11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

giovedì 30 settembre 2010

993


A
lcuna ulteriore risposta fu proposta dall’uomo verso la propria seconda moglie, nella consapevolezza di quanto insistere a tal riguardo sarebbe stato solo una vana perdita di tempo e di fiato. E, in verità, addirittura immobile, oltre che ormai privo di ogni altra eventuale volontà di dialogo, egli permase innanzi a lei, almeno sino a quando ella non si allontanò da lui, rinunciando a impegnarsi ulteriormente in quel confronto nel quale gli era così stata riconosciuta quieta vittoria.

Solo qualche istante dopo l’uscita di Duva dall’ambiente che avrebbe potuto essere considerato l’ufficio del capitano della Kasta Hamina, all’interno del quale egli era solito cercare estraneazione dall’universo a sé circostante quando necessario, in pratica uno stanzino dalle proporzioni quasi claustrofobiche inizialmente concepito quale una specie di sgabuzzino, Lange Rolamo, sembrò ritrovare una qualche ragione di animazione, muovendosi lentamente, con flemma quasi, allo scopo di aprire un cassetto della propria scrivania ed estrarre dal medesimo un paio di cornici d’argento, lì usualmente celate allo sguardo, nascoste alla vista, e pur mai allontanate, in conseguenza di ciò, dal proprio cuore, guidandole sino a posizionarsi accanto a una terza loro compagna, altresì già presente su ripiano dello stesso scrittoio.
Tre cornici per tre foto: tre foto per le tre donne protagoniste della sua vita. E, nel loro confronto, i suoi occhi divennero subito lucidi, la sua gola sì serrò al punto tale da soffocarlo, quale ineluttabile conseguenza dell’emozione, dell’enfasi dei sentimenti, che non poterono, né mai sarebbero potuti, essere negati, risalendo dal profondo del suo petto e costringendolo a coprirsi le labbra con il dorso della mano destra, quasi attraverso di esse sarebbe potuto altrimenti fuggire il suo stesso cuore.

« Dannazione… » gemette, a denti stretti.

Kasta era stata la prima: il suo grande amore, la donna che, ai suoi occhi ancora giovani e, forse, inesperti nel confronto con la vita e le sue severe regole, aveva incarnato in sé ogni dote, ogni qualità, ogni pregio e che, nella propria prematura dipartita, era ascesa a un ruolo etereo, addirittura quasi divino. Ella era dolcezza, bellezza, grazia, e pur, anche, sensualità, erotismo, passione, proponendosi quale la personificazione della femminilità più classica, di quel genere di ideale di donna tipico di antiche ballate, proprio delle principesse delle fiabe più classiche e delle grandi epiche, quel genere di icone per le quali si sarebbe affrontato qualsiasi pericolo, si sarebbe sfidato qualsiasi mostro, si sarebbe combattuta qualsiasi guerra. Ben diverso era, in tutto ciò, nel suo modo d’essere e di agire rispetto a Duva, nel proporsi priva della medesima carica guerriera, della sua aggressività, e, nonostante questo, non più debole, non seconda rispetto a lei sotto alcun aspetto, nel dimostrarsi, ove possibile, addirittura più forte, più coraggiosa di lei proprio in conseguenza della sua intrinseca fragilità.
In effetti, dal suo personale punto di vista, il comportamento della sua seconda moglie, protagonista della seconda cornice lì ora esposta, non era divenuto di tanto difficile gestione in diretta conseguenza al suo terzo matrimonio e all’ingresso nell’equipaggio della Kasta Hamina della sua nuova compagna, dal momento in cui era sempre stato così ironico, spesso sarcastico e mai accomodante, anche nei primissimi giorni della loro relazione, all’origine del loro amore. Probabilmente, addirittura, era stato proprio in virtù della tenacia da lei dimostrata, della sua fermezza nelle proprie posizioni, nei propri principi, nelle proprie idee, che ella era riuscita a incuriosirlo, prima, irretirlo, poi, e conquistarlo, alfine, infrangendo con energia, con determinazione, il guscio entro il quale egli aveva cercato rifugio dopo la perdita della sua amata Kasta e del primogenito mai purtroppo conosciuto. Duva era sempre stata, ed, egli sperava, sempre sarebbe rimasta, una forza della natura, incapace di concepire l’idea stessa di limite, di confine, e dotata di sufficiente carisma per potersi permettere tale indifferenza verso ciò che per chiunque altro, usualmente, sarebbe stato un salto nel vuoto, un balzo verso l’ignoto, e solo un folle non sarebbe potuto essere attratto da lei, vittima di quella stessa malia, per quanto insana, tipica di una falena nel confronto con le fiamme.
In un simile panorama, colei che, per indubbio diritto matrimoniale, possedeva in quel momento il posto d'onore sulla sua scrivania, Rula, avrebbe probabilmente potuto essere giudicata, dai più, quale un semplice pezzo da collezione, un nuovo, e più giovane, giocattolo da lui scelto per pur sfizio personale, così come, senza troppi giri di parole, era appena stata additata essere. Impossibilitata a qualsiasi confronto tanto con Kasta, quanto con Duva, non possedendo né le eteree doti della prima, né le qualità guerriere della seconda, la giovane poco più che ventenne, con il proprio sincero sentimento verso di lui, era stata comunque in grado di compensare il vuoto lasciato nella sua vita dopo la morte dell'una e il divorzio con l'altra, con dimostrazione di incredibile coraggio e maturità non comuni, non solo accettando con assoluta tranquillità l'idea di non essere la prima compagna di un uomo con più del doppio dei suoi anni sulle spalle, ma, anche, non disapprovando neppure il pensiero di dover essere destinata, a tempo indefinito, a condividere comunque l'attenzione del proprio sposo con la sua precedente moglie, ove questa, per il proprio ruolo a bordo della Kasta Hamina e la propria comproprietà della medesima, non sarebbe di certo uscita tanto rapidamente dalla sua vita. Proprio in ciò, Lange non riusciva a evitare di ammirare, e amare, anche la giovane Rula, ringraziandola, giorno dopo giorno, per quanto, dopotutto, stava riuscendo a compiere nella sua vita.

« … sono ancora capace di amare… o mi sto solo illudendo di saperlo fare?! » sussurrò, a completamento della precedente imprecazione, ora osservando le tre cornici e, ciò nonostante, non rivolgendo la propria attenzione alle foto custodite al loro interno, quanto, piuttosto, al riflesso presente sulla superficie di tutte e tre… la propria immagine.

Il volto che il capitano della Kasta Hamina si ritrovò così a osservare fu quello di un uomo decisamente maturo, al quale difficilmente sarebbe potuta essere attribuita un'età inferiore a quella effettivamente propria in conseguenza di uno sguardo particolarmente superficiale. Nonostante una folta chioma ancora coprisse ogni punto del suo capo, senza offrire segno alcuno di calvizie incipienti così come un taglio sufficientemente corto non avrebbe mai potuto celare, e un altrettanto folta barba ne ornasse il volto, il grigio ormai più prossimo al bianco che al nero proprio di tale presenza non avrebbe mai potuto concedergli una qualche parvenza di gioventù, al contrario persino invecchiandolo più del dovuto. Al centro di tale, brizzolata cornice, tuttavia, due profondi occhi completamente neri avrebbero negato ogni ipotesi di vecchiaia, ogni erronea supposizione nel merito di una sua qualche eventuale debolezza conseguente a un'energia per lui non più propria, nel mostrare, al contrario, senza timidezza alcuna, una luce decisa, audace ed estremamente carismatica. Caratteristiche, quelle proprie di tali occhi e delle emozioni da essi così trasmesse, capaci di trasformare quel volto dalle forme comunque non completamente svelate, in conseguenza della presenza della stessa barba, in un affascinante quadro di virilità, di fronte al quale difficilmente una donna avrebbe voluto sottrarsi. Riflettendo, poi, l'irriverente mascolinità propria di quello sguardo, il suo corpo non avrebbe potuto dispiacere, né mai aveva dispiaciuto, un'eventuale attenzione femminile, mostrandosi ancora, nonostante il traguardo dei cinquant'anni fosse ormai stato superato, quale perfettamente formato, gradevolmente proporzionato nelle misure a lui riservate da un continuo allenamento, da una vita trascorsa, nonostante il proprio ruolo a bordo della sua nave, non in uno stato di indolente ozio, quanto di attivo comando, schierandosi, quando necessario, per qualsiasi genere di impresa, sempre in prima fila davanti a tutti i suoi uomini.
Nel confronto con una simile presenza, non difficile sarebbe stato accettare l'idea di ben tre matrimoni a suo carico, in ogni occasione con donne sempre giovani, sempre dotate di indubbia bellezza e viva intelligenza, nonostante il suo costante e irrefrenabile avanzamento verso la vecchiaia. Tuttavia, proprio simile constatazione, tale pensiero, era quello che pur tormentava il suo animo in occasioni quali quella, lasciandolo indubbio sulla sua effettiva capacità ad amare e, in ciò, sulla misura entro la quale avrebbe mai potuto considerare meritato l'affetto e l'amore di cui donne come Duva o Rula lo investivano.

mercoledì 29 settembre 2010

992


P
arole dure quelle così adoperate, che risuonarono trasparenti in maniera estremamente chiara e diretta di tutto il sentimento di tradimento da lei vissuto. Un acuto e intimo dolore frutto non tanto del confronto con l'idea che il suo ex-marito si fosse nuovamente sposato con chi da lei definita con tali termini tutt'altro che elogiativi del suo intelletto o del suo carattere, questione con la quale, nel bene o nel male, era scesa a patti già da tempo, quanto, piuttosto, del pensiero che il suo capitano si stesse rifiutando di agire per una causa da lei, e potenzialmente da chiunque, giudicata giusta e legittima per una semplice questione d'orgoglio e non per un qualche sostanziale impedimento a muoversi in tal senso.
In effetti, quando i "nuovi" iniettori della Kasta Hamina li avevano abbandonati ancora una volta alla deriva nello spazio, essi erano purtroppo mancati all'appuntamento prefisso con i propri clienti, ragione in conseguenza alla quale tutta la mercanzia, di cui si erano fatti carico per loro conto, aveva improvvisamente perduto ogni proprio precedente valore, risultando, per loro, un'indebitante zavorra che solo in grazia di un qualche miracolo, di un'improponibile benevolenza divina sarebbero, un giorno, riusciti a rivendere altrove. Alcuna scusa, neppur di ordine meramente formale, avrebbe pertanto potuto trattenere la Kasta Hamina dal porsi sulle tracce del gruppo di nero vestiti loro fuggito, almeno sino a quando le medesime avessero potuto essere ancora identificate e seguite: non il pensiero di un cliente insoddisfatto, non l'ipotesi di una perdita di ordine economico, quindi, ma neppure il timore per la sfida lì loro presentata, dal momento in cui, abitualmente, quel piccolo equipaggio si proponeva solito ricercare potenziali rogne per molto meno, per questioni anche meno gravi di quella così lì presentata. E, nella consapevolezza di ciò, il risentimento del primo ufficiale verso il suo capitano, nonché della donna verso il proprio ex-marito, non avrebbe potuto evitare di imporsi con forza alla di lei attenzione, sul suo cuore e suo animo, dandole ragione di compiere anche gesti molto peggiori di quanto sarebbe mai potuto essere un eventuale ammutinamento.
Comprendendo allora, proprio innanzi a simile avvertimento, poiché qual tale, dopotutto, avrebbe potuto essere valutato, il proprio errore, l'eccesso ingiustificato di arroganza che, in quell'occasione, egli aveva scioccamente destinato nei confronti della donna sua interlocutrice, Lange volle subito prestare ammenda, nel non voler assolutamente veder compromesso il loro rapporto, il loro affetto, per un proprio stupido e vanaglorioso orgoglio maschile.

« E sia. » acconsentì, esprimendo in sì poche sillabe quanto un'infinità di parole non sarebbe stata in grado di presentare in maniera altrettanto adeguata, sufficientemente meritevole di attenzione al pari di quel pur breve, quieto assenso « Mentre tu ti intratterrai in infermeria per cercare di porre rimedio agli effetti della violenza dei colpi dell'avversario con il quale hai deciso di divertirti al punto tale da porre in dubbio il tuo bel profilo, io darò ordine di lasciare l'orbita del pianeta al fine di seguire la rotta intrapresa da questo gruppo di delinquenti. » confermò egli, esplicitando una parte di quanto prima riassunto.

Finalmente accontentata, nei propri desideri, da quelle ultime affermazioni, Duva non poté che quietarsi, in un primo momento, annuendo con non celata soddisfazione e, subito dopo, persino riscoprendo un certo sentimento di imbarazzo, nel rendersi conto della propria, giustificabile, durezza, in conseguenza alla quale, probabilmente, il suo interlocutore aveva silenziosamente accusato spiacevole colpo. Un umano disagio, il suo, che non poté tuttavia evitare di essere pesantemente rimarcato, a ragion veduta, dalla successiva richiesta del proprio capitano ed ex-marito, rivolta, allora, non più alla questione per la quale ella si era lì battuta, quanto, piuttosto, ai modi da lei resi propri per raggiungere il proprio scopo, il proprio obiettivo così pur conquistato.

« Ove, però, anche il mio comportamento abbia da riservare delle scuse verso di te, per la leggerezza con cui posso aver inizialmente affrontato questo problema, pretendo… » proseguì egli, rimarcando con il tono della propria voce il verbo così scelto per esprimersi nel merito di quella problematica « … pretendo che, in futuro, esattamente come è sempre stato in passato, i nostri scontri si mantengano all’interno di un contesto privato e personale, nel quale non vengano ingiustamente coinvolte terze persone, soprattutto nel ricorso a termini assolutamente fuori luogo, nonché particolarmente sgradevoli. »

Il riferimento alla base di quelle parole, ovviamente, era da ricercarsi nell'attacco verbale scatenato da Duva a discapito dell'innocente Rula Taliqua, lì, effettivamente, tirata in causa senza alcuna ragione se non per semplice desiderio d'offesa verso di lei e verso l'uomo che l'aveva scelta qual propria sposa, in quella che non sarebbe potuta essere ricordata quale una fra le prese di posizioni più diplomatiche che ella avesse mai fatto proprie. Dopotutto, qualunque fosse l'oggetto di confronto, di litigio, fra i due, solo sciocco e infantile sarebbe stato ricorrere a simili argomentazioni per difendere le proprie posizioni o, peggio ancora, tentare di demolire quelle avversarie, dal momento in cui, ove pur eventualmente capaci di poter, come in quel caso, forzare la mano agli eventi sino alla loro naturale risoluzione, non avrebbe però mancato di avvelenare i cuori dei due contenenti, colmandoli di un reciproco risentimento, assurdo nella propria stessa essenza e, ancor più, persino pericoloso, dal momento in cui, in virtù del medesimo, tutta la Kasta Hamina e il suo equipaggio avrebbero potuto pagarne caro pegno.

« Ancor prima di recarmi in infermeria, mi assicurerò di presentare le mie più sincere scuse alla tua attuale compagna… » dichiarò ella, assumendosi in ciò piena responsabilità per quanto occorso « Se anche, come ben sai, io non sia mai stata capace di dedicarle particolari momenti di ammirazione o di affetto, quanto dici è corretto e solo vergogna potrebbe ricadere su di me se non invocassi in maniera esplicita il suo perdono, dal momento in cui ella è stata qui coinvolta qual vittima innocente in termini non dissimili da quanto subito dalla moglie di Beri Vemil, per la salvezza della quale mi sono spinta a sostenere questo litigio. »

Alcun gesto di maggior pentimento, di miglior buona volontà, sarebbe allora potuto essere ipotizzato da parte di Duva nella volontà di riappacificazione con Lange, dal momento in cui, quest’ultimo, era ovviamente e perfettamente consapevole dell'estrema difficoltà propria di lei, in quanto sua ex-moglie, ad accettare l'idea dell'esistenza di una propria erede, o, forse "sostituta", al suo fianco. Al di là di ogni possibile ironia e sarcasmo, di ogni eventuale battibecco e diatriba, di ogni discussione e litigio, proprio in tale atto concreto, in simile gesto, lì ancor solo proposto, ancor prima che operato, sarebbe potuto essere risaltato l'affetto sincero e prepotentemente forte ancora esistente fra i due, e, nella fattispecie propria di quella particolare situazione, da parte di lei verso di lui, dato che, in caso contrario, mai una tale presa di posizione avrebbe avuto il benché minimo senso, nel non poter giustificare la necessità di un simile gesto, di scuse in soccorso a chi neppur avrebbe forse mai saputo il ruolo involontariamente ricoperto all'interno dei loro discorsi.
Motivo per cui, l'uomo si sbilanciò, alfine, in un sorriso appena accennato, in una lieve increspatura dell'estremità delle proprie labbra, a dimostrare la propria approvazione per tutto ciò, per tanta disponibilità ora così offerta in una comune volontà pacificatoria.

« Innanzitutto preoccupati di non mancare all'appuntamento con l'infermeria. » suggerì egli, a minimizzare ora l'urgenza della necessità di un tal gesto, nel mal celare, in tale definizione di priorità, quanto anche da propria parte non fosse venuto meno l’affetto per lei « Dopo che le tue ferite avranno superato l'esame del nostro medico, allora avrà senso procedere lungo questo cammino di riconciliazione… non prima. »
Ma fu proprio in quel momento, in nuova e definitiva risposta a tali parole, di quell'intervento che pur avrebbe potuto essere giudicato conclusivo di ogni discussione fra i due, che Duva decise di riservare qual propria la possibilità di un'ennesima, e sempre nuova, possibilità di contrasto con il proprio interlocutore, nell'insistere in contrasto alle sue parole a titolo del tutto gratuito: « Ho detto che le riserverò le mie scuse prima di passare dall'infermeria… e così sarà. » sancì, con implicita aria di sfida verso di lui « E' meglio per me, infatti, approfittare della debolezza fisica e psicologica conseguente a tutto questo, prima di scoprire di non essere ulteriormente in grado di ottemperare a un tale impegno! » puntualizzo, sorridendo sorniona.

martedì 28 settembre 2010

991


« M
aledizione! » borbottò fra i denti il capitano della Kasta Hamina, Lange Rolamo, non permettendo a nessuno di intendere di aver formulato simile imprecazione, come, in effetti, era da sempre sua abitudine fare, nel trattenere per sé ogni segno di malcontento anche nelle situazioni peggiori, qual conseguenza della personale convinzione che un capitano non potesse essere padrone neppure dei propri sentimenti, delle proprie emozioni, e che, in ciò, dovesse sempre dimostrarsi solidale con la propria nave, freddo e inespressivo, controllato e razionale, là dove, in caso contrario, sarebbe stato più d'intralcio che di utilità al proprio equipaggio « Maledizione, Duva! » ripeté, ora con tono perfettamente distinguibile, nel modo in cui solo si offriva concessione nei confronti del proprio primo ufficiale, l'unica fortunata destinataria dei suoi rari momenti di sfogo.
« Mi onora la preoccupazione che lei sta dimostrando nel merito delle mie condizioni, capitano… » ironizzò la donna per tutta risposta, nel restare in piedi d'innanzi a lui, ancora priva delle pur necessarie cure mediche che sarebbero altresì state più che gradite, ad arginare i danni a lei inflitti nel corso della scontro del quale era stata volontaria protagonista « La prego, tuttavia, di tranquillizzarsi: non è poi così grave come sembra. »
« Stolido io a lasciarmi convincere ad affidare un incarico tanto semplice a te e alla tua degna socia. » insistette egli, mordendosi il labbro inferiore con forza sufficiente a farlo lievemente sanguinare, nel cercare di costringersi a ritrovare la calma perduta « E' mai possibile che non siate in grado di porre piede a terra senza scatenare una mezza guerra con chiunque vi capiti a tiro? » domandò poi, inspirando ed espirando lentamente, nella volontà di controllare i propri toni e di recuperare emotivo distacco dalla questione ora in discussione « Avevate il compito di farvi sostituire gli iniettori difettosi. Non quello di accettare una missione in contrasto a… chi?! A chi, per grazia divina, dovremmo offrire battaglia, secondo il tuo illuminato avviso? »
« Gli iniettori li abbiamo ottenuti. Così come anche il risarcimento per quello spiacevole scherzo… » precisò ella, aggrottando la fronte ancora sporca del proprio sangue, ormai lì parzialmente incrostato « E non per grazia divina, quanto, piuttosto, per ignominia umana, è nostro dovere morale offrire battaglia a un gruppo di rapitori. » puntualizzò, nel merito della seconda parte dell'affermazione del proprio interlocutore.
« Si da il caso che il capitano della nave sia io… e, in quanto tale, dovrei essere io a decidere quali possano essere considerati nostri "doveri morali" e quali no. » negò l'uomo, tagliando l'aria innanzi a sé con un movimento orizzontale della propria destra, a supporto della propria ultima asserzione « O vogliamo ridiscutere nel merito di chi sia l'ufficiale superiore in questa stanza?! »
« Tesoro… tu potrai essere l'ufficiale superiore, ma metà di questa nave, che ti piaccia oppure no, mi appartiene. E' stata pagata da me e questo, come ben sai, mi concede ogni diritto di cui tu ti voglia far unico detentore. » replicò la donna, ora non rivolgendosi più all'uomo nel ruolo di primo ufficiale, quanto, piuttosto e meno gradevolmente, almeno per lui, in qualità di ex-moglie « E sino a quando ciò non cambierà… ovvero mai, io avrò tutta l'autorità per decidere se è il caso o meno di rischiare le nostre vite in qualsiasi stupida azione di salvataggio che più mi aggradi. »

Chiunque si fosse ritrovato ad ascoltare un simile dialogo, e non avesse avuto precedente occasione di confidenza con i protagonisti del medesimo, avrebbe potuto supporre, a ragion veduta, che la durezza di quel confronto avesse da considerarsi quale evento straordinario, fuori dal comune, forse, e addirittura, conseguenza ancor più delle pessime condizioni in cui ella aveva fatto ritorno a bordo della nave che, in effetti, dell'incarico così votato qual proprio senza alcuna preventiva consultazione con lui. In verità, tuttavia, tali discussioni, simili litigi, non avrebbero potuto essere valutati quali esterni alla norma, là dove, sostanzialmente, nel momento in cui uno di essi non occorreva almeno ogni settimana vi sarebbe potuta essere ragione di preoccupazione nel merito dello stato di salute della coppia di ex-coniugi.
Diametralmente opposti quali il giorno e la notte, la luce e l'oscurità, quella donna e quell'uomo offrivano continuamente, al proprio equipaggio, scene del tutto equivalenti a quella ora in corso, sebbene entrambi si illudessero che il resto degli uomini e delle donne della Kasta Hamina non fossero effettivamente coinvolti, neppur nel ruolo di semplici spettatori, in quelle spiacevoli diatribe, che occorrevano con una costanza tanto invidiabile tale da rendere paradossale l'idea che, in un qualche tempo passato, essi potessero essere stati addirittura sposati insieme, quali, invece, erano pur stati per ben sette anni. Sfortunatamente per entrambi, del periodo del loro matrimonio, oltre a un sempre e reciprocamente negato affetto di fondo, un importante vincolo ancora esistente era concretamente rappresentato dalla stessa Kasta Hamina, la nave cargo di classe libellula sì battezzata con il nome della prima moglie, prematuramente deceduta, dello stesso Lange, e pur acquistata e riarmata solo grazie a un comune impegno economico, in conseguenza al quale entrambi avrebbero potuto vantare gli stessi diritti su di essa. Diritti in nome dei quali, alcuno fra i due avrebbe mai ceduto il controllo assoluto della nave all'altro, ove anche ciò avrebbe significato un'assurda coabitazione forzata a bordo della medesima, della quale, per comune accordo, ricoprivano formalmente il ruolo di capitano e di primo ufficiale.

« Non puoi giungere ogni volta a questo assurdo ricatto. » la rimproverò egli, osservandola con cupo cipiglio « Così facendo manchi di rispetto ai nostri patti, alle regole che ci siamo imposti a riguardo della gestione della nave e della responsabilità sulle vite in giuoco insieme a essa. »

In verità, nonostante i propri continui, e probabilmente più rituali che concreti, scontri con la propria seconda moglie, Lange non avrebbe potuto essere considerato un cattivo uomo o un cattivo capitano.
Superata la cinquantina, Lange Rolamo aveva vissuto molte avventure nella propria vita, alcune piacevoli, altre estremamente dolorose, che lo avevano segnato nel profondo del proprio animo molto più di quanto non fosse solito lasciar trasparire o, ancora, non fosse abituato a riconoscere a se stesso. Imbarcatosi su una nave stellare per la prima volta a dodici anni, sposatosi a venticinque, divenuto primo ufficiale a ventisette, egli era purtroppo rimasto vedovo a trenta, a pochi mesi dalla nascita del suo primogenito. In conseguenza a un tremendo scontro armato fra la nave ove egli prestava servizio e due navi di predoni chimere, infatti, quasi la totalità dell'equipaggio incontrò una prematura fine: fra essi, sciaguratamente, ebbe da essere conteggiata anche la dolce Kasta, la cui prematura dipartita lasciò Lange, uno fra i pochi superstiti, inevitabilmente sconvolto. Solo cinque anni più tardi, un lustro nel corso del quale egli aveva rifiutato qualsiasi contatto con l'universo intero, oltre che con il mondo a sé circostante, riducendosi a sopravvivere quale eremita, l'incontro con l'allora ventenne Duva Nebiria gli offrì inaspettatamente una nuova ragione di vita, riportandolo ben presto a solcare i venti solari a bordo di una nuova nave… la Kasta Hamina.
Il matrimonio fra Duva e Lange, qual conseguenza a dir poco ovvia, naturale, di un'intesa straordinaria fra due animi pur incredibilmente diversi, fu celebrato sul ponte della nave nel giorno stesso del suo varo, dopo oltre trentotto mesi nel corso dei quali la coppia aveva lavorato a stretto contatto per donare nuova vita a un relitto sul quale nessuno avrebbe mai scommesso un singolo credito. Il loro successivo divorzio, inaspettato ed, effettivamente, persino mai compreso nelle proprie ragioni, nelle proprie cause, da alcuno fra coloro che li conoscevano, venne altresì firmato dopo altri sette anni, quasi in contemporanea a quello che sarebbe potuto essere il decimo anniversario dal giorno del loro primo incontro. Una separazione concordata, la loro, che li ritrovò comunque a essere divisi solo a livello legale, ancor prima che emotivo o pratico, dal momento in cui, a prescindere dalla natura del loro rapporto personale, i due furono costretti a continuare a frequentarsi con la stessa quotidianità che li aveva contraddistinti negli anni precedenti, nei rispettivi ruoli di proprietari della nave e, in questo, di comandanti della stessa.
In molti, in verità, avevano sperato che il loro divorzio sarebbe stato presto giudicato un'idiozia da ambo le parti, portando i due a riunirsi, a riscoprirsi esattamente così come già avevano compiuto in passato. A complicare una situazione tutt'altro che semplice, però, meno di altri cinque anni più tardi, quando ormai Lange stava per raggiungere la cinquantina, era stato l'incontro con la quasi ventenne Rula Taliqua, la quale conquistò in maniera sorprendentemente rapida il ruolo di sua terza moglie.

« Mi dispiace se il fatto che io sia stata quasi massacrata a pugni nel mentre in cui la moglie innocente del nostro pur meschino commerciante stava venendo rapita, possa essere da te giudicato quale una mancanza di rispetto ai nostri accordi. » commentò ella, con triste sarcasmo, storcendo le labbra ancora martoriate dai colpi subiti verso il basso « Evidentemente tutto ciò di cui senti bisogno per essere in pace con te stesso è quanto quell'oca bionda riesce a offrirti in camera da letto. Per me, però, non è così… e, che ti piaccia o no, utilizzerò tutti i più subdoli mezzi in mio possesso per prendere il controllo di questa nave, nel momento in cui tu dovessi rifiutarti di comandare l'inseguimento di quei cani maledetti. »

lunedì 27 settembre 2010

990


« P
er quale assurda ragione voi altri mancate sempre del giusto senso della misura? » domandò ella, rivolgendosi in simili termini indubbiamente alle proprie violente controparti, e pur, in tal modo, desiderando interrogare, più in generale, qualsiasi proprio passato avversario « Non credo che sarebbe stato di vostro gradimento se io fossi qui sopraggiunta sospinta unicamente dalla bramosia per il vostro sangue… »

Quell'ultimo commento, indubbiamente più rivolto al faceto che al serio, sarebbe potuto essere considerato formalmente incluso del, sino a quel momento breve, elenco di interventi non esplicitamente destinati a ricercare scherno in contrasto ai propri avversari, quanto, piuttosto, a ridurre una situazione apparentemente priva di uscita a una dimensione umana, tale da permetterle di non considerasi già qual spacciata, ma, nonostante tutto, di analizzare con sufficiente distacco emotivo la problematica attuale per come lì spiacevolmente presentata e sperare, in ciò, di riuscire a individuare una qualche via di uscita dalla medesima. Nel prendere rapidamente al vaglio tanto le proposte più fattibili, ma al tempo stesso prive di reale speranza di successo, quanto quelle più assurde, paradossali, Duva spinse fuggevolmente il proprio sguardo all'indietro, verso la coda del veicolo presente alle proprie spalle, nel non voler ovviare al pensiero, per quanto suicida, di ricercare salvezza scaraventandosi di propria iniziativa al di fuori del mezzo, ancora in movimento ad alta velocità a diversi piedi di altezza da terra.
Fu proprio in virtù di un esame tanto assurdo e azzardato, in effetti, che ella riuscì, allora, a focalizzare la propria attenzione su la più folle, e pur migliore, possibilità di fuga che avrebbe mai potuto sperare di ritrovare, accogliendo simile silente annuncio, tale gradita scoperta, con un amplio sorriso tale da far rilucere il suo volto ove anche spiacevolmente massacrato dai pugni lì sopra rivolti senza freno, senza la benché minima esitazione, quanto, peggio, con un'intrinseca brutalità quasi animalesca.

« Ehy… » sussurrò uno dei nero vestiti, nell'osservare tale reazione e nell'intuire il significato della medesima per quanto esso apparisse allora totalmente privo di senno, qual solo sarebbe stato scegliere il suicidio come soluzione all'esser assassinati « … non vorrà davvero…? »
« Dato che, comunque, ero un'imbucata, nel confronto con tanto astio non vedo ragione per trattenermi qui oltre. » si concesse di commentare la donna, quasi a voler concedere risposta a tale dubbio o, forse, a voler rivolgere un saluto alla compagnia, prima di scattare, con un felino balzo, oltre il bordo del veicolo a lievitazione magnetica un attimo prima che gli altri potessero aprire il fuoco in suo contrasto « Del resto, come festa, non era poi così ben organizzata come mi ero illusa… » soggiunse, immancabilmente sarcastica, nel mentre in cui si ritrovò a confronto con il vuoto, prima, e con l'immancabile attrazione di gravità, subito dopo, innanzi alla quale, privata del supporto di un veicolo a lievitazione magnetica.
« E' veramente pazza! » esclamò la giovane da lei poc'anzi colpita al volto, abbassando con sguardo stupito la propria arma laser nel vedere l'avversaria svanire nel nulla, così condannatasi a morte.

Effettivamente forsennata, in conseguenza alla scelta lì abbracciata, non avrebbe potuto evitare di essere giudicata la donna dagli occhi dorati, ove anche fra una morte certa e una possibilità, pur effimera, di salvezza, ella aveva istintivamente votato in favore della propria sopravvivenza.
Una valutazione, quella da lei così compiuta, che, in verità, avrebbe potuto ottenere maggiore e persino condivisibile giustificazione nel confronto con la stessa immagine in virtù della quale ella aveva allora deciso in tal senso, immagine in grazia della quale le sue probabilità nel confronto con la speranza di un domani erano improvvisamente passate da praticamente nulle a quasi nulle, in un'impercettibile miglioramento che, tuttavia, fu sufficiente a forzare la sua mano in tale direzione: l'immagine di un'altra moto a lievitazione magnetica lì condotta niente poco di meno che dalla sua cara amica Midda Bontor!

« Ehylà… » esordì la voce della mercenaria, nel momento in cui accolse, con un'abile manovra, la compagna di ventura sopra al proprio veicolo, in un impatto comunque sufficientemente energico da sospingere entrambe quasi a contatto con il suolo sotto di loro « Passavo di qui per caso e mi è parso potessi avere bisogno di me… »

Al termine di un brevissimo volo in verticale di pochi piedi, altresì definibile qual caduta vertiginosa, infatti, Duva Nebiria raggiunse quella propria folle, e pur migliore, possibilità di fuga fortunatamente individuata quando messa alle strette all'interno del veicolo dei propri avversari, ricadendo sulla parte posteriore della medesima forse senza la grazia che pur avrebbe potuto rendere realmente epico e spettacolare quell'improvvisato trasbordo, e, pur, con sufficiente precisione da non sbalzare rovinosamente oltre simile obiettivo, definendo, in tal modo, una prematura, sfortunata e, persino, ridicola fine a quell'avventura che ella era solita definire "vita".

« Se solo tu fossi un uomo, in questo momento potrei anche innamorarmi di te! » sorrise, cercando di trovare una posizione migliore a cavallo del mezzo, sì lieta di esser ancora padrona del proprio domani da scordare, persino, i colpi subiti e, peggio ancora, l'onta di una tanto precipitosa fuga dai propri avversari « Perfetto tempismo! »
« Thyres… guarda un po' che bel lavoretto ti hanno fatto. » imprecò la donna guerriero, nel voltarsi appena verso di lei per assicurarsi che fosse tutta intera, e nel rilevare, in ciò, le pessime condizioni in cui riversava il suo viso insanguinato « Mi hai ripetuto un sacco di volte di non accettare passaggi dagli sconosciuti e ti fai ritrovare diretta chissà dove insieme a chissà chi?! » la rimproverò, con fare ironicamente serio, scuotendo il capo in segno di biasimo per la delusione di quel comportamento « Mi spiace, ma credo proprio che dovrò andare a scambiare quattro chiacchiere con i tuoi amichetti… »
« Se proprio lo desideri… » sospirò con enfasi volutamente esasperata, quasi a dimostrarsi contrariata dalla presa di posizione della compagna a tal riguardo, nel supportare, in ciò, lo scherzoso rimbrotto così dedicatole, quasi fosse una ragazzina sorpresa a violare i termini di una imposizione materna.

Nonostante quel voto in favore della rivalsa avesse trovato, fra loro, assoluta unanimità, il veicolo a lievitazione magnetica da loro inseguito non poté esser raggiunto, dal momento in cui, dopo pochi istanti, si ritrovarono entrambe a rovinare, in maniera del tutto inattesa, spiacevolmente al suolo, insieme alla loro moto. A rendere ancor peggiore, se possibile, tale sconfitta, purtroppo, alla base di tale inatteso sviluppo non poté neanche essere considerato un qualche intervento da parte dei loro avversari in loro esplicito contrasto, un attacco da parte di quelle pur pericolose armi laser, in conseguenza del quale il loro motore era stato compromesso o uno dei loro tre dischi magnetici era stato distrutto, causando, pertanto, quel loro sgradito atterraggio di emergenza, dal momento in cui, come apparve immediatamente e grottescamente evidente, la sola responsabilità per simile risvolto, in verità, avrebbe dovuto essere addotta al loro stesso sodale meccanico, alla loro stessa moto.
Il mezzo di trasporto, scelto da Midda all'interno della stessa ristretta varietà già presa in esame da Duva, infatti, forse in conseguenza dello sforzo richiestogli per raggiungere quel traguardo in tempo utile a intervenire in aiuto dello stesso primo ufficiale, o, forse, in semplice e prevedibile esito di una assoluta mancanza di manutenzione utile a mantenerlo in regolare efficienza, subito dopo l'arrivo della seconda passeggera non riuscì più a sorreggere il proprio pur leggero equipaggio, perdendo energia e quota in maniera al contempo drammatica e ridicola, destinando se stesso, e le due donne sopra di sé, a un violento impatto con il terreno sabbioso sotto di loro.

« Maledizione! » ringhiò a denti stretti la donna guerriero, quando comprese l'ineluttabilità di quel fato, l'impossibilità impostale forse dagli dei a raggiungere coloro che aveva indicato quali propri antagonisti, in un'esclamazione forse neppur rivolta in contrasto alla moto che, in tal modo, le stava tradendo, rinnegando, nel rifiutare loro la propria collaborazione nel momento in cui sarebbe stata più necessaria, quanto, piuttosto, a tutta l'assurda tecnologia di cui quella realtà era colma e, nel confronto con la quale, le ragioni di entusiasmo, dal suo punto di vista, avevano sempre seguito di pari passo quelle di delusione.

domenica 26 settembre 2010

989


« M
ia cara… con un bel faccino come il tuo, io sceglierei una carriera nel cinema, piuttosto che sprecare il mio tempo con una simile banda di bruti. » canzonò rivolgendosi verso una ragazza, probabilmente di una decina di anni più giovane di lei e per questo ipotetica e perfetta compagna del suo ammiratore respinto, facente sfoggio di lineamenti decisamente apprezzabili, molto raffinati e che, in ciò, ben poco avrebbero potuto avere a che fare con quel genere di vita « Ti prego… non costringermi a rovinartelo! » le suggerì, scuotendo il capo nel mentre in cui un tentativo di affondo a suo discapito veniva parato e respinto senza eccessivo impegno.
« Maledetta. » replicò la giovane, non offrendo la benché minima attenzione a tale avviso e, nuovamente, cercando di imporre offesa alla propria avversaria, ora cercando di dirigere, in suo contrasto, non tanto la lama del proprio pugnale, quanto, piuttosto, un calcio diretto alla bocca del suo stomaco.
« Oh. » commentò Duva, incrociando i polsi davanti al proprio corpo e bloccando, in tal modo, quell'attacco potenzialmente più efficace di ogni altro tentativo precedente, nel scegliere di modificare la tattica in sua ipotetica offesa dall'utilizzo dell'arma bianca ad altre risorse, con un proprio, intrinseco fattore sorpresa tale da poter sperare di raggiungerla e, in ciò, di porla a tacere « Complimenti per l'iniziativa… » si complimentò con l'altra, annuendo con convinzione « … purtroppo non è ancora sufficiente. » soggiunse immediatamente, nel trasformare la propria difesa in un'offesa e, in ciò, nell'afferrare con la mancina la gamba di lei solo per trarla a sé e riservare occasione al proprio pugno per andare a impattare con foga sul bel viso della stessa.

Immancabile, in conseguenza a simile sviluppo, non poté quindi venir meno la variegata offerta di una pesante serie di improperi rivolti in direzione del primo ufficiale della Kasta Hamina, parole estremamente violente in netto contrasto con la delicatezza un tempo propria del volto della giovane, dinnanzi alle quali, tuttavia, ella non dimostrò alcun interesse, commentando un fugace « Te l'avevo detto… » nel mentre in cui, nuovamente in movimento, si allontanò da lei per proiettarsi nuovamente sul fronte opposto del veicolo, a ricercare nuovi avversari, nuove possibilità di scontro, in quello che, non diversamente da quanto già era avvenuto con Midda, sembrava essere più affrontato come un momento ludico, ancor prima che una reale e violenta battaglia nel corso della quale la sua stessa morte stava venendo addirittura pretesa dai suoi avversari.
La questione, in grazia di un tale spirito in lei ad animare l'intero combattimento, quella sfida al tempo stesso estremamente violenta, e pur vissuta quale un giuoco, avrebbe potuto protrarsi particolarmente a lungo, forse anche all'infinito, ritrovando naturale e necessario limite unicamente nella resistenza di quel gruppo di uomini e donne nero vestiti. Tuttavia, fu proprio nel corso di un ennesimo rimbalzo alla ricerca di un nuovo fronte su cui combattere, che l'attenzione di quella coppia di occhi dorati venne inaspettatamente attratta nella direzione di un grosso sacco di stoffa scura, il quale, non potendo celare alla perfezione una certa e nota regolarità nella propria forma, rivelò a Duva un risvolto assolutamente inatteso in quella faccenda, tale da trasformare una semplice, se pur estremamente organizzata, azione d'aggressione a discapito dell'insediamento di Beri Vemil, in qualcosa di ben più complesso e spiacevole: un rapimento.

« Ma… cosa?! » sussurrò ella, concedendosi, innanzi a quella rivelazione, un pericoloso istante di distrazione, un'ingenuità potenzialmente letale per un guerriero impegnato in una battaglia qual quella che ella aveva pur così ricercato, aveva desiderato qual propria.

Di tale errore, di simile sciocco sbaglio, ella ebbe ovviamente subito di che pentirsene, dal momento in cui, approfittando di ciò, uno fra gli uomini presenti riuscì a ribaltare, finalmente, le sorti di quella battaglia, rinunciando all'utilizzo, sino a quel momento rivelatosi inutile, del proprio pugnale solo per gettarsi con violenza, con foga, contro quel piacevole corpo, scaraventandolo con violenza sul fondo del veicolo e lì, immediatamente, bloccandolo sotto il proprio peso, al fine di essere libero di incalzare a discapito della propria avversaria con tutte le risorse lì a sua disposizione, e, in ciò, iniziando quasi prevedibilmente, se non addirittura in maniera a dir poco scontata, con una fitta grandinata di solidi pugni, tanto sul volto, quanto sulla parte superiore del corpo di chi, sino a quel momento, si era fatta beffe di loro.
L'impeto così presente ad animare quell'attacco, tanto simile a folle desiderio omicida ancor prima che a semplice desiderio di rivalsa contro di lei, produsse un effetto terrificante, devastante, nel confronto con il quale, probabilmente, chiunque altro, uomo o donna, non solo non sarebbe riuscito a ipotizzare una qualsivoglia reazione, quanto, più, non sarebbe neppure riuscito a evitare un'immediata sopraffazione, una subitanea perdita di sensi in conseguenza della quale il proprio fato sarebbe risultato irrimediabilmente segnato, condannato. Nell'animo Duva, al contrario, per quanto tutt'altro che privo di aspri rimproveri per aver concesso tutto ciò, non venne fortunatamente mai meno un fondamentale, gelido controllo sulla situazione, sul proprio attuale stato, tale da consentirle, quasi con indifferenza alle tremende sensazioni di dolore ora a lei comunicate da un'ampia parte del proprio corpo, di reagire con sufficiente prontezza, a evitare una resa altrimenti letale. E così, dopo una prima dozzina di colpi subiti in maniera del tutto inerme, ogni muscolo del suo agile corpo ritrovò improvvisa tensione, rivoltandosi in contrasto alla promessa di morte lì offertale dal proprio antagonista e, con energia incredibile, sbalzandolo lontano dal proprio corpo, a interrompere l'assurda sequenza di pugni che già aveva trasformato il suo gradevole viso un una tumefatta maschera di sangue.

« Dannazione. » sputò sangue, storcendo le labbra verso il basso « E' proprio vero che la cavalleria è definitivamente morta e sepolta… »

Duva odiava se stessa per aver permesso quel sacrilegio contro il tempio rappresentato dal proprio stesso corpo e, in ciò, odiava naturalmente i propri blasfemi avversari per la medesima ragione. Ciò nonostante, la scoperta della vittima innocente presente a bordo del veicolo, impedì alla donna di attuare una fugace idea estremamente pericolosa, e pur in quel momento particolarmente affascinante, di porre nuovamente mano alla propria arma al plasma e, con essa, far saltare tutto in aria.
Impossibilitata, per tale ragionevole limite, a ricercare soddisfazione in quella via decisamente distruttiva, alla donna dagli occhi dorati non restò altro che supporre di riprendere la lotta là da dove era stata interrotta, decisa, tuttavia, a non frenarsi più così come, dopotutto, aveva fatto sino a quel momento, e a colpire senza esitazione quel gruppo di nero vestiti al solo scopo di arrecare loro più dolore possibile. Purtroppo, nella pur effimera esitazione che, ancora una volta, si era concessa al pensiero di ricorrere al proprio fucile, ella aveva riservato tempo e occasione ai propri nemici di riorganizzarsi, schierandosi rapidamente attorno a lei animati dall'unica volontà di porre fine a quello scontro il più rapidamente possibile, esattamente come sarebbe stato nel ricorrere alle proprie armi laser, in un bersaglio ora impossibile da mancare data l'estrema vicinanza. Non attorno all'idea di una nuova offensiva, per simile, solida ragione, il primo ufficiale della Kasta Hamina fu così costretta a concentrarsi, quanto, piuttosto, alla rapida evasione da una sentenza di morte per lei lì già emessa: tendendo nuovamente tutti i muscoli del proprio corpo, nello stesso modo già posto in essere allo scopo di liberarsi del proprio candidato boia, con una mossa agile e naturalmente elegante, ella riuscì così a catapultarsi lontana dalla posizione attualmente propria, anticipando l'azione dei laser, prima che gli stessi potessero lì inchiodarla per sempre.
Ma dove anche, nella propria reazione, ella era appena riuscita a riservarsi effettiva possibilità di evasione dal loro attacco, il ristretto spazio comunque concessole a bordo di quel veicolo, non le permise di potersi considerare al riparo dall'azione omicida dei propri avversari, indubbiamente non riservandole ormai grandi possibilità di manovra.

« Uccidiamola! » gridò una voce fra tante, nel gruppo di aggressori, tutti incitati, in quel momento, dall'apparente e certa vittoria sulla donna a riservarle il peggiore fato possibile, prima che ella potesse riprendere il paradossale e grottesco balletto precedente.

sabato 25 settembre 2010

988


« S
pero che mi vorrete perdonare se non mi dilungo eccessivamente con voi, miei cari… » sospirò ella, quasi dispiaciuta dal pensiero di dover nuovamente, e ancora tanto prematuramente, interrompere l'occasione di svago lì concessale, con un gruppetto capace di riservarle, in effetti, un livello di impegno appena superiore rispetto al precedente, probabilmente in virtù del proprio numero superiore nel confronto con il censimento dell'altro contingente, troppo rapidamente sfoltito dall'intervento del suo stesso cannoncino sonico « Mio malgrado, temo di essere attesa altrove: vi prego di avere la cortesia di giustificarmi e perdonarmi per questa ragione. »

Mai, in verità, parole avrebbero potuto essere pronunciate con ispirazione maggiormente profetica rispetto a quelle, dal momento in cui, effettivamente, di lì a breve, la presenza della mercenaria sarebbe stata addirittura indispensabile allo scopo di prevenire una tragedia su un altro fronte, in un punto decisamente lontano, e in continuo allontanamento, rispetto a quello: il veicolo a lievitazione magnetica proprio del terzo e, sino a quel momento, ultimo gruppo noto di aggressori nero vestiti, là dove, senza sostanziale possibilità di invidia rispetto alle doti proprie di quella straordinaria donna guerriero, un'altra figura probabilmente quasi a lei pari, stava conducendo la propria battaglia, il proprio scontro del tutto simile a quello.
Ove potersi riservare possibilità di osservare Midda in azione avrebbe concesso a qualsiasi eventuale testimone uno spettacolo superbo e magnifico, anche il ritagliarsi ipotetica e similare occasione nei riguardi di Duva non avrebbe deluso l'eventuale contemplatore, al quale, ove di natura maschile, sarebbe stato riservato persino maggiore diletto, entro comprensibili limiti, in stretta conseguenza alla maggiore e maggiormente svelata femminilità propria di quest'ultima. Se infatti, indubbiamente attraente e femminile non avrebbe mancato di esprimersi il corpo della donna dagli occhi di ghiaccio, proponendo, oltretutto, dall'ampia scollatura della propria tuta bianca, una conturbante e generosa visuale sull'incredibile abbondanza dei propri seni, la sua compagna dagli occhi dorati non avrebbe risparmiato di sopperire a un mancato eccesso nella misura della propria circonferenza toracica, con la più ampia e variegata offerta di un intero corpo praticamente svelato attraverso numerose e studiare finestre sul medesimo. E, così, non solo la pur invidiabile floridezza del suo petto sarebbe stata lì posta in risalto dall'opera del suo bustino dorato, ma, anche la sinuosità delle sue gambe non sarebbe potuta essere ignorata e, ancor più, in effimere, fugaci, ed estremamente preziose, occasioni, la soda pienezza dei suoi glutei, intuita in rapidi squarci di tempo, in visioni sì estemporanee da apparir prossime a miraggi, quali solo sarebbero potute essere quelle riservate dal cappotto di lei, in continuo movimento: con particolare fortuna, benevolenza della sorte, infatti, esso sarebbe potuto apparire per breve spostato a sufficienza da mostrare come la vita sin troppo bassa dei pantaloni del primo ufficiale della Kasta Hamina, non riuscisse a celare, sul retro ancor più che sul lato frontale, il perizoma di lei e, con il sottile filamento lì dietro offerto, i suoi stessi glutei, simili a meravigliosi frutti maturi che qualsiasi uomini non avrebbe potuto evitare di bramare di mordere con foga.
Ma tanta beltà, tanta sensualità, tale sì da competere con quella propria di Midda, non sarebbe stata l'unica ragione a rendere l'eventuale contemplazione di quel combattimento degna di nota, dal momento in cui, non diversamente dal proprio capo della sicurezza, anche Duva sapeva come muoversi, quando agire e, soprattutto, dove colpire per ottenere il maggior risultato con il minimo sforzo, rivelandosi in ciò capace di tenere testa a tutti gli avversari lì a lei presentati, nonostante la loro indubbia superiorità numerica e, peggio ancora, il pericoloso scenario contesto proprio di quello scontro. Per questo, al centro di quel veicolo proiettato a tutta velocità verso qualche ignota direzione, quell'amazzone dalla pelle color ebano non si riservava occasione alcuna di riposo, possibilità minima di requie, balzando, con sprezzo della precarietà della propria posizione, da un angolo all'altro del pur non eccessivo spazio concessole, per colpire, a volte con un calcio, altre con un pugno, una gomitata, una ginocchiata o, persino, un deciso movimento del capo, i propri avversari ogni qual volta essi si candidavano a tentare di sopraffarla, nel ricorrere, per comprensibili ragioni, non all'utilizzo di meno gestibili armi laser, quanto, più semplicemente, a lunghi pugnali quali quelli già opposti dai loro compagni all'altra furia in vesti femminili. E per quanto quelle lame avrebbero potuto squartarne facilmente le carni, aprirne le viscere e negarle ogni possibilità di futuro, ogni speranza non solo di vittoria, ma, più semplicemente, di sopravvivenza a quello stesso conflitto, ella non sembrò mai riservarsi la minima esitazione, il più effimero timore, nella fredda consapevolezza di quanto, lasciandosi dominare dalla paura, ella ne sarebbe immediatamente stata vittima, donandosi quale olocausto sul sanguinario altare di sacrificio lì già predisposto per lei.

« Avanti gente… è tutto questo quello che siete capaci di offrirmi?! » si divertiva a continuare a farsi beffe dei propri avversari, in un susseguirsi di commenti spesso sarcastici e, talvolta, persino ambiguamente maliziosi « Spero che non vi siate illusi di potermi soddisfare solo in virtù del vostro numero. »

Simile forza d'animo, tanta confidenza con il combattimento e, soprattutto, con la morte, quali quelle da lei così dimostrate in maniera naturale, non quale espressione di un qualche concreto sforzo, quanto, banalmente, qual manifestazione del suo stesso animo saldo e del suo cuore impavido, non derivavano, per completezza di cronaca, da un cammino realmente assimilabile a quello proprio della sua compagna, da una vita trascorsa in guerra in un mondo incapace di concedere la vita a chi indegno di difenderla al prezzo del sangue dei propri nemici. Malgrado questo, difficile sarebbe stato supporre chi fra le due donne avrebbe potuto prevalere in un confronto diretto, in una sfida dichiarata fra loro, dal momento in cui a proprio favore, a proprio supporto, anche Duva avrebbe comunque potuto vantare una lunga esistenza colma di avventure, di sfide nei più remoti angoli della galassia, in una carriera iniziata molto prima del suo ingresso nelle fila dell'equipaggio della Kasta Hamina: avventure e sfide che, non diversamente da Midda, l'avevano temprata giorno dopo giorno, mese dopo mese, anno dopo anno, facendola diventare la donna sarcastica e sprezzante che, in quel momento, affrontava a mani nude terribili pugnali mossi da mani indubbiamente esperte, contro l'azione dei quali molti altri non avrebbero accettato competizione neppur armati di un cannone al plasma.

« Amore… » sorride ella, rivolgendosi in tali termini in direzione di un giovane uomo, suo avversario, dopo che questi aveva appena tentato di trapassarle le reni con la propria lama, salvo veder il proprio attacco evaso all'ultimo istante da un agile movimento di lei « ... apprezzo indubbiamente la focosa passione che anima il tuo gesto, e non posso che esser lusingata dal tuo desiderio di infilzarmi… » commentò ironica e maliziosa « … ma forse sarebbe meglio che frequentassi una ragazza di almeno una decina d'anni più giovane di me. Non vorrei mai che qualcuno potesse sparlare di noi… »
« Cagna… » gemette egli, in conseguenza del dolore, nel vedersi afferrare il braccio destro, ancora teso, dalla mano mancina dell'avversaria, venendo contemporaneamente spinto contro il di lei fianco per far leva quello stesso punto e forzare da parte suo l'abbandono dell'arma in conseguenza della pena così impostagli.
« Tsk… stupidi adolescenti trasudanti ormoni. » replicò la donna a tale insulto, voltandosi rapida e portando il proprio gomito destro a colpire con violenza la gola del proprio interlocutore, ancora trattenuto a sé con la mancina « Volete tutto e subito. E se non vi trovate a essere immediatamente accontentati, diventate così violenti e volgari. » lo rimproverò, non mancando, in ciò, di esprimere chiaro sarcasmo.

Un'azione, quella così scandita, che si sviluppo nell'arco di pochi istanti e che, tanto rapidamente come aveva avuto inizio, ebbe allora anche fine in conseguenza di una nuova fonte di interesse, di attrazione per il primo ufficiale della Kasta Hamina, subito dimentica del proprio spasimante, e della prematura conclusione di quella loro "relazione" spiacevolmente viziata nel proprio stesso fondamento, nel dedicarsi allora a un altro obiettivo, a un altro uomo, prima, e un'altra donna, subito dopo, su fronti sempre diversi, sempre nuovi di quello stesso veicolo, nell'agire sì velocemente, con sì tanta subitaneità, da non render possibile l'accettazione della pur effettiva realtà della sua presenza come singola figura e non, a propria volta, come un'intera compagna di guerriere suo pari.

venerdì 24 settembre 2010

987


« S
ono perfettamente consapevole di non essere stata invitata… » esclamò ella, con tono ironico e divertito, nel menare, senza eccessiva arte, colpi a destra e a manca, in quella che, al di là di ogni possibile implicazione, non sarebbe potuta essere accolta qual sostanzialmente diversa da una chiassosa rissa da bar « … ma nel confronto con una tanto allegra compagnia, come avrei mai potuto esimermi a fare di tutto per aggregarmi a voi?! » li canzonò, ancora una volta dimostrando, in ciò, quanto in comune avrebbe potuto vantare con la propria compagna di ventura.

Tutt'altro che estranea a sarcastici e denigratori interventi nei riguardi dei propri avversari, in effetti, avrebbe dovuto essere giudicata la stessa Midda Bontor, la quale, addirittura, di simile attività aveva fatto una vera e propria arte, nel giudicare psicologicamente debilitante, per gli altri, e altrettanto emotivamente gratificante, per sé, simile attività, al punto tale da averla resa una propria, naturale abitudine, in contrasto sia a normali avversari umani, sia a ogni genere di mostruosità con cui, usualmente, si ritrovava a essere posta a confronto nelle proprie epiche avventure, nelle proprie leggendarie imprese. In verità, innanzi a creature non umane, e troppo spesso ammantate da un'aura di leggendaria invulnerabilità, invincibilità o, peggio, immortalità, tale trucco, qual, sostanzialmente, avrebbe dovuto essere considerato, si era sempre dimostrato utile, per se stessa, allo scopo di impedirsi di considerare realmente invulnerabili, invincibili o, peggio, immortali simili avversari, tali controparti, nella sfida alle quali, altrimenti, non avrebbe potuto riservarsi alcuna speranza di vittoria, alcuna pur vaga presunzione di trionfo: al contrario, nel farsi beffe di un feroce ippocampo o di uno stuolo di zombie, egualmente bramosi delle sue carni, ella si costringeva a ridimensionare a livello psicologico tali imprese, simili battaglie, al punto da riuscire a considerarle non semplicemente fattibili, ma, persino, ovvie, naturali, in un risultato che non avrebbe mai potuto ritenere al di fuori della propria portata, anche dove, altresì, da tutti considerato al di fuori delle possibilità di chiunque.
La semplice, e pur letale, minaccia rappresentata, in quel mentre, dalla fitta pioggia di laser imposta in proprio contrasto, tuttavia, non avrebbe mai potuto stimolare in lei l'esigenza di simile diletto, dal momento in cui, per quanto indubbiamente e mortalmente pericolosa, non sarebbe potuta essere da lei giudicata al pari della sfida con creature nettamente superiori a quei tredici disgraziati armati. Così, senza pur commettere il tremendo errore di sottovalutarli, ella non si impegnò, neppure, in senso contrario, sopravvalutandoli e, in ciò, ritrovandosi costretta successivamente a contenerli, a ridimensionarli all'interno di un profilo più quieto. Al contrario, riconoscendo loro il giusto, appropriato grado di pericolosità, ella si concesse di affrontarli senza eccessiva enfasi e, reciprocamente, senza eventuale indifferenza, ponendo in essere una strategia estremamente semplice, adeguatamente ardita e, pur, di potenziale successo, qual solo sarebbe potuta essere giudicata quella che la vide dirigere la bocca da fuoco della propria arma sonica verso il suolo e, subito dopo, premere il grilletto.
Gli effetti derivanti da tale gesto, dall'impatto di un colpo di moderata potenza, superiore a quelli già rivolti in contrasto diretto ai propri avversari e, pur, non ancora tale da raggiungere la piena capacità propria del cannoncino, con il terreno sotto ai loro piedi, furono quelli di un'improvvisa e violenta scossa sismica, in conseguenza della quale, tanto a proprio stesso discapito, quanto in offesa ai propri avversari, tutti i presenti in quel piccolo angolo di una piccola luna, furono inaspettatamente sbalzati in aria e poi al suolo, quasi semplici balocchi privi di animazione. E se anche, effettivamente, tale colpo produsse successo in suo stesso, grottesco e paradossale contrasto, la donna guerriero, a differenza dei propri nemici, non subì alcuna sorpresa per tutto ciò, ragione per la quale, prima ancora che ai tredici nero vestiti fosse riservata occasione di comprendere cosa fosse occorso, ella poté catapultarsi contro di loro, riuscendo, ancora una volta, a trasferire quello scontro da una media-lunga distanza, al corpo a corpo, in quella situazione, in quel frangente nel quale ella avrebbe avuto ineluttabile occasione di eccellenza, così come già ampiamente dimostrato.

« Cosa sono quei musetti sconvolti?! » sorrise la donna dagli occhi color ghiaccio, avventandosi nel mentre di tali parole su di loro, sui primi fra loro a lei più prossimi « Non vi sarete davvero illusi di potermi trattenere con così poco… spero bene. Sarò forse una vecchietta, ma ho ancora molte risorse su cui fare affidamento, in lode alla benevolenza di Thyres! »

Se solo uno fra gli uomini e le donne lì presenti non avesse avuto da temere l'avvento del capo della sicurezza della Kasta Hamina in loro contrasto, costui o costei avrebbe potuto approfittare dell'occasione così eventualmente lì riservata per osservare con interesse, probabilmente persino ammirazione, le movenze proprie di colei allora definitasi qual "vecchietta", nel sincero confronto con le consuete aspettative di vita del proprio mondo natale, della propria epoca, ben diverse da quelle vigenti in quella nuova realtà di incredibile longevità e di viaggi stellari.
Per quanto, infatti, ella avesse superato un traguardo a dir poco straordinario per una mercenaria, quale era stata negli ultimi vent'anni della propria vita, Midda Bontor godeva ancora e innegabilmente di un'agilità, di una tempra, di un'energia fuori dal comune, caratteristiche che, legate a un corpo in costante e sempre perfetto allenamento, non avrebbero potuto farle invidiare alcuna figura in confronto a lei anche estremamente più giovane, e, in ciò, potenzialmente superiore. In ciò, del tutto simile a un potente felino, ella si muoveva in quello scenario, in quel frangente di battaglia, fra i propri avversari, lì su di lei imposti in una superiorità che in molti avrebbero ritenuto schiacciante e che, ciò nonostante, mai sarebbe potuta apparire tale per chi già ritrovatasi a confronto con cifre di numerose unità multiple rispetto a quella attuale, con gesti rapidi, passi leggeri e pur sempre sicuri e perfettamente controllati, che mai avrebbero potuto essere fraintesi qual frutto di effimero caso, di semplice casualità, ma che, al contrario, sarebbero stati, sempre e indiscutibilmente, rivelatori di un capacita di predominio assoluto, per lei, sull'intero mondo a sé circostante. Impossibile, nonostante il disordine proprio di tale situazione, sarebbe stato supporre di offrirle, volontariamente o involontariamente, un eventuale e qualsivoglia intralcio, ostacolandola nei movimenti o rallentandone i gesti, dal momento in cui mai quella donna, concepita nel desiderio dei propri dei solo per quel genere di vita, per quelle continue e inesorabili battaglie, avrebbe concesso alle proprie sinuose e femminili forme di agire tanto stolidamente, sì superficialmente, da poterla portare in fallo, per quanto addirittura inaccettabile sarebbe allora stata l'idea che ella potesse essere in grado di condurre un'azione offensiva su un fronte, una difensiva su un altro, e un movimento verso un terzo completamente diverso, come pur stava compiendo, essendo dotata, in tutto ciò, di soli due occhi, due orecchie e una sola mente, qual pur ella effettivamente era. E così, ove un attimo prima ella si intratteneva con due avversari in un preciso punto, in una definita locazione nello spazio, un istante dopo sembrava essersi trasferita, quasi per incanto, a diversi piedi di distanza, a poter riservare il proprio interesse, le proprie attenzioni, ad altri tre antagonisti, i quali, da troppo tempo ignorati, avrebbero potuto erroneamente supporre un'assenza di pericolo per loro, al punto tale da concedersi di distrarsi nella volontà di ordire eventuali azioni e reazioni in sua offensiva, a suo discapito, quasi a punirla per la scarsa considerazione allora loro riservata, per il coinvolgimento loro negato in quell'esperienza agghiacciante e, ciò nonostante, straordinaria.
La semplice possibilità di osservare quella figura guerriera in azione, sulla base di simili premesse, sarebbe pertanto stata, probabilmente, un'occasione, un'avventura a dir poco unica, stupefacente ed entusiasmante, per quanto al contempo spaventevole, e forse letale, in un paradossale contrasto in termini tale da scatenare intime reazioni non dissimili a quelle proprie di un eventuale confronto con l'indomabile potenza della stessa natura, quali quelle rappresentate dall'inviolabile attrazione di un buco nero, dall'incredibile potere distruttivo del cuore incandescente di una stella o, molto più semplicemente, dalla forza irrefrenabile di un uragano, di una tromba marina o di un sisma. Nulla di più semplice da accettare, pertanto, dell'idea che ella, nella propria realtà colma di misteri e di superstizione, potesse essere stata indicata quale la figlia mortale di una dea della guerra, là dove, effettivamente, ella si proponeva quale l'incarnazione stessa della guerra, dilettandosi nella più furiosa battaglia non diversamente da un infante fra i propri trastulli prediletti.

giovedì 23 settembre 2010

986


« E'
un vero peccato che Duva non sia qui per vedermi. » sospirò ella, umettandosi le labbra con esplicita golosità, come fosse stata appena posta di fronte al proprio dolce preferito, nell'assaporare in tal modo, probabilmente, il piacevole sapore dell'adrenalina, di nuovo fortemente presente in lei, così come aveva temuto non sarebbe potuto più essere « Spero solo che, ovunque stia andando, abbia anche lei possibilità di divertirsi quanto me… »

Un augurio, quello in tal modo rivolto dalla mercenaria al primo ufficiale della Kasta Hamina, che non avrebbe potuto essere considerato né ironico, né retorico, in quanto assolutamente sincero e onesto nella propria formulazione, nei sentimenti presenti nell'animo di lei nel momento di tale formulazione, e che, in verità, sarebbe stato persino ampiamente apprezzato e contraccambiato dalla destinataria del medesimo, se solo ella avesse avuto occasione di essere partecipe dello stesso, l'avesse potuto udire emergere dalle labbra della compagna, così frementi di desiderio per quella battaglia alfine ottenuta. Per bontà di una sorte a loro benevola, nel riconoscere a entrambe ciò da cui, chiunque altro, avrebbe altresì preferito rifuggire, anche Duva si era, comunque ed effettivamente, ritrovata a essere, di buon grado, impegnata in un'azione incredibilmente pericolosa, potenzialmente letale, qual solo sarebbe potuto essere un inseguimento pseudo-aereo a bordo di mezzi purtroppo estremamente limitati quali, comunque, erano e sempre sarebbero rimasti dei veicoli a lievitazione magnetica.
Sebbene, difatti, in grado di separarsi dal suolo spingendosi anche a diverse decine di piedi di altezza, i veicoli equipaggiati con tecnologia in grado di fornire loro la lievitazione magnetica, non avrebbero potuto mai essere equiparati a dei veri e propri veicoli aerei e, in conseguenza di ciò, non avrebbero mai potuto offrire, a un fuggiasco o al suo inseguitore, quelle relative garanzie di sicurezza proprie, a titolo esemplificativo, di una navetta destinata all'impiego in atmosfera. Nel ritrovarsi, a livello pratico, vincolati comunque al movimento su un piano orizzontale, i veicoli a lievitazione magnetica avrebbero, infatti, riservato ai propri passeggeri tutti i rischi propri di un mezzo aereo, uniti ai limiti propri di un mezzo puramente terrestre. Solo nello scenario più propizio, nel migliore dei mondi possibili, infatti, un mezzo di trasporto a lievitazione magnetica, ove colpito da fuoco avverso, si sarebbe potuto concedere l'occasione di atterrare dolcemente al suolo così come lì appena occorso in sola e innegabile conseguenza dell'abilità di tiratrice propria della stessa donna dagli occhi dorati: nella prevalente maggioranza di simili, tragici eventi, al contrario, la strage sarebbe dovuta essere considerata addirittura inevitabile, nell'alta e, persino, positiva possibilità di morte qual sola alternativa al proseguimento della propria esistenza orribilmente menomato, o completamente immobilizzato in uno stato vegetativo, per le conseguenze dell'impatto al suolo. In grazia di una simile ragione, pertanto, se anche Midda Bontor, in quel momento, era a confronto con una sfida più che allettante, quale quella definita dalla violenza continua e inarrestabile di una pioggia incessante di colpi laser, Duva Nebiria non avrebbe potuto assolutamente offrire lamento per la propria condizione, nell'esser costretta a incredibili, e terribilmente limitate, evoluzioni, per ovviare a un'equivalente tempesta di mortali fasci colorati rivolti in sua offensiva dalle proprie stesse prede, da coloro che, per quanto lì attaccanti, stavano impegnando i propri sforzi nella ricerca di una pur effimera speranza di evasione da lei.
Invero, per le medesime ragioni che, nel corso del primo attacco di quegli uomini nero vestiti, avevano reso la sua compagna legittimamente sicura nel confronto con i colpi dei propri antagonisti, non facendole cercare riparo neppur davanti alla mortale minaccia di laser eccessivamente succubi del disordine di tale azione per poter risultare realmente efficaci, la donna dagli occhi dorati, in quel nuovo frangente, non si stava riservando eccessiva preoccupazione per gli sforzi così rivolti in sua ipotetica offesa, forte del fatto che, nella foga di quella fuga, alcuno fra i passeggeri del veicolo scelto qual proprio obiettivo avrebbe avuto la possibilità di agire con sufficiente controllo da condurre un solo colpo a segno, là dove, in effetti, non sarebbe occorso un grande spreco di energia per liberarsi di lei. Dovendo altresì e a propria volta rinunciare, per equivalenti motivazioni, a sperare di condurre a compimento un singolo attacco, dove anche il proprio fucile al plasma sarebbe allora stato pronto a riversare, nuovamente, la propria energia distruttiva così come già efficacemente compiuto pocanzi, ella non si dovette impegnare eccessivamente per comprendere la sola manovra che le avrebbe mai potuto garantire una pericolosa possibilità di successo nel desiderio di arrestare la fuga di quel gruppetto, imponendo la propria volontà sulla loro.

« Invidiami, cara Midda… » sorrise beffarda, nel rivolgersi idealmente alla propria compagna di ventura, pur lì non presente e impossibilitata a poter avvertire simile disfida morale a proprio discapito « … perché questa volta sarà difficile che tu riesca a fare di meglio rispetto a me! » asserì, nello svelare in maniera esplicita tutta la già malcelata volontà di ludica competizione con lei, in quella che, paradossalmente, per entrambe era probabilmente considerata quale una semplice gara agonistica e nulla di più.

Spingendo al massimo la resa dei propulsori della propria moto, e ignorando, in tal senso, ogni puntuale segnale d'allarme a lei proposto in diffida a simile eccesso, a una scelta tanto azzardata in conseguenza della quale i motori all'idrargirio avrebbero potuto raggiungere un'instabilità critica, Duva cercò, pertanto, di minimizzare il distacco fisico, il vantaggio spaziale di cui avevano goduto, sino a quel momento, le proprie prede, valutando come qualsiasi ulteriore esitazione nell'attuazione del piano tanto rapidamente elaborato, della sin troppo semplice, e pur potenzialmente trionfante, strategia a lei votata, avrebbe solamente offerto ulteriore e vano favore alle proprie controparti.
Sua intenzione, nel compiere ciò, avrebbe dovuto essere giudicata esattamente quanto così apparente, quanto tanto assurdamente evidente, quale pur si propose agli stessi uomini nero vestiti, i quali, in un giustificabile misto fra ammirazione e timore, osservarono la loro predatrice spingersi con decisione, con ferma convinzione, verso di loro, decisa, chiaramente, ad abbordarli, a gettarsi contro di loro nella speranza di poter, sola, trionfare contro un numero pur sproporzionato di avversari.

« E' una pazza furiosa… » esclamò, con sentimento prossimo all'infatuazione, uno fra gli occupanti del veicolo, sgranando gli occhi nell'accogliere qual indubbiamente reale l'incredibile volontà da lei allora dimostrata « Non ce la farà mai… non può farcela. »
« Vorrei offrirti ragione. » negò, in sua risposta, un parigrado, un compagno e complice in quell'azione paramilitare, storcendo le labbra alla vista di quanto stava accadendo nonostante ogni loro concreto sforzo, ogni sincero tentativo volto ad abbatterla « Ma temo che saranno gli eventi propri dell'immediato futuro a smentirci. E, forse, a segnare in maniera estremamente negativa il nostro stesso fato. »

Mai parole più sagge sarebbero potute essere pronunciate da chi, evidentemente, sufficientemente esperto da riuscire a riconoscere il carisma, lo spirito presente ad animare il corpo e il cuore di una donna incapace di accettare un limite qual effettivamente tale, e, in ciò, decisa a imporsi su di loro nonostante ogni sfavore, ogni pericolo, per quanto sufficientemente certo o sicuramente letale. Parole, quelle così scandite, le quali, a proprio supporto, a propria conferma, anticiparono di pochi istanti, di brevi, effimeri, e pur eterni attimi, l'ultimo impetuoso impulso richiesto dalla stessa donna al proprio mezzo, alla propria moto, per merito del quale, riuscì non solo ad azzerare completamente la distanza prima esistente fra loro, quanto, piuttosto e peggio, a permettersi di spiccare un meraviglioso, e terrificante, balzo in avanti, nell'abbandonare quel compagno metallico che pur tanto fedelmente l'aveva servita, per lasciarsi ricadere, con impeto quasi osceno, nel cuore del ristretto dominio dei propri avversari, decisa, in quello stesso punto, a segnare in maniera chiara la conclusione di ogni ulteriore scontro.
In tutto ciò, prima ancora che i dieci, fra uomini e donne, nero vestiti schierati all'interno di quel veicolo a lievitazione magnetica, potessero comprendere cosa stesse realmente accadendo, e in virtù di quale inimmaginabile azione quella folle fosse giunta fra loro, essi si trovarono costretti a ricorrere a ogni proprio sforzo, a tutta la propria energia, per non soccombere, prematuramente, sotto i violenti colpi della medesima.

mercoledì 22 settembre 2010

985


« N
on mi deludere, vecchia mia… » soggiunse ella, rivolgendosi ora in direzione della propria moto, nel ruotare sino al proprio limite massimo la manopola dell'acceleratore e nello spronare, con simili parole, il veicolo di cui si era appena impossessata, e verso cui si stava relazionando quasi come con un'antica sodale, a richiederle il meglio delle proprie possibilità « Sono sicura che potresti raggiungerli persino in retromarcia, se solo tu lo desiderassi: non è forse vero?! »

Poco più in basso rispetto alla posizione allora occupata da Duva, nel contempo di simile, breve monologo, la donna dagli occhi color ghiaccio, riservando la propria fiducia verso un mezzo di trasporto meno sofisticato e, ciò nonostante, sicuramente più sicuro, quale solo sarebbero dovute essere giudicate le proprie gambe, stava muovendosi con rapidità e decisione allo scopo di raggiungere l'origine dell'esplosione e, così facendo, al dono a lei riservato dalla propria compagna di ventura. Un dono che, nonostante ogni legittimo e giustificato timore proprio di Midda nel merito delle potenzialità offensive proprie di quegli avversari, così come precedentemente espresso dalla stessa mercenaria, sembrò immediatamente volersi impegnare al solo scopo di concederle quella sfida, quella battaglia che, sino a quel momento, ella non era ancora stata in grado di trovare, né disponendosi in contrasto alle guardie di Beri Vemil, né ricercando confronto con i colleghi, ugualmente nero vestiti, di quel secondo gruppo.
I tredici membri di quella nuova compagnia, dodici destinati all'azione accanto a un tredicesimo preposto unicamente alla guida del loro mezzo, dopotutto, non erano lì disastrosamente precipitati, quanto, piuttosto, erano stati costretti ad atterrare in conseguenza della privazione di una parte fondamentale del proprio sistema di propulsione. Per tale ragione, essi erano allora rimasti sufficientemente padroni di sé e, ove possibile, si erano persino ritrovati a essere spronati in misura maggiore a mantenersi attenti al mondo attorno a loro, quella realtà in cui, nonostante la propria stessa presunta superiorità numerica e strategica, erano stati posti in scacco, vedendo ostacolata la loro fuga così come inizialmente programmata. E, sempre per simile motivazione, non appena Midda fece capolino innanzi ai loro occhi, da dietro un angolo di quegli spogli edifici, giungendo con foga, impeto sicuramente imprudente nel particolare contesto attuale, essi non si riservarono la pur minima possibilità di esitazione, di incertezza, ponendosi immediatamente in guardia e, nel compiere ciò, subito riversando in sua desiderata offesa un fitto intreccio di numerosi colpi laser, creando una letale rete, sì intessuta in lunghi raggi luminescenti, nelle maglie della quale, se solo non fosse stata sufficientemente reattiva, ella sarebbe sicuramente stata smembrata, uccisa prima ancora di poter rendersi conto di quanto stesse occorrendo.
Per indubbia fortuna della donna guerriero, però, la fama da lei accumulata negli anni della propria giovinezza, non era stata frutto di semplici dicerie, di storielle da marinai ingigantite nelle proprie proporzioni e nei propri contenuti, dal momento in cui se anche molte imprese a lei attribuite erano state effettivamente e terribilmente deformate nella propria stessa natura, nei propri scopi e nei propri risultati, altrettante incredibili avventure non erano neppur giunte all’attenzione del vasto pubblico, restando serbate nel profondo del suo stesso animo o, in alcune rare eventualità, venendo da lei stessa persino dimenticate. In virtù di simile ragione, in forza di tale esperienza, di una formazione a lei offerta non in semplice conseguenza di una preparazione accademica, quanto, piuttosto, in grazia del sanguinoso impegno nei più cruenti campi di battaglia e nei più sperduti angoli del proprio mondo, la mercenaria dagli occhi di ghiaccio si era presto abituata a intuire, ancor prima di percepire, gli attacchi a proprio discapito, riservandosi in numerose occasioni salva la vita solo in tal modo, per tal capacità. Ancora una volta, come già in passati e assimilabili eventi, quindi, anche in quel momento ella si guadagnò l’occasione di godere del proprio domani solo per merito di una benevola precognizione, forse un suggerimento divino che, facendo leva sui suoi sentimenti, sulla sua innata paranoia, la costrinse a trarsi indietro giusto un istante prima di cogliere la presenza del pericolo innanzi a sé, evadendo in maniera straordinaria alla micidiale azione dei laser.

« Per Thyres! » esclamò, osservando ancora una volta la morte in viso e, di fronte a tale spettacolo, bestemmiando, o forse ringraziando, il nome della propria dea « Ci sono andata estremamente vicina, questa volta… »

A differenza delle armi soniche e, persino, delle armi al plasma, queste ultime caratterizzate, in termini assoluto, da una distruttività unica, incomparabile, le armi laser non si ponevano allora limitate nel proprio impiego, nel proprio utilizzo, da particolari tempi di ricarica, attese in assenza delle quali, pertanto, si ritrovavano a essere abitualmente preferite dai più, nella comunemente diffusa convinzione secondo la quale il numero di colpi sparati, ancor prima che la loro stessa precisione o potenza, avrebbe potuto distinguere chi meritevole di vita da chi no. Un’opinione, una ideologia, ancor prima che una certezza, nel confronto con la quale, tuttavia, ben pochi sarebbero stati in disaccordo, soprattutto se, come la stessa Midda Bontor in quel particolare momento, posti davanti a una reale pioggia di morte, qual quella lì generata da oltre una dozzina di armi laser, fucili o semplici pistole, in continua eruzione di mortali fasci colorati, sì attraenti nella propria fluorescenza, quanto fatali nella propria azione.

« D'accordo… desideravo un po' d'azione. E sono stata accontentata. » sorride ella, cercando di cogliere l'aspetto positivo caratteristico di una situazione altrimenti pessima, posta nella quale, forse, avrebbe potuto persino giungere a rimpiangere i cari, vecchi momenti della propria giovinezza nei quali si era ritrovata ad affrontare "solo" dei semplici negromanti o degli ancor più banali tifoni e sfingi, i primi con i propri poteri maledetti e i secondi con le proprie terribili fiamme « Ora devo solo trovare il modo per uscirne viva. »

Sotto un profilo meramente tecnico, i nuovi tredici avversari nero vestiti lì schierati in sua opposizione, non avrebbero potuto probabilmente vantare un'abilità guerriera superiore a quella dei propri compagni già sconfitti, già tanto banalmente privati di coscienza. Differentemente rispetto al primo, però, quel nuovo gruppo si era concesso sufficientemente pronto, adeguatamente attento, da renderla un bersaglio con ampio anticipo rispetto ai propri predecessori, non solo arrestandone, in tal modo, ogni possibilità di avanzata, quanto, piuttosto, persino costringendola a cercare rifugio dietro al muro dal quale era comparsa, onde evitare di finire vittima di colpi decisamente più precisi, mirati, rispetto a quelli da lei pocanzi addirittura ignorati nella propria letale pericolosità.
Similmente assediata, costretta a quell'inatteso e imprevisto arrocco, la mercenaria dagli occhi color ghiaccio non avrebbe potuto permettersi, al pari di quanto già compiuto, di correre verso di loro, nel trasferire lo scontro a livello fisico, né, peggio ancora, avrebbe potuto riservarsi occasione di utilizzare il proprio cannoncino sonico in loro contrasto, dal momento in cui, non appena avesse nuovamente mostrato il proprio volto o una parte qualsiasi del proprio sensuale corpo oltre quell'angolo, essi non avrebbero mancato di trasformarla in una bistecca alla griglia, oltretutto ben cotta.

« Non ti sarai impigrita al punto tale da non riuscire a elaborare un minimo di strategia per cavarti fuori da una situazione tanto banale… vero?! » si rimproverò, allora, in un tono volutamente dispregiativo e, a tratti, persino deluso, nel desiderare obbligarsi a trovare, quanto prima, un'idea « Dannazione: questa nuova realtà tanto comoda e lucente finirà per rovinarmi, continuando di questo passo. »

In tal modo sfidata da se stessa, Midda si costrinse a svuotare la mente da ogni pensiero superfluo, da ogni distrazione, per recuperare la propria consueta freddezza, la propria abituale capacità analitica, allo scopo di comprendere in quale combinazione poter fare ricorso alle risorse in suo possesso per ribaltare la situazione tutt'altro che piacevole nella quale era finita per colpa della propria arroganza, della propria supponenza nel merito della scarsa pericolosità dei propri attuali antagonisti. E, nel mentre in cui le sue nere pupille parvero scomparire all'interno delle azzurre iridi, riducendosi alle dimensioni propria della capocchia di uno spillo, un'idea sufficientemente folle si propose alla sua attenzione, seducendola con la propria promessa di gloria, di nuovo trionfo.

martedì 21 settembre 2010

984


« U
n guerriero esperto, un combattente valoroso: non chiedo altro, nulla di più o di diverso… » sussurrò ella, in un lieve respiro che, caratterizzato da simili parole, da tale invocazione, parve prossimo a una preghiera, paradossale in quanto rivolta all'ottenimento di un avversario e non alla liberazione dall'insidia propria di un medesimo « Certamente apprezzerei molto di più un paio di cerberi, una dozzina di gorgoni, una manciata di anfesibene… o anche solo un simpatico negromante e la sua schiera di non morti. Ma questa volta mi accontenterei anche di un semplicissimo avversario umano, sufficientemente abile da riuscire a costringermi a sudare: è forse troppo, ciò che cerco, quanto domando? »

Purtroppo per Midda, il solo guerriero esperto, l'unico combattente valoroso presente in quel piccolo angolo sabbioso sulla superficie di una luna minore sperduta ai confini di ogni civiltà, non sarebbe potuto essere conteggiato quale appartenente alle schiere dei suoi avversari, o potenziali tali, quanto, piuttosto, dei suoi alleati, dei suoi compagni di ventura, prima fra tutte, e sola lì presente in quel momento, la stessa Duva Nebiria. Nello medesimo istante in cui quelle parole venivano allora scandite, Duva era finalmente sopraggiunta sul luogo dell'esplosione, giusto in tempo per cogliere, attraverso il nero fumo lì incessantemente eruttato verso il cielo, il discreto e rapido movimento di altri due mezzi a lievitazione magnetica, due veicoli sufficientemente grandi da poter ospitare, al proprio interno, più di una dozzina di passeggeri e, in ciò, probabilmente del tutto analoghi a quello già impiegato al fine di concedere occasione di sbarco ai dodici nero vestiti contro i quali si era immediatamente schierata la sua compagna di ventura.
Sorretti sopra otto dischi magnetici, disposti su due file parallele ai bordi della forma allungata di tale genere di mezzo, quella coppia di mezzi non avrebbe potuto riservarsi maggiore agilità rispetto alla più compatta moto scelta dal primo ufficiale della Kasta Hamina: ciò nonostante, la potenza dei loro motori, indubbiamente superiore a quelli offerti alla donna, avrebbe potuto garantire loro un'ottima possibilità di evasione, se solo ella non fosse intervenuta in maniera rapida e decisa in loro contrasto. La presenza stessa di due veicoli, in un contesto qual quello di un attacco accuratamente organizzato, qual indubbiamente appariva essere quello in corso, ben lontano dall'azione caotica e chiassosa di semplici razziatori, avrebbe allora dovuto sottintendere una prossima divisione fra i medesimi, nella scelta di due direzioni fra loro antitetiche in maniera tale da ostacolare eventuali desideri volti al loro inseguimento. Per tale ragione, alla donna dagli occhi dorati non venne concesso alcun margine di accurata analisi, alcuna occasione di ponderato studio attorno a quanto lì mostratole, nel ritrovarsi costretta, ove realmente desiderosa di prendere parte a quegli eventi, a intervenire in maniera subitanea, senza esitazione, senza incertezza, nell'ovviare a temporeggiamenti in conseguenza dei quali ogni successivo sforzo sarebbe potuto risultare vano.

« Un colpo, un centro. » definì fra labbra appena dischiuse, nel mentre in cui la sua mancina, la sola che avrebbe potuto impiegare in quell'azione nel ritrovarsi a cavallo di una moto, corse alla ricerca del compatto fucile al plasma, riposto nella propria guaina sul lato interno del cappotto « Adoro questo genere di prove. »

Per un fugace istante, lo scorrere del tempo sembrò arrestarsi, non solo attorno a Duva, ma nell'intera area, nell'intero insediamento, feudo personale di Beri Vemil, ormai precipitato nella confusione derivante dal terrore, nel disordine figlio della paura, necessaria e inevitabile conseguenza della violenza degli attacchi così subiti. In quell'effimero attimo, l'indice sinistro della donna si contrasse sul grilletto della propria arma e l'energia già accumulata in essa sin dall'inizio dell'offensiva, non ancora dispersa, venne improvvisamente riversata lungo la sagoma triangolare della sua canna, fuoriuscendo da essa nella forma di una bolla luminescente.
Tale energia, instabilmente contenuta all'interno dei confini propri di un tanto fragile equilibrio, in sfida alla natura stessa, venne subito proiettata nella direzione del proprio obiettivo, del proprio bersaglio, percorrendo la distanza lì esistente con velocità straordinaria, simile alla scarica di un fulmine, solo per impattare con dirompente foga, con distruttiva carica, contro uno dei due propulsori del veicolo così condannato dall'azione di quell'arma. E così, quando il tempo riconquistò alfine il proprio naturale corso, là dove il fucile di Duva si propose finalmente svuotato della propria energia, tanto pericolosamente condotta al proprio fianco dalla donna sino a quel momento, uno dei due veicoli in fuga dal luogo dell'attentato si ritrovò improvvisamente privato di uno dei propri motori, completamente fuso dall'azione del plasma quasi fosse entrato in contatto con il cuore incandescente di una stella.

« Uno è andato… » sorrise la protagonista di tale azione, tornando a riporre la propria arma con la stessa destrezza con cui l'aveva pocanzi estratta e, ora, piegando il proprio veicolo per porsi all'inseguimento dell'unico mezzo avversario ancora rimasto in circolazione « … e, ora, tocca a voi. » annunciò, in una quieta promessa verso coloro alla guida del secondo, i quali, senza dimostrare particolare affezione nei riguardi dei propri compagni, non dimostrarono la benché minima incertezza a tentare la fuga, a evadere a maggior velocità possibile da quel risvolto, probabilmente, inatteso e, sicuramente, sgradito.

Anche il primo ufficiale della Kasta Hamina, dopo aver rilevato il risultato del proprio intervento, non parve concedere alcuna ulteriore attenzione ai propri primi bersagli, in un disinteresse, però, tutt'altro che immotivato. Nell'essere stati privati, in tal modo, di uno dei propri propulsori, essi, per quanto potenzialmente ancora in grado di muoversi in virtù del secondo rimasto loro, non avrebbero comunque potuto mantenere il controllo del veicolo, ragione per cui la sola scelta saggia sarebbe stata quella di ritornare a terra e sperare di poter raggiungere la salvezza per altre, più scomode, vie: una salvezza che, tuttavia, ella era certa non sarebbe stata loro donata, dal momento in cui, tornando a porre i piedi al suolo, quei disgraziati si sarebbero offerti alle premure della sua compagna d'arme, di Midda Bontor che, era certa, non avrebbe mancato di occuparsi di loro, ben comprendendo le sue intenzioni così espresse. Inutile, pertanto, sarebbe stato per Duva sprecare ulteriore tempo e attenzione nel merito del destino di quel gruppetto, là dove ancora un veicolo si stava impegnando a fuggire da lei e, in ciò, si stava dimostrando capace di stuzzicare il suo istinto predatorio, l'atavica cacciatrice presente nel proprio cuore.
Sebbene ella fosse nata e cresciuta in una società che non avrebbe esitato a definire più civile e civilizzata rispetto a quella propria del passato dell'altra, la donna dagli occhi dorati non avrebbe potuto, se non ipocritamente, considerarsi particolarmente migliore rispetto a lei, nel ritrovarsi a essere animata da istinti e desideri sostanzialmente identici a quelli della compagna. Al pari rispetto alla mercenaria dalla corta chioma infuocata, anch'ella aveva da sempre subito il fascino dell'avventura, dell'esplorazione e, quando necessario, della lotta, ragione per cui, non a caso, aveva rinunciato a quel concetto usualmente diffuso di abitazione in favore dell'ospitalità offerta da una nave, non votando la propria vita al mare, così come già aveva fatto la stessa Midda, quanto, piuttosto, allo spazio e alle sue infinite distese sconosciute e colme di pericoli: entrambe marinaie, pertanto, ma anche entrambe avventuriere, esploratrici e combattenti, incapaci di trovare un significato alla propria vita, alla propria esistenza, nella tranquillità della vita quotidiana pur cara ai più, e in ciò quasi condannate a vagare continuamente, alla ricerca di nuove sfide, di nuovi limiti da superare in violazione a ogni timore o, persino, dogma. In virtù di tale concreta affinità d'animo, inevitabile se non persino necessaria, era stata fra loro, nel momento della reciproca introduzione, la nascita di una sincera e naturale complicità, un legame di cameratismo che con alcun altro dei propri compagni a bordo della Kasta Hamina, per quanto tutte figure degne di nota, di rispetto e di fiducia, erano state entrambe capaci di sviluppare: un vincolo in nome del quale, le due donne si erano già riservate molteplici occasioni di distinguo, nella buona e nella cattiva sorte, venendo sospinte insieme e continuamente dal fato, così come anche in quell'ultima occasione, a ricercare in ogni sosta del continuo viaggio della nave, una nuova possibilità di appagamento per il loro desiderio perennemente insoddisfatto, per quella bramosia caratteristica della loro natura e che, purtroppo per loro, troppo spesso non era sufficientemente compresa o apprezzata da chiunque le circondasse.

lunedì 20 settembre 2010

983


« N
on so perché, ma già immagino i commenti di quel vecchio brontolone… » sospirò ella, agendo sulla manopola allora stretta nella propria destra, al fine di imporre accelerazione alla moto e, nel far ciò, non mancando di rivolgere un pensiero al proprio capitano, nonché ex-marito, così come sottolineato da tale asserzione, più prossima ad apparire qual dato di fatto che semplice timore.

Producendo un osceno fracasso, non dissimile a quello già generato all'accensione del proprio sistema di lievitazione, il veicolo di Duva rivelò sorprendentemente, sotto un'apparenza tanto rozza e malconcia, un'inattesa grinta, che lo vide, allora, proiettarsi in avanti con non sperata decisione e, in breve, condurre la propria pilota esattamente sopra il luogo dell'esplosione, sopra la smisurata colonna di fumo nero.

« "Non so per quale ragione ma ero certo che sarebbe andata a finire in questo modo: dannazione… non è possibile lasciarvi sbarcare insieme su un qualche pianeta o planetoide senza che esso venga poi messo a ferro e fuoco!". » scimmiottò l'immancabile tono di rimprovero che avrebbe atteso lei e Midda al ritorno sulla Kasta Hamina, nel momento in cui quanto lì ancora in corso fosse divenuto di pubblico dominio fra i membri dell'equipaggio « Tsk… quasi fosse colpa nostra. A noi non serve porci alla ricerca di qualche guaio: sono loro che riescono puntualmente a trovarci, con straordinaria devozione… » ironizzò, scuotendo il capo.

Tutt'altro che gratuite, in verità, avrebbero comunque dovuto essere considerate simili parole, tale pregiudizio nel merito della reazione che avrebbe potuto essere loro presentata qual richiamo più o meno ufficiale, e pur ineccepibilmente spiacevole, molesto e importuno, al termine di quegli eventi, ove, nel mentre dello svolgimento degli stessi, il soggetto esplicitamente evocato da quelle stesse sentenze non stava riservandosi uno stato d'animo particolarmente estraneo a quello così imputatogli.
Fortunatamente ancora del tutto inconsapevole dell'ennesima ramanzina che sarebbe loro stata dedicata, o, più propriamente, del tutto disinteressata all'eventualità dell'occorrenza della medesima, preoccupata in tal senso non più di quanto sarebbe potuta essere all'idea di sporcarsi le vesti con il sangue dei propri avversari, la seconda imputata già coinvolta in quel futuro e ipotetico processo, in quella corte marziale, stava proseguendo con malcelata insoddisfazione, e pur sincero appagamento, nel proprio personale confronto con gli otto antagonisti a lei proposti.

« Thyres… » richiamò improvvisamente, invocando il nome della propria cara dea, in un'esclamazione che il traduttore ebbe difficoltà a elaborare, in quanto da lei, come anche in quel momento, difficilmente inserita all'interno di un contesto utile a concedere agli algoritmi linguistici alla base di quella macchina di comprenderne il significato corrente « E' possibile che sia solo questo tutto ciò che sapete offrire in sfida a una vecchietta qual io sono? » lì canzonò, sperando di irritarli e di spronarli a offrire maggiore passione nei propri gesti, nelle proprie offensive, sebbene chiaramente rivolte al solo scopo di domandare con rabbia la sua stessa vita « Vi prego… dal mondo da cui io provengo, persino dei bambini saprebbero tenervi testa! »

Per quanto le parole di Duva fossero state un invito tutt'altro che fraintendibile nel merito dell'urgenza richiestale a liberarsi di quell'ingombro, a rinunciare a quel balocco, la donna dagli occhi color ghiaccio e dai capelli color fuoco non sembrava essere in grado di rinunciare a quel proprio diletto, addirittura giungendo a sperare, in cuor suo, che i quattro nero vestiti già abbattuti potessero riprendere quanto prima i sensi e unirsi, in ciò, agli sforzi dei loro compagni in suo vano contrasto.
Incredibilmente nostalgico, in effetti, avrebbe potuto essere considerato per lei quel momento di lotta, ancor più di quello pocanzi offertole innanzi alle guardie preposte a protezione di Beri, e troppo rapidamente poste fuori combattimento nell'ubbidienza ai desideri del suo ufficiale in comando, dal momento in cui, nella sfida riservatale da quelle numerose lame, tanto bramose di raggiungere la sua carne, di estirpare da lei il soffio della vita, il calore proprio di un cuore pulsante, ella non avrebbe dopotutto potuto evitare di spingere la propria memoria verso Kriarya, una delle capitali delle province del regno di Kofreya, per lei città d'adozione, all'interno delle mura della quale simili scontri, tanto simili a infantili giuochi innanzi al suo sguardo, si proponevano quotidianamente, quasi fossero un impegno irrinunciabile, incarnandosi di volta in volta nel desiderio di qualche vecchio antagonista, o nuovo competitore, ad associare il proprio nome all'incredibile novella della morte di chi più prossima a leggenda che a semplice mortale. A tutto ciò, purtroppo, ella aveva dovuto rinunciare e, se anche quella nuova realtà, quel nuovo e inesplorato universo non mancasse, quotidianamente, di stuzzicare la sua curiosità, di far leva sull'avventuriera da sempre presente in lei, ugualmente difficile era, giorno dopo giorno, ignorare il richiamo della guerra, il ricordo del metallo, del sangue, del sudore e della polvere caoticamente miscelati nel turbinio delle battaglie della propria giovinezza, alle quali non avrebbe potuto mai cessare di sperare di poter un giorno fare ritorno.
In tal contesto, la medesima esplosione che si propose in soccorso alla concentrazione del primo ufficiale della Kasta Hamina, intervenne in egual misura anche verso il suo capo della sicurezza, richiamandone inevitabilmente l'attenzione, nel comprendere quanto simile sviluppo, tale evento, avesse allora da considerarsi frutto del non meglio apprezzato suggerimento di colei introdotta dal nome Tre e dall'intervento, immediatamente conseguente, di Sette e del suo razzo luminoso.

« Amici vostri, non è forse vero?! » domandò con fare retorico, nell'accogliere simile segnale qual chiara indicazione dell'effettiva necessità di concludere in quel momento il loro confronto « Mi dispiace essere costretta a lasciarvi sì prematuramente, ma credo che sia meglio, per me, andare a controllare di quali disordini vi siete resi partecipi. Spero che comprenderete, ma non sia mai che io lasci da sola Duva per intrattenermi inutilmente con voi… »

Pochi istanti dopo quella presa di posizione, Midda Bontor offrì pertanto definitiva e inoppugnabile riprova di quanto, sino a quel momento, ella avesse sostanzialmente frenato i propri colpi, volontariamente limitato la propria capacità guerriera al fine di prolungare il più possibile tale scontro, ove anche drammaticamente segnato nella propria conclusione sin dal momento stesso del proprio esordio. Trasferendo, infatti, l'azione offensiva dalla propria spada alla propria mano destra, in freddo metallo, e, reciprocamente, l'azione difensiva dalla propria mano destra alla propria spada, altrettanto efficace anche in tal nuovo incarico, ella colpi con rapidità e decisione ogni proprio avversario, uomo o donna, chi con uno schiaffo, chi con un pugno, tramortendoli tutti uno dopo l'altro senza fatica alcuna, senza particolare sforzo esterno a quello di un semplice movimento: tale avrebbe dovuto essere considerato, dopotutto, il pregio nel difetto, il vantaggio nella terribile menomazione di cui era rimasta vittima a seguito della mutilazione, tale da privarla di un arto, della sensibilità propria del medesimo, della delicatezza intrinseca in una mano di carne e ossa, e pur tale da donarle un'arma sempre presente accanto a lei, in lei, da poter impiegare sia a propria protezione, quale semplice ma efficace scudo contro attacchi fisici, sia allo scopo di recare danno a propria volta, così come mai una semplice mano di carne e ossa avrebbe potuto riservarle.
In tal modo, sì priva di epica alcuna, terminò quella battaglia, quella schermaglia confermatasi, proprio in simili gesti, neppur lontanamente giudicabile qual tale, almeno dal punto di vista proprio della donna guerriero lì protagonista, quanto, piuttosto, una banale sessione di allenamento, un modo per lei per tentare di sfogare un appetito da troppo tempo represso: un allenamento che, tuttavia, non riuscì sostanzialmente a placare i desideri della medesima mercenaria, a soddisfare le sue bramosie, proponendosi, al contrario, utile soltanto a stuzzicarla, a farle intuire il dolce sapore dell'adrenalina senza però ancora concederglielo pienamente, quasi a volerla obbligare, in quella stessa ricerca, a non arrestarsi, a non concedersi occasione di requie, quanto, invece, a ricercare occasioni migliori, altri avversari che potessero risultare al suo livello, degni non solo di intrattenersi con lei al pari di quegli ultimi sventurati, ma, se possibile, a cadere vittime dei suoi colpi, bagnando con il proprio caldo sangue la sua fredda lama dagli azzurri riflessi.