Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.
Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!
Scopri subito le Cronache di Midda!
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E siamo a... QUATTROMILA!
Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!
Grazie a tutti!
Sean, 18 giugno 2022
Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!
Grazie a tutti!
Sean, 18 giugno 2022
giovedì 31 maggio 2018
2563
Avventura
050 - Il tempo del sogno
« Ah… beh. Allora stai tranquillo: mia madre ha persino tirato in ballo mio padre Kah per cercare di uccidermi. » ironizzò il semidio, scuotendo il grottesco capo di cuoio rosso ornato da ancor più enormi corna bianche « E, obiettivamente, ci è anche riuscita. » soggiunse, non potendo negare l’evidenza di essersi salvato solo in grazia a una soluzione decisamente poco convenzionale, qual quella volta a riversare la propria coscienza, il proprio spirito, all’interno del corpo di Be’Sihl, in grazia a una flebile connessione già esistente fra loro, soluzione che, difficilmente, avrebbe potuto escludere la verità della sua morte o, quantomeno, della sua morte fisica « Del resto, non tutti possono avere un rapporto tanto importante con il proprio genitore, al punto tale da essere disposti a tutto per rincontrarlo, per avere occasione di passare un altro minuto in sua compagnia… anche a sfidare forze indubbiamente più grandi di ogni propria possibilità di comprensione. » dichiarò, sottolineando con la propria voce il riferimento al genitore, in un’attenzione insolita nei confronti di tale argomento.
« Quante chiacchiere… » osservò secondo-fra-tre, in riferimento a quell’ultima particolare piega assunta dal dialogo con Desmair, in termini del tutto inediti per il medesimo semidio che, in effetti, non avrebbero potuto mancare di apparire inattesi anche a confronto con il giudizio di tutti gli altri presenti, coloro i quali, pur, stavano lì seguendo l’evoluzione propria di quel momento con un certo, comprensibile timore, nel non aver ancora ben inquadrato né il senso di tutto ciò, né, tantomeno, il reale fato al quale il vicario avrebbe desiderato destinarli, avendo a propria disposizione un indiscutibilmente amplio ventaglio di negative possibilità « … non ti facevo tanto ciarliero, figlio di Anmel. »
« In effetti, in genere, non ho piacere a concedermi occasione di relazione con chi giudico a me palesemente inferiore. » ammise egli, stringendosi appena fra le spalle, a enfatizzare il senso di indifferenza proprio di quel momento, implicito in quella chiacchierata « Dopotutto, per quanto non abbia mai avuto ragione di amare i miei genitori, sono pur sempre il figlio di un dio e nipote dell’ultimo faraone di Shar’Tiagh, e, in ciò, ho una certa reputazione, una certa dignità, un certo onore da dover difendere… »
« Questo posso ben comprenderlo. » gli concesse il vicario, annuendo appena « In tutto ciò, immagino, che ritrovarti a confronto con un essere superiore mio pari abbia a considerarsi, per te, qual una ventata di aria fresca in alternativa al tanfo di marciume proprio di questi meri ammassi di carne, e di carne morta… » soggiunse, con rinnovato, trasparente disprezzo per tutti gli altri presenti, giudicati, in tal senso, per la propria intrinseca mortalità, per la propria umana precarietà, qual già cadaveri, in un disprezzo sol minimamente contenuto nel confronto con quel semidio, verso il quale, ciò non di meno, il suo atteggiamento avrebbe avuto a dover essere comunque valutato qual di sufficienza… e, quasi, di costretta sufficienza.
« In verità, allorché con questi meri ammassi di carne, e di carne morta, qual li hai appena definiti con tanta severità, credo di essere più in imbarazzo a sprecare il mio tempo con uno dei servi di mia madre… » commentò Desmair, serenamente, senza scomporsi, senza concedersi occasione di esitazione nell’esprimersi in tal maniera, quasi fosse lì a confronto con una spregevole creatura inferiore, allorché a un essere potenzialmente in grado di distruggerlo, e di distruggerlo, addirittura, da ogni luogo e ogni tempo della propria storia e della storia di qualunque altra versione di se stesso all’interno del pur sterminato multiverso « Capiamoci: per quanto tu e i tuoi pari amiate definirvi con l’altisonante termine di vicari, nulla di più e nulla di meno di meri galoppini avete a dover essere considerati, sfruttati da mia madre per compiere il lavoro sporco allo stesso modo nel quale, generalmente, io impiego i miei spettri. » insistette, declinando in termini ancor più dispregiativi il proprio rapporto con quella creatura onnipotente, ancor apparentemente indifferente a ogni possibilità, tutt’altro che remota, di ritorsione da parte sua « Ciò senza considerare quanto, inebriato dal tuo stesso potere, tu abbia a star dimostrando tutta la tua inettitudine: inettitudine, in verità, così straordinaria da far apparire persino mia moglie qual geniale a confronto con te… e, ti assicuro, non è il cervello, per lei, a doversi ritenere qual la sua qualità migliore. »
« Ehy…! » non poté fare a meno di protestare colei in tal maniera tirata in ballo, la Figlia di Marr’Mahew, salvo, immediatamente, costringersi a tacere, e a concedergli di agire per così come stava già agendo, per quanto, in tal senso, il suo amor proprio non avrebbe avuto a ringraziare.
Così, benché, in quel momento, l’Ucciditrice di Dei avrebbe probabilmente protestato in maniera più vivace, più incisiva, a fronte con quel giudizio, e quel giudizio espresso a proprio discapito, l’evolversi degli eventi attorno a lei, attorno a loro, ebbe a forzarla a restare in silenzio, a ingoiare tutto il proprio orgoglio e a incassare quell’affondo del tutto gratuito e ingiustificato, pur nel contesto del piano di Desmair, un affondo nel merito del quale, a tempo debito, avrebbe avuto certamente occasione di ricambiare il favore al proprio mai amato sposo. Non ché, a ruoli inversi, avendone ella la possibilità, non avrebbe comunque agito esattamente nei medesimi termini, per amor di verità.
Non in silenzio, altresì e tuttavia, ebbe a restare lo stesso secondo-fra-tre, dimostrando di non apprezzare quanto egli stesse allor sostenendo a proprio così palese discapito, a propria così irriverente critica, e, in particolare, alla severità di quel giudizio per il quale, addirittura, un essere del suo calibro, un vicario, stava venendo posto in secondo piano rispetto a semplici mortali, declassato a mero servo, a semplice galoppino nel rapporto con il quale quel semidio avrebbe avuto a riservarsi possibilità di imbarazzo…
« Come osi…?! » reagì, in un moto di evidente stizza, d’ira, per quanto da lui così affermato, avvampando in volto e lasciando trasparire un’evidente emotività, e un’emotività ferita per simile affronto « Io sono secondo-fra-tre. Io sono un vicario della regina Anmel Mal Toise, l’Oscura Mietitrice. Io vi ho condotto sino a questo luogo e, da questo luogo. E io ho il potere di eliminarvi, e di eliminarvi per sempre dal Creato, nel presente, nel passato e nel futuro. » ribadì, quasi il concetto non avesse allor a doversi considerare già sufficientemente chiaro « Solo uno stolto potrebbe non riconoscere il mio potere. Solo uno stolto potrebbe realmente credere di potermi volgere un simile affronto e sopravvivere. »
« E’ una fortuna, allora, che io non sia uno stolto… » sorrise Desmair, nel mentre in cui, finalmente, ebbe conferma di quanto quella ridicola messinscena avrebbe potuto terminare « … così come è una fortuna che non abbia a doversi considerare stolta la versione alternativa della mia defunta cognata, la quale, dopo aver compreso, per prima, quanto stesse accadendo, ora è stata sufficientemente attenta a cogliere il mio invito ad agire… e ad agire al fine di portarci tutti via di qui. »
« … di cosa stai blaterando…?! » domandò il vicario, non comprendendo le sue parole, non cogliendo immediatamente quanto pur avrebbe avuto a doversi apprezzare qual straordinariamente chiaro.
« Addio, stupido servo. » ridacchiò Desmair, offrendogli un cenno irriverente di saluto con la destra, prima di essere risucchiato nel sottosuolo, da una voragine di luce improvvisamente dischiusasi sotto ai suoi piedi.
Una voragine di luce attraverso la quale, parimenti, ebbero a essere risucchiati, nel contempo, tutti gli altri presenti, ultima fra i quali anche Carsa, che, dall’alto della posizione da lei occupata, ebbe a doversi fiondare rapidamente all’interno di quel passaggio, di quel varco, prima che potesse richiudersi, prima che potesse svanire. Scomparsa al seguito della quale, improvvisamente, secondo-fra-tre ebbe così a ritrovarsi solo.
E se proprio Carsa fu l’ultima ad attraversare quel passaggio, ancora ella ebbe a essere l’ultima a fuoriuscirne dall’altra parte, ritrovando tutti i propri compagni di squadra, tutti i propri compagni d’arme lì nuovamente raggruppati, e raggruppati in un ambiente quantomeno originale, o tale dal proprio personalissimo punto di vista, nel non assomigliare a nulla che mai avrebbe potuto vantare di conoscere…
« Ma… ci hai portati a casa! » esclamò, alle sue orecchie, la voce della sua amica Midda, ancora una volta non scandita dalle labbra della “sua” Midda, quanto e piuttosto della versione più giovane della medesima, la quale, con aria forse più sorpresa fra tutti, si ritrovò a osservare l’ambiente attorno a sé e, in particolare, quella che avrebbe avuto probabilmente a dover essere intesa qual una sala da pranzo.
mercoledì 30 maggio 2018
2562
Avventura
050 - Il tempo del sogno
Se la prospettiva della propria potenziale morte, per Midda Bontor, non era mai stata ragione di freno, e se del multiverso, obiettivamente, non le era mai interessato molto, nell’aversi a riconoscere sinceramente qual un concetto decisamente più profondo di quanto non avrebbe avuto piacere ad affrontare per la propria stessa salute mentale; il risultato che, allora, avrebbe potuto derivare dal connubio di tali concetti non avrebbe potuto avere di che rallegrarla… non tanto per se stessa, e ancor meno per tutti i propri compagni che, egual fine, avrebbero potuto compiere.
In ciò, ancor prima di pretendere ulteriori spiegazioni a tal riguardo al proprio mai amato sposo, ella non poté che veder scemare i propri interessi offensivi a discapito di quell’essere, preferendo richiudere le ali, pur senza, ancora, lasciarle scomparire, e allentare la stretta attorno all’impugnatura della propria lama, nel posticipare, fosse anche solo di pochi istanti, qualunque possibile prospettiva d’aggressione a discapito di quella creatura, di quel vicario.
« Spiegati. » lo invitò quindi la donna dagli occhi color ghiaccio, nel razionalizzare la situazione e, in ciò, nel voler meglio comprendere la situazione prima ancora di agire, e di agire in termini a confronto con i quali, successivamente, avrebbe potuto non avere neppure reale possibilità di pentimento.
« Non siamo finiti qui per caso: questa dimensione è il territorio naturale di secondo-fra-tre. E’ stato lui a condurci sino a qui e la sola ragione per la quale può aver compiuto tutto ciò, è stato ovviamente dietro l’invito di mia madre… o, quantomeno, della versione di mia madre alla quale egli fa riferimento. » cercò di spiegarle, dimostrando maggiore pazienza di quanto, nel corso della propria intera esistenza immortale, non si fosse mai concesso occasione di offrire a chicchessia « Essere uccisi in questa dimensione sarebbe già abbastanza spiacevole di per sé… ma, nel confronto con i suoi particolari poteri, ogni realtà, ogni dimensione, ogni tempo potrebbe essere riscritto. E, in questo, non soltanto moriremmo noi… ma verrebbero cancellate tutte le nostre versioni di qualunque realtà, di qualunque dimensione, in ogni tempo. »
« Quando dici “verrebbero cancellate”, intendi in maniera figurata… non è vero? » cercò una qualche rassicurazione di sorta Maddie, intervenendo nella questione nel sentirsi particolarmente coinvolta nella faccenda, nell’avere, allora, a rischiare doppiamente la vita, tanto personalmente, quanto e peggio nelle vesti della propria versione alternativa, in quella loro particolare coesistenza attuale.
« No. » negò Desmair, scuotendo il capo e concedendo risposta anche all’interrogativo dell’altra versione della propria sposa, con eguale tono rispetto a quello adoperato verso la prima, quasi, in effetti, non stesse altro che rivolgendosi verso la medesima persona « Intendo in senso letterale: l’intero corso della Storia sarebbe riscritto senza la nostra presenza, senza il nostro contributo, e di noi, delle nostre vite, di tutto ciò che mai potremmo aver compiuto in qualunque universo, in qualunque mondo, non resterebbe neppure la memoria, e la memoria nei nostri amici, nei nostri cari… »
« Thyres… » esclamarono in coro le due versioni della medesima donna guerriero, egualmente sconvolte da una simile prospettiva.
« Dei… » gemette Be’Sihl, in contemporanea.
« Lohr… » commentò, parimenti, il biondo Be’Wahr, nell’aver ben compreso, anch’egli, quelle parole e il loro più concreto significato « Howe si dimenticherebbe di noi… e di tutto quanto abbiamo vissuto insieme. »
« Padre… » rievocò Rín, non potendo mancare di rivolgere il pensiero al proprio genitore, e a colui che, in tal maniera, dopo aver perduto la donna da lui amata, e aver dovuto rinunciare a una figlia, avrebbe improvvisamente e inspiegabilmente perduto anche l’altra, restando solo al mondo.
« … mia figlia crescerebbe senza un padre..» sussurrò Seem, apparentemente in maniera complementare alla compagna d’arme e, ciò non di meno, rabbrividendo autonomamente all’idea del destino al quale, in tal maniera, avrebbe avuto a condannare la propria progenie.
« Tua figlia non sarebbe mai nata, stupido sciocco! » incalzò il semidio, a meglio puntualizzare la questione.
Una sonora risata, ancora una volta, si impose all’attenzione comune, richiamando nuovamente ogni sguardo e, ancor più, ogni pensiero, in direzione del vicario, di quel torso umanoide il cui potere, la cui minaccia, improvvisamente, era decuplicata, centuplicata innanzi all’intimo giudizio di ognuno di loro, non che, precedentemente a ciò, qualcuno avrebbe avuto interesse a banalizzarlo nel proprio valore, nella propria pericolosità. Senza osare, allora, ulteriori gratuiti sarcasmi, provocatore ironie, tutti loro restarono semplicemente in silenzio a confronto con quell’ilarità, attendendo quietamente di essere posti a confronto con le ragioni della medesima, ragioni che, certamente, non avrebbero tardato a essere loro offerte.
E se pur, sincera e appassionata, avrebbe avuto a doversi considerare quella risata, quando essa ebbe a scemare, effettivamente, secondo-fra-tre non si volle negare una nuova possibilità di intervento, e di intervento al loro indirizzo…
« Non potete comprendere quanto sia divertente vedervi tanto affezionati alle vostre vite, alle vostre esistenze, così effimere, così brevi, da perdurare per non più di un semplice battito di ciglia a confronto con l’eternità dell’esistenza mia e dei miei pari. » dichiarò egli, piegando appena il capo di lato, quasi a volersi concedere l’opportunità di osservarli da un’altra prospettiva « Gli altri vicari ritengono che null’altro destino abbia a dover essere concesso a qualunque creatura mortale rispetto all’estinzione, all’annichilimento, a ristabilire la pace originale, a riequilibrare l’universo dopo quell’assurdità chiamata Creazione. » argomentò, continuando a sorridere e a osservarli, con interesse quasi scientifico « Ma io, francamente, mi diverto troppo a vedervi affannosamente lottare per conquistare il diritto a un solo, ulteriore respiro, che non ho il loro stesso interesse a estinguervi, e a estinguervi così rapidamente come pur potrei compiere… »
« E’ per questo che ci hai lasciato liberi di rimbalzare fra un mondo e l’altro, fra una realtà e l’altra, allargando involontariamente le nostre schiere e, soprattutto, arrischiandoci ogni volta in lotta contro qualche minaccia sempre nuova…?! » ebbe a domandare Desmair, accettando quell’ipotesi di dialogo senza apparente timore, senza visibile turbamento e, ciò non di meno, egualmente privo di quella consueta arroganza che, in un diverso contesto, non avrebbe mancato di caratterizzarlo, evidenza già concreta di quanto, in tutto ciò, anch’egli non avrebbe potuto ovviare a temere l’eventualità della propria tanto a lungo procrastinata fine.
« Sì… per quale altra ragione, altrimenti?! » replicò secondo-fra-tre, annuendo appena « Il mio compito avrebbe dovuto coinvolgere soltanto quei due ammassi di carne, ma, francamente, non avrei potuto ovviare a giudicarlo eccessivamente noioso, ragione per la quale ho preferito concedervi la libertà di vagare, per qualche tempo, attraverso i vostri stessi flussi di coscienza, coinvolgendovi reciprocamente, fino a quando, alla fine, non siete divenuti sin troppi… ragione per la quale ho ritenuto di condurvi qui, in questo particolare luogo, per lasciarvi affrontare la fine delle vostre esistenze, una sfida alla volta, un nemico dopo l’altro. »
« Quanto, tuttavia, non avevi previsto è che qualcuno potesse comprendere le regole di questa dimensione… e potesse iniziare a usarle in contrasto ai tuoi piani. » commentò il semidio, in riferimento a Rín, a colei che, sola, era riuscita a comprendere quel mondo e le sue dinamiche, dischiudendo un nuovo ventaglio di opportunità a tutti i propri alleati.
« Effettivamente no… » ammise il vicario, aggrottando appena la fronte « Sono sempre stato consapevole che tu, in quanto figlio di una regina Anmel Mal Toise, non avresti mancato di comprendere cosa stesse succedendo… ma, come i fatti poi hanno confermato, ho sempre creduto che il tuo orgoglio e il tuo spirito di antagonismo nei confronti della tua sposa ti avrebbero spinto a tacere la verità dei fatti, credendoti immune al mio potere, e alla minaccia che avrei potuto rappresentare per te e, in conseguenza, per il tuo protetto. » sottolineò, con tono implicitamente denigratorio anche a discapito di Desmair, nell’inquadrarlo, in fondo, alla stregua di tutti gli altri elementi di quel gruppo se non, persino, in una posizione a loro inferiore, nell’essersi dimostrato stupidamente suo complice senza neppur comprendere quanto, così facendo, non avrebbe fatto altro che favorirlo « Comunque non ti preoccupare: prima di eliminarti, mi premurerò che la tua fine non abbia a contrariare tua madre… in fondo, per quanto non sia la mia diretta signora, ne è sempre una versione alternativa. E mi spiacerebbe recarle offesa… »
martedì 29 maggio 2018
2561
Avventura
050 - Il tempo del sogno
« Complimenti, inutile ammasso di carne! » sorrise secondo-fra-tre, in una spiacevole approvazione di quell’analisi, di quelle parole, spiacevole non soltanto per i termini nei quali esso volle in tal maniera esprimersi, quant’anche per la conferma che, in tal maniera, stava venendo offerta nel merito dell’unica, reale risorsa che, altresì, avrebbero potuto vantare in sua opposizione, quel legame familiare che avrebbe potuto per lui essere d’ostacolo in qualunque proprio letale piano a loro discapito « Se avessi delle mani, potrei quasi pensare di applaudire a questa interessante dimostrazione di intelletto da parte tua. E dire che, sino a questo momento, ti avevo valutata qual l’elemento più inutile di questa vostra improbabile formazione, non avendo avuto occasione di spiccare particolarmente né dal punto di vista fisico, né da quello intellettuale. »
« Ehy… mi stai dando della stupida?! » protestò Maddie, necessariamente risentita da quelle parole, laddove giudicate immeritate, benché, provenendo da un antagonista, da un avversario, sicuramente avrebbero avuto a dover essere minimizzate nel proprio valore, nel proprio effettivo peso.
A interrompere, tuttavia, quel dialogo, e a tentare, in tal maniera, di risolvere nuovamente la questione in termini sufficientemente rapidi, per non dire immediati, fu l’intervento di Lys’sh.
Come già occorso in contrasto al golem di sabbia, infatti, l’ofidiana non ebbe a concedersi eccessivo imbarazzo di fronte a quel nuovo arrivato, a quella creatura chiaramente magica, e, in ciò, quanto più lontana possibile da tutto ciò a cui avrebbe potuto essere giudicata abituata, decidendo di provare a risolvere lo stallo di quel momento, di quella situazione, nell’aprire il fuoco, e nell’aprire il fuoco proprio di quell’enorme cannone al plasma da lei evocato, per rivolgerlo a discapito di quel bizzarro secondo-fra-tre, per concedere alla violenza del plasma la possibilità di disintegrare il medesimo nella propria più intima essenza, di lui nulla lasciando se non il ricordo. E se, straordinariamente devastante, e incredibilmente silenzioso, ebbe a essere nuovamente quello sparo, quell’esplosione di pura energia a discapito del vicario di Anmel Mal Toise, l’effetto che questa ebbe a riservarsi in suo contrasto fu drammaticamente inferiore rispetto a quanto già ottenuto in precedenza, a quanto sino a quel momento sperato, nel mostrare, dopo un accecante lampo di luce, quel torso umanoide ancora sospeso in aria, sopra le loro teste, quasi nulla fosse occorso, quasi in suo contrasto fosse stato proiettato nulla più che un semplice soffio d’aria.
Imperturbato, quindi, e ancor divertito dai ridicoli sforzi dei propri prigionieri, secondo-fra-tre non poté fare altro che reagire con una nuova sonora risata a quanto ipotizzato dalla giovane donna rettile, scuotendo poi il capo a evidenziare l’inutilità di tale tentativo…
« La scienza del tuo mondo è potente, piccola serpe. » ridacchiò egli, a commento di quel fallito attacco, di quel vano sforzo « Ciò non di meno, non è potente abbastanza da competere con la forza di un vicario. Neppure primo-fra-tre, che di noi è il più debole, avrebbe avuto a doversi preoccupare per tutto ciò… figurarsi, quindi, il sottoscritto. »
« Desmair! » esclamò Be’Sihl, volgendosi verso il proprio improbabile coinquilino, per cercare da lui una qualche possibilità di coinvolgimento, di impegno nel confronto con quella creatura « Contro primo-fra-tre i tuoi spettri erano stati decisamente utili. » rievocò, memore del passato, e dell’occasione in cui, per la prima volta, era risultato chiaro a tutti, e a Midda in particolare, l’oscena simbiosi esistente fra loro due, la presenza di quel semidio, ritenuto morto e sepolto ormai da lungo tempo, all’interno del suo corpo « Evocali e poni fine alla presenza di questo sbruffone! »
« Splendida idea. » commentò mestamente il colosso dalla pelle simile a cuoio rosso, storcendo appena le labbra verso il basso « Purtroppo irrealizzabile. » soggiunse immediatamente, a escludere simile opportunità « Innanzitutto quella volta, le mie legioni hanno avuto occasione di successo contro primo-fra-tre proprio perché espressione del mio potere… e, in questo, a loro volta immuni alla minaccia propria del vicario. E, poi, perché in questa dannata dimensione non ho alcuna possibilità di evocarli… o lo avrei già fatto prima, evitando di lasciarmi coinvolgere direttamente nello scontro contro quelle disgustose scolopendre giganti. » spiegò e ammise, in una confessione tardiva e, ciò non di meno, anche comprensibile nelle proprie motivazioni, giacché stolido sarebbe stato da parte sua condividere immediatamente un simile limite nei propri poteri, nelle proprie capacità, con tutti loro, nel momento in cui, ancora, le reciproche posizioni non avrebbero avuto a potersi considerare effettivamente chiare.
Una confessione comprensibilmente tardiva, la sua, che pur non ebbe comunque a offrire soddisfazione alla Figlia di Marr’Mahew, la quale, francamente, non avrebbe potuto immaginare uno scenario così istericamente altalenante per loro: laddove, infatti, un solo istante prima, con la comprensione delle possibilità proprie di quel mondo, essi non avrebbero potuto ovviare a gioire per il successo riportato, e il successo riportato nel confronto con il golem di sabbia, un attimo dopo, improvvisamente, quell’intera realtà aveva mutato intenzione nei loro riguardi, assumendo le forme di una trappola, e di una trappola mortale, all’interno della quale, nel migliore dei casi, sarebbero sopravvissuti a quella minaccia immediata soltanto per morire di stenti, e nel peggiore sarebbero allor immediatamente trapassati, nell’improbo confronto contro un vicario di Anmel… di un’altra Anmel Mal Toise.
« Thyres… come se non avesse a doversi considerare sufficiente una singola Anmel! » imprecò a denti stretti, vedendo le nocche della propria mano sinistra sbiancare nello stringersi attorno alla propria spada bastarda, espressione della frustrata rabbia crescente nel suo cuore.
Dalla sua schiena, fra le sue spalle, ebbero allora a riesplodere, violente e maestose, le due ali rossiccio-castane, pronte a concederle di levarsi in volo e di levarsi in volo nel chiaro desiderio di tentare una sicuramente sciocca, assolutamente inutile, e pur quasi obbligata, ipotesi di attacco fisico a discapito di quella creatura, in un gesto che non avrebbe portato probabilmente a nulla e al quale, pur, ella non desiderava sottrarsi, non nella speranza, nell’illusione forse, che, comunque, potesse concederle qualche forse vana illusione di risultato.
Ma prima che ella potesse prendere il volo, potesse librarsi nell’aria e proiettarsi in contrasto a secondo-fra-tre, la grossa mano artigliata di Desmair la bloccò, afferrandole con forza il braccio destro, in lucente metallo cromato, e circondandolo quasi per la sua intera estensione, tanta la sproporzione esistente fra loro. Un gesto che, in un qualunque altro momento, in un qualunque altro contesto, nel considerare gli attori coinvolti, non avrebbe potuto essere inteso in altra maniera se non di affronto, se non di aggressione, e che pur, in maniera del tutto straordinaria, inedita e, entro certi versi, persino inquietante, in quel particolare momento avrebbe avuto a dover essere altresì intesa di premura… e di premura per lei, e per le sue improbabili possibilità di successo a confronto con tutto ciò.
« … che fai…?! » protestò la donna guerriero, strattonandolo appena nel cercare di svincolarsi da quella presa non violenta a proprio discapito, a proprio arresto.
« Ti risparmio di compiere un’idiozia! » replicò egli, serio nella propria voce, così come raramente ella avrebbe potuto ricordare di aver avuto passata occasione di sentirlo « Ricordati dove siamo… siamo nella culla della Creazione: tutto ciò che qui è legato, resterà legato nella realtà… e tutto ciò che qui viene sciolto, sarà sciolto anche nella realtà. » l’ammonì, scuotendo appena il capo.
« Ho capito… se muoio qui, morirò anche nella realtà. » confermò ella, per tutta risposta « … sai che novità. Hai appena descritto ogni singolo giorno della mia esistenza! »
« Non hai capito… » insistette egli, imponendole una stretta leggermente maggiore, per quanto da lei, su quel particolare arto, del tutto trascurata, del tutto ignorata, non avendo possibilità di percezione alcuna attraverso quel lucido metallo « … il potere di un vicario, e di quel vicario in particolare, applicato in questa particolare dimensione, potrebbe portare non soltanto alla tua estinzione, ma all’estinzione di qualunque altra Midda Bontor dell’intero multiverso, cancellandoti per sempre da ogni mondo, da ogni realtà! Te… e ognuno di noi! »
lunedì 28 maggio 2018
2560
Avventura
050 - Il tempo del sogno
Innanzi al loro sguardo, al di sopra delle loro teste, un vortice, improvvisamente, sembrò condensare quell’inquietante nebbia in una forma diversa, una forma all’inizio non realmente distinguibile, non realmente definita in quella foschia, e, ciò non di meno, istante dopo istante, sempre più chiara, sempre più netta, tale da plasmarsi entro la figura di un torso umano, o quantomeno umanoide, che, pur completamente privo di tutto il corpo dall’ombelico in giù, nonché, egualmente, di mani alle estremità delle proprie braccia, quasi fosse stato orrendamente mutilato, difficilmente avrebbe potuto essere frainteso per altro, essere interpretato in altra maniera, benché, obiettivamente, qualunque altra caratteristica utile a definirlo, al di fuori di quella, sarebbe stata di dubbia interpretazione.
Che quel corpo fosse giovane o vecchio, improbabile sarebbe stato a valutarsi, giacché, pur apparentemente antico, e tale da suggerire anche una certa caducità, nelle proprie forme, nelle proprie proporzioni, con uno scheletro apparentemente fragile e una pelle leggera, effimera, quasi trasparente come, talvolta, occorre nelle persone molto anziane, esso avrebbe avuto a doversi considerare fondamentalmente giovane, se non, addirittura, giovanissimo, addirittura privo, nelle proprie implicite forme, anche di qualunque caratteristica realmente utile a discernerne il genere, fra maschile e femminile. Nell’immaturità di quell’anatomia, infatti, i piccoli e piatti seni nudi presenti su suo petto avrebbero potuto giustificare tanto un carattere femminile, quanto e parimenti un carattere maschile, al pari del suo volto, e di un volto fondamentalmente androgino, e privo di qualunque ipotesi di capigliatura a proprio margine, tal da poter giustificare tanto una lettura in chiave mascolina, quanto e parimenti una in chiave femminile, con morbide e carnose labbra, zigomi alti, occhi leggermente sollevati nelle proprie estremità che avrebbero reso simile volto straordinariamente attraente laddove fosse stato quello di una donna, e pur, parimenti, interessante e affascinante, fosse stato quello di un uomo. Tale ambiguità, tanto in termini di età, quanto e ancor più in termini di genere, unita alla nebbia, e alle modalità che quell’essere aveva reso proprie per annunciare il proprio ingresso in scena, non avrebbe potuto mancare che suggerire l’esistenza di un legame da quell’ombra e primo-fra-tre, fra quella creatura e l’antico vicario della regina Anmel Mal Toise: un legame, addirittura e forse, di natura familiare, o di qualunque altro genere di relazione avrebbe mai potuto sussistere fra simili creature.
« Io sono secondo-fra-tre, vicario della regina Anmel Mal Toise, ultimo legittimo erede dell’antico regno di Shar’Tiagh, nonché incarnazione del devastante potere dell’Osc…! » iniziò a presentarsi, con termini quanto più possibile altisonanti, a definire il proprio ruolo e, soprattutto, colei alla quale egli avrebbe avuto a dover offrire riferimento, colei che sola avrebbe avuto a doversi riconoscere qual sua signora e padrona, e, in ciò, non improbabile mandante di tutto ciò, di quanto, sino a quel momento, era loro accaduto.
Suo malgrado, secondo-fra-tre non ebbe occasione di terminare tale introduzione, simile presentazione della propria stessa persona, e del proprio stesso ruolo, giacché una voce femminile, e, in particolare, la voce di Midda Namile Bontor, proveniente dalle sue labbra, ebbe a interromperlo, e a interromperlo volontariamente, a non voler dimostrare, in tal senso, particolare soggezione né a confronto con lui, né, tantomeno, a confronto con Anmel Mal Toise: « D’accordo… d’accordo: per carità, risparmiaci tutta la solfa, che se tu iniziassi a citare l’intera genealogia del tuo capo, l’idea di morire di stenti potrebbe improvvisamente apparire squisitamente piacevole per tutti noi. » ironizzò, in parole volte non tanto a minare la fiducia del proprio antagonista nelle proprie stesse possibilità, quanto e piuttosto a porre in discussione, in dubbio, il suo valore, la minaccia da lui incarnata, una minaccia, allora, tutt’altro che trascurabile, tutt’altro che banale, ove egli avesse saputo dimostrare soltanto la minima parte dei poteri propri del suo predecessore, e che, in quel contesto, in quel frangente, stava purtroppo venendo suggerita qual addirittura maggiore, in una promessa di morte, e di dolorosa morte, per tutti loro « Scusa se mi permetto di interromperti, ma credo che, onde evitare le stesse pessime figure di primo-fra-tre, tu abbia a dover prendere immediatamente in considerazione un’importante realtà dei fatti: qualunque possa essere il tuo macchinoso piano, schierati in tuo contrasto sono ora presenti tanto il figlio, quanto, che Thyres mi perdoni per quello che sto per dire, la nuora di Anmel Mal Toise… e, in questo, tutti i tuoi poteri, tutte le tue meravigliose capacità non possono nulla in nostro aperto contrasto. » argomentò, ponendo immediatamente sul tavolo quella che era stata la ragione di svolta dei precedenti confronti con primo-fra-tre, in termini tali da sperare di ovviare, in tutto ciò, a qualunque giostra, a qualunque carosello avrebbe potuto altresì lì attenderli.
La reazione che secondo-fra-tre ebbe, tuttavia, a rendere propria a confronto con quelle parole, e con l’indubbia arroganza alla base delle medesime, non poté ovviare a sorprendere non soltanto la stessa Figlia di Marr’Mahew, ma anche il suo ben poco amato sposo Desmair, suggerendo, loro malgrado, quanto alla base di un tale ragionamento, di una simile analisi, stesse mancando un dettaglio importante, un particolare fondamentale per definire in maniera completa la questione: perché, se primo-fra-tre, a confronto con la più completa futilità dei propri poteri tanto contro la progenie della sua signora, quanto in contrasto dalla sua famiglia, non avrebbe potuto che accusare un grave colpo, e, in tal senso, ritrovarsi necessariamente disorientato nell’incedere dei propri eventuali piani, delle proprie possibili strategie; secondo-fra-tre non apparve parimenti sconvolto, egualmente confuso… anzi, e al contrario, egli si limitò semplicemente a un’esplosione di ilarità, e un’esplosione di ilarità tale per cui un profondo brivido di raccapriccio non poté ovviare a sorgere dai cuori di tutti loro, non potendo che essere interpretato in maniera apertamente negativa per i rispettivi futuri…
« Des…? » domandò, sottovoce, la donna guerriero in direzione del proprio mai amato marito, a tentare di ottenere, da parte sua, una qualche interpretazione degli eventi in termini utili a concedere a quella risata, a quell’ilarità, una qualche interpretazione, fosse anche di semplice isteria da parte del vicario.
« Credo… temo che questa volta la relazione filiale non servirà a molto… » suggerì questi, proprio malgrado, a sua volta, incerto sulle ragioni alla base di quanto pur allora evidente, di quanto lì tanto esplicito, ed esplicito in termini pur terribilmente ambigui, così come ebbe immediatamente a chiarire « … anche se non ne capisco le ragioni. »
A offrire, tuttavia, una possibile chiave di lettura di tutto ciò, in maniera del tutto imprevista e imprevedibile, intervenne ancora una volta la voce di Midda Bontor, questa volta, tuttavia, emergendo non dalle sue labbra, quanto da quelle di Madailéin Mont-d'Orb, la quale, non senza una forte morsa allo stomaco, ebbe lì a esplicitare brevemente un ragionamento utile a rimettere ogni tassello di quel complicato mosaico al suo posto… e a rivolgere, indirettamente, una parte della responsabilità di quanto accaduto, proprio a lei, allorché alla sua versione autoctona…
« Credo che, per un momento, ci siamo tutti dimenticati di un piccolo, e pur non irrilevante, dettaglio: anche io, come la mia versione locale, sono all’inseguimento di una regina Anmel Mal Toise, responsabile per la morte della Midda Bontor che mi è stata mentore e maestra d’armi, e alla memoria della quale ho a dover riconoscere il debito della mia attuale esistenza in vita. » sancì, con tono funereo, non tanto nel ricordo della propria scomparsa insegnante e amica, quanto e piuttosto nel confronto con l’implicito senso di quanto lì stava impegnandosi a comunicare « E se questo tempo del sogno, o qualunque cosa sia, ha a doversi considerare una sorta di dimensione franca fra tutti i nostri mondi, fra tutte le nostre realtà, questo vicario, temo, non abbia a riferirsi alla vostra versione di Anmel… quanto e piuttosto alla mia. » concluse, umettandosi appena le labbra, prima di piegarne le estremità verso il basso, in una smorfia di rammarico per quell’ipotesi terribilmente reale « Una versione con la quale non credo i vostri legami di parentela potranno avere un qualsivoglia valore… »
domenica 27 maggio 2018
2559
Avventura
050 - Il tempo del sogno
A preannunciare la comparsa del loro nuovo avversario, in maniera discreta e, via via, sempre più impositiva, sempre più marcata, fu una sorta di leggera nebbia, una nebbia nella quale il cielo sopra le loro teste, così come il mondo attorno a loro, iniziò ad assumere un’inquietante e innaturale colorazione rossa-bluastra, estranea a qualunque cosa mai, alcuno di loro, avrebbe potuto vantare di aver visto nel corso della propria esistenza…
… o quasi. Per Midda e Be’Wahr, innanzitutto, ma, poi, anche per Seem e Be’Sihl, quella nebbia, e quella nebbia sì innaturale e sì inquietante, non avrebbe potuto ovviare a richiamare alla memoria la memoria di un evento ormai lontano nel tempo, e, ciò non di meno, non abbastanza da poter essere obliato, non nella consapevolezza, nell’idea di colui che, a una simile nebbia, avrebbe avuto a dover essere associato: il vicario di Anmel Mal Toise, il terribile, terrificante e del tutto disumano, primo-fra-tre. Una nebbia non dissimile da quella che, attorno a loro, stava lì sorgendo, non aveva, infatti, mancato di accompagnare qualunque apparizione di tale creatura nelle loro esistenze, insieme a un’inquietante luce giallo-verdastra, e a sgradevoli promesse di morte, e di tragica morte, e di dolorosa morte, per tutti loro.
« E’ ancora lui…?! » domandò Be’Wahr, tutt’altro che entusiasta all’idea di ritrovarsi, nuovamente, a confronto con quell’essere, e con i suoi temibili poteri.
Poteri in contrasto ai quali, in passato, tutti loro avevano avuto occasione di sopravvivere soltanto in paradossale, e quasi grottesca conseguenza dell’esistenza di un vincolo matrimoniale fra Midda Bontor e Desmair, un vincolo contratto innanzi agli dei, e dagli dei riconosciuto, e tale da impedire a quell’onnipotente creatura di spingere a conclusione il proprio desiderio di strage soltanto perché impossibilitato ad agire in tal senso in contrasto a membri della stessa famiglia della sua signora, della sua padrona, la regina Anmel, della quale, che ella potesse apprezzarlo o meno, avrebbe avuto pur a doversi considerare nuora: la novecentoundicesima nuora, certamente, e pur sempre e comunque la sua legittima nuora.
Il fatto, tuttavia, di essere sopravvissuti almeno due volte al confronto con primo-fra-tre, non avrebbe rappresentato, per loro, garanzia di inequivocabile successo anche al terzo tentativo del medesimo: non in linea generale, non di certo in quel mondo, in quella folle realtà, nella quale, in effetti, ogni regola, ogni legge, naturale e non, avrebbe avuto a dover essere riconosciuta qual riplasmabile secondo i propri desideri, secondo la propria più estemporanea volontà. E se, in quel momento, il medesimo biondo avrebbe potuto vantare di star stringendo, fra le proprie mani, due coltellacci materializzatisi dal nulla a sua più completa disposizione, quale sicurezza, qual rassicurazione avrebbe potuto loro promettere, o anche solo suggerire, di sopravvivere a un nuovo confronto con primo-fra-tre?
« … temo di no. » commento Midda, in risposta all’amico, al compagno e complice di mille avventure, a quel fratello minore mai avuto e che, pur, in lui aveva trovato.
Una scelta non banale, non scontata di parole, quella alla base di simile risposta, volta a sottolineare un particolare aspetto della questione, una particolare declinazione, a confronto con la quale tutti loro non avrebbero potuto ovviare a rabbrividire, con particolare riguardo per chi, appunto, aveva avuto precedente occasione di incontro con un tale antagonista o per chi, anche e soltanto, più banalmente, pur non avendone neppure mai sentito parlare, non avrebbe potuto ovviare, allora, a considerare l’identità di colei che tale sentenza stava pronunciando, e il valore che, in conseguenza, essa avrebbe potuto vantare per tutti loro, nella leggenda che aveva saputo costruire attorno al proprio nome proprio, e in particolare, nella propria capacità di affrontare anche l’impossibile, e di uscirne vittoriosa.
Fra tutti, a far emergere il dramma intrinseco nel confronto con una tale asserzione, non tardò a essere colui che, forse, fra tutti meno ella avrebbe potuto attendersi le avrebbe potuto rispondere, e le avrebbe potuto rispondere così apertamente come, altresì, non mancò di fare, in un momento necessariamente critico…
« Mia signora… se tu hai temere l’eventualità che non sia primo-fra-tre, di chi dovremmo avere or paura?! » domandò il giovane Seem, privo di qualunque volontà polemica nei suoi riguardi, e pur non potendo ovviare a riflettere sulla particolare declinazione di quella frase, di quella sentenza, volta a suggerire, e a suggerire senza particolari giri di parole, quanto il loro nuovo antagonista avrebbe avuto a dover essere riconosciuto persino più temibile, persino più spaventoso rispetto al pur terrificante vicario della regina Anmel Mal Toise.
« Di colui a confronto del quale il potere di primo-fra-tre ha da considerarsi pari a quello di un semplice pargolo… » sancì una voce, in risposta all’ex-scudiero, imponendosi, in tal senso, sopra tutti loro, alla loro comune attenzione.
Una voce, quella che ebbe a risuonare alle loro orecchie, del tutto estranea a qualunque voce avessero mai avuto occasione di ascoltare nel corso delle proprie vite e, per quanto impossibile, pur in un luogo, in una realtà nella quale nulla avrebbe avuto a concedere ragione a una tale valutazione, una voce che non avrebbe avuto, effettivamente, a doversi fraintendere qual una singola voce, quanto e piuttosto una sorta di pluralità, un vero e proprio coro di diverse voci, di diversi timbri vocali, pur così perfettamente allineati fra loro da non poter essere intese nella propria individualità… o, forse, da non possedere alcuna individualità da poter essere intesa.
Perché per quanto, in tutto ciò, quello non avrebbe potuto ovviare a sembrare il frutto di una moltitudine di creature fra loro straordinariamente coordinate, molto più semplice, molto più banale avrebbe avuto a dover essere intesa la spiegazione alla base di tutto. Una spiegazione volta, lì, a non riconoscere un pluralismo ove inesistente, quanto e piuttosto una singolarità, e una singolarità riconducibile al medesimo antagonista schierati per attendere il quale avrebbero avuto a dover essere lì considerati.
« … e non fraintendetemi: vasto è il potere di primo-fra-tre, e temibile ha a dover essere intesa la sua ira. Ma, malgrado tutte le sue pur letali abilità, egli non avrebbe mai saputo condurvi fino a questo luogo, e in questo luogo rinchiudervi, qual prigionieri dei vostri stessi corpi, per l’eternità. » continuò ad argomentare quella voce plurale ancor priva di corpo, ancor priva di un qualche reale riferimento fisico al quale poterla allor associare all’interno di quella nebbia rosso-bluastra « Non che i vostri corpi abbiano, o abbiano mai avuto, l’eternità a disposizione: in questo caso, temo proprio che voi morirete, e morirete di sete, o di fame, o, comunque, di qualunque altra morte potrà esservi destinata, ben prima dell’eternità. »
Una posizione estremamente semplice, e, in tal senso, spaventosamente concreta, quella che il loro antagonista avrebbe, in tal maniera, potuto vantare, e vantò, innanzi alle loro coscienze, che ebbe a rendere quel luogo, quella realtà, un po’ più inquietante di quanto già non avrebbe potuto vantare essere, suggerendo alle loro menti, alle loro coscienze, anche un altro importante dubbio, sino ad allora pur sfuggito a tutti: se il tempo trascorso entro quel mondo non avrebbe avuto a dover essere tanto palesemente banalizzato nel proprio valore… quanto tempo, tutti loro, avrebbero avuto a dover già conteggiare di aver trascorso lì dentro? Pochi minuti? Ore intere…? O, addirittura e più terribilmente, giorni interi…?!
E, interrogativo ancor maggiore, di quanto tempo avrebbero potuto ancor godere prima dell’ineluttabile condanna in tal maniera loro paventata?!
« Chi sei, maledetto figlio d’un cane…?! » domandò la Figlia di Marr’Mahew, declinando la domanda al maschile senza pur, ovviamente, poter vantare una qualche confidenza, in tal senso, con il genere del proprio interlocutore, ben inteso che non necessariamente egli avrebbe potuto vantare un qualche genere, così come già, prima di lui, era stato per primo-fra-tre « Rivelati! »
sabato 26 maggio 2018
2558
Avventura
050 - Il tempo del sogno
Prima che, tuttavia, anche gli altri presenti, quasi Be’Sihl, Lys’sh e Seem, potessero ipotizzare di ricongiungersi ai propri cari, alle proprie famiglie più o meno allargate, per condividere quel momento di gioiosa riconciliazione, fu la voce di Desmair a pretendere l’attenzione di tutti e, in particolare, a pretenderla per porre tutti loro in guarda nel confronto con quanto, di lì a breve, sarebbe accaduto…
« Preparatevi. » invitò loro il semidio, senza ironia nella propria voce, senza volontà di sberleffo alcuno, animato solo dalla volontà di offrire loro un avviso, un complice allarme, in una premura che, sino a quel momento, non si era riservato opportunità alcuna di dedicare loro e che, per tale ragione, avrebbe allor avuto a doversi intendere animata da una motivazione di indubbio pericolo a loro potenziale discapito, tale, addirittura, da giustificare simile, inedito intervento « Sta arrivando… »
E se, in quel momento, tutti loro avrebbero voluto replicare a quella richiesta, a quella presa di posizione con una semplice, e scontata domanda, nel merito dell’identità di colui o colei che, allora, avrebbe avuto a dover essere riconosciuto qual in arrivo, alcuno all’interno di quella tanto eterogenea compagine avrebbe sprecato il minimale preavviso in tal maniera loro concesso, loro tributato, in maniera tanto sciocca, in termini tanto stolidi, qual, dopotutto, un simile interrogativo, una tale domanda, avrebbe avuto a dover essere considerata nel confronto con l’ineluttabilità della risposta, con la consapevolezza di quanto, di lì a breve, qualunque possibile informazione sarebbe stata apertamente offerta innanzi ai loro sguardi.
Così, allorché sperperare quella fugace possibilità utile ad armarsi, e ad armarsi in grazia alle nuove capacità allor acquisite, Midda, Lys’sh e Rín, ovviamente affiancate da Carsa, non ebbero a esitare nell’immaginare, e in tal modo nell’evocare, nuove armi, nuove risorse utili al conflitto che, di lì a breve, sarebbe occorso.
Così, fra le mani di Maddie, venne a materializzarsi un massiccio, ma assurdamente non pesante, mitragliatore a sei canne rotanti, gentile concessione della propria gemella, nell’apparizione del quale, per un momento, ebbe persino a sorprendere, se non, addirittura, spaventare, la destinataria di simile dono, salvo, subito dopo, motivarle l’apertura di un lieve sorriso divertito sulle labbra, all’idea di poter utilizzare un’arma tanto potente qual solo, prima di quel momento, aveva avuto occasione di vedere in vecchi videogiochi o in televisione. E, nel mentre di ciò, per se stessa, Rín non esitò a materializzare nuovamente i due mitragliatori precedenti, ormai senza fatica, quasi avessero avuto a doversi considerare tutt’altro che scomparsi, ma, semplicemente, riposti altrove, non diversamente dalle ali riassorbite all’interno della sua schiena.
Al contempo, inconsapevole di quanto avrebbe avuto a poter essere necessario impiegare nel confronto con un nuovo avversario, e, ciò non di meno, desiderosa di considerarsi pronta a tutto innanzi a chiunque, anche Lys’sh ebbe a preferire riservarsi nuovamente la stessa torretta blindata in grazia alla quale, pocanzi, era stato disintegrato il golem di sabbia, in tal senso, tuttavia, premurandosi di trattenere a sé i propri due nipotini, Tagae e Liagu, per, entro quello spazio protetto garantire loro una certa immunità, disimpegnando, da tale pensiero, da simile preoccupazione, la propria compagna, la propria amica, la propria sorellona. E, nel minimo impegno a lei egualmente richiesto per simile riproposizione, l’ofidiana ebbe anche a concedersi l’opportunità di volgere un pensiero in favore di Be’Sihl, fra le sue armi lasciando apparire un più compatto, comodo e maneggevole cannoncino al plasma, sicuramente di minore potenza di fuoco rispetto al proprio e, ciò non di meno, terribilmente distruttivo e, nell’eventualità di doversi muovere da lì, più facilmente trasportabile.
Carsa, dal canto suo, non ebbe a trascurare i propri antichi compagni di pugna, Be’Wahr e Seem, al primo destinando una coppia di pesanti coltellacci non dissimili da quello da lui perduto nella confusione degli eventi occorsi, e, al secondo, offrendo, altresì, una corta spada al fianco e una lunga alabarda in mano, in grazie alla quale non aversi a poter considerare più indifeso e, anzi, aver a dover essere inteso qual un pericolo letale per chiunque gli si fosse parato innanzi. Per se stessa, dal canto proprio, ebbe a rievocare l’identica ascia che già aveva offerto in prestito a Midda e, soprattutto, a far ricomparire le due grandi ali dietro la propria schiena, ancora una volta, in apparenza, trasformando i propri tatuaggi in versioni reali degli stessi, per prendere già il volo da terra e, librandosi in aria, essere pronta a fiondarsi in opposizione a qualunque avversario lì avrebbe desiderato attentare alle proprie esistenze.
In un tanto variegato scenario, nel quale ognuno, anche in riferimento alla propria idea di realtà, di quotidianità, non aveva mancato di evocare armi quanto più possibile prossime alla propria consueta esistenza, o, nel caso di Rín, a una versione decisamente più avventurosa della propria consueta esistenza, solo la Figlia di Marr’Mahew, l’Ucciditrice di Dei, parve per un lungo istante esitare, ed esitare nella scelta di quella che avrebbe avuto a dover essere considerata la propria potenziale risorsa offensiva. Ritrovatasi, non diversamente dal proprio amato ex-locandiere, a vivere improvvisamente la propria vita in una realtà decisamente più amplia rispetto a quanto mai ella avrebbe potuto immaginare possibile, la donna guerriero aveva ovviamente conosciuto molte nuove armi, molti nuovi generi di risorse offensive, in grazia alle quali poter proteggere se stessa, e i propri amati, da qualunque antagonista. E se pur, così come per mezzo di Lys’sh era stato concesso allo stesso Be’Sihl, anch’ella avrebbe potuto richiedere, per se stessa, un’arma da fuoco, e un’arma da fuoco di potenza devastante; l’incognita propria della natura, dell’identità dell’avversario che, allora, si sarebbe loro presentato innanzi, non avrebbe potuto ovviare a sospingerla in percorsi mentali per lei più naturali, forse più semplici, ma in grazia ai quali avrebbe potuto vantare una migliore confidenza. Così, allorché far comparire a propria volta, per se stessa, un’arma al plasma, piuttosto che un’arma laser o, più semplicemente, un’arma sonica; Midda ebbe a scegliere la sola arma con la quale si sarebbe potuta sentire confidente nell’affrontare qualunque avversario, fosse questi un uomo o una bestia, un mostro o un dio, mortale o immortale, giacché, con quell’arma, con quella sola risorsa, ella aveva già avuto occasione di affrontare uomini e dei, e di vincere su creature mortali così come su esseri ritenuti immortali: la sua spada… la sua amata spada bastarda dalla lama azzurra, forgiata nel suo mondo, nel suo pianeta natale, nella piccola isola di Konyso’M da un fabbro figlio dei mari di nome Lafra Narzoi, secondo un’antica, e ormai quasi perduta tecnica tale non solo da conferire al metallo quella particolare sfumatura di colore, quanto e piuttosto una straordinaria resistenza, un’incredibile forza, in misura utile a renderla una delle armi più temibili del suo mondo, se non, forse, dell’intero universo. Con quella spada in pugno, con quell’arma in particolare forgiata da un padre per proteggere sua figlia, e a lei donata a compenso per l’aiuto a questi stesso offerto nell’offrire nuova libertà alla fanciulla dopo il rapimento a suo discapito imposto da un sadico, giovane nobile; Midda Namile Bontor non avrebbe potuto ovviare a sentirsi più completa, più forte, pronta ad affrontare qualunque antagonista il fato avrebbe loro lì offerto, fosse stata la stessa regina Anmel Mal Toise qual, dopotutto, a confronto con la follia degli eventi occorsi, non sarebbe stato improbabile potesse lì fare la propri apparizione.
« Vedo che tu e io siamo per i classici intramontabili… » commentò, da qualche piede sopra di loro, la voce di Carsa, in riferimento alla scelta compiuta dalla donna guerriero dagli occhi color ghiaccio, e in riferimento, in particolare, al fatto che, suo pari, ella allor aveva preferito mantenersi su quanto di più prossimo a quanto l’aveva da sempre accompagnata nella propria esistenza, nella propria quotidianità, anziché, nuovamente, impegnarsi nel generare qualcosa di nuovo e, forse, di meno semplice da gestire, come l’enorme spada da lei precedentemente, e inutilmente, evocata in contrapposizione al mostro di sabbia nera.
« … dopotutto anche tu e io siamo ormai dei classici intramontabili. » ironizzò, per tutta risposta, la Figlia di Marr’Mahew, non potendo che essere, in fondo al proprio cuore, fondamentalmente felice di tutto ciò, di quella battaglia a lei lì concessa, in maniera imprevista e imprevedibile, circondata da alcune delle persone più importanti della propria intera esistenza, una compatta rappresentanza di tutti i compagni che, nel corso dei propri quattro decenni di storia, e qualcosa in più, l’avevano accompagnata contro qualunque avversario.
venerdì 25 maggio 2018
2557
Avventura
050 - Il tempo del sogno
In termini di ricongiungimenti familiari, l’abbraccio fra Midda e i bambini non fu il solo che ebbe a caratterizzare la scena in quel momento, in quel sicuramente estemporaneo intervallo di pace al termine di una minaccia, e in probabile preludio alla successiva, ragione per la quale alcuno fra loro avrebbe avuto a doversi concedersi opportunità alcuna di sprecarlo. Così, nel mentre in cui quella famigliola trovava affettuosa occasione di ricongiungersi, anche un’altra famiglia ebbe a non ignorare simile opportunità, tale momento, nel concedersi un effimero momento di indubbiamente imprevisto e imprevedibile dialogo, nell’essersi ritrovate a vivere, addirittura, in dimensioni fra loro separate, in realtà distinte e fra loro irraggiungibili: le due gemelle Maddie e Rín.
A correre verso la sorella amata, in questo particolare frangente, ebbe a essere proprio la versione più giovane della Figlia di Marr’Mahew, la quale, non senza una certa sorpresa, non senza un ragionevolissimo stupore, la raggiunse e la abbracciò con le lacrime agli occhi, in una commozione che, dall’esterno, avrebbe potuto essere facilmente fraintendibile nelle proprie ragioni, nelle proprie motivazioni, adducendo, eventualmente, tale emotività a quanto accaduto, e alla possibile reciproca perdita che, la minaccia propria di quel golem di sabbia nera, avrebbe potuto per loro rappresentare: ciò non di meno, e in verità, ben diversa avrebbe avuto a doversi intendere la motivazione di simile forte emozione... un’emozione alla quale, allora, la stessa Maddie non tardò a esprimere a parole, in un sussurro soffocato verso la sorella.
« Rín… le tue gambe! » gemette quasi, a confronto con quanto, per lei, non avrebbe potuto che essere inteso qual un miracolo, dopo aver visto crescere, negli ultimi venticinque anni della loro comune esistenza, la propria gemella purtroppo vincolata ai limiti della propria sedia a rotelle, limiti a confronto con i quali alcuna scienza del loro mondo avrebbe potuto altresì aiutarla, avrebbe potuto soccorrerla, in conseguenza ai nefasti eventi dell’incidente nel quale avevano perduto anche loro madre « … stai camminando! » ribadì, in quella che, sicuramente, avrebbe avuto a doversi intendere qual un’ovvietà, ma che, appunto, ovvietà non avrebbe mai potuto essere fraintesa, non nel confronto con l’evidenza dei fatti, con la realtà che, per entrambe, era rimasta immutabile per più di due terzi delle loro intere vite « … come è possibile?! »
« Mi hai appena visto crescere un paio di bianche ali sulla schiena, e materializzare due enormi fucili mitragliatori che, nella nostra realtà, non avrei saputo neppure come sorreggere, e che, invece, qui ho usato, e ho usato senza difficoltà alcuna… e quanto ti sconvolge è vedermi camminare?! » sorrise dolcemente Rín, non desiderando in alcun modo minimizzare l’importanza di quell’evento e, ciò non di meno, non potendo evitare di tentare, in quella maniera, di sdrammatizzare quanto accaduto, e quanto accaduto in termini che definire miracolosi sarebbe persino stato poco, e che pur, in quel tempo del sogno, o qualunque realtà fosse quella nella quale lì si stavano trovando a essere, non avrebbe avuto che a dover essere considerato normale « Avanti, Maddie… non apparire così provinciale! » la canzonò, in maniera scherzosa, pur ricambiando l’abbraccio e, in esso, non potendo mancare di celare anch’ella due lunghi solchi di lacrime brillanti sul proprio viso, sul proprio volto, al pensiero di quanto, tutto, in quella disavventura, avesse in verità a doversi ritenere per lei qualcosa di straordinario, di meraviglioso, e ben distante dal doversi fraintendere qual negativo, soprattutto rispetto a quanto, alla fine, l’avrebbe attesa nel proprio immancabile ritorno a casa, alla propria realtà dove nulla di tutto quello le sarebbe più stato concesso.
Non distante da Maddie e Rín, un terzo abbraccio non poté essere ulteriormente posticipato, un abbraccio fra due persone fra loro non legate da un vincolo di sangue, o di maternità adottiva, e che pur, fra loro, avrebbero avuto a doversi egualmente riconoscere qual una famiglia, e una famiglia a pieno titolo: con tutti i propri pregi, i propri difetti, talvolta le proprie incomprensioni e, perché no, le proprie discussioni, ma con la certezza che, alla fine, nel momento del bisogno, entrambi sarebbero stati allor presenti l’uno per l’altra: Be’Wahr e Carsa.
A riservarsi opportunità di agire, in questo frangente, ebbe a essere proprio il biondo, il quale, un istante dopo l’atterraggio dell’antica amica, la scomparsa delle sue ali, e la posa a terra dei due pargoli, non mancò di avvicinarsi a lei e di agguantarla alle spalle, per poterla abbracciare affettuosamente, per poterla stringere a sé a tradimento, in un gesto fraterno, privo di qualunque malizia, e che, pur, egli non avrebbe avuto a potersi considerare certo sarebbe stato ben accetto, ragione per la quale, a non correre il rischio di poter essere frenato nel proprio incedere, preferì agire, e agire in quella maniera, in quei termini, non concedendole alcuna possibilità di sottrarsi a lui. E Carsa, probabilmente a sua volta desiderosa di quell’abbraccio, di quella dolce dimostrazione di affetto, non ebbe lì a tentare di evadere a quella stretta… al contrario.
« Ehy… non è che solo tu devi avere il diritto di abbracciarmi, sai?! » protestò verso di lui, divincolandosi da quel gesto solo per avere occasione di ruotare sul proprio stesso asse, ancora fra le sue braccia, e, in tal maniera, riservarsi opportunità di ricambiare il gesto a lei destinato, stringendolo teneramente a sé « Mi sei mancato, Be’Wahr… tutti voi, invero, mi siete mancati. » dichiarò, a motivare il perché di quella dimostrazione di affetto nei suoi riguardi « Come sta Howe…? Perché lui non è qui…? Non gli sarà successo qualcosa, vero…?! »
« In verità non so neppure perché noi siamo qui… quindi mi viene difficile poterti motivare l’assenza di mio fratello. » sorrise egli, in leggero imbarazzo nel non saper come rispondere, e nel cercare di non rendere eccessivamente evidente quanto, in verità, ben poco avesse sino a quel momento compreso di cosa stava accadendo, o del perché tutto ciò stesse accadendo « E tu…?! Come sei arrivata qui…? Come hai appreso così velocemente le leggi di questo luogo, addirittura imparando a volare…?! Tutti noi, a stento, eravamo riusciti a comprendere dove ci trovassimo… cioè, non che, in effetti, per me sia proprio proprio chiaro. » soggiunse, non potendole mentire, non volendole mentire, nella trasparenza che, in fondo, avrebbe avuto a dover essere più che giustificata fra loro, in quella sincerità che, reciprocamente, avevano avuto occasione di guadagnare nel corso di innumerevoli avventure insieme, rischiando sovente e senza esitazione alcuna, le proprie vite l’uno per l’altra e viceversa.
« Questa è un’ottima domanda… » ammise la donna dalla pelle color della terra, liberandosi un po’ a malincuore da quell’abbraccio, solo per aver opportunità di osservarsi attorno, e di osservare meglio tutti loro, quasi a cercare di chiarirsi le idee « … in effetti, anche io sono ancora un po’ confusa a tal riguardo. » confessò, concedendogli la stessa trasparenza a lei offerta « L’ultima cosa che rammento realmente è quella di essermi buttata davanti a Midda per subire, al suo posto, un attacco da parte di Nissa… poi, francamente, è tutto incredibilmente nebuloso: ho la sensazione di essere morta in conseguenza a quel lampo di energia, e, ciò non di meno, so di non esserlo. Così come, pur non sapendo perché io abbia a trovarmi qui, in questo momento, sapevo perfettamente dove trovarvi, come raggiungervi, e che, in quel particolare momento, avevate bisogno di me. » spiegò, a illustrare le dinamiche degli eventi che l’avevano vista lì ricomparire, dopo oltre quattro anni dalla propria ultima apparizione nelle loro vite, almeno come Carsa Anloch, quell’identità alternativa creata dalla mente provata e sofferente della giovane Ah'Reshia Ul-Geheran che, in lei, aveva avuto occasione di fuggire dalla tragica realtà della propria esistenza per rifugiarsi in un mondo diverso, e speranzosamente migliore, un mondo nel quale, allora, aveva avuto occasione di incontrare anche l’eroina della propria infanzia, la straordinaria Midda Bontor, e di divenirne, per così come aveva non erroneamente descritto, la miglior nemica, o la peggior amica « Ma non chiedermi come: a questo, francamente, non saprei risponderti… »
« ... posso dirti in tutta onestà una cosa?! » domandò, in maniera retorica il biondo, subito continuando a parlare « Sinceramente non mi interessa perché tu sia qui, o come ciò sia possibile… perché l’unica cosa che conta, in questo momento, è averti qui con noi, ancora una volta. » sorrise felice, forse in maniera egoistica, forse in maniera ignorante, e, ciò non di meno, realmente felice « E ti assicuro che Howe si roderà il fegato per non essere stato anche lui qui con noi, nel momento in cui gli racconteremo tutto ciò che è accaduto… »
giovedì 24 maggio 2018
2556
Avventura
050 - Il tempo del sogno
Fra tutte le nuove tipologie di armi, e di armi da fuoco che, nel proprio incredibile viaggio fra le stelle, Midda Bontor aveva avuto occasione di scoprire, di conoscere, e, persino, di sperimentare, anche e purtroppo in maniera spiacevolmente passiva, sicuramente le armi al plasma avrebbero avuto a dover essere considerate fra quelle dotate di un potenziale distruttivo maggiore, se non, addirittura, il maggiore in assoluto. Utilizzate a basso regime, simili risorse sarebbero state eventualmente in grado di stordire un obiettivo, proiettando in suo contrasto una pur non gradevole scarica energetica. Utilizzate a medio regime, tali armi sarebbero state altresì in grado di fulminare un bersaglio, nel confronto con un simile principio. Ma impiegate al più alto regime, alla maggiore potenzialità distruttiva, esse sarebbero state in grado di incenerire, se non, addirittura, di disintegrare il proprio obiettivo, di esso lasciando ben poco, se non, addirittura, nulla.
In tempi sgradevolmente recenti, in effetti, la donna guerriero non aveva mancato di ritrovarsi esposta a un attacco al plasma, condotto in maniera infame alle proprie spalle, di sorpresa, da una distanza incredibilmente prossima: attacco che, probabilmente, non aveva ipotizzato di incenerirla ma, comunque, sicuramente, di ucciderla. Uccisione, la sua, che allor non era occorsa solo in grazia al proprio braccio destro, a quella meravigliosa protesi che, alimentata da un nucleo all’idrargirio, aveva assorbito la maggior parte dell’energia di quell’aggressione, permettendole, non senza riportare dolorosi danni, a ciò. Da quel momento, quindi, la Figlia di Marr’Mahew aveva sviluppato due contrapposte emozioni nel confronto delle armi al plasma e del proprio arto artificiale: verso le prime, ovviamente, non avrebbe potuto che considerarsi assolutamente ostile, al punto tale che, francamente, ella non avrebbe mai potuto pensare di impiegarle a discapito di qualcuno in luogo a una più onesta, a una più sincera arma bianca; innanzi al secondo, altresì, non avrebbe potuto che essere indiscutibilmente e ancor più innamorata, paradossalmente e grottescamente grata al periodo di prigionia, e di lavori forzati, al quale si era ritrovata a essere condannata subito dopo il proprio arrivo fra le stelle, per uno spiacevole equivoco giudiziario.
Al di là di tutta la propria personale avversione a quel genere di armi, pertanto, in quel momento, in quel frangente, ella non avrebbe potuto ovviare a riconoscere la straordinaria razionalità propria della meravigliosa ofidiana nell’abbattere quel golem di sabbia: nulla meglio di un’arma al plasma avrebbe potuto arginare la minaccia rappresentata da una simile creatura. E così, in effetti, avvenne…
Il colpo vomitato dall’enorme cannone, infatti, coprì rapidamente la distanza esistente fra loro e il loro antagonista e, giunto esattamente al centro del suo colossale corpo, deflagrò, e deflagrò in una gigantesca sfera di energia luminosa, una sfera di energia luminosa all’interno della quale quell’oscuro nemico venne avviluppato, scomparendo per un fugace istante alla vista e, subito dopo, semplicemente scomparendo, svanendo nel nulla, disgregato nella propria stessa struttura fisica in termini irreversibili, a confronto con i quali alcuna stregoneria, alcun incantesimo, avrebbe potuto allor permettergli di ritornare a minacciarli.
« Ecco fatto! » sorrise, non senza una certa soddisfazione, la squisita Lys’sh, schioccando le dita e lasciando svanire, sotto ai propri piedi, attorno a sé, l’intera torretta che, lì, aveva appena evocato, aveva appena creato, per ritornare a contatto con il suolo e, già che ne stava avendo l’occasione, per sostituire la presenza ormai non più utile di quell’assurda arma, con dei vestiti, con un minimo di abbigliamento in grazia al quale, finalmente, coprire pudicamente le proprie forme pur scevre da qualunque possibilità di critica, al di là della propria natura non umana.
« Scusate se ho tagliato corto, ma, francamente, non credo che ad alcuno fra noi andasse un nuovo estenuante combattimento. » soggiunse immediatamente, esplicitando in tal maniera il perché del proprio intervento, benché, obiettivamente, alcuno fra i presenti, neppure Desmair, avrebbe mai potuto criticare una simile scelta, un tale, mirabile risultato a confronto con il quale, quello che avrebbe potuto essere un sin troppo lungo impegno, improvvisamente era stato nullificato nelle proprie fondamentali ragioni d’essere « E, finalmente, mi sono rivestita anche io… » sottolineò, con una breve piroletta, a evidenziare quanto, ora, il proprio abbigliamento intimo fosse ricoperto da un comodo paio di pantaloni e una maglietta senza maniche, in una scelta semplice, sì, e pur indubbiamente pratica, nell’inconsapevolezza su quanto ancora avrebbero avuto a dover affrontare.
« E ci chiedi anche scusa…?! » ironizzò Carsa, ridiscendendo in mezzo a loro, con ancora i due pargoli in braccio, dall’alto dei cieli, là dove aveva trovato, per la salvezza degli stessi, estemporaneo rifugio, rifugio la necessità del quale, ormai, non avrebbe avuto più a dover essere riconosciuta esistente « Ragazza mia… io credo di essermi appena innamorata di te! »
Nell’ingombro che, allora, quelle bianche ali avrebbero avuto a offrirle, la meravigliosa combattente dalla pelle color della terra lasciò riassorbire simili estremità all’interno della propria schiena, là da dove le aveva già fatte comparire e ricomparire pocanzi, ispirando, indirettamente, per tutti loro, la consapevolezza di quanto, in quel mondo, in quella realtà, soltanto la loro mente, la loro creatività avrebbe avuto a doversi considerare un limite. Scelta, la sua, che venne parimenti condivisa anche da parte di Rín, la quale, in aggiunta, a imitazione anche di Lys’sh, ebbe allora a riporre i due pesanti mitragliatori nel nulla dal quale li aveva lì evocati, pur, ovviamente, non negandosi la possibilità, allora, di continuare a camminare, di poter continuare a sorreggersi sulle proprie gambe, in quello che, se tutto ciò non fosse stato pressoché un sogno, avrebbe avuto a doversi considerare semplicemente un miracolo.
Solo Midda, in tutto ciò, conservò estemporaneamente le proprie ali rossiccio-castane: e non per una qualche particolare esigenza, non per una qualche effettiva necessità, ma, semplicemente, perché nel crescendo degli eventi, ella aveva già avuto occasione di dimenticarsi della loro stessa presenza, della loro semplice esistenza dietro di lei, esistenza nel merito della quale, pur, Tagae e Liagu non mancarono di esprimere il proprio giudizio, non appena furono riappoggiati a terra da Carsa e poterono cogliere l’occasione per correre dalla propria genitrice…
« Mamma! Mamma! » esclamarono quasi in coro.
« Bambini! » sorrise ella, chinandosi per accoglierli a sé, sinceramente grata, in cuor suo, all’antica amica che, lì, in maniera del tutto inaspettata, era allor ricomparsa non soltanto per offrire loro un importante aiuto insperato nella loro maturata confidenza con quel luogo, ma, ancor più, aveva lì concesso la possibilità, l’opportunità a quei due pargoli di eludere quell’ultimo scontro, invero poi risoltosi in maniera più semplice di quanto non avrebbe potuto essere allor previsto, e, ciò non di meno, potenzialmente temibile e dannoso per tutti… e, soprattutto, per quei due piccoli, i suoi due piccoli.
« Che belle le tue ali! » esclamò Tagae, nel mentre in cui ebbe ad abbracciarla e, ovviamente, ad allungare una manina a cercare contatto con il piumaggio delle stesse, in un gesto che, francamente, sarebbe stato più che giustificabile in chiunque, specialmente in un bambino « Le terrai per sempre, mamma?! »
« Oh… » esitò la Figlia di Marr’Mahew, voltandosi appena all’indietro, a verificare la presenza ancor immutata di quelle estremità, non senza una certa sorpresa « … me ne stavo sinceramente scordando. » sorrise in risposta, ricambiando l’abbraccio suo e di Liagu « Ma, per quanto possano essere carine e utili, credo proprio che averle sempre addosso sarebbe complicato negli spazi ristretti della Kasta Hamina… » soggiunse poi, in un’osservazione tutt’altro che priva di senso, così come, lo stesso frugoletto, volle allor confermare dall’alto del proprio giudizio.
« Mmm… hai ragione. » sospirò egli, annuendo appena « Peccato però… sono veramente belle! » insistette, non volendosi negare l’occasione, l’opportunità di ribadire quella presa di posizione, quel giudizio nel confronto con l’immagine attuale offerta dalla propria genitrice.
mercoledì 23 maggio 2018
2555
Avventura
050 - Il tempo del sogno
Al di là della propria nomea, al di là della leggenda che ella incarnava, la donna guerriero non si era mai concessa occasione di credere di potersi considerare estranea a qualunque possibilità di errore. Al contrario, ella si era imposta, da sempre, una quieta attenzione a restare sempre cosciente di quanto anche i migliori avrebbero potuto, presto o tardi, commettere errori, e, ancor più, di quanto, malgrado i propri pur innegabili successi, ella stessa avrebbe avuto a doversi considerare ben distante dall’eventuale qualifica di migliore, così come, e ancor più, la lista degli errori da lei commessi nel corso della propria vita, della propria esistenza, avrebbe avuto a doversi riconoscere obiettivamente estesa, per non dire addirittura impegnativa in un’eventuale stima della propria lunghezza.
In ciò, pertanto, Midda Bontor non avrebbe mai potuto sorprendersi particolarmente all’idea di aver commesso un qualche errore di sorta, anche in quello stesso momento, in quel particolare frangente. Quanto, piuttosto, avrebbe avuto a poterla sconvolgere, sarebbe piuttosto stata l’evidenza della propria palese ingenuità nel confronto con quell’ovvietà appena espressa da parte del proprio mai amato sposo. Un’ingenuità obiettivamente imperdonabile da parte sua che, sin troppo concentrata nel tentare di scendere a patti con le regole proprie di quel mondo, di quella realtà, si era stupidamente distratta nel confronto con le dinamiche altresì proprie del suo mondo, della sua realtà, e le dinamiche che, in particolare, non avrebbero avuto a dover banalizzare quel golem di sabbia al pari di una qualunque gargolla… non, quantomeno, laddove, per l’appunto, esso avrebbe avuto a doversi considerare, a doversi riconoscere, in tutto ciò, già un agglomerato di pietra frantumata, in misura spiacevolmente utile da vanificare qualunque impegno che lei, o chiunque altro, avrebbero potuto porre nel cercare di ridurlo a pezzi.
Una realtà banale, un’evidenza sciocca, che, dopotutto, avrebbe avuto a doverle risultare ovvia anche e soltanto in conseguenza a quanto accaduto alla comparsa di Carsa Anloch, l’azione della quale era stata completamente vanificata nella propria occorrenza, come l’integrità strutturale del mostro da lei appena abbattuto avrebbe potuto dimostrare. E, ciò non di meno, una realtà che ella non aveva adeguatamente considerato, un’evidenza della quale si era subito dimenticata, nel mantenere tutta la propria attenzione, tutto il proprio interesse, soltanto al generare quelle ali dietro la propria schiena e, ancora, a manipolare l’arma in suo possesso per tradurla in quell’enorme, e ormai abbandonata, spada attraverso la quale si era, quindi, soltanto illusa di poter avere avuto facile possibilità di successo nel confronto con quella creatura stregata…
« D’accordo… sono un’idiota. » sospirò la Figlia di Marr’Mahew, non riuscendo a trovare parole più gentili per descriversi, e per descriversi non soltanto a confronto con la correttezza delle frasi pronunciate dal semidio dalla pelle simile a cuoio rosso, ma, ancor più, a confronto con i due cumuli di sabbia nera lì tutt’altro che inermi, che il suo colpo aveva così generato, dividendo in due parti eguali il mostro « Diciamolo tutti insieme, in coro: “Midda sei un’idiota!”. »
Benché, al pari di chiunque altro contraddistinto da un minimo di amore verso se stesso, l’Ucciditrice di Dei non avrebbe potuto apprezzare l’idea di darsi dell’idiota, o di sentirsi dare dell’idiota, fondamentalmente obbligata fu a esprimersi in tal senso nel confronto con la riprova concreta del proprio imperdonabile errore di valutazione. Un errore di valutazione che, in quel momento, stava vedendo quei due cumuli di sabbia nera animarsi in grazia a una qualche insana stregoneria, per ritornare, in un caotico turbinio, a ricomporre, un pezzo alla volta, l’intera, colossale figura propria di quella creatura.
Ovviamente nessuno, lì attorno, volle soddisfare l’invito proprio della loro amica, della loro compagna, e non perché alcuno avesse allor compreso la dinamica degli eventi occorsi, quella stessa dinamica inizialmente sfuggita anche alla medesima donna guerriero e, in quel momento, indubbiamente palese innanzi al loro sguardo, quanto e piuttosto perché consapevoli di quanto, in fondo, un eguale errore di valutazione fosse stato allor commesso da tutti nel momento in cui tutti loro avevano parimenti esultato per quel successo, per quel traguardo, erroneamente confidenti di quanto tutto ciò potesse essere stato sufficiente a ucciderlo, a porre fine a quella battaglia.
Neppure Desmair, in effetti, si degnò di concederle tale soddisfazione, almeno nell’immediato, essendosi riservato già, in precedenza, amplia possibilità di insulto a suo discapito e, in tal senso, non abbisognando di ulteriori, gratuite concessioni a tal riguardo, nel preferire riservarsi simile occasione per il successivo errore che, presto o tardi, ella avrebbe commesso. Un errore che, in effetti, non ebbe a lasciarsi attendere per troppo tempo, giacché l’enorme lama da lei lì creata, e da lei abbandonata là dove era stato sferrato l’attacco al mostro, non mancò da parte dello stesso, alfine rigeneratosi, di essere raccolta e di essere impugnata, in una sproporzione inversa rispetto alla precedente, e tale da farla apparire più simile a un temperino nelle sue ciclopiche e grottesche mani, e, ciò non di meno, comunque, un temperino con una lama di dodici piedi per due, in misure tali per cui, se adoperata contro di loro, avrebbe potuti falciarli tutti quanti con un unico gesto, con un singolo attacco.
« Midda… sei un’idiota! » ebbe quindi a dichiarare il semidio, scuotendo il capo e storcendo le labbra verso il basso a quella vista, nel confronto con l’intelletto dimostrato da quella creatura priva di cervello e, ciò non di meno, sufficientemente attenta da non mancare di rendere propria l’occasione concessa da quell’arma abbandonata « E non lo dico per quello che tu stai pensando… ma per il fatto che gli hai lasciato anche la tua spada, a renderlo, se possibile, ancor più pericoloso per tutti noi! »
« Questo me lo merito. » confermò la donna guerriero, sinceramente demotivata da quel duplice, plateale fallimento, a confronto con il quale quella giornata, già sufficientemente negativa, non stava dimostrando il benché minimo interesse a migliorare.
E se, a confronto con quell’immagine, Rín non esitò a tornare a impugnare i due pesante fucili mitragliatori per essere pronta ad aprire nuovamente il fuoco in direzione del golem di sabbia nera; a pretendere l’attenzione di tutti, e, in particolare, del loro avversario, fu allora la splendida ofidiana, la quale, in parte motivata dal desiderio di ovviare a essere nuovamente assordata dal frastuono di quelle armi, in parte, sicuramente, animata dalla volontà di offrire il proprio contributo, e il proprio contributo speranzosamente risolutivo nella questione, ebbe a riservarsi, allora, l’opportunità di intervenire e di intervenire sfruttando anch’ella, in maniera del tutto inedita, i poteri intrinsechi di quel luogo, per plasmare, apparentemente dal nulla, le proprie fantasie, le proprie idee.
Ma non diversamente da quanto, prima di lei, Carsa, Rín e Midda avevano compiuto, nel dar sostanza a delle armi con le quali sentirsi sufficientemente confidenti di avere una qualche speranza di successo, anch’ella ebbe quindi a dar sostanza a un’arma, concentrando su di essa tutti i propri pensieri, tutta la propria mente, senza neppur concedersi, allora, la vana distrazione di un paio di ali, così come le sue compagne prima di lei: perché per porre in essere il suo piano, sarebbe stato necessario prendere il volo, quanto, e piuttosto, mantenere i piedi ben saldi per terra, e ben saldi nella misura in cui, dal suolo vulcanico sotto ai propri piedi, ella ebbe lì a far comparire, a materializzare, una torretta blindata, con al suo centro un grosso, potente cannone al plasma, il più grande che mai la Figlia di Marr’Mahew avrebbe potuto vantare di aver visto nel corso dei propri ultimi due anni trascorsi fra le vastità siderali. E già in piedi all’interno di quella torretta blindata, già pronta ad aprire il fuoco, tutto ciò che Lys’sh ebbe a dover compiere fu prendere la mira, operazione tutt’altro che complessa nel confronto con una creatura sì abnorme, e premere il grilletto, vedendo sull’enorme bocca di quel cannone materializzarsi una terrificante sfera di pura energia, energia che, in ciò, venne proiettata, venne sparata contro il mostro di sabbia, in termini decisamente più silenziosi rispetto a quelli dei mitragliatori di Rín, ma, non per questo, meno letali… anzi.
martedì 22 maggio 2018
2554
Avventura
050 - Il tempo del sogno
« Oh… porca l’oca… » esclamò Rín, cessando il fuoco nel ritrovarsi allibita a confronto con l’evidenza di quanto, ciò pur da lei ispirato, pur da lei suscitato nel proprio estemporaneo ruolo di maestra, stava allor venendo, senza ombra di dubbio alcuno, superato dalla Figlia di Marr’Mahew, con ciò che si stava dimostrando in grado di realizzare.
Impugnata da entrambe le mani della donna guerriero, infatti, l’ascia di Carsa ebbe improvvisamente, inaspettatamente, e improbabilmente, a mutare, in forma e, ancor più, in dimensioni, assumendo le proporzioni gigantesche proprie di una lama e di una lama che, malgrado una normale impugnatura da spada a due mani, già a partire dalla guardia si sarebbe allargata improvvisamente in una dimensione di quasi due piedi, per poi, da quel punto, allungarsi addirittura per oltre dodici piedi di lunghezza prima della propria punta, dando così corpo, offrendo in tal maniera sostanza, a qualcosa di totalmente assurdo, difficile da considerare effettivamente qual un’arma nel ritrovarsi a essere ipoteticamente priva di qualunque possibilità di essere maneggiata, o anche soltanto sollevata, ma che, ciò non di meno, dalla sua ideatrice, dalla sua creatrice, da colei che l’aveva lì immaginata e resa realtà, in grazia alle possibilità proprie di quel particolare e folle piano di realtà, non mancò di essere mantenuta senza apparente sforzo, senza alcuna reale difficoltà, nel mentre di quel volo in direzione del proprio, colossale antagonista.
« Ma… che… diamine… » sussurrò, balbettò quasi, Be’Wahr, con gli occhi fuori dalle orbite, semplicemente sconvolto non soltanto dall’improvviso volo della sua vecchia amica, quanto e ancor più da quella mostruosa arma, quella spada disumana, in aperta avversione a ogni raziocinio, e pur, lì, in quel momento, in quel frangente, esistente, ed esistente innanzi al suo stesso sguardo… allo sguardo di tutti coloro lì presenti.
« Ritorna polvere, dannato golem! » ruggì la donna dagli occhi color ghiaccio e dai capelli color del fuoco, preparandosi a dar sfogo, in tal maniera, a tutta la propria combattività, a tutta la propria furia in contrasto a quella creatura stregata, a quell’essere che, certamente, nulla di più avrebbe avuto a dover essere considerato rispetto a una gargolla e che, come tale, avrebbe potuto sconfiggere soltanto distruggendola, e distruggendola con impeto sufficiente a non permetterle di potersi più animare in loro contrasto.
E se, senza apparente sforzo, senza alcuna reale difficoltà, non soltanto ella mantenne quella grottesca e gigantesca spada fra le proprie mani, ma, ancor più, con paradossale eleganza, quasi con naturalezza, l’Ucciditrice di Dei non mancò persino di rotearla nel mentre dell’ultimo tratto di volo, sino a sollevarla al di sopra della propria di sé, per poter, in tal maniera, da quella posizione, menare uno straordinario e distruttivo fendente in contrasto alla testa del mostro di sabbia, lasciando precipitare su di lui quella spada e aggiungendo al peso sicuramente considerevole della stessa, una forza, un impeto sufficiente non soltanto ad aprirgli, letteralmente, in due il cranio, o qualunque cosa lì esso avrebbe potuto vantare di possedere, ma, addirittura, da tagliare il suo intero corpo lungo la propria verticale, lungo quell’asse longitudinale, dall’alto verso il basso, arrivando, addirittura, a precipitare la punta di quella lama contro alcune pietre della piramide nera precedentemente lì attorno smosse, frantumandole quasi fossero fatte di semplice burro, fossero prive di qualsiasi resistenza, di qualunque solida densità, e sollevando, lì attorno, una piccola nube di terra e sabbia nera, in conseguenza a quello stesso impatto e alla sua devastante energia.
« … ecco fatto… » sussurrò ella, leggermente ansimante a seguito di quanto compiuto, ritrovandosi ancora per aria, nel restare lì in sospensione, lì in volo in grazia alle proprie grandi ali, e, in tutto ciò, osservando le due metà del mostro da lei aggredito, e da lei in tal maniera sconfitto, con un solo, meraviglioso fendente, un unico colpo qual mai aveva avuto occasione di menare nella propria intera esistenza e qual mai, obiettivamente, avrebbe potuto sperare di avere possibilità di ripetere, nelle condizioni che, a margine di tutta la sua bravura, di tutta la sua foga, avevano comunque contraddistinto quel gesto, e quel gesto così estraneo a ogni possibile senso di realtà tale per cui persino in una canzone, in una leggenda, in un mito, sarebbe risultato probabilmente troppo assurdo per essere giudicato accettabile.
« Woah… » commentò Lys’sh, ancora frastornata per l’assordante rumore dei colpi di mitragliatrice da lei subiti in termini ancor più dolorosamente lesivi rispetto a chiunque altro e, ciò non di meno, testimone, come tutti coloro allor presenti, di quanto accaduto, e della straordinaria vittoria della propria amica, della propria sorellona, in omaggio alla quale, pertanto, non poté trattenersi dal battere le mani e dal gridare verso di lei, con entusiastica foga « Brava! Bravissima! »
Un’approvazione, quella dell’ofidiana, che non restò isolata e che, anzi, vide anche Maddie e Rín immediatamente aggregarsi e, su imitazione di quel gesto, e di quel gesto che pur non avrebbero potuto vantare di conoscere nel proprio significato, per quanto, in quel contesto, sufficientemente intuibile, uno alla volta anche Be’Wahr, Seem e Be’Sihl, insieme a nuove grida di congratulazioni per aver, ancora una volta, trasformato in realtà qualcosa di altresì ipoteticamente irrealizzabile, da tutti loro semplicemente inimmaginabile.
E se, con un sorriso, la donna guerriero non poté che accogliere necessariamente soddisfatta quel giubilo da parte dei propri compagni, dei propri amici, di quella propria eterogenea famiglia, quanto, voltandosi verso di loro, non poté mancare di insospettirla, e, in conseguenza a ciò, di preoccuparla, fu la serietà con la quale, altresì, Desmair si stava impegnando a seguire quel momento, e a osservare con attenzione, i detriti ricaduti a terra attorno a lei a seguito di quel colpo, di quell’unico attacco con il quale aveva posto fine all’avanzata di quella gigantesca creatura di sabbia. Purtroppo, anche laddove ella avrebbe sicuramente gradito poter banalizzare quella mancanza di entusiasmo, di partecipazione ai festeggiamenti, da parte del proprio sposo qual l’ennesima, irritante dimostrazione dell’avversione del medesimo a lei e a ogni suo operato, posizione dopotutto quietamente e ben volentieri reciprocamente condivisa da parte sua a di lui discapito; in quell’attenzione, in quella serietà, ella non avrebbe potuto ovviare a cogliere un segnale di pericolo e di pericolo imminente, per se stessa e per tutti loro.
« Che succede, Desmair?! » gridò verso il semidio, priva di ironia, priva di qualsivoglia possibile sarcasmo, e animata, in tal senso, soltanto dalla volontà di capire il senso di quel turbamento, qualunque esso avrebbe avuto a doversi lì intendere.
« A volte mi domando se tu sia veramente stupida… o se tu stia soltanto cercando di mantenere valido ogni pregiudizio volto a sostenere l’esistenza di un rapporto inversamente proporzionale fra l’abbondanza della circonferenza toracica di una donna e il suo stesso quoziente intellettivo. » replicò egli meno amichevolmente, non negandosi la possibilità di aggredirla verbalmente in maniera del tutto gratuita, e, ciò non di meno, subito dopo concedendole comunque la risposta da lei attesa, con la spiegazione del perché dei propri dubbi, della propria perplessità « Quello è un mostro di sabbia animato dalla magia… »
« … è quindi?! » replicò ella, lasciando l’impugnatura dell’enorme spada soltanto per potersi dirigere, in volo, in direzione del resto del gruppo e, lì, avere occasione di più comodo confronto con il proprio sposo e con le sue enigmatiche affermazioni « Le gargolle sono addirittura di pietra… eppure, una volta fatte a pezzi, non possono più nuocere ad alcuno. » argomentò, soprassedendo sugli insulti a lei così rivolti, nel preferire, piuttosto, concentrarsi sulla questione lì in discussione.
« La sabbia è già pietra fatta a pezzi! » insistette Desmair, non senza dimostrare una certa esasperazione nel confronto con la difficoltà, da parte della medesima, di comprendere quanto lì stava cercando di comunicarle, e di comunicarle al di là di ogni possibile avversione preesistente fra loro, in un avviso che, obiettivamente, non avrebbe potuto considerare così difficile da interpretare nel proprio significato e nel pericolo a esso, in tal maniera, correlato.
lunedì 21 maggio 2018
2553
Avventura
050 - Il tempo del sogno
Benché un enorme colosso di forse centocinquanta piedi stesse lentamente avanzando verso di loro, rallentato nel proprio incedere soltanto dal costante flusso di piombo che, in sua opposizione, stava venendo vomitato dalle estremità dei due mitragliatori imbracciati da Rín, la punta dei quali, da nera che era, addirittura iniziò ad arroventarsi, divenendo rosso acceso, nella continuità di quegli spari, apparentemente volti a ignorare, oltre a qualunque idea di peso o di contraccolpo, anche quello della pur obbligata limitatezza del numero di proiettili che una qualunque arma del genere avrebbe potuto vantare a propria disposizione; per un fugace istante, Midda Namile Bontor tentò di isolarsi, mentalmente, dal mondo a sé circostante, da quella sempre più folle realtà attorno a lei, al solo scopo di riuscire, per un momento, a concedere possibilità al suggerimento ricevuto, al consiglio offertole, all’invito rivoltole, di dimostrare la propria efficacia. Giacché, al di là di quanto tutto ciò avrebbe sicuramente potuto apparire privo di senso, inappellabile avrebbe avuto a doversi considerare l’evidenza dei fatti, della realtà in quel momento chiara innanzi a tutti loro, una realtà tale non soltanto da concedere, nuovamente, un corpo a chi non ne avrebbe più potuto vantare uno, come Desmair, ma anche da riportare in vita i morti, come Carsa Anloch, o da permettere a una persona prima costretta sulla sedia a rotelle, di ritrovare la propria libertà di movimento, non soltanto rimettendosi in piedi ma, addirittura, riservandosi persino un meraviglioso paio di ali e, con esso, una rumorosa, ma comunque efficace, coppia di armi da fuoco, lì maneggiate senza apparente ostacolo, senza apparente fatica, da colei la quale, pur, non avrebbe avuto a poter vantare alcuna precedente esperienza bellica, almeno per quanto la Campionessa di Kriarya avesse lì avuto modo di comprendere. E se una singola riprova avrebbe potuto essere trascurabile e due avrebbero potuto considerarsi una mera coincidenza, la terza avrebbe avuto, necessariamente, a dover essere intesa qual la dimostrazione concreta di una teoria: una teoria che Rín aveva chiaramente compreso, arrivando a dominare quella realtà, e che, in quel momento, in quel frangente, anch’ella non avrebbe potuto che impegnarsi a rendere propria, nella volontà di assicurare, a tutti loro, una speranza di domani in contrasto a quell’osceno mostro.
Doveva farcela…
« Thyres! » sospirò, ora non in un’imprecazione, quanto e piuttosto in una sincera preghiera, e in una preghiera volta a concederle la grazia dell’aiuto della propria dea prediletta, una dea, la signora dei mari, che non avrebbe mai concesso miracoli ad alcuno dei propri figli, nel desiderio, nella volontà che ognuno, fra loro, potesse avere occasione di conquistare per diritto, per merito, il proprio posto nel mondo, e che pur, certamente, avrebbe sempre osservato con orgoglio gli sforzi compiuti in tal senso, benedicendoli con l’amore di una madre.
Così, impugnando saldamente l’ascia di Carsa nella propria destra, la Figlia di Marr’Mahew mosse un primo passo in avanti, e poi un secondo, e un terzo, in sempre più rapida successione, in una corsa sempre più sfrenata e diretta in una tanto semplice, quanto suicida, direzione, quella propria di quel gigante di sabbia nera. E a ogni passo, a ogni nuovo movimento, ella, ancora estraniata dal mondo a sé circostante, non avrebbe potuto che concentrarsi su quanto allora avrebbe avuto a dover compiere, su quanto allora avrebbe dovuto riservarsi occasione di portare a compimento, al di là di quanto, tutto ciò, avrebbe avuto a doversi considerare assolutamente folle, del tutto insensato, privo di qualunque logica, di qualunque senno, in un mondo, tuttavia, all’interno del quale non sarebbe stato il senno, non sarebbe stata la logica, a dover guidare il loro cammino.
« Midda! » esclamò Be’Sihl, osservandola non senza una certa preoccupazione, laddove, in quel momento, in quel frangente, e al di là di ogni riprova loro offerta dall’esempio proprio di Rín, tutto ciò non avrebbe potuto ancora ovviare ad apparire troppo estraneo a qualunque senso di realtà per poter essere accettato.
« Mia signora! » gli fece eco Seem, egualmente in ansia per lei, e, ciò non di meno, spinto dalla propria fedeltà al suo cavaliere, impegnandosi anch’egli in un’ancor più folle corsa sui suoi passi, lì armato soltanto da un corto pugnale che nulla avrebbe mai potuto in contrasto a un avversario del genere, e, ciò non di meno, del tutto indifferente al rischio, ritornato, in cuor suo, a essere lo scudiero di un tempo, quel giovane che, pur disarmato, avrebbe affrontato persino gli dei per il suo cavaliere, e per, in ciò, offrire un senso alla propria esistenza, riservarsi il proprio ruolo nel mondo.
Richiami inutili, quelli così a lei rivolti, giacché nelle orecchie della donna guerriero, in quel momento, altro non avrebbe avuto che a risuonare il crescente battito del suo cuore, con una foga, con una forza persino superiore a quella dei colpi sparati da Rín, assordandola e, in ciò, isolandola da tutto e da tutti, nella necessità, lì, di riuscire a trovare dentro di sé la forza per superare i limiti della propria percezione della realtà e arrivare compiere quanto, dopotutto, persino Desmair aveva dichiarato lì sarebbe potuto avvenire: perché quanto in quel mondo, in quella dimensione, essi avrebbero legato, sarebbe stato legato anche nel loro, e quanto essi avrebbero sciolto, sarebbe stato sciolto anche nel loro. Ella, che per tutta la propria vita aveva lottato soltanto nella volontà di rendere propria la libertà, e la libertà più assoluta, la propria autodeterminazione davanti al fato e agli dei tutti, in quel momento, in quel luogo, avrebbe avuto simile opportunità, simile possibilità. E non avrebbe dovuto lasciarla sprecata… non, soprattutto, nel confronto con un tanto temibile avversario qual quello innanzi a loro.
Un passo dopo l’altro, quell’incedere sfrenato iniziò ad assumere le sembianze di una ricorsa, e di una rincorsa volta ad assicurarle la possibilità di proiettarsi in un alto salto, un salto che, ovviamente, mai le avrebbe permesso di coprire i centocinquanta piedi di altezza di quella creatura, e, ciò non di meno, un salto che ella avrebbe dovuto impegnarsi a compiere, per il loro bene, per la loro salvezza. Un salto il quale, allora, ella non esitò a tentare…
« Ora! » si spronò, in un alto grido, un ruggito rivolto a se stessa, e all’universo intero, a sottolineare, a enfatizzare quanto, lì, avrebbe quindi compiuto.
Per il tempo proprio di un effimero battito di ciglia, l’Ucciditrice di Dei si ritrovò semplicemente sollevata rispetto al suolo, in quello che nulla di più di un normale balzo avrebbe avuto a poter essere considerato.
Ma dopo quel fugace istante, nel momento stesso in cui entrambi i piedi lasciarono il contatto con il terreno vulcanico sotto di loro, una nuova coppia di grandi ali castano-rossicce ebbe a esplodere dal retro della sua schiena, squarciando la parte posteriore della sua casacca e dispiegandosi magnificamente nel cielo avvelenato della Terra di Nessuno, per spingerla, con un potente gesto, verso l’alto, facendole coprire oltre sessanta piedi con un singolo movimento, con una sola azione. E se quanto accade ebbe a sorprendere pressoché tutti, nella sola eccezione di colei che, tutto ciò, aveva ispirato, aveva incalzato nella propria occorrenza, anch’ella, anche la medesima Midda, non poté che essere a sua volta stupita, strabiliata dal successo di quanto aveva compiuto e, ancor più, dallo scoprirsi in volo, e in volo sorretta da una tanto mirabile coppia di ali.
« Thyres… ha funzionato! » esclamò, rinfrancata da tutto ciò, da simile, concreta riprova, nelle proprie convinzioni, nella fermezza del proprio pensiero, e, in questo, pronta a osare ancor più, ad andare oltre e a sospingersi alla volta del loro avversario.
Ma laddove un’ascia, per quanto straordinaria essa avrebbe potuto essere, non sarebbe stata certamente sufficiente a eliminare una tanto temibile creatura, la donna guerriero ebbe allora a richiedere un’arma più adeguata, a costo, in tal senso, di sfidare ogni comune idea di buon senso, ormai consapevole di quanto, lì, il buon senso avrebbe avuto a doversi considerare qualcosa di superato.
domenica 20 maggio 2018
2552
Avventura
050 - Il tempo del sogno
« Che diamine…?! »
In diverse declinazioni, tale comune interrogativo fu espresso da tutti all’interno del gruppo. Tutti coloro i quali, solo un istante prima, erano appena stati scagliati in aria dalla deflagrazione della parete della piramide nera sotto ai loro piedi, e che lì, improvvisamente, ebbero a ritrovarsi, sufficientemente illesi, a terra, non sparpagliati in maniera disordinata, ma raggruppati gli uni vicino agli altri, non poterono ovviare a esprimere, in tal maniera, la propria sorpresa, e la propria sorpresa per quanto era accaduto. Non che, alcuno fra loro, sarebbe stato in grado di esprimere, con precisione, cosa effettivamente fosse accaduto… o su come fosse possibile per loro essere giunti sino a quel punto.
Ma quanto ancor più ebbe a sorprenderli tutti, un istante dopo, fu rendersi conto della nuova figura alata presente innanzi a loro. Una figura che, in un primo istante, tutti associarono necessariamente a Carsa, salvo, tuttavia, rendersi subito conto di quanto non avesse a dover essere fraintesa con lei, fosse anche e soltanto per la lunga chioma di capelli rossi che, sulle sue spalle e sulla sua schiena, stava lì ridiscendendo. Chioma che, per quanto assurdo, fra tutti i presenti avrebbe avuto a dover essere ricondotta soltanto a una figura: non Midda Bontor, i cui capelli erano allora portati in un taglio estremamente corto, chiaramente militare; non Madailéin Mont-d'Orb, i cui capelli avrebbero avuto sì a dover essere riconosciuti più lunghi di quelli della propria versione matura, e, ciò non di meno, acconciati appena a sfiorarne le spalle, ma la terza rosa presente nelle loro schiere… e l’unica che, in quel momento, sarebbe stato ancor più assurdo a potersi riconoscere lì in piedi, innanzi a loro, con un paio di grandi ali aperte dietro la schiena.
« Rín…?! »
Ancora una volta fu quasi un coro quello che ebbe a esclamare il suo nome, così distratti nell’osservarla, nel contemplarla lì fieramente eretta, con quelle meravigliose ali bianche aperte ai lati del corpo, da trascurare, persino e paradossalmente, il colossale mostro che, oltre di lei, stava allor emergendo dalla piramide, facendo strada fra le enormi pietre della stessa, quasi fossero semplici ciottoli, per poter avanzare verso di loro, a offrire loro sfida e, speranzosamente dal suo punto di vista, morte.
E se pur tutti, per un fugace momento, ebbero in tal maniera a essere distratti, più concentrata, più attenta ebbe a doversi ancora una volta indicare proprio la destinataria di tutti i loro riguardi, colei fra le mani della quale, allora, ebbero a materializzarsi, apparentemente dal nulla, una coppia di pesanti armi, l’eccessiva dimensione delle quali, tuttavia, non sembrò rappresentare per lei problema alcuno: due grandi e potenti fucili mitragliatori, nel merito dell’utilizzo dei quali non avrebbe potuto vantare alcuna pregressa esperienza, ma che, in un numero troppo elevato per poter essere ricordato, ella aveva avuto occasione di vedere all’opera in televisione, in numerosi film e serie. E in una realtà nella quale, allora, l’idea sarebbe stata più importante rispetto alla pratica, nulla di più rilevante avrebbe avuto a dover essere quindi riconosciuto rispetto alla semplice idea, e all’idea di quelle armi, per poterle rendere lì perfettamente operative e immediatamente pronte all’uso…
« Sì. Sono io… » sorrise la donna, sollevando la coppia di fucili mitragliatori, in termini che mai sarebbero potuti essere possibili nella realtà, per prepararsi ad aprire il fuoco, e ad aprire il fuoco in direzione di quel mostro gigantesco, quel colosso di sabbia nera che, ormai fuoriuscito dalla piramide, non avrebbe tardato ad attaccarli « … e se volete darmi una mano, sentitevi liberi di immaginare l’arma che più vi aggrada e di unirvi alla battaglia. » suggerì loro, premendo, subito dopo, entrambi i grilletti e dando vita al frastuono più assordante che tutti loro avrebbero potuto immaginare, nella roboante duplice raffica di colpi che, dai due fucili, ebbe a uscire, e a uscire nella direzione del loro antagonista.
Midda, Be’Sihl e Lys’sh, che pur avrebbero potuto vantare una certa confidenza con le armi, e con le armi da fuoco, quali armi laser, armi al plasma e, perché no?, armi soniche, restarono semplicemente sorpresi dal baccano che, quella coppia di fucili fu in grado di generare, nel mentre in cui grandi fiammate ornavano la punta degli stessi a frenetici intervalli regolari, nell’esplosione di ogni singolo colpo in rapida successione, in qualcosa di così diverso, di così estraneo da tutto quello che avrebbero potuto vantare di conoscere. Per Be’Wahr e Seem, poi, tutto quello non poté che risultare addirittura incomprensibile, nel non riuscire neppure a elaborare quali strani strumenti, quali strane armi, avrebbero potuto essere giudicate quelle da lei così impugnate, estranee a qualunque cosa avrebbero mai potuto dichiarare di aver visto nella loro intera esistenza. Più confidente con tutto quello, altresì, avrebbe alfine avuto a dover essere giudicata Maddie, la quale, dal canto proprio, non avrebbe potuto ovviare facilmente, comunque, all’idea di poter osservare sua sorella reggersi in piedi sulle proprie gambe, con due grandi ali bianche dietro la schiena e, ancor più, con due pesanti fucili mitragliatori in mano, lì quieta e serena quasi tutto ciò nulla fosse di più di un semplice videogioco in realtà virtuale.
A margine di ciò, la più contrariata fra tutte le reazioni, indubbiamente, non poté che essere quella del mostro, e di quel gigante di sabbia nera, una sorta di colosso dalle fattezze umanoidi che, emergendo dalla piramide, avrebbe avuto a doversi considerare contraddistinto da un’altezza non inferiore a cento… forse centocinquanta piedi, e che, ciò non di meno, non ebbe a dimostrare di gradire gli effetti della pioggia di proiettili che, contro di sé, stavano venendo in tal maniera così riversati da parte della nuova donna angelo. Una raffica di colpi che, al di là della sua particolare struttura, di quel potenzialmente indistruttibile corpo di sabbia, non avrebbero potuto ovviare ad aprire grossi fori lungo tutto il suo corpo, indubbiamente ostacolandone i movimenti, pur, in ciò, non potendo sperare di imporgli danni duraturi: non, quantomeno, a confronto con la rapida rimarginazione di ogni supposta ferita nel riproporsi di nuova nera sabbia al posto di quella in tal maniera dispersa, in un processo probabilmente non dissimile da quello che l’aveva veduto recuperare il proprio arto nel momento in cui questo era andato perduto in conseguenza alla violenza impostagli dall’azione offensiva di Carsa Anloch.
« Per tutti gli dei… » commentò Be’Sihl, osservando con stupore quanto stava lì accadendo, e vedendo le proprie parole essere completamente sovrastate dal frastuono, in termini tali per cui quella stessa invocazione andò perduta nel nulla.
« E quelle da dove sono uscite…? » domandò Seem, subito soggiungendo « E, soprattutto, che diamine di armi sono…?! »
« In gamba quella donna. » sorrise Desmair, non potendo che approvare l’acume nuovamente dimostrato da Rín, in quello che, mai prima di allora, avrebbe potuto essere considerato quasi un moto d’ammirazione da parte sua « Se anche Nissa era così, temo proprio di aver sposato la gemella sbagliata… » asserì, in quello che avrebbe potuto essere frainteso qual l’ennesimo attacco a discapito della mai amata moglie, e che, non potendo tuttavia giungere alle sue orecchie, avrebbe avuto a dover essere altresì riconosciuto qual una semplice constatazione fra sé e sé, un’introspezione sancita con tono più alto di quanto non avrebbe probabilmente voluto essere.
“… sentitevi liberi di immaginare l’arma che più vi aggrada…”: su queste parole, altresì, la mente della Figlia di Marr’Mahew tentò, altresì, di focalizzarsi, e di focalizzarsi a dispetto del frastuono che, pur, avrebbe lì reso complicato persino riuscire a pensare, e a concentrarsi su questioni molto più sciocche rispetto a quella. Un’indicazione sufficientemente chiara, quella loro così offerta, che avrebbe forse avuto a dover essere giudicata persino troppo chiara… al punto da apparire quasi banale. Ma davvero la soluzione a tutto quello avrebbe avuto a dover essere fraintesa qual addirittura banale?!
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