11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

giovedì 31 maggio 2018

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« Ah… beh. Allora stai tranquillo: mia madre ha persino tirato in ballo mio padre Kah per cercare di uccidermi. » ironizzò il semidio, scuotendo il grottesco capo di cuoio rosso ornato da ancor più enormi corna bianche « E, obiettivamente, ci è anche riuscita. » soggiunse, non potendo negare l’evidenza di essersi salvato solo in grazia a una soluzione decisamente poco convenzionale, qual quella volta a riversare la propria coscienza, il proprio spirito, all’interno del corpo di Be’Sihl, in grazia a una flebile connessione già esistente fra loro, soluzione che, difficilmente, avrebbe potuto escludere la verità della sua morte o, quantomeno, della sua morte fisica « Del resto, non tutti possono avere un rapporto tanto importante con il proprio genitore, al punto tale da essere disposti a tutto per rincontrarlo, per avere occasione di passare un altro minuto in sua compagnia… anche a sfidare forze indubbiamente più grandi di ogni propria possibilità di comprensione. » dichiarò, sottolineando con la propria voce il riferimento al genitore, in un’attenzione insolita nei confronti di tale argomento.
« Quante chiacchiere… » osservò secondo-fra-tre, in riferimento a quell’ultima particolare piega assunta dal dialogo con Desmair, in termini del tutto inediti per il medesimo semidio che, in effetti, non avrebbero potuto mancare di apparire inattesi anche a confronto con il giudizio di tutti gli altri presenti, coloro i quali, pur, stavano lì seguendo l’evoluzione propria di quel momento con un certo, comprensibile timore, nel non aver ancora ben inquadrato né il senso di tutto ciò, né, tantomeno, il reale fato al quale il vicario avrebbe desiderato destinarli, avendo a propria disposizione un indiscutibilmente amplio ventaglio di negative possibilità « … non ti facevo tanto ciarliero, figlio di Anmel. »
« In effetti, in genere, non ho piacere a concedermi occasione di relazione con chi giudico a me palesemente inferiore. » ammise egli, stringendosi appena fra le spalle, a enfatizzare il senso di indifferenza proprio di quel momento, implicito in quella chiacchierata « Dopotutto, per quanto non abbia mai avuto ragione di amare i miei genitori, sono pur sempre il figlio di un dio e nipote dell’ultimo faraone di Shar’Tiagh, e, in ciò, ho una certa reputazione, una certa dignità, un certo onore da dover difendere… »
« Questo posso ben comprenderlo. » gli concesse il vicario, annuendo appena « In tutto ciò, immagino, che ritrovarti a confronto con un essere superiore mio pari abbia a considerarsi, per te, qual una ventata di aria fresca in alternativa al tanfo di marciume proprio di questi meri ammassi di carne, e di carne morta… » soggiunse, con rinnovato, trasparente disprezzo per tutti gli altri presenti, giudicati, in tal senso, per la propria intrinseca mortalità, per la propria umana precarietà, qual già cadaveri, in un disprezzo sol minimamente contenuto nel confronto con quel semidio, verso il quale, ciò non di meno, il suo atteggiamento avrebbe avuto a dover essere comunque valutato qual di sufficienza… e, quasi, di costretta sufficienza.
« In verità, allorché con questi meri ammassi di carne, e di carne morta, qual li hai appena definiti con tanta severità, credo di essere più in imbarazzo a sprecare il mio tempo con uno dei servi di mia madre… » commentò Desmair, serenamente, senza scomporsi, senza concedersi occasione di esitazione nell’esprimersi in tal maniera, quasi fosse lì a confronto con una spregevole creatura inferiore, allorché a un essere potenzialmente in grado di distruggerlo, e di distruggerlo, addirittura, da ogni luogo e ogni tempo della propria storia e della storia di qualunque altra versione di se stesso all’interno del pur sterminato multiverso « Capiamoci: per quanto tu e i tuoi pari amiate definirvi con l’altisonante termine di vicari, nulla di più e nulla di meno di meri galoppini avete a dover essere considerati, sfruttati da mia madre per compiere il lavoro sporco allo stesso modo nel quale, generalmente, io impiego i miei spettri. » insistette, declinando in termini ancor più dispregiativi il proprio rapporto con quella creatura onnipotente, ancor apparentemente indifferente a ogni possibilità, tutt’altro che remota, di ritorsione da parte sua « Ciò senza considerare quanto, inebriato dal tuo stesso potere, tu abbia a star dimostrando tutta la tua inettitudine: inettitudine, in verità, così straordinaria da far apparire persino mia moglie qual geniale a confronto con te… e, ti assicuro, non è il cervello, per lei, a doversi ritenere qual la sua qualità migliore. »
« Ehy…! » non poté fare a meno di protestare colei in tal maniera tirata in ballo, la Figlia di Marr’Mahew, salvo, immediatamente, costringersi a tacere, e a concedergli di agire per così come stava già agendo, per quanto, in tal senso, il suo amor proprio non avrebbe avuto a ringraziare.

Così, benché, in quel momento, l’Ucciditrice di Dei avrebbe probabilmente protestato in maniera più vivace, più incisiva, a fronte con quel giudizio, e quel giudizio espresso a proprio discapito, l’evolversi degli eventi attorno a lei, attorno a loro, ebbe a forzarla a restare in silenzio, a ingoiare tutto il proprio orgoglio e a incassare quell’affondo del tutto gratuito e ingiustificato, pur nel contesto del piano di Desmair, un affondo nel merito del quale, a tempo debito, avrebbe avuto certamente occasione di ricambiare il favore al proprio mai amato sposo. Non ché, a ruoli inversi, avendone ella la possibilità, non avrebbe comunque agito esattamente nei medesimi termini, per amor di verità.
Non in silenzio, altresì e tuttavia, ebbe a restare lo stesso secondo-fra-tre, dimostrando di non apprezzare quanto egli stesse allor sostenendo a proprio così palese discapito, a propria così irriverente critica, e, in particolare, alla severità di quel giudizio per il quale, addirittura, un essere del suo calibro, un vicario, stava venendo posto in secondo piano rispetto a semplici mortali, declassato a mero servo, a semplice galoppino nel rapporto con il quale quel semidio avrebbe avuto a riservarsi possibilità di imbarazzo…

« Come osi…?! » reagì, in un moto di evidente stizza, d’ira, per quanto da lui così affermato, avvampando in volto e lasciando trasparire un’evidente emotività, e un’emotività ferita per simile affronto « Io sono secondo-fra-tre. Io sono un vicario della regina Anmel Mal Toise, l’Oscura Mietitrice. Io vi ho condotto sino a questo luogo e, da questo luogo. E io ho il potere di eliminarvi, e di eliminarvi per sempre dal Creato, nel presente, nel passato e nel futuro. » ribadì, quasi il concetto non avesse allor a doversi considerare già sufficientemente chiaro « Solo uno stolto potrebbe non riconoscere il mio potere. Solo uno stolto potrebbe realmente credere di potermi volgere un simile affronto e sopravvivere. »
« E’ una fortuna, allora, che io non sia uno stolto… » sorrise Desmair, nel mentre in cui, finalmente, ebbe conferma di quanto quella ridicola messinscena avrebbe potuto terminare « … così come è una fortuna che non abbia a doversi considerare stolta la versione alternativa della mia defunta cognata, la quale, dopo aver compreso, per prima, quanto stesse accadendo, ora è stata sufficientemente attenta a cogliere il mio invito ad agire… e ad agire al fine di portarci tutti via di qui. »
« … di cosa stai blaterando…?! » domandò il vicario, non comprendendo le sue parole, non cogliendo immediatamente quanto pur avrebbe avuto a doversi apprezzare qual straordinariamente chiaro.
« Addio, stupido servo. » ridacchiò Desmair, offrendogli un cenno irriverente di saluto con la destra, prima di essere risucchiato nel sottosuolo, da una voragine di luce improvvisamente dischiusasi sotto ai suoi piedi.

Una voragine di luce attraverso la quale, parimenti, ebbero a essere risucchiati, nel contempo, tutti gli altri presenti, ultima fra i quali anche Carsa, che, dall’alto della posizione da lei occupata, ebbe a doversi fiondare rapidamente all’interno di quel passaggio, di quel varco, prima che potesse richiudersi, prima che potesse svanire. Scomparsa al seguito della quale, improvvisamente, secondo-fra-tre ebbe così a ritrovarsi solo.
E se proprio Carsa fu l’ultima ad attraversare quel passaggio, ancora ella ebbe a essere l’ultima a fuoriuscirne dall’altra parte, ritrovando tutti i propri compagni di squadra, tutti i propri compagni d’arme lì nuovamente raggruppati, e raggruppati in un ambiente quantomeno originale, o tale dal proprio personalissimo punto di vista, nel non assomigliare a nulla che mai avrebbe potuto vantare di conoscere…

« Ma… ci hai portati a casa! » esclamò, alle sue orecchie, la voce della sua amica Midda, ancora una volta non scandita dalle labbra della “sua” Midda, quanto e piuttosto della versione più giovane della medesima, la quale, con aria forse più sorpresa fra tutti, si ritrovò a osservare l’ambiente attorno a sé e, in particolare, quella che avrebbe avuto probabilmente a dover essere intesa qual una sala da pranzo.

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