Ovviamente, però, pensare di poter sopravvivere in quel mistico delubro costretta a muoversi al buio non sarebbe stato assolutamente banale. Anzi. Dopotutto non avrebbe avuto a poter essere frainteso qual tale neppure ove posto in piena luce... figurarsi, quindi, in quella condizione di completa oscurità, là dove avere anche e soltanto a comprendere da che lato potesse essere girato il mondo non avrebbe potuto fraintendersi qual banale.
Una volta, quando ancora erano bambini, M’Eu aveva domandato a Midda Bontor come potesse essere in grado orientarsi all’interno di un labirinto, qual in fondo la maggior parte dei luoghi da lei visitati alla ricerca di arcane reliquie avrebbe avuto a dover essere considerato. Per tutta risposta, la Figlia di Marr’Mahew aveva ridacchiato sottolineando come, obiettivamente, non vi potesse essere alcuna maniera per orientarsi in un labirinto. Ma, ciò nonostante, ove posta alle strette, ella potesse fare affidamento su un piccolo trucco logico. Ovviamente non soltanto M’Eu, allora, ma anche la stessa H’Anel avevano espresso vivace curiosità per scoprire di che trucco si potesse trattare. E Midda, raccogliendo un bastoncino, aveva disegnato sulla nuda terra una sorta di piccolo labirinto, per permettere a entrambi di avere a provare, in prima persona, di trovare un metodo utile a uscire da quel labirinto pur senza conoscere la via.
Per i due pargoli non era stato facile, allora, riuscire a soddisfare la richiesta della loro quasi mamma: il labirinto da lei tracciato, in fondo, era molto semplice e la via utile a raggiungere l’uscita saltava immediatamente all’occhio. Ciò nonostante non era quello che Midda aveva chiesto loro: ella desiderava che avessero a individuare non una via, ma un metodo utile a uscire pur senza conoscere la via. Un enigma attorno al quale, quindi, H’Anel e M’Eu avevano trascorso quasi un’intera giornata, scervellandosi anche con l’aiuto di alcuni amichetti della propria comunità e pur senza riuscire ad arrivare a una soluzione.
Alla fine, a confronto con la loro resa, Midda Bontor aveva preso il piccolo M’Eu in braccio, gli aveva bendato gli occhi con un pezzo di stoffa e lo aveva rimesso a terra innanzi all’ingresso della propria tenda. La tenda, ovviamente, non avrebbe potuto essere fraintesa in alcuna maniera pari a un labirinto, ma il metodo che Midda ebbe allora a suggerirgli avrebbe avuto a doversi intendere efficace anche a confronto con qualcosa di così semplice come pure a confronto di qualcosa di estremamente più complicato. E, così, il figlio di Ebano allungò la propria mancina a sfiorare il bordo della tenda e, mantenendo sempre quel contatto, iniziò a muoversi alla cieca, e in maniera necessariamente buffa per tale condizione, lungo il perimetro interno della stessa, girandola per intero e ritornando, alla fine, all’ingresso davanti al quale era stato posto.
« Tutto qui...?! » aveva quindi quasi protestato H’Anel, strabuzzando gli occhi e attendendosi qualcosa di diverso, di più complicato, rispetto a quello.
« Tutto qui. » aveva confermato Midda, annuendo.
« Ma come può funzionare in un labirinto...?! » aveva insistito l’altra, incerta che quella avesse a doversi veramente considerare la soluzione utile, e nulla di più avendola a considerare rispetto a una presa in giro da parte sua.
Per tutta replica, Midda si era nuovamente chinata a terra, aveva ancora una volta disegnato un labirinto, semplice e, comunque, un labirinto, e aveva passato il rametto nelle mani di H’Anel, invitandola a provare in prima persona.
E H’Anel, muovendo con attenzione il rametto lungo il bordo interno del labirinto, ne percorse tutta la superficie, prima di finire, prevedibilmente, a raggiungere l’uscita...
« Oh... »
Un metodo semplice quello proposto dalla Figlia di Marr’Mahew, e pur un metodo efficace. E un metodo che, per l’appunto, avrebbe potuto riservarsi il proprio valore in qualunque genere di labirinto... sempre ammesso di riuscire a sopravvivere a eventuali trappole presenti al suo interno.
Quell’insegnamento, al pari di tutto ciò che Midda aveva avuto occasione di trasmettere loro, sempre meno di quanto essi non avrebbero potuto desiderare potesse essere, le era ovviamente rimasto impresso nella mente e nel cuore, e a distanza di tanti anni ella non avrebbe potuto ovviare a essere grata a quella donna straordinaria, e a quella donna straordinaria in grado di aiutarla anche nel momento in cui, paradossalmente, avrebbe avuto a dover essere riconosciuta proprio lei impegnata in suo soccorso.
Muovendosi, quindi, con discrezione all’interno delle tenebre di quel corridoio, con la propria mancina sempre a contatto con la parete alla sua sinistra e la propria destra intenta a impugnare la propria lancia e con la sua estremità smussata a sondare il terreno innanzi a sé, a tentare di minimizzare la possibilità di sgradevoli trappole, ella ebbe quindi a muoversi con sufficiente controllo di sé e del mondo innanzi a sé, non negandosi, a margine di ciò, di avere a riflettere su tutto quello.
Chissà se quel luogo così instabile era divenuto tale in conseguenza della presenza della fenice oppure se fosse stata proprio l’instabilità di quel luogo a renderlo perfetto per la fenice...? Nel primo caso, interessante sarebbe certamente stato avere occasione di comprendere di più nel merito di come e quando la fenice potesse aver eletto quel luogo a proprio tempio; nel secondo caso sarebbe stato non meno affascinante cercare di comprendere come quel luogo potesse essere stato costruito, malgrado tutto ciò.
E, per inciso, chi poteva aver realizzato quel luogo? Erano stati forse proprio gli stessi fanatici della Progenie della Fenice a erigerlo...? Quali rapporti avrebbero avuto a dover vantare con la creatura della quale si erano eletti custodi ma a confronto con la quale, evidentemente, non avrebbero potuto riservarsi grande confidenza, nel considerare quanto il suo volere fosse così poco rispettato dagli stessi?! Per quanto Midda aveva spiegato loro, la fenice avrebbe avuto a dover essere intesa qual una sorta di principio metafisico della Creazione, la Portatrice di Luce, incarnazione della vita e di tutto ciò che esiste, in equilibrata contrapposizione all’Oscura Mietitrice, quintessenza stessa della Distruzione, definizione pura e semplice della morte e della fine di ogni cosa: non un antagonismo, il loro, quanto e piuttosto una commisurata esigenza utile a permettere a ogni universo di esistere, in un costante altalenarsi di generazione e di annichilimento, di inizio e di conclusione, in assenza del quale nulla sarebbe stato tale.
Ma se, quindi, la fenice, la Portatrice di Luce, avrebbe avuto a dover essere intesa in tali termini, in che maniera la cosiddetta Progenie della Fenice avrebbe potuto avere mai un reale senso, una qualche coerenza, nel ritrovarsi animata dalla brama di distruggere l’Oscura Mietitrice, e colei che, nella storia, ne era stata l’espressione più celebre, proprio malgrado... la regina Anmel Mal Toise? Certo: Anmel, sbilanciandosi verso la Distruzione, aveva chiaramente alterato quel senso di equilibrio che avrebbe avuto a dover esistere per permettere a tutto di essere. Ma anche Midda Bontor, sua erede, si era resa chiaramente conto di quanto non agendo lungo un sentiero di morte avrebbe mai potuto permettere all’Oscura Mietitrice di prevalere.
Possibile, quindi, che la Progenie della Fenice potesse agire in maniera così estranea ai voleri della fenice, pur, e addirittura, occupandone il tempio...?
« La questione sta diventando complicata... » sussurrò fra sé e sé, a margine di quel flusso di coscienza, e quel flusso di coscienza nel quale aveva cercato fugace occasione di evasione.
Fu proprio allora, però, che il fronte arrotondato della propria lancia ebbe a toccare qualcosa di morbido al suolo, mettendola subito in allarme e costringendosi, allora, non soltanto a interrompere le proprie riflessioni ma, anche e ancor più, a porsi in guardia, incerta nel merito di cosa potesse esservi lì innanzi a lei, ad attenderla nell’oscurità.
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