essere lui il cervello della coppia… » soggiunse il semidio, con aria divertita e compiaciuta alla valutazione offerta da parte dell’ex-locandiere, e a una valutazione in accordo con la propria, e con la realtà dei fatti allor chiaramente ignota alla Figlia di Marr’Mahew, ma ben compresa dal proprio amante.

Senza proferir verbo, Midda volse allora lo sguardo verso Be’Sihl, cercando silenziosamente da lui una qualche spiegazione di dettaglio nel merito di quanto, allora, dichiarato, di quanto così inconsapevolmente, o consapevolmente, promosso a di lei discapito nel confronto con quel colosso dalla pelle simile a cuoio rosso. Perché in quella presa di posizione, Be’Sihl aveva, proprio malgrado, indebolito la posizione dell’amata, nel confronto con quanto, altrimenti, avrebbe potuto essere un discorso già chiuso, un’argomentazione già conclusa, nell’evidente inapplicabilità della cosa.
Ancor proprio malgrado, però, quanto lo shar’tiagho avrebbe avuto lì a dover sostenere, in risposta a quello sguardo interrogativo, sarebbe stata una verità ancor peggiore rispetto a qualunque ipotesi propria della donna guerriero, e una verità, allora, volta a gettare una nuova inquietante luce sui propositi di libertà che Desmair aveva appena dichiarato qual propri…

« Se io rinunciassi al mio stesso corpo, alla mia stessa vita, permettendogli di imprigionarmi all’interno della mia mente là dove lui risiede, egli sarebbe finalmente libero di vivere la propria vita, e di viverla senza più vincolo alcuno. » spiegò allora Be’Sihl, supportato in tal evidenza da eventi passati, da momenti recenti e non in cui, in maniera più o meno volontaria, quello scambio fra le loro coscienze a controllo di quell’unico corpo era già avvenuto, ed era già avvenuto per un periodo di tempo limitato ma, nel corso di tal periodo di tempo limitato, Desmair aveva avuto realmente la possibilità di tornare a vivere, e a vivere la propria tanto bramata libertà.
« E io potrei volare nello spazio se mi infilassi un razzo su per il… » reagì la donna guerriero, ritrovandosi tuttavia censurata da un colpo di tosse da parte della stessa Thaare, ancor fedele al proprio proposito di non concedere occasione ai due pargoli di ascoltare un linguaggio tanto scurrile da parte della propria genitrice, genitrice che, in quella mattina, per molteplici ragioni sembrava veramente incapace a mantenere il proprio altresì proverbiale autocontrollo « Che diamine di discorso dovrebbe essere questo…?! » protestò in contrasto al proprio amato, nel mentre in cui, poco distante da lui, e a lei sol visibile, Desmair non si stava negando occasione di annuire, e di simulare un quieto applauso in direzione del medesimo « Neanche si manifestasse la dea Thyres in persona, e mi indicasse questa qual soluzione da intraprendere, io potrei mai accettarla. » dichiarò con assoluta fermezza, tirando in causa la propria dea prediletta, l’unica divinità nella quale avesse mai avuto occasione di confidare, l’unica divinità verso la quale avesse mai offerto il proprio rispetto « Anzi… persino ella avrebbe a dover temere la mia ira. » incalzò, a rendere più incisivo il concetto così espresso, in quella che, conoscendola, conoscendo la sua storia personale e le leggendarie imprese da lei compiute nel corso della propria vita, non avrebbe avuto a dover essere banalizzata qual una mera provocazione, quanto e piuttosto qual proclama di un preciso manifesto programmatico, e un manifesto che l’avrebbe veduta, allor, prendere posizione in contrasto a uomini e dei per la difesa di quell’uomo, dell’uomo da lei amato « Quindi togliti pure dalla testa ogni pensiero di estremo sacrificio… e cerchiamo, piuttosto, di comprendere perché quel dannato collare abbia smesso di funzionare. »

Detto, fatto. Con buona pace per il pranzo in tal maniera bruscamente interrotto, e per lo spezzatino di Thaare purtroppo non onorato in termini nei quali sarebbe convenuto fosse, Midda ebbe a condurre, se non, addirittura, a trascinare Be’Sihl sino alla sala macchine, là dove era certa avrebbe trovato Mars Rani, il loro  meccanico, il massimo esperto di tecnologia a bordo della Kasta Hamina, nonché colui che, la prima volta, era stato in grado di riattivare quel collare contraddistinto da una tecnologia unica e inimitabile, per concedere, tanto a Be’Sihl, quanto e ancor più alla stessa Midda, occasione di vivere serenamente la propria quotidianità.
E se l’aspettativa della Figlia di Marr’Mahew ebbe occasione di vedersi confermata nel momento in cui, effettivamente, il meccanico venne individuato là dove atteso; dopo un’attenta analisi da parte del medesimo, un primo controllo a cui fece seguito un secondo controllo, e ancora un terzo controllo, e persino un quarto controllo, la speranza da lei riposta in lui ebbe, altresì, a ritrovarsi spiacevolmente tradita, e tradita nel momento in cui, con tono mesto e dispiaciuto, nel ben comprendere cosa ciò avesse a significare per loro, Mars Rani ebbe, proprio malgrado, a dover evidenziare i propri limiti nella gestione di tale tecnologia…

« Non me ne abbiate, ve ne prego… » premesse, in una frase che già, purtroppo, avrebbe avuto a doversi considerare più che esplicativa di tutto il resto, e di quanto, di lì a breve, ebbe a comunicare, esposto, a propria insaputa, al sorriso di piena soddisfazione proprio del semidio, lì immancabilmente presente accanto alla coppia, a sua volta necessariamente curioso, forse ancor più degli stessi, nei confronti di quel responso « Purtroppo, chiunque abbia concepito questo collare ha potuto sfruttare una tecnologia estremamente avanzata, e, soprattutto, una tecnologia di natura biomedicale, decisamente diversa da quella con la quale posso essere riconosciuto abituato a interfacciarmi. » puntualizzò, quasi a temporeggiare nel non volersi far carico di comunicare loro quella notizia « E’ pur sempre tecnologia, sia chiaro… ma i livelli ai quali opera, interferendo con alcuni processi propri della mente, è qualcosa nel confronto con il quale non posso vantare alcuna confidenza. Anzi. Un qualunque mio tentativo di manomissione dello stesso avrebbe a rischiare di friggere il cervello stesso di Be’Sihl, allorché arginare le possibilità d’azione di Desmair. » esplicitò, in una risposta tanto complessa quanto ben poco chiara, soprattutto a confronto con il più semplice interrogativo che, in quel momento, stava agitandosi nella mente di Midda.
« … ma come ha fatto a rompersi?! » domandò direttamente ella, non cercando di mistificare la propria eventuale ignoranza, non a confronto con un argomento troppo importante per potersi concedere eventuali moti d’orgoglio « Fino a stamattina ha sempre funzionato… e tutte quelle dannate lucette continuano a lampeggiare come se nulla fosse. »
« … ora arriva il bello… » sussurrò il colosso dalla pelle simile a cuoio rosso, cercando di soffocare le risate che, altrimenti, avrebbero potuto impedire alla propria sposa di seguire con attenzione la risposta e, in essa, di avere a confrontarsi con tutta la frustrazione che ne sarebbe necessariamente seguita.
« Sì. E lo fanno perché, in effetti, nulla è cambiato. Non dal loro punto di vista. » escluse il meccanico, scuotendo appena il capo, in una risposta semplice che, ciò non di meno, non poté che apparire ancora più ostica alla donna guerriero, nel suggerire una realtà diversa da quella testimoniata dai fatti.
« In che senso…?! » insistette ella, corrugando la fronte « Ti posso assicurare che, anche in questo momento, non sta funzionando… o non vedrei la proiezione a grandezza naturale del mio sposo proprio accanto a noi, intento a sogghignare per la gioia del momento. » argomentò, dal basso della propria ignoranza e, ciò non di meno, nel confronto con quanto, da parte sua, avrebbe avuto a doversi comunque considerare una realtà, e una realtà priva di ambigue possibilità di interpretazione.

martedì 21 agosto 2018

2645


« Desmair… lasciala in pace! » protestò Be’Sihl, cercando di  prendere voce, di prendere posizione nella questione, sebbene, proprio malgrado, incapace in quel momento, in quel frangente, anche solo di immaginare la posizione effettivamente occupata dal colosso, e costretto a dedurla nel seguire la direzione dello sguardo della propria amata « Non erano questi i nostri accordi! » tentò dii argomentare, cercando di far leva, in tal maniera, non tanto sui suoi sentimenti, consapevole della sfida necessariamente persa in tal direzione, quanto, e piuttosto, sulla sua razionalità, e sul suo desiderio di rispetto per i vincoli resi propri.

Ma se, in ciò, l’ex-locandiere avrebbe avuto a doversi riconoscere qual animato dalla volontà di placare la situazione, e la situazione dedotta qual tutt’altro che serena in conseguenza alle reazioni sempre più tese proprie della donna guerriero, il suo intervento non ebbe a riservarsi alcuna occasione per essere gradito, per essere quietamente accolto da parte del semidio residente all’interno della propria mente, del proprio corpo. Al contrario…

« Accordi…?! » commentò Desmair, con espressione e tono di stizza, nel gettare uno sguardo in direzione di Be’Sihl e, ciò non di meno, nel continuare a rivolgersi verso la Figlia di Marr’Mahew, laddove ella avrebbe avuto a doversi considerare qual la sola effettivamente in grado di udirlo « Qualunque possibile accordo fra noi, di certo non avrebbe potuto che perdere valenza sin dal momento stesso in cui avete preso la decisione di utilizzare quel collare per mantenermi confinato all’interno della sua mente… » dichiarò, non privo di legittimità in simile presa di posizione, per così come, proprio malgrado, anche la stessa donna dagli occhi color ghiaccio non avrebbe potuto ovviare a riconoscere nel non voler risultare intellettualmente disonesta.

In verità, i primi a non aver mai avuto, e mai voluto, a considerarlo realmente pari a un alleato, quanto e piuttosto a uno sgradevole incomodo, e a un incomodo da sopportare in assenza di altre alternative, avrebbero avuto a doversi riconoscere proprio coloro i quali, in più di un’occasione, non avevano esitato a invocare la sua collaborazione, il suo aiuto, all’occorrenza, nei momenti di convenienza, sia attivando o disattivando quel collare inibitore, in tempi più recenti, ma, ancor prima, intervenendo sul bracciale benedetto della sua sposa, indossato e non, di volta in volta, solo per egoistiche valutazioni personali.
Utilizzandolo qual semplice messaggero fra loro, un galoppino al proprio esclusivo servizio, Be’Sihl e Midda non si erano mai riservati scrupolo alcuno a osteggiarlo in qualunque altro momento non fosse loro esplicitamente utile e, non appena loro concesso, non avevano neppur evitato di imprigionarlo in termini qual neppure la sua genitrice, secoli prima, millenni prima, aveva avuto il coraggio di compiere, sì arginando il suo potere all’interno di un’altra dimensione e, ciò non di meno, garantendogli comunque la compagnia dei propri spettri, e la possibilità di giuocare, di tanto in tanto, con qualche sventurato viandante. Be’Sihl e Midda, al contrario, in quegli ultimi due anni lo avevano totalmente isolato dalla realtà a lui circostante, imprigionandolo, solo, in quella sorta di limbo mentale dal quale gli era permesso di evadere soltanto quando ritenuto utile. Ragione per la quale, in effetti, ogni eventuale argomentazione volta, come in quel momento, a far leva sul rispetto di un qualunque genere di volontà di collaborazione fra loro sarebbe stato a dir poco inopportuno.

« Cosa vuoi, Desmair…?! » domandò la donna guerriero, cercando di moderare le proprie emozioni, al fine di non concedergli una facile opportunità di manipolazione delle medesime, magari in grazia a qualche nuovo trucco mentale ancor più crudele di quello appena terminato.
« “Cosa vuoi Desmair…?”, “Levati di torno Desmair…!”, “Crepa Desmair…!”… tutte varianti già ascoltate: nessuno ti ha mai fatto presente che, sovente, finisci per essere estremamente ripetitiva…? » replicò il suo semidivino sposo, allontanandosi dalla coppia di pargoli solo per tornare a una sedia, posta a capotavola, e lì ad accomodarsi, per quanto le sue dimensioni monumentali rendessero tale sistemazione quasi ridicola.
« Non trovi strano, laddove io fossi così ripetitiva come tu sostieni che io sia, il fatto che tu non abbia colto il messaggio…? » insistette ella, aggrottando la fronte con aria critica verso di lui e verso la sua mancanza di acume, non che, in verità, si sarebbe mai potuta attendere di essere da lui ascoltata.
« Sai cosa trovo realmente strano…? » rigirò la questione egli, scuotendo appena il capo « Il fatto che, dopo tutti questi anni, ancora tu non riesca a voler riconoscere l’evidenza di essere stata l’unica causa del tuo mal… » si rispose subito dopo, in quella domanda chiaramente retorica « Non ti ho chiesto io di sposarmi. Non ti ho mai voluta qual mia sposa. Innanzi ai miei scopi sei assolutamente inutile… al punto tale che dovrei persino usarmi violenza per accettare anche solo l’idea di usarti come guaina per il mio membro. »
« Di quest’ultima eventualità non averne a riservarti preoccupazione alcuna: non accadrà mai. » escluse categoricamente ella, semplicemente disgustata anche solo all’ipotesi dell’idea stessa di tale possibilità, figurarsi spingersi a qualcosa di più in tal senso « E, comunque, non mi è ancora chiaro il tuo scopo, a margine di tutto ciò: sono passati anni, ormai… e tu sei persino morto, nel frattempo. Accetta la tua condizione e varca la soglia per l’aldilà, o per qualunque altra empia destinazione possa mai attendere il tuo arrivo. » incalzò la donna dagli occhi color ghiaccio.
« Quello che desidero è quanto ho sempre voluto… quanto ho bramato per tutta la mia vita, sin da quando la mia poco amabile genitrice ha deciso di rinchiudermi in quella dannata fortezza fra i ghiacci. » sancì egli, sforzandosi di venire incontro alle chiaramente ridotte capacità mentali della propria interlocutrice, la quale nella propria difficoltà a comprendere il nocciolo della questione stava chiaramente desiderando dimostrare la veridicità del comunemente noto teorema di un rapporto di inversa proporzionalità fra le dimensioni dei seni di una donna e il suo quoziente intellettivo « Desidero essere finalmente libero di vivere la mia vita. E di viverla non fra i confini di una maledetta prigione extra-dimensionale, o della scatola cranica del tuo amante… desidero viverla come chiunque altro, decidendo giorno per giorno cosa fare delle ore concessemi. » dichiarò, in una richiesta obiettivamente tutt’altro che insensata o incomprensibile, soprattutto per chi, come Midda Bontor, della libertà aveva fatto il proprio manifesto di vita « Ho visto scorrere i secoli, passare i millenni… ma non mi è realmente stato concesso di vivere un singolo giorno della mia vita. Riesci a comprendere quanto sia paradossale l’immortalità in tutto ciò…?! »

Sforzandosi di dimenticare, per un istante, l’identità del proprio interlocutore, la Figlia di Marr’Mahew avrebbe potuto sicuramente provare una certa empatia, persino una certa simpatia, per lui, nel riconoscere, nel comprendere le ragioni da lui addotte, quel desiderio di libertà.
Ma se pur, quella volontà di libertà, e di libertà non teorica, non metaforica, ma sostanziale, incredibilmente pratica, avrebbe potuto essere per lei più che comprensibile, in quanto da lei ricercato per se stessa nel corso di una vita intera, e di una vita spesa contro uomini e contro dei per difendere tale principio; impossibile sarebbe stato, per la donna guerriero, riuscire a soprassedere a lungo sull’identità del proprio interlocutore, di quel crudele semidio che, prima di lei, aveva catturato e obbligato altre novecentodieci donne a essergli spose, non soltanto nel corso della propria vita, ma anche oltre la fine della medesima, continuando a servirlo dopo la morte in qualità di spettri, e di quegli spettri che, in un terrificante circolo vizioso, non avrebbero potuto ovviare ad alimentare quel medesimo perverso sistema, permettendogli di catturare altre ignare viandanti per proseguire nel proprio vano tentativo di dare un qualche senso, un qualunque significato alla propria immortale esistenza all’interno della prigione che sua madre aveva realizzato per lui. E benché, ormai, egli avesse trasceso i limiti della carne, divenendo a sua volta nulla di più di un ipotetico spirito, e di uno spirito annidatosi impropriamente all’interno del corpo di Be’Sihl, interrompendo in tal maniera tale circolo vizioso, la libertà da lui bramata non avrebbe avuto a poter essere riconosciuta qual acquisita, qual conquistata, non, laddove, semplicemente, era cambiata attorno a lui la definizione di prigione, ma, pur sempre, prigione avrebbe avuto a dover essere considerata la sua.

lunedì 20 agosto 2018

2644


Possibile che Desmair non stesse mentendo…? Certo: sarebbe stata una straordinaria novità, per lui, esprimersi con sincerità… ma, laddove avrebbe potuto dimostrare, in tal maniera, tutta la propria malvagità, tutta la propria crudeltà, anch’egli avrebbe potuto proclamare verbo con trasparenza d’intenti, così come altresì non ci si sarebbe potuti attendere fosse possibile da parte sua. Possibile, quindi, che tutto quello stesse accadendo realmente, e non soltanto nella sua mente…?
Midda Bontor era sufficientemente certa che il proprio pianeta natale si trovasse a una distanza tale per cui neppure spendendo un’intera vita in viaggio, con una nave anche più veloce della Kasta Hamina, ci si sarebbe potuti permettere la possibilità di raggiungerlo, ragione per la quale, del resto, esso si poneva, in tal maniera, esterno a tutta la confusione propria di quelle civiltà siderali, in sola grazia al potere della fenice ella, e Be’Sihl, erano stati in grado di giungere sino a lì. Ma così come la fenice aveva potuto piegare, ai propri voleri, lo spazio e il tempo, cosa avrebbe potuto impedire di compiere altrettanto a degli spettri e a degli spettri che si erano già, dopotutto, dimostrati in grado di viaggiare attraverso almeno due diverse dimensioni…? Erano, dopotutto, trascorsi più di due anni e mezzo dal loro arrivo fra le stelle… e nulla di più semplice, nulla di più ovvio sarebbe stato, per Desmair, convocare le proprie truppe a sé, non appena ne avesse avuto l’occasione. E di occasioni, prima del collare inibitore, ne aveva avuto certamente parecchie. Per quale ragione, quindi, non avrebbe avuto a dover agire effettivamente in tale direzione…?
Il dubbio, suscitato nel cuore e nella mente della Figlia di Marr’Mahew, avrebbe avuto a doversi considerare a dir poco straziante, nel timore dell’eventualità in cui, allora, tutto quello avrebbe avuto a scoprirsi qual reale, qual frutto non del potere di illusione del proprio sempre più odiato sposo, ma di un’azione reale, e di una crudele e ingiustificata azione reale…

« Ancora pochi istanti, e l’intera nave si trasformerà in un cimitero alla deriva. E tutto per colpa di questo semplice bambino, oltretutto destinato a sopravvivere alla propria stessa piaga soltanto per ritrovarsi poi condannato a morire di stenti, condannato a vagare alla deriva nello spazio, in assenza di qualunque capacità di pilotare questa nave… » osservò Desmair, continuando a sorridere, e a sorridere tronfiamente per il successo, in tal maniera, reso proprio « Non sarebbe, forse, più misericordioso che tu lo uccidessi e salvassi, in tal maniera, coloro che forse possono ancora essere salvati…? Si tratta di semplice praticità: la vita di uno, destinata comunque a estinguersi in maniera a dir poco straziante, in cambio di quella di molti. E’ uno scambio equo. E’ una scelta giustificabile. » argomentò, aggrottando appena l’enorme fronte, nell’accarezzare, al contempo, la testolina di Tagae, lì immobile e tremante innanzi a lui, ancora in attesa di una risposta dalla madre « E, dopotutto, non è neppure realmente tuo figlio: è soltanto un orfano come molti nell’universo… un orfano che era destinato comunque a morire e al quale, tu, hai probabilmente già concesso un anno di vita in più e, con esso, un po’ di serenità. »
« Mamma…?! » la chiamò ancora il pargolo, con aria ora disperata nel non ottenere risposte da lei.

Non per un sol istante, nel cuore della donna da dieci miliardi di crediti, ebbe a imporsi l’idea di una qualche ragionevolezza da parte del proprio interlocutore. Se, infatti, una cosa avrebbe potuto vantare Midda Bontor, in maniera quantomeno discutibile, tale avrebbe avuto a dover essere considerata la propria più totale mancanza di praticità nel discernere chi meritevole di vivere e chi di morire. Poiché provenendo da un mondo nel quale l’idea dell’omicidio avrebbe avuto a dover essere considerata qual sottoposta a minor tabù rispetto a quanto, aveva scoperto, essere presente in altri mondi, in altre civiltà, e nel quale, a una vita umana, avrebbe potuto essere attribuito un valore esattamente come a quella di qualunque altra creatura, e a volte persino inferiore rispetto a quello proprio di altre, più rare, creature; ella aveva dovuto maturare una propria personale scala di valori, e una scala di valori basata di saldi principi, e principi fra i quali, allora, non avrebbe avuto a dover essere equivocata la praticità. Così, benché ella non si sarebbe posta problema alcuno a uccidere un estraneo soltanto perché trovatosi nel posto sbagliato al momento sbagliato, mai ella avrebbe potuto pensare realmente di infrangere vincoli volutamente abbracciati, volutamente resi propri, di rispetto, di fiducia, di amicizia, di amore. E mai, per alcuna ragione al mondo, neppure per la propria stessa sopravvivenza, avrebbe potuto accettare di levare la propria spada contro coloro accolti qual propri figli, preferendo, piuttosto, levarla contro se stessa, per quanto, ovviamente, mai ella avrebbe potuto apprezzare l’idea del suicidio…
… suicidio…

« .... lode a Thyres! » sussurrò fra sé e sé, correndo con lo sguardo al cadavere senza vita del proprio amato Be’Sihl e sorridendo, e sorridendo apertamente, in conseguenza a quella sopraggiunta illuminazione.

Improvvisamente, tutta la tensione accumulata nei suoi muscoli, tutta la violenza che, sino a quel momento, ella aveva tenuto faticosamente a freno, ebbe ragione di sciogliersi in maniera spontanea, di evaporare qual rugiada alle prime luci dell’alba, insieme a ogni paura, insieme a ogni dubbio nel confronto con quanto accaduto. Perché, allora, ella avrebbe potuto dirsi certa di quanto, lì, nulla fosse realmente occorso… e, ancora una volta, semplicemente, Desmair aveva cercato di ingannarla, e cercato di ingannarla per spingerla, evidentemente, a rivolgere la propria violenza a discapito del proprio stesso figlio, in quell’osceno scambio da lui propostole fra la vita dell’equipaggio e quella del bambino.
Perché se la malvagità, se la crudeltà di Desmair non avrebbe potenzialmente conosciuto confine alcuno, tale confine, in verità, sarebbe stato allor segnato dal pragmatismo proprio del medesimo, e dall’imperturbabile certezza del suo attaccamento alla vita, e a quella vita immortale che, da sempre, lo aveva contraddistinto. Un’esistenza che egli non aveva voluto concludere neppure al momento della propria morte corporale, sopraggiunta per mano del suo stesso divino genitore, e che lo aveva visto trasferire la propria coscienza all’interno della mente di Be’Sihl per riservarsi una nuova occasione, una nuova opportunità di salvezza. Opportunità che, in più occasioni, ultime fra le quali quelle proprie della loro avventura nel tempo del sogno, egli aveva dimostrato desiderare difendere anche a costo, in ciò, di agire qual loro alleato, qual loro adiuvante, nel difendere l’incolumità del proprio ospite e, in ciò, la propria.
Per questa ragione, quindi, mai e poi mai Desmair avrebbe potuto agire in termini utili a condannare a morte Be’Sihl, così come pur, scioccamente, aveva tentato di spingerla a credere fosse avvenuto in quello stesso momento. Giacché, laddove ciò fosse occorso, anche egli avrebbe cessato definitivamente di vivere…

« Ci sei arrivata… dannazione a te. » sbuffò il colosso dalla pelle simile a cuoio rosso, storcendo con insoddisfazione le labbra verso il basso nel mentre in cui, simile al termine di un sogno, o, per meglio dire, di un incubo, l’intero mondo attorno a loro sfumò, mutando nelle proprie forme fino a ricollocare, tutti i partecipanti a quel gioco mentale alle proprie legittime posizioni, intenti a osservarla, non senza una certa preoccupazione, e, ciò non di meno, tutti incolumi, tutti ancora in vita: Thaare, Be’Sihl e, soprattutto, la piccola Liagu « Devi ammettere, però, che sono arrivato molto vicino a ingannarti… »
« L’unica cosa che devo ammettere è che tu sei veramente un grandissimo figlio di…. » tentò di rispondergli, per un attimo nuovamente incattivitasi nei suoi riguardi, nell’evidenza di quanto, dal suo punto di vista, tutto ciò altro non fosse stato che un semplice gioco, un gioco crudele e, ciò non di meno, un gioco.
Ciò non di meno, ella non riuscì a completare la propria frase, giacché, a censurarla, intervenne la voce di Thaare, e ora la sua voce reale, che ancora una volta volle richiamarla all’ordine, nel confronto con la presenza dei due pargoli innanzi a lei: « Linguaggio! »
« … madre tua. » concluse pertanto la donna guerriero, costringendosi a moderarsi, troppo felice per l’esistenza in vita di Thaare per potersi permettere di contraddirla.