11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

lunedì 31 maggio 2021

3658

 

Con tale incontrovertibile fermezza d’intenti, quindi, ella ebbe ad avanzare, ed ebbe ad avanzare decisa in direzione di qualunque minaccia avrebbe potuto attenderla alla sorgente di quel bagliore luminoso.
In quel momento, in quel frangente, ella non si concesse il lusso di alcuna distrazione, fosse anche e soltanto per avere a riflettere sulle probabilità che, in effetti, innanzi a sé avrebbe potuto trovare gli uomini della Progenie della Fenice e, soprattutto, Midda Bontor. Ove, infatti, si fosse concesse l’occasione di ponderare a tal riguardo, ella non avrebbe potuto ovviare a riflettere su quanto quella situazione avrebbe potuto riservarsi ben poche opportunità di rivelarsi per quanto da lei inteso e sperato, là dove, dopotutto, ella stessa non aveva a giudicarsi più neppur effettivamente collocata nella propria dimensione originale. Ciò non di meno, tentare di razionalizzare un luogo irrazionale quanto quello sarebbe probabilmente equivalso a rendere proprie ottime ragioni per perdere il senno, motivo per il quale, allorché perdersi in assurde elucubrazioni a tal riguardo avrebbe fatto meglio a proseguire a testa bassa, come se nulla fosse, seguendo, in tal senso, l’esempio proprio della Figlia di Marr’Mahew prima di lei: Midda, dopotutto, aveva già avuto occasione di affrontare per due volte quel tempio senza in ciò né smarrirsi all’interno del multiverso, né, tantomeno, riservarsi particolari premure onde ovviare a tal rischio, motivo per il quale, con buona pace per ogni prudenza, la soluzione più corretta avrebbe potuto avere a ipotizzarsi quella volta a ignorare, semplicemente, le peculiari caratteristiche di quel luogo per trattarlo, in buona sostanza, come un qualunque altro delubro dimenticato dal tempo, un santuario come molti altri egualmente costellati da trappole mortali e, sovente, abitati da creature tutt’altro che umane.
Imponendosi, quindi, una simile impostazione mentale, H’Anel non ebbe a riservarsi particolare ragione di sorpresa quanto, raggiunta alfine la fonte di quella luminescenza, non ebbe a incontrare né la Progenie della Fenice, né, tantomeno, Midda, quanto e piuttosto una creatura assolutamente non lontana e, con buona pace di ogni senso di razionalità, estranea a qualunque genere di creatura avrebbe mai potuto permettersi occasione di immaginare esistente al mondo. E, del resto, nulla di improprio avrebbe avuto a dover essere inteso a tal riguardo, là dove, in fondo, ella non avrebbe più avuto a doversi effettivamente riconoscere all’interno del proprio mondo.

« ... dei... » sospirò la giovane guerriera, storcendo le labbra verso il basso a confronto con l’immagine così presentatale innanzi allo sguardo.

La fonte della luce, e della luce che l’aveva guidata sino a lì, avrebbe avuto a doversi intendere una sorta di globo luminescente, più simile, per forma e concetto, alle luci “tecnologiche” che aveva avuto occasione di incontrare nel corso della propria fugace avventura spaziale, che non a una qualunque lampada a olio, o torcia, del proprio mondo. Un globo luminescente, per la precisione, appeso nella propria parte superiore a una lunga e sottile protuberanza, e a una protuberanza che, arcuandosi avrebbe trovato il proprio sostegno sulla fronte di una creatura di notevoli dimensioni, quasi utili a occupare l’intera sezione del corridoio e, in ciò, da concedere ben poche possibilità di movimento a chiunque altro oltre a se stessa. Una creatura che, per quanto H’Anel avrebbe potuto constatare, non sembrava rendere propria l’evidenza di alcuna gamba o assimilabile sotto al suo corpo, utile a sostenerla al di sopra del piano del pavimento e, ciò non di meno, che lì si stava pur proponendo separata dal suolo per non meno di un piede abbondante, forse addirittura due, quasi stesse galleggiando nell’aria. E, del resto, con un corpo pressoché sferico o, tutt’al più, oblungo, difficile a discriminarsi dal proprio punto di vista, simile idea di galleggiamento non avrebbe avuto a potersi fraintendere del tutto assurda, nel richiamare l’idea di una sorta di bizzarro pesce, e un pesce, tuttavia, in grado di muoversi nell’aria allorché nell’acqua, con buona pace, malgrado tutto, di ogni legge fisica. Un pesce, quello, che pur non avrebbe potuto aver a poter essere inteso in alcun’altra maniera se non mostruoso, nel presentare, sul proprio fonte anteriore, un’enorme bocca contornata da lunghi e sottili denti, al di sotto di due piccoli e inquietanti occhi vitrei, che, senza perdere tempo, puntarono immediatamente a lei non appena ella apparve nel suo campo visivo.
Impossibile sarebbe stato discriminare, in tutto ciò, se il globo luminoso, parte stessa di quella creatura, avesse lì ad assolvere al compito di concedere alla stessa una qualche occasione di flebile, e pur utile, visibilità all’interno dell’oscurità altrimenti lì imperante o se, piuttosto, essa avesse qual scopo quello di attrarre a sé potenziali vittime, prede perfette per quelle fauci letali. Quanto, tuttavia, apparve estraneo a ogni possibilità di discussione fu l’ardore con il quale quel mostro ebbe a scattare in avanti non appena colse la presenza di una figura estranea, non dimostrando alcuna perplessità, o, meglio ancora, alcun timore, quanto e piuttosto semplice entusiasmo, ed entusiasmo alla prospettiva, tutt’altro che spiacevole, di un comodo pasto offertosi con tanta ammirevole spontaneità.

« ... ehi! » protestò allora H’Anel, tutt’altro che desiderosa di accontentare la famelica brama della propria controparte, compiendo un balzo all’indietro e, nel contempo di ciò, lasciando roteare la propria lancia per redirigerne la punta innanzi a sé, pronta ad affondare nelle carni di quel mostro ove questi si fosse dimostrato eccessivamente appassionato nei suoi riguardi.

E là dove la prima reazione di quella creatura, di quell’assurdo pesce d’aria, era comunque stata quella di attaccarla, e di attaccarla senza esitazione alcuna, dimostrando implicitamente una certa confidenza con l’immagine da lei allor offerta, in termini sufficienti, quantomeno, a non apparir disorientato innanzi a lei; l’evidenza di un significativo pregresso da parte sua con gli esseri umani e, in particolare, con la pericolosità delle armi da loro impugnate ebbe a essere espresso dal freno che, immediatamente, ebbe a porre alla propria avanzata non appena ebbe a riconoscere il luccichio della picca, e di quella picca sufficientemente affilata da poterlo squartare senza imbarazzo alcuno.

« ... allora sai bene che cosa rischi ad avvicinarti troppo. » osservò la figlia di Ebano, non negandosi una certa sorpresa a confronto con simile reazione, e con una reazione abitualmente non propria delle creature selvagge con le quali si era ritrovata ad avere passate occasioni di confronto « Ergo non devo essere la prima umana che vedi. Né, tantomeno, la prima guerriera che incontri... » commentò, parlando come se l’altro potesse risponderle, benché evidentemente quel pesce troppo cresciuto non avrebbe avuto la benché minima possibilità di articolare suoni a lei comprensibili.

Anche senza necessità di parlare, tuttavia, la comunicazione fra loro apparve egualmente chiara, là dove, in fondo, ebbe a essere sufficiente la vista di quella lancia, e di quella lancia puntata nella propria direzione, per far mutare radicalmente atteggiamento alla creatura e offrirle un’evidente motivazione utile a dimenticare il proprio interesse verso di lei, in misura tale, addirittura, da vederla retrocedere, con atteggiamento prudente e guardingo, non distogliendo lo sguardo da lei nell’evidente preoccupazione che ella potesse avere a giocarle qualche brutto scherzo.

« ... conosci la Progenie della Fenice?! » domandò H’Anel, più che incuriosita da tanta remissività da parte del mostro, e tanta remissività che non avrebbe potuto derivare da null’altro se non da spiacevoli passate esperienze con altre persone e con altre armi, tali da ispirarle quella necessaria prudenza a confronto con la minaccia allor da lei rappresentata « Magari sai persino dove si nascondono...! » insistette la donna, quasi dimentica di star rivolgendosi a un enorme mostro galleggiante, nel confronto con la speranza di poter ottenere da esso qualche informazione utile a ritrovare la Figlia di Marr’Mahew.

domenica 30 maggio 2021

3657

 

Ormai assuefattasi alle tenebre, d’altro canto, avrebbe avuto a dover essere riconosciuta H’Anel, la quale, obiettivamente, aveva perduto ogni cognizione del tempo e dello spazio immersa qual era in quell’oscurità, pur senza, in ciò, avere più a riservarsene un cruccio.
Certo: non era stato piacevole per lei, soprattutto all’inizio, avere a dover fare i conti con quella situazione. Ma la consapevolezza di quanto, comunque, a muovere i suoi passi avrebbe avuto a dover essere riconosciuta la volontà di salvare Midda Bontor, unita alla certezza, confermatale dal ritrovamento di quegli stivali, di quanto, comunque, Duva Nebiria stesse vegliando su di lei, in un modo o nell’altro, le aveva permesso di superare ogni incertezza, concedendole il giusto sprone a continuare oltre, malgrado tutto.
E così, in effetti, ella aveva fatto. E aveva fatto per un tempo, per l’appunto, per lei ormai indefinibile, là dove avrebbe potuto corrispondere a pochi minuti come anche a parecchie ore. Così come anche per uno spazio per lei indefinibile, là dove, ancora, avrebbe potuto corrispondere a poche centinaia di piedi come a diverse miglia. Del fatto che ella non fosse stata ferma sul posto, comunque, ne era sufficientemente certa. E ne era certa nella misura in cui, dopotutto, pur restando fedele alla parete alla propria mancina, ella aveva avuto la possibilità di mutare già diverse volte direzione, girando prima a sinistra, poi a destra, poi ancora a sinistra, poi due volte a destra, e finendo, addirittura, con l’incontrare una rampa di scale a scendere, ostacolo che, in un primo momento, le aveva riservato non poche incertezze, non comprendendo se tutto ciò avesse a doversi intendere, effettivamente, un’occasione piuttosto che una trappola. Anche perché, sino a quel momento, ella non aveva avuto ancora possibilità di incontrare molte trappole, escludendo quella per la quale era stata posta in guardia dagli stivali di Duva. O, comunque, era stata sufficientemente fortunata da non azionare alcuna trappola fra quelle che aveva incontrato, ragione per la quale, statisticamente, ella non avrebbe potuto ovviare ad attendersi di avere a inciampare presto in una di esse.
Verificata, tuttavia, quanto quella fosse null’altro che una scala, e una scala a scendere, in una misura più che utile a interpretare positivamente quell’evoluzione, nella consapevolezza, comunque, di dover avere a scendere verso il basso per raggiungere il cuore di quel tempio, H’Anel, coadiuvata efficacemente dalla propria lancia, e, per l’appunto, ormai abituatasi in maniera positiva a quella situazione di tanto assoluta, quanto e speranzosamente sol estemporanea cecità, era ridiscesa verso il basso senza incontrare particolare difficoltà, per poi avere a proseguire, ancora, lungo nuovi corridoi.

“Eppure i membri della Progenie devono conoscere un metodo per dominare su questo posto e sulla sua continua mutevolezza...” si era scoperta a pensare a un certo punto, portando la propria attenzione nuovamente al loro obiettivo, e a quegli avversari contro i quali presto, o speranzosamente presto, ella si sarebbe ritrovata a dover combattere “... se veramente hanno reso di questo posto la propria dimora, non è possibile che abbiano a viaggiare in maniera non determinista attraverso le pieghe del multiverso.”

Dopotutto H’Anel ben ricordava la pur confusa narrazione di Midda Bontor nel merito della propria ultima avventura all’interno di quel tempio, e quell’avventura nella quale si era ritrovata a combattere al fianco di altre sei versioni di se stessa, contro una ricca schiera di creature e minacce offerte loro dalla Progenie della Fenice. E per quanto folle avesse a dover essere intesa l’idea stessa di avere a poter combattere accanto ad altre sei diverse versioni di sé, in maniera tale per cui, in fondo, la presenza nella loro dimensione di Maddie avrebbe avuto a poter esser considerata quasi una banalità, ancor più folle, in tutto ciò, avrebbe avuto a dover essere intesa la quieta confidenza con la quale la Progenie sembrava essere in grado di interagire con quel luogo e con le sue peculiarità, al punto tale da non avere a potersi minimamente sorprendere neppure nel doversi ritrovare ad affrontare non una ma sette di loro.

“... magari, anche in questa occasione, non ne hanno catturata soltanto una...” ipotizzò a confronto con i propri stessi pensieri, non escludendo la possibilità che, nel corso di quell’avventura, ella si sarebbe potuta ritrovare a confronto con altre Midda Bontor.

Una prospettiva, tuttavia, che forse sarebbe stato opportuno avere a escludere per il momento per una serie di complicazioni che da ciò sarebbero necessariamente derivate, qual, prima di tutto, l’obiettiva difficoltà per lei ad avere a riconoscere la “propria” Midda Bontor a meno di reali ed evidenti differenze rispetto ad altre versioni di se stessa; così come, e ancor peggio, l’idea che, dietro alla Progenie della Fenice non avesse a doversi fraintendere soltanto un manipolo di fanatici dotati di straordinari poteri d’evocazione, quanto e ancor peggio una estesa organizzazione sviluppata e operante su più piani dimensionali, per così come, allora, avrebbe sicuramente spinto quella questione a un livello decisamente superiore a quanto mai ella avrebbe potuto permettersi di sperare di poter gestire.
E fu proprio nel mentre di tali pensieri che ella ebbe allor, e per la prima volta dopo troppo tempo, a essere attratta da un bagliore lontano, e un bagliore che, addirittura, in un primo istante i propri occhi non ebbero neppure a identificare nella propria stessa natura, disabituatisi qual ormai avrebbero avuto a dover essere intesi, a qualunque genere di luce.

“Eccoli!”

Arbitraria, forse, avrebbe avuto a dover essere intesa la sua deduzione, e quella deduzione volta a intendere la presenza della Progenie della Fenice dietro a quella luce. Arbitraria, allora, e pur non del tutto infondata, nel considerare quanto, comunque, non avrebbe potuto avere ad attendersi di incrociare alcun altro lì dentro, e, soprattutto, in quel piano di realtà a lei estraneo nel quale, chiaramente, doveva essere precipitata sin dal momento in cui le tenebre l’avevano abbracciata.
Così, dimentica allora della parete alla quale era pur rimasta fedele sino ad allora, per poter avere a tornare a impugnare a due mani la propria lancia, per essere pronta a combattere, ella ebbe così ad avanzare con passo leggero, ma rapido, nella direzione di quel bagliore, lasciandosi guidare da esso lungo una nuova sequenza di svolte, superata ognuna delle quali, via via, la luce di faceva sempre più intensa.

“Sangue freddo.” si raccomandò, a rinnovare in tal maniera l’invito alla calma e ad affrontare quei nemici con tutto il necessario autocontrollo, affinché non avessero in alcuna maniera a potersi fraintendere facilitati nel sopraffarla “Individua quanti sono. Verifica se non ci sia Midda fra di loro. E poi massacrali uno a uno senza pietà alcuna.”

Benché, infatti, Midda Bontor, nelle proprie inedite vesti di erede di Anmel Mal Toise, potesse aver deciso di ovviare a uccidere ancora, per limitare la possibilità a tradursi nell’Oscura Mietitrice, come già la sua predecessora prima di lei; simile, misericordioso impegno non avrebbe avuto certamente a dover essere considerato necessariamente o automaticamente esteso ai suoi amici, ai membri del suo clan.
Ragione per la quale, soprattutto nel considerare coloro contro i quali avrebbe avuto a che fare, la figlia di Ebano non si sarebbe certamente riservata il benché minimo scrupolo a strappare la vita dai loro corpi, spillando abbondante e caldo sangue dalle loro vene finanche a ritrovarsi completamente ricoperta dello stesso, per così come, del resto, era già stata molteplici volte nel corso delle proprie passate battaglie. La sua relativamente giovane età, e la sua indubbia natura femminile, infatti, non avrebbe avuto a dover essere fraintesa come ragione utile a banalizzare o minimizzare la sua esperienza bellica, esperienza che, in quegli ultimi anni, prima sol accanto a M’Eu, poi insieme anche a Howe e Be’Wahr, e, alfine, in compagnia di Maddie, l’aveva vista combattere in numerose campagne, in contrasto a uomini, mostri e dei con la stessa determinazione e la stessa audacia che, un tempo, erano state già proprie di suo padre Ma’Vret.

sabato 29 maggio 2021

3656

 

Per quanto Duva Nebiria ebbe a stringere letteralmente i denti in misura tale da ritrovarsi con l’intera mandibola e mascella indolenzita in conseguenza alla pressione allor esercitata, ciò non fu sufficiente a evitare da parte sua una serie di violente e colorite espressioni più che degne del marinaio che ella era stata, ad accompagnare, a scandire addirittura, ogni singolo istante proprio di quella fuga. Una delle fughe peggiori della propria vita, come avrebbe avuto a ricordare a posteriori, e come avrebbe altresì preferito dimenticare, non soltanto in considerazione della ben poco onorevole natura dell’antagonista dal quale si era allor ritrovata a fuggire, ma anche, e ancor più, in considerazione del dolore che, comunque, ebbe ad accompagnarla in tutto ciò, oltre che, ovviamente, delle condizioni a contorno di quella situazione, prima fra tutte il sacrificio imposto, in tutto ciò, alla propria spada.
Non che la sua spada avesse a doversi intendere contraddistinta da un qualche intrinseco valore. Certo: era una spada di ottima fattura, per così come fra le stelle non era mai riuscita ad avere l’occasione di trovare avendo lì perduto, in favore dell’evoluzione industriale, la maestria artigianale che, altresì, contraddistingueva una buona parte delle armi in circolazione in quel mondo. Ma al di là della propria ottima fattura, era comunque una spada quietamente acquistata al mercato di Kriarya, in un giorno di compere in compagnia di Midda e di Lys’sh. Ma, al di là del valore intrinseco in quella spada, o dell’eventuale, e comunque inesistente, valore affettivo da lei rivolto alla stessa, il ritrovarsi costretta a rinunciare alla propria arma primaria a confronto con un antagonista del genere... beh... non avrebbe avuto certamente a poter essere ricordato qual uno dei momenti più alti della propria carriera.
Comunque, fra un’imprecazione e l’altra, per le quali ebbe a essere più che felice di doversi riconoscere sola in quel momento non desiderando apparire qual una donna capace di esprimersi soltanto attraverso improperi, Duva riuscì alfine a riguadagnare il corridoio e, di lì, un’occasione di fuga da tutto quello, anche in considerazione del fatto che il terreno sotto ai propri piedi avrebbe avuto a dover essere nuovamente riconosciuto lastricato di pietra e, in ciò, ipoteticamente avverso alle possibilità di movimento di quel lombrico gigante. Ovviamente, però, ella non ebbe lì a fermarsi per riservarsi occasione d’accertamento nel merito della valenza di tale teoria, preferendo, piuttosto, continuare a correre, per porre quanta più possibile distanza fra lei e lo sgradevole mostro alle sue spalle.
Questo almeno fino a quando non giunse a confronto con una nuova scalinata, e una scalinata a confronto con la quale, necessariamente, si ritrovò costretta a fermarsi per almeno due ottime ragioni: l’ultima scalinata da lei “ridiscesa” non aveva portato a risultati propriamente soddisfacenti; e una cupa zona d’ombra ammantava il percorso, a partire da pochi piedi dopo l’inizio stesso di quella nuova discesa.

« Eh... ma allora ditelo che volete proprio farmi rispolverare tutto il mio repertorio di bestemmie... » commentò, in maniera forse poco edificante, e che pur certamente sarebbe stata considerata condivisibile dalle proprie sorelle se soltanto Midda o Lys’sh fossero allo state lì presenti accanto a lei.

Innanzi a lei una scala che, oltre a richiamare alla mente un pessimo precedente, avrebbe avuto, ancor peggio, a declinare nelle tenebre e in quelle tenebre che, proprio malgrado, aveva già avuto occasione di comprendere avessero a doversi riconoscere qual un’altra dimensione. Alle sue spalle un verme gigante animato da intenzioni decisamente poco gradevoli nei suoi riguardi... oltre che, prima ancora, la scalinata da lei percorsa in maniera decisamente poco convenzionale, e sulla quale già si era giocata una spalla.
Insomma: ovunque si voltasse, non avrebbe avuto a poter riconoscere un roseo avvenire innanzi a sé.

« Inizio a pensare di essere pagata troppo poco per certe cose... » sospirò, non negandosi, a confronto con tutto quello, di avere a ricorrere nuovamente all’arma dell’ironia per darsi la forza di affrontare la situazione, a confronto con l’evidenza di quanto, comunque, ella non fosse assolutamente, né sarebbe mai potuta essere, pagata per affrontare tutto ciò.

Così, pregando in cuor proprio una non meglio precisata divinità, non avendo mai coltivato, a differenza di Midda o di Lys’sh, la propria sfera religiosa, al fine di riuscire quantomeno a ricongiungersi con H’Anel all’interno di quelle tenebre; Duva Nebiria ebbe a iniziare a ridiscendere quei gradini, con la speranza di non vederli, nuovamente, sbriciolarsi sotto i propri piedi come già accaduto.
E quando si ritrovò a confronto con il confine della zona d’ombra, quasi stesse valutando la temperatura di una vasca d’acqua prima di immergersi all’interno della stessa, ella ebbe a sospingere in avanti la punta del dito medio della propria mancina, ovviamente nulla incontrando a ostacolare quel movimento né, parimenti, ravvisando la benché minima differenza di percezione fra la zona di luce e quella di tenebra.

« ... alla via così. »

In verità, comunque, quella non avrebbe avuto a doversi fraintendere un’esperienza inedita per lei: a conti fatti, in fondo, aveva già attraversato una zona d’ombra e ne era uscita illesa: priva della compagnia di H’Anel, certo, ma comunque illesa.
Così, al di là di facili suggestioni psicologiche, ella era ben consapevole di quanto, all’interno di quell’oscurità, avrebbe avuto a dover temere maggiormente di mancare qualche gradino sotto i propri piedi, ancor prima che di incontrare qualche mostro. O, per lo meno, ancor prima di incontrare qualche mostro che, comunque, non avrebbe avuto a poter parimenti incontrare anche nella propria dimensione... sempre ammesso, ma non concesso, che quella in cui ella era emersa dopo la prima zona d’ombra avesse, effettivamente, a doversi intendere la sua dimensione.
Del resto, avendo già avuto occasione di incrociare un’altra se stessa, con compagnia al seguito, ella non avrebbe potuto fraintendersi sicura di nulla a tal riguardo. Certo: da un punto di vista egocentrico, e non in termini negativi quanto e semplicemente nella misura in cui chiunque avrebbe avuto a potersi confrontare con il mondo a sé circostante, ella non aveva potuto evitare di avere a considerare “gli altri” come fuori posto in quel corridoio, riconoscendo se stessa, piuttosto, qual lì correttamente collocata. Ma sforzandosi di superare la banalità di una visione così limitata sulla realtà, nulla avrebbe avuto a poter confermare quella sua visione a discapito di altri punti di vista, e, a esempio, dell’eventualità in cui fosse ella stessa a dover essere intesa fuori posto e la propria controparte, al contrario, nella sua corretta collocazione.

“Sì... però partendo da questo presupposto, non riuscirò mai ad avere possibilità di salvare Midda.” non poté ovviare a considerare all’interno della propria mente, per invitarsi a un minor pessimismo anche la dove le fitte di dolore provenienti dalla sua spalla lussata non avrebbero avuto certamente a incitarle occasione di positività nei riguardi del proprio incedere all’interno di quel folle tempio e di quel folle tempio tanto instabile.

Costringendosi, allora, a restare concentrata sul presente e positiva nei riguardi del futuro, ella avanzò con cautela lungo quella seconda gradinata, e quella seconda gradinata resa ancora più spiacevole dall’oscurità nella quale era immersa e che nulla le avrebbe concesso occasione di percepire dell’ambiente circostante, a partire dagli stessi gradini sotto ai propri piedi. Gradini la percezione dei quali, pertanto, ebbe a essere affidata unicamente ai suoi piedi, in termini tali per cui, paradossalmente, ella ebbe a doversi scoprire persino grata all’idea di essersi lì ritrovata a essere scalza, per potersi garantire un migliore confronto, quindi, con il mondo lì sotto, costretta ad affidarsi unicamente al senso del tatto quasi a imitazione, proprio malgrado, del lombrico gigante del quale non avrebbe conservato alcun positivo ricordo.

venerdì 28 maggio 2021

3655

 

“... perché non mi sta attaccando?” si domandò, rendendosi conto di quella stranezza, e di quella stranezza obiettivamente ingiustificabile “Eppure a quest’ora avrebbe potuto facilmente schiacciarmi...”

Un’immagine, quella da lei in tal maniera evocata, che non avrebbe avuto a doversi fraintendere qual semplicemente metaforica, quanto e piuttosto estremamente pratica, e pratica nella misura tale per cui, nel proprio estemporaneo stordimento, quel lombrico gigante avrebbe potuto letteralmente travolgerla con il proprio corpo, schiacciandola a terra e, probabilmente, uccidendola. Eppure, malgrado tutto, esso era lì, a muoversi in maniera incerta quasi, allora, stesse attendendo una qualunque azione da parte sua.
Certa soltanto di non avere alcuna possibilità di certezza sul perché di tutto ciò, ella ebbe allora a decidere di non poter certamente attendere lì immobile che il proprio avversario avesse a finirla. Ragione per la quale, non senza una certa esitazione, iniziò ad accennare un lieve movimento laterale, volto a cercare di concederle di allontanarsi di lì.
Ma non appena il suo piede sinistro ebbe a porre in essere quel movimento o, quantomeno, l’intenzione di quel movimento, il lombrico gigante ebbe a recuperare a sua volta improvvisamente lucidità di pensiero, scattando in avanti verso la sua direzione, con tutta la più evidente volontà di finire quanto iniziato.

« Dannazione! » gridò ella, balzando all’indietro e colpendo con tutta la violenza che le avrebbe potuto essere concessa quel corpo rosato.

Purtroppo, come conseguenza di quell’azione, ella ebbe probabilmente a subire più danno di quanto non ebbe, apparentemente, a imporne al proprio antagonista, vedendosi nuovamente rimbalzare dalla sua epidermide gommosa e avvertendo tale reazione distribuirsi su tutto il proprio corpo, ivi incluso il lato mancino, già decisamente provato a tutta la situazione.
Respinto, ma tutt’altro che vinto, il lombrico si ritrasse nuovamente, nel mentre in cui ella, dal canto proprio, si ritrovò costretta ad arrestarsi non tanto nel desiderio di conquistare una migliore posizione di guardia a confronto con quella sfida decisamente più complicata di quanto non avrebbe potuto avere piacere a pensare, quanto e piuttosto nella necessità di riprendere fiato, là dove, ancora una volta, il contraccolpo impostole le aveva imposto un gran dolore. Un pausa a confronto con la quale, comunque, ella non mancò di avere ad assumere una necessaria posizione di guardia, nella volontà di non lasciarsi sorprendere da un nuovo tentativo di aggressione da parte del proprio antagonista. Antagonista che, tuttavia, come già pocanzi non sembrò essere intenzionato a concludere celermente quel confronto, a sua volta temporeggiando.

“... cosa mi sta sfuggendo?” si chiese, ancora incerta a confronto con il comportamento di quell’avversario, e di quell’avversario così estraneo a qualunque concetto di umanità da risultare decisamente criptico nella scelta delle proprie azioni “Perché appare così confuso...?!”

Fu allora che ella sgranò gli occhi a confronto con un pensiero, un’idea, assolutamente banale e che pur, obiettivamente, avrebbe potuto offrire una pratica ragione a tutto ciò. Un pensiero, tuttavia, per verificare il quale si sarebbe ritrovata improvvisamente privata della propria spada, la principale risorsa alla quale potersi appellare nel corso di un combattimento e, in particolare, di quel combattimento, ritrovandosi proprio malgrado semplicemente armata da un lungo stiletto, e da uno stiletto celato, come arma d’emergenza, nella parte posteriore del corpetto da lei indossato.
Doveva arrischiarsi a cercare conferma a quell’idea o, forse e piuttosto, sarebbe stato per lei più saggio avere a ignorare quella possibilità, prendendo in esame idee meno pericolose rispetto a quella?
Purtroppo gli equilibri della situazione non avrebbero avuto a dover essere fraintesi a suo favore. Ragione per la quale, quindi, ella non avrebbe potuto permettersi il lusso di temporeggiare in maniera indefinita, nella vana attesa che una qualche più proficua illuminazione potesse emergere alla sua attenzione. Motivo per il quale, prestando attenzione a non smuovere i propri piedi, e a mantenere quanto più possibile inalterato il proprio baricentro, ella ebbe così a compiere una dolorosa torsione sul proprio busto, per imporre alla propria lama maggiore energia possibile prima di lanciarla lontano da sé, verso il centro di quell’amplia sala.
Un volo che, innanzi al suo sguardo contornato da lampi di luce in conseguenza del dolore provato dal suo corpo a confronto con tutto ciò, ebbe quasi a proporsi al rallentatore, ma che, alla fine, vide l’arma ricadere pesantemente a terra e, come da lei previsto e sperato, attrarre in tal direzione l’interesse del proprio antagonista. Perché quel lombrico gigante, sprovvisto di occhi o di orecchie, non avrebbe potuto avere alcuna possibilità di orientarsi nel mondo a sé circostante se non quella derivante dal senso del tatto, e da un senso del tatto utile a permettergli di rispondere efficacemente a qualunque vibrazione proveniente dal suolo nel quale era parzialmente immerso, e da quel suolo sopra al quale ella aveva commesso l’ingenuità di muoversi, attirando necessariamente la di lui attenzione.
Fu questione di un istante, di un fugace battito di ciglia, l’intervallo a lei concesso per tradurre l’idea in azione. E agendo ancor prima di concedersi una qualunque occasione di riflessione a tal riguardo, nella consapevolezza di quanto, altrimenti, i dubbi e il dolore l’avrebbero sicuramente frenata; ella ebbe ad approfittare della distrazione di quel mostro, e del suo repentino voltarsi verso la direzione della spada, per slanciarsi verso di lei, al fine di muoversi a propria volta, e di muoversi, tuttavia, nell’unica direzione che, sperava, avrebbe potuto concederle un minimo di vantaggio nei suoi riguardi...
... saltandogli direttamente sopra e piombando sul quel grosso e molliccio corpo rosa, con l’evidente intento di cavalcarlo.

« ... quanto mi manca l’assedio di Lysiath! » gemette disgustata da tutto ciò, nel mentre in cui, con un gesto rapido, la sua destra ebbe a raggiungere lo stiletto nascosto nel suo corpetto per estrarlo e, prontamente, averlo ad affondare nelle carni di quella creatura.

Là dove la lama della spada aveva fallito nel proprio intento, quella dello stiletto, più sottile e appuntita, ebbe a riservarsi il proprio successo anche in contrasto alla consistenza molliccia di quell’invertebrato, in un colpo che, se pur non avrebbe certamente avuto a ucciderlo e, forse, neppure a imporgli particolare ragione di dolore, le avrebbe quantomeno concesso un appiglio al quale fare riferimento in quel bizzarro rodeo nel quale, in tal maniera, si era così slanciata. E se l’immagine di un rodeo, in effetti, non avrebbe potuto ovviare a essere rievocata nella di lei mente, nulla di troppo diverso a ciò fu quanto allora ebbe ad attenderla, a confronto con la violenza di ripetuti movimenti di ribellione da parte del lombrico, e del lombrico evidentemente per nulla soddisfatto a confronto con l’idea di quella presenza sopra di lui.
Purtroppo un lombrico non avrebbe avuto a dover essere frainteso al pari di un cavallo. E per quanto l’imbizzarrita reazione avrebbe potuto anche essere considerata assimilabile, la concretezza di quella situazione ebbe a evolvere in una direzione che non avrebbe mai potuta essere propria di alcun cavallo, vedendo il corpo di quell’essere avere a rigirarsi verso di lei, nell’intento di arrotolarsi attorno a lei e di schiacciarla per così come alcun essere dotato di una spina dorsale avrebbe mai potuto permettersi di fare al suo posto nel considerarla, allora, posizionata al centro della sua schiena.
Fortunatamente per Duva, comunque, il predominio su quel mostro non avrebbe avuto a dover essere frainteso qual un requisito necessario per proseguire nella propria missione, nel proprio cammino, laddove, anzi, tutto ciò altro non avrebbe avuto a dover essere considerato nulla di più se non un fastidioso contrattempo. Motivo per il quale, allora, ella non ebbe esitazione alcuna a sganciarsi dal esso prima che potesse essere troppo tardi, e a sganciarsi soltanto per slanciarsi nella direzione dell’uscita da quella stanza, e di quell’uscita che, nel contempo di tutto ciò, le si era mirabilmente avvicinata, complice la non casuale scelta da lei compiuta nel direzionare il volo della sua spada.

giovedì 27 maggio 2021

3654

 

Che Duva avesse a doversi considerare preoccupata per quel lombrico gigante, in verità, avrebbe avuto a potersi ritenere lesivo per il suo amor proprio. Dopotutto, per quanto sicuramente non contraddistinta né dalla stessa fama, né dalla stessa esperienza di sua sorella Midda, ella aveva affrontato comunque molteplici sfide, in lotta contro uomini, mostri e creature praticamente divine. Il suo stesso appellativo, Furia Nera, le era stato riconosciuto nel corso dell’assedio di Lysiath, quanto un esercito formato da decine di migliaia di ritornati, umani e non, ebbe a riversarsi contro le alte mura di quella capitale kofreyota, guidati da Nissa Bontor e animati dall’unico desiderio di estinguere completamente chiunque lì fosse stato trovato in vita o, peggio ancora, desideroso di opporsi al loro avvento. Insomma: ella non era solita considerarsi né pavida, né desiderosa di rifuggire innanzi a una sfida.
Ciò non di meno, in quel momento ella avrebbe avuto a dover prendere in considerazione almeno un paio di aspetti molti importanti, utili a invitarla a ovviare a un qualunque confronto diretto con quel mostro. Innanzitutto l’obiettiva urgenza di avere a ritrovare Midda Bontor, ammesso ma non concesso che effettivamente fosse lì trattenuta prigioniera, e a liberarla, prima che, come già la propria altra se stessa pocanzi incrociata, avesse a doversi ritrovare costretta a lottare per vendicarla. In secondo luogo, la propria palese ridotta capacità di combattimento, in conseguenza della propria spalla sinistra lussata e del braccio, pertanto, completamente inutilizzabile, a confronto con la quale sarebbe stato opportuno per lei ovviare a sprecare le proprie forze in una sfida vana, qual comunque sarebbe necessariamente stata quella offerta da quel lombrico gigantesco. Forte di tali più che ragionevoli motivazioni, quindi, ella ebbe a preferire impegnarsi ad aggirare quell’ostacolo ancor prima che fronteggiarlo in maniera aperta, benché, comunque, razionalmente non avrebbe avuto a doversi attendere una sfida particolarmente improponibile da parte di una simile creatura.

“... e poi fa proprio schifo...” soggiunse mentalmente, non potendosi negare un intimo senso di nausea all’idea di dover affondare la propria spada all’interno di quelle carni mollicce e, sicuramente, viscide, dalle quali non avrebbe voluto minimamente immaginare che cosa sarebbe mai potuto fuoriuscire.

In ciò, quindi, pur cercando di mantenersi quanto più rapida possibile nel proprio incedere, ella ebbe a impegnarsi a cercare di procedere in maniera più silenziosa possibile, percorrendo una traiettoria amplia, e quanto più possibile rasente alla parete alla propria mancina, per mantenere prudentemente protetto il proprio arto già leso.
Ma per quanto silenziosa ella ebbe a cercare di proporsi, non ebbe neppure a superare un terzo del percorso previsto che il lombrico si scosse da quanto lo stava tenendo allor impegnato, per avere a dimostrare una certa eccitazione, sferzando per un istante l’aria a destra e a sinistra, quasi stesse cercandola. Un gesto, il suo, che ella volle convincersi stesse fraintendendo, stesse eccessivamente umanizzando, là dove, nel rispetto della propria apparente natura di lombrico, quel mostro non stava palesando l’esistenza di occhi o di orecchie, quanto e soltanto una grossa e disgustosa bocca priva di denti.
Purtroppo per lei, però, quella valutazione ebbe a scoprirsi spiacevolmente inesatta nel momento in cui, dopo un ulteriore paio di passi da parte sua, quella creatura ebbe a iniziare a muoversi e a iniziare a muoversi scattando verso di lei con una velocità decisamente sorprendente per l’idea che ella si era fatta di lui... e un’idea, chiaramente, tutt’altro che corretta.

« Dannazione! » esclamò Duva, non riservandosi occasione alcuna per ponderare sul come, o sul perché, tutto ciò stesse accadendo, ma, semplicemente, traducendo il suo precedentemente discreto incedere in una rapida corsa, e in una corsa verso il fronte opposto della sala, sperando di poter contare su una velocità superiore rispetto a quella del proprio avversario.

L’adrenalina, ovviamente, fece il proprio dovere e, in tutto ciò, le impedì di gridare per il dolore che quello scatto improvviso ebbe a imporre sulla sua spalla sinistra, in termini che certamente non l’avrebbero potuta aiutare a guarire prima e che anzi, ove possibile, avrebbero potuto sol compromettere la situazione corrente.
Ma adrenalina a parte, forse in conseguenza alla caduta precedente, o forse e semplicemente perché quel mostro aveva a doversi intendere più veloce di lei, ella non riuscì a distanziarlo per così come avrebbe desiderato. E, anzi, ebbe a perdere rapidamente terreno nei suoi confronti, in maniera tale che, giunta a circa due terzi del percorso, fu costretta a voltarsi rapidamente e a fendere l’aria con la propria spada per tentare di respingere l’assalto di quel mostro.
Se un tentativo ebbe a essere il suo, e un tentativo mosso anche da una giustificabile disperazione, tale esso fu condannato a restare, non tramutandosi nella concretezza di un’azione. Non laddove, purtroppo, la pelle di quel dannato mostro ebbe a risultare estremamente resistente, gommosa addirittura, in termini tali per cui la lama pur affilata della sua spada non ebbe a concedersi alcuna possibilità di successo, sostanzialmente rimbalzando, anzi, all’indietro e restituendole in direzione contraria tutta l’energia da lei impiegata in quel colpo.
Di ciò, tuttavia, ella non ebbe immediatamente a maturare consapevolezza, laddove, per effetto del cinetica propria di quell’azione, Duva ebbe spiacevolmente a perdere il controllo sul proprio equilibrio in conseguenza a quell’imprevista reazione, ritrovandosi catapultata in ciò contro il muro e lì sbattuta, malamente, proprio sul di lei fianco sinistro, già spiacevolmente compromesso.

« ... » gemette, o, per lo meno, si illuse di gemere, non riuscendo per un istante non soltanto a non vedere o sentire più nulla, ma neppure a respirare, ritrovandosi proprio malgrado cieca, sorta e muta al mondo a sé circostante.

Un istante estremamente pericoloso, quello che necessariamente ella ebbe a riservarsi, là dove, così sgradevolmente esposta al proprio antagonista, avrebbe potuto avere a essere da lui facilmente sopraffatta, se soltanto esso avesse agito in tal direzione.
Tuttavia, benché il di lei attacco non avesse portato ad alcun genere di risultato, tale azione non doveva essere stata né prevista, né compresa dal lombrico gigante, in termini tali per cui, addirittura, esso ebbe a retrocedere, quasi avesse avuto di che spaventarsi innanzi a tutto ciò.

“... calmati...” si impose allora Duva, restando immobile e, nella propria immobilità, cercando di recuperare contatto con il mondo a sé circostante e con il proprio corpo, malgrado l’ultima botta, subita contro la spalla già lussata, l’avesse decisamente frastornata, per non dire stordita “... non ti puoi permettere di perdere contro un verme...” si rimproverò, cercando di ricondurre la questione alla giusta idea, o, quantomeno, all’idea giusta per non soccombere nel confronto con quella spiacevole e dolorosa situazione.

Un secondo istante, quindi, non meno pericoloso rispetto al primo, ebbe lì a trascorrere. E ancora una volta, benché ciò avrebbe potuto dimostrarsi a completo beneficio dell’essere mostruoso innanzi a lei, questi continuò a offrirsi disorientato, muovendosi soltanto di pochi pollici a destra e a sinistra, quasi avesse a voler temporeggiare ancor prima che concludere, nel minor tempo possibile, quella lotta.
Un temporeggiare, il suo, che allora non avrebbe potuto che essere utile alla donna, concedendole esattamente ciò di cui ella aveva allor bisogno: tempo utile a ritornare padrona di sé, e a permettersi, nuovamente, di elaborare la situazione, e una situazione dalla quale, forse, non sarebbe poi stato così semplice avere a uscire viva.

mercoledì 26 maggio 2021

3653

 

“Accidenti a me...” si rimproverò in cuor proprio, arrabbiata con se stessa per essersi concessa troppa leggerezza attorno a quella questione.

Sino a quel momento, in verità, ella non aveva minimamente preso in considerazione la possibilità che la propria amica sororale potesse essere morta.
Dopotutto, in quegli ultimi anni, ne avevano passate così tante insieme, e non solo, in misura tale per cui nulla avrebbe potuto essere considerato troppo pericoloso per lei. E là dove persino nel porsi a confronto con lo smisurato potere di un Progenitore erano riuscite a cavarsela, quale minaccia avrebbe potuto mai avere realmente possibilità contro di loro...?!
Eppure un’altra Midda era morta. Ed era morta proprio in lotta contro la Progenie della Fenice, motivando i suoi amici, la sua famiglia, ad avventurarsi lì dentro per avere a vendicarla. E se un’altra Midda era morta, e, probabilmente, una Midda non poi così diversa dalla propria nel non ignorare il fatto che, comunque, in quel gruppo ella avesse visto se stessa e Lys’sh, per quale ragione ciò non avrebbe potuto accadere anche a discapito della propria...?!
Possibile che, a sbagliarsi, fossero stati lei e tutti gli altri suoi interlocutori in quel mondo, in quella realtà, minimizzando, banalizzando il pericolo imposto a discapito della Figlia di Marr’Mahew e, in fondo, nulla avendo a considerare di tutto ciò qual qualcosa di più rispetto all’ennesima avventura che, presto, si sarebbe ritrovata a essere cantata dai bardi di tutta Kofreya...?!
Riconoscendo in sé una certa ansia, e un’ansia crescente, ella avrebbe voluto dimostrarsi capace di scacciare simili preoccupazioni, tali pensieri dalla propria mente, nel muoversi con incedere deciso lungo il nuovo corridoio, fosse anche e soltanto per concedersi maggiore attenzione a dove avrebbe avuto a porre i piedi, per evitare spiacevoli trappole. Ma, obiettivamente, l’idea della morte di Midda l’aveva intimamente sconvolta in misura decisamente maggiore rispetto a quanto non avrebbe potuto gradire ammettere.

« Finalmente! »

Quasi un grido fu quello che esplose dalle sue labbra a confronto con la vista di una scalinata, e di una scalinata alfine volta a permettere di discendere verso il basso, verso i livelli inferiori e, speranzosamente, in direzione del cuore di quel luogo e del punto dove, all’occorrenza, ella sperava di essere in grado di rintracciare la Progenie e Midda Bontor insieme a loro.
Senza esitazione, senza incertezza alcuna, ella pose quindi il suo destro sul primo gradino, già slanciata al secondo con il sinistro, quando, proprio malgrado, si rese conto che la pietra alla quale aveva allor fatto affidamento non avrebbe avuto a potersi fraintendere così stabile per come aveva dato per scontato avesse a essere. Impossibile definire se quella avrebbe avuto a dover essere intesa qual una trappola o, semplicemente, l’opera del tempo e dell’abbandono di quel passaggio, ma il gradino sotto di lei ebbe allor sostanzialmente a sbriciolarsi prima ancora che ella potesse essere in grado di arrivare ad appoggiare il piede sinistro, privandola del proprio utile sostegno e, in ciò, stravolgendo il suo baricentro, in termini tali che, sommati all’inerzia, la videro mancare il gradino successivo, con un conseguente effetto a catena che, allora, la fece iniziare a precipitare lungo quella tanto desiderata scalinata, e quella scalinata improvvisamente tradottasi nell’ennesimo ostacolo sul proprio cammino.

« ... »

Impossibile sarebbe stato per lei avere a stimare per quanto tempo, o per quanto spazio, era rotolata lungo quella scalinata.
Dopo i primi tre, quattro piedi di distanza, infatti, ella aveva battuto spiacevolmente la testa contro una parete, o forse un gradino, ritrovandosi a rimirare, in ciò, soltanto un violento bagliore a seguito del quale le tenebre più oscure avevano avuto ad avvolgerla, a farla propria prigioniera. Tenebre dalle quali aveva avuto occasione di riemergere, recuperando contatto con il mondo a sé circostante, soltanto dopo un tempo non meglio definito, scoprendosi rovesciata supina lungo quei gradini, in una posizione tanto innaturale quanto terribilmente scomoda che, per un lungo istante, le fece temere di essersi rotta qualche osso.
Fortunatamente, dopo essere tornata padrona del proprio corpo, ed essersi riuscita a rigirare in una posizione più dignitosa, ella non parve riconoscere in sé nulla di rotto, benché, proprio malgrado, la spalla sinistra avrebbe avuto a doversi intendere sgradevolmente lussata, con la testa dell’omero dislocatasi rispetto alla cavità glenoidea della scapola: una condizione decisamente dolorosa, e dalla quale non avrebbe potuto uscire senza l’aiuto da parte di qualcuno che avesse a guidare nuovamente il suo braccio nella giusta posizione; e, ciò non di meno, una condizione a confronto con la quale potersi comunque considerare fortunata, nel doversi riconoscere in fondo comunque abile al combattimento in grazia all’uso della propria destra, e del fatto che la destra, comunque, avesse per lei a poter essere riconosciuta qual la mano dominante.
Slacciandosi la cintola alla quale era appesa il fodero della sua spada, quindi, ella si ebbe a legare il braccio sinistro al resto del corpo, per mantenerlo quanto più immobile possibile e non avere, di conseguenza, ad aggravare ulteriormente la propria situazione medica. E, non senza una certa rabbia, a contrasto di se stessa e del proprio avverso fato, ella ebbe a risollevarsi in piedi, raccogliendo nella destra la spada, ormai privata della possibilità di essere riposta in un fodero, per poter proseguire nel proprio cammino e, comunque, nella discesa lungo quella scalinata.

« ... ora cerca, però, di non completare l’opera spaccandoti del tutto quella testa dura che ti ritrovi... » si suggerì a denti stretti, tanto per contenere la rabbia, quanto per contenere il dolore.

Inizialmente un po’ zoppicando, e, ciò non di meno, poi ritrovando maggiore scioltezza, Duva ebbe così a rimettersi in moto, rallentata, forse, e pur tutt’altro che frenata nella propria volontà di andare avanti, e di avere presto a giungere a destinazione, ovunque, di preciso, essa potesse avere a collocarsi.
E dopo una discesa apparentemente infinita, ella ebbe allor a giungere a confronto con un’ampia stanza, e una stanza al centro della quale, proprio malgrado, non ebbe a trovare né Midda, né la Progenie, né, tantomeno, la fenice, quanto e piuttosto... un verme. Sì. Un lombrico. Ma non un lombrico normale, quanto e piuttosto un lombrico che, almeno nella parte che poteva allor distinguere fuori dalla terra, e intenta a divorare qualcosa... o qualcuno, un lombrico lungo non meno di una dozzina di piedi, e con una bocca abbastanza larga da potergli permettere di inghiottirla per intero, senza alcuna particolare fatica. Eventualità tutt’altro che remota nel confronto con l’evidente voracità con la quale si stava allor nutrendo.

“... che schifo...” pensò fra sé e sé, osservando l’aspetto di quella creatura, e di una creatura forse non poi così differente dai propri parenti di dimensioni consuete e che pur, in quella macroscopica proposta, non avrebbe potuto ovviare a rendere palese tutta la propria più disgustosa presenza, in termini a confronto con i quali, obiettivamente, ella non avrebbe potuto desiderare avere occasione di contatto... e, soprattutto, di contatto fisico.

La presenza di quel mostro, comunque, non avrebbe avuto necessariamente a doversi intendere qual per lei una ragione di pericolo... non ove fosse stata sufficientemente discreta, nel proprio incedere, in termini utili a riuscire a superarlo senza avere a impegnarsi con lui in battaglia.

martedì 25 maggio 2021

3652

 

« Anche voi state cercando Midda...?! » domandò loro, nell’intento di provare a fare conversazione, ben consapevole che difficilmente le sarebbe stata offerta un’altra, simile, occasione nella vita.

In effetti, animata da una più che comprensibile curiosità nei loro confronti, Duva si sarebbe ben volentieri spinta a coprire la distanza allor esistente fra loro, allo scopo di poterli vedere meglio, e di poter vedere meglio se stessa, desiderosa di comprendere quanto potesse essere uguale e quanto potesse essere diversa da lei. Ciò non di meno, ben comprendendo come quella situazione potesse risultare palesemente anomala, non volle rischiare di forzare eccessivamente la mano alle proprie controparti, non potendo avere la benché minima idea di qual genere di reazione avrebbe allora potuto attendersi da parte loro.
In fondo, benché ella stesse reagendo con entusiasmo, complice l’ormai quieta accettazione dell’esistenza di altre dimensioni e di altre versioni di ognuno conseguente alla coesistenza, nella propria quotidianità, di Midda e di Maddie; sarebbe stato altrettanto, e forse maggiormente, comprensibile che qualcuno avesse a poter reagire con diffidenza e sospetto innanzi a un proprio duplicato, ragione per la quale sarebbe per lei stato opportuno non avere a poter essere fraintesa qual una minaccia a loro discapito, per non avere a forzarne, involontariamente, una qualche reazione avversa.

« ... » esitarono gli altri due, prima guardandosi l’un l’altra, e poi voltandosi alle proprie spalle, dalla zona da cui erano emersi, a rivolgersi a una terza persona.
“Urca!” pensò la Furia Nera, stuzzicata da quella scoperta e dalla scoperta della presenza di qualcun altro “Evidentemente si sono organizzati in gruppi più numerosi di noi... mica stupidi.”

A confermare quel sospetto, dopo qualche istante, altri tre volti fecero capolino da dietro quel lontano angolo, ammassandosi all’interno del corridoio per scrutare in direzione di quell’inattesa chiacchierona: Be’Sihl, Lys’sh e H’Anel.

« Ma quanta bella gente! » esclamò allora Duva, levando la mano in cenno di saluto verso di loro « Vi siete divisi in maniera migliore rispetto a noi, a quanto vedo! Ottima scelta! » commentò nuovamente, ad alta voce, per essere sicura di poter essere udita da loro, sempre ammesso che la sua voce potesse effettivamente raggiungerli ovunque avessero di preciso a trovarsi in quel momento.

In quel silenzio, infatti, facile sarebbe stato intendere tanto l’eventualità di una reazione di dubbio a confronto con lei e con la sua inattesa apparizione innanzi a loro, quanto la possibilità che a quel particolare momento di contatto visivo non avesse necessariamente a corrispondere anche un momento di contatto acustico. Poi, in effetti, molte altre avrebbero potuto essere comunque spiegazioni valide, quale, per esempio, una pura e semplice incapacità a comprendersi, magari nel parlare due lingue fra loro completamente diverse; oppure e persino che essi non avessero a doversi intendere reali o che, anche ove lo fossero, non avessero a considerare lei qual reale.
Insomma... nella più completa incapacità, da parte sua, a comprendere le dinamiche proprie del luogo nel quale si stava ritrovando a essere, ogni spiegazione avrebbe potuto essere accettabile. E tutte avrebbero anche potuto rivelarsi semplicemente sbagliate.

« Va bene... non fa nulla. » sorrise alfine ella, scuotendo il capo a minimizzare l’importanza o meno di un qualche dialogo fra loro « Con permesso, sarà meglio che abbia a riprendere la mia ricerca. » sancì, stringendosi appena fra le spalle « Vado da quest’altra parte... così non rischio di ostacolarvi. » soggiunse, indicando l’altro corridoio, contrapposto a quello da loro occupato « Vi auguro di ritrovare quanto prima la vostra Midda...! »

Ma prima che ella potesse allor voltarsi, per incamminarsi esattamente come anticipato, la voce di Be’Sihl ebbe a levarsi verso di lei, proponendosi decisamente priva di qualunque inflessione di possibile allegria e, anzi, risuonando carica di un senso di profonda tristezza, che ebbe ad accompagnare un tutt’altro che lieto annuncio...

« Midda è morta. » dichiarò egli, chinando appena lo sguardo a esprimere il proprio dolore, e un dolore evidentemente ancora vivo in lui e in tutti loro « Non siamo qui per cercarla... quanto e piuttosto per vendicarla. »

Quella frase ebbe a gelare il sangue nelle vene della Furia Nera, la quale, francamente, non si sarebbe mai potuta immaginare qualcosa di simile. E dopo un doveroso istante a domandarsi se avesse udito bene, pur desiderosa di avere a chiedere ulteriori dettagli a tal riguardo, ella si costrinse a tacere, per mostrare necessario rispetto per la loro perdita.
Midda era morta...? Come poteva essere accaduto...? Possibile che tutto ciò corrispondesse a verità e non fosse, semplicemente, conseguenza di un malinteso...?!
Forse anche la loro Midda si era offerta in sacrificio per la salvezza di Kriarya. Ma a differenza di quanto accaduto nella sua realtà, dove si erano lasciati animare dall’ostinata certezza che ella avesse comunque a essere viva; in quell’altra dimensione ella era stata semplicemente considerata morta.

« ... mi... dispiace. » rispose alla fine, sforzandosi per mettere a tacere tutti i propri dubbi, tutte le proprie perplessità nel merito del loro annuncio, e limitandosi a offrire il proprio cordoglio per quanto accaduto loro.

A confronto con infiniti universi paralleli, ovviamente, nulla avrebbe potuto escludere l’eventualità che altre Midda avessero a essere morte. Così come, all’occorrenza, altre Lys’sh, o altre se stessa. Così come, in ancora altre versioni della realtà, ella avrebbe avuto a potersi riconoscere ancora sposata con Lange Rolamo, o, magari, con chiunque altro. Per così come, all’occorrenza, avrebbe potuto scegliere di non seguire Midda nel proprio viaggio di ritorno, restando a comandare la Kasta Hamina dopo il ritiro di Lange.
Insomma... tutto avrebbe potuto essere.
Ciò non di meno, pur partendo da quella chiara evidenza, e dall’evidenza che, in fondo, quella morte non avrebbe avuto a dover significare nulla per lei, non, quantomeno, per la propria versione di se stessa, Duva non avrebbe potuto mancare di sentirsi realmente disorientata a confronto con l’idea che in quella loro dimensione Midda avesse a essere morta. E che quella che, per lei e per H’Anel, avrebbe avuto a doversi intendere qual una missione di recupero, per loro avrebbe avuto a dover essere riconosciuta, piuttosto, qual la ricerca di vendetta, e di vendetta a discapito della Progenie della Fenice.

« Grazie. » replicò allora Be’Sihl, facendosi portavoce per il loro gruppetto e chinando appena il capo in segno di riconoscenza verso di lei « E per quello che può valere, pregheremo gli dei tutti affinché tu possa ritrovare la tua Midda Bontor prima che possa essere troppo tardi. »

Già. Troppo tardi. Quanto tempo era già trascorso dall’inizio di tutta quella follia? Quanti giorni erano ormai passati dalla scomparsa di Midda...?!
... diamine! Stava perdendo tempo inutilmente, a girovagare all’interno di quel maledetto labirinto quando, all’occorrenza, ogni singolo istante avrebbe potuto scoprirsi decisivo per il fato della propria amica, della propria sorella.

lunedì 24 maggio 2021

3651

 

Se Duva Nebiria avesse avuto possibilità di immaginare che l’essersi levata gli stivali e averli gettati dietro di sé, all’interno di quella zona d’ombra, avrebbe avuto a potersi considerare tanto utile per la propria compagna d’arme, e utile al punto da salvarle potenzialmente la vita nel confronto con quel trabocchetto, ella avrebbe avuto di che essere più che felice per aver compiuto tale scelta, rimproverandosi soltanto, al più, di non essere fisicamente entrata anche lei in quella zona d’ombra, condannandosi a vagare nell’oscurità e, ciò non di meno, riservandosi la possibilità, in ciò, di ricongiungersi ad H’Anel.
Purtroppo, e proprio malgrado, Duva Nebiria non avrebbe potuto vantare la benché minima consapevolezza a tal riguardo. E, anzi, dal proprio punto di vista, ella si era limitata semplicemente a perdere i propri stivali, non senza, in tal senso, un certo rammarico, soprattutto nello scoprirsi sempre più con i piedi ghiacciati a contatto con la gelida roccia del pavimento.

« Dubbio numero uno: ma in questo posto non avrebbe dovuto esserci della lava da qualche parte...?! » commentò parlando con se stessa, per nulla soddisfatta della situazione corrente « Perché ora come ora, più che un forno, tutto questo assomiglia a un congelatore... »

Ovviamente ella era consapevole che la lava non avrebbe avuto a dover essere riconosciuta al suo livello. Anche perché, allo stato attuale delle cose, ella non aveva ancora trovato una via utile a discendere, e a discendere verso i piani inferiori di quel tempio sotterraneo, e quei piani inferiori al termine dei quali avrebbe allora avuto ad attenderla il fiume di lava di cui Midda le aveva parlato.
Ciò non di meno, ella non avrebbe neppure potuto presumere che il pavimento potesse essere tanto freddo a contatto con la pianta dei suoi piedi, in termini tali, inizialmente, a farle perdere la sensibilità e, con il passare del tempo, a indolenzire la sua muscolatura, contraendola talvolta in violenti crampi. Continuando di quel passo, forse, la pelle dei suoi piedi avrebbe persino iniziato a spaccarsi, per la contrazione imposta da quel gelo, in termini che avrebbe reso tutto ciò sempre più spiacevole.

« Dubbio numero due: ma gli shar’tiaghi come accidenti fanno ad andare in giro sempre a piedi nudi...?! » si domandò ancora, volgendo il pensiero ai due figli di Shar’Tiagh di sua diretta conoscenza, Be’Sihl e Howe, i quali, nel rispetto delle tradizioni della loro gente, mantenevano sempre i piedi scoperti, come atto di umiltà innanzi agli dei « Al posto della pianta dei piedi avranno quantomeno uno zoccolo di un paio di dita... » ironizzò, aggrottando la fronte al pensiero.

In effetti ella non si era mai concessa occasione di soffermarsi su tal particolare in passato, pur avendo convissuto per cinque anni con Be’Sihl a bordo della Kasta Hamina, i pavimenti metallici della quale non avrebbero avuto probabilmente a potersi fraintendere propriamente temperati. Eppure Be’Sihl non aveva mai dimostrato il benché minimo disagio, né lì, né altrove... con la sola eccezione di una volta in cui, sospintosi in un’area ghiacciata di un pianeta, contraddistinta da temperature obiettivamente improbe, era stato alfine costretto a rinunciare al rispetto di tale tradizione come obbligata alternativa a rinunciare ai propri piedi e, forse, alla propria vita. Nulla di paragonabile, comunque, a quanto da lei ora vissuto, là dove quel pavimento, per quanto spiacevolmente freddo, non avrebbe avuto a potersi porre a confronto con il gelo concreto di quell’esperienza.

« Va bene voler esser... »

Duva stava ancora scandendo tale frase, insistendo sul per lei incomprensibile approccio shar’tiagho all’incedere scalzi in qualunque condizione, quando il corridoio innanzi a lei ebbe a dividersi in due, volgendosi verso direzioni fra loro del tutto opposte.

« ... diamine... » commentò, trattenendo una piccola imprecazione.

Tanto alla propria sinistra, quanto alla propria destra, la situazione appariva pressoché assimilabile, presentando il proseguo del corridoio tanto da un verso, quanto in quello opposto, senza apparenti indizi utili a comprendere quale delle due alternative potesse avere a ritenersi quella corretta... ammesso, ma non concesso, che avesse a esistere effettivamente un’alternativa corretta e una sbagliata.

« Giuro che appena metto le mani su un fanatico della Progenie della Fenice, gli pelo la testa a scappellotti se non mi spiega come accidenti facciano a orientarsi qui dentro... » sospirò, scuotendo appena il capo con aria di disappunto.

Che i membri della Progenie della Fenice dovessero avere una mappa, o comunque un modo per poter essere in grado di orientarsi all’interno di quel luogo, e di quel luogo oltretutto instabile a livello dimensionale, era ovviamente soltanto un’ipotesi. E pur un’ipotesi non necessariamente priva di fondamento, nel confronto con l’ovvia necessità, da parte loro, di non avere a rischiare la vita in ogni momento entro i confini di quella che, per inciso, avrebbe avuto a dover essere riconosciuta pressoché pari a una casa da parte loro.

... e fu proprio nel mentre in cui scandiva simili parole, contemplando alternativamente il corridoio alla propria destra e quello alla propria sinistra, che la vide. O, per essere precisi, si vide.
Era lontana da lei, probabilmente all’estremità opposta di quel corridoio, in termini tal per cui, almeno all’inizio, ella non avrebbe potuto considerarsi effettivamente sicura di quanto stesse osservando o di chi stesse osservando. Tuttavia, dopo un primo istante di esitazione, ella non ebbe a riservarsi dubbio alcuno a confronto con il pensiero di star osservando se stessa, come in uno specchio.
E laddove anche sul volto dell’altra Duva ella ebbe a cogliere un’espressione di stupore sicuramente comparabile a quella che doveva essere in quel momento impressa sul proprio volto, tutt’altro che fine a se stessa avrebbe avuto a doversi ritenere l’idea di uno specchio, per quanto, comunque, non fosse certamente tale. Non, per lo meno, senza voler prevedere la possibilità, per uno specchio, di avere a proporre un abbigliamento leggermente diverso dal proprio ma, soprattutto, delle ciocche dorate intrecciate alle proprie scure sui capelli, in un effetto non necessariamente sgradevole nel proprio insieme e che, tuttavia, ella non era certa di non riuscire a considerare leggermente pacchiano. Troppo per i propri gusti. O, quantomeno, per i propri gusti nella propria dimensione, là dove, chiaramente, in un altro mondo, in un altro universo, un’altra Duva avrebbe avuto a doversi intendere così acconciata... oltre che, per di lei fortuna, ancor in possesso dei propri stivali.

« Ehylà! » provò a salutarsi, non sapendo valutare se ciò avesse a potersi intendere un’idea buona o no, ma, in fondo, non avendo neppure a poterla discriminare necessariamente qual un’idea sbagliata... fosse anche e soltanto per un discorso di educazione nei propri stessi riguardi.

L’altra Duva, allora, chiaramente sorpresa da quel saluto, accennò a levare la propria destra nella sua direzione, per replicare in tal maniera. E, nel contempo di ciò, alle sue spalle ebbe a comparire un giovane guerriero, l’identità del quale ella non ebbe esitazione a riconoscere qual quella di M’Eu: evidentemente, in quella versione alternativa della loro storia, per dirigersi al tempio della fenice non si era offerta H’Anel, quanto e piuttosto suo fratello.

domenica 23 maggio 2021

3650

 

In un attimo la lancia ebbe a compiere una rotazione completa nella sua mano, passando da offrire il fronte smussato a quello appuntito, nel dimostrarsi più che pronta ad affondare in qualunque cosa lì innanzi potesse rappresentare per lei una minaccia. Ciò non di meno, dopo qualche istante di silenzio utile a permetterle di meglio analizzare la situazione, ella non ebbe a cogliere evidenza alcuna di movimento innanzi a sé, né di rumore o altro suono, seppur minimo, utile a definire una presenza animata. E così, rigirando nuovamente la lancia per ovviare a qualunque genere di superfluo danno, che, anzi, avrebbe potuto persino dimostrarsi compromettente nella più quieta e assoluta inconsapevolezza di quanto vi fosse realmente lì a terra, ella torno a muovere la parte smussata della propria arma a tentare di meglio sondare la situazione, per cercare di farsi un’idea più precisa nel merito di quanto potesse essere lì presente.
Purtroppo per lei, al di là del pur evidente impegno posto in tal senso, un tale esercizio, quietamente inedito nella propria proposta, non avrebbe potuto portare alcun effetto apprezzabile, ragione per la quale, passando la lancia alla propria mancina e puntandola contro la sua parete guida per non avere a perdere contatto con la stessa, ella si mosse in prima persona a tentare di esplorare quanto lì presente. Fu così che, dopo un istante di esitazione, ella ebbe ad appoggiare la propria destra su una superficie liscia e morbida, che in un primo istante le parve poter appartenere a un qualche animale e che pur, poi, ebbe a comprendere poter appartenere a un manufatto in pelle scamosciata.

« Mmm... »

Non fu immediato arrivare a una conclusione in quell’indagine, ma alla fine ella ebbe a chiarirsi le idee, identificando in quella massa ignota la presenza, addirittura, di due oggetti distinti e di due lunghi stivali di pelle scamosciata, lì rigettati per terra senza alcuna evidenza nel merito dell’ubicazione del proprio proprietario.
Ovviamente H’Anel non avrebbe potuto ignorare la consapevolezza del fatto che la propria compagna d’armi, dalla quale pur ora si era ritrovata a essere separata, dovesse essere ricordata indossare proprio una coppia di stivali assimilabili a quelli, benché, ovviamente, ella non li avesse mai toccati prima e, soprattutto, ora non li potesse vedere per permettersi di riconoscerli in qualche maniera. Possibile, quindi, che quegli stivali avessero a doversi identificare proprio quali quelli di Duva Nebiria? E se così fosse stato, perché essi erano lì abbandonati a terra...?
Sino a quel momento ella aveva dato per scontato che, quando si era ritrovata separata da Duva, ciò fosse accaduto per l’instabilità propria di quel luogo, un’instabilità che poteva aver condotto ella, o forse Duva, o persino entrambe, a un diverso piano dimensionale rispetto a quello a cui appartenevano. Ciò non di meno, se così fosse stato, quegli stivali non avrebbero avuto la benché minima giustificazione a poter essere lì presenti. A meno di non voler prendere in considerazione la non ingiustificabile idea della presenza di altre versioni di se stesse lì in movimento all’interno di quel tempio, per così come, del resto, era anche accaduto anche a Midda Bontor.
Che fosse, tuttavia, la “sua” Duva... o che fosse un’altra versione di Duva, nell’ipotizzare che quegli stivali avessero a doversi intendere realmente quelli della Furia Nera, per quale ragione avrebbero mai dovuto essere lì gettati a terra...?

« Mmm... »

Analizzandoli con attenzione, per quanto permessole dall’utilizzo soltanto del senso del tatto e di un’unica mano, H’Anel non ebbe a rilevare alcuna evidenza di danni a discapito di quegli stivali, ragione per la quale avrebbe avuto a poter escludere l’eventualità che Duva li avesse perduti nel corso, o a seguito, di un qualche scontro violento.
Ma se, allora, ella non li aveva perduti in maniera forzata, la loro presenza su quel pavimento avrebbe avuto a dover essere intesa qual una rinuncia volontaria. Ma una rinuncia volontaria per quale scopo...? Forse nel desiderio di averle a comunicare qualcosa...?!
Una linea di pensiero, la sua, che, lo comprendeva, non avrebbe avuto a doversi fraintendere qual necessariamente lineare nella propria evoluzione e che, anzi, avrebbe potuto essere considerata anche decisamente forzata. E, ciò non di meno, una linea di pensiero che ella non avrebbe voluto essere così ingenua da escludere in maniera arbitraria dalla propria mente, là dove, se soltanto avesse avuto ragione, avrebbe avuto di ché pentirsi amaramente per la propria scelta.
Così, tirando appena da parte quegli stivali per meglio scoprire il suolo, ella ebbe a iniziare a muoversi a tentoni sul pavimento per avere a cogliere l’evidenza di un qualche genere di minaccia utile a giustificare quell’eventuale segnale di pericolo. E se pur, per qualche istante, ella non ebbe a rilevare nulla di strano, in termini tali per cui già stava iniziando a considerarsi forse un po’ troppo sciocca nell’essersi permessa una tale formulazione di idee, alla fine la sua destra ebbe a posarsi su una strana mattonella, e una mattonella che, a differenza di ogni altra del pavimento, sembrava godere di una minima libertà di movimento.

« ... una trappola! » esclamò strabuzzando gli occhi, scoprendosi necessariamente sorpresa nel ritrovare conferma al ragionamento compiuto, benché la fiducia a tal riguardo stesse ormai rapidamente scemando.

Ecco spiegato il senso di quegli stivali: Duva Nebiria aveva desiderato condividere con lei l’esistenza di una trappola, e di una trappola che, se non avesse prestato attenzione, avrebbe attivato con la pressione dei propri piedi.
H’Anel, già decisamente ammirata da Duva Nebiria all’inizio di quel viaggio insieme, e ancor più a seguito del loro recente confronto e del di lei impegno volto a cercare di aiutarla ad affrontare i fantasmi del proprio passato, non poté che veder crescere la propria stima alle stelle per quella donna straordinaria, e quella donna straordinaria che, malgrado tutto, era riuscita a trovare un modo utile ad avvisarla di un pericolo, e del pericolo di una trappola innanzi al proprio cammino.
Impossibile, ormai, sarebbe stato per lei non comprendere per quale ragione Midda Bontor avesse a considerare la Furia Nera al pari di una sorella: perché nessuna persona al mondo, in quello o in altri mondi, avrebbe potuto essere più degna di tale ruolo.
Con il cuore colmo di gratitudine, e di gratitudine nei riguardi di Duva, ella ebbe allora a tirarsi nuovamente da parte, in direzione della parete sinistra a contatto con la quale era sempre rimasta in grazia alla propria lancia, trascinando con sé quei due stivali. E, ritrovato contatto fisico con la propria parete guida, dopo aver raccolto quegli stivali ed averli incastrati nella tracolla del supporto abitualmente utile a permetterle di riporre sulla propria schiena la propria arma, quando non in uso, non desiderando avere ad abbandonarli lì per terra, non dopo che tanto essi avevano fatto per lei, la figlia di Ebano ebbe a risollevarsi da terra, a riportare alla destra la propria lancia e a ritrovare il contatto diretto della sinistra con il muro, prima di riprendere il proprio cammino, prestando assoluta attenzione a non stuzzicare quella mattonella maledetta e, in ciò, a non attivare qualunque genere di trappola potesse essere a essa collegata.

« Sono dietro di te, Duva... » sussurrò quasi fra sé e sé, pur rivolta all’indirizzo della compagna d’arme, nell’esprimere quella che avrebbe avuto allor a dover quasi essere intesa al pari di un impegno, di una promessa, volta a garantirle come, presto o tardi, l’avrebbe raggiunta, riservandosi occasione utile per ricongiungersi a lei e, speranzosamente, avere a ritrovare insieme Midda Bontor all’interno di quell’assurdo dedalo sotterraneo.

sabato 22 maggio 2021

3649

 

Ovviamente, però, pensare di poter sopravvivere in quel mistico delubro costretta a muoversi al buio non sarebbe stato assolutamente banale. Anzi. Dopotutto non avrebbe avuto a poter essere frainteso qual tale neppure ove posto in piena luce... figurarsi, quindi, in quella condizione di completa oscurità, là dove avere anche e soltanto a comprendere da che lato potesse essere girato il mondo non avrebbe potuto fraintendersi qual banale.
Una volta, quando ancora erano bambini, M’Eu aveva domandato a Midda Bontor come potesse essere in grado orientarsi all’interno di un labirinto, qual in fondo la maggior parte dei luoghi da lei visitati alla ricerca di arcane reliquie avrebbe avuto a dover essere considerato. Per tutta risposta, la Figlia di Marr’Mahew aveva ridacchiato sottolineando come, obiettivamente, non vi potesse essere alcuna maniera per orientarsi in un labirinto. Ma, ciò nonostante, ove posta alle strette, ella potesse fare affidamento su un piccolo trucco logico. Ovviamente non soltanto M’Eu, allora, ma anche la stessa H’Anel avevano espresso vivace curiosità per scoprire di che trucco si potesse trattare. E Midda, raccogliendo un bastoncino, aveva disegnato sulla nuda terra una sorta di piccolo labirinto, per permettere a entrambi di avere a provare, in prima persona, di trovare un metodo utile a uscire da quel labirinto pur senza conoscere la via.
Per i due pargoli non era stato facile, allora, riuscire a soddisfare la richiesta della loro quasi mamma: il labirinto da lei tracciato, in fondo, era molto semplice e la via utile a raggiungere l’uscita saltava immediatamente all’occhio. Ciò nonostante non era quello che Midda aveva chiesto loro: ella desiderava che avessero a individuare non una via, ma un metodo utile a uscire pur senza conoscere la via. Un enigma attorno al quale, quindi, H’Anel e M’Eu avevano trascorso quasi un’intera giornata, scervellandosi anche con l’aiuto di alcuni amichetti della propria comunità e pur senza riuscire ad arrivare a una soluzione.
Alla fine, a confronto con la loro resa, Midda Bontor aveva preso il piccolo M’Eu in braccio, gli aveva bendato gli occhi con un pezzo di stoffa e lo aveva rimesso a terra innanzi all’ingresso della propria tenda. La tenda, ovviamente, non avrebbe potuto essere fraintesa in alcuna maniera pari a un labirinto, ma il metodo che Midda ebbe allora a suggerirgli avrebbe avuto a doversi intendere efficace anche a confronto con qualcosa di così semplice come pure a confronto di qualcosa di estremamente più complicato. E, così, il figlio di Ebano allungò la propria mancina a sfiorare il bordo della tenda e, mantenendo sempre quel contatto, iniziò a muoversi alla cieca, e in maniera necessariamente buffa per tale condizione, lungo il perimetro interno della stessa, girandola per intero e ritornando, alla fine, all’ingresso davanti al quale era stato posto.

« Tutto qui...?! » aveva quindi quasi protestato H’Anel, strabuzzando gli occhi e attendendosi qualcosa di diverso, di più complicato, rispetto a quello.
« Tutto qui. » aveva confermato Midda, annuendo.
« Ma come può funzionare in un labirinto...?! » aveva insistito l’altra, incerta che quella avesse a doversi veramente considerare la soluzione utile, e nulla di più avendola a considerare rispetto a una presa in giro da parte sua.

Per tutta replica, Midda si era nuovamente chinata a terra, aveva ancora una volta disegnato un labirinto, semplice e, comunque, un labirinto, e aveva passato il rametto nelle mani di H’Anel, invitandola a provare in prima persona.
E H’Anel, muovendo con attenzione il rametto lungo il bordo interno del labirinto, ne percorse tutta la superficie, prima di finire, prevedibilmente, a raggiungere l’uscita...

« Oh... »

Un metodo semplice quello proposto dalla Figlia di Marr’Mahew, e pur un metodo efficace. E un metodo che, per l’appunto, avrebbe potuto riservarsi il proprio valore in qualunque genere di labirinto... sempre ammesso di riuscire a sopravvivere a eventuali trappole presenti al suo interno.
Quell’insegnamento, al pari di tutto ciò che Midda aveva avuto occasione di trasmettere loro, sempre meno di quanto essi non avrebbero potuto desiderare potesse essere, le era ovviamente rimasto impresso nella mente e nel cuore, e a distanza di tanti anni ella non avrebbe potuto ovviare a essere grata a quella donna straordinaria, e a quella donna straordinaria in grado di aiutarla anche nel momento in cui, paradossalmente, avrebbe avuto a dover essere riconosciuta proprio lei impegnata in suo soccorso.
Muovendosi, quindi, con discrezione all’interno delle tenebre di quel corridoio, con la propria mancina sempre a contatto con la parete alla sua sinistra e la propria destra intenta a impugnare la propria lancia e con la sua estremità smussata a sondare il terreno innanzi a sé, a tentare di minimizzare la possibilità di sgradevoli trappole, ella ebbe quindi a muoversi con sufficiente controllo di sé e del mondo innanzi a sé, non negandosi, a margine di ciò, di avere a riflettere su tutto quello.
Chissà se quel luogo così instabile era divenuto tale in conseguenza della presenza della fenice oppure se fosse stata proprio l’instabilità di quel luogo a renderlo perfetto per la fenice...? Nel primo caso, interessante sarebbe certamente stato avere occasione di comprendere di più nel merito di come e quando la fenice potesse aver eletto quel luogo a proprio tempio; nel secondo caso sarebbe stato non meno affascinante cercare di comprendere come quel luogo potesse essere stato costruito, malgrado tutto ciò.
E, per inciso, chi poteva aver realizzato quel luogo? Erano stati forse proprio gli stessi fanatici della Progenie della Fenice a erigerlo...? Quali rapporti avrebbero avuto a dover vantare con la creatura della quale si erano eletti custodi ma a confronto con la quale, evidentemente, non avrebbero potuto riservarsi grande confidenza, nel considerare quanto il suo volere fosse così poco rispettato dagli stessi?! Per quanto Midda aveva spiegato loro, la fenice avrebbe avuto a dover essere intesa qual una sorta di principio metafisico della Creazione, la Portatrice di Luce, incarnazione della vita e di tutto ciò che esiste, in equilibrata contrapposizione all’Oscura Mietitrice, quintessenza stessa della Distruzione, definizione pura e semplice della morte e della fine di ogni cosa: non un antagonismo, il loro, quanto e piuttosto una commisurata esigenza utile a permettere a ogni universo di esistere, in un costante altalenarsi di generazione e di annichilimento, di inizio e di conclusione, in assenza del quale nulla sarebbe stato tale.
Ma se, quindi, la fenice, la Portatrice di Luce, avrebbe avuto a dover essere intesa in tali termini, in che maniera la cosiddetta Progenie della Fenice avrebbe potuto avere mai un reale senso, una qualche coerenza, nel ritrovarsi animata dalla brama di distruggere l’Oscura Mietitrice, e colei che, nella storia, ne era stata l’espressione più celebre, proprio malgrado... la regina Anmel Mal Toise? Certo: Anmel, sbilanciandosi verso la Distruzione, aveva chiaramente alterato quel senso di equilibrio che avrebbe avuto a dover esistere per permettere a tutto di essere. Ma anche Midda Bontor, sua erede, si era resa chiaramente conto di quanto non agendo lungo un sentiero di morte avrebbe mai potuto permettere all’Oscura Mietitrice di prevalere.
Possibile, quindi, che la Progenie della Fenice potesse agire in maniera così estranea ai voleri della fenice, pur, e addirittura, occupandone il tempio...?

« La questione sta diventando complicata... » sussurrò fra sé e sé, a margine di quel flusso di coscienza, e quel flusso di coscienza nel quale aveva cercato fugace occasione di evasione.

Fu proprio allora, però, che il fronte arrotondato della propria lancia ebbe a toccare qualcosa di morbido al suolo, mettendola subito in allarme e costringendosi, allora, non soltanto a interrompere le proprie riflessioni ma, anche e ancor più, a porsi in guardia, incerta nel merito di cosa potesse esservi lì innanzi a lei, ad attenderla nell’oscurità.

venerdì 21 maggio 2021

3648

 

Per quanto, certamente, H’Anel, figlia di Ma’Vret Ilom’An, il leggendario Ebano, potesse vantare i propri problemi psicologici, anche e soprattutto in conseguenza a quanto subito da bambina, impossibile sarebbe stato per chiunque avere a poterla accusare di difettare in coraggio. Anzi. Se una cosa non avrebbe avuto a poter mancare ad H’Anel tale avrebbe avuto a doversi intendere proprio il coraggio, caratteristica che, in fondo, l’aveva contraddistinta sin dalla più tenera età, e che, anche durante i famigerati eventi della sua infanzia, le aveva permesso di mantenere quanto più possibile in controllo, fosse anche e soltanto per non permettere al suo fratellino M’Eu di avere a disperarsi.
In ciò, nel momento in cui H’Anel si scoprì sola in quel corridoio oscuro, e in quel corridoio oscuro apparentemente privo di fine, ella non ebbe a cedere in alcuna maniera al panico o alla paura. E, anzi, ebbe addirittura a rallentare volutamente il proprio respiro, per impedire al proprio cuore di poter accelerare i propri battiti in maniera incontrollata.

« Duva...?! » provò per la terza volta a chiamare l’amica, per escludere che tutto ciò avesse a poter essere un fraintendimento da parte sua, e che, in verità, ella non avesse a doversi considerare sola.

Ma ancora una volta nessuno le rispose. E nelle imperscrutabili tenebre di quel corridoio sotterraneo, ella ebbe quindi a fermare del tutto i propri passi, nella consapevolezza di quanto, allora, avere a proseguire oltre avrebbe potuto rappresentare per lei una spiacevole occasione di pericolo, nell’inconsapevolezza di ciò che avrebbe potuto attenderla il passo seguente.
In effetti, anzi, inconsapevole ella avrebbe avuto a dover essere intesa non soltanto di quanto avrebbe potuto attenderla lì avanti, ma anche, e persino, della propria attuale ed effettiva locazione, là dove, in quelle tenebre, ella avrebbe potuto anche essere finita in qualunque altro luogo diverso dal corridoio in cui si trovava pocanzi, senza, in ciò, avere a potersi riservare la benché minima possibilità di intendimento a tal riguardo. Per tale ragione, quindi, la priorità maggiore sarebbe dovuta essere avere a ridefinire la propria attuale collocazione e, possibilmente, ritrovare una qualche occasione di luce prima di aver ad avanzare di un solo, ulteriore passo.
Allargando, quindi, le braccia a destra e a sinistra, ella provò a muovere qualche piccolo passo in entrambe le direzioni, a verificare la presenza, o meno, delle pareti attorno a lei. E quando sotto alla punta delle sue dita ebbe a palesarsi la fredda superficie della roccia, e dei mattoni di roccia che costituivano le pareti di quel corridoio, la figlia di Ebano non poté che riservarsi un’occasione di soddisfazione, a confronto con l’idea di essere, quantomeno, ancora dove avrebbe dovuto essere. O, quantomeno, in una versione similare di ciò...

« In fondo lo sapevo che questo luogo non è molto stabile... » commentò in un sussurro fra sé e sé, a ricordare quanto, in effetti, tale caratteristica avrebbe avuto a doversi intendere la ragione per la quale, allora, lei e Duva si erano spinte sino a lì, alla ricerca di Midda Bontor.

Concentrandosi, allora, sulla parete alla propria destra, la seconda da lei raggiunta a conferma della propria invariata presenza nel corridoio, ella ebbe a lasciar risalire quietamente la mano verso l’alto, a ricercare in ciò il canaletto lungo il quale avrebbe dovuto scorrere quel liquido infiammabile, responsabile dell’illuminazione di tutto quel complesso. E quando raggiunse tale punto, a nuova riprova che tutto avesse a doversi intendere invariato, ella si ritrovò prossima a gioire, prima di essere costretta a placare il proprio entusiasmo nel confronto con un particolare tutt’altro che entusiasmante.

« ... e dai. » protestò, nel ravvisare quanto, purtroppo, il canaletto lì sopra fosse terribilmente asciutto, del tutto svuotato del proprio supposto contenuto.

Per sicurezza, e pur senza riservarsi particolari illusioni, ella ebbe allor a muoversi verso la parete sinistra, a verificare anche lì la situazione. E, purtroppo e come in parte previsto, anche nel canaletto lì presente non ebbe a poter trovare alcuna evidenza di liquido alcuno, in termini tali per cui, proprio malgrado, avrebbe avuto a dover restare al buio.
Per carità: nella bisaccia in groppa al proprio cavallo, ella poteva vantare di possedere una coppia di splendide torce. Ma, obiettivamente, non avrebbe avuto ragioni per potersi illudere del fatto che, anche riuscendo a riconquistare l’uscita da quel luogo, avrebbe avuto a emergere nel proprio mondo e innanzi al proprio cavallo. Anzi...

« Per la grazia di tutti gli dei. » sussurrò, intimamente contrariata dall’idea di essersi potuta smarrire in un altro mondo, e di averlo fatto in maniera così potenzialmente banale, senza apparentemente alcuna possibilità utile a tornare indietro.

A confronto con tutto ciò, un’altra persona, meno padrona di sé e delle proprie emozioni, avrebbe potuto cadere vittima del panico, in maniera, in fondo, neppur ingiustificata o ingiustificabile.
Tuttavia H’Anel, figlia di Ma’Vret Ilom’An, il leggendario Ebano, non ebbe in alcuna maniera a palesare alcuna ansia, né, ancor meno, a soffocarla nel proprio intimo. Ben consapevole, in fondo, di quanto cedere alla paura, in quel momento, non l’avrebbe aiutata a trovare un modo per sopravvivere a tutto quello e per tornare a casa, ella semplicemente si negò qualunque occasione in tal senso, decidendo di affrontare quella nuova avventura con stessa positiva propositività che, ne era certa, doveva star animando in quel momento anche Duva, ovunque fosse.

« ... e comunque l’avevo detto che sarebbe stato meglio evitare il corridoio immerso nelle tenebre. » ironizzò con un sospiro, scuotendo appena il capo a margine di ciò.

Nessun rimprovero, nessuna asprezza, avrebbe avuto a poter essere riconosciuta a margine di quelle parole: benché ella si fosse dichiarata contraria a proseguire in quella direzione, e benché in tal senso fosse stata la sua compagna d’arme a insistere, ella non avrebbe potuto in alcuna maniera colpevolizzare la stessa Duva per quanto accaduto, là dove, dopotutto, non era certamente dipeso da lei tutto ciò.
Come anche appena ricordatasi, ella sapeva bene quanto quel luogo non avesse a doversi fraintendere qual particolarmente accogliente: in caso contrario non avrebbe potuto adempiere al proprio compito, e al compito di ospitare e proteggere la fenice. E pur perfettamente consapevoli di ciò in cui si sarebbero andate a cacciare, tanto ella quanto Duva avevano scelto comunque di proseguire, sospinte dal comune desiderio di soccorrere Midda Bontor, ovunque ella potesse essere andata a finire.

« Boh... » concluse, stringendosi appena fra le spalle e, quindi, decidendo di riprendere ad avanzare, e di riprendere restando rasente al muro alla propria mancina, in grazia al quale poter allora sperare di conservare un minimo di orientamento malgrado le tenebre più assolute nelle quali era sprofondata « Tanto restare qui ferma non mi aiuterà di certo a uscire da questa situazione. »

Una speranza, in fondo, ella avrebbe potuto renderla propria malgrado tutto: quella di riuscire a giungere sino alla parte più profonda e protetta di quel tempio, e lì di avere occasione di incontrare la fenice in carne e ossa... o di qualunque sostanza fosse composta. Perché, ovunque ella potesse essere allor finita nel multiverso, certamente la fenice sarebbe stata in grado di ricondurla a casa, per così come, del resto, tante volte aveva fatto lo stesso per Midda.

giovedì 20 maggio 2021

3647

 

E’ strano come in talune situazioni, contraddistinte da un forte coinvolgimento emotivo, la mente riesca a concedersi occasione di viaggiare, quasi desiderasse avere a rifuggire all’evidenza della realtà presente in favore di fugaci fantasie o, meglio ancora, ricordi del passato.
Per Duva, lì appesa precariamente a quella parete, e a obbligato confronto con il baratro sotto di sé, l’occasione di evasione ebbe a concretizzarsi in un ricordo della propria giovinezza, e nel proprio primo imbarco su una nave stellare come recluta militare.
Quanti anni erano passati da allora...? Troppi per poterlo ricordare senza ragionare sul calendario. Ma da quando si era trasferita a vivere in quel nuovo mondo, anche il calendario era stato completamente rivoluzionato, in termini tali per cui, proprio malgrado, non avrebbe potuto vantare una reale consapevolezza nel merito della data odierna, né, tantomeno, del tempo trascorso da un evento passato, e tantomeno da un evento appartenente al proprio passato remoto.
Ricordò, tuttavia, quanto fosse giovane all’epoca, con i capelli tagliati corti, cortissimi, quasi quanto il taglio che Midda Bontor aveva reso proprio nei primi anni di vita a bordo della Kasta Hamina, fino a quando non erano stati i suoi figli adottivi, Tagae e Liagu, a richiederle di tornare a farseli crescere, per essere, a loro dire, più bella. Anche lei, in effetti, aveva quindi passato una fase simile, con capelli non più lunghi di mezzo pollice, e, persino, parti del cranio completamente rasate, secondo imbarazzanti motivi geometrici in ubbidienza a una qualche moda estemporanea, di quelle che riescono ad apparire convincenti soltanto quando tutti quanti si ripetono che abbia a potersi riconoscere qual meravigliosa, al di là di ogni pur contrastante evidenza estetica. Vestita con un’uniforme scura, la cui esatta sfumatura di colore or non era in grado di rammentare, ella era salita quasi di corsa a bordo della nave da trasporto che l’avrebbe condotta oltre l’atmosfera e, da lì, alla nave a bordo della quale lei e i propri compagni avrebbero svolto quella sessione di esercitazioni.
Che esercitazioni erano...?! Prove di volo...? No. Troppo presto. Per quanto ella avrebbe voluto impegnarsi subito in tal senso, il protocollo di addestramento non prevedeva la possibilità di sottoscrivere una divisione piuttosto di un’altra fino al completamento della formazione base. Ed ella, ne era certa, all’epoca stava ancor seguendo, per l’appunto, la formazione base. Forse prove di combattimento...? Sì. Ecco. Prove di combattimento a gravità zero, ora lo ricordava. Perché nello spazio, oltre a doversi addestrare all’impiego delle armi bianche come necessaria e irrinunciabile alternativa alle più pericolose armi da fuoco, e quelle armi da fuoco che troppo facilmente avrebbero potuto aprire terribili squarci lungo i fianchi delle medesime navi, nel colpirle dall’interno e nel comprometterne, quindi, l’integrità strutturale, era necessario anche impegnarsi per abituarsi a impiegare le armi bianche in ogni contesto possibile, primo fra tutti quello della gravità zero. Perché se non banale avrebbe avuto a dover essere considerato portare a segno un affondo in situazioni consuete, decisamente complesso avrebbe avuto a dover essere inteso farlo in una situazione di assenza di gravità, fluttuando in maniera inerziale nell’ambiente a sé circostante.
Ecco: in un momento come quello attuale sarebbe stato sicuramente molto comodo, per Duva, potersi ritrovare a gravità zero, limitandosi a galleggiare al di sopra di quel pozzo oscuro, senza il benché minimo rischio di ricaderci dentro.
Ovviamente, l’epoca di strani voli fluttuanti nello spazio, avrebbe avuto per lei a doversi intendere ormai finita e finita per sempre. E, in fondo, anche in quel momento, e in quella situazione quantomai avversa, ella non avrebbe potuto riservarsi rimpianto alcuno a tal riguardo, intimamente soddisfatta della propria scelta, e della scelta di seguire, insieme a Lys’sh, la loro amica sororale Midda Bontor.
Certo: il momento presente non avrebbe potuto essere frainteso qual benevolo, né per la precarietà della propria attuale posizione, né, tantomeno, per la scomparsa della stessa Midda Bontor, stupidamente vittima di se stessa, nell’essersi troppo generosamente offerta qual tributo ai propri antagonisti. Ma, malgrado tutto ciò, ella non avrebbe mai avuto a voler fare a cambio con la propria vita passata. E non perché la propria vita passata non le avesse riservato bei momenti, ma, semplicemente, perché ormai quello era un capitolo chiuso, un capitolo appartenente al proprio passato, e un capitolo che non avrebbe avuto ragione alcuna di essere riaperto.

Persa in tal maniera nel proprio flusso di coscienza, e in quel flusso imposto dalla sua mente come palese mezzo di evasione da quanto allora la stava circondando, ella si ebbe a scoprire giunta al termine della propria traversata quasi con una certa sorpresa, nel vedersi appoggiare, dall’altra parte di quell’ampia botola, non soltanto il proprio piede destro, in avanscoperta, ma anche quello sinistro, in retroguardia, sancendo, in tal maniera, la fortunata conclusione di quella parentesi. Una parentesi che, se pur inizialmente non aveva potuto riservarle delle ragioni di legittimo timore, a confronto con quanto lì avrebbe potuto esserle destinato, a posteriori non avrebbe potuto che essere riletta con indubbia leggerezza, diventando ragione per cui avere di che ridere insieme a Midda, a Lys’sh e a chiunque altro.
Perché, in fondo, quanto nell’immediato avrebbe avuto anche giustificabilmente a dover essere interpretato come una sciagura, con il passare del tempo non avrebbe potuto che tradursi in un aneddoto simpatico, per non dire addirittura divertente, nel ricordo del quale avere a intrattenersi allegramente, del tutto dimentica di tutte le emozioni negative che, pur, in quel frangente, non avrebbero potuto ovviare a esserle proprie.

« E ti pareva... » sospirò ella, voltatasi all’indietro, a osservare la via dalla quale era giunta.

Là dove, all’inizio della traversata, si era palesata una zona d’ombra, e una zona d’ombra che le aveva sbarrato spiacevolmente la via, negandole l’occasione di poter ritornare sui propri passi, or soltanto il corridoio illuminato di sempre si stava presentando al suo sguardo. Un corridoio quietamente sgombro, all’interno del quale, per inciso, non avrebbe potuto essere colta alcuna evidenza della presenza dei suoi stivali scamosciati, a quieta conferma di quanto, allora, quelle zone d’ombra non avessero a doversi in alcuna maniera avere a fraintendere, effettivamente, quali delle reali zone d’ombra.

« Speriamo che H’Anel stia bene. » commentò fra sé e sé, storcendo allora le labbra verso il basso, nel domandarsi se magari i propri stivali non fossero finiti nello stesso luogo ove era stata condotta la propria compagna d’arme, in quell’altro tempio alternativo all’interno del quale nessuno aveva avuto ancora occasione di accendere i fuochi utili a illuminare tutto il percorso.

Improbabile, comunque, avrebbe avuto a dover essere intesa l’eventualità nella quale quella zona d’ombra fosse la stessa nella quale anche H’Anel era scomparsa. Improbabile per la semplice e razionale evidenza di quanto, a meno di non essersi ritrovata particolarmente impedita nei propri movimenti in conseguenza a qualche trappola, sicuramente la figlia di Ebano non avrebbe mai avuto a permanere nell’oscurità a lungo, sicuramente avendo a tentare di impegnarsi per accendere l’olio anche in quella dimensione.
A meno che, in quella particolare dimensione, stesse vigendo una situazione di oscurità qual conseguenza dell’esaurimento, o del malfunzionamento, del sistema di distribuzione di quel liquido infiammabile, in termini tali per cui, in verità, esso non avrebbe avuto a doversi intendere necessariamente abbandonato. Ma riservandosi la possibilità di aprirsi a ogni eventualità, la varietà di probabilità possibili sarebbe stata tale da rendere assolutamente improbabile qualunque razionalizzazione di quella follia. Ragione per la quale, proprio malgrado, Duva non avrebbe potuto fare altro che continuare ancora per la propria strada, pur riservandosi in cuor proprio la speranza, presto o tardi, di riuscire a ricongiungersi alla propria compagna d’arme perduta, oltre che, perché no...?!, alla propria sorella, alla ricerca della quale, in fondo, lei e H’Anel si erano sospinte sino a lì, allo stesso modo in cui tutti gli altri si erano diretti verso luoghi vari e non di meno pericolosi, ognuno auspicando di avere fortuna a ritrovare la comune amica, fosse anche e soltanto per avere possibilità di rimproverarla per la leggerezza con la quale aveva deciso di affrontare tutto ciò.

mercoledì 19 maggio 2021

3646

 

« Dannazione! » gemette, nel rendersi conto all’ultimo di quanto comparso alle sue spalle e nel frenarsi appena in tempo, in bilico fra il baratro e quella zona d’ombra, entrando nella quale non avrebbe avuto certezza di avere possibilità di uscire « Ma davvero...?! » protestò, sentendosi leggermente canzonata dal fato, e da un fato che, chiaramente, stava divertendosi a prendersi giuoco di lei.

A stento facendo propria una posizione vagamente definibile qual stabile, e costretta fra due pericoli potenzialmente letali, Duva non avrebbe potuto trovare ragione di che rallegrarsi.
Ciò non di meno, ella non avrebbe potuto neppure permettersi occasione di lasciarsi dominare dal timore, là dove, in caso contrario, difficilmente sarebbe riuscita a uscirne. Motivo per il quale, con buona pace di ogni razionalità, si costrinse a cercare di prendere la questione in maniera quantomeno divertita, aggrottando la fronte e scoppiando in una risata dal vago retrogusto di isteria...

« Ecco quello che accade quando ti permetti di banalizzare i pericoli propri di un luogo in odor di magia. » si rimproverò con aria forzatamente divertita, scuotendo appena il capo « Il luogo si offende e si scatena contro di te nel peggiore dei modi possibili... » esplicitò, riconoscendo in tal senso una vera e propria identità a quel tempio, e un’identità quantomeno offesa dalla leggerezza con la quale ella si era permessa di rivolgersi a esso « ... permalosetto, vero?! » concluse quindi, sospirando e decidendo di rinfoderare la propria lama, là dove, obiettivamente, tenere in mano la spada in quel momento non le sarebbe servito a molto e, anzi, avrebbe potuto dimostrarsi più d’ostacolo che di utilità.

Non potendosi arrischiare ad arretrare, nel non avere alcuna certezza di quanto l’avrebbe potuta attendere fra quelle tenebre e, in effetti, nel non poter neppure dare per scontato che, all’occorrenza, lì dentro avrebbe potuto ritrovare H’Anel; e non potendosi neppure arrischiare a saltare, là dove, per quanto fiduciosa e confidente ella potesse essere nelle proprie capacità fisiche, impossibile sarebbe stato per lei riuscire a coprire quella distanza partendo la ferma, e da una posizione tanto precaria; ella non avrebbe potuto allor riservarsi molte alternative utili a liberarsi da quello stallo.
Anzi. A ben vedere ella ne ebbe a individuare soltanto due.

« Opzione numero uno: mi sento sufficientemente confidente del fatto che questo pozzo non abbia a condurmi necessariamente a morte certa, permettendomi di calarmi al suo interno. » suggerì ad alta voce, riconoscendo in tal senso quanto, in effetti, per alcuna ragione al mondo ella avrebbe potuto considerarsi confidente di qualcosa di simile, nel prevedere piuttosto qualche fine orribile ad attenderla là sotto, fosse anche e soltanto un bel tuffo in un fiume di lava « Opzione numero due: provo a verificare quanto sia brava a imitare un piccolo geco appeso alla parete, per provare a superare il pozzo in maniera quantomeno originale... » proseguì, non riuscendo a riconoscersi entusiasta di quella possibilità e, ciò non di meno, non avendo neppure a individuare alternative utili a tutto ciò.

Così, con un nuovo sospirò, a metà fra lo sfogo e il tentativo di rilassarsi, ella ebbe a compiere un quieto movimento laterale, verso la propria sinistra, per raggiungere la parete del corridoio e, lì arrivata, valutare le proprie possibilità di appiglio per tradurre quel proposito in azione.
Sul fronte inferiore, in tal senso, ella ebbe a individuare un sottile, sottilissimo margine, forse esteso per uno spessore di poco superiore a quello di un’unghia, lasciato dall’apertura della botola: un margine sottile, sottilissimo, sul quale però poter sperare di riuscire a puntarsi, se non con l’estremità dei propri stivali, quantomeno con quella dei propri piedi, delle dita dei propri piedi. Sul fronte superiore, tuttavia, la questione avrebbe avuto a doversi intendere più complicata, non avendo a mancare un bellissimo bordo al quale, all’occorrenza, fare affidamento, ma essendo tale bordo quello proprio del canale di distribuzione dell’olio, o di qualunque altro liquido combustibile, che alimentava l’illuminazione di quella medesima rete di corridoi: un bordo bellissimo, insomma, ma contraddistinto da scoppiettanti fiamme nelle quali non avrebbe avuto certamente a doversi intendere piacevole avere a insinuare le proprie dita... a meno di non avere una mano di metallo come quella di Midda Bontor, accessorio che, tuttavia, al momento non le era proprio.

« Mai una cosa semplice... vero?! » sospirò pertanto, torturandosi il labbro inferiore con i denti nel mentre in cui, sempre in precario equilibrio su quello stretto cornicione rimasto a sua disposizione fra il muro d’ombra alle sue spalle e il pozzo innanzi a sé, ella ebbe a iniziare a sfilarsi gli stivali, in un’azione che, comunque, avrebbe avuto a dover rendere propria.

Per quanto infatti la maggior parte delle persone avrebbero potuto fraintenderla di origine shar’tiagha, a confronto con le sottili treccine nelle quali era solita ordinare i propri lunghi capelli, Duva non avrebbe avuto nulla a dover spartire con la cultura propria di Be’Sihl o della famiglia di Howe, ragione per la quale, diversamente da loro, ella non era solita camminare scalza, nel preferire, piuttosto, indossare comodi ed eleganti stivali di pelle scamosciata. Stivali che, proprio malgrado, fu costretta a gettare alle proprie spalle, nelle tenebre dietro di sé, come unica alternativa a lasciarli cadere all’interno del pozzo.
Così, con i piedi or denudati, ella iniziò ad allungare il proprio arto inferiore destro per cercare di meglio valutare quanto lì offertole, e trovando, veramente, un appiglio minimale a cui poter fare riferimento. Un appiglio minimale che avrebbe potuto forse sorreggerla se pur, allora, il resto del peso del suo corpo fosse stato comunque scaricato dalle sue braccia su qualche altro punto.

« Secondo me, questa volta finisce veramente male... » scosse il capo, prima di stringere le labbra e di slanciarsi, or con decisione, verso quella parete.

E se il piede, immediatamente, ebbe a tentare di aggrapparsi in maniera disperata a quel sottilissimo bordo, la sua mano destra non ebbe a rifiutarsi di impegnarsi adeguatamente, nel ricercare, un po’ alla cieca, il sottilissimo spazio presente fra i mattoni di pietra della parete stessa. Uno sforzo, il suo, che in un primissimo istante non si vide ripagato, trovando le dita costrette a scivolare su una roccia sol apparentemente grezza e, tuttavia, decisamente meglio lavorata rispetto a quanto non avrebbe potuto apparire; salvo poi, all’ultimo, riuscire a far leva su un altro bordo quasi impercettibile, e praticamente invisibile, al quale ella riuscì così ad aggrapparsi, con tutta la propria forza, fisica e di pura e semplice volontà.

« E io che non ho mai capito la gente che va ad arrampicare in montagna nel tempo libero... » sorrise ironica ella, a denti stretti.

Così, con non poca difficoltà, con non poco impegno, e, soprattutto, con non poco pericolo, ella iniziò a muoversi di pochi pollici alla volta, spalmata contro quella parete con tutto il corpo, quasi a cercare in tal maniera una migliore occasione di adesione alla stessa, iniziando ad allontanarsi, lentamente ma inesorabilmente, dal proprio punto di partenza, e, parimenti, seppur in maniera decisamente meno apprezzabile, iniziando ad avvicinarsi al proprio punto di arrivo.
Un percorso non facile, e che venne costellato, necessariamente, da nuovi improperi scanditi nella sua lingua franca, e improperi via via giustificati da fugaci, e pur pericolose, perdite di presa sulla parete da parte di una mano o di un piede; e pur un percorso che ebbe a vederla, alla fine, proseguire in maniera più sicura rispetto a quanto ella stessa non sarebbe stata pronta a dichiararsi essere, nel confronto, comunque, con una sfida per lei assolutamente inedita.