Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.
Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!
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E siamo a... QUATTROMILA!
Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!
Grazie a tutti!
Sean, 18 giugno 2022
Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!
Grazie a tutti!
Sean, 18 giugno 2022
venerdì 31 marzo 2017
RM 089
Trascorsi dieci cicli dall’ultima battaglia e divenuta nel frattempo stilista e indossatrice di alta moda, a differenza di altri fratelli o sorelle d’arme che pur avevano proseguito attivamente nel settore originale, Har-Lys’sha avrebbe potuto ritrovarsi a disagio nel confronto con la necessità di ritornare a combattere, e a combattere per difendere la propria vita, il proprio presente e il proprio avvenire.
Fortunatamente, o forse sfortunatamente, a seconda dei punti di vista, la guerra non avrebbe avuto a dover essere considerata una realtà dalla quale poter trovare semplice possibilità di emancipazione. Ragione per la quale, a dispetto di quanto i suoi abiti fossero a dir poco impeccabili nella propria fattura, straordinari delle proprie forme, e indubbiamente ricercati in dozzine di diversi sistemi, quasi veri e propri capolavori d’arte, la giovane ofidiana non avrebbe mai potuto ovviare a rispondere al richiamo della pugna, e a rispondere in maniera istintiva, naturale, spontanea, quasi non avesse mai fatto altro che combattere in tutta la propria vita, quasi gli dei l’avessero concepita al solo scopo di strappare con meravigliosa maestria la vita dai corpi dei propri avversari. Non senza una certa sorpresa anche e soprattutto da parte della stessa Lys’sh, ella vide, quasi da una prospettiva esterna, il proprio corpo reagire, e agire, innanzi alla minaccia che le venne lì presentata da quella coppia di guardie armate, le quali, sopraggiungendo tanto dalla sua destra, quanto dalla sua mancina, ebbero a tentare di sopraffarla, aggredendola con una coppia di daghe.
A differenza dell’abbondanza di armi di potenza devastante, prime fra tutte armi laser o al plasma, in una realtà posta a stretto confronto con lo spazio siderale, qual quella propria di una nave stellare o di una colonia lunare, raramente laser o plasma trovavano consueto impiego, nel desiderio di scongiurare il rischio di un colpo sbagliato in conseguenza al quale uno squarcio su una parete pressurizzata avrebbe potuto comportare immediata condanna per chiunque presente, aggressore o aggredito che egli fosse. Al laser o al plasma, quindi, erano preferite, altresì, armi bianche, di più sicura gestione, di maggiore maneggevolezza e di, comunque, efficacia condanna, là dove avessero condotto i propri colpi a segno: pugnali e spade, di varia fattura, di vari materiali, si ponevano quindi qual fedeli compagni al fianco di qualunque guerriero, giudicati, in ciò, non meno importanti rispetto a un fucile laser o un cannoncino al plasma, nel garantire loro una garanzia di futuro, nel suggerire loro una possibilità di sopravvivenza anche laddove, altrimenti, non ne avrebbero potuto sperare. Nulla di insolito, in ciò, avrebbe avuto a dover essere riconosciuto da parte di Lys’sh nel cogliere le guardie armate di daghe, lame corte e rapide che, in maniera per lei estremamente spiacevole, avrebbero potuto quietamente farla a pezzi, se solo, da parte sua, non vi fosse stata giustificabile contrarietà a tal riguardo. Così, a fronte della comparsa di quelle guardie, un umano e una chimera, ella ebbe a sguainare i propri artigli, abitualmente ritratti all’interno delle sue dita, preparandosi al confronto.
Senza una parola, la guardia umana ebbe a lanciarsi in sua opposizione, tentando di menare un violento, ma al tempo stesso poco pratico, fendente, alla volta del suo cranio: muovendosi con straordinaria eleganza, con innata sinuosità e appresa agilità e velocità, ella ebbe a schivare facilmente quel primo attacco, immediatamente replicando al medesimo con un movimento della propria mancina, volta a sondare l’abbigliamento del medesimo, aprendo lungo la sua schiena cinque lunghi tagli. Tuttavia, laddove egli avrebbe potuto ritrovarsi, in ciò, già squartato, la presenza, al di sotto della propria camicia, di un corpetto protettivo rese inefficace quel contrattacco, in misura non inferiore rispetto all’attacco iniziale. Fu in quel mentre che, ritenendo erroneamente distratta l’ofidiana, la seconda guardia, un feriniano, simile, all’apparenza, a un incrocio fra un uomo e un grande felino, si slanciò a ipotetico discapito della stessa, puntando a trapassare, or in un affondo, il corpo della medesima con la propria arma: Lys’sh, tuttavia, in grazia in parte ai propri sensi, ma ancor più alla propria esperienza, a una vita intera trascorsa a combattere in ogni situazione, in ogni contesto, con e contro ogni arma, pur voltata di spalle nel confronto con quel nuovo nemico, ebbe occasione di percepire con assoluta precisione la traiettoria dell’aggressione, riservandosi, in tal maniera, tempo sufficiente a modificare, di conseguenza, il proprio movimento, non tanto per arrestarsi, così come sarebbe probabilmente servito solo a porre a dura prova il suo equilibrio, in un momento già sufficientemente complesso, quanto e piuttosto a proseguire, e a proseguire in termini utili a veder il colpo ipoteticamente mortale affondare nell’aria a poche dita dal suo fianco nel mentre in cui, comunque, la sua destra veniva, allor, guidata in direzione del volto dell’antagonista. E ritrovandosi, questi, privo di qualunque protezione a garantirgli possibilità di indifferenza nei confronti di quella controffensiva, nulla poté impedire agli artigli della donna di raggiungere il proprio obiettivo, aprendo cinque ampli solchi sul viso del feriniano, dal quale, immediatamente, copioso sangue iniziò a fuoriuscire, costringendolo a gridare per la sorpresa e il dolore.
« Lurida cagna…! » sbraitò, ritraendosi semiaccecato da quell’aggressione, costretto a quel tentativo di disimpegno al fine di ovviare a nuove aggressioni o, peggio, a un qualche proprio movimento convulso in conseguenza al quale avrebbe potuto finire con il ferire il proprio stesso collega.
« Almeno dammi della serpe… » protestò, ironicamente, la donna, per tutta risposta, non dimostrandosi particolarmente colpita da quell’offesa laddove, obiettivamente, era stata definita in termini decisamente peggiori rispetto a quello.
Sperando di approfittare della confusione per tentare di concludere in quanto, pocanzi, aveva palesemente fallito, la guardia umana cercò un nuovo contatto con lei, ipotizzando un tondo dritto diretto al fianco destro dell’ofidiana, nel coglierla girata di spalle. Ancora una volta, però, la straordinaria preparazione di Lys’sh parve permettere di ipotizzare addirittura l’esistenza di un sesto senso da parte sua, una capacità di percezione del pericolo della quale, pur, ella non era fornita, non in misura superiore, quantomeno, rispetto a quella che chiunque avrebbe potuto vantare: a fare la differenza, allora come prima, altro non fu che tutti i cicli da lei spesi nei campi di battaglia, nel cuore delle peggiori guerre dell’universo conosciuto, accanto ai guerrieri migliori che la Storia avrebbe mai potuto ricordare, guerrieri fra le schiere dei quali, non immeritatamente, anch’ella avrebbe avuto a dover essere annoverata. E così, nel momento in cui la lama avrebbe dovuto raggiungere il suo fianco, quanto ebbe a trovare fu nuovamente soltanto l’aria, e l’aria, allora, presente al di sopra della sua testa nel mentre in cui, sfuggendo a quell’assalto, ella ebbe a proiettarsi rapidamente a terra, per poi non permettere a quell’occasione di finire sprecata, nell’allungarsi in direzione delle gambe del proprio antagonista e, con una decisa rotazione, spazzarle impetuosamente, non permettendogli altro al di fuori di una pesante caduta al suolo, là dove, rimasto per un fugace istante privo di protezione, ebbe allora a essere impietosamente sgozzato dagli stessi artigli dai quali, un momento prima, era stato risparmiato in grazia al proprio corpetto protettivo.
« Vorrei dire che mi dispiace… » ebbe a commentare la giovane, non provando particolare piacere nell’uccidere e, ciò non di meno, non ponendosi neppure dilemmi morali in tal senso, giacché, come guerriera, come soldato, aveva superato ogni ragione di dubbio già molto tempo prima « Ma, francamente, dopo aver visto cosa avete organizzato qui sotto, no… non mi dispiace. » argomentò, in riferimento alle gabbie davanti a loro, le stesse gabbie all’interno delle quali, in quel mentre, gli occupanti lì imprigionati quasi altro non fossero che bestie prive d’ogni dignità, stavano osservando con sorpresa e disorientamento quanto lì in evoluzione, forse iniziando a maturare l’idea che, il giudizio troppo rapidamente espresso a condanna dell’ofidiana avrebbe avuto a dover essere considerato ingiusto e immeritato.
E prima che Lys’sh potesse preoccuparsi di concludere la questione rimasta in sospeso con il feriniano, nuovi rumori di passi la misero in allarme, avvisandola di quanto, di lì a breve, almeno un’altra mezza dozzina di guardie avrebbe avuto a precipitarsi in suo contrasto.
giovedì 30 marzo 2017
RM 088
Trascorse ormai quasi tre ore dall’inizio della missione, Lys’sh era riuscita a raggiungere i livelli più bassi, là dove, in accordo alle informazioni in loro possesso, avrebbero avuto a dover essere riconosciute qual presenti le merci più preziose per la Loor’Nos-Kahn, fra cui, ineluttabilmente, anche gli schiavi.
Per l’ofidiana, certamente, quella avrebbe avuto a doversi considerare la prova più difficile, giacché, se fino a quel momento era stato, dal suo punto di vista, sufficientemente semplice riuscire a dimostrare un certo distacco, una certa distanza emotiva dal contesto a lei circostante, nel mantenersi fermamente ancorata alla consapevolezza della propria missione, del perché ella fosse lì e di quali avrebbero avuto a dover essere considerate le sue effettive priorità; meno ovvio, meno banale avrebbe avuto a dover essere considerato quello stesso comportamento applicato a una situazione in cui, innanzi al proprio sguardo, non avrebbe avuto a dover essere considerata qualche cassa di droga, o di altre merci più o meno illegali, quanto e piuttosto, drammaticamente, tragicamente, delle persone, umane o chimere che essi fossero. Stipate all’interno di gabbie di diverse dimensioni, erano lì ordinati, non diversamente da altre merci, e da merci inanimate, uomini e donne, bambini e bambine, di diverse età, di diverse razze, alcuni dei quali caratterizzati, ancora, da una qualche insofferenza all’evidenza della propria condizione e pur, la maggior parte dei quali, contraddistinti, altresì, dall’assenza di qualunque tentativo di ribellione, da qualunque barlume di agitazione, nell’essersi, chiaramente, ormai rassegnati all’evidenza della loro situazione, certi di come, ormai, le loro stesse vite non avrebbero avuto più a doversi riconoscere qual realmente tali. E osservare così tanta gente, forse un migliaio di gabbie, forse più, in tal maniera privata non soltanto della propria libertà, ma, persino, della propria identità, e del diritto stesso a considerarsi vivi, non avrebbe potuto essere banalizzabile qual uno spettacolo di minor conto, uno scenario innanzi al quale potersi permettere di proseguire quasi nulla stesse lì accadendo… neppure per una donna straordinariamente addestrata, e dotata di grande autocontrollo, qual pur Har-Lys’sha era e avrebbe avuto a dover essere riconosciuta.
Non fosse stata allor legata a una missione di ordine maggiore, di importanza più ampia, qual quella volta a demolire, allora, non soltanto l’orrore lì innanzi impostole, ma anche, e ancor più, l’intero, terribile, inaccettabile e imperdonabile, sistema che, tutto quello, stava comunque non soltanto giustificando, quanto, e piuttosto, alimentando e mantenendo; Lys’sh probabilmente non avrebbe resistito all’impulso di reagire innanzi a tutto quello, malgrado il rischio, in tal modo, non soltanto di farsi ammazzare, ma anche di tradire Carsa e tutti gli altri loro compagni, nell’ubbidienza a un impulso estemporaneo. Tuttavia, il pensiero di quanto, di lì a breve, tutti gli appartenenti alla Loor’Nos-Kahn l’avrebbero pagata, e pagata cara, per quell’orrendo crimine, le permise di trattenersi, di mantenere ancora un certo autocontrollo, tale da farla permanere nelle ombre, lontano dall’attenzione di tutti, schiavi inclusi, per quanto, obiettivamente, l’unica cosa che allor avrebbe potuto desiderare sarebbe stato scattare in avanti ad aprire quelle gabbie, liberando coloro lì rinchiusi.
E se, dal proprio punto di vista, Lys’sh stava pur mantenendosi coerente con quanto pianificato, con quanto ella avrebbe avuto a dover compiere, sebbene non senza una certa fatica, un certo sforzo, il fato parve volerle rendere i giochi meno semplici nel porla a confronto, nel proseguo di quell’esplorazione, con un gruppo di gabbie popolate, al loro interno, da altri ofidiani. Ofidiani che, a differenza sua, avrebbero probabilmente avuto a doversi riconoscere persino come purosangue e, in questo, contraddistinti da qualche abilità a lei negata, fra cui una certa sensibilità alle radiazioni infrarosse, tali da poter loro permettere di distinguere la realtà attraverso le proprie emissioni di calore e, in ciò, tali da vanificare qualunque impegno, da parte della giovane mezzosangue, a mantenersi discretamente da parte, così come, con tanto sforzo, ella stava tentando di fare…
« Traditrice della tua specie! » inveì un giovane ofidiano, evidentemente ancor caratterizzato da una certa combattività, da un certo rifiuto nei confronti di quella situazione, equivocando, tuttavia, la presenza di Lys’sh qual quella di un’avversaria, di un membro della Loor’Nos-Kahn, non avendo ragioni per ipotizzare altro, in quel particolare momento, in quel particolare contesto « Come puoi fare questo ai tuoi simili?! Come puoi restare lì a guardarci, gioendo silenziosamente della nostra disgrazia?! »
Nel profondo del proprio cuore, la giovane non poté ovviare a inveire, giacché, per quanta discrezione avesse potuto aver impiegato sino a quel momento, per quanti trucchi potesse aver adoperato per ingannare i sensori ambientali di quel luogo e discendere sino a quel livello, difficile sarebbe stato riuscire a passare inosservata nel momento in cui, come allora, qualcuno si fosse rivolto direttamente a lei: tutto ciò era male… e, se non avesse agito rapidamente, sarebbe potuto essere soltanto peggio.
« Non è come puoi pensare. » sussurrò, in un alito di voce, ben consapevole di quanto poco sarebbe stato sufficiente per essere udita da un suo simile, molto meno di ciò che avrebbe potuto essere considerato udibile alla maggior parte delle altre specie, umane o chimere « Non sono della Loor’Nos-Kahn. »
« Traditrice! » insistette quello, altresì a tono di voce decisamente più vivace, tanto da iniziare, in tal senso, ad allarmare anche altri prigionieri lì vicino, ofidiani e non, i quali iniziarono a interessarsi a quanto stesse lì accadendo.
« Per la dea… taci, sciocco! » sussurrò di rimando la giovane guerriera, cercando di imporre il silenzio in quel frangente, in quella situazione che, da un istante all’altro avrebbe potuto generare « Fra poche ore sarete liberi. E i vostri carcerieri saranno morti. » profetizzò, in quella che non avrebbe avuto a dover essere considerata una possibilità, un’ipotesi, quanto una certezza, una sentenza già emessa e che presto sarebbe stata eseguita « Ma ora devi tacere… »
Per quanto Lys’sh stesse allor parlando con il cuore in mano, sinceramente colpita da quella situazione, da quella vicenda, e non soltanto nella presenza di propri simili, per risolvere la quale avrebbe voluto intervenire anche immediatamente, trattenendosi solo nella consapevolezza di quanto incredibilmente stupido sarebbe stato, da parte sua, qualunque gesto istintivo in tal contesto; così come in una partita di chaturaji, il fato aveva espresso il proprio volere attraverso un tiro sfavorevole di dado, che, a prescindere da quanto ella avrebbe potuto desiderare o meno, la stava costringendo ad agire, e ad agire in termini estremamente pericolosi, per la propria stessa sopravvivenza. E quel tiro sfavorevole, purtroppo, non fu il solo, giacché, nell’averla posta a confronto con un prigioniero ancor non completamente sottomesso alla propria condizione, la sorte non le permise di avere successo, in maniera tanto semplice, nel calmarne i nervi, nel stemperarne l’ira: una reazione comprensibile, assolutamente condivisibile quella dell’uomo, e che pur, in tal contesto, avrebbe comportato soltanto guai…
… guai come quelli che, ineluttabilmente, non mancarono di materializzarsi nel contempo della terza accusa, a discapito della donna, di essere soltanto una traditrice della propria specie, e di materializzarsi, nella fattispecie, in una coppia di guardie che, avvertendo un po’ di trambusto, ebbero ad accorrere nella direzione di quel gruppo di gabbie, per accertarsi di cosa potesse star accadendo.
« Dannazione… » ringhiò, quasi, la giovane, nell’avvertire distintamente i passi in rapido avvicinamento, e nel cercare di analizzare, nei pochi secondi rimastile, la situazione, a comprendere in qual maniera potersi permettere di affrontare quella situazione, fondamentalmente allor semplificabile soltanto in due direzioni: la lotta o la fuga.
E, non dimenticando di non essere lì da sola, con una rapida pressione sull’anello comunicatore, ebbe a premurarsi di comunicare alla propria sorella d’arme quanto, di lì a un istante, sarebbe accaduto.
mercoledì 29 marzo 2017
RM 087
Nel mentre in cui Desmair, a bordo della Jol’Ange, stava allor cercando occasione di sfogo nell’intrattenersi con Nissa, poco distante, a bordo della Kriarya, la situazione non avrebbe potuto essere riconosciuta qual particolarmente più serena.
In accordo, infatti, con l’analisi compiuta dal flegetauno, Howe e Be’Wahr, ma anche la stessa Guerra, avrebbero avuto a doversi considerare particolarmente insofferenti a quel momento di attesa, alla pazienza loro richiesta nel confronto con la missione a scopo di ricognizione che stava allor venendo condotta da Lys’sh e Carsa e, per quanto, a differenza di Desmair, stessero impegnandosi a non darlo troppo a vedere, la tensione lì presente, e con la quale soltanto Ma’Vret e Heska restavano, proprio malgrado, a confrontarsi qual fronte più razionale, più controllato, complice sicuramente il proprio spirito genitoriale. E se, per ingannare il tempo, sulla Jol’Ange era stata scelta la soluzione del solitario, almeno per quanto concernente Desmair, sulla Kriarya, Midda, Heska e Howe avevano deciso di dilettarsi in un grande classico del loro comune passato, con il quale, molti momenti di attesa, erano stati piacevolmente colmati: il chaturaji, o gioco dei quattro re.
« So di fornire a qualcuno dei presenti un’ottima occasione per beffeggiarmi… » premesse Be’Wahr, implicando, in maniera tutt’altro che velata, il coinvolgimento in tal senso del fratello di una vita intera, laddove, avendone l’occasione, Howe non si sarebbe certamente tirato indietro all’idea di deriderlo « Tuttavia… mi sto annoiando. »
« Potresti unirti a noi… abbiamo ancora un posto libero. » osservò Heska, sorridendo con dolcezza verso il compagno di squadra, con una premura innanzi alla quale i cuori di molti uomini si sarebbero inevitabilmente sciolti, nell’amore più puro che ella sapeva ispirare.
« Se il tuo cervello fosse in grado di rammentare la dozzina di regole alla base del chaturaji, potresti unirti a noi… » si affrettò a puntualizzare Howe, non desiderando, come previsto, rinunciare a quell’occasione, troppo propizia per poter essere ignorata, soprattutto in un contesto fin troppo tranquillo qual quello che era stato loro lì forzatamente imposto « … purtroppo sappiamo bene che Lohr non è stato particolarmente clemente nei tuoi riguardi, al momento di dispensare l’intelletto. »
Gioco estremamente antico, il chaturaji era stato concepito fino a un massimo di quattro giocatori, in uno squisito miscuglio di abilità strategica e intervento del fato, riuscendo in tal maniera a rappresentare in termini estremamente realistici la complessità di una battaglia: una battaglia nel corso della quale le sorti del conflitto stesso non avrebbero avuto a poter essere definite fino a quando ancora un pezzo fosse rimasto sulla scacchiera, fosse questo anche l’ultimo dei pedoni; e, parimenti, l’esito finale della quale non avrebbe avuto a poter essere considerato qual mera espressione della preparazione strategica di un fronte, giacché, anche la più straordinaria mente tattica avrebbe potuto essere facilmente sconfitta per un drammatico tiro di dado, volto a costringerlo a muovere l’unico pezzo che mai, in quel frangente, avrebbe voluto spostare.
Era stata Midda, diversi cicli prima, a introdurre la pratica del chaturaji come occasione di disimpegno mentale, di svago, nei momenti di necessaria pausa nel corso di una guerra, fra una battaglia e l’altra. Era un gioco che, sia lei, sia Nissa, avevano sempre adorato, fin da bambine, ed era un gioco che, proprio in conseguenza della straordinaria peculiarità delle proprie regole, avrebbe avuto a dover essere considerato estremamente propedeutico per ricordare a tutti i membri della loro squadra, della loro famiglia d’arme, quanto umile avrebbe avuto a dover essere sempre l’approccio di chiunque nei confronti della guerra, giacché, in guerra, il più potente dei sovrani e l’ultimo degli scudieri avrebbero potuto contribuire nell’identico modo, tanto al risultato migliore, quanto a quello più devastante. E, non a caso, il tiro di dado volto a imporre il movimento del re o del pedone avrebbero avuto a doversi considerare equivalenti all’interno delle regole del chaturaji.
« … questa te la sei cercata… » commentò Ma’Vret verso Be’Wahr, scuotendo il capo nel confronto con la nota sollevata da Howe, preventivamente divertito all’idea dell’ineluttabile discussione che, allora, sarebbe scaturita fra i due.
« Non è che non sia in grado di ricordare le regole del gioco! » protestò il biondo, scuotendo il capo, contrariato alla provocazione da parte del fratello « E’ che non capisco come possa… »
« La chiave di lettura è nel verbo da te utilizzato… capire. » incalzò Howe, non tradendo le aspettative di tutti nel non concedere all’altro neppure il tempo di terminare la frase per imporgli un altro affondo « Non desidero apparire crudele nei tuoi confronti, ma devo dirtelo: capire è qualcosa che, da sempre, va ben oltre le tue più rosee speranze. »
« Spiritoso… » commentò, per poi cercare di ignorarlo e riprendere la frase interrotta « Dicevo che non riesco a capire come possa, questo gioco, essere considerabile pari alla simulazione di una battaglia. » riuscì a terminare la frase, storcendo appena le labbra verso il basso « Non nego che possa essere appassionante… ma da questo, a considerarlo un gioco di guerra, sinceramente ne passa, dal mio personalissimo punto di vista. »
« Già… » annuì l’altro, dimostrandosi assolutamente serio nell’accogliere l’argomentazione in tal maniera prodotta dal fratello « Dopotutto di tratta addirittura di riuscire ad astrarre la realtà… cioè… lo comprendo… non è che si possa pretendere molto dalla tua fragile mente. »
Osservando la scena dall’esterno, seguendo quello scambio di battute neppur così innocenti o innocue, chiunque avrebbe potuto attendersi che, da un momento all’altro, il biondo potesse scattare in avanti, per reagire con violenza fisica alla violenza verbale della quale si stava ponendo chiaramente vittima. Ciò non di meno, ciò non accadde. Perché, osservando la scena dall’interno, seguendo quello scambio di battute con gli occhi dei loro fratelli e sorelle d’arme, di coloro che per tanti anni avevano vissuto e combattuto fianco a fianco con quella coppia nei più diversi angoli dell’universo conosciuto, sarebbe stato altresì evidente come, in fondo, Howe e Be’Wahr stessero conducendo un loro personalissimo gioco. Una partita, quella in corso, con regole non codificate, e lunga quanto una vita intera, nel corso della quale avrebbero potuto anche insultarsi reciprocamente in modi più o meno aggressivi, avrebbero potuto anche stuzzicarsi verbalmente a volte con originalità, a volte senza eccessivi sforzi in tal senso, e pur, parimenti, senza mai realmente mancarsi di rispetto, nell’esistenza, fra loro, di un rapporto trascendente qualunque possibile ingiuria, in un legame persino più forte di quello derivante dal sangue, e tale da non permettere a nessuno dei due di concepire la propria vita senza quell’amico, quel fratello di sempre.
Così non Midda, non Heska, non Ma’Vret, ebbero a preoccuparsi per quella discussione, per quell’ennesimo litigio fra i due, nella ferma consapevolezza di quanto, all’atto pratico, altro non avesse a doversi che interpretare qual il tentativo di Be’Wahr di contrastare la noia pocanzi denunciata.
« Sei consapevole, vero, che se la mia mente fosse stata così fragile, a questo punto ti avrei probabilmente già fatto a pezzi, non avendo possibilità di sopportare tanta ostilità da parte tua…? » questionò il biondo Be’Wahr, aggrottando la fronte e incrociando le braccia sotto il petto, a enfatizzare, in tal modo, la propria già voluminosa presenza, nel tentativo di incutere timore all’interlocutore.
« Ostilità…?! » ripeté Howe, con forzata sorpresa nella propria voce, colto apparentemente in contropiede da quell’ultima affermazione, se pur per ragioni diverse da quelle che avrebbero potuto essere facilmente fraintese « E questa cosa dovrebbe essere…? La tua nuova parola del giorno?! » esplicitò, nell’escludere, in tal maniera, che il fratello avrebbe avuto altresì realmente la possibilità di conoscere tale significante e il suo significato.
martedì 28 marzo 2017
RM 086
« Posso dire di essere stanco di aspettare…? »
A esprimere tale lamento, nel mentre in cui, con fare annoiato, ebbe a passarsi le enormi mani sul grottesco volto, fu Desmair, il quale, sinceramente, avrebbe preferito ovviare all’inutile perdita di tempo per lui rappresentata da quella missione esplorativa, in favore di un’azione più diretta, di un intervento più deciso, anche azzardato e, ciò non di meno, più appagante, più divertente, rispetto a quella, per lui estenuante, attesa per il ritorno di Carsa e Lys’sh.
Le due donne erano via già da un paio di ore e, secondo i piani concordati, nessun allarme avrebbe avuto a dover coinvolgere il resto della squadra prima di almeno altre due ore, giacché, nel considerare l’ampiezza del luogo, della roccaforte nella quale esse si erano sospinte, soltanto sciocco, superficiale, sarebbe stato presumere un tempo inferiore per garantire loro occasione di raccogliere sufficienti informazioni prima di fare ritorno. Ciò non di meno, quella paziente attesa non si conciliava in maniera spontanea, naturale, con i caratteri di tutti i presenti. Al contrario…
« Considerando che è forse la sesta volta che lo ripeti, ritengo che tu abbia piena facoltà di dirlo. » osservò Nissa, non senza una certa contrarietà a tal riguardo « Per quanto ciò mi dispiaccia… » evidenziò, a non lasciare tutto ciò qual mero sottinteso, non volendo concedere all’interlocutore scusa utile a equivocare il significato di quel suo commento.
« Non biasimarmi. » suggerì egli, scuotendo il grosso e pesante capo ornato da corna, la punta delle quali, quasi, giungeva a sfiorare il soffitto dell’interno della nave, quand’egli si poneva in piedi, qual pur, in quel particolare momento, non era, nell’ingannare il tempo seduto, giocando a solitario con un mazzo di carte trovato a bordo della Jol’Ange, la nave su cui era imbarcato insieme al proprietario della stessa, Salge, alla cacciatrice un tempo al servizio di suo padre, Ja’Nihr, a Duva, alla stessa Carsa e, ovviamente, alla sorella di Guerra, con cui, in quel frangente, si stava riservando occasione di discussione « Io, per lo meno, sto dicendo quello che penso… al contrario di un po’ dei nostri amichetti qui attorno. »
Invero, oltre a Desmair, per quanto diversamente da lui non così espliciti, diretti, persino sfrontati, nel prendere posizione a tal riguardo, avrebbero avuto a dover essere considerati altri elementi in favore a un diverso approccio, fra coloro a bordo delle due navi attraccate al porto lunare. E di questo, un manipolatore nato qual egli era, non avrebbe potuto ovviare a rendersene perfettamente conto.
« Cosa vorresti lasciar a intendere…? » questionò la donna, replicando più per disattenzione che per reale interesse a quel proposito, soprattutto laddove, obiettivamente, ella non avrebbe voluto concedere a quell’essere ulteriori legittimazioni a parlare, a insistere nella direzione lungo la quale egli già troppo aveva indugiato in quelle ultime due ore « … no. Non mi rispondere. Non voglio saperlo. » tentò di correggersi, rendendosi tardivamente conto del proprio errore, della disattenzione che l’aveva così contraddistinta.
« Che non sono l’unico che preferirebbe un approccio contraddistinto di minore esitazione. » asserì sorridendo, sinceramente felice per la domanda destinatagli, dal momento in cui, in tal maniera, avrebbe potuto permettersi di alzare la posta così come, fino ad allora, non si era ancora osato compiere « O vuoi fingerti così tanto ingenua da non comprendere, da non immaginare quanto tu sorella, innanzitutto, ma anche Duva e Salge, qui presenti, e, probabilmente, Howe e Be’Wahr, sull’altra nave, sarebbero decisamente più appagati dal poter danzare all’interno di una violenta battaglia rispetto a marcire nell’immobilismo così impostoci…? »
Duva e Salge, ovviamente abbastanza prossimi dal poter udire senza alcuna fatica, senza la benché minima possibilità di fraintendimento, le parole in tal maniera scandite, non riuscirono a ovviare a scambiarsi uno sguardo chiaramente imbarazzato, sinceramente colpevole, così come se fossero stati sorpresi a fare qualcosa di proibito, qualcosa nel merito del quale non avrebbero avuto a doversi sospingere, rei e colti, in tutto questo, in piena flagranza di reato.
Non una parola, quindi, ebbero coraggio di pronunciare nel cercare di smentire l’accusa loro rivolta, così come, del resto, non una parola fu quella che Nissa ebbe cuore di sollevare a difesa della propria gemella, il cui carattere, la cui irruenza, indubbiamente avrebbero dato ragione a Desmair e alla sua non gratuita osservazione: e il fatto stesso in base al quale, in quel momento, era stata garantita a Carsa e Lys’sh la possibilità di anticiparli, in una ricognizione valutativa nel merito di quell’edificio, di quella roccaforte sepolta, altro non avrebbe avuto a dover essere letto se non l’impegno ad agire con adeguata prudenza, nel rispetto di una necessaria pianificazione, invero più espresso per volontà della stessa Nissa Bontor che della sua identica consanguinea Midda Bontor.
« Il tuo silenzio è la più palese conferma di cui avrei mai potuto avere necessità… » osservò il flegetauno, non privo di evidente soddisfazione personale, nel porre in scacco l’interlocutrice, dopo che questa gli aveva riservato un comportamento così chiaramente indisponente, quasi avesse a doversi scusare per qualcosa anche ove, invero, innocente sotto ogni punto di vista… o, quantomeno, non più colpevole rispetto ad altri loro commilitoni « E dimmi… a dividerci in questa maniera, a bordo delle due navi, sei stata tu o Midda? » incalzò, non pago del successo in tal maniera appena riportato « Perché, probabilmente, fossimo stati tutti insieme, la tua sorellina, senza qualcuno di più prudente, di più misurato a frenarci, a quest’ora ci saremmo già avviati a trovare una più rapida conclusione all’intera questione… » ipotizzò, in implicito riferimento agli stessi nomi pocanzi elencati, coloro che, probabilmente, meno pazienza si sarebbero riservati, altrimenti.
« Il tuo punto qual è, Desmair…? » intervenne Ja’Nihr, prendendo voce nella questione in supporto a Nissa, non avendo piacere nel concedere al sodale, al fratello d’arme, di insistere a sproposito in quella direzione, nell’intuirne le ragioni, non con minore acume rispetto a quanto da lui dimostrato « Perché, per come la vedo io, stai cercando occasione di attaccar rissa con Nissa soltanto per ingannare il tempo… »
E, in questa occasione, fu il turno della chimera di tacere, giacché la cacciatrice, dalla propria, avrebbe potuto vantare non minor ragione di quanta egli potesse aver pocanzi dimostrato nel cogliere i limiti dei caratteri degli altri, degli animi irrequieti dei loro compagni e compagne che, allorché attendere, avrebbero preferito agire. Un’inquietudine che, egli, aveva quietamente ammesso di condividere e che, in effetti, altra non avrebbe avuto a dover essere identificata alla base di quella piccola polemica, possibile propizia occasione per garantirgli di spendere qualche minuto, qualche dozzina di minuti se la questione si fosse adeguatamente ingigantita, dietro a quella polemica obiettivamente fondata sul nulla.
Ma se anche, in un primo istante, Desmair accusò il colpo, il silenzio nel quale ebbe estemporaneamente a rifugiarsi non durò a lungo, laddove, pur in tal modo scoperto nelle proprie intenzioni, la questione avrebbe potuto ancora concedergli qualche minuto di svago se avesse giocato adeguatamente le proprie metaforiche carte, in quella nuova partita, condivisa, prima, con Nissa e, poi, con Ja’Nihr, decisamente più interessante dell’inutile solitario per lui in corso nel contempo…
« E se anche fosse…? » replicò pertanto, stringendosi fra le spalle quasi a minimizzare il valore di quell’implicita ammissione di colpa « … tutto questo è così dannatamente noioso che, francamente, il mio impegno a trovare un modo per ingannare il tempo avrebbe a dover essere esaltato nella propria iniziativa, anziché ostracizzato. »
lunedì 27 marzo 2017
RM 085
Scendendo al secondo livello, Lys’sh si premurò di verificare la presenza di eventuali ostacoli che avrebbero potuto essere presentati all’attenzione del resto della squadra nel momento in cui si fosse lì avventurato. L’edificio, almeno sino a quel momento, le era parso tutto sommato meno temibile di quello che avrebbero potuto attendersi e, probabilmente, ove gli anni non avessero troppo arrugginito alcuno di loro, sarebbero stati in grado di conquistare l’intero complesso nel giro di poche ore: qualche sensore ambientale e un certo numero di guardie armate, dopotutto, difficilmente avrebbero avuto a potersi considerare un ostacolo sufficiente per loro, non laddove, in passato, erano stati costretti ad affrontare molto di più in condizioni indubbiamente peggiori. Ciò non di meno, non desiderando peccare di superbia o di arroganza, nel ben comprendere quanto, tutto ciò avrebbe potuto condurla solamente a essere superficiale e, in tal senso, a commettere qualche stupido errore in funzione del quale l’intera missione avrebbe potuto essere compromessa in maniera incredibilmente sciocca; la giovane ofidiana ebbe a imporsi di affrontare quella discesa allo stesso modo, con la stessa attenzione, con la quale si sarebbe posta innanzi a un campo di battaglia, partendo dal presupposto, forse sin troppo prudente e pur, non per questo, sbagliato, che ogni suo passo avrebbe potuto essere l’ultimo.
Midda Bontor, in tal senso, era sempre stata molto chiara: nella propria vita, sin dalla più tenera età, ella aveva reso del pessimismo e della paranoia una filosofia di vita e, a differenza di quanto i più avrebbero potuto credere, non una filosofia di vita negativa, volta a escludere la possibilità di mettersi alla prova, di tentare l’impossibile, quanto, al contrario, la migliore prospettiva a tal riguardo, nel partire dal consapevole presupposto che tutto, per quanto accuratamente pianificato, avrebbe potuto andare male, che anche il piano, la tattica, la strategia apparentemente migliore, avrebbe potuto riservarsi un inaspettatamente terribile punto debole, tale da compromettere in maniera devastante qualunque aspettativa di vittoria. Prepararsi ad affrontare tutto, il possibile al pari dell’impossibile, il nemico certo così come l’ignoto, quindi, avrebbe avuto a doversi considerare l’unica soluzione attuabile per poter sperare in un domani, per poter credere di potersi ancora concedere un futuro, fossero anche discesi, dall’alto dei cieli, o risaliti, dalle profondità della terra e dei mari, gli dei tutti, per dichiarare loro guerra. Forte di simile approccio, di tale misurata prudenza, tale da porla sempre almeno una dozzina di mosse avanti ai propri antagonisti, Midda, ma anche e, probabilmente, ancor più sua sorella Nissa, erano state in grado di affrontare qualunque sfida, di vincere qualunque battaglia, qualunque nemico, giacché, laddove nulla avrebbe avuto a doversi considerare inatteso, tutto sarebbe stato sempre da loro gestito anche quando inimmaginabile e inimmaginato, giacché, anche in tal caso, comunque non escluso nella propria occorrenza e, in ciò, mai sorprendente, mai così distruttivo come, altrimenti, necessariamente sarebbe potuto essere. Probabilmente, in effetti, le due gemelle non avevano, né mai avrebbero, escluso persino l’eventualità di un tradimento da parte di qualunque dei loro amici o, addirittura, di loro stesse, l’una a discapito dell’altra: non che, in ciò, mancassero reciprocamente di fiducia… semplicemente, se mai, per assurdo, un giorno l’una avesse tradito l’altra, questa sarebbe stata probabilmente in grado di sopravviverle, nel non essersi mai concessa un’occasione di indolente serenità.
E l’unica volta in cui Guerra aveva abbassato metaforicamente la guardia, l’unica volta in cui, superficialmente, si era concessa l’opportunità di considerarsi al sicuro, dopo dieci cicli trascorsi lontano da tutto e da tutti, tale incauta confidenza nei confronti del fato le era costata troppo, vedendosi portato via tutto quanto: il marito, i figli e, quasi, persino la vita. Un’imprudenza, dal suo punto di vista, della quale probabilmente non avrebbe mai trovato modo di perdonarsi, e il ricordo della quale le sarebbe rimasto, del resto, per sempre impresso nella mente, nell’animo, nel cuore e, probabilmente, anche nel corpo, giacché difficile sarebbe stato credere, per chi la conosceva, come i suoi commilitoni, che la sua scelta in favore di quegli arti così grezzi e innaturali e, ancor più, del mantenimento dell’orribile reticolo di cicatrici che ne martoriava l’immagine, rendendola simile a una grottesca imitazione della donna mirabile che era stata un tempo, avesse a doversi giustificare semplicemente in un fattore di tempo, e di tempo da ovviare a perdersi. Tutto quello, Lys’sh, Carsa, così come chiunque altro nel loro gruppo, sarebbero stati pronti a scommettere, ella avrebbe per sempre mantenuto tale, come monito, come orrido promemoria volto a ricordarle il proprio errore e a punirla, in questo, per ciò, per non essere stata, una tragica volta nella propria vita, sufficientemente paranoica.
E paranoica, in tutto ciò, si costrinse necessariamente a essere anche Carsa, la quale, dopo il troppo interesse dimostrato dal suo giovane e attraente interlocutore, non avrebbe potuto concedergli la possibilità di seguirla, di controllarla più del dovuto, impedendole di continuare secondo i propri piani. In questo, e per quanto, suo malgrado, obiettivamente senza colpa alcuna, egli avrebbe avuto a dover essere posto a tacere, e a tacere per sempre. Una morte che, comunque, ebbe a giungere in maniera tutt’altro che dolorosa o spiacevole, nel momento in cui, onde evitare di attirare altre, sgradevoli, attenzioni, soprattutto da parte delle attente guardie lì attorno discretamente appostate, Lavero accettò l’idea di appartarsi con il proprio nuovo amico, e candidato amante, in un angolo, su morbidi cuscini, che accolsero morbidamente i loro corpi non meno di quanto ella parve avere piacere ad accogliere quello di lui: ma nel momento in cui i baci iniziarono a farsi più focosi, più appassionati, e le spalline dell’abito ebbero a scivolare lasciando scoprire, per un fugace istante, i sodi seni della donna, e i loro fieri capezzoli scuri, le braccia di lei parvero, per un momento, voler guidare le attenzioni del proprio complice verso il suo accogliente petto, salvo, una volta che egli ebbe raggiunto quella posizione tanto interessante, stringersi con fermezza attorno al suo collo, a non concedergli opportunità di ulteriore movimento, a non garantirgli possibilità di evasione da quell’unione. E prima che egli potesse realmente rendersi conto di quanto stava avvenendo, una torsione decisa dell’intero corpo della donna attorno a lui, che apparve dall’esterno non dissimile all’appassionata rotazione alla ricerca della miglior postura per un migliore amplesso, vide un suono sordo emesso dalle vertebre infrante del suo collo, liberandolo definitivamente dal fardello della propria esistenza.
« … alla fine sei stato disposto a morire per me… » sussurrò Carsa, in direzione del corpo morto disteso sotto di lei, quasi dimostrando in tal senso un certo rammarico per quella necessaria morte, giacché altre priorità avrebbero avuto a dover essere intese da parte sua, in quel frangente, al di là del mero appagamento di un possibile capriccio fisico, per il quale, comunque, quel giovane avrebbe potuto anche avere possibilità di soddisfarla « … grazie. »
Chiudendogli le palpebre con una delicata carezza, e ricomponendo il cadavere in una posizione più naturale, quasi egli stesse lì riposando, la sua carnefice verificò con sguardo discreto ma attento di non aver attratto alcun particolare interesse da parte dei loro vicini d’alcova, i quali, impegnati quali erano in più appaganti attività, di nulla avevano avuto possibilità di accorgersi.
« Riposa sereno, amore mio… » augurò Lavero, offrendo un ultimo sguardo al breve, ma intenso, compagno di letto con il quale era giaciuta « So di essere una donna più impegnativa di quanto non potrebbe superficialmente apparire. »
Così liberatasi di quel pur non spiacevole ingombro, ella ebbe a rialzarsi con tranquillità, passandosi una mano fra i capelli, a offrir loro una rapida sistemata, prima di dedicarsi all’abito, a coprire nuovamente le proprie grazie, sebbene, in quel particolare contesto, il suo avrebbe avuto probabilmente a doversi considerare un’inutile pudore. E, come se nulla fosse appena accaduto, come se una vita non si fosse estinta fra le sue braccia, ella riprese il proprio giro per così come pocanzi interrotto, a concludere la conta delle guardie prima di avviarsi, con serenità, in direzione del pozzo centrale, decisa, in ottemperanza alla strategia iniziale, a non arrestarsi al piano superiore dell’edificio ma a spingersi più in profondità possibile, fino a dove, per lo meno, una potenziale cliente qual Lavero era, avrebbe avuto occasione di giungere.
domenica 26 marzo 2017
RM 084
Un ultimo sguardo alla donna, nel mentre in cui ella superava la porta d’ingresso, permise alle tre guardie di intravedere, nel lento ondeggiare dello scialle a ogni suo misurato passo, il piacevole tatuaggio rappresentante, sulla sua schiena ampiamente scoperta, due ali piumate, quasi pronte a dischiudersi da un istante all’altro, a garantirle l’occasione di spiccare il volo verso l’infino.
« Che donna… » scandirono, in un muto sussurro, l’uno verso gli altri, obiettivamente dispiaciuti di essere stati costretti a osservarla scomparire ma, comunque, rassicurati all’idea che ella avrebbe avuto a dover passare nuovamente di lì, presto o tardi, per uscire.
Entrata all’interno del locale, quanto si aprì innanzi all’attenzione di Carsa fu la più palese dimostrazione di come, a prescindere da ogni genere di pregiudizio in merito al ceto, alla religione, al sesso o, persino, alla razza, pochi, comuni denominatori avrebbero avuto dover essere considerati qual imperanti in ogni angolo dell’universo, sicuramente sin dalla notte dei tempi, due dei quali, proprio all’interno di quelle mura, e di quel primo piano parzialmente interrato, avrebbero avuto a dover trovare la propria più vivace espressione: il denaro e il sesso. Attorno a lei, in un vasto salone le estremità del quale si smarrivano nella semioscurità lì imperante, nei colori fluorescenti dell’ambiente e in un vago alone imposto da una sorta di nebbia artificiale lì volutamente presente, avrebbero avuto a dover essere riconosciuti uomini e donne, umani e chimere, di ogni estrazione sociale, egualmente intenti, in quella zona franca dedicata al piacere, a cercar di offrire libero sfogo a ogni proprio desiderio sessuale, finanche alle più oscure perversioni che, probabilmente, in qualunque altro contesto, avrebbero avuto persino vergogna a immaginare nell’intimità della propria mente. E così come variegata risultava essere la clientela, altrettanto variegata risultava essere la mercanzia messa lì a disposizione dalla Loor’Nos-Kahn, non riconoscendo evidentemente ragione utile a minimizzare le possibilità per i propri ospiti paganti.
Pur Carsa Anloch non potendosi considerare un’innocente educanda inconsapevole nel merito della sessualità e delle sue variegate sfumature, difficile sarebbe stato per lei, al pari di chiunque altro, restare del tutto indifferenti, impassibili, di fronte a quello spettacolo atto a mettere in scena una discutibile, ed estremamente materialistica, interpretazione dei piaceri della carne. Per questa ragione, in un primo istante, ella ebbe ad arrestarsi quasi con disgusto innanzi a tutto ciò, là dove, era certa, al contrario non avrebbe battuto ciglio nel momento in cui si fosse reso necessario procedere alla mattanza programmata, alla sistematica eliminazione di tutti gli affilianti alla Loor’Nos-Kahn presenti in quell’intero edificio, al punto tale di ritrovarsi cosparsa, dalla punta del capo sino a quella dei pieni, di sangue, in una condizione non poi così diversa rispetto a quella nella quale aveva accolto Midda il giorno in cui questa si era recata a cercarla. Ciò non di meno, e ferma nel pensiero di quanto avrebbe avuto a dover compiere, la donna si impegnò a restare nel ruolo di Lavero e, in ciò, a dimostrarsi addirittura deliziata per quanto a lei circostante, quasi come se, obiettivamente, null’altro avrebbe potuto appagarla se non quell’osceno spettacolo: un impegno non banale, il suo, che la vide riportare l’attenzione, nella propria mente, all’indirizzo di Lys’sh, domandandosi ove ella fosse e se già fosse riuscita a superare tutto quello.
La giovane ofidiana, entrata solo poco prima rispetto a lei, una volta superata la soglia di ingresso non aveva ovviamente incontrato ostacoli in quel primo livello, ritrovandosi, anzi e paradossalmente, proiettata in un ambiente a lei persino favorevole, nel garantirle occasione di procedere indisturbata all’esplorazione di quel piano nella ricerca della via d’accesso ai livelli inferiori. E se, nel particolare genere di attività nella quale tutti i presenti si stavano dimostrando impegnati, comunque, difficile sarebbe stato, per chiunque, ofidiano o no, riuscire ad attirare l’attenzione su di sé; nel ritrovarsi immersa in un simile contesto, a livello sensoriale, attraverso il proprio udito e il proprio olfatto nella fattispecie, Lys’sh ebbe quasi l’impressione di essere stata catapultata più su un campo di battaglia che, altresì, in un lupanare, giacché i suoni e gli odori che giunsero violentemente alla sua attenzione, con tanta inaspettata irruenza quasi a stordirla, non avrebbero avuto a doversi considerare poi così tanto diversi: gemini e grida, sudore, ma anche sangue, urina e feci, erano i principali interpreti in quel particolare contesto, in una misura sicuramente inferiore rispetto a quelli propri di un campo di battaglia, e, pur, egualmente presenti, in un parallelo che avrebbe sicuramente stuzzicato l’attenzione di molti filosofi sul rapporto fra i due pur così differenti contesti. Suo malgrado fortunatamente abituata a simili percezioni, Lys’sh non ebbe problemi a relazionarsi con tutto quello e, non avendo, a differenza di Carsa, ragione per intrattenersi un istante di troppo a quel livello, poté concentrare tutte le proprie energie sulla ricerca del successivo valico, del nuovo passaggio il quale, questa volta, avrebbe avuto a dover affrontare lei per prima, segnando anzi, in tal maniera, la via per la propria sodale.
Come correttamente ipotizzato già nel corso dell’analisi compiuta a bordo della nave sulla base delle poche informazioni in loro possesso, l’accesso ai livelli inferiori avrebbe avuto a doversi riconoscere qual collocato al centro della struttura, qual un unico grande pozzo comune all’intera struttura, lungo il quale correvano sia due diversi ascensori, sia, parimenti, due rampe di scale, le seconde, probabilmente, a intendersi più per ragioni di sicurezza che per un qualche, quotidiano impiego. Lys’sh, ovviamente, imboccò immediatamente la via offerta da una delle due scale e iniziò, con consueta discrezione, la discesa verso i piani inferiori, là dove, speranzosamente, avrebbe potuto cogliere informazioni più interessanti. Di tale progresso, ovviamente, non mancò di informare la propria compagna d’arme, pur non rivolgendole alcuna comunicazione in chiaro, quanto, e piuttosto, ricorrendo a un sistema fra loro già ampiamente collaudato, e tale da inviare, attraverso una coppia di anelli volti ad apparire meri monili, una sequenza codificata di lievi vibrazioni, alle quali affidare soltanto il minimo indispensabile, al fine di ovviare a possibilità di intercettazione. Così, avvertendo il proprio anello vibrare, Carsa ebbe a prestare massima attenzione alla conferma concessale del fatto che, al centro della struttura, avrebbe trovato l’accesso ai livelli inferiori e, parimenti, al fatto che Lys’sh aveva iniziato ad anticiparla, come concordato, in quella discesa.
Vagando nei panni di Lavero, apparentemente senza una precisa meta e, in ciò, sospinta da un qualche morboso interesse a cogliere ogni possibile perversione lì in atto, ella si stava, allora, non di meno impegnando al fine di individuare il maggior numero possibile di presenze riconducibili esplicitamente alla Loor’Nos-Kahn, non tanto fra i professionisti e le professioniste in azione, quanto e piuttosto fra il personale collaterale che, nella maggior parte dei casi, non avrebbe potuto essere equivocato, nel ritrovarsi palesemente definito dai propri ruoli di guardie. E di tutte le informazioni che, in tal maniera, ella stava già raccogliendo, null’altro avrebbe potuto fare se non immagazzinarle all’interno della propria memoria, laddove, per non produrre segnali eccessivamente potenti, e in ciò eccessivamente intercettabili, gli anelli di comunicazione non avrebbero potuto funzionare verso l’esterno e, tantomeno, verso la Kriarya o la Jol’Ange.
« La signora vede forse qualcosa che le interessa…? » le comparve innanzi, quasi in maniera improvvisa, un giovane di bell’aspetto, sorridendole con fare misuratamente sornione, utile a palesare quanto, i suoi modi, avessero a doversi riconoscere qual il risultato di una vera e propria preparazione professionale e non tanto di una qualche improvvisazione.
« La signora ha un nome… » replicò ella, degnando appena di uno sguardo il proprio interlocutore, dimostrando tutta la propria alterigia, tutta la propria supposta superiorità nei confronti dell’altro.
« Un nome che vorrà condividere con me, spero. » cercò di salvarsi, non senza una certa eleganza, il giovane, chinandosi appena quasi a volerle dimostrare, in tal maniera, il proprio pentimento e la propria sottomissione nei suoi riguardi.
« Forse… » commentò l’altra, ora permettendo alle proprie labbra di curvarsi appena, in un sorriso maliziosamente divertito « … tutto dipende da cosa sarai disposto a fare per me. »
sabato 25 marzo 2017
RM 083
L’abilità di immedesimazione della mercenaria era sempre stata a dir poco straordinaria. Carsa non si limitava, infatti, a interpretare un qualche personaggio ma, a tutti gli effetti, ella diventava quel personaggio: non tanto a un livello puramente estetico, quanto e ancor più nel proprio modo di muoversi, nella propria postura, nel proprio comportamento, nel proprio tono di voce. Certamente nell’osservare una fotografia dell’originale e una di quell’ipotetica Lavero, improbabile sarebbe stato non riconoscere la medesima persona, lo stesso soggetto: ma nel porsi innanzi a lei dal vivo, nel sentirla parlare, nel vederla agire, con tanta attenzione al dettaglio al punto tale dal dar vita anche ad alcuni, piccoli e accorti tic nervosi completamente alieni fra l’una e l’altra, difficile sarebbe stato riuscire ad accomunare le due identità, improbabile sarebbe stato ritenere che ella non fosse realmente quella Lavero, una persona incredibilmente simile a Carsa a livello fisico e che pur, nulla, con lei, avrebbe potuto avere a che condividere.
Lavero, nella fattispecie, avrebbe avuto a dover essere riconosciuta come una donna dell’alta società, una persona nata e cresciuta in mezzo al lusso e agli agi, abituata a comandare anziché ad agire, abituata a essere ascoltata ancor prima che ad ascoltare: splendida, e consapevole della propria bellezza, non avrebbe mai mancato di porla in giusto risalto con abiti tanto aderenti da lasciare ben poco all’immaginazione, simili più a un disegno sulla sua pelle allorché, realmente, a un vestito. Così, in quell’occasione, la stoffa rosso scura e vellutata dell’abito da sera da lei squisitamente indossato, e corredato di una coppia di scarpe nere con tacchi tanto vertiginosi da apparire simile a un insulto alle stesse leggi della fisica, nulla avrebbe potuto celare delle sue grazie, pur, ovviamente, senza neppure scoprirle, nel lasciar perfettamente visibile ogni singola curva del suo corpo, ogni singola concavità e convessità, dai seni all’addome, dal ventre ai glutei, in uno spettacolo che ben pochi uomini, e probabilmente di diverso interesse sessuale, avrebbero potuto ignorare. A completare il quadro siffatto, un’elegante acconciatura atta a raccogliere buona parte dei suoi lunghi capelli attorno al suo capo, lasciandone ridiscendere qualche ricciolo ribelle sulle spalle coperte soltanto da un leggero scialle, e una piccola borsetta, poco più grande degli stessi documenti appena forniti alle guardie, avente, per l’appunto, l’unico scopo di poter contenere, ovviamente in maniera non meno che signorile, quel volgare strumento utile a dimostrare la propria identità.
Con aria vagamente annoiata, Lavero si dimostrò sufficientemente superiore, rispetto ai propri interlocutori, nel fingere di non rendersi conto di quanto tutti e tre stessero indugiando più del dovuto sulle sue credenziali al solo scopo di poter ammirare le sue forme, di poterne contemplare, non poi così discretamente come probabilmente avrebbero preferito potersi considerare, la plastica fisicità, limitandosi a giocherellare con una ciocca di capelli, facendola rigirare fra le proprie dita con delicata lentezza, in un gesto che, pur privo di qualunque malizia nell’aversi a considerare probabilmente involontario, non avrebbe potuto ovviare a incantare gli astanti.
« Spero… che non le dispiaccia… » esitò il suo interlocutore, restituendole, dopo ancora un attimo di troppo, i suoi documenti « … ma le regole della casa ci richiedono di perquisire qualunque ospite, per ragioni di sicurezza. » asserì, non mentendo e, ciò non di meno, dimostrandosi tanto intimorito, quanto desideroso innanzi alla prospettiva di ritrovarsi autorizzato, in tal maniera, a percorrere con attenzione maggiore quel corpo, rispetto a quanto già non potesse aver compiuto.
« Fate pure. » minimizzò Lavero, con un lieve cenno della mano, battendo le ciglia con lentezza ammaliante in direzione dei tre « Anche se credo vi sarete già resi conto di quanto improbabile possa aversi a considerare l’idea di una qualche minaccia da parte mia… » soggiunse poi, colmano di tale malizia la propria voce, in quel non così velato riferimento alla palese attenzione tributatale, da non poter ovviare a imbarazzare tutti e tre per la situazione creatasi.
Se straordinaria, in quel mentre, avrebbe avuto a doversi considerare l’abilità di Carsa o, piuttosto, di Lavero, nel gestire la scena da vera protagonista, attraendo a sé ogni attenzione, ogni interesse, nel far leva, purtroppo per loro, sui più bassi istinti di quel manipolo di guardie al servizio della Loor’Nos-Kahn; non meno incredibile avrebbe avuto a doversi parimenti riconoscere l’abilità che Lys’sh, contemporaneamente, stava impegnandosi a dimostrare sul proprio fronte.
Nell’obbligata scelta architettonica nella distribuzione delle installazioni lungo la superficie lunare, e a dispetto di quanto, al contrario, sarebbe avvenuto su un qualunque pianeta dotato di atmosfera, ogni edificio, ogni struttura risultava connesso agli altri da più o meno ampie gallerie sotterranee, ovviamente pressurizzate, che fungevano, a tutti gli effetti, da uniche vie di collegamento fra un complesso e l’altro. E, a minimizzare tanto il lavoro necessario, quanto i costi di simili installazioni, ben pochi avrebbero avuto a potersi considerare gli edifici dotati di più di una galleria di collegamento e, in questo, di più di una via di accesso al medesimo. A tale regola, ovviamente, neppure la roccaforte della Loor’Nos-Kahn faceva eccezione, sfruttando, oltretutto, simile obbligata planimetria al fine di minimizzare gli sforzi necessari a mantenere sotto controllo la sicurezza della struttura, non che, abitualmente, avrebbero avuto a poter temere qualche genere di aggressione.
L’unica via di collegamento con il bersaglio di Guerra, quindi, avrebbe avuto a dover essere considerato proprio il corridoio sotterraneo nel quale Lavero stava offrendo quieto spettacolo di sé e delle sue grazie, nel mentre in cui, del tutto ignorata, Lys’sh stava riservandosi la possibilità di avvicinarsi all’edificio, muovendosi con la consueta discrezione di cui in grazia al suo sangue ofidiano ella era in grado di fare: silenziosa e leggera come uno spirito, ancor più che una creatura di carne e sangue, la donna dalle fattezze rettili, pur non arrivando ai massimi livelli di alcuni ofidiani purosangue, avrebbe avuto a dover essere comunque riconosciuta in grado di giungere accanto, o alle spalle, di chiunque senza produrre il benché minimo suono o la pur minima vibrazione, complice, fra l’altro, sensi in lei estremamente più sviluppati, con la sola eccezione della propria vista, che le garantivano un maggiore controllo dell’ambiente a sé circostante.
Partendo da ciò, e nel considerare, ancor più, la distrazione allor offerta dalla complicità di Carsa, nulla di complicato, per quanto pur inoppugnabilmente sorprendente, avrebbe avuto a dover essere considerato nell’abilità della giovane chimera di porsi in grado di raggiungere a sua volta l’ingresso sorvegliato e, persino, di scivolare con discrezione alle spalle delle guardie per poter accedere, non percepita, al medesimo, ovviando, in tutto ciò, anche alla possibile problematica rappresentata dai sensori ambientali di sorveglianza in grazia a un piccolo, ma estremamente utile, dispositivo di disturbo. Addirittura, prima di scomparire oltre la porta, Lys’sh non si negò neppure l’occasione di offrire un cenno di saluto alla propria sorella d’arme, l’unica realmente consapevole della sua presenza in quel frangente, ammirandone, non senza una certa soddisfazione, la splendida raffinatezza, merito della quale, quasi a ricambiare l’aiuto lì garantitole, avrebbe avuto a doversi attribuire proprio a lei, che di quello splendido abito rosso scuro avrebbe avuto a doversi considerare l’artefice.
« Abbiamo… finito… » commentò, non senza un certo rammarico, la guardia impegnata nel confronto con Lavero, nel momento in cui, risollevandosi dalla posizione genuflessa in cui si era chinato per seguire il sublime contorno del suo corpo con un comodo strumento di scansione portatile, ebbe a concludere quella perquisizione, che tanta fortuna gli aveva garantito nel restare a così stretto contatto con quella conturbante figura.
« Che peccato… » ironizzò Lavero, ancora sorridendo, ora divertita, quasi contraddistinta a sua volta da un certo rammarico in ciò, dispiaciuta dal non poter giocare, ancora un po’, con le emozioni di quelle tre ignare vittime, che molto facilmente avrebbero potuto divenire prede fra le sue mani « … vorrà dirmi che dovrò cercare soddisfazione ai miei capricci oltre quella porta, se sarete così gentili da concedermi il passaggio. »
« C-certamente… » annuì l’uomo, completamente rapito da lei e dalla propria fantasia, che in quel momento gli stava suggerendo scenari decisamente appassionati nei quali avrebbe avuto piacere di intrattenersi insieme a lei.
venerdì 24 marzo 2017
RM 082
Sistema di Velsa, seconda luna del terzo pianeta.
Al pari di molti altri grandi pianeti densamente abitati dell’universo, il terzo pianeta del sistema di Velsa aveva preferito ovviare all’impegno non di poco conto derivante dall’idea della realizzazione di una stazione orbitale sufficientemente estesa da poter essere realmente utile nell’accoglienza e, soprattutto, nella regolamentazione del traffico interplanetario lì diretto, sfruttando in tal senso una delle proprie risorse naturali, ossia uno dei due satelliti lì già preesistenti e, a buon titolo, perfettamente indicati allo scopo. In ciò, la seconda luna, più esterna, e, in un’epoca lontana sicuramente meno apprezzata, meno considerata rispetto alla prima, più distinguibile, protagonista delle notti di quel pianeta, era divenuta a tutti gli effetti forse uno dei punti più strategici dell’intero sistema, tanto dal punto di vista politico, quanto da quello commerciale, assumendo il ruolo di quello che, in un mondo più primitivo, estraniato dal concetti di viaggi spaziali, di colonizzazione planetaria e simili, avrebbe avuto a dover essere proprio del porto di una città. Un paragone il quale, per essere comunque accettabile, avrebbe avuto a dover tener conto delle diverse proporzioni fra le esigenze proprie di una singola città e quelle, piuttosto, di un intero pianeta e, anche, di un intero sistema solare, giacché in tutto il sistema di Velsa soltanto il terzo pianeta si poneva qual contraddistinto da un’atmosfera e, in questo, era effettivamente abitato.
Quella piccola luna, quindi, era sostanzialmente divenuta un crocevia siderale, non soltanto comodo scalo lungo la rotta di molte navi mercantili ma, anche e ancor più, perfetto punto di incontro, e di scambio, fra diverse culture, fra diversi mondi, ognuno più che desideroso di poter mettere i propri prodotti a disposizione del miglior offerente. Molte erano, così, le attività commerciali lì presenti, collaterali a tutto ciò, a iniziare da alberghi e ristoranti, per proseguire, poi, anche con postriboli, case da gioco e quant’altro potesse allietare l’estemporanea presenza di coloro lì necessariamente sempre e soltanto di passaggio, per pochi giorni, una o due settimane al più. In presenza di simili insediamenti, ineluttabilmente non avrebbe potuto mancare la presenza di chi interessati a lucrare attorno a tutto ciò con ogni mezzo, lecito e non, un sottobosco di criminalità più o meno organizzata che in parte era tollerata dal governo locale nella mera consapevolezza di non essere, proprio demerito, in grado di riuscire a estirpare in maniera radicale il problema e che, anzi, qualunque sforzo in tal senso avrebbe rischiato, semplicemente, di rendere le cose più agitate e pericolose di quanto, già, non avrebbero avuto a poter essere considerate. Di conseguenza, anche quella luna, come molte altre simili in altri sistemi, aveva finito con l’assumere più la forma di una zona franca, all’interno della quale l’idea stessa della legge aveva sicuramente minor valore rispetto al pianeta, e la maggior parte delle attività criminali avevano la possibilità di fiorire e accrescere indisturbate, pur sotto gli occhi di tutti.
In un tale contesto, non difficile sarebbe stato comprendere il perché della presenza di una roccaforte riconducibile proprio alla Loor’Nos-Kahn: al contrario, fin troppo banale, fin troppo ovvio, avrebbe avuto a essere giudicato, nell’evidenza di quanto, lì più che altrove, i loro traffici, i loro commerci, in armi, droga, e schiavi, avrebbero potuto avere occasione di esprimersi al meglio.
Più per una questione di vicinanza fisica che, invero, di ovvietà, comunque, la seconda luna del terzo pianeta del sistema di Velsa ebbe a essere individuata qual la prima tappa per il ricostituito gruppo di fratelli e sorelle d’arme, in quella loro personale guerra contro la Loor’Nos-Kahn. Una guerra che, indubbiamente, era stata incominciata senza alcuna particolare consapevolezza a tal riguardo da parte dei predoni protagonisti del massacro a casa di Brote e Midda; e che pur, allora, sarebbe stata condotta a compimento, con la più assoluta coscienza e il più completo controllo, da quel piccolo contingente di uomini e donne, umani e chimere, che, nell’obiettivamente minimo numero di dodici elementi, avrebbero allora attaccato un complesso sotterraneo all’interno del quale, ipoteticamente, in una stima estremamente ottimistica, non meno di un centinaio di avversari li avrebbero attesi. Ma fossero stati anche tre o cinque volte tanto, Guerra e i suoi commilitoni non si sarebbero tratti indietro, trovando, altresì, un’ottima ragione per insistere in quella direzione, per intestardirsi in tal senso, nell’occasione di incontrare realmente, in ciò, una sfida degna della leggenda che essi, ormai, erano divenuti.
Dettagli approfonditi nel merito della roccaforte della Loor’Nos-Kahn non erano purtroppo in loro possesso. Ciò che Nissa era stata in grado di mettere insieme, e che, successivamente, gli Spettri di Desmair erano stati in grado di confermare e minimamente ampliare, avrebbe avuto a doversi considerare ben poco per potersi permettere un’accurata pianificazione strategica. Di certo, al pari della maggior parte delle edificazioni presenti su quella luna, la maggior parte dell’estensione della medesima era al di sotto della superficie, a garantire in ciò una maggiore protezione in contrasto all’assenza di atmosfera del satellite, nonché all’incessante rischio di passaggio di qualche piccola meteora, la quale, fosse anche stata delle dimensioni di un chicco di riso, avrebbe potuto compiere parecchi danni in simile contesto.
Di forma ipoteticamente esagonale, la roccaforte scendeva quindi nel suolo per almeno sette piani, più probabilmente undici, organizzando, nei propri differenti livelli, le diverse attività proprie dell’organizzazione: a partire dall’unico strato emerso, gestito come casa di piacere, via via a scendere, fino ad arrivare, non prima del quinto livello sotterraneo, ai magazzini dove era stipata la merce da vendere, in ordine di importanza e prezzo, a partire dalle droghe, passando per gli schiavi e giungendo, alfine, alle armi. Gli schiavi, forse, avrebbero avuto in ciò a dover essere ricercati fra il sesto e il settimo livello sotterraneo, o, eventualmente, l’ottavo se fosse stato scoperto qual esistente, anch’essi organizzati in ordine di valore, a partire dagli uomini, per poi passare alle donne e, infine, giungere ai bambini. I bambini, per quanto terrificante potesse essere considerato, avrebbero infatti avuto a dover essere identificati quali gli schiavi potenzialmente più interessanti, giacché contraddistinti da un’aspettativa di vita maggiore, un’innata duttilità e una maggiore propensione all’adattamento alla nuova condizione, nonché ai propri nuovi padroni, chiunque essi si fossero alfine offerti essere.
Non avendo, tuttavia, né dettagli nel merito del numero di persone che avrebbero lì potuto attenderle, né delle loro eventuali risorse, né, tantomeno, assoluta certezza di quanto, il loro attacco, non avrebbe garantito ai loro avversari eventuale tempo utile per sbarazzarsi di tutti i prigionieri, fosse anche come tentativo disperato di poter avere la meglio su di loro, il gruppo decise di affidare la prima parte della loro azione alle loro due principali esperte di infiltrazione e ricognizione: Carsa e Lys’sh. E se la chiave di volta della seconda avrebbe avuto a dover essere considerata la sua straordinaria capacità di discrezione, tale da poterle garantire di entrare all’interno del complesso e di esplorarlo con un minimo rischio di poter essere scoperta; l’approccio della prima avrebbe avuto a dover essere considerato del tutto antitetico, nel prevederla, al contrario, presentarsi direttamente all’ingresso del complesso qual una nuova, molto interessata, potenziale ed estremamente danarosa cliente, nell’investire allora la propria abilità, e i propri sforzi, per dare vita a una nuova identità, a un nuovo personaggio che avrebbe aggiunto al proprio personale repertorio, e che si sarebbe dimostrata, a discapito di qualunque preoccupazione, sicuramente perfetta.
« La signora… Lavero? » domandò uno dei tre uomini posti a presidio dell’ingresso principale dell’edificio, leggendo le credenziali da lei fornitegli e cercando, in ciò, conferma nel merito dell’effettiva pronuncia di quel nome, di fronte al quale avrebbe potuto dirsi tranquillamente ignorante.
« Esattamente… » sorrise, di rimando, una meravigliosa donna, avvolta, per l’occasione, in uno splendido abito lungo, terribilmente a sproposito in un ambiente qual quello proprio di una luna e che pur, addosso a lei, avrebbe avuto ogni ragione di permanere, fossero stati persino nello spazio aperto.
E se, a rispondere a quella questione, fu la voce di Carsa, impossibile, per chiunque, nell’osservarla in quel frangente, sarebbe stato riconoscerla in quanto tale, giacché nulla, in Lavero, avrebbe potuto ritrovare occasione di paragone nella combattente.
giovedì 23 marzo 2017
RM 081
« Questo non è importante… » commentò Guerra, negando categoricamente qualunque genere di rilievo per tale informazione, per quel particolare, quasi come se il fatto che i suoi figli potessero essere ovunque nell’universo noto avesse a doversi considerare mero rumore di fondo, addirittura un disturbo, una distrazione nel confronto con un’altra, più solida, concreta realtà, alla quale tutti loro avrebbero dovuto rivolgere la propria attenzione.
« In che senso…? » questionò la gemella, incerta nell’aver effettivamente compreso quanto ella desiderasse in tal maniera comunicare, laddove non avrebbe potuto realmente giudicare trascurabile l’evidenza derivante dal non conoscere la posizione dei suoi figli, non a meno di non aver perduto completamente ogni barlume di senno o, piuttosto, di aver maturato consapevolezza nel merito di una qualche più rilevante necessità nel merito della loro salvezza, qualcosa nel confronto con il quale persino simile evidenza avrebbe necessariamente perduto di significato.
« Nel senso che, se davvero altri bambini sono tenuti prigionieri in così tanti mondi, noi non recupereremo soltanto i miei figli, ma ci impegneremo a liberare tutti… e a restituirli alle loro famiglie! » decretò con tono fermo, non quello di una persona aperta al dialogo, al confronto, quanto e piuttosto quello di chi già saldamente ancorato a una decisione, a una scelta, e, da quella, inamovibile, per questioni trascendenti qualunque raziocinio, qualunque logica, e ricollegabili, in maniera straordinariamente mirata ai propri valori, alla propria identità.
Una decisione importante, una dichiarazione forte, quella della donna, che non poté ovviare a suscitare reazioni in tutti i suoi compagni e compagne d’armi lì riuniti, a partire da semplici espressioni non verbali sino ad arrivare a più palesi repliche, per lo più a favore, ma, in un singolo caso, prevedibilmente contro.
« Concordo in maniera più totale con Midda! » sancì Heska, annuendo a quella proposta con vivo trasporto.
« Non avrei saputo dirlo meglio… » quasi ebbe a sovrapporsi la voce di Ma’Vret, confermando la prima replica raccolta.
« La tua strada è la mia strada. » confermò Carsa, a differenza delle precedenti reazioni allor non motivata da una qualche diretta esperienza genitoriale e, ciò non di meno, decisa a restare accanto alla propria amica in qualunque scelta, senza sollevare né esitazioni né dubbi.
« Non credo che potremmo più guardarci serenamente allo specchio se non ci impegnassimo a salvare tutti quei bambini… » argomentò Be’Wahr, in quel plurale sicuramente coinvolgendo proprio fratello ma, forse, estendendo la questione più in generale a tutti i presenti, qual un quieto monito di ordine morale.
« … ma state scherzando, spero. » intervenne, in maniera non così sorprendente, Desmair, rivolgendosi in aperta critica a coloro che si erano appena espressi in maniera più o meno palese e, soprattutto, alla mozione così proposta da parte di Guerra, in contrasto alla quale difficilmente avrebbe avuto a potersi considerare d’accordo, soprattutto nel confronto con la più totale mancanza di entusiasmo da lui fin da subito dimostrata nei confronti di quella nostalgica adunanza « Posso ancora sforzarmi di giustificare, non di comprendere, l’affetto che potete provare verso un’ex compagna d’armi e, nel frangente specifico, verso una coppia di marmocchi che probabilmente nessuno di voi ha mai avuto occasione di incontrare in passato. Ma, fino a prova contraria… non siamo un’opera di carità, e un conto è riconoscere un favore a una vecchia amica a cui hanno da poco ammazzato il marito e rapito i figli, un altro, ben diverso, è quello di dar vita a una guerra in contrasto a una simile organizzazione criminale, tanto capillarmente diffusa. »
Anticipando allora due pronte risposte, in termini non propriamente educati, che stavano per scaturire, quasi in stereofonia, tanto da Midda quanto da Nissa, a zittire il provocatore, qual ai loro occhi, in tutto quello, non avrebbe avuto a poter essere altrimenti considerato; fu tuttavia un’altra voce a richiedere l’attenzione, provenendo, allora, da una delle poche lì presenti, sedute a quel tavolo, a essere rimasta, sino a quel momento, in silenzioso ascolto dei fatti in loro possesso.
« Desmair… te ne prego. » scandì con tono tranquillo Lys’sh, offrendo un lieve sorriso in direzione dell’unica altra chimera, oltre a lei, di quel pur eterogeneo gruppo « Definire questa come “guerra” significherebbe banalizzare tutto ciò per cui, nel corso degli anni, la nostra storia, come gruppo, è divenuta leggenda. Le guerre sono ben altre cose, e tutti noi lo sappiamo benissimo... » sottolineò, scuotendo appena il capo « Questa, al più, sarà pressoché una missione di allenamento per tutti noi, dopo tanti anni, da parte di qualcuno, me per prima, di inattività nel settore! »
« Ciò non cambia il mio punto di vista… » minimizzò, stringendosi appena fra le spalle « Continuo a non cogliere ragioni per sobbarcarci il recupero di tutti i bambini rapiti e, addirittura, la riunificazione dei medesimi alle loro famiglie. » ribadì, quasi sbuffando « Quello è un compito da servizi sociali… non da guerrieri. »
« E allora… » fu sul punto di riuscire a dichiarare Midda, nel conquistare diritto di parola quando, ancora una volta, l’ofidiana le si sovrappose, lasciando sfumare quella considerazione nel nulla.
« E allora è proprio per questa ragione che sarà utile impegnarci a tramutarlo in un compito da guerrieri! » propose la giovane « Affinché non si abbia a ricordare i nostri nomi, in questa vicenda, quali associati all’idea di servizi sociali, quanto e piuttosto quali quelli di coloro che, non paghi di limitarsi a salvare i figli di Midda, hanno deciso di ripulire sistematicamente l’intero universo noto dalla presenza di questa Loor’Nos-Kahn… »
Per un fugace momento, il silenzio calò all’interno della stanza, permettendo a tutti di avere la possibilità di soppesare le parole appena udite e, soprattutto, di ammirare la straordinaria abilità diplomatica di cui, in quel momento, si era dimostrata capace Lys’sh, riuscendo a offrire un’interpretazione della questione in termini potenzialmente impossibili da rifiutare per principio, così come, chiaramente, Desmair aveva offerto riprova di volersi impegnare a compiere, e, soprattutto, utili a non leggere in quella scelta una svolta buonista alle loro attività, nel recupero dei pargoli rapiti, quanto, e piuttosto, il consueto desiderio di sangue e morte per soddisfare il quale, in passato, si erano sempre dimostrati straordinariamente capaci, tanto singolarmente, quanto e ancor più come gruppo. Anche Midda e Nissa, evidentemente, si resero conto, malgrado tutte le emozioni coinvolte in ciò, di quanto l’intervento dell’amica avesse a doversi riconoscere qual volto a far leva sulla psicologica di Desmair, non tentando di imporgli qualcosa che non avesse a desiderare, quanto, e piuttosto, spingendolo a desiderare di poter essere messo in condizione di agire, e agire secondo le proprie più intime prerogativa. E così, entrambe le donne ebbero a costringersi a tacere, attendendo la replica di che, necessariamente, avrebbe avuto a dover seguire quell’intervento.
E se, alla fine, il flegetauno ebbe ad accettare le parole dell’ofidiana perché realmente convinto dalle medesime o, piuttosto, perché ebbe a ritenere le stesse sufficientemente giustificative per un suo quieto coinvolgimento nella questione senza, in ciò, vedere la propria egocentrica immagine essere posta in dubbio, non poté essere chiaro ad alcuno, anche laddove, comunque, chiara ebbe a risultare l’ultima sua parola a tal riguardo…
« E sia. »
Un’affermazione, la sua, che ebbe a risuonare persino profetica alla prospettiva così offerta nel merito dell’estinzione dell’intera Loor’Nos-Kahn, giacché, quei dodici, così riuniti, non avrebbero mai potuto essere non soltanto sconfitti, ma anche, e semplicemente, contenuti, frenati o rallentati nel proprio incedere, nella propria violenta carica, nel confronto con la quale nulla avrebbe potuto resistere, nessuno avrebbe potuto sopravvivere.
mercoledì 22 marzo 2017
RM 080
« … siamo stati noi a dar vita alla Loor’Nos-Kahn. »
Nello scandire simili parole, Midda Bontor non poté ovviare a essere assalita, per un fugace istante dall’orrore della consapevolezza di quanto, tutto quello, avesse a considerarsi accaduto qual sola conseguenza delle proprie scelte passate. Un passato innanzi al quale si era illusa con troppa banalità di poter chiudere tanto semplicemente la porta della propria vita e che pur, a distanza di tanti anni, e in maniera tanto contorta, si stava a lei riproponendo per cercare di saldare i conti, nella volontà di ristabilire quell’equilibrio cosmico nei confronti del quale, forse una volta di troppo, ella non aveva dimostrato il benché minimo rispetto, illudendosi che, nella mera forza delle proprie azioni, ella avrebbe potuto plasmare il proprio fato, qual unica, indiscussa attrice.
E non solo Guerra ebbe a esitare nel confronto con tale chiarezza di pensiero, con simile drammatica conclusione, giacché, nel volgere attenzione al nome di Kah, un’altra figura, fra quelle lì radunate, non avrebbe potuto ovviare a sentirsi coinvolta in prima persona: Ja’Nihr Noam’Il colei nel supporto della quale, nel ricercare la salvezza del fratello della quale, essi avevano sancito la prematura conclusione della vita di quel quasi leggendario signore della guerra, lasciando, in conseguenza alla sua morte, un’intera generazione di criminali, di tagliagole, improvvisamente senza più una bussola a guidarne le azioni, senza più una mente a gestirne le energie, dando vita, in tutto ciò, a un’organizzazione tanto pericolosa. Ja’Nihr, che un tempo, persino, aveva servito Kah, non poté ovviare ad avvertire uno sgradevole senso di colpa innanzi all’idea di poter essere corresponsabile di quanto accaduto, in una lunga sequenza di eventi che avevano, addirittura, condotto all’uccisione di Brote e al rapimento dei figli della sua amica e sorella d’arme.
Tuttavia, innanzi alle espressioni che Midda e Ja’Nihr ebbero allora a mostrare, fu Duva Nebiria a prendere voce e a pretendere che entrambe tornassero a ragionare in maniera razionale anziché emotiva, così come, da quanto palesemente presente sui loro volti, entrambe avevano estemporaneamente smesso di fare…
« Così come abbiamo dato loro vita, pertanto, ci preoccuperemo di imporre loro morte… » definì, a escludere categoricamente qualunque eventuale ulteriore interpretazione di quei fatti « Francamente non colgo particolare ragione di dubbio in tal senso. »
« Concordo… » annuì Salge Tresand, a supporto dell’opinione della propria ex-moglie, non come presa di posizione gratuita e fine a se stessa, quanto, e piuttosto, qual propria personale valutazione della situazione, così come, immediatamente, si impegnò a dimostrare « Per quanto questa Loor’Nos-Kahn possa aver posto radici più o meno profonde in giro, trovo obiettivamente difficile ritenere che, abbiano a doversi considerare avversari più temibili rispetto a quelli che abbiamo già affrontato e vinto in passato. A partire dallo stesso Kah… senza offesa, Desmair. » volle poi spendere una parola di premura nei confronti del compagno di squadra, del padre morto ammazzato del quale, in fondo, in quel momento stavano tanto serenamente confabulando.
« Figurati… » si strinse questi fra lei spalle, a minimizzare qualunque proprio eventuale coinvolgimento emotivo nella questione « … quell’essere è stato un problema più per me che per l’universo intero. » asserì con tono sereno, incrociando le braccia innanzi al petto, in un gesto di istintiva ricerca di protezione, di difesa, al solo ricordo del defunto genitore « Quando lo avete ammazzato, vi ho sinceramente ringraziato per il favore che mi avete riservato… e, in tal senso, per quanto mi possa fastidiare ammetterlo, non posso che riproporvi ancora tutta la mia più onesta gratitudine. »
« Dal momento che persino Desmair riesce a sembrare una persona normale, quando si ha a parlare del suo ben poco amato paparino, direi che non possiamo davvero rimproverarci per averlo abbattuto… » evidenziò Howe, in una presa di posizione estremamente particolare e significativa, laddove, sebbene né lui né sui fratello Be’Wahr avessero realmente preso parte alla missione che aveva veduto sconfiggere Kah, essendo questa occorsa poco prima del loro primo incontro con Guerra, essendo parte di quella squadra, di quella famiglia, non avrebbero mai riservato qual proprio alcun genere di distinguo, non nelle questioni più banali, non in quelle più importanti, considerandosi, a prescindere, corresponsabili di qualunque evento nel quale i loro fratelli e sorelle d’arme avrebbero avuto a doversi ritenere coinvolti.
« Ecco… essere considerato una persona normale… questo sì che, in verità, potrebbe offendermi. » puntualizzò il colosso dalla pelle come cuoio rosso, nel merito di quanto, in tal maniera, appena suggerito.
Undici persone attorno a Guerra. Undici persone contraddistinte dai più variegati ed eterogenei caratteri, storie e personalità, innanzi all’incredibile disomogeneità dei quali assurdo sarebbe stato ipotizzare l’esistenza stessa di una qualsivoglia idea di squadra e che pur, tale, essi erano, come anche dimostrato dal fatto che, da un decennio, tutti loro stavano vivendo esistenze separate, del tutto scollegate le une dalle altre, e che pur, senza esitazione alcuna, avevano repentinamente abbandonato per accorrere a quel richiamo, all’invocazione di una vedova violentemente privata dei propri figli.
Per quelle undici persone, per l’impegno che tutti loro, ognuno a modo proprio, stava lì dimostrando anche già con la propria presenza, Midda Bontor non avrebbe potuto concedersi possibilità di dubitare di sé e della correttezza di quanto poteva essere stato compiuto o avrebbe avuto a dover essere ancora compiuto. Perché, anche solo la più fugace incertezza, avrebbe potuto essere tradotta, in tutto ciò, come una mancanza di rispetto per tutti coloro lì radunatisi, per tutti coloro che, senza la benché minima esitazione, avevano posto un’indubbia ipoteca sul proprio futuro, giacché, in quanto guerrieri, tutti loro non avrebbero avuto a poter ignorare l’eventualità di una propria prematura dipartita, soprattutto nell’abbracciare, ancora una volta, il richiamo della battaglia, la vocazione alla guerra che pur, tutti loro, aveva in passato riunificato attorno a colei che, della medesima guerra, si era resa omonima, quasi incarnazione mortale.
« Avete ragione. » sancì, pertanto e alfine, Midda, annuendo in risposta a tutto quello, e decretare in tal maniera la fine del proprio effimero smarrimento, nel quale, senza l’allor immediato supporto da parte dei suoi compagni, forse avrebbe anche potuto rischiar di naufragare, con risultati del tutto inattesi e, probabilmente, tutt’altro che positivi « Chiunque essi siano e in qualunque modo si facciano ora chiamare, li troveremo… e li massacreremo uno a uno. »
« Appoggio lo spirito… ma sulle modalità, temo, avremo da dover disquisire. » approvò Nissa, non tanto in critica verso la sorella, quanto e piuttosto a riprendere il discorso là dove estemporaneamente interrotto pocanzi, per dare a tutti il tempo di scendere a patti con quell’ultima notizia « Purtroppo, infatti, come già stavo accennando a Midda non appena siete sbarcati, potremmo avere qualche problema a individuare la posizione precisa di Caian e Pares… »
« Cosa intendi dire…? » domandò Ma’Vret, subito dimostrandosi nuovamente interessato a quelle informazioni, a quei dettagli tutt’altro che secondari nel considerare il senso stesso della loro missione.
« Quando la Loor’Nos-Kahn ha maturato consapevolezza nel merito di chi fosse loro capitato casualmente fra le mani, si sono resi conto di non avere la benché minima idea su come poter distinguere una coppia di bambini, di cui ignoravano l’esistenza stessa un istante prima, all’interno della moltitudine di coloro razziati in quel particolare periodo… non soltanto dal sistema di Ae-Mlich’Cras, ma anche da molti altri. » esplicitò proseguendo, nel fornire la risposta cercata dall’uomo e, allora, non soltanto da lui « In questo, tutti i bambini, dal loro punto di vista, sono improvvisamente divenuti un inatteso mezzo di ricatto, degli ostaggi, tali da non poter essere commerciati così come abitualmente sarebbe altrimenti stato… ma, da proteggere, da custodire nelle proprie principali roccaforti, sparse nell’interno universo conosciuto. E questo, se da un lato ci aiuta sicuramente nel poter sperare nella buona salute dei miei nipoti… dall’altra parte ci complica terribilmente le cose, non concedendoci alcun reale indizio su quale fra una dozzina di diversi sistemi, potrebbe essere realmente quello per noi utile. »
martedì 21 marzo 2017
RM 079
Qualche minuto dopo, i dodici si erano riuniti attorno a una grande tavolata, nella sala principale della dimora di Nissa Bontor, al fine di condividere le informazioni in loro possesso.
La padrona di casa, per l’occasione, aveva provveduto a chiedere al proprio sposo di condurre i loro figli altrove, concedendosi, e concedendo loro, una piccola vacanza in maniera tale che, a discapito di quanto avrebbe potuto essere detto o deciso, nulla avesse a dover turbare le loro menti infantili. Una premura che, invero, ella aveva tacitamente riservato anche al marito, il quale, pur non privo di confidenza con il suo passato, o con il passato della cognata, non aveva mai avuto trascorsi comuni con il loro particolare mondo e, di ciò, Nissa non avrebbe potuto dirsi dispiaciuta, preferendo, al contrario, che simile estraneità avesse a potersi mantenere ancor tale per il resto della sua esistenza.
« Ancora non posso credere che tu abbia rifiutato le mie attenzioni in favore di una tale nullità… » sospirò Desmair, gettando uno sguardo a una fotografia di famiglia, nella quale il loro anfitrione appariva ritratta in compagnia dello sposo e dei loro pargoli « Dove hai detto di aver incontrato questa ameba? »
« Non l’ho detto… e, comunque, non intendo proseguire alcuna discussione in tal senso con te, Desmair. » sancì Nissa, a chiusura del discorso così ipoteticamente intavolato « Si chiama vita privata per una ragione. E non siamo qui, in questo momento, per parlare di ciò… »
« Ah… vero. » sorrise sornione il colosso dalla pelle simile a cuoio rosso « Il tema del giorno non è la tua vita privata, ma quella di tua sorella. » sottolineò, non senza una certa malizia nell’evidenziare quanto, comunque, la questione in discussione avesse a doversi considerare di ordine personale « Per quello che vale, comunque, Brote mi piaceva: era un uomo forte e determinato come pochi, con una straordinaria capacità strategica e una logica squisitamente spregiudicata nel gestire le risorse in proprio possesso. E, sono certo, in un’altra vita sarebbe potuto essere un vero signore della guerra. »
« … spregiudicato…? » osservò Carsa, aggrottando la fronte, nel non apprezzare una simile descrizione del loro ex-commilitone, non tanto per un quale ipotetico, e pur sostanzialmente vano, rispetto per un trapassato, quanto e piuttosto per la sua vedova, che poco avrebbe potuto apprezzare una simile definizione.
« Spregiudicato, inteso come libero da pregiudizi. » puntualizzò il flegetauno, così incalzato « La malizia è negli occhi di chi guarda e nelle orecchie di chi ascolta, mia cara: dal mio punto di vista, Brote era un uomo degno di ogni rispetto per la sua capacità a non lasciarsi plagiare dalla folla… »
« Ti ringrazio per l’apprezzamento nei confronti del mio defunto marito. » intervenne Midda, a tentare di arginare la deriva che quel dialogo stava assumendo, per riportare l’attenzione comune, e delle voci lì coinvolte in particolare, al tema cardine « E proprio nel desiderio di onorare la sua memoria, ciò che possiamo compiere ora è spendere le nostre energie al fine di portare a termine questa missione mia personale, vero, ma alla quale avete tutti generosamente accettato di prendere parte… e in questo sarò per sempre vostra debitrice. »
« Non dirlo neppure. » scosse il capo Heska, escludendo lapidariamente simile aspetto nel merito di quanto stava accadendo.
« Siamo una squadra… siamo una famiglia… » intervenne Be’Wahr, accodandosi alla propria bionda sorella d’arme « E, per quanto, in questi ultimi dieci anni si possa aver intrapreso strade diverse, nulla potrà mai cancellare il nostro passato, la nostra storia. »
« Abbiamo affrontato insieme così tante avventure, al punto tale che, probabilmente, avrebbero a dover essere considerati proprio questi ultimi dieci anni di lontananza come l’anomalia. » annuì Salge, assolutamente d’accordo con il compagno di ventura « Non di certo questa riunificazione… »
« Credo che Nissa desiderasse illustrarci quanto ha scoperto in questi ultimi mesi. » interruppe bruscamente Desmair, riprendendo voce nella sala, a porre fine a quella parentesi di insopportabile buonismo, qual, dal suo personale punto di vista, non avrebbe potuto ovviare a considerare.
Una mezza dozzina di sguardi tutt’altro che animati da buone intenzioni vennero rivolti, allora, all’indirizzo della chimera dalle sembianze demoniache, per quanto, comunque, alcuno ebbe a prendere ulteriormente voce a suo discapito giacché, seppur con modi e tempi decisamente criticabili, quanto egli aveva appena dichiarato non avrebbe avuto a doversi giudicare errato.
E Nissa, così richiamata, non mancò di sfruttare la quiete appena ricostituita per tornare, immediatamente, sull’argomento, animata dal sincero amore per i propri nipoti, il fato dei quali era per lei divenuto un pensiero ossessivo…
« L’organizzazione alla quale abbiamo dichiarato guerra è conosciuta come Loor’Nos-Kahn, un termine intraducibile nella lingua corrente e che, tuttavia, potrebbe essere vagamente assimilato a “il vuoto nell’anima di un dio morto”. » iniziò a spiegare, alzandosi in piedi per coinvolgere in maniera maggiore l’interesse del pubblico lì radunatosi « A quanto ho potuto verificare, è un’organizzazione criminale che si sta radicando in maniera capillare in buona parte dell’universo conosciuto, impegnandosi in molteplici settori differenti: dal commercio di armi a quello di schiavi, dallo spaccio di droga al controllo della prostituzione. »
« Personcine a modo, insomma… » commentò sottovoce Duva, aggrottando appena la fronte.
« Straordinariamente a modo… » annuì Nissa, per poi proseguire « A differenza di simili organizzazioni, abitualmente facenti capo a un qualche signore della guerra, la peculiarità della Loor’Nos-Kahn pare essere l’assenza di un vero e proprio vertice gerarchico: la principale difficoltà, nel rapportarsi con essi anche per i diversi organismi governativi, risiede proprio nel fatto che, in assenza di una figura con la quale confrontarsi, risulta anche estremamente complicato riuscire a identificare con certezza quali attività siano o meno riconducibili realmente a loro e quali, piuttosto, a qualche branco di sbandati semplicemente desiderosi di sentirsi parte di qualcosa di più grande e, in ciò, facenti sfoggio di un nome non loro… »
« L’ho sempre detto che il mio è un lavoro di pubblica utilità… » sorrise Desmair, in riferimento al proprio ruolo di signore della guerra, come già suo padre prima di lui.
« Noi, comunque, abbiamo la certezza che Caian e Pares siano nelle mani della Loor’Nos-Kahn e non di qualche… branco di sbandati? » domandò Ma’Vret, ignorando l’ultimo intervento del flegetauno per concentrarsi sulla questione principale « Da come lo stai spiegando, non è scontato… »
« Non posso offrirvi certezza nel merito del fatto che la Loor’Nos-Kahn fosse coinvolta fin dall’inizio nella questione… » ammise l’oratrice, scuotendo appena il capo nel dichiarare tale limite « Tuttavia, non appena ha iniziato a diffondersi la notizia del rapimento dei figli di Guerra da parte di un gruppo di predoni chimere, la questione ha visto un immediato coinvolgimento dell’organizzazione al fine di ricondurre l’intera cosa alla propria sfera di competenza, motivati da un forte interesse personale in tal senso… »
« Cosa intendi dire…? » chiese Midda, socchiudendo appena i propri occhi color ghiaccio, all’interno delle iridi dei quali le pupille si erano allora ridotte alle dimensioni di una capocchia di spillo, quale reazione a quella che stava, istintivamente, riconoscendo come una minaccia.
Un momento di silenzio preluse la replica dell’interrogata, quasi a enfatizzare un intimo dubbio nel condividere quell’informazione, quel dettaglio, piuttosto che ovviare al medesimo.
Tuttavia, alfine, Nissa risolse evidentemente il proprio conflitto interiore, giacché ebbe a riprendere, per offrire soddisfazione alla curiosità della propria gemella…
« Non è un caso che la Loor’Nos-Kahn nasca priva di un signore della guerra. » asserì seria, storcendo le labbra verso il basso « Basandomi su quanto sono riuscita a ricostruire nel merito della loro storia, essa è derivata dalla riorganizzazione delle numerose risorse, in termini di uomini e materiali, rimaste prive di scopo in conseguenza all’uccisione di Kah. » spiegò, con un lieve sospiro di triste rassegnazione nel dover ammettere tutto quello « In altre parole… »
lunedì 20 marzo 2017
RM 078
« Ce ne hai messo di tempo a tornare… » obiettò Nissa Bontor, accogliendo la gemella « I miei nipoti sono stati rapiti da quasi nove mesi e loro madre, invece di andare a salvarli, ha preferito girovagare per le vastità siderali. »
L’ultima ad aggregarsi al gruppo così ricostituito, alla squadra che, con tanta pazienza, Midda Bontor aveva riformato, fu la prima alla quale, in verità, ella aveva avuto a rivolgersi e dalla quale, immediatamente, si era comunque separata, nel seguire due diversi incarichi, nel perseguire due diversi scopi. In ciò, mentre Guerra, così come giustamente rimproverato, aveva viaggiato attraverso mondi e sistemi solari all’unico fine di ricostituire il proprio antico commando, nel desiderio, non soltanto, di recuperare i propri figli ma, anche, di sterminare sistematicamente tutti coloro che avrebbero avuto a dover essere considerati coinvolti della strage in cui Brote aveva perduto la vita; la sua sorella gemella aveva dedicato le proprie energie, i propri sforzi, a ricostruire le dinamiche di quanto accaduto, raccogliendo informazioni nel merito dei loro antagonisti e, soprattutto, del fato dei propri nipoti.
« No ho girovagato per le vastità siderali… » replicò secca Midda Bontor, scuotendo il capo « Nel mentre in cui concedevo al mio corpo tempo sufficiente per riprendersi, ho radunato tutte le nostre forze, tutte le nostre risorse, preparandomi, ove necessario, a mettere a ferro e fuoco l’intero universo. »
Fino a nove mesi prima, fra Midda Namile Bontor e Nissa Ronae Bontor, non avrebbero avuto a poter essere individuate molte differenze fisiche. Al contrario: gemelle fondamentalmente identiche persino nella disposizione delle efelidi in corrispondenza ai rispettivi nasi, Midda e Nissa erano sempre state così vicine l’una all’altra, così solidali l’una con l’altra, dall’essere sovente confuse non soltanto nella propria stessa identità ma, ancor più, nella propria stessa dualità.
Che Midda e Nissa, infatti, fossero due persone distinte, due donne contraddistinte da caratteri ben diversi, da approcci alla vita ben separati, non avrebbe avuto a dover essere considerato un mistero per i loro compagni di viaggio, e per tutti coloro che, nella propria esistenza, avevano avuto occasione di incontrarle e conoscerle: per il resto dell’universo, anzi, all’interno dell’unico nome di Guerra, probabilmente, avrebbero avuto a dover essere indistintamente considerate entrambe, quasi, appunto, all’atto pratico altro non fossero che la medesima persona, lo stesso individuo, un’unica identità. E se, in parte per la propria irruenza, sicuramente per la propria più assoluta mancanza di discrezione, e, probabilmente, per il proprio sovente protagonismo, Midda Bontor era stata colei il cui nome, maggiormente, era stato associato a Guerra; Nissa Bontor, con la propria razionalità, con la propria straordinaria mente strategica, con le proprie incredibili capacità tattiche, avrebbe avuto a dover essere considerata, propriamente, la mente operativa dietro a tutto ciò che aveva reso Guerra e i suoi mercenari così celebri nell’universo, nei propri successi, in una serie di incommensurabili trionfi che, dalla Storia, li avevano proiettati direttamente nel mito.
« E ci sei riuscita? » storse le labbra Nissa, non potendo, proprio malgrado, criticare la logica alla base dell’azione della propria gemella, per quanto, in quel particolare frangente, non fosse in grado di condividerla « O hai soltanto sprecato il tuo tempo per andare dal parrucchiere a farti rovinare la testa…? »
Proprio a fronte delle differenze caratteriali esistenti fra Midda e Nissa, quasi sorprendente avrebbe avuto a dover essere considerato quel dialogo, il rimprovero destinato da colei abitualmente più riflessiva, più moderata, più strategica a discapito di chi, altresì, normalmente irruente, distruttiva, devastante come una primordiale forza della natura, e destinato a non offrire giustificazione nel merito di quella scelta volta a radunare tutte le proprie risorse prima, ancora, di scendere in battaglia.
Tuttavia, all’antitesi dell’evidenza di come Midda avrebbe avuto a dover essere considerata l’istintiva e Nissa la razionale della coppia; innanzi all’orrore rappresentato dagli eventi di nove mesi prima, l’istintiva aveva ceduto il passo alla razionalità, nel non potersi permettere che i suoi figli potessero aver a pagare il prezzo di un gesto inconsulto, di un’aggressione priva di adeguata pianificazione, e la razionale aveva ceduto il passo all’istinto, nel ritrovarsi vittima di un’ampia gamma di emozioni nel confronto con le quali difficilmente avrebbe potuto restare quieta nell’attesa della definizione di una più accurata strategia.
« Ho preferito un taglio più tattico, ispirata da Ja’Nihr… » replicò Midda, in riferimento alla propria nuova acconciatura « E, per il resto, giudica tu! » la invitò, indicando le due navette alle sue spalle, una proveniente dalla Kriarya, l’altra dalla Jol’Ange, entrambe rimaste in orbita, e innanzi alle quali erano lì radunati tutti coloro che, in quei nove mesi, ella aveva pazientemente radunato.
Carsa Anloch, Duva Nebiria, Salge Tresand, Heska Narzoi, Howe Ahlk-Ma, Be'Wahr Udonn, Har-Lys’sha, Ja’Nihr Noam’Il, Ma’Vret Ilom’An, Desmair: l’antica squadra ricostituita, nella propria formazione più amplia, nella propria versione più completa, con la sola eccezione del perduto Brote. Uomini e donne, umani e chimere, innanzi all’associazione dei quali l’intero universo avrebbe avuto a dover tremare, laddove già una parte di loro, una singola unità di quel gruppo, avrebbe avuto a doversi considerare indubbiamente temibile, ma nell’assemblea, nell’unione dei quali, qualunque signore della guerra, qualunque governo o regno stellare, avrebbe avuto a valutare la propria resa, come unica alternativa ammissibile a morte certa, laddove essi avessero deciso di agire.
« Ci sono proprio tutti… persino Desmair… » esitò Nissa, con tono di voce più moderato, affinché solo la sua gemella avesse a udirla in quell’espressione inequivocabilmente critica nel merito della presenza di quell’individuo particolare fra le loro schiere.
« Lo sai che ha sempre avuto un debole per te. » sorrise Midda per tutta risposta, cercando di ironizzare nel merito della questione, ben comprendendo i dubbi della sorella e, ciò non di meno, perfettamente conscia di quanto un tale individuo, per quanto disprezzabile, avesse allora a doversi considerare non meno fondamentale, rispetto a chiunque altro, nella riuscita della loro impresa.
« Ed è proprio questo che mi spaventa di più… » precisò la prima, non negando di palesare la propria disapprovazione a tal riguardo.
« … tu hai qualche novità su Caian e Pares…? » domandò la seconda, chiudendo lì tale parentesi e ritornando senza esitazione alcuna all’argomento iniziale, a dimostrazione di quanto, sebbene avesse pazientato per nove mesi, ella altro non avesse a desiderare di recuperare i propri figli, e di completare, al più presto, la propria vendetta.
« Sì… » annuì, pertanto, Nissa, ovviando a perdere a propria volta ulteriormente tempo in eventuali repliche polemiche verso la gemella, così come avrebbe potuto pur concedersi di fronte a quella domanda pur evidentemente retorica e che, da lei, avrebbe potuto essere volutamente fraintesa come una critica sollevata nel merito del proprio operato « Facendola breve ho una notizia positiva… e una negativa. »
« Parti dalla buona notizia… ne ho bisogno. » la invitò Midda, nel temere l’eventualità di un qualche tragico risvolto ricollegabile anche alla lunga attesa da lei riservatasi.
« Sicuramente i tuoi figli sono vivi. » sancì in risposta, evitando ulteriore tergiversare « I loro rapitori non avevano la benché minima idea di chi voi foste, quando vi hanno attaccato. Ma, poi, la notizia dell’accaduto ha iniziato a diffondersi e, in questo, l’idea di aver imposto un torto a Guerra lì ha gettati nel panico, costringendoli a fare i conti con un terrificante imprevisto. »
« E la cattiva notizia…? » insistette.
« A quanto sono riuscita a intendere, l’organizzazione dietro a questo traffico non è riuscita a comprendere con precisione chi fossero i tuoi figli fra tutti i prigionieri accumulati nel periodo dell’accaduto e, in questo, ha dovuto correre ai ripari in maniera per noi spiacevolmente complicata… » rispose, con tono grave « … i tuoi figli, in questo momento, potrebbero essere in almeno dodici diversi punti dell’universo. »
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