11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

mercoledì 17 giugno 2009

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D
elicato e leggero, simile alla carezza di un dolce e giovane amante ancor colmo di virginale timore, incertezza di movimento derivante da una non completa consapevolezza del corpo pur desiderato e ricercato, fu il contatto offerto dai primi, pallidi raggi di sole di un nuovo giorno, di una radiosa alba primaverile su forme chiare, vellutate, appena ornate da sparse spruzzate di efelidi.

Forse rappresentative della generosità della terra, con alti colli e profonde valli, fertili ed invoglianti alla vita, le curve di quel dorso, emergenti al di sotto di coperte disordinate, smosse inavvertitamente nella notte, si concessero in tal modo quale uno spettacolo unico, meraviglioso, per arrogarsi il diritto di osservare il quale probabilmente in molti avrebbero ben volentieri pagato qualsiasi prezzo fosse stato loro richiesto. Rilucente e, al contempo, vellutata quell’epidermide sembrava esser stata tessuta unicamente per attrarre a sé le bramosie di frementi mani, che su di essa avrebbero ben volentieri condotto le punte delle proprie dita, a godere già solo in conseguenza a quel contatto, a quell’unione apparentemente superficiale e, nonostante tutto, incredibilmente intima. Calde labbra, poi, si sarebbero ancor più piacevolmente avventate, fameliche, su di essa, desiderose di coprirne ogni singolo pollice, ogni pur minima parte di baci, quasi a suggere ancor solo in simil gesti il gusto pieno della vita, dell’amore, di cui essa sembrava trasudare in maniera assolutamente spontanea, naturale, addirittura non voluta.
Colmi di femminilità nella propria prospera abbondanza, sodi nel proprio esser stati temprati da un’esistenza intera dedita all’allenamento, all’esercizio quotidiano, due candidi glutei, apparentemente scolpiti nel marmo più puro ed affioranti in maniera quasi prepotente dalla morbida stoffa di quelle lenzuola quasi dolci atolli dal placido mare, non avrebbero mai potuto evitare di attrarre ogni attenzione, ogni interesse, ogni sogno, proibito o no che esso potesse essere, con la loro presenza così esplosiva, vette di puro piacere da sfidare con il medesimo indomito coraggio richiesto allo scalatore che avesse voluto affrontare le cime più impervie dei monti Rou’Farth. Ed ancor più pericolose rispetto ad esse, simili sinuosità avrebbero sicuramente concesso soddisfazione ineguagliabile a coloro che fossero riusciti a renderle proprie, a chiunque fosse riuscito a conquistarle, premio di ineguagliabile valore dove un tale privilegio evidentemente si sarebbe dovuto considerare raro e prezioso non meno di un’oasi all’interno del deserto, di una fonte di acqua fresca e limpida nella profondità di un pozzo di ustionante sabbia dorata.
Discendendo con lo sguardo nella direzione del versante inferiore del giaciglio, lunghe, affusolate, tornite gambe si concedevano solo parzialmente alla tiepida presenza di quella debole luce, presentandosi appena ripiegate, dolcemente adagiate una sull’altra ed intrecciate, in ciò, alle coperte. Membra vigorose, atletiche, formate nello stesso percorso dei glutei, che pur, come i primi, non sembravano voler rinunciare ad una sensualità di fondo, per quanto non si ponessero incerte nel mostrare, o addirittura nel far vanto, dei numerosi segni lasciati nel tempo dalle sfide affrontate, conseguenze di un’esistenza vissuta audacemente nel contrasto ad ogni genere di pericoli. Quelle cosce, nelle quali ogni uomo avrebbe voluto esser abbracciato, cercando l’estasi del piacere più puro, sicuramente avrebbero potuto, altresì, donare altrettanto facilmente la morte, soffocando senza pietà alcuna un avversario, un nemico, spezzandogli il collo o la colonna vertebrale. Un paradosso, diviso fra il dono della vita e la condanna della morte, quello offerto dalle stesse forme, dallo stesso corpo, che, se possibile, contribuiva ad aumentare ancor il suo fascino, il suo erotismo, rendendo quella predatrice quale la preda più ambita, il traguardo più desiderato.
Risalendo, poi, con lo sguardo nella direzione del versante superiore del giaciglio, il meraviglioso avvallamento donato dalla schiena tornava a richiamare sol pensiero di dolci carezze, di tenui contatti con essa, lasciando immaginare l’entusiasmo di splendidi giochi d’amore con simili curve, di leggeri baci donati da labbra frementi, tanto emozionate da poter negare all’improvviso non solo il respiro ma anche il battito del cuore di colui che a tal risultato fosse riuscito a sospingersi. Le due delicate fossette ad ornare la curva superiore dei glutei, la linea perfettamente marcata a sottolineare l’asse mediano di quel corpo, nonché le scapole, appena emergenti sotto la pelle, sarebbero state valide e amabili ragioni per le quali morire, senza ancor piegarsi di lato ad osservare l’incredibile, abbondante e procace presenza dei suoi seni. Essi, pur compressi contro la superficie del letto, nella postura prona da lei occupata, non avrebbero mai potuto celare la consistenza solida delle proprie forme, meravigliosamente femminili, quasi materne e capaci, non meno rispetto al resto di quel corpo, di ispirare pensieri folli, inebrianti verso di lei: ogni fantasia, ogni sogno sarebbe potuto essere concepito attorno a tali curve, dove anche, in quel momento, non si concedessero pienamente rivelate, non apparissero nella loro completa pienezza, nella ricchezza infinita che avrebbe rappresentato ragione di incredibile entusiasmo per qualsiasi amante.
Ma, a voler ribadire l’antitesi da lei incarnata, fra la vita e la morte, quale contrasto alla meraviglia di quei seni si dimostravano essere le sue spalle, atletiche, forti, vigorose, e le sue non esili braccia, che da quei punti trovavano origine, ripiegandosi dolcemente una sotto il suo capo e l’altra lungo lo stesso corpo. Queste ultime, in particolare, si plasmavano nelle proporzioni di un arto mancino muscoloso, guerriero, ornato da un complesso intrico di tatuaggi tribali in tonalità di azzurro e blu, e in quelle di un arto destro in nero metallo dai rossi riflessi, armatura lì posta quale surrogato, sostituzione artefatta, di quelli che un tempo erano stati il suo avambraccio e la sua mano, perduti in conseguenza di un’ingiusta condanna. Tutta la sua femminilità, quindi, era inevitabilmente e sottomessa ad una natura guerriera, nello sfoggio di tali caratteristiche, nel giungere ad osservar simile parte del suo corpo: ogni incanto prima concesso, ogni sogno prima fomentato, appariva tristemente negato, contrapposto alla realtà dei fatti altrimenti espressa, alla scelta di vita da lei in tal modo compiuta.
E se, ancora, vi fossero potuti essere dubbi nel merito, se ancora fossero potute sorgere incertezze nel merito del destino che ella si era riservata, il quadro concesso dal suo viso, perso fra disordinati capelli corvini, non lunghi e pur non corti nel proprio taglio, avrebbe definito completamente come, pur senza rinunciare al proprio esser donna, non aveva fatto del medesimo la sua ragione di vita, il suo scopo ultimo, preferendo la via della spada, il cammino della lotta. Accanto a un naso cosparso di lentiggini, fanciullesco in simil complesso, a zigomi dolci nelle loro forme, lontane dall’esser appuntite e scavate, ed a labbra carnose, da mordere nel proprio gusto pieno, nella propria essenza più pura, si mostrava, prepotente e inconfondibile, un violento sfregio, una cicatrice eredità di un’antica ferita, uno squarcio aperto su quello stesso volto, in corrispondenza del suo occhio sinistro, donatole salvo, in ciò, per puro miracolo. Alcuna donna avrebbe mai sopportato tale marchio, avrebbe mai trovato la forza d’animo necessaria a mantenere visibile quella ferita, arrivando a farne, addirittura, un vanto, una memoria da non cancellare, da non rinnegare, neppure avendone la possibilità: ella, al contrario, dove aveva pur avuto occasione di rimediare a tale orrore, così come alla perdita infame del proprio braccio destro nel possibile intervento risanante di una leggendaria fenice, aveva preferito non mutare la propria condizione, non eliminare quelle menomazioni, consapevole del fatto che, agendo in tal senso, avrebbe, forse, smarrito anche una parte di sé, della propria storia e, in ciò, del proprio futuro.

Limitando la propria attenzione ad un mero piano fisico, soffermandosi solo su quel corpo, senza pur incedere nel conoscerne il carattere, la psicologia, chiunque avrebbe potuto già comprendere come ella non si sarebbe mai proposta quale una semplice compagna, un’amante come altre, con la quale trascorrere poche ore o, anche, una vita intera senza porre in gioco un assoluto impegno di mente, cuore, anima e corpo, nel rapporto con lei, nel confronto con una situazione completamente fuori dal comune. E per quanto bramabile sarebbe potuto essere quel corpo, per le sue numerose ed apprezzabili virtù, per la sensualità di cui esso era pur evidentemente intriso, per l’erotismo che da ogni sua membra indubbiamente traspirava, solo pochi uomini, sobri e completamente coscienti, avrebbero osato sospingersi a tentare un qualsiasi approccio nei suoi confronti, intuendo senza fatica come tale scelta avrebbe potuto incarnare un desiderio suicida ancor prima che una fantasia d’amore.
Nonostante ciò, nel corso del tempo qualche impavido, tenace e sincero nel proprio intento d’amore al punto da non temere il prezzo di quella pericolosa scommessa, era riuscito a conquistarsi uno spazio nel cuore di quella donna guerriero, della leggenda vivente conosciuta con il nome di Midda Bontor, come la fortunata presenza di colui con il quale in quel momento ella stava dividendo il proprio letto avrebbe chiaramente dimostrato, avrebbe offerto evidente ed incontestabile riprova.

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