11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

martedì 31 marzo 2009

445


I
nevitabilmente troppo presto vennero meno tutti i guerriglieri da poter offrire quali vittime sacrificali per la jinn vampira, consumati dalla fame di quest'ultima, dalla sua bramosia inarrestabile di energia vitale. E con tale risultato, il destino della principessa si ritrovò nuovamente ad essere posto in forte dubbio, alimentando, insieme a tutti i superstiti, decisamente numerosi in verità, un continuo, complicato e macabro gioco d’azzardo, un letale sorteggio dal quale l’ipotetico vincitore non avrebbe avuto occasione di gioire per la propria fortuna.
Per un lungo istante, se si fosse osservato con sufficiente attenzione il comportamento dell’algul, ci si sarebbe potuti accorgere di come ella si fosse dimostrata fortemente contrariata nel rilevare come le proprie vittime predilette fossero venute meno: diversi erano stati i suoi movimenti, compiuti con evidente confusione, disorientamento, attraversando più volte la folla lì presente quasi indecisa fra pretendere altre vite o, semplicemente, allontanarsi. Ma tale creatura, purtroppo per tutti, non era giunta quale semplice messo divino, con il solo scopo di offrire punizione ai guerriglieri in contrasto al loro tentativo ormai fallito, vanificato, e, infatti, alcuna porta concesse un segnale di speranza, nessun uscio si dischiuse né spontaneamente né forzatamente: così, nonostante il primo risultato di sopravvivenza da loro raggiunto, alcuna possibilità di evasione parve venir offerta ai presenti, aristocratici o servi, educatori o guardie. Al contrario, il primo ad essere scelto, in quel gregge destinato al macello che non smetteva di stritolarsi contro al legno robusto ed inviolabile preposto a sigillo sull'intero ambiente, nella stolida speranza di poter ancora evadere, fu proprio colui che si sarebbe potuto considerare responsabile per l’intera istituzione dell’harem: l’intendente.
Con le proprie assurde proporzioni deformate, con il proprio terribile aspetto grottesco ed il proprio incredibile peso smisurato, egli aveva paradossalmente provocato, dall’arrivo dei guerriglieri al momento attuale, più vittime di chiunque altro, militante o jinn che fosse, muovendosi in maniera confusa, sbraitando vanamente per preservare la propria patetica e pigra esistenza e travolgendo con la propria massa chiunque gli si fosse parato innanzi. E quando vide lo spettro del fato muoversi verso di lui, si agitò con tanta foga, con tanto trasporto, da spezzare inavvertitamente, e invero senza alcun interesse o dispiacere, l’osso del collo all’uomo a lui più prossimo, un esile educatore, appendendosi a tal fragile punto senza alcun ritegno: in tal modo, stringendo un corpo ormai privo di vita quasi fosse una sorta di amuleto, una raccapricciante bambola fra le sue braccia informi, l’eunuco si trovò ad essere offerto in balia della propria avversaria, una parodia di infante votato al martirio per mano di un mostro delle storie della notte.
E l'algul, dimostrandosi completamente indifferente alla sua stazza, a quella mole altresì preoccupante, agì anche nei suoi confronti come da rito, prima trafiggendolo, poi sollevandolo senza sforzo da terra ed infine iniziando a nutrirsi di lui, come già era avvenuto con ogni precedente vittima.

« Deiii… » gridò l’intendente, con la propria voce mai maturata, ultimo, almeno fino a quel momento, di una già lunga lista di vittime a provare un tale dolore, una simile pena « Nooo… »

Sotto lo sguardo della folla, sempre più isterica, le dita paffute iniziarono a mutare colore, non offrendo alcuna variazione rispetto ad un tema già tristemente noto, nei confronti di un processo già conosciuto e temuto e l’energia vitale, abbondante in lui forse ancor più che nei guerriglieri, venne risucchiata con foga, con desiderio, con piacere dalla creatura, suggendo dalle sue labbra molto più che urla strazianti, molto più che semplice dolore. Qualcosa, però, diversamente da quanto era avvenuto fino a quel momento, improvvisamente interruppe il processo in corso e vide l’attenzione della jinn volgersi altrove, verso l’alto: fu questione di un istante e il corpo già parzialmente divorato dell’eunuco, privato delle braccia fino all’altezza dei gomiti e delle gambe oltre le ginocchia, nonché in completa necrosi su ciò che restava di tutti quegli arti, venne scaraventato con violenza da parte, quasi non rappresentasse più un boccone accettabile, interessante per la predatrice.

« Uccidimi, cagna… uccidimi… » supplicò egli, rotolando a terra, urlando per il proprio patimento.

Se possibile rispetto a quanto già in loro dominante, il panico aumentò ulteriormente nei presenti, nel timore che il nuovo obiettivo individuato dalla creatura potesse essere uno fra loro. Dove neppure l’idea di poter, infine, morire, sembrava ormai più esser loro concessa, nell’esempio offerto dall’intendente, straziato, martoriato eppur ancor vivo avanzo di carne umana, l’orrore di quell’incubo non parve poter conoscere alcuna possibilità di requie, prevedere alcuna sosta, in un crescendo d'angoscia difficilmente sopportabile.
Ma, mantenendo freddo controllo sulle proprie emozioni, superando i limiti imposti dal proprio egoismo e dalle proprie paure, chiunque fra loro avrebbe potuto accorgersi che ben più elevata, letteralmente, si stava proponendo la nuova vittima prescelta per la jinn vampira: una figura verde vestita, indubbiamente femminile per quanto scandalosamente priva di burqa, si stava infatti stagliando fra due delle molteplici colonnine poste ad ornamento di tutta la fascia superiore dell’architettura della sala, più in alto alle monumentali colonne presenti lungo tutto il perimetro della medesima, a sostegno dell’enorme cupola.

« Qualcuno mi uccida… qualcuno mi ucc… »

Almeno una persona, in tutto il gruppo di disperati lì rinchiusi, aveva invero mantenuto lucidità, freddo controllo sulle proprie emozioni e sulla situazione, cogliendo perfettamente la dinamica degli eventi in corso e, con essi, l'arrivo della nuova figura. E prima ancora di interessarsi a ciò che sarebbe ora potuto accadere, prima di rivolgere completamente la propria attenzione a quello che appariva essere un combattimento inevitabile, fra una folle ed una jinn vampira, ella non aveva mancato di esaudire la richiesta del proprio ex intendente: un gesto che sarebbe potuto apparire crudele ma che, effettivamente, si propose spinto semplicemente dall'umana pietade, nella volontà di non condannare l'eunuco ad una morte lunga e dolorosa, dove vita evidentemente gli era ormai stata negata.
Se anche, per assurdo, egli avesse avuto ancora speranze di sopravvivere a tutto quell'orrore, alla piaga che, nonostante il distacco rispetto alla jinn, non avrebbe ugualmente abbandonato le sue membra, quale futuro gli sarebbe potuto esser riservato da una società come la loro dove già in passato era stato considerato un mezz'uomo semplicemente in virtù di un'amputazione da lui non voluta o cercata?
Consapevole in simili pensieri, forte di tali ragioni, la principessa Nass'Hya aveva sollevato una delle spade abbandonate dai guerriglieri uccisi e, con forza, aveva vibrato il colpo di grazia, liberando finalmente l'intendente dal proprio dolore, dal proprio male, nel lasciar calare contro il suo collo scoperto la lama lucente di una sciabola.

« Che gli dei ti accolgano nella loro grazia… » sussurrò, scuotendo il capo e lasciando poi andare la spada, non desiderando trattenerla a sé, non bramando il possesso di quell'arma né avendo ragioni per farlo.

Ignorando gli sguardi attoniti, spaventati, meravigliati di tutte le donne, ed ancor più di tutti gli uomini attorno a sé, per nulla timorosa o imbarazzata per mezzo di essi, assolutamente non preoccupata di quali conseguenze avrebbero potuto esserle addotte nell'ipotesi, quanto mai rara, di sopravvivere a tutto quello, la principessa riportò finalmente la propria attenzione verso l'alto, sollevando lo sguardo là dove, nel contempo di quell'esecuzione, di quell'omicidio umanitario, l'algul si era diretta, sollevandosi da terra e fluttuando, priva di peso o di carnali limiti, nell'aria sopra di loro.
Là, ad oltre quaranta piedi da terra, tale da rendere un eventuale caduta probabilmente letale, continuava ad ergersi la sconosciuta vestita di verde, fiera in attesa dell'arrivo della propria avversaria quasi fosse una figura mitologica, armata di una lunga spada dalla foggia chiaramente non y'shalfica. E pur non potendo cogliere con precisione i particolari di quella straniera, nella semioscurità comunque imperante a quella quota, Nass'Hya avrebbe scommesso ben volentieri di aver intravisto un bagliore azzurro color ghiaccio provenire dal punto in cui si sarebbero dovuti trovare gli occhi della medesima.

lunedì 30 marzo 2009

444


C
ercando di isolare la propria mente dalle percezioni sensoriali offerte all'udito, in quel momento eccessive nel loro quantitativo ed eccessivamente confuse nel loro proporsi per essere accettate ed ascoltate, la mercenaria si concentrò completamente sull'ambiente offertole innanzi e, parallelamente, cercò di richiamare le immagini relative all'interno della sala che sapeva essere state sicuramente impresse nella sua memoria, allo scopo di trovare dei punti di raccordo, delle possibili vie di accesso.
Pur non avendo avuto occasione di studiare preventivamente la planimetria della struttura, né di maturare una reale coscienza sull'intero edificio, essendo lì da troppo poco tempo per raggiungere un simile risultato, ella avrebbe potuto comunque fare affidamento sul periodo apparentemente sterile trascorso all'interno della sala, in quella serata, allo scopo di attingere ad un discreto quantitativo di dati impressi nella sua mente su quella particolare zona all'interno della struttura. A questo, poi, non avrebbe potuto evitare di aggiungere anche tutte le informazioni comunque per lei proprie in conseguenza dell’esperienza accumulata nel corso del tempo su architetture similari, seppur non appartenenti alla medesima cultura, seppur non derivanti da uno stesso modo di concepire il mondo. In ciò, per esempio, ella era fiduciosa di come una cupola ampia e possente quale era quella che sovrastava l’edificio, in ciò, non avrebbe mai potuto essere stata concepita e costruita con un unico strato di muratura, con un solo livello di superficie: al contrario almeno un’intercapedine doveva essere stata prevista all’interno di essa, uno spazio forse stretto, sicuramente celato, ma attraverso cui, semplicemente anche la stessa servitù avrebbe potuto avere accesso a punti della medesima struttura altrimenti irraggiungibili, improponibili a qualsiasi attività di manutenzione o pulizia quali, invece, sarebbero obbligatoriamente state richieste per evitarne il disfacimento. Al pari di tali vie, altre non dovevano mancare, passaggi segreti che pur potevano essere stati probabilmente concepiti senza desiderio di segretezza, di malizia, e che in quell’occasione le avrebbero permesso di raggiungere il proprio obiettivo dove altrimenti apparentemente a lei negati. Un insegnamento importante, fondamentale che aveva del resto imparato nella propria vita, nelle proprie numerose missioni aventi come unico scopo la violazione di luoghi dimenticati dagli uomini e dal tempo, progettati anche per non essere mai violati, era proprio come raramente una costruzione avrebbe offerto un’impossibilità completa di accesso: se anche molteplici, in quel mentre, si stavano presentando le porte chiuse lungo tutta la circonferenza della sala, ella non avrebbe mai potuto evitare di essere confidente del fatto che, di certo, almeno un'altra strada fosse rimasta libera da ogni barriera, da ogni blocco. Un condotto che ella avrebbe ritrovato ed adoperato, per raggiungere la propria protetta.
All’interno della sala, quest’ultima, Nass'Hya, pur inconsapevole dell’interesse verso di sé rivolto dalla mercenaria, o più propriamente del tutto ignava in merito all’esistenza stessa della sua custode, si poneva in una situazione tutt’altro che piacevole, dalla quale neppure la speranza di essere raggiunta da una donna guerriero del calibro della Figlia di Marr’Mahew le avrebbe potuto offrire quiete. Terrorizzata al pari di tutti gli altri presenti, si era dovuta ritrovare costretta nella scelta ambigua e pur, parimenti, negativa offerta dal finire schiacciata dal panico della folla contro una delle vie di uscita, sigillate da una forza oscura, oppure ghermita dagli artigli dell’algul. Ma proprio quest’ultima, per sua fortuna dove non aveva voluto negarsi ogni possibilità di movimento all’interno dell’isterismo di massa, non era apparsa bramosa di iniziare il proprio pasto da lei.

« No… no… no! » gridò, disperato, uno dei pochi guerriglieri rimasti ancora in vita, notando lo sguardo del proprio fato dirigersi verso di lui, comunicandogli una sentenza letale che, umanamente, non avrebbe mai potuto accettare.

In effetti, la jinn vampira, fin dal momento stesso del proprio ingresso nella sala, era apparsa preferire innanzitutto i rappresentanti della milizia armata che entro quell’area le stavano venendo offerti, richiedendo apparentemente solo le loro vite per saziare il proprio appetito. Grazie a ciò, in una scelta probabilmente inconscia, ella stava svolgendo un eccellente ruolo di salvataggio per tutti gli ostaggi, dove, comunque, nessuno fra questi ultimi si sarebbe mai potuto ritenere fiducioso del fatto che, terminato il proprio impegno con i guerriglieri, l’algul sarebbe effettivamente scomparsa nel nulla, non imponendo su alcun altro una tremenda, straziante morte.

« No… no! » supplicò l’uomo, cercando un qualche riparo, cercando una qualche via di fuga, stringendo ancora la propria spada quasi fosse un amuleto più che un’arma realmente utile a difenderlo.

Un sibilo fu l’unica risposta che venne concessa al malcapitato, un suono primordiale, angosciante, nel quale ogni sua negazione venne rifiutata, ogni sua speranza dissolta, il suo stesso futuro drasticamente accorciato. Sul volto dell’algul un ampio e tremendo sorriso comparve per un istante, un evidente ed inconfondibile segno di soddisfazione per quanto le stava venendo concesso, per ciò che il fato le aveva presentato innanzi e nel mentre in cui le sue braccia si levarono rapide e letali, venendo trapassate più volte senza successo dalla spada del disperato, gli artigli sembrarono rilucere di un’energia oscura, di un magnetismo malefico: proprio quelle lame, innaturali e lontane da rassomigliare a qualsiasi concetto comune, appartenente ad una qualunque quotidianità, attraversarono imperturbabili ed irrefrenabili l’intero corpo dell’uomo, penetrandogli nel petto e fuoriuscendogli dalla schiena, non ad ucciderlo, non a privarlo della propria vita in una fine rapida e, forse, pietosa, quanto solamente ad imprigionarlo. Così irretito, al guerrigliero non fu concessa altra possibilità di movimento se non quella che gli venne imposta dalla sua predatrice, dal jinn che, come già aveva fatto per quasi tutti i suoi compagni, lo sollevò di peso da terra, per poi iniziare, lentamente ma inesorabilmente, a nutrirsi della sua stessa vita, della sua energia, della sua anima, che quale un flusso luminescente iniziò a scorrere dalla bocca di lui a quella di lei, inebriando quest’ultima quasi simile sapore fosse pari a quello di un meraviglioso nettare, di una bevanda divina di cui non poter fare a meno.

« Pietà… pietà… » gemette, forse pregando con simili parole non tanto la propria assassina quanto tutti i propri dei per concedergli, in quello stesso momento, una fine migliore di quella a cui, purtroppo, sembrava essere destinato.

La principessa osservò per l’ennesima volta quel macabro rituale essere condotto a termine: la pelle dell’uomo, inizialmente pulsante per il dolore e la paura, lucida di sudore, rossa per l’intensità di tali sensazioni, iniziò ad essiccarsi, incartapecorirsi, nelle sue estremità, per poi assumere tonalità nerastre, quasi mummificate a dimostrazione di una lenta ma inarrestabile necrosi. Ancora vivo, ancora capace di muoversi, di percepire il mondo attorno a sé e di gridare la propria pena, egli si ritrovò a vivere un decadimento improvviso del proprio corpo, quasi fosse rimasto a marcire per epoche in una cripta perduta, dimenticata, maledetta, vedendo le sue dita, prima, le sue estremità, poi, ed i suoi arti man mano diventare simili a carbone bruciato: proprio in quel suo movimento, in conseguenza di gesti tanto incontrollati quanto incontrollabili nel dolore e nell’ansia di quell’esperienza tremenda, le sue stesse membra si polverizzarono, diffondendosi nell’aria attorno a lui come leggero pulviscolo, impercettibile al tatto, una cenere leggera della quale non sarebbe presto rimasto altro che il ricordo.
In momenti lunghissimi, interminabili per il condannato ad una tale pena, eppur così rapidi, così irrefrenabili per coloro che lo avrebbero presto seguito, anche di quel guerrigliero non restò che il torso, ancora urlante per una sofferenza indescrivibile, ancora incredibilmente eppur terribilmente vivo, capace di percepire perfettamente il mondo a sé circostante ed il proprio decadimento.

« Piet…ta….aaaah… »

Ed in quell’ultimo grido, ormai trasformatosi in un’imprecazione contro coloro che non gli avevano voluto concedere tanta grazia, egli svanì completamente, divorato dalla sua avversaria, dalla sua nemica. Una fine dolorosa, forse, per coloro che ancora in vita lo avevano conosciuto, ma una perdita per la quale nessuno ebbe il tempo di piangere, dove l’insaziabile jinn si volse rapida alla ricerca di una nuova preda.

domenica 29 marzo 2009

443


Q
uando la Figlia di Marr'Mahew raggiunse la sala centrale dell'harem, percorrendo la breve ma necessaria distanza che l'aveva tenuta separata da essa fino a quel momento, ella ritrovò ogni porta d'ingresso alla medesima solidamente serrata, non semplicemente chiuse, non solo appoggiate, ma sbarrate, probabilmente e logicamente dall'interno dove all'esterno nulla di similare le venne offerto.
Il suo primo pensiero, naturale e spontaneo innanzi a quello scenario, non poté che considerare tutto ciò quale una precauzione utile e necessaria a mantenere eventuali aggressori all'esterno di quella sala: una mobilitazione, forse eccessivamente prematura, ma sicuramente conseguente al mancato ritorno dell'ultimo uomo da lei ucciso. Solo un istante dopo, nell'esplosione di spaventose e disumane grida provenienti dall'interno di quell'ambiente, ella ebbe modo di immaginare una realtà diversa, volta non tanto ad impedire un ingresso alla sala ma una fuga dalla sala, nell'inizio della carneficina a cui i guerriglieri desideravano volgere le proprie azioni, la propria tattica. Ma oltre ad ogni ipotesi formulabile dalla mercenaria, al di là di ogni suo pensiero, giustificato, sulle ragioni di ciò che stava udendo, ben diversa da una volontà riconducibile ai militanti si poneva essere la ragione di tale dolore ed orrore, dove chi o, meglio, ciò che Nass'Hya e tutti gli altri prigionieri e secondini, rapitori ed ostaggi, avevano visto entrare nella sala centrale dell'edificio dell'harem poco prima del suo arrivo, si era proposta quale materializzazione di un incubo, recante con sé un triste annuncio di morte, una sentenza su tutti i presenti.

« Dei del cielo… è una… » aveva esclamato, terrorizzato, il primo ad intuirne la presenza fra loro.

Un corpo diafano, spettrale, il suo, che non era apparso voler offrire alcuna resistenza alla luce che aveva tentato di attraversarlo, di fenderlo, lasciandosi superare dalla medesima e negando, in ciò, qualsiasi ombra attorno a sé dove, in verità, ombra sembrava già essere essa stessa. Figura alta ed esile, sarebbe potuta apparire simile ad un velo leggerissimo, mantenuto in aria in virtù di un qualche strano gioco di venti, di leggere correnti impercettibili a chiunque altro, se non fosse stato per i suoi arti superiori, presenti a tradire l'esistenza di ben altro, di qualcosa di estremamente meno gradevole: dove, infatti, alcuna parvenza di gambe era stata distinta nella parte inferiore, quasi essa rifiutasse un contatto con il suolo stesso sotto ai propri piedi, ammesso che di piedi si potesse parlare, nella parte superiore, un chiaro accenno di spalle e braccia si era posto immediatamente visibile, insieme alle curve, pur leggere, quasi adolescenziali, di una coppia di seni tale da rendere quella creatura ipoteticamente femminile. E proprio ridiscendendo, con lo sguardo, lungo quelle braccia, sarebbero state rilevate le mani di quella creatura, di quell'essere forse ultraterreno, ognuna composta in tre lunghe dita simili ad artigli, del cui essere immateriale nessuno dei presenti avrebbe desiderato scommettere, nessuno fra coloro che vennero posti innanzi a simile apparizione avrebbe voluto cercare riprova. Per quanto a loro volta quasi trasparenti allo sguardo, più prossime ad un'allucinazione che ad una visione reale, quelle branche trasmettevano una chiara sensazione di pericolo, in evidente sentimento di dolore, vanificando ogni ipotesi sulla loro inefficacia, sulla loro impossibilità ad agire: se un malcapitato fosse giunto a contatto con quelle estremità, di certo avrebbe ceduto come sotto l'attacco di sei tremende lame, affilate al punto tale da far apparire la pietra simile a burro in suo contrasto. Più in alto, poi, il velo del quale l'intero corpo era sembrato composto, si trasformava o, forse, rivelava semplicemente la sua reale natura, apparendo così quale un manto di capelli, lisci, compatti fra loro, scuri nella loro essenza di ombra, preposti a contornare, in opposizione, un volto chiaro, pallido più della stessa luna nel cielo. Al centro di quel viso, due occhi neri come le tenebre, privi di qualsivoglia distinzione fra iride, pupilla o bulbo, erano stati gli unici dettagli in quell'insieme dotati di una propria consistenza, di una densità più netta, tale da farli risultare evidenti nel contrasto con l'evanescenza del resto della creatura: fra essi ed un mento appena appuntito nella propria forma, infine, si era posto un naso piccolo, delicato, ed una bocca ampia, ornata da labbra sottili, serrate in quel momento di lento avanzare.
Per quanto alcuno fra i presenti si fosse mai ritrovato in contrasto con una simile apparizione, dove altrimenti nessuno fra essi sarebbe stato conseguentemente lì in quel momento, un solo nome era subito sorto in maniera spontanea, incontrollata, timorosa se non addirittura follemente spaventata nelle menti e sulle labbra di tutti, indistintamente vittime e carnefici…

« … algul… »

Tutti avrebbero desiderato fuggire, tutti avrebbero voluto ora scappare, dove il raccapriccio per la fine che quell'essere avrebbe potuto riservare loro superava ampiamente quello derivante da ogni altro concetto di morte, ogni altro possibile fato, pur tremendo, loro riservabile, fosse esso contro le armi dei guerriglieri, dove ostaggi in quel momento, o fosse esso contro la scure del boia, dove rapitori e sicuramente condannati se avessero osato lasciare vivi quelle mura. Ma, sospinte da una forza sovrannaturale, sicuramente nella volontà di quella creatura o di chi ne aveva evocato la presenza, tutte le porte di accesso alla sala si erano improvvisamente richiuse, sigillando all'interno della medesima tutti i presenti, in una terrificante sentenza per tutti loro.

« Maledetti… » sussurrò a denti stretti la donna guerriero.

Nell'ascoltare quelle grida strazianti, di un dolore privo di eguali, di una pena forse addirittura superiore al semplice concetto di morte, però, la donna guerriero non poté restare quieta. Forgiata nei campi di battaglia, nelle battaglie più cruente, ella aveva sicuramente una notevole confidenza con la violenza, il sangue ed il dolore, e proprio in virtù di tale speciale rapporto, ella non avrebbe mai potuto ignorare quanto tutto quello sottintendeva: qualcosa di ben superiore ad una sentenza di morte stava venendo addotta all'interno di quelle mura, dove solo le torture più tremende avrebbero potuto dare spazio a grida di dolore di quell'intensità ma neppure esse avrebbero potuto originare grida di paura simili da parte di altri spettatori, una disperazione tale da far accapponare la pelle semplicemente udendola.

« Per Thyres… » commentò, invocando a gran voce quell'attenzione divina, ormai comprendendo come la discrezione non le fosse più richiesta, nel colpire con il pomo della propria spada, posto al termine dell'impugnatura della medesima, la pesante porta in legno massiccio, quasi a richiedere in tal modo la possibilità di entrare « Che cosa sta succedendo là dentro?! »

Dove la parte più istintiva di lei, rivolta alla semplice sopravvivenza, le stava suggerendo naturalmente di fuggire da quell'edificio avendone ancora la possibilità, di allontanarsi il più rapidamente possibile da quella mortale incognita prima che fosse troppo tardi; l'altra metà, quella che solitamente la spingeva a gettarsi nei pericoli peggiori, nelle sfide più disumane, per dichiarare la propria autodeterminazione sul fato e su ogni dio o dea del cielo, della terra o del mare, non avrebbe mai potuto evitare di richiederle, al contrario, di trovare un modo per superare quella soglia, per varcare quel limite negatole per scoprire quale orrore in esso si stava celando e sconfiggerlo, segnando ancora un'altra vittoria nella propria storia personale, raggiungendo l'ennesimo successo di una serie fortunatamente ancora ininterrotta.
Quella questione, pertanto, si stava finalmente trasferendo su un piano ben diverso da quello di un normale incarico, di una quieta missione, nel quale aveva avuto inizio, trasformandosi in qualcosa di decisamente più personale, più intimo, dove neanche era riuscita a spingersi in conseguenza dell'attacco dei guerriglieri. Invero, tale evoluzione non avrebbe potuto rappresentare nulla di nuovo per lei, non avrebbe potuto proporsi come una svolta inattesa: al contrario, se non fosse avvenuta, tutte le settimane, i mesi ormai, che aveva trascorso entro quel regno, celata sotto un burqa, probabilmente sarebbero rimasti quali fini a se stessi, tempo sprecato al suo sguardo. Del resto proprio l'occasione di vivere momenti come quelli era il principale motivo per il quale ella non avrebbe avuto ragione per abbandonare la propria professione, per abbracciare scelte di vita diverse da quelle che normalmente compiva quale mercenaria: quell'adrenalina, quell'incredibile gusto per il pericolo imprevedibile, erano per lei qualcosa di irrinunciabile, superiore a ciò che avrebbe potuto mai ottenere da qualsiasi altra fonte, da qualsiasi altra sorgente. Ed ora che, finalmente, le stava venendo offerta la possibilità di abbeverarsi di simile nettare, niente e nessuno l'avrebbe trattenuta lontano da esso.

sabato 28 marzo 2009

442


I
l piano nel quale Midda aveva deciso di riporre la riuscita della propria azione, della propria missione, probabilmente non si sarebbe potuto considerare quale particolarmente elaborato, incredibilmente complesso, dove a tutti gli effetti esso si propose essere la più banale linea d’azione che mai avrebbe potuto elaborare. Non troppe, del resto, si sarebbero potute conteggiare le alternative a lei riservate ed, in ciò, ella aveva deciso in favore della più diretta, di quella attraverso la quale era certa di poter giungere ad un risultato: forse non ottimale, ma pur sempre un risultato. Armata con la propria spada, forte di tale contatto al punto tale da potersi sentire quasi invulnerabile innanzi al mondo intero, la mercenaria scelse per la soluzione dello scontro a testa bassa, puntando a porre fuori combattimento, uno dopo l’altro, tutti i propri possibili avversari, nel giungere fino alla principessa e, così, liberarla dal pericolo. Se fosse stato necessario, giunta a questo punto, li avrebbe uccisi tutti, uno dopo l’altro, non per un qualche contrasto personale, non per un qualche interesse politico ma, semplicemente, per garantire al proprio incarico la possibilità di giungere a compimento come desiderato.
Dovendo scegliere fra due diverse fazioni di nemici contro cui offrire le proprie energie, ella decise di iniziare ad impiegare la propria attenzione ai guerriglieri che occupavano il versante più esterno, coloro a cui era stato affidato il compito di preservare l’edificio dell’harem da ogni possibile pericolo per il loro scopo, per il compimento del loro obiettivo. Dove tale possibilità sarebbe potuta apparire quale inutile, incapace ad offrirle un reale vantaggio nel confronto con quella milizia e nel salvataggio della propria protetta, imponendole al contrario una chiara perdita di tempo, la quale avrebbe potuto concorrere solo a suo svantaggio, la donna guerriero volle attraverso ciò garantirsi una possibilità di rapida evasione da quella trappola, dove le fosse stato necessario aprirsi con l’utilizzo della forza bruta una via di fuga attraverso i propri avversari: nell’eliminare preventivamente ogni ostacolo su quel perimetro, pertanto, ella avrebbe evitato la sgradevole eventualità di ritrovarsi, nel momento più inopportuno, a dover ancora reclamare quelle stesse vite. Così, con movenze feline, con passi leggeri e delicati, ella si spostò fra i corridoi e le stanze, simile ad ombra nella notte, scivolando impalpabile quasi fosse spettro, fino a portarsi alle spalle di ognuno dei guerriglieri, negando loro la vita con efficienza e sistematicità. La sua spada, azzurra nei propri riflessi, affilata lungo la propria lama, non concesse ad alcuno fra loro pietà, non si propose alcun dubbio in merito a simile modo di agire, da un punto di vista umano o morale: conscia, del resto, che da alcuno fra loro ella avrebbe potuto attendersi un trattamento migliore, la scelta a favore di quelle eliminazioni fu naturale, lontana da qualsiasi possibilità di rimorso così come da qualsiasi falso principio. La Figlia di Marr’Mahew, in quella notte così come sempre nel corso della propria esistenza, non stava agendo al fine di preservare un ideale, proteggere un valore, quanto, semplicemente, seguendo il proprio desiderio, la propria volontà, nel preservare la propria stessa esistenza da coloro che avrebbero bramato di negarla. Incerta fra celare i cadaveri dei guerriglieri o svelarli al mondo a loro circostante, nel generare di conseguenza l’allarme all’interno di tutta la città, ella scelse per la prima alternativa almeno fino a quando non fu certa di aver condotto alla morte tutti gli uomini preposti a quel compito di sorveglianza, non desiderando generare, in maniera complementare ma, per lei, meno gradevole, un allarme anche all’interno dell’edificio oltre che all’esterno, rendendo il tutto più difficile per il conseguimento dei propri scopi.
Tutto parve procedere per il verso migliore, nel costante decremento del numero costitutivo di quel gruppo di guerriglieri sotto la sua azione, almeno fino a quando il fato non sembrò voler forzare la mano della mercenaria, ponendola innanzi ad un imprevisto…

« Ehy… ma cosa…?! »

Tale fu la voce che giunse completamente inattesa alle sue orecchie nel mentre in cui ella si stava impegnando nel celare il corpo privo di vita dell’ultimo avversario ucciso, fuoriuscendo dalla gola di un compagno del medesimo, un altro evidentemente sfuggito al suo controllo. E non fu, tanto, quel singolo individuo a concedere preoccupazione alla mercenaria, dove ella non gli permise neppure di concludere la frase ancora in corso, grazie alla quale ne aveva rilevato la presenza, sottraendogli rapidamente la vita dal corpo, quanto piuttosto il di lui stesso intervento dove ella non aveva previsto che vi sarebbe potuto essere: volendo negare la possibilità che si potesse essere sbagliata nei propri calcoli, nella rilevazione delle posizioni avversarie lungo l’intero perimetro esterno, l’unica giustificazione utile a spiegare il suo arrivo si concesse essere nel vederlo provenire dalla sala centrale, forse inviato lì per comunicare con i compagni lasciati a difesa esterna o, forse, per innumerevoli altre ragioni.

« Thyres… » si lamentò quasi stesse rivolgendosi al nemico appena reso cadavere, ripulendo nel contempo nuovamente la propria lama macchiatasi di caldo sangue a compimento di quell’ennesima morte « Non avresti potuto concedermi ancora un po’ di tempo? Razza di sciagurato… »

Dove, infatti, l’uomo fosse giunto dalla sala interna, tale improvvisa evoluzione avrebbe comportato per lei un deciso ostacolo: se, infatti, egli non avesse fatto ritorno nell’arco di tempo concordato con i propri compagni, un’idea su quanto stesse accadendo non sarebbe mancata ai medesimi, spingendoli addirittura ad immaginare scenari tanto negativi nei loro riguardi tali da indurli a liberarsi rapidamente degli ostaggi, vanificando tutti gli sforzi che l'avevano vista impegnata fino a quel momento.
In ciò, pertanto, il tempo a disposizione della donna guerriero parve improvvisamente essere stato completamente azzerato, rendendo inutili altri eventuali preparativi, altre ulteriori tattiche: in verità tutto ciò che aveva desiderato compiere prima di prendere d’assalto il nucleo dell’edificio era già stato compiuto, nell'eliminazione di tutti i guerriglieri a guardia del perimetro esterno, ed in questo ella avrebbe anche potuto evitare rimpianti verso il tempo negatole. Ma il ritrovarsi costretta, non in conseguenza a sue dirette azioni, a restare in balia degli eventi, peggio ancora dove questi ultimi associati a un gruppo di folli rivoluzionari senza alcun desiderio di sopravvivenza per se stessi, non avrebbe mai potuto concederle soddisfazione, non avrebbe potuto mai offrirle la stessa tranquillità d’azione che, altrimenti, aveva cercato di ritagliarsi con quanto attuato. Ponendo da parte le proprie lamentele, a puro titolo personale, ella decise di avviarsi verso la conclusione di quella spiacevole serata, per affrontare l’ultimo grande ostacolo rappresentato da pochi guerriglieri e troppe loro potenziali vittime.

giovedì 26 marzo 2009

441


N
ass'Hya trovava ancora difficile ritenere che M'Aydah potesse averla abbandonata in un modo tanto plateale, così esplicito, addirittura ponendo in pericolo la sua stessa esistenza. Sicuramente non si conoscevano da anni, forse non avevano condiviso incredibili esperienze di vita insieme, ma era pur convinta di aver compreso che genere di donna fosse, quale animo si celasse in lei, sotto ad ogni apparenza, dietro ad ogni discriminazione conseguente a ceto o professione: la pavidità, in ciò, non era mai apparsa ai suoi occhi quale una caratteristica fondamentale, un fattore tanto predominante in lei da spingerla nella via che aveva altresì seguito proprio in quel momento, sotto ai suoi stessi occhi.
Considerando tutt’altro che chiusa la questione ma non avendo del resto modo di procedere altrimenti, ella distolse la propria attenzione dal pensiero della serva fuggiasca per riportarla all’ambiente a sé circostante, quella situazione tutt’altro che gradevole o piacevole, nella quale avrebbe potuto anche ritrovare il proprio destino, incontrare la propria morte. A seguito dei primi annunci offerti ai propri ostaggi, i guerriglieri non avevano aggiunto ulteriori parole, non avevano proposto altre dichiarazioni, dove del resto nessuno fra i giovani e gli eunuchi lì presenti aveva tentato nuove fughe, alcuno fra essi aveva dato prova di voler sfidare il fato certo rappresentato dalle affilate lame di quei folli disposti evidentemente a tutto per imporre all’attenzione pubblica le proprie rivendicazioni. E che simili ideologie, che quei valori potessero essere considerati giusti o errati, in quel frangente alcun reale interesse avrebbe potuto suscitare in chiunque fra i presenti: nella situazione in cui si erano ritrovati ad essere, la loro intera esistenza sarebbe dipesa da ciò che i loro rapitori, i loro aguzzini ritenevano fondamentale, trasformando improvvisamente simile realtà nella sola che mai avrebbero avuto senso di conoscere, nell'unica che avrebbe mai avuto ragione d'essere.

« Non pensiate di essere qui in virtù di qualche evidente colpa… » enunciò improvvisamente il loro comandante, riprendendo parola, offrendo nuovamente la propria voce nella vasta sala « Non considerate che vi sia qualcosa di personale nella morte imposta su ognuno di voi: è solo una questione politica. »
« La politica: meravigliosa invenzione… » continuò poi, sorridendo ed offrendo qualche passo fra loro, senza alcun timore per la propria persona, non più di quanti ne avrebbe potuti avere un pastore a passeggiare fra le pecore del proprio gregge « Per merito di essa chiunque può permettersi di compiere qualsiasi genere di azione, rimanendo assolutamente impunito; chiunque può giostrare con le vite di propri simili senza preoccuparsi delle conseguenze, laddove anche se nefaste non lo riguarderanno, non lo coinvolgeranno… »
« Se io litigassi con qualcuno fra voi al mercato, per un capo di abbigliamento che piace ad entrambi, e da questo litigio giungessimo alle spade e alla morte di questo qualcuno, ciò che ne conseguirebbe sarebbe definito "omicidio": mi sarebbero di certo riconosciute alcune attenuanti, ma non riuscirei assolutamente a cavarmela senza una pena, senza incorrere in una punizione per questo... » proseguì nel proprio monologo, rivolgendosi a tutti gli astanti o, forse, a nessuno di essi « Eppure… eppure se nel mio ruolo di politico, sovrano o governatore di questo illuminato Paese, io decretassi guerra ad un'intera nazione dal giorno alla notte, nessuno mi offrirebbe alcuna colpa, nessuno mi rivolgerebbe un rancore di sorta. »
« Non siate stupiti di queste mie parole, non mostratevi scioccati da queste considerazioni, vi prego… » richiese loro, scuotendo appena il capo « Non credo di star offrendovi una prospettiva nuova sulla vita e sul mondo, dove ognuno di voi si propone di certo essere qui riunito, in questa sera, per una sola, semplice, banale ragione: il potere. »
« Tutti voi, nessuno escluso, ricercate potere, ne avete una necessità quasi primordiale per sentirvi realizzati… » continuò, ora assumendo toni più accusatori, più forti in simile giudizio « Non vi importa di alcun altro al di fuori di voi, non avete interessi estranei al banale egoismo: non può esistere alcun "tu" al di fuori dell'"io", non può esistere alcun sogno, alcun desiderio, alcuna volontà al di fuori della vostra. E nel vostro futuro, ammesso ma assolutamente non concesso che ne potrete avere uno, in virtù di simile bramosia, la politica sarà l'unica fede nella quale riporrete speranze… »

Una lunga pausa di riflessione, seguì quella prima parte del monologo: riflessione non tanto per l'oratore, quanto piuttosto per coloro che ad esso erano obbligato ad offrire ascolto, volenti o nolenti. A tutti loro, egli volle concedere la possibilità di accettare le sue parole, accogliere quel suo pensiero e trarre delle prime valutazioni, sicuramente negandogli ogni possibilità di raziocinio, di correttezza, ma non potendo altrettanto sicuramente negare un coinvolgimento personale in quello.
Anche Nass'Hya, principessa per diritto di nascita, non si sentì, onestamente, di offrire torto a quell'uomo, il cui discorso si concedeva tale da far emergere concetti sicuramente retorici, assolutamente noti, eppur così normalmente celati dietro a una barriera di perbenismo difficilmente penetrabile, superabile, aggirabile: abituati alla politica ed alle sue distorte concezioni sulla realtà quotidiana, difficile sarebbe stato, altrettanto oggettivamente, estraniarsi al punto tale da riconoscere l'enorme disequilibrio derivante dalla politica, l'enorme ingiustizia, sociale e personale, che solo nel suo nome poteva ed avrebbe mai potuto esistere.

« Oggi, però, per la prima volta la politica non si proporrà in vostro sostegno, in vostra difesa, a tutela dei vostri diritti sopra a quelli di chiunque altro… » riprese poi l'uomo, tornando a parlare e ad osservare i propri ascoltatori, con interesse e curiosità « Anzi: solo in nome della politica i vostri assassinii potranno ritrovare una chiara ragion d'essere, una seria motivazione… »
« Voi tutti morirete per una scelta politica. » affermò, con freddezza, con tono tanto lapidario da sembrar bloccare il tempo attorno a sé, insieme ai battiti dei cuori di tutte le sue potenziali vittime « La vostra vita, immolata sull'altare della libertà e dell'uguaglianza, si presenterà agli occhi dell'intera provincia se non dell'intero regno, quale una dimostrazione evidente delle ragioni che offrono possibilità di esistenza al nostro movimento, alla nostra guerra civile che pur tanto vi impegnate ad osteggiare, a non riconoscere tale. »
« Ciò che spinge la nostra mano non è il capriccio di un momento, non è il desiderio di acquistare potere, forza per noi stessi: anzi… » sorrise, quasi malinconicamente nel lasciare per un istante in sospeso quella frase « … molto probabilmente anche noi tutti moriremo con voi a conclusione di quanto compiremo, condannati a morte qual contrappasso per la vostra morte, uccisi in difesa della politica del vostro regno così come voi ora sarete uccisi in difesa della politica di quello che noi desideriamo essere il nostro regno. »
« La politica è un enorme circolo vizioso… e tutti noi, nessuno escluso, ne diveniamo prima o poi vittime… » sembrò avviarsi a conclusione, con un sospiro di spossatezza « Questa sera, però, alcune vittime abituali hanno deciso di negarsi ai propri carnefici, hanno deciso di ricordare l'esistenza e gli umani diritti che dovrebbero essere propri anche delle nostre famiglie: siamo stanchi di essere vittime, siamo stanchi di subire politiche che non ci appartengono, alle quali non siamo evidentemente in grado d trovare soluzioni più pacifiche… »

E nella freddezza oggettiva di quell'ultima affermazione, per quanto velata dietro un'apparenza umana, nella facciata offerta da pietà propria di un cuore aperto, tutti i presenti compresero perfettamente che alcuna speranza avrebbe mai potuto offrire salvezza, che alcuna possibilità di comunicare con i propri aguzzini sarebbe miseramente fallita.
E Nass'Hya si sentì in parte perduta, condividendo le emozioni dei propri compagni, di coloro che ne avrebbero comunque condiviso il destino, per quanto breve esso sarebbe potuto essere: avrebbe mai potuto trovare salvezza? Sarebbe mai riuscita a raggiungere evasione, come già aveva avuto successo M'Aydah nel fare? Oppure, nell'allontanamento della propria serva avrebbe dovuto essere interpretato quale una fine imminente?

« Dei… » sussurrò fra labbra serrate, ormai impossibilitate ad aprirsi o anche solo a dischiudersi, non desiderando spingersi a tenere compagnia a coloro che già erano morti dove comunque, forse, proprio questi ultimi, coloro già tanto rapidamente caduti sotto i colpi avversari, avrebbero dovuto essere considerati quali i più fortunati.

mercoledì 25 marzo 2009

440


« C
he cosa hai fatto, M'Aydah? » sussurrò, inudibile, la principessa, retrocedendo verso le proprie compagne ed osservando esterrefatta la morte dei due eunuchi, la quale pur essendo assolutamente priva di ogni significato era indubbiamente ciò a cui anche lei aveva corso il rischio di andare incontro.

Ma per quanto Nass'Hya non avrebbe mai potuto comprendere le ragioni che avevano spinto a quell'insano gesto la propria serva, ella avrebbe dovuto esserle incredibilmente riconoscente per quanto aveva fatto e, soprattutto, per come lo aveva compiuto.
Per un istante, o una frazione del medesimo, prima ancora di tradurre il proprio piano da idea ad azione, la Figlia di Marr'Mahew aveva preso in esame diverse alternative in merito alla propria compagna, per decidere in che modo fosse meglio coinvolgerla o non coinvolgerla in simile contesto. Dove ormai, probabilmente, assurdo sarebbe stato tentare di proteggere ancora la propria reale identità dietro il camuffamento offerto da quel burqa, ella aveva pensato addirittura di trascinare dietro di sé la propria protetta: tale idea, per quanto potenzialmente ricca di benefici nell'immediato, concedendole la certezza in merito al controllo sul destino della medesima, avrebbe potuto rivelarsi nel lungo termine più un peso che un vantaggio, ponendole entrambe a rischio e, in ciò, facendo miseramente fallire il senso di quanto aveva compiuto fino a quel momento in Y'Shalf. Al contrario, lasciandola alle proprie spalle, ammesso ma non concesso di riuscire a sconfiggere tutti i guerriglieri ancor prima che essi fossero in grado di attuare il proprio manifesto, quella volontà ideologica tanto osannata, ella avrebbe avuto maggiori possibilità di sopravvivenza ed avrebbe ancora continuato a ritenerla una semplice serva: vile, sicuramente, ma pur una serva e nulla di più. In virtù a simile considerazione, in conseguenza a tale percorso mentale, la principessa era stata abbandonata dalla mercenaria nella sala, là dove una condanna a morte sembrava incombere comunque sul proprio futuro: se ella non avesse commesso follie, entro certi limiti sarebbe stata comunque al sicuro e le avrebbe lasciato libertà di agire, al fine di evitare simile, spiacevole destino.
Disattendendo ogni ipotesi formulata dai guerriglieri, nel merito della sua fuga, Midda non tentò di recuperare una via di uscita, non cercò di abbandonare il monumentale edificio dell'harem, quanto, semplicemente, si diresse verso la propria stanza, alla ricerca della propria spada che, inevitabilmente, avrebbe dovuto essere ancora celata fra i propri effetti personali. Essi dovevano essere stati, infatti, lì trasportati nel corso della giornata lontano da ogni sua possibilità di controllo o supervisione e proprio in ciò, paradossalmente, si propose il primo reale impedimento posto sul suo cammino: l'ignoranza in merito a quale sarebbe dovuta essere considerata quale propria stanza. Non essendoci ancora stata, non avendo ancora avuto alcuna indicazione a tal riguardo dalle guardie dell'harem, dove ciò sarebbe dovuto avvenire solo al termine della serata di festa, ella si trovò obbligatoriamente smarrita fra le alte torri dell'edificio preso d'assedio, costretta a violare ogni camera offertale nella speranza di potersi imbattere nei bagagli appartenenti a lei ed alla sua protetta.

« Thyres… » sussurrò, storcendo le labbra dopo aver preso in esame la prima dozzina di stanze, già stanca della costrizione ad incedere in tal senso « Sarebbe stato meglio mi fossi tenuta la spada sotto la veste… »

Al di là di tale lamento, umano sfogo per la frustrazione conseguente a quella ricerca apparentemente vana, ella era comunque consapevole di come non sarebbe mai riuscita a mantenere la propria spada bastarda sotto il burqa senza farsi scoprire, senza far emergere la sua insolita presenza: se, infatti, quel particolare abito riusciva a celare perfettamente il suo corpo ed i vestiti che manteneva sotto ad esso, impedendo a sguardi curiosi di giungere anche solo ad intuire la cicatrice che solcava il suo viso nel proprio lato sinistro ed il metallo che sostituiva quasi integralmente il suo braccio destro, impossibile sarebbe stato per esso stesso nascondere la forma di una lama, soprattutto lunga tanto quanto quella in questione. Invero, la mercenaria era già più che grata ai propri dei dell'aiuto che le avevano offerto fino a quel giorno, impedendo a chiunque di scoprirla o di ritrovare la sua arma fra i propri effetti personali, fra quei pochi beni che anche una serva, quale lei appariva, avrebbe potuto mantenere accanto a sé.
Fortunatamente per lei, la sua ricerca non venne ostacolata dai propri potenziali avversari, secondo quanto, del resto, aveva già previsto al momento della propria fuga: dove al primo gruppo di guerriglieri non sarebbe interessato inseguirla, certi che del suo destino si sarebbero interessati i loro compagni, questi ultimi non avendo neanche avuto modo di conoscere dettagli in merito a quanto avvenuto, non avrebbero mai potuto offrirle fastidio, dal momento in cui ella non si sarebbe posta interessata a cercare di violare il perimetro da loro presidiato. Forte di tale sicurezza ma consapevole, anche, di non poter impegnare l'intera nottata alla ricerca della propria arma, nel non voler rischiare di perdere la propria protetta in conseguenza di un colpo di testa da parte dei loro rapitori, la donna guerriero non si concesse alcuna possibilità di quiete almeno fino a quando, in una delle poche camere ancora rimaste da controllare, non ritrovò una scatola di legno che ben aveva imparato a conoscere, posta in evidenza in conseguenza di un particolare riguardo con cui doveva essere stata trattata da coloro che fino a lì l'avevano portata.

« Lode al chaturaji… » esclamò con soddisfazione, dove probabilmente solo grazie a quel particolare non aveva superato anche quella stanza come tutte le altre, nell'impossibilità di soffermarsi eccessivamente su ognuna di esse.

Entrando nella stanza e disfacendo rapidamente le stoffe che l'avvolgevano, parte del proprio bagaglio personale, la donna guerriero svelò finalmente al proprio sguardo ed alla luce della luna la lama della propria spada, magnifica nelle tonalità azzurre che ne contraddistinguevano l'origine e la particolare lega con la quale essa era stata forgiata. Ritrovare contatto visivo con il drago nascente dalle acque del mare inciso con stile estremamente raffinato sull'elsa, da parte delle migliori mani artigiane che mai avesse avuto modo di incontrare fino a quel momento, fu per lei una sensazione meravigliosa, un sollievo più unico che raro, concedendole quasi lo stesso benessere conseguente alla riottenuta possibilità di trarre respiro dopo un lungo periodo in apnea, quasi anch'ella, similmente a quella bestia meravigliosa e temibile, stesse emergendo dalle profondità marine. Erano ormai settimane che, per evitare ogni sorta di rischio, per non essere scoperta, aveva abbandonato ogni contatto con la propria spada e, dopo tanto tempo, dopo tanto impegno posto nel recitare nel ruolo di M'Aydah quasi si iniziava a sentire perduta in esso, come se la maschera stesse prendendo il sopravvento sul volto reale nell'inganno ordito: ma ritrovare quell'arma, quella dichiarazione inequivocabile della propria natura, della propria vocazione nonché della propria professione, si poneva per lei quale un meraviglioso incontro con se stessa, con Midda Bontor, donna guerriero.
Senza indugi, quasi affannata nella volontà di recuperare le proprie sembianze, di liberarsi da una maschera improvvisamente divenuta soffocante, ella si levò senza indugi la lunga veste, offrendo alla lucentezza della luna, ormai riflessa sulla lama, il proprio viso e con esso il proprio spirito indomito. Come risvegliatasi da un lungo periodo di letargo, per quanto l'inverno fosse solo alle porte e non già terminato, sentì l'adrenalina rianimare ogni suo membro, gonfiare ogni suo muscolo, incitandola ad impugnare quella lama e a farsi strada all'interno dell'harem nel sangue e nel dolore di chiunque si fosse posto innanzi al suo cammino, di chiunque avesse osato sfidare colei che era stata nominata quale figlia della dea della guerra.
Ora ella si sentì consapevole che avrebbe potuto portare a termine la propria missione, che avrebbe potuto ricondurre il gioiello più prezioso di tutta Y'Shalf al proprio mecenate, non più giocando di astuzia, non più giostrando dietro ad inganni e salamelecchi, ma liberando la via innanzi a sé, al proprio destino, nel modo che meglio le si sarebbe mai addotto, nella maniera a lei da sempre più consona.

« Ora sì che iniziamo a ragionare… » sorrise, roteando la lama attorno ai propri fianchi.

martedì 24 marzo 2009

439


« T
emo che avrei dovuto offrirti ascolto, mia signora… » commentò la donna guerriera, sottovoce « Mi dispiace di essere stata tanto sciocca ed averti trascinata in tutto questo. »
« Per bontà divina, M'Aydah… taci ora. » le supplicò la principessa, non meno turbata rispetto alle proprie coetanee e compagne.

Sebbene, infatti, la fanciulla stesse offrendo chiara dimostrazione di valore, nel riuscire a porsi con maggiore resistenza alla tensione, migliore controllo sulle proprie emozioni nel confronto con gli eventi in atto e con gli altri presenti, non concedendo all'isteria del momento di dominarla come invece essa stava riuscendo nell’animo di chiunque, uomo o donna che fosse, anch’ella non avrebbe potuto negare timore per la propria vita, per il proprio fato, nel vedersi posta in contrasto con un simile pericolo, con l’ideologia, per lei assurda ed incomprensibile, radicata nell’animo di quel gruppo armato.
Ed innanzi al lamento proposto dalla propria serva, per quanto affezionata a lei potesse essere, l'aristocratica non avrebbe mai potuto evitare di imporle il proprio rimprovero, quasi la propria ira, per il rischio mortale che stava facendo correre ad entrambe, violando l’ordine loro imposto.

« E' tutta colpa mia… » insistette Midda, ignorando la preghiera rivoltale ed, anzi, aumentando leggermente il tono della propria voce per non restare non udita dagli avversari a loro prossimi.
« Ti prego… taci. » replicò l’altra, digrignando i denti, ora, nella rabbia, impossibile da evitare di provare in conseguenza di tanta, apparente, stolidità.

Non ottuso era però, in verità, il comportamento della mercenaria in simile frangente, quanto rivolto ad una strategia tale da garantire a lei, ed alla sua protetta, una possibilità di fuga: pur improvvisata, frutto di un’estemporaneità, naturalmente limitata da umane possibilità di errore, quel tentativo avrebbe potuto condurre al risultato desiderato se solo gli animi degli involontari protagonisti di quella tattica avessero agito secondo i propri naturali ritmi, seguendo quelle normali pulsioni in base alle quali, quotidianamente, erano abituati a regolare, anche involontariamente, la propria esistenza. E ciò, effettivamente, avvenne.
I guerriglieri che poc’anzi avevano già disarmato la coppia di guardie nei loro pressi, scattarono verso le due donne, per imporre su esse la giusta punizione, decretata dalle regole già definite nell’omicidio appena avvenuto: avanzando verso di loro, tesero le proprie armi, muovendole con decisione non tanto nella volontà di minacciarle quanto, più semplicemente, di imporre, in maniera definitiva, il silenzio sopra a semplici ostaggi già destinati al macello. Solo allora la Figlia di Marr’Mahew intervenne nell’attuazione di quanto rapidamente ideato: il suo braccio destro si erse a protezione del proprio corpo e di quello della propria compagna, deviando con un ampio movimento entrambe le lame contro di sé rivolte, destinate a imporre una prematura conclusione al suo cammino; nel tal mentre, il braccio sinistro propose rapido un colpo alla gola della guerrigliero a lei più prossimo, impattando con il bordo della mano tesa su quel punto tanto scoperto eppur tanto delicato e negando, in conseguenza a ciò, ogni possibilità di respiro per il proprio avversario. Non era suo interesse, in quel momento, ricercare la morte del malcapitato né, tantomeno, desiderava imporsi su tutti i possibili nemici che le si sarebbero potuti parare di fronte: perciò, approfittando dell’effetto sorpresa derivante da quell’azione improvvisa ed inattesa, scattò rapida in avanti, abbandonando la principessa alle proprie spalle, non coinvolgendola con sé nella propria fuga.

« Ma cosa…?! » esclamò il guerrigliero rimasto illeso « All’armi! » gridò poi, al fine di richiamare l’attenzione dei propri compagni verso ciò che stava accadendo, non avendo comunque modo di fare o pensare nulla utile a trattenere la donna prima che ella lo superasse.

Nessuno si era posto in allerta prima di quell'avviso: la vastità della sala, l’alto numero di presenti al suo interno, il quantitativo assolutamente esiguo di guerriglieri e la rapidità dell'azione compiuta, avevano infatti permesso alla mercenaria di risultare assolutamente discreta, non attirando alcun interesse nei confronti del proprio movimento, della propria ribellione. Su tale fattore, ovviamente, ella aveva fondato, giocando d'azzardo, una parte della riuscita della propria azione: non si sarebbe potuto attendere, del resto, di poter trovare reale opposizione innanzi ad un tentativo simile dove, certamente, mai qualcuno avrebbe potuto immaginare che una possibilità di offesa sarebbe potuta essere proposta da qualcuno dei presenti, tantomeno da parte di una comune serva. Così, nel momento in cui la voce sull'aggressione subita si diffuse, ella aveva già riservato sufficiente distanza fra se stessa ed i propri improbabili inseguitori per sentirsi al sicuro da loro: improbabili perché, come in effetti si dimostrò subito dopo, difficilmente essi avrebbero scelto di abbandonare il controllo sulla sala centrale per rincorrerla, preferendo di certo affidare il compito della sua nuova cattura ai compagni preposti a formare una seconda linea di controllo sul limitare più esterno dell'edificio, sulle varie possibilità di accesso al medesimo e, conseguentemente, di fuga da esso.

« Cosa è successo, per Gau’Rol?! » esclamò il comandante del gruppo, rivolgendosi verso i due guerriglieri attaccati dalla mercenaria.
« Una cagna… è scappata! » rispose colui che già aveva dato l'allarme, incerto su come agire, da un lato nell'essere trascinato dall'enfasi del momento, nel voler punire la serva che aveva osato porli in ridicolo davanti ai propri compagni, dall'altro nella consapevolezza del proprio ruolo.
« Ammazzate i due mezzi uomini… così che questo serva da lezione per tutti. » sentenziò, freddamente, senza particolare trasporto emotivo alla notizia di una fuggiasca « Alla donna ci penseranno gli altri. »

Organizzati quali essi avevano dato prova di essere, non tutti gli elementi del gruppo di quella piccola milizia erano accentrati in quella sala come giustamente Midda aveva ipotizzato: una seconda linea, meno numerosa ma non per questo meno pericolosa o decisa, presidiava un perimetro più amplio, ad evitare che qualcuno, dall'esterno, potesse offrire noia verso l'interno. E ad essa sarebbe stato affidato il destino della ribelle. Così i due eunuchi vennero giustiziati sul posto, senza una vera ragione, senza una motivazione concreta che potesse offrire spazio ad una punizione tanto violenta: nessuna colpa, del resto, sarebbe potuta essere adotta nei loro confronti, per la fuga appena avvenuta, dove nessuno fra i due aveva offerto il minimo aiuto, era stato coinvolto in alcun modo dalla serva evasa.
Quella morte, pertanto, non avrebbe desiderato essere castigo per i condannati, quanto piuttosto esempio per i sopravvissuti, per coloro che avessero voluto complottare nella speranza di preservare la propria vita, e di simile interpretazione il comandante volle trasmettere la massima trasparenza.

« Morirete tutti. » ripeté egli, offrendo nuovamente il concetto già espresso senza alcuna enfasi, senza alcuna drammatizzazione attorno al medesimo « Ed ogni mossa che sarà compiuta in opposizione al nostro volere, non farà altro che accorciare il già breve destino che ancora vi viene offerto innanzi… »
« Se volete un consiglio da amico: state tranquilli. » aggiunse poi, scuotendo il capo « E controllate che anche il vostro vicino faccia altrettanto o, oltre a lui o lei, anche voi pagherete per ogni ulteriore tentativo di ribellione come quello appena avvenuto. »

Parole semplici, chiare, che in quel momento di disperazione collettiva ebbero un effetto dirompente, esplosivo, nel trasformare, improvvisamente, tutti nei guardiani di tutti: spronati dal proprio egoismo, dal proprio attaccamento alla vita nella speranza incrollabile che la giustizia cittadina potesse quanto prima riportare l'ordine anche in quel tempio mondano ormai corrotto dalla blasfema violenza, nessuno di quei giovani uomini e donne avrebbe mai concesso ad alcun altro una possibilità di lottare per la propria vita, per il proprio futuro, dove ciò avrebbe potuto condurre solo alla propria prematura ed inutile morte.

lunedì 23 marzo 2009

438


« A
ccade che siamo in trappola… » ringhiò la Figlia di Marr'Mahew, quasi a rispondere al dubbio offerto dall'eunuco « Ed io non posso neppure far lievitare il mio compenso innanzi a questo imprevisto… » aggiunse, poi, sottovoce, quale ironica nota personale.

In ogni angolo della vasta sala, dividendosi dalla folla all'interno della quale fino a pochi istanti prima si erano perfettamente frammischiati, molti uomini avevano estratto armi precedentemente celate fra i drappeggi di larghi abiti, fra le pieghe di amplie vesti, per potersi dirigere con ordine e coordinamento assoluto a cogliere alle spalle le numerose guardie sparse lungo tutto il perimetro, intimando loro di gettare le proprie armi e non opporre resistenza. Così avvenne anche nei confronti della coppia di eunuchi posta innanzi alla mercenaria ed alla principessa, i due che avevano poco prima ostacolato la ritirata delle medesime da quella zona ormai non più gradevole, sicura: essi, senza poter neppure comprendere cosa stesse accadendo, ritrovarono le lame di due lucenti sciabole puntate sotto ai propri menti, pronte a porre rapida ed impietosa fine alle loro esistenze se solo avessero osato contrastarli, se solo avessero sperato di reagire.

« Che nessuno tenti assurdi eroismi… » esclamò una voce imperiosa, emergendo dal centro della sala e sovrapponendosi sopra ad ogni altra, non in conseguenza d un tono superiore, di un enfasi più demarcata, quanto di un forte carisma contenuto nelle proprie stesse note « Il nostro scopo finale è uccidervi tutti: farlo in maniera più o meno rapida, per noi, non cambierà assolutamente nulla. A voi l'arduo compito di trarre le conclusioni a tal riguardo… »

Midda, stringendosi appena alla compagna, quasi volesse dimostrare spavento per quanto stava accadendo, si voltò con discrezione in direzione dell'oratore, ipotetico capo di quella operazione paramilitare, per poterlo squadrare ed, in tal modo, giudicare: camuffato in maniera pressoché perfetta, così come già tutti i propri uomini, si presentò innanzi al suo sguardo quello che sarebbe potuto essere scambiato, e che in effetti era stato scambiato, per un giovane aristocratico qualunque ma che, al contrario, non sarebbe potuto essere che un guerrigliero. Le parole appena pronunciate, del resto, sancivano chiaramente lo scopo di quella missione, il fine ultimo di quanto era stato appena posto in essere: l'eliminazione completa dei presenti. Così annunciata, essa non avrebbe mai potuto avere alla propria base un mandato diverso da quello ideologico, da quello puramente politico che alcun valore materiale, alcuna ricompensa altrimenti offerta avrebbe potuto traviare nel proprio intento: parallelamente, coloro che sarebbero stati pronti a sacrificarsi per tale scopo, come evidentemente apparivano gli uomini coinvolti, non avrebbero mai potuto essere semplici mercenari, quanto, molto peggio, fanatici privi di ogni timore, di ogni affezione alla vita.
Come altro descrivere, altrimenti, coloro i quali, giunti al centro della capitale nel contesto di uno degli eventi più significativi di quella giornata se non di quell'intero periodo, avevano accettato senza apparente preoccupazione l'evidenza del fato a cui si erano condannati con tale atto, dell'impossibilità di salvezza, di fuga riservata dalla loro stessa trappola, all'interno della quale, inevitabilmente, avrebbero dovuto immolare le proprie vite in nome di una causa disperata?

« La guerriglia! » gridarono in molti, da più angoli della sala, comprendendo il pericolo impostosi improvvisamente su di loro e, per questo, cedendo al timore più intimo e naturale nei confronti della morte.
« Vi consiglio di tacere… » si impose nuovamente il comandante della spedizione, con tono che non avrebbe offerto spazio a possibilità di replica « L'esser stato troppo a lungo a contatto con tutte le vostre vezzose chiacchiere mi ha procurato un pessimo mal di testa questa sera… e non desidero tollerare ulteriormente grida di sorta. Il vostro panico, nel confronto con un destino certo, è oltretutto assolutamente vano, fine a se stesso, dove non vi permetterà di evitare il fato già prescritto per ognuno di voi. »

Innanzi a simile risvolto, la donna guerriero non poté che, oggettivamente, rivalutare in minima parte la guerriglia, per così come già aveva avuto modo di giudicarla. Non che essi, con tale atto, avessero offerto alla propria causa una qualche ragion d'essere al suo sguardo, ma di certo avevano dimostrato di possedere maggiore fegato, maggiore fermezza di quanto non le fosse noto avessero mai avuto i loro colleghi briganti in Kofreya: pianificare, organizzare e dar vita a un attentato come quello in corso, di certo, non sarebbe potuto essere concepito ed attuato da un branco di sciocchi, patetici e oziosi esaltati quali li aveva considerati in precedenza.
Del resto, volendo concedere, con tale operazione, un atto dimostrativo a favore della loro stessa determinazione, i guerriglieri non avrebbero potuto scegliere un'occasione migliore: il futuro della nobiltà di quella particolare provincia di Y'Shalf, in quella sala, si poneva essere stato riunito praticamente al completo, offerto loro senza difficoltà nell'esser protetto semplicemente da una schiera di eunuchi, sicuramente ottimi nel tenere a bada le giovani di un harem e le loro serve, ma del tutto inadatti a proporsi quali reali guerrieri nel confronto di pericoli esterni, come in fondo avevano da sempre dimostrato nel non saper offrire alcuna difesa a tutte le serve già vittime degli agguati di altri guerriglieri, similmente a quanto accaduto alla stessa mercenaria. E, come da programma, non una sola fra le guardie tentò di offrire obiezione ai propri avversari, venendo rapidamente disarmati senza colpo ferire, ed offrendo agli invasori il massimo risultato con il minimo sforzo. Incapaci, poi, di pensare a porre le proprie vite in pericolo, i giovani e le giovani appartenenti all'aristocrazia y'shalfica si limitarono a pochi sordi lamenti, troppo spaventati dall'idea della minaccia incombente su di loro per immaginare la possibilità di lottare altresì per la propria sopravvivenza: simili ad agnelli portati al macello, per quanto ben lontani da essere considerabili innocenti e privi di malizia o colpe, essi sarebbero probabilmente tutti morti in conseguenza di quel piano criminale, limitandosi ad offrire poche suppliche, semplici preghiere o, ancora, minacciando il ricorso ai propri genitori ed alle loro risorse, in un risultato più ridicolo che assurdo.

« Tacete, prego! » ripeté l'uomo, il portavoce del gruppo, facendo piombare, senza indugio o pietà alcuna, la propria arma su un giovane a lui vicino, evidentemente insoddisfatto dalla scarsa accondiscendenza dimostrata in conseguenza alla sua semplice richiesta « Non credo di avervi proposto qualcosa di complicato… »

La testa che, mozzata di netto, rotolò dal centro della sala per diversi piedi verso l'esterno della medesima, convinse all'ubbidienza il gruppo di giovani più di quanto mai avrebbero potuto fare estenuanti richieste in tal senso: il silenzio, pertanto, calò nell'intero ambiente, interrotto solo da flebili singhiozzi, nei pianti sommessi delle fanciulle lì radunate.

« Ecco… ora va molto meglio. » annuì con soddisfazione il guerrigliero, guardandosi attorno « Non era poi difficile comprendermi ed accontentarmi, vero? »

In altre circostanze, in situazioni diverse, la mercenaria avrebbe tranquillamente trovato una via di evasione da quella situazione spiacevole, all'interno della quale avrebbe avuto in verità nulla a che fare e dalla quale alcun profitto avrebbe mai potuto trarre, per essere libera di fare ritorno ad attività a lei più consone, a contesti a lei più prossimi. Purtroppo, però, in quel momento, seppur non retribuita, la sua missione la poneva legata a doppio filo alla figura della principessa Nass'Hya e, per questo, mai avrebbe potuto lasciarla morire a soddisfazione delle ridicole pretese che quei guerriglieri avrebbero presto rivendicato, dei diritti loro negati nella società per i quali sarebbero stati pronti ad uccidere e morire. E in ciò, in simile legame, non avrebbe potuto fare altro che risolvere quella questione prima ancora che potesse degenerare: probabilmente non avrebbe salvato tutti all'interno di quella sala, non avrebbe offerto possibilità di vita per ogni ostaggio lì recluso, ma sicuramente si sarebbe impegnata affinché la sua protetta avesse potuto uscire sana da quella trappola mortale, nell'adempimento dei desideri del suo mecenate.

domenica 22 marzo 2009

437


« T
hyres… » sussurrò a denti stretti, inudibile dal resto del mondo in quell'affermazione, in quell'espressione contraddetta, per quanto comprendeva stesse per accadere.

Non occorse molto, infatti, alla mercenaria per individuare una serie di elementi errati posti all'interno di quell'ambiente, un lunga sequenza di piccoli particolari tali da rendere quasi una dozzina fra i presenti, o almeno fra coloro a lei visibili, quali assolutamente estranei a quel particolare contesto, non diversamente da quanto si poneva essere lei stessa, effettivamente. Ed escludendo che ognuno fra essi potesse essere lì per un incarico similare al suo, eventualità assolutamente assurda se non ridicola, l'unica alternativa a giustificare tale presenza sarebbe stata, purtroppo, quella di un potenziale pericolo per tutti gli altri presenti a quel ricevimento, principessa inclusa.
Senza perdere tempo, così, Midda decise di agire per la riuscita del proprio incarico, nel desiderio di non vedere vanificati tutti gli sforzi già compiuti al fine di consegnare al proprio mecenate il gioiello più prezioso di tutto il regno di Y'Shalf.

« Mia signora… » esordì rivolgendo parola l'aristocratica, in violazione a tutte le regole che mai le avrebbero concesso, in qualità di serva, un qualche intervento per pura e semplice un'iniziativa personale, soprattutto nell'interrompere un dialogo già in corso fra due membri di un ceto a lei superiore « Credo che altri impegni richiedano altrove la tua attenzione. »
Un silenzioso e fugace scambio di sguardi fra le due fu quanto necessario a convincere la principessa, pur stupita da quella presa di posizione e conscia di come alcun altro impegno la stesse attendendo, a reggere il gioco della sua serva, annuendo: « Grazie per avermene fatto ricordo, M'Aydah. » pronunciò, cercando poi di offrire il proprio saluto all'interlocutore maschile per essere libera di allontanarsi da lui.
Quest'ultimo, però, non parve voler offrire tolleranza verso la libertà dimostrata dalla serva e, altrimenti indispettito, si rivolse alla stessa, catturandone il braccio sinistro in una solida stretta ed accennando un'espressione d'ira: « Come osi, stu… »

Ma prima ancora che potesse concludere quell'ingiuriosa frase, la Figlia di Marr'Mahew si pose innanzi a lui, premendosi contro il suo corpo quasi fosse stata lì trascinata per effetto dell'enfasi del giovane, e celando al contrario in tale movimento l'azione rapida e decisa della propria mano destra, nel desiderio di negare al nobile rampollo ogni volontà di proseguire nel proprio discorso. L'arto di metallo della donna guerriero, infatti, si serrò con controllata forza attorno alla zona più delicata della controparte, imponendo una pressione che, pur lieve, sottolineò chiaramente la forza a cui sarebbe potuta giungere se sfidata.

« Non osare intralciare il cammino della mia signora, se desideri conservare intatta la tua virilità e la speranza di una prole da qualcuna delle presenti… » sussurrò verso il giovane, con tono freddo, intriso di un gelo non inferiore a quello dei suoi stessi occhi, tale da non accettare alcuna possibilità di risposta, da non offrire spazio ad alcun dubbio sulla veridicità di quella minaccia.

Egli, impossibilitato ad esprimere un qualsiasi verbo, si limitò a deglutire nel trattenere un gemito per la sorpresa ed il dolore derivante da quel momento, il quale si concluse comunque tanto rapidamente da non concedere a nessuno, neppure alla stessa Nass'Hya, di comprendere cosa fosse accaduto. Con apparente tranquillità, la mercenaria rilasciò pertanto il proprio temporaneo ostaggio, aprendo il cammino all'ipotetica padrona attraverso la folla della sala, decisa a condurla più lontano possibile da lì prima che potesse essere troppo tardi.

« Ti ringrazio per essere intervenuta… per quanto tu abbia rischiato nell'agire in tal modo. » le sussurrò la principessa, nel riferirsi all'interruzione proposta nel dialogo in atto, un segno di eccessiva libertà per una comune serva, ed ignorando ovviamente gli ultimi retroscena occorsi.
« Ho ripensato alle tue parole, mia signora, e mi sono convinta di quanta ragione fosse in esse… » replicò ugualmente sottovoce Midda, non arrestando o rallentando il proprio passo « Vi saranno molte altre occasioni mondane come questa e non vi è motivo di annoiarsi più del dovuto in questa prima: meglio una partita a chaturaji, nell'intimità dei tuoi alloggi. »

Nel mentre di quella risposta alla propria compagna, concessa senza realmente offrire attenzione a quanto stesse pronunciando, Midda non propose tregua ai propri sensi, alle proprie percezioni benché leggermente offuscate, ridotte, limitate dalla presenza del burqa attorno a lei. Ovviamente non sarebbe stata in grado, in simile situazione, di mantenere contatto con gli individui sospetti precedentemente riconosciuti nella folla attorno a loro ma, sinceramente, nel non avere alcuna ragione per ritenere che essi potessero star cercando esplicitamente lei o la principessa, non sarebbe stata neppure interessata a mantenerli sotto controllo o, più banalmente, ad impedire loro l'attuazione del piano che li poteva aver spinti all'interno della capitale e di quelle specifiche mura. Dove fosse riuscita a spostarsi, con la propria compagna, al di fuori di quella sala, isolandosi all'interno degli alloggi loro assegnati, nei quali dovevano essere già stati trasferiti i loro effetti personali, del destino del resto dell'harem non avrebbe avuto di che interessarsi.
Purtroppo, però, così come gli dei avevano evidentemente voluto concederle una possibilità di distrazione nel corso di quella serata, quell'occasione di svago, di divertimento che tanto a lungo aveva loro invocato quale occasione di sfogo per la stanchezza psicologica accumulata nel corso di quella missione, allo stesso modo essi non sembrarono voler offrirle una semplice possibilità di evasione da simile fato, dal destino postole innanzi. E così il raggiungimento dell'uscita della sala da lei ricercata le venne negato, nel veder intervenire, in tal senso, una coppia di guardie.

« L'intendente desidera che nessuno lasci la sala prima del suo discorso… » riferì uno fra loro, nel bloccare il passo alle due donne.
« Siamo costretti a chiedervi di ritornare sui vostri passi ed unirvi nuovamente alla festa. » proseguì l'altro, negando definitivamente la possibilità di concludere il cammino verso l'obiettivo prefisso.
« La mia signora è stanca e necessita di riposo ad evitare di incorrere nel rischio di una malattia. » commentò la donna guerriero, tentando di trovare un modo per forzare quel blocco in maniera discreta.
« I nostri ordini… » replicò, con tono incerto, una delle guardie, cercando poi silenzioso confronto con il proprio compagno.
« Vi prego… nessuno si accorgerà della sua assenza. » insistette la mercenaria, scuotendo appena il capo e cercando di proporre loro uno sguardo di supplica, per quanto ciò potesse risultarle complesso ed innaturale.

E dove, forse, il blocco imposto dalle le due guardie sarebbe potuto essere ovviato in quel tentativo, nel ricorso all'umana pietade nei confronti di una fanciulla stremata quale sarebbe dovuta essere la principessa secondo quelle parole, le invisibili ed ineffabili forze superiori, che già avevano proposto la propria contrarietà al tentativo di Midda, non mancarono di intervenire nuovamente, rafforzando quell'argine da lei indebolito nel proporre l'arrivo di uno degli educatori dell'harem.

Egli, infatti, notando la scena non poté evitare di proporre la propria curiosità, intervenendo nel confronto in atto: « Cosa accade? » domandò, riportando con la propria voce la coppia di sentinelle all'attenti, nel proprio ruolo, nell'adempimento degli ordini ricevuti.

Ma fu proprio allora che, contrariando ogni speranza, gli eventi precipitarono, imponendo ad una serie di grida di spavento il compito di sottolineare come tutti i sospetti istintivamente sorti nell'animo della mercenaria, in virtù della propria esperienza, si stessero tramutando fatidicamente in realtà.

sabato 21 marzo 2009

436


M
idda non era mai stata una donna particolarmente frivola, amante di feste aristocratiche ove porsi in mostra quasi apparire fosse l'unica reale ambizione della propria esistenza: più vicino alla sua stessa natura, quale persona, si poneva infatti l'idea di una fiera di paese, il caos intrinseco di una taverna, colma di allegria, di sincero divertimento senza altre pretese, negando qualsiasi altro scopo al di fuori di esso. Una gara di tiro al bersaglio, una giocata d'azzardo con i dadi o semplicemente una doccia di birra, per quanto raramente ella si permettesse di cedere in maniera eccessiva ai piaceri dell'alcool, l'avrebbero pertanto allettata in termini sicuramente maggiori di serata di tedio, quale la stessa principessa Nass'Hya aveva chiaramente preannunciato essere quella che le avrebbe attese. Dove, a peggiorare già simile spiacevole condizione, si sarebbe posta, poi, l'idea di dover subire tale impegno nelle mentite spoglie di una serva, più che comprensibile ed umana, oltre che sincera, sarebbe sicuramente apparsa la ritrosia che aveva spinto la mercenaria a cercare di evitare di essere coinvolta in simile appuntamento, purtroppo senza successo.

Per quanto numerose, nel corso di tutta la stagione, sarebbero state occasioni similari a quella organizzata a conclusione del giorno di transizione, in pochi vennero a mancare quella sera, ritrovando la quasi totalità della nobiltà di Y'Lohaf riunitasi presso la sala maggiore dell'edificio dell'harem.
Una fra le erezioni più antiche della capitale, l'edificio dell'harem si poneva centrale all'area dell'urbe, in una stretta connessione, fisica oltre che ideale, con i palazzi centri del potere politico ed economico: eretto su un'amplia base circolare, esso ritrovava nelle proprie forme, in alte torri svettanti verso il cielo ed in un'enorme cupola bombata, il rispetto fedele dello stile architettonico locale, concentrando in aggiunta caratteristica di tutto ciò una ricchezza e uno sfarzo quasi privo di eguali, tali da renderlo considerabile più quale reggia che quale semplice istituto per giovani educande. Ori e pietre lucenti erano incastonati lungo ogni bordo, sopra ogni superficie, nel voler dar vita, con la propria stessa presenza, a complicate immagini, a raffigurazioni proprie della storia e della mitologia di Y'Shalf: sultani e sovrani di un antico passato, così come divinità ed eroi leggendari, trovavano in quel complesso una fedele riproduzione, tale in ciò da rendere quelle mura forse più preziose di molti volumi cartacei, di molti testi scritti, non tanto per il valore intrinseco dei materiali adoperati in esse, quanto piuttosto per le informazioni, per la cultura lì impresse per l'eternità. Una considerazione, quella racchiusa in tale edificio, decisamente superiore rispetto a quanto poi concesso alle loro stesse inquiline, a chi in esso era destinato a cercare il proprio futuro, che sembrava quasi richiamare un modello shar'tiagho, un'ispirazione più liberale ed autorevole di quell'istituzione, purtroppo non corrispondente poi al vero, incapace di trovare un riscontro nella realtà quotidiana. All'interno di quelle mura, poi, l'ambiente non mutava nella propria ricchezza, per quanto relegandosi semplicemente ad un ambito materiale, offrendo immensi tappeti ed arazzi, preziosi tendaggi, meravigliose statue e tele ad ornare ogni angolo, ogni corridoio, ogni camera: la sala centrale, quella ospitante le celebrazioni mondane quali quella in corso, in particolare, si poneva maestosa, traboccante di un lusso, di una ricchezza forse impensabile altrove, vedendo anche i dettagli più insignificanti, quali lampade, soprammobili, e semplici stoviglie trasudare di un valore tale da poter finanziare, con essi, un piccolo esercito mercenario. Osservando tutto quello, venendo posta, per la prima volta nel proprio arrivo al seguito della principessa, a confronto con un tale ambiente, superiore persino alle molteplici ricchezze di cui già pur aveva esperienza, quali proprie e tipiche di quella nazione, la Figlia di Marr'Mahew non poté evitare di esprimere una lunga serie di considerazioni intime su quanto poco un edificio simile a quello sarebbe potuto restare inviolato oltre confine, all'interno del territorio kofreyota e, soprattutto, di Kriarya, città del peccato: là, probabilmente, nell'arco di mezza giornata, o forse meno, solo la nuda ed irremovibile, nonché priva di valore, pietra delle mura sarebbe rimasta ancora al proprio posto, mentre tutto il resto sarebbe rapidamente stato rimosso e rivenduto ad esperti ricettatori che non avrebbero lasciato tanta ricchezza priva di reali proprietari come, paradossalmente, lì altrimenti era.
A vegliare sull'ordine all'interno del vasto ambiente, ovviamente, non sarebbero potute mancare le guardie eunuchi dell'harem, onnipresenti figure al servizio delle loro stesse protette, affiancate per l'occasione dai vari educatori, eletti a titolo temporaneo a custodia della dei valori propri dell'organizzazione presso la quale erano tutti stati votati. Anche l'intendente, quasi a sottolineare l'importanza di quel primo appuntamento, aveva compiuto l'immane sforzo di fuoriuscire dalle proprie stanze per rendersi disponibile al pubblico, quest'ultimo comunque assolutamente disinteressato a quella grottesca figura: maliziosamente, del resto, non si sarebbe potuti evitare di considerare come la presenza dell'eunuco a quella prima festa, a differenza di quanto sarebbe avvenuto per tutte le altre, fosse derivata unicamente dall'obbligo, imposto anche su di lui, di trasferimento dalle tende all'edificio e non per una reale volontà di partecipazione a tale occasione. In fondo le uniche protagoniste della serata, avvolte strettamente nel propri burqa, altre non sarebbero potute che essere le medesime fanciulle e, non di certo, il loro dirigente, un qualche loro educatore o le loro guardie eunuchi.

« Potresti, per grazia divina, ricordarmi in virtù di quale ragione siamo pervenute a questo allegro convivio? » sussurrò la principessa rivolgendosi alla propria serva, nell'attraversare per l'ennesima volta, insieme a lei, la vasta sala, osservandosi attorno con aria assolutamente apatica..
« In assenza di possibilità di scelta, mia signora. » rispose con medesimo tono, ma obbligato formalismo la mercenaria, nel non voler rischiare che orecchie indiscrete potessero cogliere un rapporto troppo personale fra loro « Io meno di te… » aggiunse, con una non velata frecciatina nei confronti dell'interlocutrice.
« E se, dopo aver adempiuto al nostro formale dovere di presenza, ci eclissassimo con discrezione, nel rivolgere i nostri passi verso le nostre nuove stanze? » propose con desiderio di complicità l'aristocratica, evidentemente troppo annoiata dalla totale piattezza di quella festa, dall'assoluta mancanza di stimoli nel corso della stessa « Sono certa potremmo trovare maggiore diletto nel gioco… »
« Non credo che una simile scelta potrebbe incontrare l'approvazione dell'intendente, così come dei tuoi educatori. » le ricordò, con una innegabile e perverso piacere nel negarle simile occasione, dove lei stessa era stata a suo malanimo lì trascinata di prepotenza.
« Non avevi forse detto che la tua fedeltà era rivolta unicamente alla mia persona?! » le contestò la giovane, con sarcasmo, in risposta a simile nota contraria « Credo che tu ti stia preoccupando un po' troppo di cosa potrebbe interessare ad altri ancor prima che dei miei desideri… »
« La tua umile serva domanda scusa per la propria insolenza, mia signora. »

La nuova replica da parte della principessa Nass'Hya, però, venne in quel mentre interrotta dall'arrivo di un giovane aitante, sicuramente di ottima famiglia e probabilmente attratto dall'immagine di una fanciulla rimasta sola e priva di ogni interlocutore maschile al centro della sala, un'occasione decisamente ghiotta per essere ignorata. E per quanto la giovane avrebbe desiderato invitare il potenziale fidanzato, almeno nei desideri di quest'ultimo, a ritornare sui propri passi o, ancor meglio, a lasciare l'edificio stesso, si ritrovò a dover fare buon viso a cattivo gioco per non rischiare di incrinare la propria reputazione, ringraziando in simile situazione il velo che ne copriva integralmente ogni espressione e che non le rendeva obbligatorio stancare il proprio volto in una puramente formale smorfia sorridente.
In conseguenza a ciò, pertanto, Midda ebbe occasione di cercare distrazione dal proprio ruolo, dai propri pensieri, spostando la propria attenzione dalla propria padrona e compagna ad ogni altro angolo dell'ambiente nel quale erano finite per essere immerse, al solo e banale scopo di mantenere in allenamento i propri sensi, all'erta le proprie percezioni in previsione di improbabili pericoli. Ma quasi gli dei avessero voluto prestarle ascolto, avessero desiderato offrirle attenzione e, soprattutto, una reale possibilità di svago nel corso di una serata altrimenti vana, nel mentre di quell'esercizio privo di qualsiasi reale intento, qualcosa la pose effettivamente in guardia, facendo involontariamente tendere ogni suo muscolo al di sotto del burqa e dei propri abiti celati in esso, e preparandola ad un pericolo ancora non individuato ma pur avvertito quale presente e, peggio, inevitabile.

venerdì 20 marzo 2009

435


A
l di là di ogni discussione, di ogni dubbio sicuramente legittimo in merito a quell’insolito desiderio di emancipazione a cui la sua serva sembrava voler tendere, la principessa Nass'Hya non avrebbe avuto alcun interesse a spingerla ad una punizione di sorta, ormai affezionata a lei, unico legame verso il quale aveva dimostrato interesse all’interno dell’harem dal giorno del suo arrivo, unica persona con la quale aveva instaurato un rapporto che andasse oltre a pochi e formali saluti di circostanza. Per tale ragione, la questione che le aveva poste a confronto restò ovviamente relegata ad un ambito privato, non coinvolgendo l’intendente così come annunciato dalla mercenaria, come del resto non era mai stato coinvolto in conseguenza ad alcun discorso fra loro. La fanciulla, anzi, ebbe addirittura di che pentirsi per la curiosità che aveva giustamente sollevato nei confronti di M'Aydah, laddove, nei giorni seguenti, quest’ultima non parve intenzionata a proseguire nel loro rapporto come precedentemente era altresì stato: pur non violando, ovviamente, i propri doveri di serva, ella sì limitò unicamente all’assolvimento degli stessi e propose, addirittura, anche la propria partecipazione al gioco del chaturaji quale un dovere e non più un piacere, un impegno e non più un desiderio quale era stato fin dall’inizio. Una punizione psicologica, quella che Midda non negò alla giovane, resa necessaria non tanto per una qualche crudeltà nei suoi confronti, per risentimento in conseguenza di quanto occorso, quanto semplicemente nella volontà per la donna guerriero di non far saltare la propria copertura, di non vanificare l’impegno posto fino a quel momento nella missione in corso: proseguire dimostrando tanto apertamente un’impropria libertà espressiva, quel comportamento aperto e diretto che le aveva concesso fino ad allora, nell’avvicinarsi emotivamente all’aristocratica, avrebbe reso troppo dubbie le sue presunte origini y’shalfiche, i suoi ipotetici umili natali in quella nazione, arrivando a svelare quanto il burqa fino a quel momento era riuscito a mantenere celato dietro ad un fasullo integralismo religioso.
Il tempo, come da sempre si è dimostrato maestro, riuscì anche in quell’occasione a sanare la rottura occorsa, riportando la pace, riaffermando la serenità fra le due donne poco prima del giorno di transizione fra autunno ed inverno: non un momento più opportuno sarebbe potuto essere scelto, in ciò, dagli dei, concedendo infatti alla coppia di non rovinare il clima di festa che avrebbe immancabilmente caratterizzato tale occasione.
Con la conclusione dell’autunno, l’harem definì anche terminata, almeno per l’anno in corso, la propria parentesi nomade, smontando il campo di tende e trasferendo tutte le proprie attività all’interno delle mura di Y’Lohaf, allo scopo di affrontare protetti nella solidità della pietra quello che sarebbe dovuto essere il periodo più rigido dell’anno. In verità anche in Y’Shalf, posizionandosi alla medesima latitudine dei propri vicini kofreyoti e posta in ciò ad un’estremità decisamente meridionale del continente, raramente l’inverno sarebbe potuto essere considerato quale difficoltoso, quale realmente severo nel proprio clima e nelle proprie condizioni, soprattutto dove ci si fosse mantenuti a distanza dalle montagne: una tradizione quella degli harem, pertanto, che si poneva fine a se stessa ancor prima che in conseguenza ad un’esigenza concreta. In ciò, del resto, le giovani degli harem potevano avere occasione di fare ritorno, o quasi, alla realtà dalla quale erano state isolate negli ultimi nove mesi, per le passate tre stagioni, offrendo ai loro candidati sposi l’opportunità di conoscerle nell’organizzazione di molte occasioni d’incontro: approfittando di simile situazione, infatti, era consuetudine l’organizzazione di diversi eventi mondani, all’interno della città, ai quali anche le giovani protette di quella particolare istituzione sarebbero state le ben venute se non, ancora, più propriamente le ospiti d’onore. Molte fra loro, più che consapevoli di simile usanza, non avrebbero potuto negarsi di bramare intimamente simili momenti, non tanto per un ritorno all’umanità da lungo tempo abbandonata quanto per l’occasione concessa loro di abbandonare per sempre i confini fin troppo oppressivi dell’harem per sospingersi alla ricerca di un futuro esterno ad esso, di una verità di vita da cercare oltre le speranze miserabili e banali loro proposte dagli insegnanti eunuchi. Se solo la principessa Nass'Hya avesse infatti avuto il desiderio, la volontà di spingersi oltre le superficiali apparenze anche con le proprie compagne di studi oltre che con la propria serva, probabilmente avrebbe potuto accorgersi di come non tutte le altre giovani a lei coetanee si sarebbero poste quali meritevoli della scarsa considerazione da lei loro riservata, tutt’altro che prive di ambizioni, di volontà, più simili a lei di quanto non avrebbe potuto immaginare: la maggior parte di loro, ad ogni livello, sfruttava l’occasione offerta dagli harem per ambire ad un obiettivo altrimenti non ugualmente raggiungibile, posto al di là della loro portata, non diversamente da come lei sembrava aver posto le proprie mira sul sultano ed il potere da lui rappresentato.

La prima fra le numerose occasioni di uscita pubblica che avrebbero atteso le giovani, rappresentanti del meglio della schiera benestante, aristocratica della popolazione y’shalfica, coincise immancabilmente proprio con un ricevimento indetto in concomitanza del giorno di transizione, una festa volta, praticamente, all’accoglienza verso le medesime da parte della popolazione locale, dei giovani rampolli maschi ipoteticamente interessati alle propose così loro offerte. E per quanto Nass'Hya avesse in mente obiettivi superiori a quelli che sapeva l’avrebbero attesa in quell’occasione, anche lei non poté esimersi dall’esse coinvolta, addirittura in prima linea, a simile evento, trascinando con sé, in conseguenza, anche la propria ancella personale.

« Io… non credo che dovrei presenziare a questa… “cosa”… » contestò la mercenaria, cercando di evitare la condanna così impostale.
« Non osare neppure pensare di lasciarmi sola in una simile circostanza! » la rimproverò la principessa, ricorrendo ad un tono quasi minaccioso per offrire migliore enfasi a tale messaggio « Non hai detto una volta, forse, di dovermi servire? Di dovere a me la tua fedeltà prima che a chiunque altro? Tieni fede a tali parole, se vuoi conservare il tuo onore… » la canzonò, scuotendo il capo.

Se solo si fossero trovate in un’altra situazione, in un altro contesto, la donna guerriero avrebbe forse potuto addurre a propria scusa l’assenza di un abito adatto alla serata, l’incompatibilità con lo stile delle altre accompagnatrici, delle altre serve: purtroppo, però, in virtù degli integralismi presenti in Y’Shalf e, soprattutto, in conseguenza delle regole ferree dettate dall’harem, l’unico abito che mai avrebbe potuto riservarsi anche per una simile occasione sarebbe stato il solo che, molto banalmente, le sarebbe mai stato concesso di indossare: il burqa. Negata così ogni scusa di carattere estetico, alla malcapitata, degna compagna di fato della propria padrona, non sarebbe potuto che essere riservato, semplicemente, il diritto di accogliere simile incarico con una certa rassegnazione, per quanto l’idea di quella serata di festa non l’avrebbe mai potuta entusiasmare, eventualmente ricorrendo alla carta della pietà nella speranza di riservarsi all’ultimo momento l’occasione di recidere dall’appello finale.

« Ma non sono adatta a questo genere di situazioni… rischierei soltanto di porti in imbarazzo con qualche azione incauta. » provò nuovamente a svincolarsi la Figlia di Marr’Mahew « Non desidero assumermi una tale responsabilità: te ne prego… non chiedermelo. »
« Non te lo sto chiedendo, infatti… » replicò con tono chiaramente sornione, ironico, la controparte « Quanto accadrà stasera è già considerabile quanto un dato di fatto, che tu sia concorde o meno. Senza di te sarei condannata al tedio peggiore: così, per lo meno, avrò un orecchio fedele sempre al mio fianco per permettermi di trovare sfogo dalle criticità peggiori… »
« Sono certa che molte altre serve dell’harem sarebbero più che onorate per tanta grazia… permettimi di ricercarle in tuo nome e porle al mio posto, dove sicuramente non sfigureranno! » ipotizzò l’altra, scuotendo il capo « Non mi vincolare all’imbarazzo che conseguirà inevitabilmente ad una mia esposizione in pubblico. »
« Peccato per te che non sia interessata ad avere molte altre al mio fianco. » contestò la principessa, escludendo ogni possibilità di discussione « Abbiamo appena ritrovato una certa sintonia, una decisa serenità ed, egoisticamente, desidero sfruttarla il più possibile, godendo della tua presenza al mio fianco anche in tale occasione, per quanto essa ti possa sembrare spiacevole. »
« E poi, insieme, forse riusciremo a fare qualcosa per migliorare l’ambiente che ci accoglierà… » definì, continuando e concludendo l’esposizione in merito alla propria decisione.

giovedì 19 marzo 2009

434


« E'
così… » confermò la donna guerriero, arrestando il compimento della propria azione nel gioco per tornare ad offrire nuovo spazio ad una partita ben più importante rispetto a quella apparentemente in corso.
« E…? » la incitò la giovane, ormai impaziente nel desiderio di conoscere la curiosità, il dubbio cresciuto nell'intimo della sua serva in tutto quel tempo, probabilmente già intuendone la natura ma, evidentemente, volendo spronare l'altra ad esplicitarla apertamente, senza ulteriori indugi.
« Tempo fa, tu mi hai concesso una confidenza, lamentandoti del destino che entro i confini di questo harem aveva condotto il tuo presente, dove la tua ambizione ti avrebbe sospinta ben altrove… » rimembrò la Figlia di Marr'Mahew alla propria interlocutrice, con tono contenuto, quasi affaticato nel ritagliarsi tanta libertà nei confronti della medesima, non volendo venir meno alla divisione sociale comunque esistente fra loro almeno secondo l'apparenza nella quale si era mascherata.
« Non rammento di aver usato questi stessi termini. » replicò, però, Nass'Hya, scuotendo appena il capo nel dimostrarsi dubbiosa a tal riguardo « Sei certa nelle tue affermazioni? »
« Chiedo perdono. » chinò umilmente lo sguardo la controparte.

Un momento di silenzio seguì quel breve scambio di parole fra le due: il confronto psicologico in corso si stava concedendo, invero, meno elementare rispetto a quello che il chaturaji avrebbero altrimenti proposto loro, vedendo in ciò anche un azzardo decisamente maggiore rispetto a quello conseguente ad un banale tiro di dadi. Dove Midda avesse commesso, infatti, l'errore di agire con eccessivo anticipo, lasciandosi forse dominare dal proprio desiderio di concludere quanto prima quella missione, dalla propria volontà di dedicarsi ad altro, dove tutto quello si era già prolungato oltre le sue aspettative, avrebbe altresì rischiato di comprometterne l'esito finale, addirittura arrivando a porre in dubbio le sue stesse possibilità di sopravvivenza. Per quanto abile nel proprio mestiere, per quanto da sempre votata più alla guerra ed alla morte che alla vita ed all'amore, ottenendo indubbio successo nel distruggere che non nel creare, ella non avrebbe potuto porsi sola contro un'intera nazione, straniera in terra straniera quale era a tutti gli effetti.
Ma se la principessa non aveva errato nel sottolineare come le parole all'epoca pronunciate fossero state ben diverse, proposte in un'accezione ambiguamente interpretabile, a sua volta la mercenaria non aveva sbagliato nell'intendere il significato altresì proposto.

« Non vi è necessità di scuse, M'Aydah. » riprese la voce della fanciulla, negando l'ultima affermazione offertale « Hai letto giusto in me, dopotutto… »
La donna mantenne il silenzio che già si era imposta, limitandosi in questo a risollevare gli occhi azzurro ghiaccio verso la propria interlocutrice: un invito implicito a proseguire se solo l'altra avesse voluto, dal momento in cui, dopotutto, alcuna risposta era stata ancora offerta alla domanda precedente, alcuna spiegazione era stata proposta a soddisfare la curiosità tanto audacemente rivelata.
« Credi che mi giudicheresti tanto male se ti rivelassi come l'unica ragione in grado di guidarmi in questo harem, nonché in queste assurde vesti, sia stata l'ambizione verso il potere? » le replicò, in quel mentre, la principessa, osservandola intensamente e parlando con evidente sincerità.

Una rivelazione, quella concessa dalla principessa, meno incredibile rispetto a quanto ella avrebbe potuto ritenere, dove semplicemente offrì conferma alle analisi già compiute da lungo tempo dalla mercenaria, fortunatamente per quest'ultima non proponendole un panorama nuovo ma, banalmente, ribadendo una situazione già nota.
Di ciò, naturalmente, la donna guerriero non poté che essere, ovviamente, pienamente soddisfatta: alcun genere di ostacolo aggiuntivo sarebbe stato posto nel percorso già da lungo tempo pianificato, alcuna modifica le sarebbe stata richiesta nel merito di una strategia accuratamente studiata ancor prima di spingersi a superare il valico dei monti Rou’Farth per entrare in Y'Shalf. Se solo, infatti, la principessa avesse dimostrato, avesse proposto un qualche principio ideologico, un qualche valore personale diverso da quello a difesa delle proprie scelte, della propria permanenza nell'harem e del probabile futuro da sultana per il quale in quel luogo avrebbe dovuto impegnarsi, la Figlia di Marr'Mahew avrebbe dovuto inevitabilmente operare con maggiore incisività, per modificare simile pensiero e condurre la giovane a prendere in esame possibilità ben più ampie.

« Forse, in effetti, non sono poi diversa da una prostituta, inseguendo il profitto ad ogni costo… » aggiunse la fanciulla, ritrovandosi ora ella stessa in imbarazzo per la completa assenza di repliche, temendo l'eventualità di un giudizio negativo da parte della propria interlocutrice, colei che aveva imparato, in quei giorni, in quelle settimane a considerare ben più di una semplice serva.
« Non oserei mai giudicarti in tal modo. » negò l'altra, prontamente, ritrovando voce « E' che… ancora non comprendo… »
« Cosa ti sfugge? Domandami, te ne prego… » le richiese la principessa, evidentemente ormai desiderosa di condividere quell'aspetto della sua esistenza, quel segreto in merito alle sue scelte, fino a quel momento mantenuto nel riserbo del proprio cuore.
« Sei una donna intelligente, piena di risorse… capace di spingerti ben oltre a quanto mai chiunque fra tutte noi potrebbe altrimenti ambire nella propria vita. » commentò la mercenaria, in riferimento non solo a se stessa ma a tutte le donne dell'harem, fossero esse padrone o serve, accomunate in fondo da un medesimo destino di sottomissione « Perché se ambizione è quella che sprona i tuoi passi, cerchi un ruolo da sposa attraverso questa istituzione? »
« Perché in alcun altro modo potrei mai tendere al potere del sultano. » ammise l'aristocratica « Del resto non dovrebbe essere per te una novità simile notizia… »
« Non lo è, infatti. » confermò la donna, comprendendo di non poter simulare ignoranza a tal riguardo, dove voci, pettegolezzi, informazioni su tale realtà erano già state diffuse ancor da prima dell'arrivo della principessa all'harem « Ma, fosse anche nel ruolo di sultana, ritieni che potrai essere realmente libera, in una società come questa? »

Una nuova pausa di riflessione coinvolse le due, in quel loro confronto verbale, questa volta non in virtù di un'esigenza di riflessione della mercenaria quanto, piuttosto, della sua interlocutrice, sfidata in simili parole.
Quanto appena pronunciato da Midda, come solo dopo averle proposte ella si rese conto, rimproverandosi per ciò, era stato troppo azzardato, espressione di un'eccessiva libertà di pensiero ed opinione in lei, distaccandola dal ruolo che avrebbe dovuto impersonare. In ciò, a tradirla, era stato il suo animo, i suoi principi personali: essi, recita o no, non avrebbero mai potuto essere soffocati, non sarebbero mai stati messi a tacere, anche dove l'avrebbero potuta porre nei guai.
E Nass'Hya, nonostante il clima di intima confidenza creatosi fra loro, si dimostrò effettivamente troppo intelligente, come da lei sottolineato, troppo lucida per ignorare quell'accenno…

« Parole audaci quelle che mi stai offrendo, M'Aydah. » denotò, con una chiara nota di malizia nella propria voce « Le tue umili origini, il tuo ruolo subordinato, non mi sembrano trovare alcuna speranza di riscontro nei pensieri verso i quali vorresti invitarmi, nelle idee delle quali mi parli… »
« Io… » tentò di replicare, salvo venir interrotta immediatamente.
« Permettimi di rigirarti la domanda che tu mi hai proposto… perché sei qui? » le chiese la principessa, con la stessa decisione, astuzia, bravura che l'avevano sempre contraddistinta durante il corso di una partita.
« Sono qui per servirti, mia signora. » rispose la donna, senza esitazione ma con tono sottomesso, rinunciando in ciò a chiamarla per nome, quasi preferisse riprendere quelle distanze erroneamente eliminate fra loro « E in ciò non mi dovrebbe essere neppure concesso di parlare senza il tuo permesso. Se le mie parole, se i miei pensieri ti sono sembrati inopportuni, provvederò personalmente affinché io possa subire il giusto castigo, denunciandomi all'intendente… »