11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

mercoledì 30 settembre 2020

3415


“Ma che cosa accidenti mi è successo...?!”

Una domanda legittima, quella da lui in tal maniera formulata nella propria mente, a confronto con tanto orrore, e con un orrore che l’avrebbe sicuramente spaventato molto di più se soltanto vi fosse corrisposta una qualche sensazione di dolore.
Per quanto, tuttavia, egli fosse lì in piedi, con il ventre squarciato lungo il proprio asse longitudinale; e per quanto, ancora, lì non vi fosse la benché minima evidenza di ciò che, altresì, avrebbe dovuto essere allora lì dentro presente, a iniziare dal proprio intestino, il proprio stomaco, il fegato, la milza, il pancreas e così via dicendo; non una sola, singola sensazione di pena avrebbe avuto a gravare sulla sua mente. Al contrario, egli avrebbe avuto a dover ammettere di sentirsi bene quanto mai si era sentito in vita sua, privo di qualsivoglia senso di stanchezza, di affaticamento, e persino di ansia, benché, obiettivamente, vi fossero non poche ragioni per potersi sentire, allor, più che in ansia.
Così, più incuriosito che, effettivamente, spaventato, egli ebbe addirittura a sollevare una mano in direzione del proprio addome, per poter andare a meglio verificare cosa stesse accadendo. E in tal semplice gesto non poté ovviare a comprendere quanto, obiettivamente, la situazione avesse a doversi intendere più generalizzata rispetto a come non avesse avuto ragione di intenderla sino a quel momento. Un intendimento, il suo, conseguenza dell’evidenza della mano che ebbe quindi a muovere: una mano dalla pelle scura e incartapecorita, al di sopra non di carne, quanto e semplicemente delle sue ossa, quasi la carne gli fosse stata negata o, più probabilmente, avesse avuto a seccarsi, a disidratarsi, sino a mummificarsi, assumendo quell’osceno e fragile aspetto.

“... sono morto...?!”

Una domanda retorica, per così come egli stesso ebbe quindi a considerarla, quella da lui in tal maniera formulata nella propria mente. E una domanda, in effetti, che ancor prima di doversi intendere qual tale, avrebbe avuto ad assolvere al ruolo di risposta a confronto con l’interrogativo precedente.
Ovviamente la questione non sarebbe potuta mancare di sembrargli tremendamente sciocca. Come avrebbe mai potuto essere morto se, in quel momento, era cosciente di sé? Come avrebbe mai potuto essere morto se, in quel momento, si stava giustappunto interrogando sull’eventualità di essere morto. No. Nulla di tutto quello avrebbe potuto giustificare l’idea che fosse morto, pur, ovviamente, non offrendo credito alcuno neppure in direzione contraria, neppure a confronto con l’eventualità di avere a considerarsi vivo.
Chiudendo per un istante gli occhi, Korl Jenn’gs cercò di concentrarsi a ricordare come fosse giunto sin lì. E ancor prima di potersi offrire una qualsiasi occasione di consapevolezza in tal senso, egli non mancò di tornare a guardarsi attorno, nel ravvisare di non avere la benché minima idea di dove fosse effettivamente il “lì” in questione.

“Dove diamine sono finito...?!”

Una domanda forse di minor importanza, soprattutto a confronto con gli interrogativi precedenti, e pur una domanda a confronto con la risposta alla quale anche gli interrogativi precedenti avrebbero potuto trovare una qualche risposta.
Korl Jenn’gs non era mai stato una persona di fede. Non laddove, in fondo, nessuno in quel dell’intero quarto pianeta del sistema binario di Fodrair avrebbe avuto a potersi considerare tale. Il progresso tecnologico aveva spazzato via antiche superstizioni religiose e di tutto ciò che, un tempo, era considerato fede era rimasto soltanto un ricordo lontano. Un ricordo che, allora, egli avrebbe desiderato non avere a riconoscere così lontano, laddove, all’occorrenza, avrebbe potuto offrirgli una qualche chiave di lettura nel merito di quanto lì stava accadendo. Perché se egli non era morto, ma, chiaramente, neppur vivo, doveva essere da qualche parte oltre il concetto stesso di vita, in un qualche bizzarro aldilà nel merito del quale, purtroppo, non avrebbe potuto vantare alcuna pregressa conoscenza, fosse anche e soltanto teorica.
Un aldilà, comunque, parecchio strano ed estremamente affollato, quello nel quale non poté mancare di notare essere, dall’aspetto simile a un’antica biblioteca, di quelle che ancora esistevano quando le informazioni si immagazzinavano nei libri cartacei anziché in versione elettronica; e una biblioteca, in effetti, parecchio lugubre. Non che, comunque, egli avrebbe potuto vantare esperienze pregresse in altre biblioteche, per poter esprimere un ponderato giudizio di merito a riguardo di quella in particolare: ciò non di meno, quel luogo sembrava uscito da un’opera dell’orrore... e non soltanto per gli inquilini di quel luogo, in condizioni, effettivamente, non migliori delle sue, ma anche, e soprattutto, per le proprie stesse forme, per i propri colori, in un terrificante sentore di morte che, avesse avuto ancora a doversi preoccupare della morte, non avrebbe ovviato a spaventarlo.

“... sono morto...”

Non più una domanda, ora, quanto e piuttosto un’affermazione. E un’affermazione che sorse nella sua mente insieme al ricordo di quando era stato inviato a tentare di fermare l’irruente aggressione condotta da una sola, singola donna umana, e una sola singola donna umana che, a gran voce, stava ricercando due bambini...

« Il mio nome è Midda Namile Bontor. E sto cercando due bambini. » parve riecheggiare allora la voce della donna nelle sue orecchie, quasi stesse ancor lì parlando benché, chiaramente, quello fosse soltanto un ricordo... e il ricordo dei propri ultimi istanti di vita « I loro nomi sono Tagae e Liagu: un maschietto e una femminuccia. Credo di età approssimativa fra gli otto e i dieci cicli. »

Midda Namile Bontor. Questo era il nome della donna che l’aveva ucciso. E Tagae e Liagu erano i nomi dei due bambini che ella stava cercando.
Perché mai stava cercando due bambini? E perché li stava cercando lì presso quella sede della Loor’Nos-Kahn, in quello che avrebbe avuto a doversi intendere semplicemente un polo di ricerca medica...?!

« Non mi interessa cosa avete fatto in passato a quei bambini, anche perché, in tal caso, mi sentirei costretta a uccidervi tutti uno a uno, in maniera estremamente lenta e particolarmente dolorosa. Quello che desidero è che, tuttavia, essi vengano consegnati alla mia custodia nei prossimi minuti… e che siano assolutamente illesi e in buona salute. O, comunque, varrà la minaccia di cui sopra… »

I ricordi erano ancora confusi. Ma risultava evidente quanto, allora, quella minaccia fosse stata tradotta in realtà, da parte di quella singola figura femminile, da parte di quella singola donna che aveva spazzato via la sua intera unità quasi avessero a considerarsi poco più che semplici insetti al proprio cospetto.

“Chi diamine è Midda Namile Bontor...?! Come può averci annientato tutti da sola...?!”

Ottime domande, le sue, a confronto con le quali avrebbe anche potuto desiderare sforzarsi maggiormente a ricordare il passato, a ricostruire i propri ultimi minuti di vita, per tentare di dare un senso a tutto quello, a dove fosse in quel momento e a cosa potesse stargli succedendo.
Ma prima che qualunque sforzo potesse essere speso in tal senso, i rossi capelli simili a fuoco e gli azzurri occhi simili a ghiaccio della propria assassina si ebbero a ripresentare inaspettatamente innanzi a lui, nelle sembianze di un’altra non morta!

martedì 29 settembre 2020

3414


Korl Jenn’gs non si era mai giudicato un cattivo ragazzo.
Non che egli potesse avere la benché minima consapevolezza nel merito del fatto che i cattivi ragazzi avessero a giudicarsi quanto tali. Anzi, egli era piuttosto certo che nessun cattivo ragazzo pensasse di essere cattivo, quanto e piuttosto avesse a intendere gli altri qual tali. Ma, forse sbagliando, egli non si era mai giudicato un cattivo ragazzo.
E non che egli fosse solito avere a giudicarsi un bravo ragazzo, nell’essere ben consapevole di quanto i bravi ragazzi, certamente, erano soliti agire in maniera probabilmente diversa rispetto a lui. Anzi, egli era piuttosto certo che qualunque bravo ragazzo non avrebbe esitato a considerarlo un cattivo ragazzo. Ma, forse sbagliando, egli non si era neppur mai giudicato un bravo ragazzo.
Dovendo esprimere un giudizio di merito a proprio riguardo, quindi, Korl Jenn’gs non si sarebbe mai sbilanciato, non nel bene, non nel male, nell’aver comunque ad ammettere ogni propria mancanza e, parimenti, nell’aver a riconoscere qualche proprio pregio, in un sostanziale equilibrio tale da spingerlo a giudicare se stesso nulla di più e nulla di meno se non un semplice essere umano, con tutti i propri limiti, con tutte le proprie mancanze e, ciò non di meno, con tutti i propri pregi, con tutti i propri punti di forza.
Fra i punti di forza di Korl Jenn’gs, certamente, uno avrebbe avuto a dover essere riconosciuto nella sua maniacale cura per la propria forma fisica, seriamente convinto della retorica utile a definire il corpo qual il tempio dello spirito e, in tal senso, desiderando offrire al proprio spirito il miglior tempio possibile. In questo egli non aveva mai perso occasione di impegnarsi in ogni qual genere di attività sportiva, mai a livelli agonistici e, ciò non di meno, certamente potendosi concedere di immaginare, senza neppure tanto particolare arroganza, qual più che meritevole di poter competere in qualunque genere di gara, senza in questo avere di che sfigurare.
E se, in tanta prestanza fisica, e in un fisico quindi più che scolpito, facile sarebbe stato poterlo ritenere uno sciocco contraddistinto da tanti muscoli a discapito di tanto poco cervello, Korl Jenn’gs non avrebbe avuto neppure a doversi fraintendere qual tale. Non laddove, fra i propri altri pregi, certamente un posto d’onore avrebbe avuto a doverlo ricoprire il suo intelletto, e quell’intelletto a confronto con il quale, in effetti, persino il suo fisico scolpito avrebbe avuto a poter essere spinto in secondo piano. E più che interessato a offrire maggiore possibilità alla propria mente che non al proprio corpo, egli non aveva avuto a negarsi la possibilità di porsi in giuoco da tale punto di vista. E di porsi in giuoco frequentando tutte le scuole e, addirittura, sospingendosi sino all’università.
Ma l’università, in quel della città di Thermora, fiero baluardo del progresso tecnologico del quarto pianeta del sistema binario di Fodrair, non avrebbe avuto a dover essere fraintesa alla portata di chiunque. E non per questioni di natura culturale, quanto e piuttosto, banalmente, di natura economica. E così anche un giovane come Korl Jenn’gs, il quale pur avrebbe avuto a dover essere riconosciuto, fra i più, qual assolutamente meritevole di avere occasione di frequentare l’università, per porre le basi, in essa, di un solido futuro; ove non fosse stato in grado di sostenere le ingenti spese universitarie, tanto in termini di retta, quant’anche in termini di annessi e connessi, non avrebbe potuto riservare il giusto spazio ai propri sogni. Sogni ai quali, comunque, Korl Jenn’gs non era disposto a rinunciare, motivo per il quale si sarebbe impegnato in ogni modo utile al fine di trovare di che finanziarsi gli studi.
E, fortunatamente per lui, o così, per lo meno, egli aveva avuto inizialmente a credere, questa occasione non aveva tardato a concretizzarsi. E a concretizzarsi con l’aiuto di una straordinaria organizzazione chiamata Loor’Nos-Kahn.
Per Korl Jenn’gs, la Loor’Nos-Kahn era stata interpretata, e non in maniera del tutto impropria, qual la più grande opportunità della propria vita, nel concedergli occasione di sfruttare il proprio corpo, quel mirabile tempio del proprio spirito, in un mezzo allor utile per l’accrescimento della propria mente, nel concedergli la speranza di una formazione che, altrimenti, gli sarebbe stata ineluttabilmente negata.
Ovviamente, dal basso della propria ingenua ignoranza, o della propria ignorante ingenuità, Korl Jenn’gs non si era sforzato di comprendere cosa potesse esservi dietro alla Loor’Nos-Kahn, e a quello spropositato livello di risorse: egli aveva accettato, semplicemente, che le cose avvenissero. E che, in cambio del proprio impegno come paramilitare all’intero di quella bizzarra organizzazione, egli sarebbe stato pagato un numero imbarazzante di crediti, in misura tale da non avere occasione di rifiutare simile opportunità.
Purtroppo raramente a confronto con una simile mancanza di comunicazione fra senso di realtà e coscienza, vi può essere occasione per un lieto fine. E, in tal senso, si era purtroppo evoluta anche la storia di Korl Jenn’gs, quand’egli, insieme a molti altri colleghi, si era ritrovato a essere travolto dall’irrefrenabile irruenza di una donna, e di una donna che, da sola, era stata in grado non soltanto a tener testa a tutti loro, lì presenti in un quantitativo terribilmente superiore, ma anche, e ancor peggio, di una donna che aveva agito non con l’intento di vincerli, quanto e piuttosto con quello di distruggerli, di annientarli, uccidendoli tutti e uccidendoli tutti senza dimostrare la benché minima esitazione, la benché minima pietà.
Un solo colpo di spada, un semplice montante, era stato sufficiente ad aprire il suo addome e a veder riversate le sue budella sul pavimento innanzi a lui. E nell’osservare, quasi senza comprendere, tanto disgustoso spettacolo, nauseato dallo stesso immondo odore delle proprie viscere sparse innanzi a lui, in quell’ultimo, e fugace barlume di coscienza prima dell’imperitura oscurità, egli era morto.
In tal maniera Korl Jenn’gs era morto. Stroncato nel pieno della propria gioventù da una sconosciuta antagonista. E da un’antagonista che, senza conoscerlo, e senza preoccuparsi di conoscerlo, aveva deciso che la sua vita non avesse significato alcuno.
Se Korl Jenn’gs avesse avuto occasione di maturare consapevolezza di essere morto, sicuramente ciò avrebbe avuto a dispiacergli. E a dispiacergli nella misura in cui non avrebbe avuto più possibilità di riabbracciare la propria non più giovane madre, o la propria sorella maggiore. Così come nella misura in cui non avrebbe potuto essere presente alla nascita del proprio nipotino, o negli anni della sua infanzia, più che desideroso di interpretare per lui il ruolo dello zio simpatico sempre pronto a strappargli una risata con la battuta giusta al momento giusto. O, anche, nella misura in cui egli non avrebbe mai potuto completare i propri studi, non avrebbe mai potuto riscattare il proprio futuro, e, magari, contribuire in maniera realmente positiva al progresso scientifico e tecnologico del proprio mondo, della propria civiltà, per così come, forse immodestamente, non avrebbe potuto mancare di sperare di avere occasione di compiere un giorno.
Fortunatamente, o sfortunatamente, per lui, non gli venne concessa opportunità alcuna di maturare consapevolezza nel merito della propria fine prima che questa fosse avvenuta. E, così, Korl Jenn’gs si era ritrovato morto a propria insaputa.
E forse fu per questa ragione che, nel momento in cui la propria coscienza tornò a collegarsi alla realtà a sé circostante in quella cupa biblioteca, egli non ebbe immediata occasione di comprendere cosa stesse accadendo o perché. Non che, in effetti, almeno nei primi minuti... anzi, nelle prime ore e, persino, nei primi giorni, ciò gli fu richiesto.
Quasi come se stesse sognando uno stranissimo sogno, o, più propriamente, un incubo, Korl Jenn’gs ebbe a ritrovarsi circondato da dozzine e dozzine, centinaia, forse migliaia, di altre persone, e di persone che, tuttavia, non stavano chiaramente bene. Non per così come avrebbero avuto a poter essere descritte quelle carcasse vagamente umane, e quelle carcasse, in taluni casi, caratterizzate da molta meno carne sulle proprie ossa rispetto a quanto non sarebbe stato ammissibile avesse a essere per un qualunque essere vivente.
Non che, almeno all’inizio, il terrificante vuoto caratterizzante il suo addome, e il suo addome squarciato e privo di viscere, avesse a potersi intendere particolarmente più edificante a livello psicologico, o trasparente di uno stato di buona salute...

lunedì 28 settembre 2020

3413


« E’ sicuramente una chiave di lettura degli eventi... » annuì Rín, senza escludere aprioristicamente quell’eventualità « Tuttavia, un’altra chiave di lettura potrebbe essere quella in cui, più di colpa, si abbia a parlare di merito. » soggiunse, accennando un lieve sorriso.
« ... merito?! » ripeté l’altra, per nulla convinta da quel tentativo chiaramente volto a tentare vanamente di rallegrarla « Francamente non vedo ragioni di merito. A meno che non voglia essere considerato un merito aver posto in pericolo il mondo intero ed essere stata la causa di altre decine di morti... » scosse il capo Midda, escludendo tale eventualità « Morti innocenti, uomini e donne di Lysiath che avrebbero continuato a vivere serenamente le proprie esistenze se soltanto non avessi creato tanto orrore... e tanto orrore che, giusto per non dimenticare, è ancora in giro per il mondo, destinato, potenzialmente, a miete nuove vittime, a creare nuovi morti. »

Impietosa verso di sé e verso le proprie colpe, la Figlia di Marr’Mahew non volle offrire ulteriore ascolto a quelle parole, non volle offrire ulteriore spazio di manovra a chi lì desiderosa, in qualche maniera, di assolverla là dove, al contrario, alcuna assoluzione, avrebbe avuto a doverle essere riservata, non per le proprie colpe passate e, ancor meno, per quelle presenti. In ciò, quindi, ella si levò in piedi, non potendo ovviare a un lieve momento di incertezza nei propri movimenti dopo tanto tempo lì ferma, e ciò non di meno non frenandosi, non offrendo la benché minima evidenza di volersi frenare, nell’intento di allontanarsi da lì, definendo in tal modo la conclusione di quel discorso, e di un discorso che, obiettivamente, non avrebbe potuto condurre a nulla di positivo, fosse anche e soltanto da un punto di vista puramente speculativo.

« Ho bisogno di andare in bagno... e di fare due passi per schiarirmi le idee. » annunciò all’interlocutrice e alle nipoti, a ovviare a fraintendimenti di sorta nei riguardi delle proprie intenzioni « Non voglio fuggire di nascosto, se è quello che state pensando: anche perché inizio a essere un po’ stanca e, forse, un’oretta di sonno potrei avere piacere a farla anche io. » soggiunse, in quieto riferimento a tutti coloro lì attorno che, nelle posizioni più improbabili, fra la tavola, le panche e il pavimento, stavano già dormendo da un po’.

E senza offrire ad alcuna la benché minima possibilità di aggiungere altro, ella si mosse a lasciare quel tavolo, e quel tavolo che, sull’esterno di un’osteria ormai chiusa, li aveva ospitati, e li stava ancora ospitando, da molte ore, per avere a dirigersi verso il porto, là dove, probabilmente, avrebbe avuto occasione di incrociare i pescatori di ritorno con il pescato per il giorno che, presto, avrebbe avuto inizio.
Così, sforzandosi di celare una certa contrarietà a confronto con l’ostinazione di quella versione invecchiata della propria gemella, Nóirín rimase sola con le quelle due ragazzine che, in qualche misura, avrebbe avuto a poter intendere qual proprie figlie, non potendo fare a meno di contemplarle e domandarsi se davvero, in un qualche futuro, ella avrebbe potuto essere madre, ed essere madre di due fanciulle simili. Fanciulle le quali, non meno contrariate rispetto a lei per la rapida ritirata della propria zia, restarono per un lungo momento in silenzio, prima di decidere di provare a proseguire il discorso con lei.

« Quindi la donna contro cui avete combattuto a Lysiath non è realmente nostra madre... » sottolineò Namile, a cercare di trarre le somme del discorso almeno nella parte di loro più stretta pertinenza.
« Non lo posso sapere per certo... anche perché la questione scadrebbe molto facilmente nel filosofico. » scosse il capo l’altra, escludendo di possedere una qualunque verità, o anche solo certezza, a tal proposito « Chi siamo noi, veramente? Cosa definisce la nostra identità...?! » proseguì, a rendere più comprensibile il proprio punto di vista a tal riguardo « Se ci limitiamo a considerare la carne dei nostri corpi, è ovvio che quella non sia vostra madre: vostra madre è stata cremata, come consuetudine in questo mondo, proprio al solo fine di ovviare alla possibilità di un suo ritorno. Ma in tal caso, né Anmel Mal Toise, né Desmair, né altri similari personaggi, avrebbero avuto a dover essere riconosciuti un problema dopo la morte dei loro corpi... benché, in effetti, lo siano stati forse e probabilmente maggiormente dopo tale evento rispetto a quanto non lo fossero mai stati prima. »
« Quindi è una questione di anima...? » suggerì Mera Ronae, cercando di seguire il senso di quel discorso, e di quel discorso non facile, soprattutto ove condotto a quell’ora del mattino.
« Potrebbe essere... credendo, per l’appunto, a un concetto di spirito immortale, trascendente la caducità della carne. » confermò stringendosi appena fra le spalle, salvo, tuttavia, poi soggiungere « E, in tal senso, ancora una volta, potreste essere spinte a credere che non vi sia alcuna possibilità che quella donna sia vostra madre, a meno di non supporre che secondo-fra-tre, tramite Midda, abbia trasceso i confini della vita e della morte, e abbia concesso a quei corpi redivivi di riottenere i rispettivi spiriti, prendendoli ovunque essi fossero andanti a finire. » rifletté, ad alta voce, in quella che avrebbe avuto a dover essere intesa più qual una vera propria argomentazione, ancor prima che una conclusione « Ma anche in questo caso potremmo avere dei problemi per coloro i quali sono morti e poi tornati in vita senza interventi magici di sorta... come, per esempio, Be’Sihl, riportato in vita dalla tecnologia della Sezione I: Be’Sihl, in tal senso, avrebbe a doversi intendere morto...? Oppure esistono dei tempi critici oltre i quali un morto fisico ha a doversi riconoscere irrecuperabile anche dal punto di vista dello spirito?! »
« D’accordo. Credo che abbiamo capito perché dici che non puoi saperlo di certo... » sospirò Namile, quietamente arrendendosi a confronto con tutto ciò.
« Per quanto tutto suggerisca che ella non sia nostra madre, non c’è pur nulla che lo escluda. » annuì Mera Ronae, accodandosi alla quieta arrendevolezza della propria gemella.

Un fugace momento di silenzio ebbe a calare fra le sole tre interlocutrici rimaste, prima che Rín avesse di nuovo a riprendere voce, non riuscendo a ovviare a esprimere ancora un proprio pensiero a tal riguardo, e un pensiero che non avrebbe potuto negare a quelle due figlie soltanto desiderose di avere la speranza di abbracciare, ancora una volta, la loro perduta madre, ben comprendendone il dolore, in quanto, dopotutto, non diverso dal proprio, e da quel dolore per la tragica scomparsa della propria genitrice, che a distanza di tanti anni, lustri addirittura, non aveva ancor trovato reale possibilità di quiete, nell’esser mancato, tanto a lei quanto a Maddie, una vera possibilità di dire addio alla loro genitrice.

« Per quello che può valere, io credo che, anche in questo caso, tutto dipenda da vostra zia Midda e dalla sua volontà, dal suo desiderio a tal riguardo. » specificò, accennando un lieve sorriso « Ove ella avesse a vedere nei ritornati soltanto delle pallide imitazioni di coloro i quali sono stati un tempo, in quanto Portatrice di Luce, e loro sostanziale creatrice, essi nulla potrebbero mai essere se non delle pallide imitazioni di coloro i quali sono stati un tempo. » ammise, storcendo appena le labbra verso il basso, in quella negativa chiave di lettura « Ma ove, al contrario, ella avesse a intenderli quali, in tutto e per tutto, coloro contro i quali ha combattuto e vinto nel corso della propria vita... beh... nulla avrà a negare loro di esserlo, con buona pace dell’irreversibilità della morte. »
« E tu pensi che zia Midda possa veramente desiderare che tutti coloro contro cui ha combattuto e vinto nel corso della propria esistenza abbiano a essere nuovamente in circolazione, in una versione immortale di se stessi...?! » obiettò tuttavia Mera Ronae, non potendo vantare una simile, intima conoscenza con la loro zietta per escluderlo e, ciò non di meno, non avendo neppure ragioni per considerarlo fattibile.

E se, sino a quel momento, Nóirín Mont-d'Orb si era prodigata in pure e semplici elucubrazioni ad alta voce, un esercizio di pura logica speculativa, fondamentalmente priva di qualunque possibilità di conferma o di diniego; nel trovarsi a confronto con quell’interrogativo, e nel poter vantare di conoscere Midda Bontor per così come pur l’aveva imparata a conoscere da relativamente poco, sebbene forse in uno di quei pochi momenti veramente chiave della propria esistenza, ella non poté avere esitazioni di sorta nel rispondere, e nel rispondere non per offrire sfogo a una propria personale fantasia, a un proprio pensiero o a una propria deduzione, quanto e piuttosto a un’opinione ferma e irremovibile, per così come, forse, su null’altro avrebbe potuto dirsi a riguardo di quella tanto complessa donna, di quella così straordinaria, e crucciata, leggenda vivente.
Se le avessero domandato se pensava che il cielo fosse azzurro e il mare blu; che il sole fosse caldo e le stelle fossero numerose; ella avrebbe lì risposto con la medesima certezza che ebbe a contraddistinguere quelle parole, quell’opinione. E una certezza che, malgrado tutta la stanchezza accumulata, ebbe a risuonare ben riconoscibile nella sua voce, quasi riecheggiando nella frizzantina aria di quella nuova mattina...

« Io credo che Midda Namile Bontor non potrebbe desiderare nulla di diverso da tutto ciò. » confermò quindi, con espressione seria e composta, priva di sorrisi che avrebbero potuto lasciar fraintendere l’assoluta fermezza del proprio spirito in quel momento, a confronto con quella domanda « E credo che quanto più la stia disturbando sia la quieta consapevolezza di ciò. La quieta consapevolezza di quanto, pur non potendo fare a meno di rimproverarsi per le tragiche morti occorse, ella non possa essere meno che felice per tutto ciò. E per, anche senza un reale controllo sui modi e sui tempi, essere riuscita, in tal maniera, ad alleggerire il proprio animo dal peso di tutti i morti accumulati sulle proprie spalle sino a oggi, e tutti quei morti che la stavano psicologicamente opprimendo nel terrore di aversi a dover riconoscere qual una perfetta Oscura Mietitrice. » spiegò, decidendo di parlare in maniera più franca possibile con quelle ragazze, per quanto la loro ancor giovine età avrebbe potuto forse rendere incapaci di apprezzare, veramente, il senso di tutto ciò, per così come, fra non meno di una decina d’anni, sarebbero state altresì in grado di comprendere appieno « E credo che, fra tutte le persone il sangue delle quali ella era solita riconoscere intridere le proprie mani, quello di sua sorella Nissa, di vostra madre, fosse quello che più le pesava, che più la turbava... nella stessa misura nella quale, quindi, ora non potrebbe che essere più che felice del suo ritorno alla vita. Per quanto, comunque, ciò non possa ovviare a rappresentare una terrificante minaccia su chiunque le sia vicino, su chiunque ella ami, motivo per il quale non potrebbe essere in alcun modo capace di accettare da parte propria tanta gioia, tanta felicità qual quella che, pur, non può, certamente, ovviare a provare nel profondo del proprio cuore, della propria mente e del proprio animo. »

domenica 27 settembre 2020

3412


« Forse non ho capito… ma stai dicendo che, se soltanto io mi fossi convinta che quelle creature non dovevano esistere, esse sarebbero scomparse?! » contestò Midda Bontor, intimamente rabbrividendo a tale prospettiva e a una prospettiva utile a imporle, ove possibile, un senso di colpa ancor maggiore rispetto a quello che già la stava intimamente opprimendo.
« Non sono certa di un tanto subitaneo rapporto di causa ed effetto. » ribadì l’altra, escludendo la possibilità, per quella sua analisi, di poter essere intesa qual assoluta « Ciò non di meno, credo proprio che vi sia stata, e ancora vi sia anche in questo momento, una certa correlazione fra la tua percezione di quelle creature e la loro stato d’essere. » puntualizzò, a non rinnegare, tuttavia, quanto appena dichiarato « Se partiamo dal presupposto che, in quanto Portatrice di Luce, e di Oscura Mietitrice, tuo sia il potere di creare e il potere di distruggere, ineluttabile non può che esser intesa una correlazione fra l’intenzione desiderata e l’effetto prodotto: se per chiunque la realtà è diversa dalla percezione della stessa, per te, e per quanto, da te, viene reso realtà, la realtà è tale soltanto entro i limiti della percezione della stessa… nel bene, così come nel male. »
« Secondo-fra-tre ti ha imposto di vivere quell’esperienza come un incubo… e come un incubo tu l’hai vissuta, elaborandola nel peggiore dei modi possibili e creando degli avversari perfetti contro i quali non avresti mai potuto vincere. Avversari perfetti, oltretutto, guidati dalla tua nemica per eccellenza: nostra madre! » annuì Namile, dimostrando di star seguendo il ragionamento di Nóirín, e di star riuscendo a comprenderlo « Tutto ciò che di peggio la tua mente avrebbe potuto tradurre in realtà è stato, effettivamente, tradotto in realtà. E, in questo, nostra madre si è presentata come l’incarnazione più sfrenata di tutto ciò che di negativo avresti mai potuto attenderti da parte sua… fino, addirittura, a offrirsi qual una folle esaltata desiderosa di sterminare il mondo intero pur di trovare il modo di farti soffrire. »
« Esattamente. » confermò Rín, più che lieta che le proprie parole stessero venendo comprese e non avessero ad apparire solamente qual un qualche, folle, delirio « E nella stessa misura in cui tu l’hai immaginata capace di compiere ogni cosa, ella si è offerta allor in grado di compiere ogni cosa, finanche a sottomettere tutte quelle creature mitologiche da te tanto faticosamente abbattute nel corso della tua vita. »
« Ma, anche ammesso, e non concesso, che le cose siano andate così… perché diamine, alla fine, la situazione è mutata, ed è mutata così repentinamente?! » esitò la Figlia di Marr’Mahew, ancora non riuscendo a comprendere il senso di quella particolare dinamica.
« Forse perché, alla fine, nel vederci comparire e nel vederti condotte quelle stesse armi verso le quali tanta fiducia avevi riposto, hai iniziato a recuperare quel minimo di speranza utile a pensare che le cose sarebbero potute andare diversamente. » si strinse fra le spalle Rín, ancora una volta incapace a offrire verità assolute e, ciò non di meno, fiduciosa di non essere poi tanto distante da esse, nel star offrendo, in termini forse impropri, una certa logica nel merito di quanto accaduto « Hai voluto credere che quelle armi avrebbero avuto la possibilità di abbattere i tuoi nemici… e quelle armi hanno abbattuto i tuoi nemici. Hai voluto credere che, malgrado un numero di colpi insufficiente a tenere testa a un esercito tanto vasto, la platealità delle prime uccisioni sarebbe stata sufficiente a costringere i tuoi nemici a ritornare sui propri passi… e la platealità delle prime uccisioni ha costretto i tuoi nemici a ritornare sui propri passi. E, innanzi a tutto ciò, hai avuto dubbi sulla capacità di Nissa di essere in grado di imporre il proprio volere su tutti i ritornati, a partire dai mostri mitologici via via allargandosi a tutti gli altri… e Nissa non è più stata in grado di imporre il proprio volere su tutti i ritornati, a partire dai mostri mitologici. »

Il percorso mentale seguito da Nóirín Mont-d'Orb, e in quelle parole allor espresso, non ebbe a negarsi un certo fascino e un indubbio raziocinio, nel dimostrarsi allor in grado di giustificare quanto altresì ingiustificabile, incominciando proprio da quella vittoria, e da quella vittoria occorsa in maniera comunque troppo repentina, e troppo semplicistica, per poter essere accettata qual concreta. Ciò non di meno, per Midda, accettare la verità di quelle parole sarebbe equivalso a dover anche ammettere quanto, sino a quel momento, aveva cercato di ignorare, o, comunque, di minimizzare nel proprio valore, nella propria importanza: il reale significato della propria successione ad Anmel Mal Toise qual nuova regina, e qual nuova Portatrice di Luce nonché Oscura Mietitrice.
Nei primi giorni di quella nuova fase della propria vita, ella non aveva potuto ovviare a reagire in maniera decisamente spaventata a confronto con tutto ciò: l’idea dello smisurato potere del quale si era ritrovata improvvisamente, e anche abbastanza inconsciamente, detentrice, non avrebbero potuto mancare di intimorirla, nella consapevolezza di non aver a poter riconoscere la propria vita qual degna del titolo di Portatrice di Luce, e nel timore, in effetti, di aversi a dover identificare, proprio malgrado, qual l’Oscura Mietitrice. In ciò, ella non avrebbe potuto ovviare al domandarsi quanto, in effetti, non sarebbe potuto essere meglio, per tutto il Creato, che ella avesse a sparire dalla circolazione, esiliandosi da tutto e da tutti: un pensiero, in effetti, che non aveva cessato di accompagnarla anche nei tempi precedenti e anche, e soltanto, poco prima dell’inizio di tutto ciò, quando già, in effetti, si era riservata qualche personalissima elucubrazione sulla possibilità di richiamare in vita la propria gemella Nissa, allo scopo di poterla restituire alle proprie figlie e, in tal senso, di poter in qualche modo espiare quel senso di colpa che non avrebbe potuto ovviare a considerare qual proprio in conseguenza a quanto accaduto nelle loro vite, sin da quel lontano giorno in cui, ancora bambina, decise di lasciare la propria casa natale, per spingersi alla scoperta del mondo esistente oltre i confini della piccola Licsia.
A contrastare tanto potenzialmente autodistruttive iniziative, tuttavia, aveva avuto ruolo, tanto in quei primi giorni, come in momenti decisamente più recenti, la presenza al suo fianco di quella coppia di amiche sororali capaci di intervenire sempre al momento giusto, e sempre con la frase giusta, per frenarla o per spronarla, per imporle di rallentare o di accelerare quando più opportuno, al fine di riuscire, sempre e comunque, a restare fedele a se stessa in una situazione nella quale ella non avrebbe più saputo, in fede, descrivere chi o che cosa fosse Midda Bontor. Duva e Lys’sh, in tal senso, erano divenute una parte irrinunciabile della sua esistenza, al pari di Be’Sihl o dei suoi figlioletti, Tagae e Liagu, e forse, e persino, in misura maggiore, laddove utili a permetterle di mantenere un qualche controllo sulla propria bussola interiore e, in ciò, di non smarrirsi dell’infinito di ciò che le stava accadendo e di ciò che, proprio malgrado, ella era diventata, ed era diventata per riuscire a segnare la fine del proprio altresì interminabile confronto con Anmel Mal Toise.
Ma se, in grazia alla presenza di Duva e di Lys’sh, ella si era allor illusa di poter mantenere sotto controllo quella nuova fase della propria vita, quella propria nuova quotidianità, accadimenti come quello, a confronto di analisi razionali e condivisibili qual quella lì scandita da Rín, non avrebbero potuto ovviare ad abbatterla psicologicamente, facendole dubitare fortemente di sé, di quanto allor stava compiendo, di come allor lo stava compiendo e, ancora, di quante, effettive, possibilità ella avrebbe potuto avere a confronto con la speranza di non trasformarsi in una vera e propria condanna per il mondo, e una condanna innanzi alla quale persino il leggendario nome di Anmel Mal Toise avrebbe avuto a perdere valore.

« E’ tutta colpa mia… » concluse pertanto, offrendo una definitiva chiave di lettura a quanto asserito da Nóirín, senza una qualche volontà di vittimismo e, anzi, nell’avere lì, piuttosto, a riconoscersi qual carnefice.

Una carnefice non soltanto colpevole di tutti i morti lì riportati in vita. E non soltanto colpevole di averli ripotati in vita. Ma anche, e peggio, responsabile di tutte le vite che quei non morti avevano preteso in quei giorni di battaglia, e di tutte quelle vite in tal maniera tragicamente spezzate in sol conseguenza alla propria più stolida incapacità a controllare i propri poteri e le conseguenze nell’impego degli stessi.

sabato 26 settembre 2020

3411


« E’ solo una teoria… » ripeté e sottolineo Rín, a scanso di equivoci di sorta « Ma… » esito, quasi avesse a doversi intendere incerta fra proseguire o meno in tal senso « Come hai giustamente spiegato, tutto ha avuto origine da un incubo. E un incubo che, come suggerito da Bob… »
« … chi è Bob…?! » la interruppe Mera Ronae, aggrottando appena la fronte nel confronto con quel suono, e quel suono che probabilmente avrebbe avuto a doversi intendere qual corrispondente a un nome, seppur al nome più strano che mai avrebbe potuto immaginare esistere.
« Ah, sì. Scusate. » sorrise verso le due gemelle, dando per scontato quel dettaglio, nel mentre in cui, in effetti, era ovviamente stato omesso dal necessariamente sintetico riassunto proposto sino a quel momento da Midda « “Bob” è il nome con il quale mi sono permessa, qualche tempo fa, di avere a ribattezzare il secondo-fra-tre al servizio di Midda, allo scopo di essere facilitata nel distinguerlo, psicologicamente, dall’altro secondo-fra-tre, e quello al servizio della Anmel Mal Toise alla quale mia sorella sta dando la caccia sin dalla nostra dimensione. »

Mera Ronae e Namile, necessariamente stanche per la lunga, lunghissima giornata trascorsa ad ascoltare tutta la narrazione offerta dalla zia, non erano certissime di aver compreso la questione del multiverso: l’idea che potessero esistere infinite versioni della loro realtà, alcune estremamente simili, altre estremamente diverse dalla loro, era qualcosa non poi così semplice da digerire, nel confronto con la concezione della realtà con la quale erano cresciute; per quanto la semplice esistenza in vita, innanzi ai loro sguardi, di Maddie e di Rín avrebbe avuto a doversi intendere la riprova più palese di quanto ciò avesse a dover essere inteso reale, e reale non meno della terra sotto ai loro piedi o del cielo sopra le loro teste.
Così, con un non semplice sforzo di concentrazione, soprattutto in conseguenza alla stanchezza accumulata, le due giovani fanciulle si impegnarono a ricordarsi quanto era stato loro da poco raccontato, in merito alla morte, o comunque nella fine, se di morte non si fosse potuto effettivamente parlare, della Anmel Mal Toise causa principale della tragica e prematura scomparsa della loro genitrice, oltre che del loro fratello maggiore; nonché in merito all’esistenza di una seconda Anmel Mal Toise, a cui Maddie stava dando ormai la caccia da anni, sopraggiunta da tempo nella loro dimensione, anch’essa dotata di propri poteri, di proprie risorse e, soprattutto, di un vicario, secondo-fra-tre, in grado di operare all’interno del tempo del sogno. Un vicario allor ben distinto da un altro secondo-fra-tre, e un secondo-fra-tre che, al contrario, avrebbe avuto a doversi intendere al servizio della loro stessa zia sin dal momento in cui ella aveva accettato l’oneroso carico del retaggio della stessa Anmel Mal Toise, qual nuova Portatrice di Luce e qual nuova Oscura Mietitrice… Bob, per l’appunto.

« D’accordo. Bob è quello… buono. » annuì Namile, a confermare quanto avessero ritrovato il senso del discorso.
« Non credo che “buono” e “cattivo” siano termini attribuibili ai vicari. Non laddove, in fondo, altro non sono apparsi, a oggi, se non quali espressioni della volontà della loro regina. » ponderò Rín, forse più rivolta a se stessa che alle gemelle « Tuttavia sì, possiamo anche dire così, laddove, in fondo, Midda non ha certo a dover essere fraintesa qual la cattiva della storia… »

E per quanto la stessa Ucciditrice di Dei non avrebbe avuto a doversi fraintendere effettivamente sicura di ciò, non dal momento in cui, in fondo, il suo buon carico di colpe non avrebbe potuto ovviare a gravare sul suo animo; ella decise di soprassedere, almeno per il momento, nel merito di quella definizione, se non per qualcosa, quantomeno per non avere a interrompere, nuovamente, quanto Nóirín stava cercando di esprimere.

« … comunque… cosa stavo dicendo…?! » esitò Rín, evidentemente iniziando ad accusare a sua volta un po’ di stanchezza, se non fisica, quantomeno mentale, a confronto con quella lunga, lunghissima notte di chiacchiere, e con non poco sonno arretrato che ancor avrebbe meritato, da lei, maggiore attenzione « Ah, sì! » ritrovò autonomamente il filo del discorso, annuendo appena « Come giustamente Midda ha spiegato, tutto ha avuto origine da un incubo. E un incubo che, come suggerito da Bob, è stato orchestrato nel tempo del sogno da parte di secondo-fra-tre… quello “cattivo”. » puntualizzò a beneficio delle gemelle « In buona sostanza, quindi, almeno all’inizio, nulla di tutto ciò che è sbucato fuori dalla Biblioteca di Lysiath… e neppure la Biblioteca stessa, avrebbe avuto a doversi considerare riferibile alla realtà di un tempo, quanto e solamente a quell’incubo, in una versione obiettivamente distorta della realtà se non, addirittura, di un più o meno effimero ricordo della realtà stessa. »
« Aspetta… » esitò Midda, non potendo negarsi una certa confusione a tal riguardo e, in ciò, non immaginando quanto poco potessero star comprendendo le proprie nipoti « … potresti riformulare?! »
« Secondo-fra-tre ha attinto ai tuoi ricordi per plasmare un incubo perfetto, e un incubo popolato da un’orrida versione zombie, e neppur “normale”, di tutti coloro che hai affrontato e ucciso nel corso della tua lunga e avventurosa esistenza. » tentò di argomentare in maniera diversa « Ma nulla di tutto ciò avrebbe avuto a potersi fraintendere reale… non più di quanto reale non avrebbe potuto essere quell’incubo stesso, almeno fino a quando, involontariamente, i tuoi poteri di Portatrice di Luce non lo hanno reso tale. »
« Forse ho capito quello che stai cercando di dire! » esclamò Namile,  confermando di averne compreso il senso « E’ come quello che ci ha raccontato zia Midda riguardo alla rinascita dei Progenitori: quelli da lei creati non avrebbero potuto essere fraintesi qual i reali Progenitori, quanto e piuttosto qual una più o meno approssimativa reinterpretazione degli stessi a partire dai ricordi dell’unico fra loro sopravvissuto. Giusto?! »
« Esattamente. Se nonché, in questo caso, il secondo-fra-tre “cattivo”, a differenza di Bob, non si è impegnato a plasmare una più o meno credibile interpretazione della verità, quanto e piuttosto un incubo… con tutte le proprie assurdità! » annuì l’altra, confermando tale chiave di lettura « E così ecco un’esaltata Nissa Bontor animata dal sol desiderio di distruggere ogni cosa attorno alla propria gemella. E posta a capo di un’intera nazione di non morti, umani e non. »
« Ma anche ammesso e non concesso che tu abbia ragione… perché, così improvvisamente, tutto è cambiato? » domandò la Figlia di Marr’Mahew, trovando sensata quell’interpretazione degli eventi, benché ancora molti avrebbero a dover essere riconosciuti i punti poco chiari « A maggior ragione, là dove sono stati creati al solo scopo di servire Nissa, quegli uomini, quelle donne e quei mostri non avrebbero mai potuto sottrarsi all’influenza di Nissa. » scosse il capo, ancor per nulla convinta di aver potuto porre la parola fine a quella battaglia così facilmente.
« E così sarebbe stato se non fossi stata tu ad aver cambiato idea a tal riguardo! » annuì l’altra, nulla negando nel merito di quanto da lei così contro-argomentato e, ciò non di meno, nulla volendo ritrattare nel merito della propria idea « Perché, in fondo, tu sei la Portatrice di Luce. E tua e solo tua avrebbe avuto a doversi intendere la responsabilità della concretizzazione di quell’incubo, secondo la tua personale chiave di lettura attorno allo stesso. E nel momento in cui tu ti sei iniziata a convincere dell’assurdità di tutto quello, del fatto che i mostri mitologici avessero a ubbidire a chicchessia,  o che tutti quegli uomini e quelle donne potessero provare rispetto e fiducia indiscussa per tua sorella, quando all’occorrenza non avrebbero neppur dovuto sapere chi diamine ella fosse. »

Un discorso, quello così proposto da Rín, che non avrebbe potuto essere semplificato o banalizzato nelle proprie chiavi di lettura. E, ciò non di meno, un discorso che non avrebbe voluto neppur ignorare la necessità della ricerca di una qualche logica in quanto accaduto, anche ove, sino a quel momento, affrontato con un pragmatico disinteresse.

venerdì 25 settembre 2020

3410


Riassumere gli accadimenti propri di più di un lustro di vita e, in particolare, di quegli ultimi giorni, non avrebbe avuto a dover essere considerato qualcosa di immediato. Ragione per la quale, a posteriori, il tempo che i due gruppi di ritrovati amici, e non solo, ebbero a passare insieme per permettere loro di ragguagliarsi a vicenda ebbe a doversi conteggiare in ore. E, in effetti, in un pomeriggio intero, in una sera, e in gran parte della notte, in misura tale per cui, ora della fine, ancora realmente coscienti e attivi in quel dialogo avrebbero avuto a doversi intendere essere soltanto Midda Bontor, le sue due nipoti Mera Ronae e Namile, nonché Rín, quest’ultima, in effetti, motivata dal desiderio di essere ragguagliata nel merito di quanto non aveva avuto occasione di vivere in maniera conscia, l’epilogo di quella storia di cui ella, in buona sostanza, era stata fra le principali protagoniste e che, proprio malgrado, si era riuscita comunque a perdere.

« Duva, Lys’sh e io eravamo ben coscienti di quanto, purtroppo, le batterie delle nostre armi non sarebbero mai state sufficienti per opporsi a quella smisurata massa di non morti. Ma, comunque, speravamo che la nostra messinscena reggesse e che, in tal senso, i nostri antagonisti avessero a temere l’annichilimento totale, in misura utile a rinunciare ai propri propositi più distruttivi. » stava ancor raccontando la Figlia di Marr’Mahew, quando ormai i primi raggi di un nuovo sole iniziarono a rischiarare il profilo dell’orizzonte orientale « In questo eravamo anche coscienti di dover giocare bene le nostre poche carte... e di doverle giocare a discapito di avversari così imponenti da non lasciare dubbio alcuno nel merito dell’efficacia di tali armi. Efficacia, sia chiaro, del tutto da dimostrare nel confronto con simili creature. »
« Così, dopo aver tradotto in polvere un dragone bicefalo, un ciclope e un tifone, abbiamo indubbiamente attratto l’attenzione dei presenti, ottenendo il loro interesse, se pur non nei termini che avevamo sperato. » puntualizzò proseguendo « Non avevamo messo in considerazione, nell’agire in tal maniera, quanto fra le schiere dei nemici fuoriusciti dalla Biblioteca di Lysiath potesse esservi anche chi ben in grado di riconoscere quelle armi, di comprendere quella tecnologia. E, in questo, il timore che la consapevolezza del nostro azzardo potesse vanificare ogni sforzo non poté che imporsi, per un fugace momento, su tutte noi. »
« Fortunatamente qualcosa doveva essersi scosso nelle coscienze di quegli uomini e in quelle donne... » proseguì, aggrottando la fronte con aria ancor incerta nel merito del perché ciò fosse allor accaduto « ... e non chiedetemi cosa. » precisò, escludendo la possibilità di offrire una qualunque teoria a tal riguardo « Ciò non di meno, allorché sfruttare la conoscenza in loro possesso per avere a ravvivare l’ardore guerriero nei propri compagni, questi hanno allora iniziato a porre in dubbio l’effettivo senso di tutto ciò, tutt’altro che desiderosi di avere a rischiare il proprio futuro dietro a una causa non meglio compresa. »
« Un’incertezza chiaramente contagiosa, ove, in maniera del tutto inattesa e imprevedibile, ha contagiato per prime le creature mitologiche lì presenti. E, poi, anche tutti gli altri, costringendoli a fare i conti con una risvegliata coscienza, e una coscienza che, improvvisamente, non avrebbe più avuto a dover considerare positivo lo sterminio di tutte le forme di vita del pianeta. » continuò nella propria esposizione, dopo aver sorseggiato un altro goccio d’acqua dal proprio bicchiere, e quel bicchiere che, nel corso di quel lungo resoconto, aveva avuto già occasione di riempire almeno un centinaio di volte « E in termini decisamente più rapidi rispetto a quanto mai avremmo potuto sperare o immaginare possibile... la battaglia ha avuto fine! »
« E nostra madre...?! » domandò Namile, con obbligata curiosità, e una curiosità che era pur riuscita a trattenere sino a quel momento, laddove, in effetti, quell’interrogativo aveva avuto a sorgere nel suo cuore sin dal momento stesso in cui la zia aveva loro riferito del ritorno alla vita, o a qualcosa di assimilabile a essa, della perduta figura materna.
« Non l’ho più rivista. » negò tuttavia Midda, scuotendo appena il capo con aria dispiaciuta, e dispiaciuta non soltanto per le nipoti, ma anche per se stessa, nell’aver sinceramente sperato di poter ritrovare la propria gemella se pur non per le medesime intenzioni che, probabilmente, stavano lì animando le sue nipoti.

Dopo quanto accaduto, infatti, la donna guerriero dagli occhi color del ghiaccio e dai capelli color del fuoco non avrebbe potuto riservarsi dubbio alcuno sulla necessità di impiegare ogni colpo di plasma ancora in loro possesso per estinguere, definitivamente, quella distorta versione della propria gemella dalla faccia del pianeta. Perché se folle Nissa era stata in vita, lasciandosi dominare dal proprio odio e dalla propria brama di vendetta; ancor peggiore si era chiaramente presentata da morta, ebbra dell’insano potere concessole dalla propria immortalità e da un’ancor non meglio spiegata influenza su tutte le figure lì presenti, soprattutto sui mostri. E una simile minaccia, e una minaccia così chiaramente motivata non soltanto in suo contrasto, ma in contrasto al mondo intero, non avrebbe potuto essere tollerata... non, soprattutto, nel non poter dimenticare quanto la responsabilità della stessa avesse a dover ricadere su di lei.
In fondo, ogni morto di quella battaglia, ogni vittima di Lysiath, non avrebbe potuto mancare di pesare sulla coscienza della loro supposta Campionessa quasi fossero state mietute da lei stessa, in quanto tragiche conseguenze del proprio potere, e di quel potere da lei ancor lontano dal potersi considerare dominato.

« Probabilmente sarà riuscita a sfuggire nella confusione di quel momento. » soggiunse, a non offrire una tanto scarna risposta alle proprie nipoti « Dopotutto la battaglia era assurdamente perduta... e il rischio di poter essere catturata dagli stessi che, poco prima, la stavano seguendo fedelmente, per offrirla qual segno di buona volontà, non avrebbe avuto a dover essere frainteso qual puramente ideale. Anzi. »
« Quindi nostra madre è ancora viva... o non morta... comunque cosciente di sé e di ogni cosa. » osservò Mera Ronae, cercando conferma nel merito di quanto da lei così inteso.
« Che sia vostra madre... non ve lo posso assicurare. Così come non ho certezza nel merito di alcuno di coloro che sono ritornati. » suggerì tuttavia la donna, accennando nuovamente a scuotere leggermente il capo « E, francamente, a confronto con la follia di questi ultimi giorni, non saprei francamente neppure cosa poter sperare. »

A prendere voce, allora, fu forse colei che meno ragioni avrebbe avuto per esprimersi a tal riguardo o che, parimenti, forse più ragioni di chiunque altro avrebbe potuto vantare, nell’essere, in fondo, una versione alternativa della donna in questione, e di quella donna che, obiettivamente, non amava avere a dover ritenere irrecuperabilmente malvagia per così come, sicuramente, Midda era costretta a percepirla...
... non laddove, in caso contrario, parte di quella folle empietà avrebbe avuto a poter essere annidata anche in lei,  e in lei che, francamente, non avrebbe mai voluto prendere in esame una tale ipotesi.

« Perdonate se mi intrometto... » esordì Nóirín Mont-d'Orb, verso la versione alternativa della propria gemella e quelle proprie possibili figlie, o, quantomeno, quelle versioni alternative di una possibile coppia di proprie figlie « ... ma, forse, ho una teoria nel merito di quello che è accaduto. E nel merito dell’effettiva natura dei ritornati. » suggerì, con un lieve, e quasi imbarazzato sorriso, ben conscia di non poter vantare alcuna particolare certezza a tal riguardo, e, ciò non di meno, nel non voler mancare di condividere quel pensiero con loro, e in particolare con Midda, a cercare di meglio giustificare quanto accaduto.

E la Figlia di Marr’Mahew, che aveva imparato, in quegli ultimi mesi, a ben rispettare le teorie formulate da Rín, generalmente mai del tutto prive di fondamento, volse immediatamente lo sguardo verso di lei, a dimostrarsi più che mentalmente aperta a qualunque ipotesi e, in particolare, a qualunque ipotesi che ella avrebbe potuto valutare allor possibile.

« Ti ascoltiamo. » la invitò quindi a proseguire, certa che anche le due nipoti sarebbero state più che interessate a tal riguardo, soprattutto ove ciò avrebbe potuto offrire loro una qualche chiave di lettura nel merito della sorte della loro genitrice, e di quella genitrice alla quale, obiettivamente, avrebbero avuto a doversi riconoscere legate da autentico amore filiale.

giovedì 24 settembre 2020

3409


« Bambini... state buoni! » li redarguì M’Eu, levando gli occhi al cielo a confronto con l’ennesimo battibecco « Per Midda è un momento importante... »
« ... e non soltanto per lei. » soggiunse H’Anel, appoggiando la posizione del fratello, nel proiettare, al pari di lui, le proprie emozioni e i propri sentimenti su quel momento, quasi potesse essere loro lì concessa l’occasione, ancora in fanciullezza, di aver a rincontrare Midda e, magari, di sperare di poter crescere accanto a lei, con lei come madre.

A dispetto delle dolci illusioni di H’Anel e M’Eu, figli di Ebano, sinceramente affezionati a Midda nella misura tale per cui, paradossalmente, la di lei scelta di mantenersi lontana da loro per ovviare a influenzarli negativamente, ispirandoli a seguirla in quel cammino abbandonato dal loro genitore molti anni addietro, ancor prima della loro stessa nascita, aveva piuttosto motivato entrambi a perseguire quello stile di vita, anche nella speranza di ricongiungersi a lei; non Mera Ronae né Namile avrebbero avuto a doversi fraintendere qual lì particolarmente desiderose di ricercare nella zia un surrogato della figura materna: così non era stato anni addietro, quando pur ciò avrebbe potuto accadere, e così, a maggior ragione, non sarebbe stato allora, non ove, in fondo, entrambe avevano già potuto trovare soddisfazione nella propria necessità di una famiglia tanto nella figura del loro premuroso nonno, quant’anche nell’intero equipaggio della Jol’Ange, in un’abbondanza di zii e zie a cui, in effetti, avrebbero potuto asserire in fede di essere più legati rispetto a quanto non avrebbero potuto illudersi di esserlo con quella pressoché sconosciuta zia Midda, di cui tanto avevano sentito parlare, in ogni modo, tanto in positivo, quanto in negativo, ma a confronto con la quale ben poco tempo avevano avuto occasione di restare.
E tanto poco incentrato interesse nei riguardi della loro zia avrebbe avuto lì a dover essere riconosciuto da parte delle due gemelle nella misura per cui, ancor più che avere a osservare la medesima, ebbero a distrarsi, piuttosto, su tutti gli altri presenti, discernendo i volti conosciuti da quelli ignoti e, in quelli ignoti, avendo a cogliere qualcosa di quantomeno insolito, per non dire addirittura allarmante...

« Mer... la vedi anche tu?! » interrogò l’una verso l’altra, strabuzzando i propri giovani occhi color del ghiaccio a confronto con ciò.
« Temo proprio di sì, Nam... » confermò l’altra verso l’una, piegando appena il capo di lato, incerta nel merito di quanto, effettivamente, stesse allor lì osservando.
« Cosa c’è, bambine...? » le apostrofò il nonno, accanto a loro, chiamandole ancora bambine benché ormai gli anni dell’infanzia avessero, per loro, iniziato a cedere il passo a quelli della fanciullezza, in un età a confronto con la quale, in riferimento ideologico alle sue figlie, non gli era stata concessa una qualche, effettiva, occasione di vivere in passato.
« C’è una gorgone accanto a zia Midda. » obiettò quindi Mera Ronae, tendendo il braccio in avanti, per additare, ancora un paio di miglia abbondanti di distanza, la sconosciuta figura di quella donna rettile, quietamente in loro attesa, in effetti, accanto alla Figlia di Marr’Mahew, sul fronte opposto rispetto a quello là occupato da Be’Sihl Ahvn-Qa.
« Una gorgone...?! » esclamò colto del tutto in contropiede Ifra, giovane nipote di Berah, il membro più giovane dell’equipaggio della Jol’Ange prima del loro arrivo « Per la spumosa barba di Tarth! Sembra proprio una gorgone! » confermò, dopo aver cercato conferma visiva di quell’informazione, per un attimo, in tal modo, distratto dalle proprie correnti attività.
« Ifra... tendi quella cima, dannazione! » protestò per tutta replica Noal, dalla propria posizione al timone della nave, seguendo con curiosità quel dialogo ma lasciando tutto il proprio interesse rivolto a manovrare la Jol’Ange, nella necessità, in effetti, di prestare lì più attenzione rispetto a quanto non avrebbero avuto a fare in mare aperto, in ovvia conseguenza al maggior traffico presente all’interno di quella baia « Non sarebbe carino dare il bentornato a Midda facendole schiantare la Jol’Ange innanzi allo sguardo... »

Non che Midda Bontor, in verità, avrebbe ancora voluto vantare un qualunque diritto di proprietà su quella goletta, nell’averlo ceduto ormai da tempo: ciò nonostante, rivendicazioni di sorta o meno, ella era e restava colei che, insieme a Salge Tresand, molti lustri addietro aveva trasformato un relitto abbandonato nella nave che tutti loro conoscevano, ragione per la quale, quindi, un immancabile tributo di rispetto avrebbe avuto a doverle essere rivolto da parte di tutti loro... rispetto che, allora, avrebbe quantomeno preteso che non avessero, per l’appunto, a schiantarla stupidamente sotto i suoi occhi.

« Comunque c’è effettivamente una donna serpente... o qualcosa del genere, accanto a Midda! » confermò anche Masva, risalendo accanto a Noal « Credi che sia meglio armarci, capitano?! » propose quindi, con tono palesemente ironico e retorico, nel ben conoscere la sola risposta che avrebbe mai potuto conseguire alla proposta di quell’iniziativa.
« Vi ricordo che stiamo parlando di Midda Bontor, l’Ucciditrice di Dei. » sospirò il capitano, concedendosi quella replica soprattutto a beneficio delle gemelle, che forse, meno di chiunque altro, avrebbero avuto possibilità di cogliere il giuoco dietro a quelle parole « Se quella gorgone, o qualsiasi cosa sia, rappresentasse un pericolo, non credete che sarebbe già estinta, allorché scrutare quietamente l’orizzonte accanto a lei...?! »

Il pragmatismo di Noal avrebbe avuto a dover essere riconosciuto qual di difficile contro-argomentazione per chiunque. E se laddove ve ne fosse stata la necessità sarebbe allor stato eventualmente utile a placare i dubbi delle gemelle; certamente ciò di cui fu capace fu di ispirare uno scherzoso sbuffare da parte di Masva, così smontata nel proprio giocoso incedere...

« Noioso. » protestò ella, scuotendo il capo « E, comunque, mai una volta che ritroviamo Midda come l’abbiamo lasciata al giro precedente. » soggiunse, a non voler lasciar scemare il sereno chiacchiericcio del momento.
« Ancora...?! » domandò Camne, sbucando da sotto coperta, dopo aver finito di controllare che il carico fosse ancora ben assicurato nella stiva della nave « ... per una donna che veste sempre uguale da trent’anni è quantomeno bizzarro! » osservò, volgendo lo sguardo all’orizzonte, a ricercare conferma visiva di ciò.
« Capelli rossi, disordinati come sempre, e un nuovo braccio destro di metallo lucente. » la informò Av’Fahr, minimizzando l’annuncio di Masva « Gli abiti, in compenso e per l’appunto, sembrano sempre gli stessi! » soggiunse, ridacchiando e ammiccando nei confronti dell’interlocutrice.

A richiamare tutti all’attenzione, allora, tentò di intervenire nuovamente la voce di Noal, decisamente contrariato dalla direzione che stava prendendo quel momento concluso del loro viaggio, e una direzione un po’ troppo rilassata per i suoi gusti...

« Razza di scansafatiche, buoni a nulla e chiacchieroni che non siete altro! » tuonò quindi, con tono volutamente e grottescamente rabbioso a loro discapito « Scommetto che se la buon’anima del capitan Salge Tresand fosse ancora fra noi, non stareste lì a gingillarvi emettendo vani giustizi stilistici su chicchessia, ma stareste ben pensando a portare questa dannata nave in porto senza il benché minimo cincischiare! » li rimproverò, invocando il ricordo del loro antico capitano, ucciso ormai da molti anni e pur mai allontanatosi dai loro cuori e dalle loro menti « Muovetevi a fare quello che dovete... o vi giuro che coprirete quest’ultimo miglio a nuoto! »

mercoledì 23 settembre 2020

3408


« Capitano...?! » apostrofò Masva, dall’albero di maestra all’indirizzo di Noal, a cercare conferma di quanto, allora, egli avesse avuto a notare quell’evidenza di difficile fraintendimento, e ad attendere, da parte sua, eventuali ordini.
« Cosa succede, amica mia...?! » sorrise egli, per tutta risposa, aggrottando appena la fronte « Ti turba la presenza di tante rosse all’orizzonte...? Credevo che con Camne, prima, e con le gemelle, poi, avessi già accettato da tempi l’idea di non essere l’unica testa calda al mondo! » ridacchiò, ironizzando sulla situazione.

In effetti, vi era stato un tempo in cui, nella seconda formazione dell’equipaggio della Jol’Ange, ancora ai comandi del sempre compianto capitan Salge Tresand ma già in anni successivi all’abbandono da parte di Midda della vita da marinaio in favore di una non meno avventurosa carriera da mercenaria, Masva aveva potuto riservarsi un personalissimo primato, nel vivace rosso-arancione dei propri capelli, a metà fra il fuoco e il pel di carota: nulla di cui poter cercare vanto o merito, in verità, e pur qualcosa di unico in grazie al quale poter essere immediatamente riconosciuta, all’occorrenza.
Più tardi, nei medesimi giorni in cui avevano avuto occasione di incontrare per la prima volta Midda Bontor e di perdere, drammaticamente, tanto il loro stesso capitano, quant’anche la loro compagna Ja’Nihr, splendida sorella maggiore del colossale Av’Fahr, la Jol’Ange aveva, di fatto, guadagnato una seconda testa calda, per così come ironicamente definito da Noal, in Camne: una ragazzetta, qual allora era, salvata dall’intervento di Midda da un infausto destino di morte, e da lei ripropostasi di essere condotta a casa, in un lungo viaggio verso i mari nord-occidentali; ma che a casa mai ebbe, alfine, occasione di fare ritorno, nel preferire restare a bordo della Jol’Ange, quasi in una sorta di personale tributo al sacrificio di Ja’Nihr e di Salge, dei quali, senza colpa alcuna, non avrebbe potuto ovviare a sentirsi responsabile. Se Ja’Nihr e Salge erano morti, infatti, ciò era occorso in conseguenza all’azione di un assassino al soldo di Nissa Bontor e infiltrato a bordo del medesimo equipaggio della Jol’Ange in attesa del momento opportuno per colpire: momento il quale era sopraggiunto proprio in conseguenza al ritorno di Midda alla Jol’Ange dopo lunghi anni di lontananza e a un ritorno, purtroppo, sol motivato dalla volontà di riaccompagnare proprio la giovane Camne alla propria terra natia. Così, il primato di Masva non avrebbe avuto già più a essere riconosciuto in quanto tale. E, anzi e paradossalmente, il quantitativo percentuale di donne dai rossi capelli, presenti a bordo della Jol’Ange era improvvisamente divenuto maggioritario, passando da una presenza su tre a due presenza su tre.
Ciò, purtroppo, fino alla tragica morte anche di Berah, e a quella tragica morte che, ancora una volta, avrebbe avuto a addebitarsi alla crudele opera di Nissa Bontor. La perdita di quella donna, e di quella donna straordinaria che era succeduta, molti anni prima, a Midda nel cuore di Salge Tresand, aveva così portato, di fatto, la quota femminile dell’equipaggio della Jol’Ange a essere completamente predominata da rosse, in un’assenza di particolare varietà cromatica che, successivamente, si era ancor reiterata con l’arrivo di Mera Ronae e di Namile, le quali, dalla madre, non avevano soltanto ereditato il colore dei capelli e degli occhi, ma anche, in buona sostanza, la quasi totalità dei tratti somatici, lì offrendosi qual delle versioni fanciullesche della loro non poi così generalmente apprezzata genitrice ma, anche e per fortuna, della loro decisamente più acclamata zia.
E di quella zia che, allora, le stava lì aspettando sulla banchina del porto in compagnia di... altre due se stessa!

« Quindi sono l’unica a trovare strano che, ogni volta, sbuchi fuori una nuova Midda Bontor...?! » replicò ella, scendendo agilmente lungo il sartiame, fino a tornare ad appoggiare saldamente i piedi, e i piedi ovviamente nudi, sul ponte della nave.

Se, infatti, dal punto di vista proprio di quell’equipaggio, Be’Sihl avrebbe avuto a dover essere addirittura inteso come un ex-compagno di ventura; Howe e Be’Wahr avrebbero avuto a doversi considerare vecchie conoscenze; e con H’Anel e M’Eu non avevano avuto tutti occasione di far conoscenza qualche anno prima, in occasione di quello stesso giorno di commemorazione nel corso del quale, dal nulla, aveva fatto la propria improvvisa apparizione quella più giovane Midda Bontor successivamente presentatasi come Madailéin Mont-d'Orb; tutte e tre le altre figure femminili lì presenti ad attenderli accanto all’originale Figlia di Marr’Mahew, pur lì contraddistinta da un certo rinnovamento estetico a confronto con il quale non immediato avrebbe avuto a dover essere inteso un riconoscimento certo, avrebbero avuto a doversi intendere altresì inedite. E ritrovare, per l’appunto, nel mezzo di tale nuovo assortimento di volti, ancora una volta un’altra Midda Bontor... beh... avrebbe avuto a dover essere riconosciuto quantomeno grottesco, per non dire, addirittura, ridicolo.
La nuova Midda Bontor, ovviamente, altri non avrebbe avuto a dover essere intesa se non qual Nóirín Mont-d'Orb, la gemella di Maddie, la quale, pur ormai frequentando quella dimensione da qualche tempo, non aveva avuto ancora occasione di incontro con gli amici della Jol’Ange, pur avendone, necessariamente, sentito parlare. Così come, parimenti, anche Duva e Lys’sh non avrebbero potuto negare una pregressa confidenza psicologica con quelle figure, quei personaggi, qual sino a quel momento erano stati nelle loro menti, che in quel giorno avrebbero assunto la dignità propria di persone, e nei riguardi dei quali, pur, non avrebbero potuto ovviare a provare una certa curiosità.

« Aspetta un momento! » esitò nel mentre di ciò Duva, avendo aguzzato lo sguardo quanto sufficiente a cogliere alcuni dei volti in dirittura d’arrivo a bordo di quella goletta « Ma nella tua famiglia non è previsto alcun genere di ricambio genetico...?! » apostrofò all’indirizzo della propria amica sororale « Se quelle che vedo sono le tue nipoti, qui la situazione rischia di farsi davvero confusa! » sottolineò, scuotendo appena il capo con aria quasi sconsolata.

Midda e Nissa, Maddie e Rín... e ora anche Mera Ronae e Namile: per quanto tutto ciò avesse a poter vantare una spiegazione perfettamente logica, l’abbondanza di volti lì assimilabili avrebbe avuto a dover essere giudicata quantomeno imbarazzante, in termini utili a offrire più che ragione tanto a Duva quanto a Masva, nelle rispettive, e del tutto indipendenti, osservazioni.

« Diamine! » si accodò Howe, non rinunciando a picchiettare con il gomito nel fianco del fratello per attirarne l’attenzione « Osserva... quello è l’aspetto che avranno le tue figlie, se le cose con Maddie si dovessero fare serie. » lo canzonò, ridacchiando, in riferimento alla relazione che già, da qualche anno, stava unendo la medesima a Be’Wahr.
« Veramente, al più, quello è l’aspetto che potrebbero avere le figlie di mia sorella... » tentò di obiettare Maddie, a gettare proverbiale acqua sul fuoco nel sollevare un certo distinguo fra sé e Rín e nel non mancare evidenziare quanto fosse ella a incarnare una versione alternativa di Nissa, salvo poi rendersi da solta conto della stupidaggine appena asserita, volgendo gli occhi al cielo con aria sconfortata « Ti prego... questa risparmiamela. » invitò il proprio diretto interlocutore, invocando la di lui pietà.
« Mai. » sorrise maliziosamente e per tutta risposta Howe « Anche se, poveretta, non è colpa tua: ad andare con l’idiota si impara a dire idiozie... » puntualizzò, impegnandosi nel proprio passatempo preferito di sempre, ossia nel canzonare il proprio fratello d’arme e di vita.
« Ehi! » protestò allora Be’Wahr, il quale si era sinceramente sforzato di ignorare l’amico, salvo allora non riuscire più a tacere « Non dare dell’idiota alla mia donna! » sottolineò, in difesa di Maddie.
« Non mi oserei mai... » esplose in una fragorosa risata Howe, a confronto con la dimostrazione palese del proprio teorema.

martedì 22 settembre 2020

3407


La Jol’Ange raggiunse il porto di Lysiath in ritardo rispetto alle previsioni iniziali: i viaggi per mare, dopotutto, non avrebbero mai potuto essere fraintesi qual governati da tempistiche certe e, in questo, anche una settimana di tolleranza rispetto a una data ipotizzata avrebbe avuto a doversi intendere quietamente accettabile senza, in ciò, avere di che sollevare ragione d’allarme.
Sul ponte della goletta, a contemplare la baia di Lysiath, a offrirsi simile a un abbraccio innanzi a loro, avrebbe avuto a dover essere inteso quasi l’intero equipaggio, compresi coloro che, da ospiti, avrebbero avuto ormai a dover essere considerati a loro volta al pari di membri della loro famiglia. Coloro che, nel dettaglio, avrebbero avuto a dover essere riconosciuti quali Nivre Bontor, anziano padre di Midda e Nissa Bontor, e le sue due nipotine gemelle, Mera Ronae e Namile, giovani figlie di Nissa, di qualche anno appena più grandi rispetto ai loro ancor sconosciuti cuginetti Tagae e Liagu.

Quando Mera Ronae e Namile erano entrate a far parte della vita di loro nonno, Nivre aveva avuto obiettivamente timore di non essere la persona più indicata per poter surrogare un mai conosciuto padre o la perduta madre per quella coppia di gemelle. Un timore conseguente non tanto nel confronto con la propria non più giovanile età, quanto e piuttosto con la consapevolezza di quanto già una volta, molti anni addietro, aveva chiaramente fallito in tal ruolo, e nel ruolo che, all’epoca, non stava surrogando, quando e piuttosto interpretando in prima persona e con pieno diritto, come padre delle proprie due figlie. Figura rimasta sempre al margine dell’epica leggenda di Midda e Nissa, Nivre non aveva potuto ovviare a soffrire forse più di chiunque altro per quanto, nel corso di pochi anni, era occorso: la fuga notturna di Midda; la malattia di sua moglie Mera e la di lei struggente morte; e, ancora, la crescente collera nel cuore di Nissa, fino a quando anch’ella, alfine, non aveva deciso di lasciare i confini della propria isola natia, della piccola Licsia, alla ricerca del proprio destino. E di un destino che, accanto a una controversa gloria, qual quella propria dell’essere riuscita a dar vita a un vero e proprio regno, a una nazione, e a una nazione di pirati; l’aveva vista spendersi per tutta la durata della propria vita al solo fine di cercare vendetta in contrasto alla propria gemella.
In un tale discorso, ovviamente, Nivre non avrebbe mai potuto subentrare, non avrebbe mai potuto prendere posizione in favore dell’una o dell’altra fra le proprie egualmente amate figlie. E per quanto, qual figlio dei mari, egli non avrebbe potuto ovviare a odiare l’assurda scelta compiuta da Nissa nel divenire pirata, Nivre non aveva mai desiderato il male per lei, così come, ovviamente, neppure per Midda, e per quella figlia errabonda che, per decenni era scomparsa dalla propria vita, lasciando riecheggiare di sé soltanto il proprio nome in numerose e sempre più incredibili leggende. Egli, quindi, aveva sofferto la morte di Nissa, pur tragedia preannunciata, e preannunciata dalla scelta finale di Midda di voler cercare una conclusione a tutto ciò, di voler porre la parola fine a quella loro faida, iniziata troppo tempo prima e che, da troppo tempo, non aveva cessato di spargere distruzione e morte. Una conclusione, quella fra loro, che sarebbe stata realmente tale soltanto nella morte di una delle due. E fosse stata Midda o fosse stata Nissa, nulla per lui sarebbe sostanzialmente cambiato, nella semplice e pura verità della tragica uccisione di una delle proprie figlie per mano dell’altra.

La Storia, comunque, aveva voluto consegnargli una realtà diversa e una realtà in cui, alla fine, non era stata Midda a uccidere Nissa, quanto e piuttosto la stessa Nissa a suicidarsi sulla spada della propria gemella, in un estremo atto d’amore. E un atto d’amore che se pur probabilmente non avrebbe avuto a doversi fraintendere rivolto a lei; comunque e sicuramente avrebbe avuto a doversi riconoscere destinato alle sue figlie, e a quelle figlie a cui avrebbe voluto garantire un futuro diverso dalla dolorosa fine a cui era stato condannato il suo primogenito, Leas Tresand, fratello maggiore di Mera Ronae e Namile nonché figlio del primo, grande amore di Midda, concepito da Nissa soltanto attraverso l’inganno, e con il sol intento di nuocere alla propria gemella, e pur, ciò non di meno, poi amato realmente come mai avrebbe potuto immaginare di poter amare un figlio. Leas era morto per colpa della regina Anmel Mal Toise, e della nefasta influenza che quello spirito dannato stava avendo sulla sua mente e sul suo cuore: e nel timore che, allo stesso destino, avessero a poter essere condannate anche Mera Ronae e Namile, la sua scelta, qual madre, e qual madre amorevole, era stata quella di sacrificarsi, con la speranza di liberare il mondo dalla piaga di quell’ombra nefasta.
Un sacrificio, quello che Nissa aveva compiuto, che non era stato fine a se stesso, nel costringere, effettivamente, Anmel Mal Toise a una ritirata, e a una ritirata fra le stelle del firmamento, là dove, di lì a breve, anche Midda, accompagnata da Be’Sihl, non avrebbe mancato di seguirla, sulle ali della fenice. Ma un sacrificio che, comunque, aveva lasciato quelle due bambine prive di una madre e di una famiglia, e che, in ciò, le aveva viste consegnate in primo luogo alla zia salvo, poi, essere da lei consegnate alla premure del nonno, tanto nella necessità della stessa Figlia di Marr’Mahew, per l’appunto, di inseguire la propria nemesi, quant’anche, e inutile negarlo, in quel suo patologico rifiuto a riuscire a potersi considerare madre sin da quando Nissa le aveva negato biologicamente tale possibilità. Inibizione mentale nel merito della quale, del resto, già molti anni prima H’Anel e M’Eu, figli di Ma’Vret, avevano avuto proprio malgrado occasione di maturare coscienza, quando, ancora bambini, non avevano potuto riconoscere in Midda quella nuova madre che pur avrebbero tanto desiderato trovare, e trovare proprio in lei.
Alla fine, comunque, Mera Ronae e Namile erano state affidate al nonno. E Nivre, al di là di tutti i propri giustificabili, e pur immotivati, timori, non avendo certamente egli a doversi giudicare responsabile per le scelte di vita delle proprie figliolette, si era riuscito a dimostrare una scelta corretta per quelle due bambine. E per quelle due bambine che, in lui, avevano avuto occasione di ritrovare quel senso di famiglia che temevano perduto per sempre. E per quelle due bambine nelle quali, egli aveva avuto una sostanziale e insperata seconda occasione di paternità, a cercare di recuperare qualcosa di simile a quanto purtroppo, e irrimediabilmente, perduto per sempre con Midda e Nissa.

Sorprendente, in un simile scenario, era stato tanto per il nonno, quanto per le nipoti ricevere una missiva qualche mese prima da parte proprio di un’alfine ritornata Midda Bontor, e una ritornata Midda Bontor desiderosa non soltanto di aggiornarli nel merito di quanto occorso nei lunghi anni della propria assenza, quanto e ancor più di avere occasione di rincontrarli, di riabbracciarli e, forse, di porre finalmente e seriamente le basi per tornare a essere la famiglia che, un tempo, essi erano stati.
E benché Midda Bontor fosse, tanto per le sue figlie, quant’anche, ormai e purtroppo, per il suo stesso padre, una figura pressoché estranea; con grande senso di maturità e di rispetto, le due gemelle, ormai pressoché fanciulle, avevano concordato con il nonno di avere a voler concedere quell’occasione alla loro zia, e a quella zia nell’odiare la quale, purtroppo, già loro madre aveva avuto occasione di rovinare la propria vita, con tutte le tragiche conseguenze che da ciò erano quindi derivate. Così, con il pieno appoggio dell’equipaggio della Jol’Ange, più che lieto di rivedere una vecchia amica, nonché, in effetti, l’unica superstite del primo, storico equipaggio della Jol’Ange ormai troppi lustri addietro, la famiglia Bontor aveva modificato la propria rotta per prevedere di raggiungere il porto di Lysiath, concordando in quel luogo un tanto, particolare ricongiungimento.
Ovviamente, veleggiando per mare in un mondo privo di particolari possibilità di comunicazione a distanza, e, soprattutto, di repentina comunicazione a distanza, nessuno a bordo della Jol’Ange avrebbe potuto immaginare cosa fosse accaduto in quegli ultimi giorni. Ma nel ritrovare, ad attenderli lungo la banchina del porto, non una singola persona, quanto e piuttosto un’intera e affollata comitiva, e una comitiva composta, per lo più, da volti noti, immediato non poté che essere l’impressione che le cose fossero state, in effetti, molto più complicate per le loro controparti rispetto a quanto non avessero a poter accusare essere state per loro, fra tempeste improvvise e un mai gradevole quasi incontro con una nave pirata...

lunedì 21 settembre 2020

3406


“Che cosa sta accadendo...?!” si ritrovò costretta a pensare Nissa fra sé e sé, proprio malgrado disorientata da tutto quello forse in misura persino superiore a quanto non fosse stato il tornare alla vita... o in qualunque modo avesse a doversi definire la propria attuale condizione.

Dopo aver vissuto per anni nel ruolo di regina dell’isola di Rogautt, signora di tutti i pirati dei mari del sud, per lei non vi era stato nulla di improprio, a livello psicologico, a ritrovarsi quietamente riconosciuta qual indiscussa condottiera dagli altri non morti, benché, in apparenza, nulla avesse a giustificare tutto ciò.
Benché infatti una certa quota fra i presenti aveva avuto a tributarle il proprio rispetto e la propria fiducia quand’ancora in vita, facendo questi parte della smisurata nazione da lei per lungo tempo guidata; ciò non di meno, comunque, in proporzione a tutti gli altri, e a coloro con i quali ella non aveva avuto di che dividere nulla nel corso della propria esistenza, tale quota avrebbe avuto a doversi giudicare assolutamente minimale, quasi ridicolmente irrisoria. Addirittura, anzi, per così come lì stava iniziando a risultare spiacevolmente palese, ella avrebbe avuto a doversi considerare invisa da alcuni di loro, e da coloro i quali, al contrario rispetto ai propri pirati, in vita non soltanto non avrebbero avuto a riconoscerle rispetto ma, addirittura, avevano avuto a odiarla e a odiarla, non a caso, nel proprio ruolo da regina dei pirati, per così come, complice il diffamatorio operato della propria stessa, celebre gemella e delle canzoni da lei stessa poste in giro per denunciare la sua esistenza, e quell’esistenza prima ignorata dai più, avevano tutti appreso che ella fosse. Ciò senza dimenticare quanto, a ubbidirle, e a ubbidirle in maniera del tutto innaturale, avevano avuto anche terrificanti mostri mitologici, che per alcuna ragione al mondo avrebbero offerto il proprio rispetto, o la propria fiducia, non soltanto a lei in particolare, ma a qualunque essere umano più in generale.
Nessuna giustificazione, quindi, avrebbe potuto essere attribuita a quanto lì era accaduto. Ma, parimenti, alcuna giustificazione avrebbe mai potuto essere osservata a offrire ragione a quella nuova evoluzione, e a quella nuova evoluzione così improvvisa e repentina.
Motivo per il quale, sebbene sicuramente improprio avrebbe avuto a doversi giudicare quel suo quieto adagiarsi alla situazione offertale nel ritrovarsi posta a comando di quello smisurato esercito, di quella straordinaria nazione di non morti; non così insensato avrebbe avuto a dover essere riconosciuto il suo attuale disorientamento a confronto con il tanto improvviso, il tanto repentino moto di rivolta che, nel giro di un attimo, del tempo proprio di un fugace battito di ciglia, ebbe a scuotere quello stesso smisurato esercito sin dalle proprie radici, negando violentemente un qualunque senso di nazione a unire quegli uomini, quelle donne e quei mostri.
E, in particolare, a unirli sotto il suo comando.

« Fermatevi, cani maledetti! » tuonò la sua voce, cercando di imporsi nuovamente su di loro, per così come già era avvenuto in quegli ultimi giorni.

Ma se, in altri momenti, ordini simili a quello avevano avuto un effetto a dir poco sovrannaturale, quasi la volontà di tutti avesse, comunque e a prescindere, a doversi piegare a confronto con la sua; in quella nuova occorrenza non ebbe a vedersi concessa la benché minima opportunità di interesse, o anche e soltanto, di ascolto da parte di alcuno, quasi ella non avesse lì neppure espresso verbo.

« Vi ho detto di fermarvi! » tentò di ripetersi, ottenendo soltanto che anche coloro a lei più prossimi avessero lì a voltarle le spalle, quasi si stessero scoprendo paradossalmente infastiditi da quelle sue grida.

Niente da fare. Ella avrebbe potuto urlare, avrebbe potuto gridare, avrebbe potuto persino aprire la testa di qualcuno come fosse un cocomero troppo maturo. E, ciò nonostante, nessuno le avrebbe concesso ulteriormente il proprio interesse, la propria attenzione e, soprattutto, la propria obbedienza.
Tanto rapida era stata la sua ascesa, tanto rapida avrebbe avuto lì a doversi intendere la sua improvvisa caduta, in quella che, non avesse a doversi intendere una spiacevole realtà pratica in quel frangente, avrebbe avuto comunque a potersi riconoscere qual un poetico insegnamento. E un poetico insegnamento che pur, proprio rivolto verso di lei, avrebbe avuto a doversi privo di ragion d’essere, non essendo mai stata, la sua vita, contraddistinta da nulla di conquistato se non a prezzo di straordinari sforzi e di mirabile impegno.

“... dannazione!” ringhiò nella propria mente, disapprovando profondamente quanto lì stava occorrendo e il modo in cui tutto ciò lì stava occorrendo, ma, soprattutto, disapprovando il fatto di non riuscire minimamente a comprendere perché lì stava occorrendo.

Nulla di tutto quello aveva senso. E se non fosse già morta, avrebbe avuto a temere di poter star dormendo, e di subire un qualche incubo di sorta, e un incubo che, del tutto privo della necessità del rispettare un qualsivoglia senso di logica, avrebbe potuto quietamente svilupparsi in quella maniera, e in quella maniera a dir poco isterica.
Ma lei non stava dormendo. E se di isteria si fosse voluto parlare, si sarebbe dovuto allo parlare di isteria di massa. E a confronto con l’isteria di massa, proprio malgrado, anche Nissa Bontor, un tempo regina dell’isola di Rogautt, avrebbe avuto a dover ammettere una certa impotenza.

« E se, a dimostrazione di buona fede, consegnassimo Nissa Bontor...?! » propose una donna.

Una voce fra le tante, in una crescente confusione, che ebbe inizialmente a mescolarsi alle tante presenti. Ma che, evidentemente, riuscì a proporsi più sottile, e, in ciò, capace di penetrare nelle menti dei propri casuali e tutt’altro che interessati ascoltatori, superando i limiti della entropia lì imperante per avere possibilità di insinuarsi, più come concetto che come, effettivamente, frase di senso compiuto, all’interno delle menti di molti fra coloro i quali ebbero a essere da lei raggiunti.

« Consegniamo Nissa Bontor! » esclamò immediatamente qualcun altro, come se l’idea avesse avuto a dover essere a lui attribuibile.
« Dobbiamo consegnare Nissa Bontor! » incalzò con entusiasmo un altro, anch’egli in maniera pressoché subitanea rispetto alla conclusione della prima frase a essere stata pronunciata a tal riguardo.
« Sacrifichiamo Nissa Bontor per la nostra salvezza! » fece eco, o forse concordò, un altro, qualche frazione d’istante più tardi.
« Uccidiamo Nissa Bontor! » propose un’altra donna, forse equivocando l’intento iniziale, o forse, e piuttosto, suggerendo il modo migliore per consegnarla, in quanto, certamente, ella non avrebbe mai collaborato finché fosse stata cosciente.

E se, in breve, la violenza di quella proposta ebbe a crescere con irruenza tale da soffocare qualunque opinione in senso contrario, qualunque possibilità di dissenso; quando anche coloro che, sino a un attimo prima, avrebbero avuto a essere certi di essere in prossimità dell’allor tutt’altro che osannata Nissa Bontor ebbero lì a girarsi verso di lei, forse nel desiderio di provvedere o, chissà, forse nella volontà di esprimersi in termini diversi nella propria vicinanza a lei, della loro comandante non era lì rimasta evidenza alcuna, scomparsa quasi non fosse mai stata lì presente, in termini tali da offrire senso a un’incertezza di fondo su quanto, effettivamente, ella avesse avuto, lì, a essere prima presente.

domenica 20 settembre 2020

3405


E difficile sarebbe per lei stato non rendersi conto di quanto fu proprio nel momento in cui ella ebbe a formulare, nella propria mente, quel dubbio, che qualcosa accadde. E accadde non all’interno della sua mente, quanto e piuttosto all’esterno, e parecchio all’esterno, a incominciare dall’immediato circondario per poi estendersi, addirittura, a tutta Lysiath.
Perché quelle stesse creature mitologiche che sino ad allora si erano mosse in quieta comunione d’intenti con il resto delle truppe al seguito di Nissa, agendo in tutto e per tutto come perfetti soldati di quello straordinario ed eterogeneo esercito, tornarono, improvvisamente, ad agire per così come avrebbe avuto a dover essere inteso più consono per loro agire, a muoversi per così come avrebbero avuto da sempre a doversi muovere, e, senza particolare riguardo per alcuno attorno a sé, fosse questi vivente o ritornato, ebbero a iniziare a seminare in maniera incondizionata distruzione e morte, nel cercare, con evidente disagio, una via utile ad allontanarsi da lì, dai confini di quella città entro i quali non avrebbero potuto desiderare essere.

« ... ma che diamine...?! » gemette Lys’sh, avvertendo forse per prima quel cambiamento, e avvertendolo nei suoni e negli odori che, improvvisamente, quei mostri, ebbero a diffondere attorno a sé, indicativi di tanto repentino cambio di piani « State attenti! Attenti tutti! » gridò quindi poi, rivolgendosi, nel dettaglio, a un gruppo più distante di avversari, i quali, sino a quel momento, erano stati pacificamente fianco a fianco con una manticora, quasi avessero a doversi intendere antichi compagni di battaglie da sempre, salvo, improvvisamente, ritrovarsi a essere da lei aggrediti, trapassati da parte a parte da quell’enorme coda che non avrebbe potuto ovviare a richiamare l’idea propria di quella di uno scorpione.

Che i mostri mitologici avessero lì a prendersela anche con i ritornati, in verità, non avrebbe potuto allor minimamente dispiacere alle milizie di Lysiath, non, soprattutto, nel considerare quanto sino a quel momento il loro unico interesse, il loro unico, riconosciuto avversario avrebbe avuto a doversi identificare in loro, in una discriminante non soltanto spiacevolmente antipatica ma anche terribilmente lesiva per il loro già esile dispiegamento di forze. Inoltre, salvo qualche raro esempio, come quello proprio delle gorgoni o dello scultone, nessuno di quei mostri avrebbe potuto definitivamente qualcosa in opposizione a un ritornato, squarciandolo, certo, impalandolo, probabilmente, smembrandolo, all’occorrenza, bruciandolo, talvolta, e pur, comunque, alcun dolore imponendo loro, e alcuna morte definitiva avendo a riservare loro, in misura non diversa da quanto, malgrado ogni sforzo, né Midda, né alcun altro in Lysiath aveva potuto loro imporre.
Ciò non di meno, significativo ebbe comunque a essere quel moto di diffusa ribellione. E apprezzabile, soprattutto dal punto di vista dei ritornati, ebbe a essere il premuroso tentativo loro rivolto da parte di quell’associata alla loro supposta nemesi, alla loro nemica numero uno... e a quella nemica che, pur, aveva iniziato a suggerire loro un’ipotesi di tregua in immediato anticipo rispetto a quella nuova, e comunque non piacevole, minaccia ora interna.

“Ma sono stata io...?!” si ritrovò costretta a pensare, fra sé e sé, la Figlia di Marr’Mahew, non potendo ovviare a riflettere sulla tutt’altro che giustificabile succedaneità fra le proprie più intime riflessioni a tal riguardo e gli eventi allor in corso.

Purtroppo per lei nessuno avrebbe potuto offrirle lì una risposta: erano passati, infatti, i tempi in cui avrebbe potuto confrontarsi con la saggezza della fenice, con l’arrogante esperienza millenaria del proprio semidivino sposo Desmair o, persino, con le sarcastiche osservazioni della propria avversaria Anmel Mal Toise.
Ora, malgrado tutto lo straordinario potere che aveva accolto in sé nel momento in cui aveva accettato il ruolo di erede della stessa regina Anmel, e con esso il ruolo di nuova Portatrice di Luce o nuova Oscura Mietitrice, ella non avrebbe potuto concedersi la benché minima occasione di confronto con alcuno. O, per essere più precisi, con alcuno che avrebbe potuto, in maniera più o meno affidabile, avere a considerarsi informato nel merito di quella questione e di tutti i propri possibili annessi e connessi. Ragione per la quale, quell’interrogativo, proprio malgrado, avrebbe avuto a doversi intendere destinato a non trovare risposta alcuna. Non nell’immediato e neppure in futuro.

A margine di tutto quello, comunque, non soltanto Midda Bontor e coloro a lei più prossimi avrebbero lì avuto a doversi intendere disorientati da quanto aveva improvvisamente iniziato ad accadere. Perché se tale fenomeno, quella ribellione delle creature mitologiche, stava interessando l’intera città; anche coloro i quali non avevano avuto occasione di confrontarsi con le parole di pace proposte dalla loro assassina di un tempo, ossia la maggior parte dei ritornanti sparsi per l’intero territorio di quella capitale kofreyota, non poterono mancare di essere interessati a tale evento... riservandosi i propri non immotivati dubbi, allora, sull’ancor reale controllo che la loro comandante avrebbe potuto dimostrare su quei mostri.
In effetti, in contemporanea alla ribellione di mostri, a ben vedere un secondo, e parallelo, moto di riottoso malcontento avrebbe avuto a poter essere inteso in immediata conseguenza alla scomparsa del drago bicefalo e, dopo di lui, del tifone e del ciclope. Perché fra le fila di tutti coloro i quali, sino a quel momento, avevano seguito i comandi di Nissa Bontor con cieca fiducia, anche ove, sovente, non avrebbero potuto vantare la benché minima consapevolezza nel merito di chi ella fosse o della ragione per la quale ella avrebbe avuto a dover predominare su tutti loro; in numero sempre maggiore avevano iniziato a farsi spazio voci di dissenso nel merito di tutto quello, del senso di quanto stavano compiendo e del fine ultimo di tutto ciò. Lo stesso genere di dissenso che, forse ancor embrionale, aveva forse ispirato repliche non troppo rispettose verso Nissa, nel momento in cui ella aveva avuto occasione di dimostrare la propria più che comprensibile e giustificabile ignoranza nel confronto con quegli stessi fasci di plasma che avevano così segnato quell’imprevista svolta nell’evoluzione degli eventi.
E di tutto ciò, anche la stessa Nissa Bontor non mancò di cogliere evidenza concreta.
Forse non immediatamente, al primo, ancor sommesso, dissenso. Ma, sicuramente, di lì a breve, nel momento in cui, per primi, i mostri iniziarono ad attaccare chiunque lì attorno, e nel momento in cui, parimenti, anche gli umani cominciarono a non apparire poi tanto fiduciosi verso di lei.

« Questa storia è già durata troppo! » avvertì lamentarsi qualcuno, non vicinissimo a lei e, ciò non di meno, neppure così lontano da non poter distinguere, chiaramente, quel moto di dissenso « Perché mai dovremmo sterminare tutto il Creato...?! Ne siamo anche noi parte! »
« Sciocco! » reagì immediatamente un altro, opponendosi a quelle parole « Vorresti forse opporti al volere della nostra comandante...?! » domandò, ribadendo un apprezzabile fedeltà nei suoi confronti.
« E chi accidenti l’ha nominata tale...? » protestò qualcun altro, in reazione a quella protesta « E’ una dannata pirata. E io i pirati non li ho mai sopportati: quando ero ancora vivo, ero una guardia della città di Kirsnya e ho combattuto molte volte contro i “sudditi” di questa supposta regina! » rimembrò, lasciando sorgere antichi e personali asti che, in effetti, non gli avrebbero permesso di amare Nissa in misura particolarmente maggiore rispetto a Midda... anzi, forse anche meno.
« Andiamocene. » tornò a proporre il primo a essersi lamentato, o, comunque, qualcuno con una voce assimilabile a quella « Questa guerra non è la nostra guerra! » sancì fermamente « E se quelle due pazze vogliono ammazzarsi a vicenda... che provvedano da sole. Noi non c’entriamo nulla! »

Crescenti e contraddittorie voci, quelle a confronto con le quali Nissa ebbe così a ritrovarsi, che la lasciarono quantomai disorientata. Perché se pur obiettivamente inspiegabile era stata la propria iniziale elevazione a quel ruolo di dominio; altrettanto inspiegabile non avrebbe potuto che risultare quell’improvvisa decaduta, oltretutto argomentata da emozioni tanto violente.

sabato 19 settembre 2020

3404


« E chi ci assicura che non ci ucciderai ugualmente, non appena deporremo le armi...?! » si levò una voce fra le schiere dei ritornati, appellandosi direttamente alla Figlia di Marr’Mahew, loro avversaria, in un interrogativo che, evidentemente, non avrebbe avuto a escludere perentoriamente l’ipotesi propria di una resa e che, anzi, la stava palesemente prendendo al vaglio, per comprendere entro quali possibili termini aver a valutare di fino la questione.
« Semplicemente non ne avrebbe la possibilità. » obiettò un altro, sempre dalle fila dei non morti, in replica al proprio commilitone « Quelle sono armi al plasma capaci di emettere fasci di estrema potenza. Ma maggiore sarà la potenza impiegata, minore sarà la durata delle carica delle batterie all’idrargirio che le alimenta. » argomentò, rivelando quanto non avrebbe avuto a dover essere inteso estraneo al confronto con quelle armi, evidentemente censibile all’interno del conteggio delle vittime del periodo siderale della stessa donna guerriero e, in questo, ben confidente con quella tecnologia, con le sue capacità e, ciò non di meno, con i suoi limiti « In conseguenza a quante batterie di riserva può avere da parte, potrebbe forse essere in grado di sterminare un migliaio di noi... o poco più. »
« Quindi possiamo ancora vincere...?! » suggerì una terza voce, suggerendo di ignorare ogni ipotesi di resa e di proseguire esattamente per così come compiuto sino a quel momento.
« Certo. » confermò il secondo ad aver parlato, e ad aver spiegato, con termini invero tutt’altro che comprensibili nel proprio significato, il perché di quella comunque inalterata possibilità di vittoria da parte loro « Tuttavia, per quanto non abbia ancor ben compreso cosa sia successo, francamente non ho particolare brama di essere conteggiato all’interno di quel migliaio di noi da offrire in sacrificio per assicurarsi di eliminarla. » soggiunse, a meglio esplicitare la propria personalissima posizione a tal riguardo « Ergo... preferisco scoprire cosa possa avere in mente per noi, come alternativa alla nostra impossibile, sistematica eliminazione. »

Complice l’assembramento di persone innanzi a sé, complice l’oscurità della notte e, obiettivamente, complice un numero troppo elevato di persone e non sulla propria coscienza, Midda non avrebbe potuto in fede vantare di aver riconosciuto a chi potesse appartenere la voce di colui che tanto si era impegnato, in tal maniera, ad arringare in favore della resa dei ritornati. E, di ciò, ovviamente, non avrebbe potuto mancare che provare un certo senso di vergogna. Tuttavia, ella non avrebbe potuto mancare di riconoscersi, in quel frangente, profondamente grata a tale misconosciuta vittima che, non permettendo a facili e giustificabili rancori di aver la meglio sulla logica, aveva in tal modo perfettamente analizzato la situazione e aveva pacatamente riconosciuto preferibile, per lui, l’idea dell’incognita rappresentata da una quieta resa allorché quella propria del proseguo di quella battaglia, e del proseguo di quella battaglia nel mentre in cui, in giuoco, erano subentrate delle armi in grado di imporre loro una nuova, e definitiva, sentenza di morte.
Inutile evidenziare quanto, invero, egli non avesse torto in quanto asserito: i colpi a loro disposizione, a dirla tutta, avrebbero avuto a doversi intendere ben meno di quanti allor ipoteticamente utili per arrivare a sterminare un migliaio di loro, così come allor stimato e, di questo, tanto lei, quanto Duva e Lys’sh avrebbero avuto a doversi intendere perfettamente consapevoli. Ragione per la quale, quei primi colpi non erano stati diretti a caso sulla folla, con il rischio di sprecarli in un risultato banale, quanto e piuttosto erano stati diretti verso obiettivi di grande visibilità, e obiettivi che, meglio di chiunque altro, avrebbero allor potuto promuovere quel semplice e pur allor sconvolgente messaggio: anche quei dannati non morti avrebbero potuto essere sconfitti... e Midda e le sue compagne possedevano, inutile a dirlo, le armi utili a tal scopo.
A ben dire, quindi, sin dall’inizio non vi era stata alcuna prospettiva di vittoria ad animare le speranze della campionessa di Lysiath. O, quantomeno, alcuna prospettiva di vittoria che avesse a prevedere il completo sterminio di quei non morti. Semplicemente quanto ella aveva pianificato era stato riuscire ad arrivare a dimostrare che anch’essi avrebbero avuto a dover essere riconosciuti qual tutt’altro che scevri dal pericolo proprio dell’annichilimento, a risvegliare, in tal senso, il loro altrimenti sopito spirito di autoconservazione e a offrire, in tal senso, spazio utile per un qualche dialogo e, in ciò, una qualche tregua di sorta.
Una tregua la prospettiva della quale, come quell’ultimo intervento aveva allor dimostrato, non avrebbe avuto a dover essere fraintesa qual priva di possibilità d’essere.

« Posso comprendere quanto, in questo momento, io sia l’ultima persona nell’intero Creato verso la quale mai potreste rivolgere un qualunque genere di fiducia, nel ben considerare i nostri trascorsi... » riprese allor voce ella, desiderando cogliere al balzo il sostegno psicologico così offertole da quell’ignoto ritornato « Ma, anche se potessi, non potrebbe essere francamente mio interesse uccidervi tutti quanti. »
« Difficile a credersi, nel considerare che ci hai uccisi la prima volta... » obiettò una nuova voce, ora femminile, provenire dalle tenebre lì imperanti, offrendo ragione, quantomeno, alle premesse da lei appena poste, e a quelle premesse atte a escludere una qualunque possibilità di quieto confronto fra loro.
« So che, probabilmente, non risulterà edificante dirlo ma... di tutte le persone che ho ucciso in vita mia, di tutti voi, solo nel confronto con una minima parte avrei potuto vantare una qualche concreta motivazione, un reale interesse in tal senso. » ammise, in una frase che, certamente, sarebbe risuonata malissimo e che pur, malgrado tutto, avrebbe avuto a doversi intendere assolutamente onesta « La maggior parte di voi... la stragrande maggioranza di voi, sono solo vittime del giuoco stesso della guerra: uomini e donne schierati sul fronte sbagliato della barricata e a confronto con i quali, all’epoca, non mi è stata concessa l’opportunità di tentare di dialogare, per così come stiamo facendo ora. »
« Vallo a dire a mia moglie e ai miei figli. » protestò qualcuno.
« A mio fratello e ai miei genitori. » obiettò un’altra.
« Lura cagna maledetta! » insistette una terza voce, ad alimentare un coro di dissensi a confronto con colei che non avrebbero potuto perdonare per quanto compiuto, per la propria morte e quella morte che, retorico a dirsi, aveva privato tutti loro delle proprie vite, dei propri affetti, e dei propri sogni.
« Oh... basta! » protestò tuttavia qualcun altro, dimostrando, nelle successive parole che ebbe desiderio di scandire, quel medesimo spirito critico che già aveva mosso colui che aveva suggerito, per primo, l’idea di arrendersi « Per quanto mi dispiaccia ammetterlo, ha ragione nel dire che siamo vittime della follia della guerra: anche io avevo una compagna e amavo i suo figli come fossero miei. Ciò non di meno, ho preferito mettere a rischio la mia vita e il mio futuro insieme a loro per combattere, certo che tutto ciò si sarebbe tradotto soltanto nella possibilità di guadagnare rapidamente molti più soldi di quanto non avrei potuto ottenere in altri modi. » dichiarò, senza buonismi di sorta a propria stessa difesa « E non appena tornato in vita che cosa ho fatto?! Ho seguito una folle sol bramosa di sterminare il mondo intero... e l’ho fatto semplicemente perché sembrava essere la soluzione più semplice da abbracciare! » ammise, scuotendo appena il capo « Ma ora basta! Non ho alcun interesse a sterminare il mondo... a prescindere dal fatto che io possa morire o no! »
« Ha ragione lui! » lo sostenne una nuova voce.
« Basta con questa follia! » si schierò un secondo.
« E poi perché diamine stiamo ubbidendo tutti a quella donna...?! » si interrogò un terzo, in implicito riferimento a Nissa Bontor.

Una questione quantomeno azzeccata, quella da lui così formulata, nel merito della risposta alla quale anche a Midda sarebbe sicuramente interessato avere occasione di maturare coscienza. Perché per quanto carisma Nissa Bontor potesse indubbiamente aver avuto e, ancora, avere, nulla di tutto ciò avrebbe mai potuto giustificare certe scene innanzi alla quale si era ritrovata in quegli ultimi giorni, né, tantomeno, avrebbe mai potuto offrire un senso all’ubbidienza a lei tributata anche da parte dei mostri mitologici...