11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

lunedì 16 marzo 2009

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L
a principessa Nass'Hya giunse nell’harem solo una settimana più tardi, ed il suo primo incontro con Midda sembrò tradire ogni speranza riposta da Fath’Ma per un futuro radioso.
Ella si presentò con pelle chiara e occhi scuri, soli dettagli emergenti dal proprio burqa in prezioso tessuto rosso: due perle nere, quelle incastonate al centro del suo volto, all’interno delle quali praticamente indistinguibile si concedeva essere la pupilla rispetto all’iride, creando contemporaneamente fascino ed inquietudine verso l’abisso oscuro, le tenebre imperscrutabili che sembravano essere racchiuse nel suo animo, nel profondo del suo cuore. Secondo le informazioni note, i pettegolezzi rapidamente diffusisi in tutto il campo, quale figlia di una delle più nobili famiglie di Y’Lohaf, era nata meno di vent’anni prima ed stata cresciuta, fino ad allora, in un clima ben lontano dall’austerità di quel luogo, fra genitori ben distanti dall’integralismo lì dominante. Nel doversi però preparare ad una possibile ascesa al ruolo di sultana, inevitabile sarebbe stato per lei dover trascorrere almeno un semestre se non addirittura un intero anno all’interno dell’harem, per prendere confidenza con la realtà per lei altrimenti ignota, con quelle regole, quelle tradizioni da lei tanto lontane ma che sarebbero state inevitabilmente necessarie per favorirla al potere, non escludendola dalla rosa delle candidate dove ogni sua altra concorrente non avrebbe mancato in tal senso. Una scelta assolutamente politica, pertanto, la sua o, più probabilmente, quella dei suoi genitori, sufficiente a rendere il suo arrivo nell’harem sì necessario ma, contemporaneamente, insopportabile e a renderla a sua volta, in conseguenza di ciò, intrattabile non solo nei confronti delle serve ma, anche, di ogni altra compagna.
La principessa, però, doveva aver, evidentemente e purtroppo per lei, fatto male i propri calcoli, nel ritenere di poter sfidare le regole di un ordine imposto in quel sistema da secoli remoti, nel cogliere troppo alla leggera la prova che l’avrebbe attesa: forse aveva pensato di poter far buon viso a cattivo gioco semplicemente indossando un burqa e rimboccandosi le maniche per qualche giorno, ma gli educatori e le guardie dell’harem le fecero presto comprendere il proprio madornale errore. Ai loro occhi, così come sotto lo sguardo di chiunque avesse abbracciato la fede da loro fatta propria, ella non sarebbe mai stata innanzitutto una nobile quanto, più semplicemente, una donna e, come tale, inevitabilmente un gradino sotto anche al più umile dei servi laddove fosse egli stato uomo. Non era dovuta al caso, del resto, la scelta compiuta nell’impiegare solo donne quale servitù all’interno di quell’istituzione: le fanciulle lì inviate dalle proprie famiglie per completare un percorso di formazione, infatti, avrebbero dovuto abituarsi a non contraddire mai un uomo, a non prendere mai parola in sua presenza senza essere interpellata, a non proporsi in alcun modo quale dominante nei suoi confronti e, in ciò, l’impiego di servi eunuchi sarebbe stato comunque traviante, psicologicamente negativo.
All’alba del terzo giorno di servizio presso di lei, in conseguenza di simili premesse, la Figlia di Marr’Mahew avrebbe volentieri costretto alla quiete la sua signora facendole provare una carezza della propria mano destra, del nero metallo posto a costituirne la natura in vece della carne negatale anni prima, se solo questo non fosse stato controproducente per la propria missione: non si era mai considerata una persona dotata di grande pazienza e, nel ritrovarsi a dover essere sottomessa alle continue arroganze di una ragazzina viziata, che solo su di lei avrebbe potuto ritrovare sfogo a tutte le proprie frustrazioni, la sua minima capacità di tolleranza, di sopportazione, era già posta ampiamente a dura prova. A livello razionale, ovviamente, la mercenaria era sicuramente la persona migliore per comprendere le emozioni che ribollivano nell’animo della giovane, essendo a sua volta tutt’altro che entusiasta per il maschilismo lì imperante, per il patriarcato lì dominante, per la prigionia, psicologica ancor prima che fisica, a cui le donne si trovavano loro discapito costrette o, peggio, arrivando addirittura ad illudersi che ciò potesse essere una loro libera scelta, conseguenza della propria autodeterminazione laddove simile termine non aveva, né avrebbe, mai assunto un reale significato nelle loro esistenze. A livello umano, però, ritrovarsi a fronteggiare, oltre ai propri problemi per tutta quella situazione paradossale, anche quelli di quella fanciulla poco più che bambina non si concedeva semplice: in meno di quarantotto ore gli improperi accumulati in conseguenza del nervosismo della principessa avevano raggiunto un numero tanto elevato da farle pregare Thyres affinché le offrisse quanto prima fra le mani un altro gruppo di guerriglieri da sbudellare, onde evitare di finire per squartare proprio il ventre della sua “padrona”.
Fortunatamente per lei e, soprattutto, per la principessa Nass'Hya, però, nel mentre in cui un nuovo carico di bagagli appartenenti a quest’ultima stava venendo sistemato nella sua tenda personale, dove anche Midda era stata inevitabilmente trasferita per vivere e dormire vicino a lei, in qualità di sua ancella personale, una sorpresa creò inaspettatamente occasione di distensione fra le due.

« Oh… » commentò con sincero stupore la mercenaria, nel ritrovarsi fra le mani un manufatto in legno che non ebbe difficoltà a riconoscere.

Chiuso a metà, a formare una comoda scatola di un piede di lunghezza per mezzo piede di larghezza, si poneva innanzi a lei una scacchiera, frutto del pregiato lavoro di un artigiano di evidente bravura: allo sguardo meno esperto di altre serve, probabilmente, essa sarebbe potuta essere scambiata per uno strano portagioie, decorato sulle due superfici principali con un motivo geometrico, in un’alternanza regolare di tasselli di avorio e di ebano, e sui bordi esterni con un complicato intarsio, a raffigurare immagini di una cruenta battaglia, ricca di cavalieri, fanti, sovrani ed addirittura alte torri. Ma non un semplice cofanetto esso sarebbe altresì risultato, agli occhi di chi avesse saputo comprendere la natura di tali decorazioni, e non gioielli avrebbe mostrato, a chiunque, laddove aperto, quanto piuttosto quattro serie di figure, intagliate nel legno, nell’avorio e nella pietra, a rappresentare i pezzi del gioco del chaturaji.

« Stai attenta, serva! » la rimproverò preventivamente la principessa, strappandole dalle mani l’oggetto prima che da lei potesse venire maldestramente danneggiato « Stupida zotica… non sai neanche cosa ti ritrovi fra le mani. Limita la tua azione agli abiti e lascia stare il resto! »

Midda inspirò ed espirò profondamente, spingendo per un momento il proprio pensiero a prendere in esame una lunga lista di possibili cruente torture da imporre sopra la fanciulla per farle pagare tanta insolenza nei propri riguardi: di certo conosceva almeno una dozzina di modi che avrebbero concesso istantanea morte alla medesima, ma in quel momento non sarebbe stato suo desiderio donarle tanta grazia, quanto piuttosto vederla soffrire aspramente, supplicando un tardivo perdono. Ricordandosi dell’impegno preso con il proprio mecenate, riuscì nuovamente a ritrovare il controllo sulle proprie emozioni, quasi perduto, prima che fosse troppo tardi.

« Ti domando perdono, mia signora, se ho indugiato nell’ammirare la pregiata fattura della tua scacchiera… » rispose, cercando di ridurre al minimo indispensabile l’ironia inevitabile nel proprio tono di voce, per non tradire il ruolo che avrebbe dovuto ricoprire « Mi sono perduta nel pensare malinconicamente a quanti anni siano trascorsi dall’ultima volta in cui ho potuto prendere parte ad una partita di chaturaji. »
Quelle parole colsero completamente in contropiede la ragazza, che arrestò la propria ira e pose i propri occhi neri con chiaro stupore verso l’interlocutrice: « Cosa hai detto? » le domandò, meno altera del solito.
« Nulla… ti domando perdono. » tagliò corto la donna guerriero, simulando assenza di interesse a proseguire in quel discorso dove, al contrario, aveva appena intuito come proprio attraverso esso avrebbe potuto meglio avvicinarsi alla principessa, forse addirittura entrare in confidenza con lei.
« Non è vero. » le negò l’altra, abboccando all'amo offertole quale pesce innocente, privo di ogni malizia in merito al pericolo incombente « Hai parlato di questo gioco… tu lo conosci. » sentenziò, in un’affermazione del tutto priva del sapore di una domanda, non volendosi porre quale tale.
« D'accordo. » ammise a quel punto Midda, giudicando sufficientemente tesa la lenza invisibile posta fra loro, annuendo verso di lei « Conosco il gioco del chaturaji, ma… »
« Non dire altro. » la arrestò, levando una mano per imporle il silenzio « Per mia natura non mi accontento mai di semplici parole, preferendo ad essere pretendere i fatti… » aggiunse poi, spostandosi verso il centro della tenda e, nel mentre di ciò, iniziando ad aprire la scacchiera, rimuovendo il blocco di metallo che la tratteneva serrata « Vieni e dimostrami quello che sai fare… »

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