11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

giovedì 12 marzo 2009

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I
n silenzio Midda accettò la critica mossale, non potendo replicare in alcun modo ad essa, e superò la guardia ed i suoi controlli, dirigendosi verso l'interno del campo.
L'harem, nella sua concezione nomade, nella forma utilizzata per le stagioni migliori, si proponeva essere costituito da un vasto accampamento di bianche tende, vere e proprie abitazioni di stoffa su base volutamente tondeggiante nel rispetto del locale stile architettonico, all'interno delle quali la vita quotidiana trascorreva in placida tranquillità, secondo ritmi costanti, inalterati e, probabilmente, inalterabili. Tutti si ponevano, entro il confine sorvegliato dalle guardie eunuchi, perfettamente a conoscenza dei propri doveri, delle proprie liste di incarichi, di responsabilità da portare a compimento ogni giorno, ogni settimana, ogni mese per il mantenimento dello stile di vita alle quali le giovani fanciulle erano state lì condannate: una gabbia la loro, certamente, ma comunque una gabbia dorata dove, pur educate ed addestrate per l'unico scopo di divenire serve del proprio sposo, esse potevano godere di una serie di privilegi propri per diritto di nascita, di un lusso non concesso alla prole di comuni artigiani, allevatori, contadini.

« Sei in ritardo, M'Aydah… » la rimproverò nuovamente una voce ora femminile.
« Lo so: un imprevisto, purtroppo, mi ha fatto perdere tempo prezioso. » rispose la diretta interpellata, scuotendo appena il capo nel rispondere.

Fath'Ma era una delle altre serve dell'harem, sua pari, con la quale maggiormente Midda, o M'Aydah come lì si faceva chiamare nell'aver reso più y'shalfico il proprio nome, aveva avuto maggiore occasione di legare: al di là delle proprie umili origini, al di fuori della propria educazione e del proprio ruolo, ella si era rivelata, fin dai primi giorni, quale una piacevole compagnia, capace di spingersi, a differenza di molte altre, anche oltre i canoni di pensiero e comportamento imposti dagli integralisti religiosi e, per questo, degna di rispetto anche allo sguardo della Figlia di Marr'Mahew.
Sotto ai suoi abiti, al burqa che, ovviamente, non mancava di celarne in maniera assoluta il corpo, negando al mondo ogni possibilità di sguardo su di esso, la donna guerriero era convinta che si celasse una indiscutibile fascino, come già due grandi e profondi occhi in tonalità fra il rosso ed castano lasciavano intuire. Ma per quanto alcuna legge, alcuna norma, impedisse formalmente loro di scoprirsi in sedi private, all'interno delle proprie tende laddove unicamente fra donne, ogni curiosità della mercenaria sulla compagna era stata accuratamente messa a tacere, nell'evitare di porsi a dover agire in egual modo e, pertanto, a tradirsi, rovinando la propria copertura: a tal fine si era sempre proposta, in contrasto paradossale con il proprio carattere, quale fervente nella propria vocazione, nella propria fede verso le tradizioni religiose, al punto tale da non volersi mai separare dal proprio burqa neppure in presenza di altre donne, ovviamente richiedendo ad eventuali controparti di rispettare tale sentimento mantenendo a loro volta le proprie vesti. E, nonostante tutto questo, per quanto spronata da una fede evidentemente meno severa rispetto a quella che Midda aveva desiderato far intendere all'esterno per il bene della propria missione, Fath'Ma non le aveva mai negato la propria presenza, la propria solidarietà, forse addirittura un sentimento d'amicizia o, più semplicemente, di cameratismo, affiancandola nelle pause in comune ed intrattenendosi a lungo con lei, in interminabili divagazioni verbali.

« L'intendente ha chiesto di te circa mezz'ora fa. » le comunicò, sussurrando verso di lei in maniera complice « Penso che possa riguardare l'arrivo delle nuove ragazze… »
« Di male in peggio. » replicò con medesimo tono la mercenaria, non rallentando il proprio passo e simulando sconforto per quella notizia « Ora finirò per essere affiancata ad una bambina capricciosa e viziata. E in questo verrò anche rimproverata per il mio ritardo… »
« Ormai è giunto il tuo momento… » ridacchiò l'altra, sotto al proprio burqa « Dovresti esserne felice… »
« Ne parliamo più tardi, che è meglio. » concluse, scuotendo ancora il capo e salutando, in quel modo, implicitamente l'interlocutrice.
« A dopo… » si congedò Fath'Ma, ancora non celando un certo divertimento per quei toni melodrammatici.

Tanto la reazione della, quanto il cordiale e complice rapporto con la serva, avrebbero potuto chiaramente offrire dimostrazione di come Midda fosse riuscita non solo ad infiltrarsi all'interno dell'harem, facendosi accettare senza sospetti o dubbi in merito alla sua reale origine e natura, ma, anche, avesse avuto successo nell'integrarsi in simile ambiente al punto tale da ritagliarsi una certa libertà quale conseguenza del guadagnato rispetto, sia parte di altre serve sue pari, sia delle guardie, per quanto parlare di rispetto nei confronti di una donna, soprattutto da parte di un uomo per quanto eunuco, potesse apparire inopportuno e fuorviante in quel particolare contesto sociale e culturale. In effetti, se solo si fosse potuto escludere il maschilismo imperante all'interno di quell'istituzione e se solo si fosse potuto evitare di paragonare l'harem ad una sorta di allevamento intensivo di giovani donne, nell'unico scopo di soddisfare i gusti dei nobili y'shalfichi, la vita in quell'ambiente non sarebbe poi stata così negativa: ma escludendo tutti quei fattori, ovviamente, ci si sarebbe semplicemente ricondotti in una posizione più prossima al modello shar'tiagho e non a quello far'ghario.
Nonostante missioni di quel genere non fossero ordinarie per la donna guerriero, ella non avrebbe, quindi e comunque, potuto rimproverarsi nulla in merito a quanto compiuto. In effetti si ritrovava solitamente ad essere impiegata in incarichi di natura ben diversa, probabilmente più consoni per lei, per la sua natura, quali feroci battaglie o recuperi di reliquie perdute, lasciando operazioni di spionaggio o infiltrazione ad altre mercenarie, più adatte ed esperte in tali settori, come lo sarebbe stata, in maniera esemplare, Carsa Anloch, una sua recente compagna di ventura. Ma del resto, Midda non aveva accolto tale compito per pura soddisfazione personale, come era altresì solita fare nel rifiutare ogni proposta che non fosse in grado di allettarla, ponendosi forte della propria fama, della notorietà del proprio nome, al punto tale da concederle tanto privilegio nonostante la sua professione. L'assolvimento di quell'incarico si poneva, al contrario, quale compenso richiesto dal suo mecenate per un favore concessole tempo prima, per l'utilizzo di un prezioso bene in suo possesso e, in conseguenza dei propri principi personali, di quei valori che da sempre ne avevano guidato i passi attraverso il mondo, ella non avrebbe potuto rifiutare i termini impostile, soprattutto dove essi non si fossero posti in contrasto con la propria libertà personale, in violazione di quelle stesse norme che ne avevano forzato il destino verso simile direzione. Dove egli non aveva posto esitazione di sorta ad offrirle il proprio aiuto quando necessario, quando richiesto, così ella non avrebbe potuto averne nell'accontentare quel suo desiderio, quella sua volontà.
Lord Brote, uno dei mecenati con cui più spesso aveva avuto a che fare negli ultimi anni, le aveva domandato il gioiello più prezioso di tutta Y'Shalf ed ella aveva accettato, pur non avendo ancora all'epoca piena consapevolezza sull'esatta natura di simile missione: in ciò, ovviamente, la donna guerriero era stata non solo spronata dalla propria necessità, ma anche dalla volontà di un'avventura oltre il confine di guerra, in quella terra nella quale da tanti anni non aveva più posto i propri passi. Innegabile fu, però, una certa riluttanza in lei nel momento in cui venne definito in maniera inequivocabile il dettaglio della sua missione, di quel recupero da compiersi in terra straniera: ormai ella si era trovata in gioco ed non avrebbe mancato di portare a termine anche quell'incarico, con la stessa efficienza per la quale era divenuta tanto nota.

« Sono M'Aydah… l'intendente ha chiesto di me. » comunicò alle due guardie poste all'ingresso della tenda del responsabile di tutto l'harem, nel presentarsi al loro cospetto dopo essersi liberata dei panni lavati.
« Sei in ritardo. » commentò uno degli eunuchi, osservandola con meno benevolenza rispetto al collega che aveva accolto la mercenaria al suo ritorno all'harem.
« Domando perdono. » ammise ella, chinando il capo dinnanzi a quelle tre semplici parole, comprendendo come non avrebbe potuto evitarle per quanto, umanamente, le fossero venute a noia.
« Avanza… » le concesse la guardia, con un cenno del capo.

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