11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

martedì 30 giugno 2009

536


U
na spada si levò verso il collo della mercenaria, desiderando sgozzarla quale un animale da macello, ed ella rispose ergendo il nero metallo dai rossi riflessi del proprio arto destro quale difesa per la propria sopravvivenza. Un pugnale si diresse al suo stomaco nel mentre in cui uno stiletto cercava le sue reni, a stringerla in una morsa letale, ed ella reagì con un agile movimento dei fianchi, a lasciar l’aria quale unico obiettivo di tale offensiva. La gamba sfasciata di una sedia si propose simile a clava nel cercare il suo cranio, per aprirlo quale un frutto maturo, ma ella ne arrestò il cammino con la propria lama, negandole tale occasione. Numerose bottiglie, piatti ed utensili di ogni foggia o dimensione vennero lanciati nella sua direzione nel tentativo di distrarla, di arrestarla, alcuni addirittura andando a colpire i suoi stessi avversari nel mentre in cui ella, non concedendosi la minima esitazione, alcuna distrazione, propose un’eccellente coordinazione fisica riuscendo ad evitare ogni proiettile. Una frusta schioccò rumorosa nell’aria, cercando le sue carni per strapparle dalle ossa senza alcuna volontà di pietà ed ella l’afferrò saldamente nella propria destra, tirando a sé l’avversaria per risponderle con la forza del metallo della propria arma.
I corpi si ammassavano sempre più numerosi attorno a lei, molti vivi, altri morti, alcuni moribondi: per quanto la donna guerriero non desiderasse trasformare quella visita in una strage, con le negative conseguenze che ciò avrebbe avuto negli equilibri interni alla città del peccato, innanzi a molte offensive, nella mancanza di spazio e di possibilità di movimento, fu costretta a reagire in maniera letale, aprendo ventri, tagliando gole, e lasciando presto saturare, in tal modo, l’aria del fetore tipico della morte, di quello sgradevole odore di viscere rigettate sul pavimento. Purtroppo, sebbene qualcuno si concesse dotato di sufficiente buon senso e spirito di autoconservazione da non proseguire in quella follia, in molti, in troppi non riuscirono a disimpegnarsi dall’impeto di quella battaglia, dalla sete di sangue li animava, incrementata ad ogni nuovo corpo lasciato ricadere, ad ogni altra vittima della loro avversaria.

« Per Thyres... ma vi riuscite a render conto di come io volessi semplicemente porre qualche domanda?! » rimproverò con veemenza la Figlia di Marr’Mahew, a denti stretti nel non sopportare il vano sacrificio di così tanti stolidi innanzi a sé, in qualcosa che altri avrebbero probabilmente definito quale selezione naturale.

Il conflitto così scatenatosi parve eterno, ritrovando al proprio centro, quale dominatrice indiscussa, la mercenaria, inarrestabile, irrefrenabile, degna del titolo riconosciutole quale prole della dea della guerra. La sua spada, simile al drago d’acqua inciso alla base della stessa lama, guizzava senza sosta, colpendo a destra, impattando a manca. Il suo arto destro, quasi fosse dotato di una volontà propria, non trovava riposo nel muoversi con precisione assoluta ad offrirsi a protezione del suo corpo, uno scudo dal quale alcuno avrebbe potuto separarla. I suoi occhi, gemme di cristallino ghiaccio nella negazione quasi assoluta delle pupille nere al loro centro, non conoscendo riposo o pietà decretavano fredde condanne contro chiunque innanzi ad essi avesse voluto cercare confronto. La sua pelle e le sue vesti, lavate la sera prima nella medesima vasca, per quanto in tempi diversi, si tinsero presto del colore della morte, si coprirono rapidamente del calore di molte vite interrotte.
Ma per quanto quello scontro, ad ognuno di coloro in esso coinvolti, sembrò interminabile, nella propria violenza, nel proprio dolore, esso si protrasse in verità per un tempo decisamente ridotto, ritrovando in meno di mezz’ora la quiete imporsi nuovamente all’interno della taverna, nella morte di tutti coloro che tale fato avevano ricercato, nella sofferenza di chi fortunato a tale sorte era scampato, nel sollievo dei pochi i quali da quel combattimento fuga avevano sperato.

« Io sinceramente non riuscirò mai a comprendervi… » scosse il capo la mercenaria, osservando la desolazione creata attorno a sé.

Poche, praticamente nulle, erano le ferite da lei riportate, che si premurò di valutare e conteggiare con rapidità ed attenzione nel non voler comunque sottovalutare eventualità a suo discapito. Nella foga della lotta, infatti, nell’essere animata da naturali dosi massicce di adrenalina tali da incrementare la sua resistenza fisica, oltre ovviamente la sua forza, la sua velocità, la sua destrezza, avrebbe potuto non accorgersi, non prestare attenzione ad un danno sufficientemente grave che, più tardi, avrebbe potuto addirittura comprometterne lo stato di salute. Fortunatamente per lei, comunque, alcuna conseguenza negativa venne riscontrata, ritrovando ogni lesione limitata ad uno stato meramente superficiale, poco più che semplici graffi sul suo braccio sinistro, sulla sua schiena e sulle sue gambe. Chinandosi, allora, a strappare la casacca di uno dei proprio avversari uccisi, ella ne utilizzò la stoffa per ripulire accuratamente la lama della propria spada, prima di riporla nel fodero: un’operazione necessaria e pur quasi rituale, a sancire il termine di quello spiacevole ma evidentemente necessario scontro. Solo dopo aver concluso tale operazione, ed aver gettato a terra lo straccio, ella si volse così a ricercare il proprio scudiero, nella volontà di concedergli l’attenzione prima negata.
Seem giaceva ancora là dove lo aveva osservato l’ultima volta, parzialmente ricoperto da un paio di cadaveri accumulatisi sopra di lui: privato dei sensi all’inizio di quella breve ma violenta battaglia, il giovane aveva avuto in ciò la fortuna di escludersi dalla medesima, venendo ignorato da chiunque dove l’attenzione generale era risultata essere pur focalizzata attorno alla figura della propria signora. Nonostante il sangue che ne copriva le membra e le vesti, quindi, egli si sarebbe potuto riprendere senza alcun problema, probabilmente accusando ancora per qualche giorno dolore all’altezza del punto leso, considerabile quale minimale tributo in conseguenza della buona sorte riconosciutagli dagli dei.
Verificato lo stato di salute del ragazzo, Midda decise di lasciarlo, temporaneamente, ancora lì, dove non avrebbe corso rischi di sorta e dove non le avrebbe offerto alcun peso, per poter ritornare alle ragioni iniziali della sua venuta in quella locanda.

« Se fra voi c’è qualcuno sufficientemente cosciente da poter rispondere a qualche domanda, lo prego di gemere così da permettermi di raggiungerlo. » annunciò a gran voce, rivolgendosi alla folla di moribondi e feriti innanzi a sé.
« Cagna… hai anche il coraggio di farti beffe di noi, dopo tutto questo? » commentò, tossendo, un uomo sdraiato poco lontano da lei, ripiegato nella volontà di stringere a sé il braccio leso dalla spada avversaria al fine di arginarne la fuoriuscita di sangue in attesa di possibili soccorsi.
« Veramente, come già ho sottolineato, era mia intenzione fin dall’inizio rivolgervi semplicemente qualche questione. » denotò la donna, scuotendo il capo e muovendosi, nel mentre, verso l’interlocutore, prestando attenzione a non calpestare eccessivamente i corpi attorno a sé « Vorresti forse addurmi colpa per l’avversione dimostrata nei miei confronti da tutti voi? »
« Questo è territorio di lord Bugeor ed il nostro signore non gradisce il tuo nome. » intervenne, allora, una prostituta posta poco lontana da lei, impegnata a fasciare la propria coscia destra ferita nel corso dello scontro « Alcuna persona sana di mente avrebbe potuto attendersi una reazione diversa, nei tuoi panni. »
« Alcuna persona sana di mente avrebbe potuto attendersi di uscire vincitrice da questa pazzia, nei vostri panni. » replicò Midda, storcendo le labbra di fronte a tale accusa « Avreste per lo meno potuto lasciarmi parlare, o intimarmi a lasciare il locale senza per questo immediatamente ricorrere alle armi… »
« Un po’ di oro fa sempre comodo… senza contare la fama che potrà ottenere chiunque riuscirà mai a farti la pelle… » ridacchiò l’uomo, primo interlocutore della mercenaria, salvo poi lasciarsi coinvolgere ancora in spiacevoli colpi di tosse.
E dove quelle parole avrebbero dovuto trovare la Figlia di Marr’Mahew assolutamente preparata, ben conscia dei rischi ai quali si sottoponeva ad ogni passo all’interno di Kriarya, qualcosa non le risuonò con la dovuta armonia: « Oro? » ripeté, temendo l’accenno velato in quelle parole.
« Oro… un bel mucchietto d’oro… » confermò egli, annuendo con un ampio sorriso « … promesso da lord Bugeor a chiunque riuscirà a condurti al suo cospetto, viva o morta. »

lunedì 29 giugno 2009

535


D
ove la semplice mole di quel bruto, slanciata in similar modo contro un obiettivo umano, avrebbe comportato per quest’ultimo probabilmente un grave danno se non, peggio, addirittura il decesso, quale conseguenza alla frattura della colonna vertebrale, Midda dimostrò, con la propria quiete, il proprio controllo, di non riuscire a trovare alcuna ragione per temerlo, per dubitare dell’esito di quel confronto. Restando immobile fino all’ultimo, mantenendo lo sguardo fermo sul proprio avversario, ella agì solo un istante prima dell’ormai apparentemente inevitabile scontro, accogliendo a sé l’uomo, lasciando contemporaneamente ricadere il proprio corpo all’indietro e andando ad appoggiare con la propria schiena contro il suolo: aiutandosi con entrambe le gambe, unite e compresse sopra il proprio petto nell’ammortizzare la violenza di quell’impatto, ella riuscì in tal modo a riversare tutta l’energia impiegata contro di sé sul medesimo antagonista, guidandone con una capriola il movimento oltre la propria posizione e facendolo letteralmente volare contro la soglia dalla quale era appena entrata. Il legno della porta, così colpito, si infranse in una miriade di schegge, nel contempo in cui la mercenaria, senza dimostrare il benché minimo affaticamento per quanto compiuto, completando la rotazione così iniziata, ritornava ad una posizione verticale, per essere pronta di fronte ad ulteriori offensive.
Per un momento sospeso nel tempo, tutto parve restare assolutamente immobile, pietrificato per lo spettacolo offerto, per la banale semplicità con la quale la donna era apparsa potersi liberare da un pericolo tanto grande. Ovviamente lo stolido bisonte, che tanto rapidamente ella aveva posto fuori combattimento, non avrebbe mai potuto essere paragonato ai pericoli contro i quali era solita confrontarsi, trovando sempre ragione di sopravvivenza, e per questo l’esito di tale vana azione si sarebbe dovuto considerare quale scritto ancor prima del suo ingresso nel locale. Ciò nonostante, per quanto la nomea della mercenaria fosse nota a tutti, l’assistere in prima persona a tale prova di agilità, di forza, di coordinazione, lasciò la platea innanzi a lei assolutamente sbalordita, incerta non solo sui modi attraverso i quali agire ma, addirittura, sulla ragione stessa di agire.
Ma purtroppo per loro, non di certo per lei, tanto stupore venne immediatamente sopraffatto da un sentimento di rivalsa, da un desiderio di sopraffazione a suo danno, tale da scatenare in una volontà d’offesa chiunque all’interno di quel locale.

« Uccidiamo la cagna di Brote! » gridò una voce, ad incitamento dei compagni.

La bolgia che seguì fu a dir poco indescrivibile.
Nel presupposto ovviamente noto tanto alla mercenaria quanto al suo scudiero, di come, nella città del peccato, non vi fossero abitanti considerabili innocui, nell’unica eccezione forse rappresentata da qualche ladruncolo di strada, quanto accadde apparve in verità assolutamente prevedibile, quale era del resto stato: tutti all’interno di quella taverna si proposero entusiasticamente pronti a cercare di impadronirsi della vita della donna guerriero, unendo in questo tentativo l’utile, rappresentato dalla difesa dell’onore del proprio signore Bugeor, al dilettevole, riconoscibile nella possibilità di associare il proprio nome alla sconfitta di una leggenda vivente quale ella era. Mercenari e sicari, ma anche semplici prostitute, estrassero lame di ogni dimensione e foggia nella volontà di bagnarne il metallo lucente nel sangue della loro avversaria, gettandosi senza alcuna esitazione, senza alcun timore, contro di lei: un fiume incontenibile ma, comunque, paradossalmente arginato dalla propria stessa foga là dove essi si presentavano numericamente sovrastanti su una sola, singola presenza, in maniera tanto eccessiva da rendere necessario limitare i propri attacchi, coordinare le proprie mosse al fine di non offrirsi altresì danno a vicenda.
Avendo guadagnato il nome di Figlia di Marr’Mahew nell’aver affrontato e sconfitto senza battere ciglio oltre cinque dozzine di pirati, avendo conquistato gli onori più grandi nell’Arena di Garl’Ohr dopo aver posto battaglia per ore ai belligeranti abitanti del regno di Gorthia, essendo sopravvissuta ad innumerevoli battaglie combattute addirittura nuda nel contrasto a interi reggimenti della Confraternita del Tramonto ed eserciti di ogni nazione, Midda non si negò di sorridere apertamente innanzi al tributo così riconosciutole, sentendosi onorata dalla loro volontà di confronto quasi come una dea di fronte ad un’ostia legata all’altare del proprio tempio. Sguainando la propria spada, la lama in lega metallica dagli azzurri riflessi, scintillante quasi simile ai suoi stessi occhi di ghiaccio, ella si predispose priva di animosità, di frenesia o preoccupazione, nell’attesa dei propri avversari, pronta a liberarsi di essi uno ad uno.
Al suo contrario, Seem, pur sopravvissuto pochi mesi prima al confronto con un mostro marino, davanti a quell’orda bramosa di morte, non poté ignorare un istante di timore, di preoccupazione, dubitando in maniera umana delle proprie possibilità, della propria abilità e, in ciò, delle proprie speranze di successo. Se anche la sua signora, forte della propria esperienza, della propria fama, non avrebbe forse potuto trovare ragione di ansia, per lui, umile scudiero, o forse neanche pienamente tale, quella sfida rappresentava probabilmente e comunque qualcosa al di fuori delle proprie possibilità, per quanto giunto a quel punto non avrebbe più potuto trarsi indietro, non avrebbe più potuto ripiegare e, in ciò, evitare il ricorso alle armi. Armandosi, pertanto, di una bottiglia raccolta da un tavolo a sé prossimo, si preparò al peggio, cercando di ricordare qualche preghiera nei confronti di divinità a lui pur sconosciute, dove non era solito ricercare nella fede un qualche conforto, un qualche aiuto.

« Non cogliere la mia osservazione quale lesiva nei confronti della tua persona o delle tue possibilità… » espresse la mercenaria, riservandosi di mantenere sotto controllo anche il proprio scudiero nonostante il confronto già iniziato con numerosi avversari armati innanzi a lei, attorno a lei, impegnati a tentare di violarne difese superiori a quelle che mai si sarebbero potuti attendere « … ma cosa pensi di poter fare con quel vetro? Vuoi forse invitarli ad una bevuta insieme per rilassare i nervi? »

Prima che, però, al giovane fosse concessa una qualche possibilità di risposta, la mano destra della donna guerriero, in freddo metallo, afferrò e storse violentemente il braccio di uno dei propri nemici, costringendolo a gettare a terra la corta spada prima impugnata contro di lei. Un gesto di premura quello di Midda che già in una situazione consueta sarebbe già apparso quale insolito, se non addirittura inappropriato, e che in quel crescendo d’isteria collettiva a suo discapito si propose quale un dono prezioso impossibile da rinnegare per lo scudiero, un riconoscimento per la concessione del quale ella si stava potenzialmente distraendo dalla folla bramosa di violenza. E dove pur la donna stava mantenendo tutti i propri avversari al proprio posto, non concedendo loro alcuna possibilità contro di sé, Seem non poté che esserle grato per avergli voluto concedere tale occasione, comprendendo come fosse giunto per lui il tempo di dimostrare il proprio valore, il proprio diritto a restare al suo fianco, a sostenerla e supportarla nelle battaglie più feroci.
Impugnando con decisione quella lama, egli sentenziò come in quel giorno, in quella mattina, avrebbe onorato la memoria del proprio maestro, di colui che tanto si era impegnato al fine di renderlo pronto per far fronte a scontri come quelli, alla furia della violenza che lì sarebbe stata loro offerta.

« Per Degan… e per te, mia sig… » tentò di esclamare, levando l’arma al cielo nel definirsi pronto a riservarsi con essa il proprio posto nel mondo.

Ma prima che quella frase potesse trovare conclusione, il pesante pomello di una spada piombò alla base della nuca del giovane, sottraendogli la possibilità non solo di esprimersi, ma anche di prendere parte a quello scontro, di adempiere a quanto desiderato, al proprio ruolo di supporto per i lsuo cavaliere, nel precipitare privo di sensi a terra.
Una fine rapida, indecorosa, della quale, però, la donna guerriero decise di non preoccuparsi in quel momento, non concedendosi alcuna angoscia nel valutare come, fortunatamente, lo scudiero da essa non avrebbe riportato danni permanenti.

« In fondo è meglio così… » sorrise, scuotendo il capo « Con tutta questa gente, avresti potuto farti seriamente del male, caro Seem. »

domenica 28 giugno 2009

534


« N
on so quale idea tu ti possa essere fatto di me, sebbene sospetti che mi stia considerando più meritevole, in termini umani, di quanto in effetti io non sia o sia mai stata… » comunicò indi al proprio scudiero, a volerlo porre in guardia da quanto l’avrebbe atteso dopo aver superato l’ingresso nella locanda a cui egli stesso l’aveva condotta « … e proprio per questo mi spiace essere costretta ad annunciarti che oggi conoscerai un aspetto di me a riguardo del quale forse avresti preferito restare ignorante. »
« Mia signora? » domandò Seem, affiancandosi a lei dopo aver percorso quel cammino leggermente arretrato, nel seguirla più che nel precederla come avrebbe dovuto fare quale sua guida.
« Spero che tu sappia porre a frutto gli insegnamenti del tuo maestro. » continuò la mercenaria, senza cercare di sminuire il senso delle parole precedentemente pronunciate ed, anzi, in tal modo arricchendole di una gravità ancora maggiore, se possibile « Perché, fra poco, solo tale retaggio potrà dividerti fra la vita e la morte, nel seguirmi oltre quella soglia. Te la senti di continuare? »

Solo a seguito di un lungo istante di smarrimento, un momento del tutto privo di comprensione, comprendendo finalmente ed improvvisamente il senso di quelle parole egli non poté evitare di rimproverarsi interiormente, offrendosi un’abbondanza di epiteti poco gradevoli nel merito della propria stessa assoluta mancanza di intelligenza, là dove non aveva preso in considerazione un particolare da lei altresì immediatamente denotato e sottolineato con quelle ultime parole. La taverna davanti alla quale erano giunti, infatti, ricadeva sotto la tutela, la giurisdizione, di un particolare mecenate, nei confronti del quale la sua signora aveva parecchie questioni in sospeso, ormai da lungo tempo e se simili faccende sarebbero rimaste, ovviamente, inconcluse almeno fino a quando uno dei due non avesse deciso di spingere il proprio cammino, la propria attenzione, ad incrociare quello dell’altro, a violarne i confini, ora ella stava inevitabilmente per procedere in simile direzione, con il proprio ingresso in quell’edificio.

« Lord Bugeor! » sussurrò il giovane, nel dar voce ai propri pensieri e, in ciò, dimostrazione di aver pienamente compreso il messaggio da lei proposto « Dei… non avevo offerto alcuna attenzione a questo aspetto della questione. Mia signora, se pos… »
« Dove sia tua intenzione cercare di farmi cambiare idea nel merito della destinazione dei miei passi, scudiero, ti invito a mantenere silenzio. » lo pose immediatamente a tacere, non concedendogli tempo utile neppure a concludere la frase incominciata « Le ragioni che mi spingono in terra “nemica” sono tali in virtù di una missione di vendetta ed alcuna ombra di pavidità potrà impedirmi di proseguire, pormi freno di sorta, farmi desistere dal rivolgere le mie domande a coloro che so potranno offrirmi risposta. »
« Non desideravo di certo mettere in dubbio il tuo coraggio. » si giustificò egli, rapido nel temere d’aver offeso colei che, comunque, era il proprio cavaliere « Ma come era solito ripetere sempre il maestro, esiste una sostanziale differenza fra paura e raziocinio, fra saper di poter affrontare i propri limiti e comprendere che sia giusto farlo. Nonostante abbia abbandonato le sue mire di dominio sull’intera città, lord Bugeor non può essere considerato un avversario di poco conto e spingersi a sfidarlo nel proprio stesso territorio potrebbe portare a conseguenze tanto gravi da impedirti di giungere alle rivelazioni desiderate sull’uccisione di Degan. »
« Non temere. Non è mia intenzione, per ora, dichiarare guerra aperta a quel viscido verme: desidero solo avere informazioni nel merito delle ragazze che sono state uccise in quella stessa camera e sulle ragioni della loro presenza lì in quella sera. » tentò di rassicurarlo ella, scuotendo appena il capo « Ricorda bene, però, che se dovesse emergere un suo qualche coinvolgimento in questa faccenda, alcun nome, alcun titolo, alcun esercito mercenario potranno arrestare il mio cammino fino alla sua torre, per concludere il discorso con lui incominciato e mai prima portato a termine. »
Silenzio venne concesso in risposta a tali affermazioni, ad un discorso che non avrebbe potuto lasciar supporre alcun futuro positivo, per quanto fino a quel momento, fortunatamente, alcuna prova, alcun indizio, alcun movente avrebbe potuto veder coinvolto quel nome nell’assassinio oggetto delle loro indagini.
« Non lo chiederò per una terza volta… te la senti di continuare? » gli intimò ella, non potendo accettare di arrestare la propria avanzata in conseguenza dell’indecisione offertale dal giovane con la propria laconicità.

Tutt’altro che rasserenato dalla promessa espressa dalla propria signora, allo scudiero non fu comunque concessa alcuna alternativa nella volontà di conservare la possibilità fino a quel momento donatagli dal fato. Quando aveva deciso di spingersi fino al prestigioso posto al fianco di Midda Bontor aveva accettato di condividerne le scelte ed il destino, fossero queste anche chiaramente rivolte alla ricerca di sangue, violenza e morte come sembravano essere in quel frangente e come, probabilmente, sarebbero sempre state nel rispetto della stessa natura di quella drammatica figura che della guerra aveva fatto la propria vita.
Solo per tale ragione, dopotutto, egli era stato addestrato, formato, forgiato giorno dopo giorno dal proprio maestro: se ora si fosse tratto indietro, soprattutto dopo esser stato proprio lui stesso ad incitarla in quella direzione, Seem avrebbe pertanto tradito ogni insegnamento concessogli dal proprio perduto mentore, avrebbe negato tutta l’eredità affidatagli dagli dei con la sua morte.

« Fino a quando tu non vorrai disporre altrimenti, mia signora, io sarò al tuo fianco. » rispose annuendo verso di lei, con serietà e convinzione nella voce, in quella che si propose essere, in maniera assolutamente spontanea e senza alcuna retorica, una dichiarazione di fedeltà al suo fianco « La mia vita è tua. »
« Questo è parlare, per Thyres! » sorrise allora la donna, a voler riconoscere in tal gesto, quasi dolce, l’impegno del proprio scudiero.

Senza ulteriori indugi, ella varcò allora l’ingresso a quella locanda, arrestandosi poi immediatamente per concedere a tutti gli astanti l’occasione di denotare la sua presenza, il suo arrivo fra loro.
Sebbene lord Bugeor avesse espresso, spesso e volentieri, la propria volontà di poter godere dei servigi della mercenaria, soprattutto in contrasto allo stesso lord Brote, colui a cui ella era solita prestare la propria attività all’interno di quelle mura, la donna guerriero non aveva voluto mai prendere in considerazione una simile opportunità, proponendosi abbastanza forte ed indipendente non semplicemente per rifiutare, quanto addirittura per ignorare quella pur autorevole figura. Tanta tenacia da parte della Figlia di Marr’Mahew, a lungo andare, aveva però trasformato un semplice desiderio, forse addirittura uno sfizio, in una questione di principio, tale da portare il signore di una delle aree della città del peccato a ricorrere ad espedienti sempre più gravi nei confronti di quella mercenaria, deciso a piegarne la volontà ad ogni mezzo.
Il vederla penetrare all’interno di uno degli edifici sotto l’esplicito controllo del proprio antagonista, pertanto, difficilmente non si sarebbe potuto interpretare quale un gesto di sfida da parte sua, una chiara dimostrazione non semplicemente atta ad ignorare il suo potere ma, addirittura, a disprezzarne chiaramente l’immagine, dando involontaria riprova di un sentimento che non avrebbe potuto essere ignorato dagli uomini e dalle donne alle dipendenze di Bugeor. Per questo sebbene, in verità, ella non avesse ancora offerto neanche una voce nella direzione dei presenti all’interno di quella taverna, limitandosi semplicemente ad entrare nella stessa, immediatamente l’ostilità derivante dalla sua presenza in quel luogo necessitò di esprimersi apertamente nella carica di un maschio, ventenne, più simile ad un toro che ad un uomo nella possanza esagerata del proprio fisico, nella crescita smisurata della propria muscolatura.

« Indietro! » esclamò la donna guerriero, nel limitare ogni premura per la salute del giovane al suo seguito a quell’unico consiglio.

E Seem, nonostante si fosse psicologicamente preparato al peggio, innanzi all’avanzata sfrenata di quell’essere, prossimo ad un armadio in solido legno più che ad un mortale di carne e ossa, esitò, temendo sinceramente per la propria signora, dimentico, forse, dell’esperienza vissuta al suo fianco e di quanto ella gli avesse offerto riprova della veridicità di ogni voce attorno al proprio nome, di ogni vanto tributato al propria figura.

sabato 27 giugno 2009

533


« S
pero che tu non abbia commesso lo stolido errore di accettare quale verità quanto così offerto dall’apparenza. » lo aveva preventivamente rimproverato la donna.
« Oh, no… no, mia signora. » aveva scosso immediatamente il capo lo scudiero, intimorito dalla serietà della propria interlocutrice « Io non so cosa sia accaduto, ma non potrei mai accogliere l’idea che il mio maestro abbia potuto agire in simile modo, abbia potuto uccidere senza alcuna ragione due sue compagne e, successivamente, si sia potuto togliere la vita come l’impegno di qualcuno ha voluto rendere sì evidente. »
« Pensi quindi che…? » si era a quel punto espressa la mercenaria.
« Penso che egli sia stato ucciso, sì. » aveva confermato, con energia, vigore, determinazione nel proprio tono e nei propri intenti « Per quanto mi sia impossibile comprendere come qualcuno possa essere giunto a colpirlo in tal maniera, coglierlo così indifeso, inerme di fronte ad una spada, ad una delle proprie stesse armi fra l’altro, questa soluzione si pone quale la sola accettabile dal mio cuore. »
« Comprendo e condivido. »

Nonostante anche ella avrebbe potuto difficilmente accettare che, nella città del peccato, esistesse un avversario sufficientemente abile da vincere sul proprio antico mentore, la particolare situazione in cui egli era stato colpito dal proprio avversario, la obbligava infatti a prendere in considerazione una schiera ristretta di opportunità nel merito delle circostanze di quella morte, indizi che pur non le avrebbero potuto offrire alcuna informazione, allo stato attuale della sua conoscenza degli eventi, nel merito della reale identità dell’uomo a cui ella avrebbe dovuto offrire morte, per chiudere il cerchio apertosi con quell’atto criminale.
Per giungere a tale obiettivo, purtroppo, la Figlia di Marr’Mahew avrebbe avuto bisogno di prove, nomi, moventi utili a definire con chiarezza gli ultimi momenti della vita del maestro d’arme. E per tale ragione, meno di un’ora dopo la conclusione di quel dialogo, stava già muovendo i propri passi attraverso le vie della capitale, simile ad una predatrice alla ricerca dell’odore emanato dal proprio pranzo pur incosciente della condanna emessa a proprio discapito: l’energia emanata in quel cammino, si concesse tale da diffidare chiunque, attorno a lei, a ricercarne l’attenzione, preferendo conservare la propria vita nell’ignorare la sua presenza, nel scansarsi dalla sua traiettoria, ancor prima di raggiungere certa morte in un confronto assolutamente improponibile, dal quale non avrebbero potuto ottenere alcuna pietà, alcuna compassione, come definiva con toni inequivocabili il suo sguardo, la sua determinazione. In cerca di sangue, di violenza, dopo una pessima serata, una notte ancor peggiore ed un risveglio da dimenticare, la mercenaria riusciva in verità a sopportare a malapena la presenza del proprio scudiero al proprio fianco, offrendogli tale possibilità unicamente in virtù di una tripla, particolare consapevolezza.
La prima ragione in favore di quella compagnia, in verità, si concedeva sotto un profilo estremamente umano, dove ella sapeva di rappresentare per Seem ormai l’unica possibilità di una famiglia: nell’aver deciso di tagliare ogni ponte con il proprio passato alla ricerca di una possibilità per conquistarsi l’incarico bramato, infatti, con la perdita del proprio maestro egli si sarebbe potuto considerare non diverso da un orfano, rimasto solo ed abbandonato in un mondo troppo grande e sconosciuto per concedergli di sopravvivere. La seconda ragione, poi, derivava dall’impossibilità, per lei, di negare come quel ragazzo si stesse comunque concedendo quale il principale testimone in quell’inchiesta non ufficiale, l’unico in grado di fornirle la maggior parte delle informazioni nel merito della vita di Degan negli ultimi mesi, se non addirittura anni. Da lungo tempo, del resto, la donna aveva maturamente ridotto ai minimi termini la propria frequentazione con il proprio mentore, nelle diverse direzioni in cui le loro vite si erano spinte senza dolo alcuno: in assenza del giovane scudiero, ella avrebbe dovuto impegnarsi nella scoperta di un mondo a lei completamente estraneo dove, al contrario, con lui avrebbe potuto ottenere la maggior parte delle informazioni in maniera del tutto elementare, gratuita e, forse, onesta. Il condizionale, nel merito della fiducia riconoscibile al proprio collaboratore, sarebbe stato inevitabilmente d’obbligo dal punto di vista della mercenaria, riportando in questo alla terza e ultima ragione. Benché, infatti, nell’esperienza condivisa insieme nel loro precedente incontro la donna avesse avuto modo di apprezzare le doti del ragazzo, la sua assoluta dedizione e fedeltà a lei, per lui signora e cavaliere, nella particolare situazione concessa da quel tragico caso ovviamente non avrebbe potuto concedersi il lusso di ritenerlo al di fuori di ogni sospetto: Seem, addirittura, sarebbe dovuto essere considerato quale il suo principale indiziato, nella particolare posizione di vicinanza con la vittima per lui propria, tale da concedergli più che a chiunque altro occasione per condurre a segno il delitto.
Di alcuna di tali questioni, comunque, la mercenaria decise di offrire trasparenza al proprio scudiero, per quanto ovviamente sperasse che egli fosse sufficientemente acuto da giungere in maniera autonoma alla comprensione almeno della seconda, se non anche della prima. Nel merito della terza, al contrario, ella desiderava fermamente credere di star agendo con eccessiva prudenza, secondo quel clima di paranoia che da sempre le aveva permesso di sopravvivere giorno dopo giorno anche alle situazioni più spiacevoli e meno prevedibili, senza però alcuna ragione in tal senso, alcun reale pericolo a simil riguardo: l’idea che quell’ex-garzone avesse potuto giungere a compiere una simile mattanza, per qualsivoglia movente, avrebbe seriamente contrariato anche il suo amor proprio, ponendo in seria discussione la sua capacità di giudizio per quanto già concesso al medesimo, per tutto ciò che gli aveva già accordato nel corso del tempo.

« Aspettami di sotto. » gli aveva ordinato, al termine del primo particolareggiato resoconto propostole, nella propria camera da letto, nel corso del quale non aveva ricercato alcuna copertura per il proprio corpo, limitandosi a sedere al proprio scrittoio e lì a prendere alcuni appunti, nel servirsi di quel piccolo tesoro rappresentato dalla carta, dalle penne e dall’inchiostro lì preposti a simile utilizzo.
« Cosa intendi fare, mia signora? » aveva domandato l’altro, nell’avviarsi comunque ubbidiente verso la soglia, non volendo di certo discutere i comandi del proprio cavaliere dopo averne violato tanto a lungo l’intimità.
« In ordine: rivestirmi, mettere sotto i denti qualcosa e andare a rompere qualche testa in cerca delle risposte di cui ho bisogno… » aveva risposto, con fermezza.

Rimasta sola nella propria stanza Midda si era così silenziosamente e rapidamente rivestita, riservandosi nel frangente di quel breve lasso di tempo la possibilità di far ordine nel proprio animo, nel proprio cuore e nella propria mente, necessità inderogabile in conseguenza della confusione comunque in essi creata nell’accumulo eccessivamente rapido di così tante informazioni ed emozioni. Per quanto avrebbe volentieri offerto una lacrima al ricordo di Degan, pur mancatale innanzi all’annuncio della sua morte, neppure allora, sola nelle proprie camere, si era concessa la libertà di tale sfogo, ritenendo che avrebbe potuto offrire reale valore a quel pianto solo dopo il superamento di un altro forte sentimento, attualmente imperante in lei: quello della rabbia, la quale esigeva una rapida e legittima vendetta, utile a ristabilire il giusto onore attorno al nome del caduto. Tornando pertanto ad indossare i propri abiti in tonalità di verde ed affrancando con cura la propria spada al fianco, certa di come quella lama molto presto si sarebbe lavata nel sangue di coloro che inevitabilmente avrebbero tentato di ostacolarla, ella era ridiscesa nel salone principale della locanda, dove aveva consumato una rapida colazione senza alcun altro interesse al di fuori del fabbisogno nutritivo da essa coperto, rinunciando nel corso della medesima anche ai propri consueti e placidi dialoghi mattutini con Be’Sihl, non sentendosi assolutamente dell’umore adatto per tale confronto, tanto in virtù della notizia della morte del maestro, tanto, ed ovviamente, per quanto era accaduto o, meglio, non era accaduto fra loro la sera prima.
Al termine di quel pasto, infine, nel voler restare fedele alle proprie parole la donna guerriero si era gettata senza incertezza alcuna nella folla di Kriarya, dirigendosi con fare sicuro al proprio primo traguardo, là dove probabilmente avrebbe potuto adempiere anche al terzo proposito preannunciato al proprio scudiero, infrangendo ben volentieri qualche cranio nel momento in cui simile atto avrebbe potuto garantirle qualche risposta in più. Insieme a lui stava, infatti, per raggiungere la taverna dove le due prostitute, vittime anch’esse insieme a Degan, erano da sempre state solite intrattenersi con i propri potenziali clienti, certa che lì avrebbe potuto incontrare l’uomo, o il gruppo di uomini, preposti alla protezione di quelle ragazze.

venerdì 26 giugno 2009

532


N
el corso della propria vita, Midda si era ben presto abituata ad accettare poche verità assolute, non concedendo neppure alla fede di proporle eccessivi dogmi. A tal riguardo, per esempio, ella certamente accettava l’ipotesi dell’esistenza degli dei, ma da simile concessione a ritenere che qualsiasi evento apparentemente inspiegabile fosse da attribuirsi a loro ed al loro volere, addirittura in aperto contrasto alla sopravvivenza dei mortali, si poneva una grossa disparità, all’interno della quale era solita considerare di poter essere libera di agire con il proprio pensiero, con la propria determinazione, con la propria forza.
Fra i pochi principi a regolare la sua esistenza sarebbero potuti essere elencati quello relativo all’impossibilità dell’esistenza di un avversario privo di punti deboli, che lo privassero del rischio di essere sconfitto o di morire; quello riguardante la predilezione per una lama in lega metallica dagli azzurri riflessi, tipico frutto dell’impegno dei fabbri figli del mare, considerata da lei la migliore che mai avrebbe potuto porre al proprio fianco; quello concernente l’impossibilità ad accettare una missione con prezzo predeterminato senza, successivamente, contrattarne eventuali rialzi; e, sicuramente, quello nel merito dell’impossibilità che Degan, mercenario tranitha e suo maestro d’arme, avrebbe ed avesse mai potuto abbracciare volontariamente la morte, offrendosela addirittura per propria stessa mano. Sulla base di simili presupposti, a chiunque sarebbe apparso chiaro come la donna guerriero non avrebbe mai potuto accettare l’ipotesi riferita dal proprio scudiero nel merito del suicidio occorso ormai più di un mese prima, ancora in pieno inverno, nel mentre in cui ella si trovava ad essere dispersa fra i monti Rou’Farth nella speranza di poter fare ritorno a casa.
Ella avrebbe potuto tollerare molte idee assurde, fra le quali persino quella di non riuscire a dissolvere il proprio recente matrimonio come altresì sperava di compiere al più presto, ma non quella secondo la quale il proprio antico mentore avrebbe appoggiato la propria stessa spada contro il pavimento e, poi, si sarebbe lasciato ricadere sulla stessa, trapassandosi il cuore da parte a parte e morendo, così, all’istante, senza sofferenza alcuna.
Purtroppo, però, secondo quanto riportato da Seem, fu proprio tale scenario a concedersi innanzi al suo stesso sguardo, il giorno in cui il cadavere venne ritrovato.

« Quella mattina, lo ammetto, più che preoccupato mi concessi quasi rasserenato innanzi al suo ritardo. » aveva spiegato il giovane, subissato dalle domande della donna « Per quanto l’allenamento apparentemente stesse offrendo sempre risultati migliori, il maestro non si era mai offerto tanto sprovveduto concedermi, in conseguenza di ciò, maggiori occasioni di riposo, di quiete. »
« Al contrario, come credo tu sappia anche meglio di me, egli era solito elevare continuamente il livello delle proprie richieste, delle proprie imposizioni, in modo tale da costringere i propri allievi a spingersi oltre quelli quotidianamente riconosciuti quali naturali limiti, fisici e psicologici. Per questo, nei giorni precedenti alla sua morte, mi aveva incitato numerose volte a giungere prossimo a quella che avevo immaginato e temuto poter essere la mia fine, per permettermi di affrontare apertamente ogni remora, ogni paura. »
« Per quanto fossi fortunatamente sopravvissuto a tutti gli allenamenti, fino a quel momento per lo meno, l’esigenza di un riposo maggiore si stava proponendo pertanto sempre più vivida innanzi alla mia attenzione: un ritardo, pur minimo, da parte sua nei confronti dell’inizio di una nuova giornata di addestramento, quindi, non avrebbe potuto preoccuparmi, per quanto fossi consapevole della puntualità che era solito imporsi, quale forma di rispetto nei miei riguardi nonché del proprio ruolo. »
« Aspetta… non avevi preso dimora a casa sua, dopo esser dovuto fuggire da questa locanda? » lo aveva interrotto la mercenaria, per cercare maggiore chiarezza « Da quanto stai riferendo sembra quasi che non fosse più tale la realtà dei fatti. »
« Solitamente era ancora così. » aveva confermato l’altro, innanzi a simile richiesta di puntualizzazione « Ma nel corso di tanti mesi trascorsi insieme, non erano mancate occasioni… necessità, direi… per l’uno o per l’altro di riservarsi qualche momento di intimità. Quella notte, in particolare, ero stato io ad allontanarmi dalla sua abitazione, nel ricercare le attenzioni concessemi da una dolce ragazza conosciuta tempo addietro, giusto nei primi giorni della mia formazione. »
« Non trovi incoerente il dichiarare d’aver provato sollievo per il ritardo del tuo maestro, nella stanchezza che dominava il tuo copro e la tua mente, e subito dopo affermare di aver trascorso quella stessa notte fra le braccia di un’amante? » si era concessa di sorridere la donna, nonostante quella domanda fosse stata posta con intento tutt’altro che retorico o malizioso, nel non trovarla assolutamente distratta rispetto al triste tema centrale del dialogo.
« Mia signora… io… oh, dei. » si era, altresì, imbarazzato lo scudiero, intuendo in quelle parole un desiderio di chiarificazione necessario unicamente laddove ella non lo stesse considerando del tutto estraneo alle cause di quella morte, non avendo del resto ragioni per farlo, per escluderlo a priori « Proprio in conseguenza di periodi così intensi, si poneva per me necessario ricercare una qualche occasione di svago nei pochi momenti di riposo riconosciutimi… sono pur di carne e sangue anche io, come spero mi perdonerai di essere. »
Midda, a quel punto, si era limitata ad annuire, invitandolo poi a proseguire con il proprio resoconto.
« Nonostante tutto, comunque, trascorsa addirittura un’ora nel ritardo del maestro, non potei evitare di vedere la serenità trasformarsi in inquietudine, dove chiaramente la situazione stava iniziando a dimostrarsi del tutto nuova, in contrasto con la ritmica quotidianità a cui ero stato abituato da lui stesso. » aveva ripreso a narrare, sempre sotto lo sguardo attento e freddo della propria interlocutrice o, forse, della propria inquisitrice dove il racconto inizialmente volontario stava assumendo sempre più i toni di un interrogatorio « Giunto alla sua abitazione, dovetti fare ricorso alle mie chiavi personali per superare la porta d’ingresso, ritrovandomi ad essere posto, poi, a confronto con l’orrore di una morte inattesa e impossibile da accettare quale quella altresì occorsa. »

A complicare il paradosso già assolutamente inaccettabile all’attenzione della Figlia di Marr’Mahew, a quel punto, subentrarono nuovi particolari, dai quali, purtroppo, risultò evidente che, dove Degan non si fosse privato della vita in un modo tanto plateale, come sembrava avesse compiuto, sarebbe stato molto probabilmente accusato di omicidio e condannato, per tale crimine, dalla particolare giustizia di Kriarya. Escludendo, infatti, l’opinione che molti esterni alla città del peccato avrebbero potuto avere a tal riguardo, lasciandosi traviare da ogni genere di preconcetto nel merito di una popolazione prevalentemente costituita da assassini, ladri, mercenari e meretrici, all’interno di quelle mura era da sempre esistita una sostanziale differenza fra un assassinio e l’uccisione di un avversario, premeditata o incidentale che essa fosse, a seguito di un combattimento o, anche e semplicemente, di una banale rissa fra ubriachi.
Nella fattispecie, sgozzare due prostitute nude e disarmate all’interno della propria camera da letto, non sarebbe mai potuto essere considerato null’altro al di fuori di un delitto, punibile per legge e, lì, sicuramente punito in breve tempo, per volontà dei protettori delle stesse vittime, i lord a cui esse avevano dovuto obbligatoriamente fare riferimento per svolgere la propria attività nella capitale.

« Le due donne, quando entrai, giacevano ancora nel letto. » aveva descritto Seem, nel dimostrarsi trasparentemente scosso nel rievocare simili immagini alla propria memoria « Sarebbero probabilmente apparse quali addormentate, a riposo, se non fosse stato per l’innaturale pallore assunto dalla loro pelle in contrasto al colore scuro del sangue ormai in parte essiccatosi sulle medesime, oltre ovviamente sulle coperte, sulle lenzuola e, persino, sulle vicine pareti dopo essere fuoriuscito con estrema violenza dalle loro gole violentemente recise. »
« I loro non erano volti del tutto estranei, essendo abituali frequentazioni del maestro nelle occasioni di svago che egli si concedeva, molto più raramente di me in verità. E sebbene a malapena sarei riuscito a ricordare i loro nomi, nell’indifferenza che comunque avevo sempre offerto loro, in quel momento non potei evitare di provare immenso sconforto per simile vista, nel considerarle inequivocabilmente quali vittime innocenti di un sadico assassino. »

giovedì 25 giugno 2009

531


A
quelle parole, il respiro della mercenaria si ritrovò improvvisamente impedito a lasciare la sua gola, bloccandole in conseguenza anche il movimento del petto e, forse, del cuore in esso. Le immagini proprie dell’incubo vissuto il giorno precedente, tutt’altro che scordate, riemersero prepotenti innanzi al suo sguardo, imponendo in lei, nel suo animo, un’angoscia priva d’eguali al pensiero che un tanto tragico fato potesse essere stato comunque riservato a Be’Sihl, nonostante la sua rinuncia, sebbene alcuna notte d’amore fosse stata fra loro, ad unirli in quella camera, su quel letto.

« Parla, per la grazia di Thyres… » incitò, ritrovando immediatamente voce ma non riuscendo, comunque, a controllare il movimento di alcun suo arto, immobilizzata nella posizione in cui era stata colta da tale cupa premessa « Quale tragedia si è proposta? » chiese, trattenendosi dall’esprimere direttamente la questione sull’identità della vittima, della cui morte l’altro doveva essere chiaramente messaggero, avendo quasi terrore di evocare, in tal modo, la disgrazia per quanto ormai accaduta, ormai passata e non più semplice ombra su un futuro ancora da generarsi.
« Ti chiedo di perdonarmi se non riesco a trovare il coraggio di parlare tanto apertamente, mia signora. » rispose egli, negando la possibilità di riuscire a giungere immediatamente all’annuncio richiestogli, motivo di quella stessa irruzione « Colpendo a tradimento, e privando me di una delle persone a cui avrei dovuto essere, ed ero, maggiormente riconoscente al mondo, in virtù di quanto concessomi, di quanto donatomi, con il proprio tempo, la propria pazienza, forse, entro certi limiti, il proprio affetto quasi paterno, purtroppo la sventura ha inflitto medesimo danno anche a te, che in rapporti non dissimili dai miei ti proponevi a lui. Consapevole di ciò, il dolore che mi attanaglia si unisce al timore di essere responsabile della pena che tu non potrai evitare di provare… e mi rende difficile esprimermi come sarebbe giusto che facessi… »

Offuscata per un fugace istante dalle proprie emozioni, forti e pulsanti nella sua testa al punto tale da renderla quasi sorda a quelle parole, di fronte a tanta incertezza la donna guerriero avrebbe voluto intervenire con forza, con decisione, scagliandosi contro allo scudiero per sollevarlo contro al muro, nell’intimargli di giungere al necessario chiarimento, alla pur funesta novella del quale egli aveva deciso di essere messaggero. Così, però, ella non fece, riuscendo a imporsi un momento di quiete, un frangente di raziocinio, al punto da comprendere come i suoi timori nei confronti del locandiere, nella fattispecie, non avrebbero potuto essere più infondati: rielaborando quanto pur poco riferitole dal giovane, infatti, ella si soffermò su una delle prime affermazioni, nel corso della quale egli aveva affermato di essere corso alla sua ricerca non appena saputo del suo arrivo in città. Tali parole non avrebbero, invero, trovato ragion d’essere per una sciagura sufficientemente recente quale quella temuta, quella immaginata ai danni di Be’Sihl, evocando evidentemente l’ombra di eventi più lontani nel tempo, qualche giorno, come minimo, se non addirittura settimane o mesi.
Scongiurato, nel riappropriarsi del proprio senno, il timore della morte annunciata dai propri incubi, la mente della Figlia di Marr’Mahew fu libera di spingersi, immediatamente, ad una verifica più approfondita nel merito di quanto proposto dallo scudiero, al fine di poter comprendere l’identità da lui ancora mantenuta celata per quanto, chiaramente, avrebbe dovuto esserle nota. E, nel considerare quante poche persone potessero accomunarli in un sentimento di stima, il risultato di tale deduzione fu drammaticamente immediato…

« Degan?! » esclamò, ritrovando possibilità di movimento ed avanzando fino al giovane, per cercare in lui conferma, per ottenere chiarezza sulla follia appena pronunciata « Non può essere lui… »

Lo sguardo spento di Seem, però, si concesse più esplicativo di un’infinità di possibili risposte. E la mercenaria, intimamente ed egoisticamente appena risollevatasi dal dolore temuto, fu costretta a tornare sui propri passi, sui sentimenti di dolore tanto affrettatamente dissolti, nell’accogliere quell’annuncio con rammarico, con pena, nell’aggiungere un altro nome alla già lunga e triste lista di tutti gli amici scomparsi, esatti dal freddo abbraccio della morte prima di lei. Un elenco che, purtroppo e forse inevitabilmente, ogni anno si concedeva sempre più lungo, sempre più affollato, lasciandola in ciò sempre più sola nel mondo, privata di tutti coloro con i quali aveva condiviso una parte della propria vita, una parte del proprio passato.
Per quanto Midda avrebbe dovuto ritenersi più che fortunata nell’aver raggiunto la propria età, nell’aver superato il traguardo dei tre decenni, riuscendo ancora a proporsi sufficientemente abile da preservare simile condizione nonostante i continui pericoli nei quali sembrava amare porsi in gioco, la certezza che, ad ogni nuova stagione, ella si sarebbe concessa sempre più simile ad una reliquia di un’epoca tendente al remoto, non avrebbe certamente potuto renderla felice. A differenza di alcuni sciocchi esaltati, con i quali spesso aveva anche avuto a che fare, infatti, ella non aveva mai formulato pensieri o sogni di immortalità, non aveva mai desiderato negarsi l’unica certezza concessa a tutti gli esseri umani fin dalla loro nascita, comprendendo di riuscire quotidianamente ad apprezzare sufficientemente la vita proprio in conseguenza dell’effimera essenza della medesima, della precarietà caratteristica della stessa. Nonostante ciò, comunque, ad ogni nuovo annuncio quale quello appena propostole, ad ogni nuova espressione della fine del cammino mortale di un proprio amico, la donna non avrebbe mai potuto evitare di soffrire, innanzitutto, per il medesimo e, poi, per se stessa, per la solitudine a cui la propria forza, la propria energia la stava, purtroppo, inevitabilmente condannando.

« Come? Quando? » domandò, con trasparente retorica, sebbene alcuna altra questione avrebbe mai potuto essere formulata in quel momento, in conseguenza della notizia appena propostale.
« Chi?! » aggiunse, immediatamente, riferendosi implicitamente all’identità di colui che si doveva essere macchiato del sangue dell’uomo, nel negargli la possibilità di un domani.

Una richiesta, quella nel merito dell’identità dell’assassino, tutt’altro che scontata rispetto alle precedenti, dove Degan, ipotetica vittima nella formulazione di quelle richieste estremamente contenute in termini di sillabe, non si concedeva quale una persona comune, uno sprovveduto come quelli che, quotidianamente, perdevano la propria vita all’interno della città del peccato. Egli era stato maestro d’arme per formidabili guerrieri, fra i quali Midda Bontor era sicuramente espressione del meglio, ovviamente, incredibile combattente a sua volta, capace di poter tenere testa all’intera popolazione di Kriarya senza timori o incertezze.
Il pensiero, pertanto, che qualcuno fosse riuscito ad ucciderlo, in un confronto aperto o in un attacco infame, in contrasto ai quali l’uomo aveva ormai sviluppato una naturale immunità nel sopravvivere tanto a lungo in quell’ambiente, si concedeva estremamente disarmante all’attenzione della sua antica discepola: qualsiasi avversario fosse riuscito in tal proposito, non avrebbe potuto essere sottovalutato, non avrebbe potuto essere lasciato in circolazione, non semplicemente nel desiderio di vendicare la morte del mentore, già legittima ragione per pretenderne la vita, quanto ancor più per prevenire la possibilità di future offensive a proprio discapito, nella tipica necessità di un guerriero di affermare il proprio valore, la propria forza, a discapito della vita dei propri simili, di coloro considerati a lui superiori, tutti considerabili in ciò quali acerrimi nemici.

« Purtroppo la questione è esattamente questa, mia signora. » rispose lo scudiero, ancora incerto sulle parole da scegliere, sui termini da adoperare in quel confronto « Apparentemente nessuno. »
« Intendi forse dire che alcuno ha rivendicato una morte tanto illustre? » replicò ella, colta di sorpresa, fissandolo ora con intensità, necessitando di ogni informazione utile, di ogni spiegazione sugli eventi da lei ignorati per la propria prolungata assenza dalla capitale.
« Peggio… molto peggio. » sussurrò egli, chinando lo sguardo nel non riuscire a sostenere gli occhi color ghiaccio di lei, per quanto non di condanna verso se stesso « Sembra che si tratti di suicidio… »

mercoledì 24 giugno 2009

530


L’
interlocutore a cui la Figlia di Marr’Mahew aveva deciso di riconoscere salva la vita, accogliendolo addirittura nelle proprie stanze, intimando a non esternare in maniera tanto palese il proprio stupore, era, effettivamente, uno fra i pochi eletti in quella città che avrebbe mai potuto far vanto di aver goduto appieno della vista del corpo nudo della mercenaria stessa, sebbene comunque simile intenzione di autocelebrazione non lo avesse mai trovato protagonista, preferendo salvaguardare la propria salute e, anche, la speranza di protrarre il proprio rapporto con colei che aveva imparato a definire...

« … mia signora… » sussurrò, confuso, imbarazzato, per un momento addirittura emozionato nonostante i sentimenti che l’avevano spinto fino a quella soglia non si sarebbero potuti considerare felici.
« O dentro o fuori. » intimò lei, gettando la spada di lato, sul proprio giaciglio, con fare trasparentemente irritato, tutt’altro che benevolo verso il proprio ospite pur così invitato.

Un fanciullo, poco più che ragazzo e ben lontano dal potersi definire quale uomo, era colui al quale ella si stava rivolgendo. Ancora immobile alla porta di quella stanza, egli dimostrava palesemente la propria giovane età in un viso ancor morbido, quasi tondeggiante, non già indurito dall’età e dall’esperienza per quanto la sua infanzia fosse trascorsa nelle strade più pericolose di tutto il regno di Kofreya, se non di quell’intera estremità del continente: quelle della stessa Kriarya. Al centro di quel volto, sopra a labbra sottili e ad un naso appena schiacciato, due grandi occhi verdi sembravano pur impazienti di comprendere il mondo a lui circostante, in una continua scoperta tipica più di un bambino che di un giovane uomo. La sua esistenza, del resto, fino a pochi mesi prima, all’incontro con la stessa mercenaria, era stata vissuta in un’illusione di vita, dove aveva sempre preferito limitarsi al ruolo di spettatore più che di attore, di protagonista: in ciò, pertanto, si sarebbe potuto considerare immaturo, soprattutto nel confronto con molti altri ragazzi suoi coetanei e concittadini, i quali erano soliti proporsi da tempo quali sicari attivi ed operanti, tutt’altro che animati da quello stesso spirito di innocente curiosità, nonché bramosia di scoperta.
Arruffati capelli castani, a contorno di una pelle appena scurita dal sole, si concedevano stretti nell’azione di un fazzoletto di stoffa violacea, utile ad offrire agli stessi una parvenza di ordine dove altrimenti solo anarchia avrebbe regnato sovrana. Quel copricapo, in verità richiamante una moda pur tipica di molti marinai, non si concedeva quale il solo a caratterizzarne l’abbigliamento: ad esso, infatti, sarebbero dovute essere aggiunte una casacca bluastra priva di maniche ed ampiamente aperta sul torace, per quanto tutt’altro che estremamente virile o muscoloso; una fascia gialla, stretta attorno alla vita; nonché pantaloni nuovamente tendenti a tonalità di viola, per quanto diversi da quelle precedenti. Un abbigliamento, quello, che per quanto avrebbe evidentemente voluto emulare una qualche parvenza marinaresca attorno alla figura del suo proprietario, non avrebbe altresì mancato di tradirlo nell’osservare i suoi stessi piedi, dove essi, infatti, si mostravano stretti in robusti stivali di cuoio neri: considerabili forse indispensabili per affrontare comodamente la terraferma, tali calzari sarebbero stati abiurati da qualsiasi vero figlio del mare, paragonabili alla peggiore delle torture loro adducibili, nel preferire, altresì, l’utilizzo di sandali, decisamente più comodi da indossare e rapidamente sfilare, a concedere in tal modo al nudo piede un contatto autentico con il legno del ponte di una nave. In verità, egli era quanto di più lontano potesse esistere da un figlio del mare, nonostante nel proprio vestiario avesse voluto lasciarsi ampiamente influenzare dall’ultima, ed unica, avventura vissuta insieme alla donna guerriero, nel corso della quale aveva lasciato per la prima volta i confini della città del peccato per spingersi, addirittura, ad affrontare i misteri ed i pericoli delle immense distese d’acqua. A completare il quadro, quantomeno originale, così offerto in quel momento all’attenzione della propria anfitrione, effettivamente scarsa, poi, sarebbero dovute essere considerate una borsa di pelle marrone scuro, indossata a tracolla, e due lunghe coperture poste a protezione delle braccia del ragazzo: in stoffa scura, strette da un intreccio di lacci bluastri, esse incominciavano il proprio cammino all’altezza delle dita delle mani, per giungere, più in alto, poco sotto le spalle lasciate nude dalla particolare casacca scelta.

« E’ stato imprudente da parte tua accogliermi con tanta leggerezza. » tentò di obiettare egli, cercando di darsi un minimo di contegno nell’avanzare oltre la porta, richiudendola alle proprie spalle « Sarebbe potuto esserci chiunque al mio po… »
« E’ stato imprudente da parte tua venire a disturbarmi con tanta leggerezza, scudiero! » replicò l’altra, storcendo le labbra ed avviandosi attraverso la piccola stanza da bagno, per poter sciacquare il proprio viso e ritrovare pieno contatto con la realtà « Avrei potuto spingere la mia spada oltre la porta senza premurarmi nel merito dell’identità dell’idiota molesto. »

Seem, tale era il suo nome, partendo da semplice garzone in quella stessa locanda, si era guadagnato la possibilità di ascendere al ruolo di scudiero della mercenaria semplicemente osando sognare di giungere dove alcun altro, prima di lui, aveva mai osato sospingersi. Proprio in ciò, nella dimostrazione di un animo comunque animato da un potenziale inespresso, era stato benevolmente accolto dalla donna, la quale non aveva mancato di concedergli l’occasione desiderata come obiettivo finale di un lungo ed impegnato cammino: egli aveva pertanto dovuto porre in seria discussione tutta la propria vita ed ogni certezza prima ritenuta tale, morendo e rinascendo in simile esperienza.
Sempre presente accanto a lui, in quel percorso, nel ruolo di mentore e, forse, anche di giudice, preposto a valutare il suo livello di preparazione e la possibilità di essere realmente utile al fianco della propria signora, era stato Degan, un antico maestro d’arme della stessa donna guerriero. Quest’ultimo, per esplicita richiesta di colei che un tempo era stata sua protetta, allieva prediletta, non aveva mancato di porre il massimo impegno, e la massima severità, nella formazione di quel giovane, consapevole di come qualsiasi indulgenza in tale compito avrebbe rischiato di porre accanto al una pur formidabile combattente un fattore di svantaggio tale da farle rischiare la propria vita, mettere in pericolo il proprio futuro. Così, nel presupposto che sarebbe stato sicuramente meglio per il ragazzo essere ucciso durante l’addestramento che al termine del medesimo, dove tale fato fosse stato a lui assegnato dagli dei in conseguenza della propria incapacità a tenere testa ad un avversario, Seem era stato forgiato con costanza e decisione, riuscendo in tempi comunque straordinariamente brevi a raggiungere significativi risultati, a riprova di quanto l’intento prefissato non fosse stato per lui semplice retorica, non si fosse proposto quale un vano capriccio.
Al termine della loro prima avventura insieme, quasi una sorta di esame nel merito delle capacità del proprio potenziale scudiero, Midda aveva acconsentito a confermare la propria scelta, richiedendo però al giovane l’impegno a terminare comunque la propria formazione con il maestro, ancor prima di qualsiasi ulteriore azione al suo fianco: per tale ragione, oltre ovviamente per evidenti necessità di riserbo nell’aver ella scelto la via dell’inganno, del mascheramento allo scopo di perseguire il successo nella propria missione in terra y’shalfica, egli non le aveva più offerto i propri servigi quale scudiero, posticipando tale onore a occasioni future che, speranzosamente, non sarebbero comunque mancate.

« Sia chiaro che, comunque, ho apprezzato lo sforzo ad evitare stati catatonici, soprattutto dopo avermi tanto bruscamente risvegliata. » continuò la voce della Figlia di Marr’Mahew provenendo dal bagno, nel riferirsi chiaramente al rimprovero da lui offerto per l’imprudenza effettivamente compiuta, sperando poi, in tal modo, di evitare nuovamente silenzio da parte del proprio interlocutore.
« Non era mia intenzione esserti di disturbo, mia signora. » tentò di giustificarsi, più a livello formale che sostanziale, come immediatamente chiarì nel proseguo, negando di essersi posto qualsivoglia remora nel merito dell’orario scelto e della possibilità che ella, in tal mentre, stesse ancora dormendo « Ma appena ho avuto notizia del tuo ritorno in città, non ho potuto evitare di accorrere alla tua ricerca, necessitando disperatamente della tua presenza. »

Sebbene almeno una dozzina di diverse risposte ironiche e maliziose sarebbero potute, in quel momento, essere formulate dalla fantasia donna guerriero, qualcosa nel tono del giovane le impose di trattenere ogni commento fuori luogo, almeno fino a quando non fosse stata chiarita l’esatta ragione di quell’inattesa visita.

« Esprimiti, allora: cosa turba il tuo animo? » si limitò a domandare, facendo nuovamente capolino nella camera da letto, senza alcuna ironia, offrendosi seria e attenta.
« Mia signora… sono costretto ad essere latore di tragiche notizie. »

martedì 23 giugno 2009

529


Q
uella notte, la Figlia di Marr’Mahew restò sola: sola nel tergere il proprio corpo, sola nell’immancabile esercizio fisico utile a concederle un completo rilassamento, sola nel proprio giaciglio.
Naturalmente i rimproveri che ella si addusse non furono pochi e non trovarono rapida conclusione come probabilmente ella avrebbe preferito. Quanto accaduto, del resto, le si concedeva quale un madornale errore, uno sbaglio dettato forse più dal timore di ciò che sarebbe potuto derivare dal raggiungimento di un nuovo stadio nel proprio rapporto con Be’Sihl, che dai freni impostile da un sogno, dalla macabra fantasia che l’aveva colta nel mentre di quel riposo inatteso, non programmato. Proprio lei che di fronte ad alcun pericolo, ad alcuna sfida, per quanto mortale, era solita retrocedere, rinunciare, arrendersi, in quella particolare occasione aveva agito vigliaccamente, in maniera disonorevole per se stessa e per il sentimento che pur il compagno aveva deciso di dichiararle, di donarle nonostante i suoi tentennamenti, le sue incertezze. Non era più una fanciulla ormai da molti anni, non era di certo una verginella nuova ad emozioni e sentimenti forti, o all’amore di un uomo, eppure aveva indietreggiato, aveva accampato ogni genere di scuse per evitare quell’abbraccio, quel calore, benché avesse goduto nel perdersi in esso, nel bacio che pur egli non aveva voluto mancare, per quanto avesse insistito, infine, per restare sola: di tale comportamento non avrebbe potuto evitare di vergognarsi, di imbarazzarsi, addirittura prendendo in esame l’ipotesi di abbandonare la locanda e cercare rifugio altrove, lontano da lui e da ogni cosa che potesse in qualche modo rimembrarlo, farlo riaffiorare alla sua attenzione, alla sua mente. Un rimedio che sarebbe rimasto comunque privo di soluzione, là dove avrebbe semplicemente negato la questione anziché affrontarla, con le ovvie conseguenze che a tale azione sarebbero immancabilmente derivate.
Nel tentativo di dimenticare, di obliare quanto accaduto, ella cercò sfogo nel proprio allenamento, in quella serie di attività ritmiche, costanti, quotidiane delle quali nei limiti del possibile non era solita mancare di impegnarsi, per mantenere in perfetta efficienza ogni singola parte del proprio organismo oltre che, forse più concretamente, per ristabilire un corretto equilibrio fra mente e corpo, attraverso un rituale più prossimo alla meditazione che al semplice esercizio fisico. Tutto lo sforzo che pretese dalle proprie membra, però, tanto da arrivare a crollare senza più energie sul proprio letto, sfinita oltre ogni misura, non riuscì a distrarla, non le permise di rifuggire ai propri pensieri, alla propria coscienza, che senza sosta continuava a ripeterle poche semplici sillabe.

« Stu-pi-da! » sbuffò, rigirandosi con frustrazione sotto le coperte, non riuscendo a raggiungere un compromesso con se stessa neppure nel merito della posizione in cui riuscire ad addormentarsi.

In verità, difficile sarebbe stato comprendere se tale insulto, come la lunga serie di altri identici o comunque similari, che ella non mancò di attribuirsi in molteplici occasioni quella notte, stesse derivando dalla scelta compiuta, dal rimorso maturato attorno ad essa, segnale trasparente di quanto sbagliata non mancasse di apparire innanzi alla sua stessa coscienza, o, ancora peggio, dall’inibizione che la tratteneva legata a quel giaciglio ogni qual volta riusciva a prendere in esame l’ipotesi di discendere alla ricerca del locandiere, per terminare quanto iniziato. Ma la decisione era ormai stata effettuata e, per quanto controversa, per quanto discutibile e discussa intimamente, con e contro se stessa, non sarebbe potuto essere revocata: in virtù di simile, semplice principio, in effetti, non venne modificata in alcuna delle sue parti e la donna guerriero, vittima della propria stessa testardaggine, non poté che restare costretta a quella notte solitaria, non diversa da qualsiasi altra lì trascorsa in passato e, pur, incredibilmente pesante, quasi insopportabile, al pensiero di quanto si era negata, di quanto aveva perduto.

Nel partire da presupposti tanto spiacevoli, il mattino seguente il suo risveglio si concesse inevitabilmente quale estremamente irritato, a proprio discapito scatenato da un martellante bussare contro la sua porta, contro il legno dell’uscio della sua camera.
Per quanto abituata a destarsi, in maniera naturale, alle prime luci dell’alba, non riuscendo a sopportare di restare a letto nella consapevolezza del sole crescente all’esterno, in quel particolare giorno l’astro maggiore si stava già proponendo alto mentre ella ancora era rifugiata fra le coperte, fra le lenzuola, alla ricerca di un riposo prima negatole, rifiutatole per quasi tutta la notte. Nell’avvertire tanto frastuono, nella mente pur annebbiata della mercenaria fu immediatamente chiaro come solo due categorie di persone avrebbero potuto spingersi in simile azione, a turbare in tal modo il suo giusto sonno: la prima si sarebbe potuta considerare formata da tutti coloro che, conoscendola ed avendo familiarità con lei, i suoi ritmi, i suoi tempi, le sue abitudini, avrebbero potuto considerarsi legittimamente preoccupati dal suo ritardo, così insolito, improprio per lei; la seconda, al contrario, si sarebbe dovuta ritenere generata dall’unione di tutto il resto dell’umanità, coloro che senza conoscerla, senza alcuna familiarità con lei, i suoi ritmi, i suoi tempi, le sue abitudini, avrebbero potuto considerarsi impavidamente autorizzati a offrirle siffatta sfida in casa propria, nei suoi stessi alloggi. Comunque, al di là delle ragioni celate dietro a quell’insistenza, le conclusioni che da essa sarebbero potute derivare, nella mente della donna, si concentrarono in una sola, comune direzione: quella che la vide allungare la propria mano mancina a raccogliere la spada lasciata a riposo accanto a sé, al fianco del letto, per essere pronta ad aprire il cranio dello sventurato avventuriero sopraggiunto nel luogo sbagliato al momento sbagliato.
Amico o nemico che egli fosse dove, in quella giornata ella non desiderava considerarsi clemente con alcuno.

« Rammenta uno ad uno i nomi di tutti i tuoi dei, razza d’imbecille. » suggerì, con voce impastata, rialzandosi dal giacilio e ondeggiando fino alla soglia della propria camera, stordita come raramente le era accaduto essere in conseguenza del riposo interrotto « Presto ti sarà utile per riconoscerli, quando li incontrerai di persona… »

Ma nell’aprire di scatto la porta, già pronta a menare un violento fendente contro il disturbatore, ella si ritrovò di fronte all’ultimo volto che forse mai si sarebbe attesa di incrociare in quel momento, di cogliere in quell’occasione, indugiando, in conseguenza di ciò, nella propria altrimenti ferma condanna.

« Ti sei completamente ammattito?! » gli ringhiò contro, abbassando la propria spada nel concedergli clemenza, pur senza, in ciò, offrirgli perdono per quella violazione del proprio spazio vitale, della propria intimità « Avrei potuto ucciderti ed essere assolutamente giustificata per questo… »

Alcuna risposta, però, le venne offerta dal proprio interlocutore, che, oltre ad essere stato evidentemente colto di sorpresa dall’impeto di quella reazione, nonché del tono adottato dalla donna guerriero, avrebbe potuto anche e legittimamente considerarsi quantomeno sconvolto alla vista del corpo nudo offertogli innanzi, in maniera tanto naturale.
Nel lasciare il proprio letto per accogliere il responsabile di una tale scocciatura, Midda non aveva ovviamente preso in esame alcun senso di pudore nel merito del proprio aspetto, presentandosi di fronte alla porta, da lei stessa dischiusa con evidente violenza, senza alcun abito addosso. Non era sua abitudine, invero, indossarne per dormire, soprattutto se in una locanda ed a seguito di un bagno caldo, come era stato per lei nella sera precedente, senza poi considerare come, inoltre, ella non si fosse mai posta alcuna remora nel merito del proprio aspetto fisico, a riguardo della propria femminilità, non trovando alcuna ragione per la quale doversi vergognare del proprio corpo e, in conseguenza, non vivendo il minimo imbarazzo dinnanzi anche agli sguardi più indiscreti. In virtù di quelle filosofie, addirittura, ella era spesso giunta ad estremi che la maggior parte delle persone avrebbero considerato assolutamente impropri, quali combattere e vincere intere battaglie rivestita unicamente da una coperta attorno alle spalle, a semplice e necessaria protezione dal freddo e non, di certo, a difesa di un qualche sentimento di decenza.

« Lo dirò solo una volta… e ti invito a farne tesoro prezioso per il bene del futuro del nostro rapporto: evita questo atteggiamento di meraviglia ogni volta che ti capita di vedermi nuda. » suggerì al proprio ospite, tirandosi indietro e invitandolo ad avanzare, dove chiaramente egli doveva essere giunto fino a lei con tanta irruenza solo per questioni serie e non per un semplice saluto « Ormai dovresti conoscere a sufficienza come sono fatta e, sinceramente, le tue scene mute stanno iniziando a diventare ripetitive… »

lunedì 22 giugno 2009

528


P
er un istante tutto apparve perfetto.
Non quale semplice retorica avrebbe potuto definire una fuggevole e pur immortale frazione di tempo, quanto piuttosto in conseguenza del raggiungimento di un livello di compiutezza difficilmente ipotizzabile per la limitatezza dell’animo umano, per l’opposta e intrinseca imperfezione caratteristica dei mortali. Il cuore di Midda e quello di Be’Sihl parvero battere all’unisono, nel mentre in cui i loro respiri ed i loro sguardi si persero uno nell’altro, in un dolce oblio, un naufragare quieto, indolore. In esso, entrambi riuscirono a dimenticarsi dell’intero universo loro circostante, delle proprie stesse vite, dei principi e delle logiche utili a regolarle, di tutte quelle effimere, eppur così castiganti, proibizioni alle quali ogni uomo o donna è abituato normalmente a sottostare nell’illusione di vivere saggiamente la propria esistenza. E, così, ogni paura, ogni dubbio, ogni incertezza parve svanire come fresca rugiada alle prime luci dell’alba, ai primi tiepidi raggi di una nuova giornata, offrendo innanzi ai loro occhi solo l’immagine di un compagno e di una compagna da amare, nella concretizzazione di molti sogni, troppe speranze da lungo tempo negate, così intensamente rifuggite quasi potessero rappresentare per loro la fine di tutto e non, al contrario, l’inizio di un nuovo mondo, di una nuova realtà.
Sarebbe occorso un solo ulteriore attimo, il tempo di un rapido battito di ciglia, per vedere le loro labbra spingersi in una reciproca ricerca, i loro corpi nella passione di un abbraccio carico di sfrenato desiderio: purtroppo, però, quel momento venne loro negato, dove, per quanto ella stessa fosse, ora più che mai, bramosa di quel calore, ardente al pensiero di quell’unione con colui che da sempre si era ostinata a ritenere solo un amico, un’immagine riaffiorò violenta alla sua attenzione, frantumando, nell’orrore del sangue e della morte, la meraviglia del quadro così creatosi.

« … n-no… » sussurrò balbettando la mercenaria, cercando di costringersi a ritrarsi da lui, ad allontanarsi da quello che, improvvisamente, stava apparendo quasi simile al peggiore dei pericoli innanzi a lei.
« C… cosa? » domandò il locandiere, confuso, imbarazzato, diviso fra il desiderio di concludere quanto iniziato e la necessità di fermarsi, nell’ascoltare le parole della compagna, nel non spingersi dove ella non avrebbe desiderato, come mai aveva voluto fare « Perché? »

La Figlia di Marr’Mahew esitò a rispondere, a proseguire in qualsiasi direzione, ritrovandosi anch’ella in conflitto interiore non meno rispetto a lui, sebbene per ragioni estremamente diverse, sospinta da questioni che mai egli avrebbe potuto supporre o immaginare.
Era stato solo uno stupido sogno, il suo, oppure un avvertimento concessole dagli dei? Una macabra fantasia notturna, fine a se stessa, oppure un avviso ignorando il quale avrebbe trasformato quella morte in realtà, per trascorrere poi il resto della propria esistenza nella colpa e nel rimpianto di aver agito tanto egoisticamente?
In verità, la donna guerriero avrebbe di gran lunga preferito essere a confronto con una chimera, nell’immenso pericolo da essa rappresentato, piuttosto che in quell’assurda situazione, posta a metà fra amore e paura, fra il sentimento che l’avrebbe inevitabilmente spinta fra le braccia del compagno e quello che l’avrebbe altresì allontanata da lui, nel timore di condannarlo se avesse operato in qualsiasi altro modo, se si fosse permessa di continuare per la via che sembravano aver imboccato.

« … n-non dobbiamo… » cercò di imporre e di imporsi la mercenaria, scuotendo il capo senza pur sufficiente convinzione, apparendo più rivolta a se stessa che al proprio interlocutore « Lo sappiamo bene entrambi… »
« Tu lo vuoi… io lo voglio… » commentò l’uomo, ancora senza alcuna possibilità di comprensione, anch’egli comunque in forte contrasto interiore nella volontà di ritornare padrone di sé, di recuperare il proprio controllo verso la donna amata e, ciò nonostante, pur mantenuta quale traguardo irraggiungibile innanzi a sé, da contemplare, da sognare ma non da possedere, da rendere proprio « E non siamo di certo due fanciulli... perché non dovremmo? Perché? »

Purtroppo, più il tempo scorreva e più, da entrambi i lati, le condizioni psicologiche stavano retrocedendo verso posizioni più consuete, ritornando al loro abitudinario distacco, al limite imposto di amicizia, da non oltrepassare, da non violare. E dove, su un fronte, Be’Sihl si stava costringendo a tale ritirata solo in conseguenza del rifiuto della compagna, temendo di averla offesa con la propria intraprendenza, di aver addirittura incrinato il suo rapporto con lei per qualcosa che, comunque, non era poi neppure avvenuto; su quello opposto, Midda continuava a focalizzare innanzi al proprio sguardo l’immagine del collo di lui orrendamente squarciato, nonché del suo volto privo di ogni possibilità di vita, tanto lontano dall’energia, dalla forza, dal carisma del quale ora era pur risplendente in maniera naturale.

« Sono… accadute cose… situazioni… è difficile da spiegare. » gemette lei, avvertendo, nonostante tutto, i propri occhi saturarsi di calde lacrime per la violenza che si stava imponendo, per il distacco al quale si stava costringendo « Io… io ti… io credo di… lo sai, per Thyres! E proprio per questo non voglio correre il rischio di perderti, non voglio correre il rischio di… »
Inaspettatamente fu egli a zittirla, appoggiando delicatamente il proprio indice destro sulle labbra carnose della stessa, scuotendo ancora il capo ora, però, con un significato estremamente diverso dal precedente: « Basta. Non aggiungere altro. Non c’è bisogno di altro. »

Ma prima ancora che qualsiasi ulteriore commento potesse seguire a quell’affermazione, che qualsiasi ulteriore replica o argomentazione potessero essere espresse, quel dito si spostò con la stessa dolcezza con il quale in quel punto si era appoggiato, per lasciare spazio all’unione delle loro calde labbra, tremanti, emozionate.
Un bacio, quello che seguì, che fu carico di infinite emozioni, di infinite parole, e che pur non ebbe bisogno di concedere voce a nessuna di esse, in una complicità assoluta fra i due innamorati, i due amanti costretti al ruolo di amici da un beffardo fato e dalle loro stesse scelte. Egli la cercò ed ella non si ritrasse, non lo rifiutò, sapendo bene come, ormai, a quel momento tanto intenso non sarebbe comunque seguito altro, alla passione pur tanto chiaramente espressa non se ne sarebbe aggiunta altra, nel voler rispettare la volontà da lei espressa, per quanto potesse apparire imperscrutabile, non intellegibile nelle sue motivazioni.
In quel gesto, meraviglioso e incommensurabile, Be’Sihl aveva voluto offrire una risposta forte, decisa, inequivocabile a quanto ella pur gli aveva concesso, pur aveva definito senza riuscire a completare la frase formulata. Non sapeva e mai avrebbe saputo, almeno fino a quando non fosse stata la medesima mercenaria a confidarsi, la causa di quel freno, dell’inibizione improvvisamente ritornata forte in lei, addirittura nell’insano timore di poterlo perdere, ma, in quel momento, neppure gli interessava saperlo, dove non poteva negarsi di essere già stato abbondantemente gratificato dall’ammissione dell’amore di lei per sé, del sentimento che ella era riuscita a riservargli nel proprio cuore, da sempre considerato solo un malizioso gioco e, invece, sintomo di qualcosa di più, di qualcosa di meglio.
In quella risposta, incredibile e coinvolgente, Midda aveva voluto riservarsi una domanda diretta, sincera, trasparente per la fiducia che egli pur non le avrebbe mai negato, pur le avrebbe sempre riservato senza chiederle nulla in cambio. E in simile richiesta, ella desiderava con tutta la propria anima conservare la possibilità, l’occasione di ritrovare in futuro ciò a cui ora stava ponendo il proprio veto, di poter concludere un domani quanto ormai, oggi, aveva dovuto negarsi. Perché se ancora la donna non aveva alcuna idea su come poter annientare il proprio sposo, era pur certa che sarebbe riuscita a farlo ed, allora, non avrebbe più avuto ragioni di temere le conseguenze dei propri sentimenti nella macabra misura attuale, come ora, purtroppo, era altresì costretta a fare.

« Anche io, Midda Bontor. » sussurrò, alfine, egli, allontanandosi appena dalle labbra così cercate ed amate « Anche io… da sempre. » ripeté, accarezzandole appena i capelli con gesti leggeri, quasi di venerazione per lei e per i sogni in lei incarnati.

domenica 21 giugno 2009

527


R
isolta senza discussioni di sorta la situazione con il proprio mecenate, nel considerare da parte di quest’ultimo sciolto ogni vincolo di debito da lei precedentemente generato nei suoi riguardi, la donna guerriero si poté finalmente considerare pronta a lasciare la torre, nonché colei che era stata propria protetta negli ultimi mesi.
Il saluto fra lei e Nass’Hya, unite in un viaggio più complesso del previsto, legate l’una all’altra nell’aver affrontato insieme ostacoli dai quali, singolarmente, forse non avrebbero potuto trovare possibilità di salvezza, non poté evitare una certa nota di malinconia da parte di entrambe, per quanto consapevoli che, comunque, avrebbero potuto ancora incontrarsi, frequentarsi in futuro, favorite in questo dal rapporto professionale esistente fra l’una e il promesso sposo dell’altra. Se, nel giungere alla città del peccato, Midda aveva potuto considerarsi tornata a casa, ad un luogo per lei familiare e nel quale ritrovare volti conosciuti e, talvolta, apprezzati, al contrario per la principessa era stato l’esatto opposto, l’arrivo in una terra straniera e atavicamente temuta in conseguenza dell’irrefrenabile guerra esistente fra i loro due regni da tempi remoti. E dove, addirittura il proprio futuro marito, entro molti limiti, si sarebbe potuto considerare poco più di un estraneo, dubbi e preoccupazioni, in lei, sarebbero potuti essere ritenuti più che legittimi, soprattutto al pensiero di quanto perduto alle proprie spalle, di quanto tagliato fuori dalla propria vita con tale decisione: ormai, però, le scelte erano state compiute, i giochi erano fatti, e permettere al rimpianto di dominarla non avrebbe facilitato alla giovane y’shalfica il necessario percorso di adattamento alla propria nuova vita. Così, offrendo dimostrazione della fierezza del proprio titolo, del proprio retaggio, la futura lady si limitò ad offrire a colei che avvertiva di poter considerare quale propria amica, un lungo abbraccio, prima di lasciarla andare finalmente libera.
Fuoriuscita dall’edificio del proprio mecenate, Midda si avviò immediatamente alla ricerca del giusto riposo, nell’unico luogo che era ormai solita definire quale propria dimora benché non si concedesse quale nulla di più di un alloggio all’interno di una locanda. La stanchezza che l’aveva condotta, addirittura, ad addormentarsi durante l’attesa dell’arrivo di lord Brote, non avrebbe potuto essere minimizzata con leggerezza, dove, a prescindere dai legami di lavoro che la collegavano al medesimo, limitati dal compenso che quest’ultimo di volta in volta le avrebbe saputo garantire, correttamente nella natura stessa della sua professione, ella non avrebbe mai dovuto concedersi la possibilità di lasciarsi andare a tal punto, abbassando completamente la guardia e predisponendosi, in tal modo, inerme di fronte a qualsiasi possibile pericolo. Il lungo percorso che aveva dovuto affrontare, in pieno inverno, attraverso i monti Rou’Farth per accompagnare la principessa fino alla città del peccato, riducendo sempre al minimo ogni possibilità di riposo, ogni occasione di rilassamento per lei, sembrava essere giunto ora a pretendere da lei un ovvio tributo in termini di sonno al quale, volente o nolente, non si sarebbe mai potuta sottrarre. Senza pur affrettare il proprio passo, dove simile scelta avrebbe potuto farla apparire timorosa nei confronti dei molteplici pericoli di quella capitale e, in questo, avrebbe potuto attirare l’attenzione di possibili avversari, guerrieri o mercenari bramosi di porre il proprio nome alla ribalta della cronaca quale quello di colui che aveva sconfitto ed ucciso la leggendaria Figlia di Marr’Mahew, la donna guerriero si diresse pertanto, senza ulteriori indugi, verso il fronte occidentale della città, là dove molti anni prima Be’Sihl aveva scelto di acquistare l’edificio da adibire allo svolgimento della propria professione, della propria attività.
Fortunatamente, in quell’occasione che apparve unica ancor più che rara, Kriarya non le richiese alcun tributo di sangue quale pegno richiesto per percorrere le proprie strade, per attraversare i propri quartieri. Ovviamente, dal punto di vista della mercenaria, non vi sarebbero state ragioni per dubitare di essere in grado di gestire un confronto con la marmaglia che la circondava, considerando come, probabilmente, anche con molte meno energie di quelle che le erano rimaste in corpo, con molta meno concentrazione di quella che pur la sua mente stava riuscendo ancora a mantenere quale propria, ella avrebbe potuto avere facilmente la meglio su tutti loro. Impossibile sarebbe stato, invero, definire se tanta quiete fosse derivata da un semplice caso, da una concessione divina nei suoi riguardi, oppure fosse stata conseguenza delle voci già diffusesi in città nel merito del suo ritorno, della sua ultima avventura oltre il fronte di guerra, tanto prossimo a quell’urbe: al di là delle cause generative di tale pace che non avrebbero potuto minimamente interessarla, Midda non poté che ritenersi soddisfatta per quel modesto tributo riconosciutole dal fato o, forse, da tutta la popolazione della capitale, nel permetterle di arrivare fino alla locanda senza ostacoli, senza porle freni innanzi, senza richiederle per l’ennesima volta di ricordare a tutti quanto la sua lama non si sarebbe fatta scrupolo alcuno nel bagnarsi del sangue di un qualsiasi avversario, fosse egli stato tale anche solo per semplice stolidità.
Giunta così a destinazione, ed offerto il proprio saluto a padrone di casa, al suo anfitrione ed amico, ella si diresse senza esitazione ai propri alloggi, alle proprie stanze, ignorando la pur vivace animazione del quale il piano inferiore dell’edificio, adibito a funzioni di ristoro, non mancava ovviamente di essere caratterizzato. La sera seguente, dopo il lungo bagno e il profondo sonno del quale presto si sarebbe fatta vizio, sicuramente non avrebbe mancato di unirsi a quel chiassoso ambiente, addirittura offrendo in esso ragione per scatenare qualche piacevole rissa nella quale trovare distrazione e divertimento: in quel particolare momento, però, nella propria attuale situazione fisica e mentale, neppure l’idea di una sostanziosa cena avrebbe potuto farla fermare, sospingerla a restare in quella confusione.

« Sembri decisamente più stanca del solito… »

Il commento di Be’Sihl sopraggiunse nel mentre in cui egli completò il riempimento della vasca, nel versare l’acqua contenuta in due secchi d’acqua da lui stesso trasportati a conclusione di un immancabile andirivieni di garzoni nella stanza da bagno della mercenaria, per offrirle quanto da lei richiesto, per concederle occasione di godere di quel momento da lei tanto ricercato, quasi un rito religioso nel quale rendere grazie ai propri dei di averle concesso di fare nuovamente ritorno a quel luogo, a quel tempio personale, al termine dell’ennesima avventura.

« Se voleva essere un complimento, ti informo che ti ricordavo più lusinghiero un tempo. » sorrise la donna, dimostrandosi naturalmente sorniona verso di lui e pur non negandosi l’affaticamento che egli subito aveva colto « Vorresti forse dire che, in questo nuovo anno, ho perso parte del mio fascino? »
« Vorrei semplicemente dire quello che ho detto. » rispose egli, scuotendo il capo e lasciando appoggiare, per un momento, entrambi i secchi ormai vuoti a terra, osservandola poi con aria premurosa, con sguardo dolce e preoccupato « Sei stata via ancora a lungo, quasi due intere stagioni, ed il tuo viso appare così tirato che, quasi, non sembri neppure tu. »
« E’ il mio lavoro e la mia vita, lo sai. » minimizzò ella, chinando però lo sguardo di fronte a lui, quasi non riuscisse a sorreggere quel confronto, nella purezza dell’affetto che l’altro non stava mancando di offrirle « E, poi, sei mesi sono sempre meno di dodici… » aggiunse, in riferimento ad una delle proprie ultime avventure, nel corso della quale era scomparsa per un anno intero dalla città del peccato.
« E questo dovrebbe essere un motivo di gioia per me? » domandò il locandiere, aggrottando la fronte nel dimostrarsi chiaramente tutt’altro che convinto da tale argomentazione.
« Se desideri basare la tua gioia sulla mia presenza nella tua vita, ti converrebbe chiedermi di sposarti… » tentò di scherzare lei, punzecchiandolo come era sua abitudine fare, salvo immediatamente mordersi il labbro inferiore, a rimprovero personale per la sciocchezza che aveva appena detto, totalmente fuori luogo con il discorso in corso.
« Lo faresti? » decise di incalzare la voce dell’uomo, con quel tono capace di offrirle lo stesso indispensabile tempore, lo stesso necessario calore di un caminetto ardente nel cuore di una gelida notte, nel non lasciar perdere come era invece solito fare quel discorso, nel non ignorare quella provocazione ma, al contrario, alimentarla, desideroso forse di vedere fino a quale punto sarebbero stati capaci di sospingersi.
« Be’Sihl… » sussurrò l’altra, risollevando appena i propri occhi color ghiaccio, così temibili per il mondo intero e pur così bramati da colui che le stava innanzi in quel momento « Io… »

sabato 20 giugno 2009

526


« I
ntromettermi nella tua vita?! » replicò Desmair, sgranando gli occhi con aria divertita e pur stupita « Mi domando fino a quali limiti possa riuscire a spingersi la tua ipocrisia, luce del mio cammino. Non ricordi, forse, di essere stata proprio tu ad entrare a far parte, con l’inganno, della mia esistenza? »
« Taci! » intimò ella, non potendo più sopportare che la voce di quell’empio essere potesse giungere fino alle sue orecchie, sfidandola ripetutamente con le proprie provocazioni.

In un gesto carico di risentimento la lama della spada venne, così, sfilata dal corpo del mostro solo per essere nuovamente scaraventata contro il medesimo, tornandolo a colpire ora all’altezza della gola, nel solo, evidente scopo di decapitarlo, in un’illusione, pur già nota come vana, di poterlo arrestare in tale azione, con simil gesto.
Ma dove egli pur non frenò in alcun modo l’avanzata di quell’offensiva, ritrovando inevitabilmente la propria testa separata violentemente dal corpo, sospinta in aria dalla foga del taglio, non si propose in alcun modo sopraffatto da lei, sconfitto da tale azione. Benché infatti privata dell’intero capo, questo stesso rotolato lontano dal suo corpo fino ad appoggiarsi contro un angolo della stanza a loro opposto, la semidivinità dimostrò ugualmente una vivace salute, riprendendo a parlare ed a muoversi nel confronto con la sposa come se nulla fosse accaduto, nel mentre in cui, peggio ancora, la ferita precedentemente inflittagli già incominciava a rimarginarsi quasi fosse stata un banale graffio.

« Raramente mi è accaduto… e ancor più raramente sono giunto persino a dichiararlo, ma credo di aver compiuto un madornale errore di valutazione nei tuoi riguardi, Midda Bontor. » ammise ora la testa separata dal corpo, con tono serio, nell’osservare la sposa ed il resto di sé impegnati in quel confronto diretto « Se è comunque innegabile che, non essendo tu una strega, o quantomeno una negromante, il nostro matrimonio non potrà concedermi alcun beneficio di sorta, credo si possa considerare altrettanto evidente come tu possieda diverse caratteristiche sicuramente capaci di stuzzicare le fantasie di un marito. »
« Ti ho detto di tacere! » ribadì la mercenaria, attaccando nuovamente il corpo nemico per amputarne il braccio sinistro, nell’avvertire da parte del medesimo un movimento rivolto verso di lei « La tua stessa esistenza è un insulto a tutti gli dei, un’offesa alla sacralità del loro nome. Devi morire! »

Probabilmente l’errore che, a quel punto, ella disastrosamente commise fu conseguenza del suo essersi lasciata trascinare in maniera incontrollata dalle emozioni, umanamente giustificabili, provate confronti del proprio avversario: vittima dei sentimenti di odio, rancore, frustrazione che egli era apparso riuscire ad instillare con sapienza nel suo cuore, la donna guerriero, nonostante tutta la propria formazione, era giunta a dimenticarsi di tutti i principi che, da sempre, l’avevano aiutata a sopravvivere ad ogni scontro, ad ogni duello, concedendosi al contrario troppo facilmente, in tal modo, a possibili azioni del proprio nemico.
E sebbene fosse stato privato della testa e dell’arto mancino, il colosso dalla pelle rossa non fece spreco del vantaggio così offertogli sulla propria preda, muovendosi rapido nello sferrare una pur attendibile offensiva con il proprio unico braccio rimasto, agendo immediatamente nell’andare a colpire con violenza il volto della donna, sollevandola in conseguenza di tanta foga da terra e mandandola a sbattere contro la parete a ridosso del letto, quasi fosse una bambola di pezza scaraventata da una bambina capricciosa. Un gesto incontenibile contro di lei, irrefrenabile a suo discapito, e pur incredibilmente moderato considerando come semplicemente si limitò a stordirla quando, con la stessa facilità, avrebbe anche potuto frantumarne le ossa, riducendola per sempre all’immobilità.

« Osservando la pienezza delle tue grazie, non posso evitare di pensare che sia stato un vero peccato aver interrotto prematuramente la nostra festa di matrimonio, mia sposa. Soprattutto prima di aver avuto occasione di godere di esse. » commentò la testa mozzata, continuando ad osservare a distanza la scena nel mentre in cui il resto del suo corpo avanzava, pur così mutilato « Non di meno, è pur sempre possibile porre rimedio a simile mancanza… »
« No… Thyres… no! » tentò di gemere ella tentando di ritrovare lucidità, di guadagnare nuovamente il controllo del proprio corpo, dopo essersi ritrovata a ricadere sul proprio stesso letto e sul corpo dell’amante di quell’ultima notte di felicità.

Ma non un sussurro privo di forze pronunciò simile diniego, quanto piuttosto un grido, un invocazione forte, decisa, che scaturì dal profondo della sua gola, alimentato dalla medesima energia che la fece scattare in piedi con occhi sbarrati, con pelle madida di sudore e respiro affannato ad agitarle il petto.

« Che accade?! » domandò una guardia, nell’osservarla più spaventato di lei da quell’urlo, messo in allarme per esso « Che accade? »

Chiudendo e riaprendo ripetutamente gli occhi, per un lungo istante estremamente disorientata, la Figlia di Marr’Mahew ritrovò contatto con la realtà, nel comprendere come ciò che aveva vissuto altro non fosse stato che un sogno, un incubo, in effetti crudele, ma assolutamente inoffensivo. E nel confronto con il viso della sentinella, familiare per quanto sconosciuto, la mente della donna riuscì a ricostruire rapidamente l’evolversi degli eventi, le ultime tappe da lei vissute prima di cedere, inaspettatamente, alla stanchezza.
Per quanto fosse stato sinceramente fremente nell’attesa di quel momento, non avendo alcuna per sospettare della loro comparsa proprio in quel giorno, lord Brote non aveva potuto evitare di essere coinvolto nelle ultime ore in una accesa discussione politica con alcuni degli altri signori della città del peccato, richiedendo di conseguenza alla sua guerriera prediletta ed alla sua futura moglie una dimostrazione di pazienza, nel concedergli il tempo per chiudere ogni questione in sospeso ed essere libero di dedicarsi ad entrambe nei modi più indicati. Ma se la principessa Nass’Hya aveva volentieri accolto l’invito ad usufruire delle risorse concesse all’interno della torre del mecenate, di un bagno caldo e delle premure di un gruppo di ancelle predisposte unicamente al suo servizio, iniziando immediatamente a familiarizzare con quella che sarebbe stata la sua nuova dimora per gli anni a venire, la mercenaria aveva preferito limitarsi a restare in tranquilla attesa, sola con se stessa in un atrio di uno dei molteplici livelli di guardia che formavano la complessa struttura dell’alta edificazione. Proprio in quel punto, su una dura panca di legno, ella si era così lasciata andare, ancora coperta di terra e di sporco e decisamente stanca per il viaggio, concedendosi imprudentemente la possibilità di addormentarsi con le conseguenze che poi, in ciò, erano occorse, spiacevoli per quanto fortunatamente irreali.

« Per Gorl! Che accade?! » insistette la guardia, un ragazzo chiaramente del tutto inadatto al ruolo pur riservatosi nella propria giovane età, per quanto un fato praticamente inevitabile all’interno di quell’urbe.

Diversamente da quanto prima creduto nella perversione di quella macabra esperienza onirica, la donna guerriero non aveva ancora avuto occasione di essere ricevuta dal proprio mecenate, né, tanto meno, aveva fatto ritorno alla locanda di Be’Sihl o, addirittura, giaciuto con lui. Tutto ciò che aveva creduto fosse accaduto era stato tale solo all’interno della sua mente, solo nei meandri del suo animo e del suo cuore: Be’Sihl, suo amico fidato, suo complice in infinite occasioni, era ancora vivo e Desmair, suo sposo, infame fardello, era ancora, fortunatamente, imprigionato all’interno del quadro nel quale l’aveva lasciato al termine del loro primo ed unico incontro.

« Niente. Calmati. » commentò nel porre a fuoco l’immagine del proprio interlocutore, nel rivolgere infine a lui la propria attenzione dopo aver ritrovato, in quelle poche ma essenziali certezze, la propria quiete interiore « Ho solo avuto un incubo. »
« Un incubo? » domandò l’altro, seriamente in imbarazzo per aver offerto una tanto palese dimostrazione di mancanza di controllo, considerando come avrebbe dovuto egli stesso evidenziare una tale situazione.

Purtroppo per lui, se anche avesse desiderato sfogare tale emozione contro colei che ne era stata involontaria causa, rimproverandola o, addirittura, canzonandola per quel grido ingiustificato, gli occhi di ghiaccio innanzi ai quali si ritrovò, nonché la nomea di colei che di essi faceva naturale sfoggio, non gli permisero alcuna reazione di quel genere, costringendolo al silenzio.