Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.
Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!
Scopri subito le Cronache di Midda!
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E siamo a... QUATTROMILA!
Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!
Grazie a tutti!
Sean, 18 giugno 2022
Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!
Grazie a tutti!
Sean, 18 giugno 2022
martedì 31 luglio 2018
2624
Avventura
051 - Giochi di guerra
« Ah… ecco! » sorrise Ras’sh, ben interpretando la silenziosa risposta offertale e, in ciò, ben comprendendo la natura della propria interlocutrice, in termini tali per cui, effettivamente, ogni incoerenza avrebbe avuto a poter essere spiegata.
« Si può sapere che succede…?! » insistette Mach, aggrottando la fronte con aria poco convinta « Cioè… scommetto che hai fatto uno dei tuoi soliti abracadabra ofidiani… ma se magari fossi tanto gentile da condividere questa informazione anche con me, potrei evitare di sentirmi escluso! » sancì, avendo sufficiente confidenza ed esperienza pregressa con la propria interlocutrice da ben interpretare quanto fosse accaduto e, in ciò, da necessitare soltanto di poter comprendere effettivamente il senso di tutto ciò e, ancor più, di quell’ultima esclamazione, volta a voler offrire una qualche conferma di sorta, benché, in effetti, alcuna conferma fosse stata allor condivisa.
« Il mio solito brontolone umano… » ridacchiò l’altra, allungando appena la propria mancina a solleticargli la pelle sotto il mento, in maniera scherzosa, quasi stesse interagendo, in quel momento, con un cucciolone troppo agitato e desideroso di affetto, qual, forse, questi avrebbe avuto a doversi effettivamente considerare dal suo personale punto di vista « Comunque, la mia simile non è effettivamente una purosangue. E, in questo, evidentemente non è stata in grado di rilevare con precisione la mia presenza qui, fino a quando non l’ho rivelata io stessa, offrendole un cenno di saluto. Ed è stato in grazia alla sua risposta che ho potuto comprendere la dinamica degli eventi… »
« Cioè… le hai salutate? » domandò l’uomo, ancora poco convinto da tale argomentazione, pur non ritraendosi innanzi al gesto scherzoso, ma affettuoso, dell’altra, forse, anzi, intimamente apprezzandolo « Non è stato un po’ imprudente da parte tua…?! » questionò, in riferimento al pericolo proprio di un’eventuale minaccia da parte di quella coppia per lui non ancora identificata, minaccia tutt’altro che improbabile in un mondo dedicato solo ed esclusivamente alla guerra.
« Sempre meno di quanto non sarebbe stato permettere loro di avvicinarsi senza neppure comprendere il perché della loro presenza… » osservò l’ofidiana, scuotendo appena il capo « Comunque la mia pari ha detto che non desiderano ingaggiare combattimento con noi e che sono soltanto in cerca di informazioni. » comunicò, quieta « E che, a dimostrazione di buona volontà, avanzeranno a mani alzate. »
« … quindi sarà più facile abbatterle…?! » ipotizzò Mach, inarcando per un istate il sopracciglio destro, nel riflettere attorno all’informazione concessagli.
« … non ci provare! » protestò Ras’sh, imponendogli un lieve schiaffo sul braccio mancino, con incedere più simbolico che pratico « La primeva lingua ofidiana non può essere usata per mentire… e io ho assicurato che non avremmo imposto loro alcun danno. » dichiarò, non senza un certo moto d’orgoglio per le antiche tradizioni della propria gente « E, comunque, ormai sono abbastanza vicine che la mia corrispettiva dovrebbe essere in grado di sentirti, malgrado il suo udito sia meno sensibile del mio. Quindi è meglio che eviti di dire cose di cui poi dovrai soltanto chiedere scusa… a meno che non ti piaccia proprio follemente collezionare brutte figure! »
Mach storse le labbra verso il basso a quell’ultima nota e, semplicemente, si limito a sospirare, abbassando la propria arma e costringendosi a dimenticare qualunque ipotesi di facile offensiva a discapito delle nuove arrivate: che egli potesse desiderare o meno aggiungere un altro paio di morti al proprio conteggio, a quel punto, sarebbe valso poco, giacché Ras’sh aveva chiaramente già deciso per lui, per tutti loro, e, in tal senso, egli non avrebbe potuto fare altro che accettare la sua decisione, limitandosi ad annotare mentalmente una futura occasione di brontolio a suo discapito, in un credito che, a tempo debito, non avrebbe certamente esitato a riscuotere. Così, incupendosi preventivamente per non dimostrarsi troppo accogliente verso le nuove arrivate, in un mondo nel quale, del resto, non avrebbe avuto a doversi considerare consuetudine impegnarsi a stringere rapporti di sorta, l’uomo incrociò le braccia al petto, e si ripropose di limitarsi ad attendere la semplice evoluzione degli eventi, per così come si sarebbero potuti quindi presentare.
Evoluzione che, in effetti, non ebbe a lasciarsi attendere a lungo, giacché, dopo una manciata di minuti, una coppia di giovani donne, un’umana e un’ofidiana, ebbero a emergere dalle rovine innanzi a loro effettivamente con le braccia alzate, così come promesso, e, soprattutto… mezze nude.
« Ah… » non poté ovviare a commentare l’uomo, aggrottando la fronte innanzi al torso nudo dell’una e alle cosce scoperte dell’altra, entrambe riconosciute quali ottime argomentazioni in favore di un dialogo con quelle sconosciute ancor più che di una mera mattanza « … ti eri dimenticata di dirmi qualche dettaglio importante, mia cara?! » sussurrò alla volta di Ras’sh, non negandosi una certa malizia.
« In verità non te l’avevo detto apposta. » sancì l’ofidiana, scuotendo appena il capo « E, soprattutto, quale particolare di “è meglio che eviti di dire cose di cui poi dovrai soltanto chiedere scusa”… non ti è stato chiaro?! » insistette, levando per un istante gli occhi al cielo, ancora con fare quasi materno nei suoi riguardi.
« Dannazione. » avvampò l’altro, rendendosi conto di aver in effetti appena collezionato una magra figura nei riguardi delle nuove venute e, in particolare, dell’altra giovane ofidiana, la quale, con un profondo sospiro e un lieve movimento di diniego del capo, volle confermare di averlo perfettamente udito e di preferire ignorare la cosa, quantomeno per buona creanza.
Ignorando l’evidente goffaggine del proprio compagno d’arme, Ras’sh decise allora di avanzare verso le due nuove arrivate e di tendere, verso la propria simile, la mano destra, qual amichevole gesto di saluto: un gesto che, dall’altra, venne quietamente ricambiato, insieme a un sorriso, o a quanto, per lo meno, per un’ofidiana avrebbe avuto a dover essere inteso qual un sorriso, malgrado un volto privo di labbra a rendere più evidente, più chiara simile particolare espressione facciale.
« Grazie per non averci sparato contro! » esordì la nuova giunta, prendendo voce per prima « Il mio nome è Har-Lys’sha e la mia amica si chiama Rula Taliqua. » si presentò, con voce quieta e cordiale nei toni « Vi domando scusa per l’approccio inusuale in questo mondo… ma, francamente, non siamo qui per combattere. »
« Tuttavia se siete giunte sino a qui, evidentemente dovete saper combattere. E anche bene. » sottolineò Ras’sh, per tutta risposta, in un sincero tributo nel confronto con il risultato da loro conseguito « Potete chiamarmi Reb-Ras’sha. E il mio animaletto domestico lì dietro risponde al nome di Mach Roliva. » ricambiò le presentazioni, non avendo motivo di celare le proprie identità, giacché, pur essendo quel pianeta preposto a far combattere tutti contro tutti, lì, paradossalmente, nessun reale avversario avrebbe avuto a dover essere considerato esistente « Cosa possiamo fare per voi…? »
« Lys’sh e io, insieme ad altre due compagne dalle quali ci siamo purtroppo separate da qualche giorno, stiamo cercando informazioni in merito a un ragazzo. Un giovane umano che, circa un mesetto fa, è scomparso in questo mondo… » giunse subito al sodo Rula, prendendo parola e, in ciò, assumendosi la responsabilità di quell’iniziativa, essendo stata dopotutto lei a proporre quel particolare approccio e, in ciò, non desiderando veder delegata l’incombenza di porre domande, ed eventualmente di porre domande scomode o, peggio, stupide « L’ultima volta è stato visto in questa zona… avete avuto forse occasione di sentirne parlare? » domandò, concludendo in breve la questione e preparandosi, in ciò, a una risposta prevedibilmente negativa o, più probabilmente, a una risata, in quella che molto facilmente avrebbe potuto essere considerata una vera e propria banalità.
Ma se una risata avrebbe avuto a doversi considerare quanto da lei atteso, ben altro fu ciò che le venne allor rivolto, e rivolto da parte dei propri due nuovi interlocutori…
lunedì 30 luglio 2018
2623
Avventura
051 - Giochi di guerra
A differenza di Lys’sh, Reb-Ras’sha avrebbe potuto vantare una pura discendenza ofidiana. In questo, laddove Lys’sh avrebbe potuto vantare straordinarie capacità sovrumane, nell’incredibile sensibilità del proprio udito, del proprio olfatto e del proprio gusto, e una mirabile capacità di muoversi, e di muoversi nel più assoluto silenzio, Reb-Ras’sha, o Ras’sh per i suoi amici, avrebbe avuto a doversi riconoscere migliore di lei in misura sufficiente da rendere il silenzio del quale Lys’sh avrebbe potuto esser capace simile al frastuono prodotto da una banda in marcia, e, parimenti, da poter cogliere la presenza di possibili antagonisti nei propri dintorni con una precisione, con un’efficacia della quale, purtroppo, Lys’sh non avrebbe potuto neppure avere possibilità di immaginazione. Ma se, ovviamente, Lys’sh avrebbe avuto a dover essere consapevole dei limiti per lei propri in conseguenza al proprio sangue misto, Ras’sh non avrebbe potuto avere eguale confidenza con la realtà propria della natura di quell’estranea, e di quell’estranea l’odore della quale, ovviamente, aveva avuto modo di percepire sin da quando ancor impegnata a essere posta sotto assedio da quell’ultimo gruppo di sei assalitori sol bramosi di pretendere le loro morti virtuali.
In ciò, quindi, Ras’sh non avrebbe potuto ovviare a dare per scontato quanto un’ofidiana, diretta alla volta di un’altra ofidiana, avesse a dover essere giudicata qual animata da un intento diplomatico, laddove in alcun altra maniera, altrimenti, simile azione avrebbe potuto avere un qualche significato. E se, paradossalmente, quell’intuizione avrebbe avuto a doversi considerare corretta, la realtà dei fatti non avrebbe potuto mostrare egualmente confidente della riuscita del proprio piano, della propria iniziativa, la stessa Lys’sh, la quale, altresì, pur avendo distinto odori umani e non umani, non era stata in grado di riconoscere, con tanta puntualità, con tanta precisione, la presenza di una sua simile all’interno di quel gruppo.
Così, anche laddove Ras’sh avrebbe avuto a doversi considerare perfettamente consapevole dell’avvicinamento delle due donne, e, persino, già in grado persino di descriverne la parziale nudità, laddove l’odore della loro pelle esposta non avrebbe potuto ovviare a raggiungerla in misura differente rispetto a quanto, altresì, non avrebbe avuto a dover essere per loro proprio nell’eventualità in cui fossero state completamente vestite; l’inconsapevolezza da parte di Lys’sh e di Rula di aver a essere già attese non avrebbe potuto ovviare loro a riservarsi un avvicinamento quantomeno moderato nel proprio incedere, nel legittimo timore, comunque, di ritrovarsi a essere semplici bersagli per coloro con i quali, pur, avrebbero voluto semplicemente parlare. Un’incoerenza incomprensibile, dal punto di vista di Ras’sh, in conseguenza alla quale non avrebbe potuto ovviare a porre in preallarme i propri compagni, il proprio gruppo, nel non poter essere poi così certa, così sicura, nel merito delle intenzioni di quella strana coppia…
« Ancora esitano. » sussurrò in un alito di voce, rivolgendosi a Mach Roliva, suo compagno d’arme, umano, che insieme a lei era avanzato nella direzione di quelle due figure estranee, per poterle offrire eventuale supporto nel momento in cui qualche malevole intenzione fosse alfine emersa, per quanto assurda nella propria stessa evoluzione, nella propria dinamica « Non riesco proprio a comprendere cosa possano avere in mente: un’altra ofidiana dovrebbe essere perfettamente consapevole di non potersi avvicinare a noi senza essere rilevata. Eppure sembra che stiano cercando di nascondersi… non capisco. »
« Probabilmente è una domanda stupida… ma… sei sicura che sia effettivamente un’ofidiana? » esitò l’altro, cercando di razionalizzare l’ambiguità propria di quella situazione « Non potresti esserti confusa…?! »
« Mach… forse mi potrò essere assuefatta all’odore di voi umani… ma riesco ancora a riconoscere un mio simile quando lo incontro. » commentò Ras’sh, con un lieve sospiro, a dimostrare sincera pazienza per la difficoltà a trattare con il compagno, a volte non dissimile a quella che avrebbe potuto esserle propria nel dialogo con un bambino « Comunque aspettiamo e vediamo… » soggiunse poi, arma in braccio, pronta a liquidare la minaccia laddove avrebbe avuto a doversi considerare tale.
In verità, quell’invito all’attesa non ebbe a vedere la stessa Ras’sh pazientare ancora molto a lungo. Perché, insospettita dalla questione, volle tentare di approfondire il senso della medesima in termini che soltanto per un ofidiano avrebbero potuto riservarsi un qualunque genere di significato. Così, producendo quello che all’attenzione del suo sodale umano altro non avrebbe potuto che apparire simile a una sorta di sibilo, quasi un sospiro fra i denti, ella ebbe a riservarsi l’opportunità di volgere un cenno di saluto alla propria sconosciuta controparte, in un suono che alcun orecchio umano, e la maggior parte degli uditi non umani, avrebbero saputo come interpretare ma che, certamente, per un’altra ofidiana suo pari avrebbe avuto a dover essere riconosciuto pressoché come l’equivalente di un altro grido, con tanto di saltello e cenno di mano a tentare di attrarre l’attenzione.
Un saluto più che distinguibile, un autonomo tentativo di dialogo nei propri confronti, che a Lys’sh, quasi, ebbe a sfuggire, e che certamente sarebbe sfuggito se soltanto non fosse stata tanto concentrata nei riguardi di qualunque, effimero rumore a loro circostante, fosse anche soltanto quello proprio della vibrazione dei loro stessi passi. Tale, infatti, avrebbe avuto a dover essere considerata la disparità lì esistente fra un’ofidiana purosangue e una no, una disparità che, a livello esteriore, non avrebbe avuto a risultare apparente, soprattutto non a uno sguardo non ofidiano, ma che, altresì,nella sostanza avrebbe avuto a dover essere considerato pari a un divario incolmabile, e un divario incolmabile che pur, per sola fortuna, e, forse, proprio per quell’invocata fortuna propria degli audaci, permise allora alla giovane di cogliere l’evidenza di quel saluto e di riconoscerlo allora in quanto tale. E, soprattutto, in quanto prodotto, allora, da un’altra ofidiana, con una sorpresa tale per cui, allora, non poté che arrestarsi, e arrestarsi quasi di colpo nel proprio incedere.
« Ohi… » protestò sommessamente Rula, nel ritrovarsi praticamente costretta a schiantarsi contro di lei, non avendo avuto occasione di cogliere quell’arresto e, in ciò, di frenare a sua volta il proprio incedere « … scusami. » soggiunse poi, nel rendersi conto, comunque, della propria posizione di torto, nell’esserle andata a sbattere contro.
« Aspetta un momento… » le domandò Lys’sh, per tutta risposta, necessariamente distratta e confusa, nel voler ricambiare quel saluto, per quanto, ne era consapevole, avrebbe in ciò rivelato la propria non purezza di sangue, nel non poter riprodurre quell’esatta, specifica tonalità propria di quel sibilo.
Un’agitazione, quella propria della giovane, che non avrebbe avuto a doversi considerare semplicemente conseguente all’idea di ritrovarsi a confronto con un’ofidiana purosangue, quanto, e più in generale, all’idea di ritrovarsi a confronto con un’altra ofidiana.
Benché, infatti, quasi metà della popolazione dell’universo noto avrebbe avuto a doversi riconoscere qual ofidiana, in misura pressoché uguale a quella della presenza umana all’interno del Creato, i rapporti passati fra quelle due predominanti civiltà non avrebbero avuto a doversi considerare necessariamente idilliaci, ragione per la quale, paradossalmente, la possibilità per la giovane donna rettile di frequentare dei propri simili avrebbe avuto a dover essere riconosciuta qual particolarmente scarsa, quantomeno a confronto con le rotte abitualmente perseguite dalla Kasta Hamina. Non che qualche ofidiano, così come esponenti di altre specie, mancassero in pianeti prevalentemente umani: ciò non di meno, appunto, avrebbero avuto a doversi considerare una minoranza, e una minoranza nella stessa proporzione rappresentata, quasi a livello esemplificativo, dalla sua stessa presenza a bordo della nave del capitano Rolamo.
In questo, quindi, Lys’sh avrebbe avuto a doversi considerare più abituata a confrontarsi con degli umani, con tutti i loro limiti e difetti, ancor prima che con un’altra ofidiana, ragione per la quale la straordinaria coincidenza propria di quell’incontro, e di quell’incontro che stava esordendo con un cenno di quieto saluto nei suoi confronti, anziché che con una raffica di spari, non avrebbe potuto ovviare a sorprenderla… e a sorprenderla in positivo, lasciandole realmente credere in un tanto incredibile, quanto straordinario, colpo di fortuna in loro aiuto, in loro soccorso.
domenica 29 luglio 2018
2622
Avventura
051 - Giochi di guerra
« … perché? » domandò l’altra, con una semplicità a dir poco disarmante, non negandosi il rischio di poter essere considerata ingenua e, ciò non di meno, neppur privandosi della possibilità propria di quel banale dubbio, e di un dubbio che, forse, avrebbe avuto a doversi considerare meno assurdo rispetto a quanto chiunque non avrebbe avuto a poter presumere.
Come sovente accade in molteplici situazioni proprie della vita quotidiana, l’interrogativo formulato dalla giovane Rula non avrebbe avuto a doversi fraintendere così privo di significato, così privo di senso, per come, pur, in una reazione immediata e probabilmente superficiale avrebbe avuto a poter essere erroneamente ritenuto.
Benché, infatti, ogni presupposto proprio della loro permanenza in quel luogo avrebbe avuto a escludere l’eventualità propria di una tranquilla chiacchierata con altri giocatori, in quella tendenza al reciproco annientamento propria non soltanto di quella simulazione ma, invero, anche di molte altre guerre, se non di qualunque altra guerra, e di qualunque altra vera guerra, nella quale mai, un appartenente a una fazione avrebbe potuto prendere anche solo in fugace esame l’idea propria di un confronto costruttivo con un esponente della fazione avversa; alcuna regola, scritta o non, alcuna logica razionale, avrebbe potuto, lì, effettivamente escludere simile opportunità, tale eventualità, lasciando scadere, immediatamente e banalmente, quella proposta in una semplice espressione di ingenuità. E se, anzi, in quel contesto, in quel frangente, per così come a tutte loro sufficientemente chiaro, il loro reale obiettivo, il loro solo e unico scopo, avrebbe avuto a doversi considerare vanificato dall’eventualità propria di escludere ostinatamente qualunque ipotesi di dialogo, e di dialogo utile a raccogliere informazioni nel merito di quanto da loro ricercato, allora, a dir poco obbligata avrebbe avuto a doversi giudicare l’eventualità propria della ricerca di quel dialogo, di quel confronto verbale con gli altri giocatori, per quanto, tutto ciò, avrebbe avuto a doversi parimenti considerare istintivamente assurdo.
In quella semplice questione, in quella banale richiesta di dettaglio, quindi, Rula si riservò, forse inconsapevolmente, l’opportunità di sospingere la mente della compagna a tale analisi, a simile livello di dettaglio, in termini tali per cui, dall’alto di quello stesso decantato spirito giudizioso che pur la contraddistingueva, Lys’sh non avrebbe potuto ovviare a comprendere il proprio errore e, in questo, a voler agire, e a voler agire, nei tempi più modesti possibili, per rimediare a ciò, e rimediare, allora, non soltanto riconoscendo all’amica un giusto tributo per i propri meriti ma, anche e ancor più, per trovare occasione utile a porre in essere simile strategia e confidare nella fortuna propria degli audaci per riuscire, effettivamente, a trovare una traccia utile a perseguire il loro obiettivo finale.
« In effetti non c’è un perché. » dichiarò pertanto, scuotendo appena il capo nell’offrire diniego non tanto alla proposta implicitamente formulata dall’altra, quanto e piuttosto alla propria stessa, stolida censura preventiva a discapito della medesima, una censura a confronto con la quale, la sua mente aveva escluso come dato di fatto quella che avrebbe avuto a dover essere forse intesa qual la sola reale opportunità di successo loro riservata « Stupida a non averci pensato prima… »
« Davvero…?! » esitò Rula, quasi incerta nel merito dell’assennatezza propria di quanto appena dichiarato, e di quanto, in tal maniera, dall’altra confermatole, evidentemente animata da minor confidenza di sé e delle proprie possibilità rispetto a quanto, parimenti, l’altra non sarebbe stata pronta a riconoscerle « Cioè… non era una domanda stupida la mia?! »
« Davvero! » confermò Lys’sh, sorridendole con dolce premura « Eh no… non era una domanda stupida la tua. Anzi… »
Decisa, in ciò, a riservarsi l’opportunità di tentare di instaurare un dialogo con qualcuno, la giovane ofidiana volle, ancora una volta, espandere i propri sensi, il proprio udito e il proprio olfatto, or non tanto alla ricerca di una potenziale minaccia per loro presente nell’ambiente circostante, quanto e piuttosto alla ricerca di un possibile aggancio, di qualcuno con cui dialogare, con il quale confrontarsi, alla ricerca di risposte, alla ricerca di quelle informazioni da loro desiderate. E se, in effetti, quelle rovine avrebbero avuto a doversi considerare non meno popolate rispetto a una vera e propria città, sol l’imbarazzo della scelta venne a lei destinato a margine di tutto ciò, nel concederle amplia varietà di selezione fra i possibili candidati a tale tentativo di diplomatica gestione del caso.
In particolare, a modesta distanza innanzi a loro, quanto risultò evidente al suo olfatto fu la presenza di almeno tre diversi gruppi di persone, la composizione dei quali ebbe, allora, a voler condividere con la compagna, nel non escludere una comune analisi attorno a ciò e un’altrettanto comune decisione sulla direzione entro la quale avere a procedere…
« Allora… innanzi a noi ci sono non meno di una quindicina di persone, divise in almeno tre gruppi. » sancì, accucciandosi per un istante vicino al suolo a tracciare, con la punta dell’indice della mano destra un breve schema delle posizioni relative occupate dai vari contingenti così individuati « Il primo è formato principalmente da giovani. A giudicare dal livello delle loro emissioni di ormoni, non credo che alcuno fra loro superi i ventidue o ventitré anni. E sono tutti umani. » spiegò, segnandoli con una croce tracciata sulla terra, a non più di una spanna di distanza dal punto nel quale aveva prima indicato essere la loro posizione « Il secondo è l’unico gruppo misto, con uomini e donne, giovani e meno giovani, umani e non. Dovrebbe essere formato da almeno sei persone. Forse sette. » indicò, con una seconda croce, in una posizione utile a tracciare sostanzialmente un triangolo nel rispetto tanto al punto da loro occupato, quanto a quello occupato dal primo gruppo « Il terzo, un po’ più distante e attualmente in fase di allontanamento, è costituito soltanto da non umani. Credo canissiani per lo più. E di età variegata. » concluse, tracciando, in questa occasione, non una croce, quanto e piuttosto una freccia, e una freccia divergente dalla loro attuale posizione « Cosa preferisci…?! »
« Il primo gruppo sembrerebbe essere quello più prossimo alla tipologia di gruppo che doveva essere stato proprio anche di Comar. » analizzò ad alta voce, in un condiviso flusso di pensiero utile a non voler lasciare sprecato l’impegno con il quale Lys’sh aveva così voluto coinvolgerla nella scelta della strategia propria del loro immediato futuro « Ciò non di meno, un bel gruppo eterogeneo sia in termini di genere, sia in termini di specie, forse potrebbe essere più aperto a concedere occasione di dialogo a una coppia altrettanto eterogenea qual la nostra, senza, in ciò, necessariamente voler sancire la nostra condanna al solo scopo di aumentare il proprio punteggio. » soggiunse, nell’esprimere un palese favore in direzione alla seconda alternativa loro concessa.
« Ergo… scegliamo il secondo gruppo?! » cercò conferma Lys’sh, più che d’accordo tanto con quell’analisi, quanto con il risultato al quale ella era in tal maniera giunta, condividendone le motivazioni e riconoscendone le giuste argomentazioni.
« Solo se anche tu sei d’accordo con me… » esitò Rula, non tanto timorosa di aver a essere riconosciuta qual la responsabile di una simile scelta, quanto e piuttosto desiderosa di condividere la medesima scelta, e di condividerla consapevolmente con l’amica, senza aver a lasciar per scontato nulla in ciò.
« Scherzi…? » sorrise l’ofidiana, non potendo ovviare, altresì, a dar per scontato il proprio favore verso di lei, tanto per una questione di fiducia, quanto per l’indubbia ragionevolezza di quella linea di pensiero, di quell’analisi e di quel risultato « Andiamo… prima che abbiano a decidere di muoversi. O che abbiano a incrociare il fuoco con gli altri, finendo con l’escludersi dal giuoco senza che ci sia stata concessa l’opportunità di interloquire! » incalzò pertanto, abbracciando con entusiasmo quella scelta e, in ciò, risollevandosi da terra soltanto per dirigersi alla volta del gruppetto da loro in tal maniera individuato.
sabato 28 luglio 2018
2621
Avventura
051 - Giochi di guerra
« Dove sono…? » domandò la donna dagli occhi color ghiaccio, ritrovando voce dopo quel fugace momento di riflessione intima e di intimo sollievo a confronto con la notizia comunicatale « Stanno bene?! »
« Erano a poco meno di due miglia davanti a noi. » asserì l’altra, aggrottando ancora la fronte a confronto con quell’idea, quella incontrovertibile verità che pur non stava riuscendo proprio malgrado a digerire « E non mi chiedere come sia possibile, dal momento che, comunque, sono certa di aver sempre conservato un certo vantaggio su di loro, tanto nella foresta, quanto fra le montagne. » esplicitò, condividendo le ragioni del proprio turbamento, di quell’impossibilità a comprendere in qual maniera fossero riuscite a passare loro innanzi « Comunque… sì, mi sembravano star bene. Per quanto, non chiedermi come mai, fossero praticamente mezze nude. »
Per un effimero istante, la Figlia di Marr’Mahew ebbe a temere il peggio nel confronto con quella notizia, immaginando l’eventualità di un assalto a loro discapito da parte di un branco di luridi maniaci.
Ciò non di meno, subito dopo, ella non poté ovviare a ricordarsi dove allora avrebbero avuto a doversi riconoscere in quel momento, ben lontana da mondi nei quali, simile idea, avrebbe potuto riservarsi, purtroppo, una triste applicabilità. Senza dimenticare quanto, comunque, improbabile avrebbe avuto a doversi considerare l’eventualità nella quale Lys’sh si sarebbe potuta offrire quietamente inerme nel confronto con una qualunque ipotesi di stupro, fosse anche stata armata, qual era, da semplici pistole giocattolo e spade prive di lama. Nell’assurda eventualità da lei, in quel breve attimo, presa in stolida ipotesi, certamente Lys’sh avrebbe quantomeno strangolato l’eventuale aggressore, se non, altresì, trovato qualche più fantasiosa maniera per ucciderlo o, anche e soltanto, condannarlo a una lenta e interminabile agonia, al termine della quale la morte sarebbe risultata, probabilmente, l’eventualità più gradevole: giacché per quanto ormai avrebbe avuto a doversi considerare solita pensare a quella giovane donna rettile qual a una sorta di sorella minore, Midda non avrebbe mai potuto ovviare a ricordarsi qual genere di straordinaria guerriera ella avrebbe avuto a doversi considerare, in grado di affrontare non soltanto situazioni normali, ma, anche, di trascendere quietamente ogni barlume di normalità, così come quando, in tempi particolarmente recenti, si erano ritrovate fianco a fianco a combattere in una realtà estranea a qualunque realtà, situazione a dir poco folle che pur, Lys’sh, non si era riservata esitazione ad affrontare, e ad affrontare con straordinario controllo di sé e mirabile presenza di spirito.
Così, accantonata in un tempo inferiore a quello proprio di un battito di ciglia l’idea di un qualche dramma consumatosi nel contempo di quei giorni di separazione, alla donna dagli occhi color ghiaccio e dai capelli color del fuoco non poté che restare una semplice domanda…
« … perché mai dovrebbero essere mezze nude?! » domandò in maniera assolutamente retorica, offrendo voce ai propri pensieri e a quel dubbio più che comprensibile ma, al contempo, del tutto privo di qualunque possibilità di risposta, nelle informazioni in loro possesso.
« Ti ho detto di non chiedermi come mai! » protestò l’altra, scuotendo appena il capo « Come accidenti potrei saperlo…?! Magari hanno approfittato di qualche ragazzotto per spassarsela un po’! » ipotizzò, formulando uno scenario decisamente più propositivo rispetto a quello che, inizialmente, aveva animato i pensieri della propria compagna d’arme.
« Ne dubito… Rula non mi sembra proprio il genere di donna che tradirebbe suo marito. » escluse, tuttavia, Midda, non esprimendosi, almeno nell’immediato, riguardo all’ofidiana semplicemente perché, obiettivamente, ella avrebbe potuto considerarsi del tutto libera di spassarsela con chiunque avrebbe potuto desiderare, a differenza rispetto all’altra « E Lys’sh è comunque troppo giudiziosa per lasciarsi coinvolgere in una semplice notte di follie con il primo che capita, a differenza di quanto non potremmo fare noi… » soggiunse tuttavia subito dopo, non potendo ovviare a riconoscerle simile valore.
« E questo dovrebbe essere un modo carino per dire che siamo due poco di buono…?! » cercò di comprendere Duva, nel riformulare quell’ultima affermazione, traslando il centro della questione da Lys’sh a loro due, laddove, ovviamente, il confronto così suggerito dalla propria amica avrebbe avuto a poter valere in entrambe le direzioni, nel bene e nel male.
« Non mi sono mai considerata una poco di buono semplicemente perché, volendo portarmi a letto qualcuno, me lo sono portato a letto. » minimizzò, tuttavia, la prima, stringendosi appena fra le spalle e banalizzando la questione sulla quale l’altra stava evidentemente cercando di montare facile polemica « Poi, se la tua morale ti spinge a considerarti tale, non sarò di certo io a giudicarti… »
« … » non seppe come replicare Duva, limitandosi poi a sospirare e a levare gli occhi al cielo « Muoviamoci, va! » riprese subito dopo, nel non avere ragione di proseguire in quella direzione « Prima che possano allontanarsi troppo da noi e si abbia a rischiare di perderle nuovamente… » incalzò, condividendo un esplicito desiderio volto alla riunificazione, e probabilmente alla riconciliazione, con l’altra metà del loro gruppo « Oltretutto, mi piacerebbe anche comprendere dove tutte noi stiamo avanzando, di preciso, dal momento che, ormai, non possediamo più ulteriori dettagli sulla possibile fine del nostro disperso obiettivo. » non poté mancare di evidenziare, in una evidente critica nel merito di qualunque ulteriore progresso attraverso quelle rovine, progresso ormai non più motivato dai termini della loro missione, e di una missione così vacua, nei propri contenuti, dal doversi considerare pressoché assurda.
In effetti, per quanto in quel pianeta della guerra, paradossalmente, la guerra non avrebbe mai potuto ucciderti, il concetto stesso di un intero pianeta semplicemente impegnato in un assurdo carosello volto a eliminare, sistematicamente, chiunque di fronte a sé, avrebbe reso quantomeno complicata qualunque forma di interazione umana, in termini tali per cui anche e soltanto sperare di raccogliere informazioni su quanto fosse successo avrebbe avuto a doversi ritenere a dir poco improbabile, sempre ammesso, senza, invero, alcuna conferma di ciò, che fosse ancora presente in quel mondo qualcuno già lì impegnato a giocare all’epoca dei fatti, nel sicuramente alto ricambio di popolazione che, lì, avrebbe avuto a dover essere riconosciuta qual residente. In ciò, pertanto, il fine stesso della loro missione avrebbe potuto essere spiacevolmente considerato a dir poco irrealizzabile, in termini tali per cui, il senso di tutto ciò, avrebbe avuto a dover egualmente essere spiacevolmente considerato a dir poco vano.
Ciò non di meno, ormai decisamente in giuoco, l’unica cosa che tutte loro avrebbero mai potuto fare sarebbe stato continuare a giocare, nella speranza, fosse anche per pur caso, di adempiere al fine della loro missione e, nel contempo di ciò, riuscire a ritrovarsi. Una semplice verità nota non soltanto a Duva e Midda, quant’anche a Lys’sh e Rula, le quali, non a caso, ebbero a interrogarsi a loro volta in termini non dissimili dalle amiche, avendo sì a dover preferire a loro volta un percorso meno esposto, e, ciò non di meno, non avendo la benché minima idea di qual genere di percorso avrebbero potuto avere a poter intraprendere…
« Idee su come scoprire la fine di questo… Comar Virto…? » domandò Rula, dimostrando di non avere a sua volta particolare confidenza con il ragazzo in questione, né, tantomeno, con il genitore di lui, vecchio amico, vecchio camerata di suo marito, ma, non per questo, egualmente a lei vicino o, anche e soltanto, da lei mai conosciuto.
« Zero assoluto. » escluse tuttavia Lys’sh, scuotendo appena il capo, nel mentre in cui, ormai, avrebbe avuto a dover essere considerata sol impegnata a prestare attenzione a ovviare a nuovi agguati, a nuove imboscate, non concedendosi più neppure l’occasione di tentare di seguire gli odori propri di Duva e Midda, nella consapevolezza, nella fiducia in merito a quanto, presto o tardi, si sarebbero certamente riunificate, così come già in passato non aveva mancato di occorrere anche in situazioni meno piacevoli « Purtroppo escluderei la possibilità di poter fare domande a qualcuno… no? »
venerdì 27 luglio 2018
2620
Avventura
051 - Giochi di guerra
« Ora non esagerare… » ridacchiò Lys’sh, risollevandosi da terra per porsi in piedi accanto a lei, a osservare non senza provare, a propria volta, una certa e altrettanto giustificabile soddisfazione per il risultato conseguito e il risultato conseguito da colei che, soltanto pochi giorni prima, non avrebbe saputo dimostrare alcuna particolare fiducia in sé e nelle proprie capacità e che, non per merito suo, chiaro, ma certamente complice la fiducia che non aveva mancato di riconoscerle, aveva ormai cambiato completamente approccio nel confronto con se stessa, e con le proprie possibilità « … questo genere di battute lascialo pure a Midda! »
« Uff… d’accordo! » sbuffò Rula, lievemente contrariata da quell’ultimo invito, e, ciò non di meno, concorde con il medesimo, non in senso generale ma, quantomeno, nel frangente particolare di quanto lì appena occorso, e di quanto lì appena occorso, in fondo, non completamente per merito suo « Per inciso… si può sapere chi ci ha aiutate?! Senza quei tre colpi iniziali, non so se ne saremmo uscite… » osservò, non volendo rifiutare il legittimo riconoscimento a chi di dovere, pur, allora, ignorando completamente chi avesse a doversi riconoscere qual eventuale destinatario di tale riconoscenza.
Purtroppo, pur guardandosi attorno, e spaziando con lo sguardo in lontananza, la giovane donna non fu in grado di cogliere la presenza di alcuno, ritrovandosi costretta, in ciò, a conservare tutti i propri dubbi.
Sulla propria torretta, infatti, Duva, colei che pur aveva permesso loro di sopravvivere a quella condanna virtuale, malgrado un certo, giustificabile entusiasmo all’idea di riuscire a riappacificarsi con Lys’sh e di riunire, in ciò, il gruppo troppo a lungo mantenuto diviso, e diviso anche e soprattutto per causa sua, non poté ovviare a prestare attenzione a mantenersi quanto più possibile al riparo, quanto più possibile coperta, nella propria posizione, al fine di non ritrovarsi, a sua volta, spiacevole bersaglio di qualche troppo semplice attacco. Laddove, infatti, quella torretta le poteva garantire ottima visibilità sul territorio circostante, dall’alto di una posizione di superiorità, parimenti le avrebbe anche imposto una spiacevole ottima visibilità da parte di chiunque sparso lungo il territorio circostante, esponendola qual un premio troppo ghiotto per non tentare di essere colto da parte di chiunque avesse sollevato lo sguardo e l’avesse vista. Così, benché il primo istinto sarebbe stato quello di levarsi in piedi e di agitare la destra per tentare di farsi notare dalle compagne in lontananza, ella resistette a tale impulso, restando quietamente sdraiata nella torre e attendendo il momento opportuno per ridiscendere dalla stessa, sperando, in ciò, di non aver a essere comunque colta, anche solo per semplice fatalità, da alcuno.
« Leviamoci da qui… » concluse l’ofidiana, scuotendo appena il capo nel non saper come offrire una qualche risposta ai dubbi dell’amica « Chiunque sia stato a salvarci, non è detto che la prossima volta sarà egualmente presente in nostro aiuto. »
« Sì… » annuì semplicemente Rula, accettando l’invito così rivoltole e seguendo l’amica verso un fronte meno esposto rispetto a quello sino in quel momento proprio malgrado occupato.
Lontano da loro, eguale pensiero non avrebbe potuto ovviare a cogliere anche la Figlia di Marr’Mahew, la quale, in attesa della ridiscesa della propria sorella d’arme dalla cima della torre, non avrebbe potuto ovviare a riflettere sulla semplicità con la quale, loro malgrado, quel dannato cecchino aveva avuto possibilità di sorprendere, evidentemente troppo esposte, troppo visibili all’interno di quelle rovine.
« Probabilmente dovremmo cercare di mantenere un profilo meno appariscente… » suggerì pertanto a Duva, nel momento in cui ella le fu nuovamente accanto « L’idea di farci ammazzare, anche solo per gioco, da un ragazzino impropriamente armato di un fucile di precisione, devo essere onesta, non rientra proprio nei miei personali, consueti canoni di soddisfacimento. » osservò, avendo ovviamente avuto, nel contempo di tutto ciò, di individuare il giovane imberbe in fuga dalla torre e, soprattutto, di constatare un certo intervallo fra la ridiscesa del medesimo e quella della propria amica, ragione per la quale non poté anche ovviare a soggiungere « Per inciso… che diamine hai trovato lassù che ti ha fatto perdere tanto tempo? Stavo iniziando a preoccuparmi… »
« Stavi iniziando a preoccuparti per me…? » ripeté l’altra, non negandosi una certa sorpresa per quell’affermazione « Per chi mi hai presa?! » soggiunse, simulando una certa stizza, a margine di tutto ciò, quasi quella dichiarazione avesse a dover essere accolta come un insulto, ancor prima che qual una dimostrazione d’affetto e di premura nei suoi confronti.
« Ah, sì. Giusto. Scusami. » scosse il capo Midda, nel desiderio di correggersi « Per un attimo mi ero dimenticata di questa tua nuova moda di cercare occasione d’appuntamento sui campi di battaglia. » puntualizzò, in ovvio riferimento a quanto accaduto con Cevir Torsarch, sull’alto di quella gola « Ma, senti… quel ragazzino se l’è fatta sotto prima o dopo che tentassi di baciarlo…?! » soggiunse, maliziosa nei suoi riguardi, ben sapendo che la realtà non avrebbe avuto a dover essere descritta in simili termini e, ciò non di meno, non potendo ovviare a suggerire una tale ipotesi, fosse anche e soltanto per semplice divertimento personale, nella volontà di irritarla tanto con il riferimento a Cevir, quanto, ma forse meno, con l’idea di un qualunque genere di approccio nei riguardi di quell’imberbe.
« Ti prego… magari avrò anche bisogno di uscire con qualcuno che non rientri nel ristretto annovero dell’equipaggio della Kasta Hamina, ma il piscialletto no. » replicò Duva, sgranando gli occhi all’orripilante immagine così suggerita « Cerco qualcuno da amare, non da adottare! » specificò, ammettendo implicitamente, e forse senza neppure rendersene effettivamente conto, di essersi riservata qualche pensiero romantico innanzi a Cevir « Comunque… non indovinerai mai chi ho appena salvato da una spiacevole situazione di stallo, mentre ero lassù. » dichiarò, nel voler deviare il discorso verso argomentazioni meno personali rispetto a quelle.
« Mmm…? » esitò la Figlia di Marr’Mahew, non sapendo interpretare quanto, quell’ultima affermazione, avrebbe avuto a dover essere considerata un semplice diversivo e quanto, altresì, avrebbe avuto a dover essere intesa qual evidenza di eventi realmente occorsi.
« Lys’sh e Rula! » asserì l’altra, sorridendo questa volta senza alcuna ironia e, anzi, con un certo affetto, affetto per quella coppia per sua colpa allontanatasi da loro, e con la quale, forse, avrebbero avuto presto occasione di riunificazione « Sono arrivate anche loro in città…! E, anzi, a ben vedere, sono riuscite ad arrivare persino prima di noi! » specificò, socchiudendo appena lo sguardo, nel dubbio su come ciò avrebbe avuto a poter essere possibile, dal momento in cui non avrebbe potuto in alcun modo rilevare particolari perdite di tempo nel loro incedere… anzi.
« Non mi stai prendendo… come dite? Per i fornelli…?! » esitò la prima, scuotendo il capo.
« Fondelli. » puntualizzò Duva, correggendola pazientemente « E no… non ti sto prendendo per i fondelli! »
Un profondo sospiro di sollievo fu quello che, nell’intimo del proprio cuore, la donna guerriero dagli occhi color ghiaccio non poté ovviare a riservarsi, non tanto qual evidenza di un qualunque genere di dubbio sulle capacità proprie delle loro compagne di squadra, quanto e piuttosto in conseguenza del sin troppo prolungato periodo di tempo nel corso del quale, loro malgrado, erano rimaste prive di qualunque genere di informazione nel merito della loro sorte, e, in ciò, incapaci persino a ipotizzare se, ancora, avrebbero avuto a doversi considerare qual presenti su quello stesso pianeta o no. L’idea, quindi, non soltanto della loro costante permanenza in quel mondo, ma, anche e ancor più, della loro presenza a una distanza necessariamente contenuta dalla loro attuale posizione, non avrebbe potuto ovviare a offrire sollievo al suo spirito, nonché a riservarle un certo orgoglio per quanto, in fondo, non avrebbe potuto ovviare a considerare, ancor prima che di chiunque altro, una propria responsabilità, e una propria responsabilità conseguente a una scelta che chiunque avrebbe giudicato azzardata, ma sulla quale ella non aveva voluto ovviare a scommettere, e a scommettere molto più di quanto alcuno avrebbe mai potuto sapere.
giovedì 26 luglio 2018
2619
Avventura
051 - Giochi di guerra
« Mi aiuteresti a ricordare, per cortesia, come è possibile che siamo finite in questo macello…?! » domandò Lys’sh, con ironica autocritica, e autocritica nel confronto con l’imperdonabile leggerezza da loro resa propria nel permettersi di ritrovarsi in una tanto spiacevole situazione, al centro del fuoco incrociato di così tanti avversari, e del tutto impossibilitate ad agire, e ad agire secondo una qualunque possibile linea di difesa utile a farle uscire da quell’assurdo stallo.
« Quanto larga vuoi che prenda la faccenda…? » replicò Rula, aggrottando appena la fronte « Perché se vuoi tornare a sufficienza indietro nel tempo, credo che il tuo errore sia stato quello di stringere amicizia con Duva e Midda in carcere, mentre il mio sia stato quello di innamorarmi di un certo Lange Rolamo. » argomentò, dimostrando indubbia autoironia a margine di quella situazione, e di quella situazione nella quale, ormai, non sarebbe rimasto poi molto su cui ironizzare per loro, e, ciò non di meno, dimostrando di non voler cedere ad alcun genere di inutile allarmismo, malgrado non vi fossero poi molte altre opportunità in loro favore anche decidendo di voler conservare la calma, di voler mantenere il controllo.
« … e offrendo riferimento a eventi più recenti…?! » insistette la prima, scuotendo appena il capo a escludere di dover individuare la colpa ricercata spingendosi così tanto addietro nel tempo « Qualcosa accaduto nel corso delle ultime ore, magari…? »
« Ah… allora siamo state semplicemente idiote! » rispose in maniera puntuale la seconda, non dimostrando di voler concedere, né a se stessa, né alla propria compagna, particolare pietà, dopotutto entrambe più che consapevoli di aver a dover essere le sole responsabili per tutto ciò « Dopotutto solo una coppia di idiote nostro pari avrebbe potuto permettere a quei sei di accerchiarci con così tanta banalità, come è accaduto. »
Pur apprezzando lo spirito di cameratismo allor dimostrato dall’amica, dalla sorella d’arme che, anche in quella sventurata situazione avrebbe avuto a doversi considerare a lei vicina, e pronta ad affrontare qualunque comune destino sarebbe stato loro offerto senza sollevare il benché minimo dubbio, senza dimostrare la pur minima esitazione, e, soprattutto, senza rivolgerle alcuna accusa, alcuna colpa nel merito di quanto accaduto; Lys’sh non avrebbe potuto ovviare al pensiero di quanto, in verità, la responsabilità di tutto ciò avrebbe avuto a doversi considerare fondamentalmente soltanto sua. Sua e del fatto che ella non aveva saputo dimostrare quell’attenzione, al mondo a loro circostante, in grazia alla quale tutto ciò non sarebbe accaduto.
Ella, dopotutto, era l’ofidiana della coppia e, in ciò, era proprio e solo lei colei dotata di sensi sovrumani, di un olfatto e di un udito che non avrebbero avuto a poter giustificare l’eventualità di un agguato, di un attacco a sorpresa qual quello che pur era stato loro teso. A propria parziale discolpa, certo, la giovane donna rettile avrebbe potuto proporre qual argomentazione l’essere stata inaspettatamente distratta da una serie di odori a lei noti e, in particolare, da una serie di odori ricollegabili alle sue due amiche perdute, a Midda e a Duva, la cui sopraggiunta presenza al suo naso in quel luogo aveva necessariamente attratto tutto il suo interesse, tutta la sua curiosità, portandola a ignorare qualunque altra evidenza, qualunque altro segnale sensoriale, ivi compresi quelli relativi alla minaccia loro incombente, per potersi concentrare su di loro, nella volontà di cogliere ove esse avrebbero avuto a doversi allor considerare posizionate, e, in ciò, di poterle raggiungere. Solo un istante di distrazione il suo, solo un effimero momento di estraneazione dal presente, in conseguenza al quale, tuttavia, quel gruppetto aveva avuto l’occasione di saltare fuori apparentemente dal nulla e di aprire in loro contrasto quel fuoco incrociato, salvezza dal quale, ancora una volta, avrebbe avuto a dover essere oltretutto accreditata per entrambe all’opera di Rula, la quale, cogliendone il movimento, aveva trascinato entrambe a terra, ponendole in salvo dietro quell’improvvisato riparo. Un riparo destinato a trasformarsi nella loro tomba virtuale se presto non fossero riuscite a trovare il modo di opporsi a tutto ciò.
« Restando qui dietro la situazione non migliorerà… » analizzò Lys’sh, con ritrovata serietà « … quelli non smetteranno certamente di spararci contro e, anzi, appena avranno compreso di averci inchiodate al suolo, probabilmente si muoveranno al fine di stanarci e di farla finita. » ipotizzò, in una versione tutt’altro che improponibile del loro prossimo futuro.
« Idee…? » domandò Rula, più che aperta a ogni proposito, a ogni possibile soluzione, per quanto, in quel frangente, purtroppo, non stesse propriamente riuscendo a individuarne alcuna.
« Desiderando scommettere sulla tua velocità potrei alzarmi di scatto, attirando la loro attenzione su di me e lasciandoti il tempo di fuggire… » suggerì l’ofidiana, in quello che avrebbe avuto a doversi riconoscere necessariamente qual un sacrificio, e, comunque, un sacrificio sul virtuale, sol valido ai termini del gioco, e che pur nessuna conseguenza duratura avrebbe imposto a suo discapito « Qui attorno ho fiutato la presenza del resto del nostro gruppo e, a questo punto, tutto ciò che dovrai fare sarà sempli… »
« Non intendo permetterti di sacrificarti per me. » negò l’altra, scuotendo vigorosamente il capo « Non te l’ho permesso con quel dannato mostro del lago, non te lo permetterò, certamente, con quegli stupidi giocatori di questo stupido gioco della guerra. » escluse fermamente, in quella che avrebbe quindi avuto a doversi considerare, ancor prima che una questione pratica, qual una questione di principio, e di un principio a fronte del quale non avrebbe mai preso in considerazione alcuna possibilità di ritrattazione.
« E allora restiamo qui dietro entrambe ad aspettare che, qualcuno, da lassù, intervenga a fulminarli uno a uno… » sbuffò Lys’sh, non potendo ovviare ad apprezzare la fedeltà della propria compagna, della propria amica, e, ciò non di meno, non potendo neppure mancar di patire quella situazione, e quella situazione a confronto della quale, come già per la tartaruga tentacolata, la responsabilità di quanto accaduto avrebbe avuto a doversi addebitare soltanto al suo indirizzo, nell’evidenza di una spiacevole serie di continui errori iniziata con lo scisma da lei creato nel loro gruppo e che, ancora, non sembrava volerle concedere opportunità di requie.
Con un tempismo straordinario, e quasi a volerle finalmente dimostrare un apprezzabile cambio di carte in gioco, e un cambio volto, allora, a non vederle più imposta una continua punizione per l’errore commesso nel decidere di litigare con Duva e di abbandonare, in ciò, il resto del gruppo; un leggero cicalio elettronico, proveniente da un braccialetto lì vicino, ebbe a segnalare al fine udito di Lys’sh l’abbattimento di uno degli uomini intenti a porre loro assedio, subito seguito da un secondo, e da un terzo, a promozione di quel miracoloso salvataggio loro riservato forse e realmente dall’alto dei Cieli, per così come sarcasticamente pocanzi suggerito in quella propria semplice volontà di sfogo.
Ma che fosse stato loro riservato per un intervento divino o umano, in quel mentre poca sostanziale importanza avrebbe mai avuto, nel non aver a dover essere comunque sprecato nel leggero vantaggio loro estemporaneamente riservatole. E così, cogliendo a sua volta quell’inattesa evoluzione degli eventi, più di riflesso nella sorpresa propria dello sguardo dell’amica che perché realmente raggiunta da quella medesima serie di sottili suoni, Rula non ebbe a concedersi alcuna esitazione prima di alzarsi da terra e di aprire, rapidamente, il fuoco, e aprirlo in direzione di quegli ultimi tre superstiti che, sperava, avrebbero avuto a doversi allor riconoscere troppo sorpresi per inaspettata morte di metà della propria squadra per potersi riservare l’opportunità di agire e di reagire. Un calcolo non privo di fondamento, e, ciò non di meno, neppur privo di azzardo, il suo, che ebbe tuttavia a riservarsi una certa ragione, un’evidente raziocinio, nel momento in cui, alfine, il suo intervento non risultò vano, ma, anzi, concluse l’opera iniziata dal loro non meglio precisato soccorritore, vedendo abbattuti, da una continua raffica di colpi, gli ultimi superstiti.
« Non aspettatevi una frase a effetto… » esclamò alfine la giovane, risollevando la punta della sua arma non senza una certa, giustificabile soddisfazione per il risultato conseguito « … francamente inizio a essere un po’ stanca per potermi permettere di elaborare qualcosa di senso compiuto! » si giustificò, stringendosi appena fra le spalle, a minimizzare l’importanza, allora, di enfatizzare quel successo, quel risultato, con un qualche commento ironico o sarcastico.
mercoledì 25 luglio 2018
2618
Avventura
051 - Giochi di guerra
Lasciato il ragazzo al proprio destino, priva di qualunque interesse a proseguire con lui un’eventuale conversazione anche visti e considerati i toni del confronto avuto sino a quel momento, Duva stava per ridiscendere dalla torretta quando, per una pura coincidenza, per una semplice fatalità, posò il proprio sguardo su due sagome note, una coppia di figure femminili, in lontananza da loro, più avanti rispetto alla loro attuale posizione, che non avrebbe potuto in alcun modo ovviare a riconoscere, anche ove fossero state meno evidenti rispetto a quanto, da lì, non avrebbe potuto riservarsi occasione di visibilità.
« … ma che diamine…?! » non poté ovviare a esclamare a confronto con quell’immagine, e con i dettagli propri della medesima, nella sorpresa per lei necessariamente conseguente.
Inattesa, infatti, in quel momento, in quel frangente, non avrebbe avuto a dover essere soltanto considerata la presenza, in anticipo rispetto a Midda e a lei, di Lys’sh e Rula, nell’evidenza non soltanto di tempi pressoché comparabili fra i loro due gruppi, ma anche, e soprattutto, di un superamento, di una rimonta da parte delle altre due, nel merito della quale difficile sarebbe stato riuscire a trovare giustificazione, razionalizzazione; ma anche, e soprattutto, le loro attuali condizioni, condizioni che, in effetti, avrebbero avuto certamente a sollevare necessari dubbi sugli eventi dei quali entrambe avrebbero avuto a doversi riconoscere protagoniste sino a quel momento, e che, in quel modo, le avevano così ridotte.
Entrambe scalze, Lys’sh e Rula si offrirono nel confronto con il suo sguardo più nude che vestite, l’ofidiana indossando soltanto i pantaloni e il reggiseno, e l’umana, altresì, soltanto la giacca militare, sufficientemente ampia, per sua fortuna, a ridiscendere sino ad accarezzarle la linea inferiore dei glutei ma, ciò nonostante, non sufficientemente ampia da garantirle maggiore intimità nelle proprie forme, lasciandole completamente nude le splendide e tornite gambe, quasi, allora, si fosse semplicemente appena alzata dal letto per andare in bagno e, per non essere completamente nuda, avesse quindi indossato la prima cosa capitatale a tiro. Considerando quanto, allora, due terzi dell’abbigliamento di entrambe avrebbero avuto a doversi riconoscere perduti, al pari, del resto, della quasi totalità del loro equipaggiamento, del quale, lì, emergevano giusto un fucile e una spada di luce, l’uno impugnato da Rula, l’altro da Lys’sh, più che giustificabile, più che comprensibile avrebbe avuto a doversi riconoscere ogni dubbio nel merito di quanto fosse loro accaduto, e di come potesse essere stato possibile, per loro, ridursi in quella condizione.
Ma se pur, allora, tali interrogativi avrebbero avuto a dover essere considerati legittimi, un’altra questione, un’altra emergenza avrebbe necessariamente attratto l’attenzione di Duva, nel confronto con la situazione nella quale, in quel momento, entrambe si stavano dimostrando spiacevolmente intrappolate. Giacché, non diversamente da quanto accaduto pocanzi a lei e Midda, anche loro avrebbero avuto a doversi lì distinguere qual nascoste dietro a un cumulo di pietre, di macerie, assediate, nel fronte a loro anteriore, da almeno una mezza dozzina di antagonisti, intenti a riversare in loro contrasto così tanto fuoco da non concedere loro neppure l’opportunità di immaginare di potersi rialzare da terra e, in ciò, di poter loro rispondere.
E sebbene, ormai troppi giorni prima, il loro gruppo, la loro squadra, si fosse separata animata da toni tutt’altro che amichevoli, e si fosse separata, in ciò, anche e soprattutto per sua responsabilità, e per colpa della sua assurda gelosia verso Rula; in quel momento, in quel frangente, Duva non ebbe a riservarsi alcuna esitazione a decidere di intervenire, e a decidere di intervenire, allora, in aiuto alle sue compagne di squadra, non potendo neppure prendere in esame l’idea di voltar loro, né metaforicamente, né fisicamente, le spalle, abbandonandole al proprio destino…
« Ehy… piscialletto! » apostrofò quindi in direzione del ragazzino da lei appena ucciso, il cui fucile da cecchino avrebbe avuto a doversi riconoscere migliore rispetto al proprio per un compito del genere, per un lavoro simile « Dammi un attimo la tua arma, che ho bisogno anche io di allenarmi un po’ al tiro a segno. »
« Ma vai a farti… » tentò di replicare l’altro, irritato per il termine con il quale era stato appena indicato, salvo ritrovarsi improvvisamente agguantato per il bavero dalla mancina della donna e spinto di prepotenza verso il bordo della torretta, pericolosamente in bilico verso il vuoto sotto di loro « … dannazione!… Ma sei impazzita?! » protestò impaurito, aggrappandosi immediatamente con le mani al suo avambraccio, a cercare non tanto di liberarsi, quanto e piuttosto di legarsi a lei, nel timore, non gratuito, di poter essere da lei spinto fuori e, in questo, condannato a una fine decisamente meno gradevole, e più reale, rispetto alla morte della quale era già stato reso protagonista.
« Ti avviso: il sinistro non è il mio braccio più forte. » insistette ella, sballottolandolo su quel cornicione, apparentemente pronta a lasciarlo andare se soltanto non si fosse dimostrato più collaborativo « Il tuo fucile, per cortesia… »
« D’accordo… d’accordo… » replicò egli, offrendole ansiosamente quanto desiderato, prima di ritrovarsi, da lei, ritratto verso un fronte più sicuro e lì lasciato libero, avendo ottenuto quanto desiderato « … ma tu sei una psicopatica. Sappilo! »
« E tu sei un piscialletto… » sorrise la donna, con aria divertita, nell’essersi resa conto, prima di lui, della macchia di urina che, per lo sorpresa, per lo spavento conseguente alla minaccia suggeritagli, a quell’ipotesi di volo dalla cima della torre, aveva fatto la propria apparizione in corrispondenza alla sua coscia sinistra, confermando quanto già ipotizzato con Midda, ossia quanto, un cecchino, anche e solo per giuoco, non avrebbe avuto a doversi riconoscere propriamente ardimentoso nel proprio approccio e nel proprio carattere… anzi.
« Smettila di chiamarmi in quel modo! » protestò il giovane, irritato dalle parole di quella donna, quella donna che, se da un lato non avrebbe potuto ovviare anche a risvegliare in lui determinati generi di pensieri, dall’altra non avrebbe potuto ovviare a irritarlo, e a irritarlo per la morte impostagli e per la successiva violenza verbale e fisica in suo contrasto così banalmente dimostrata, quasi, effettivamente, nulla di più avesse a doversi dimostrare rispetto a un bambino « Tu non sai chi sono io…! »
« Effettivamente non lo so. » confermò Duva, annuendo quietamente a conferma di ciò « E, mi dispiace dirtelo, neppure mi interessa saperlo. » puntualizzò, a escludere qualunque sua particolare curiosità a tal riguardo « Ma prima che tu possa fare dichiarazioni per le quali potresti pentirti… forse è meglio che getti uno sguardo alle tue gambe. Perché, in questo momento, qualunque virile tentativo di affermazione del tuo nome risuonerebbe quantomeno… discutibile! »
Cogliendo, in tal modo invitato, la verità di quanto accaduto, il ragazzo, obbligatoriamente ammutolito, non poté ovviare ad avvampare per la vergogna e, in ciò, a scappare via di lì, rapidamente approcciandosi a ridiscendere, e a ridiscendere dalla torre, nella sola volontà di allontanarsi da quella donna e dall’umiliazione che ella gli aveva in tal maniera imposto.
E se, forse, una parte di Duva non avrebbe potuto ovviare a domandarsi se non fosse stata eccessivamente severa nei confronti di quel fanciullo imberbe, tale remora, tale dubbio venne immediatamente posto a tacere nel confronto con l’evidenza di quanto, sicuramente, quel ragazzo, quel giovane uomo, qual pur avrebbe avuto a dover essere necessariamente considerato, avrebbe avuto a dover essere anche riconosciuto abbastanza ricco, di famiglia, da potersi permettere una gitarella su quel dannato pianeta, per soddisfare, in ciò, le proprie fantasie di guerra. Un pensiero a confronto con il quale, pertanto, ogni pietà, ogni commiserazione, avrebbero necessariamente perso di valenza, permettendole di potersi quindi concentrare solo e unicamente sul proprio obiettivo e, nel dettaglio, sull’aiuto che avrebbe avuto a dover fornire alle due amiche, prima che potesse essere troppo tardi per loro.
Così, imbracciando il lungo fucile e cercando una postura più solida, utile a coprire la non indifferente distanza esistente fra sé e i propri nuovi bersagli, Duva inspirò ed espirò profondamente aria dai propri polmoni, prima di prendere la mira e premere il grilletto a esplodere un primo colpo…
martedì 24 luglio 2018
2617
Avventura
051 - Giochi di guerra
« Stai giù... » la invitò l’amica, invitandola a restare bassa nell’appoggiarle una mano sulla spalla sinistra, l’unica sulla quale, del resto, avrebbe mai potuto avvertire quella presenza « … ho già visto io dove si trova quell’eunuco. » suggerì, adottando il termine con il quale l’altra avrebbe desiderato identificare la minaccia su di loro incombente « E’ nascosto lassù… su quanto resta di quella specie di torre quadrata. »
« E allora cosa stiamo aspettando…? » domandò Midda, stringendosi appena fra le spalle, nel non ravvisare la necessità di ulteriori dettagli per agire « Non ho voglia di passare il resto della giornata accucciata qui dietro, quasi avessi realmente paura di quel fucile giocattolo! »
In verità, la Figlia di Marr’Mahew non avrebbe accettato di restare accucciata lì dietro neanche, in loro contrasto, avesse avuto a doversi considerare un vero fucile, laser o al plasma, pronto in ciò a estirpare ogni barlume di vita dalle loro membra. Tale, dopotutto, avrebbe avuto a dover essere considerata la sua mirabile natura, il suo incredibile carattere, la sua straordinaria forza: quella di una donna incapace di offrirsi quieta innanzi al pericolo, indolente nel confronto con l’azione, abbisognando, anzi, di schierarsi sempre in prima linea di fronte al nemico, per potersi concedere l’opportunità di essere la prima, se non la sola, discriminante del proprio stesso destino, della propria stessa sorte. E per quanto, ella, non avrebbe mai mancato di rendere grazia alla propria amata dea Thyres, figlia dei mari qual era dal giorno della propria stessa nascita e forse ancor prima, Midda Bontor non avrebbe mai potuto ovviare alla consapevolezza, al pensiero di quanto, comunque, la grande madre Thyres non avesse ad apprezzare coloro i quali, nel confronto con il fato, avrebbero atteso semplicemente l’evolversi degli eventi, senza divenirne fautori, senza tentare di prenderne il controllo e di districarsi, anche attraverso forze più grandi di sé, verso il proprio obiettivo, verso il fine prefisso, così come, per qualunque marinaio, avrebbe avuto semplicemente a doversi riconoscere il confronto con il mare infinito, con quel potere, con quell’energia che alcuno avrebbe mai potuto soggiogare, che alcuno avrebbe mai potuto piegare, ma che, al tempo stesso, essa alcuno avrebbe mai risparmiato laddove non si fosse dimostrato degno di ciò, laddove non avesse agito, con tutte le proprie energie, con tutte le proprie forze, con la mente, con il cuore, con l’anima e con il corpo, allo scopo di trovare la propria via attraverso le sue acque.
E se pur, Duva, più confidente con le armi da fuoco e con la facilità di morte che da esse avrebbe potuto derivare, non avrebbe potuto lì ovviare a cercare un approccio più prudente, malgrado tutto ciò avrebbe avuto a doversi ricordare, correttamente, qual un semplice giuoco, un assurdo carosello; al primo ufficiale della Kasta Hamina non venne concesso tempo alcuno per frenare il proprio responsabile alla sicurezza, non venne concessa occasione alcuna per trattenerla a terra, nell’impeto che quest’ultima, allora, volle rendere proprio, levandosi dal suolo e aprendo a sua volta il fuoco, e aprendolo non verso una chiara direzione, non verso un distinguibile bersaglio, non avendo ella avuto ancora occasione di individuarlo, quanto e piuttosto a creare quello che, più semplicemente, avrebbe avuto a doversi riconoscere qual un fuoco di copertura, e un fuoco di copertura utile a concedere alla sua stessa compagna d’arme occasione per muoversi, per agire, e per muoversi e agire a discapito di quel loro vile antagonista.
Così, costretta a non sprecare quanto Midda, a rischio della propria sopravvivenza, aveva deciso di compiere per lei, Duva si alzò dal proprio estemporaneo rifugio, e iniziò a correre, e a correre nella direzione nella quale aveva colto quel bagliore, ovviamente non seguendo una traiettoria rettilinea, che l’avrebbe eccessivamente esposta al nemico, quanto e piuttosto un’ampia parabola, che, se avesse avuto fortuna, le avrebbe permesso di giungergli alle spalle senza che questi potesse riservarsi la benché minima opportunità utile a comprendere cosa stesse accadendo.
Il cecchino, nella fattispecie, si era apprezzabilmente celato in una situazione di sufficiente superiorità, nella cima dei resti di una sorta di stretta e bassa torretta, la cui funzione originale avrebbe avuto a dover essere considerata di difficile interpretazione, e che pur, in quel particolare frangente, avrebbe avuto a dover essere giudicata più che ottimale per l’uso che questi le aveva destinato. Sollevato rispetto al suolo per almeno una trentina di piedi, forse più, malgrado l’assenza di qualunque copertura sulla propria superficie superiore il cecchino non avrebbe avuto a dover temere l’avvento di avversari, giacché, al di sopra della sua posizione, alcun altro rudere avrebbe avuto a doversi riconoscere sufficientemente elevato da poter rappresentare, per lui, una minaccia, un problema. E benché la Figlia di Marr’Mahew stesse facendo un ottimo lavoro nel tentare di mantenerlo bloccato al riparo nell’alto della propria posizione, con il rischio che anche solo uno di quei colpi sparati a caso potesse riuscire a raggiungerlo, Duva non avrebbe mai potuto accollarsi il rischio di muoversi in maniera troppo imprudente, sia nella possibilità di essere comunque da lui vista e, in questo, arrestata, sia nella possibilità della presenza di altri antagonisti lì attorno sparsi in attesa di falciarla, non per una qualche reale ragione, non per una qualche reale avversione, ma, semplicemente, per aumentare il proprio conteggio di vittime, l’unico vero punteggio che avrebbero potuto vantare all’interno di quel gioco.
Per riuscire a compiere il proprio percorso periferico, pertanto, la donna dagli occhi dorati ebbe a dover impiegare più tempo di quello che non avrebbe potuto preferire spendere ma, alfine, raggiunse la propria destinazione e, con essa, il fronte della torre opposto a quello contro al quale Midda stava scaricando con continuità, seppur con imprecisione, i propri colpi. Complice, tuttavia, la compromessa integrità strutturale di quell’edificio, e delle pareti stesse di quella piccola torre, tutt’altro che complicato avrebbe avuto a doversi riconoscere, per lei, riuscire ad arrampicarsi sin lassù, vedendola, anzi, avere la possibilità di risalire su quella parete in tempi estremamente più ridotti rispetto a quanto mai chiunque avrebbe avuto a poter ipotizzare. Così, in pochi, rapidi e precisi movimenti, Duva ebbe a coprire l’estensione verticale di quella parete e a raggiungerne la cima, là dove ebbe a poter incontrare il loro candidato assassino…
« Cielo… » esclamò, non senza una certa sorpresa, nel ritrovarsi allora a confronto con un ragazzo, forse un ragazzino, poco più che adolescente, certamente maggiorenne laddove in quel mondo, altrimenti, non avrebbe potuto essere presente e, ciò non di meno, difficile a doversi considerare effettivamente tale, in un volto ancora imberbe « … ma tu non dovresti essere a scuola?! » non poté fare a meno di domandare, sinceramente disturbata dall’entusiasmo che, in tutto ciò, avrebbe avuto a dover essere attribuito a un simile giovane nei riguardi della guerra, e, anche, di un ruolo infame come quello del cecchino, nel quale pur si era immerso di propria spontanea iniziativa, e nel quale pur avrebbe potuto ucciderle, anche se soltanto virtualmente parlando.
Per tutta risposta, e dimostrando un indubbio senso di autocontrollo utile a non perdere la testa neppure di fronte a quella comparsa inattesa, il ragazzino, sdraiato a terra qual si stava offrendo per restare al riparo dai colpi sparati da Midda, non esitò a imbracciare il proprio fucile e a sollevarne la punta dritta in direzione della nuova arrivata, per eliminare il problema così sopraggiunto alla radice. E se, in tale reazione, egli avrebbe potuto anche riservarsi la meglio su Duva, punendola per l’esitazione da lei dimostrata, per la pietà che ella aveva allor voluto rendere propria nel non freddarlo sul colpo; la donna non ebbe a concedergli simile occasione, tale opportunità, ruotando rapidamente su se stessa e andando a colpire la punta di quel fucile con un violento calcio, in grazia al quale l’arma gli venne letteralmente strappata di mano e proiettata al di fuori della torretta, là dove non avrebbe più potuto riservarsi altro danno.
« Vacca maledetta… » ringhiò egli, ponendo immediatamente mano al fianco, là dove una pistola avrebbe avuto a dover essere riconosciuta presente nella propria fondina, per tornare ad armarsi e per concludere quella spiacevole parentesi nella maniera più veloce possibile.
« Complimenti per il linguaggio, mio caro! » osservò Duva, storcendo le labbra verso il basso ed estraendo, ella, la propria arma prima di lui, lì inchiodandolo virtualmente al suolo, e inchiodandolo con tutta la lunghezza della propria spada di luce « E, per amor di dettaglio… questa vacca ti ha appena ucciso! »
lunedì 23 luglio 2018
2616
Avventura
051 - Giochi di guerra
Giunte ai confini della città, o di quell’ammasso di ruderi che, in un’epoca lontana, avrebbe potuto essere identificata in quanto tale, Duva e Midda ebbero a ritrovarsi a confronto con una situazione a dir poco avversa, non soltanto per l’ormai costante mancanza di qualunque indizio nel merito di un qualunque genere di percorso da perseguire per il conseguimento del proprio primario obiettivo, ossia chiarire i dettagli nel merito del fato di Comar Virto, ma, anche, nella presenza di un’intera città brulicante di potenziali antagonisti, dozzine di persone sparse attraverso quell’intero, amplio scenario, sol desiderose di porre prematura conclusione alla loro permanenza sul pianeta della guerra, in termini che, purtroppo, avrebbero allor vanificato ogni sforzo compiuto sino a quel momento per giungere sino a lì, se soltanto fossero giunti a compimento. E benché, sino ad allora, il loro valore avrebbe avuto a doversi considerare, riconoscere, inoppugnabilmente maggiore rispetto a quello proprio di qualunque potenziale avversario, di qualunque possibile antagonista, la semplice, e amara verità di quanto, allora, sarebbe stato sufficiente un semplice colpo esploso a caso, anche senza una reale cognizione di fatto, per ucciderle, e per escluderle, di conseguenza, da quel gioco, non avrebbe certamente reso tutto ciò più semplice da affrontare… anzi. A complicare, poi, ancor maggiormente quella già non banale situazione, non avrebbe potuto essere sottovalutato il pensiero di quanto, all’interno dei confini di quella città, avrebbero avuto allor a dover essere considerati qual imperanti i giocatori migliori di quell’assurdo carosello, giocatori i quali, pur eventualmente non potendo vantare alcuna reale, precedente esperienza bellica, avrebbero saputo ben dimostrare grande confidenza, se non, addirittura, maestria, con le particolari regole proprie di quello stesso giuoco, ragione per la quale, quindi, avrebbero avuto a dover essere razionalmente riconosciuti al pari di veterani esperti, giacché, all’interno di quel particolare contesto, avrebbero avuto a valere discriminanti ben diversi rispetto a quelli altresì propri di una reale battaglia.
Se, in guerra, in un vero contesto bellico, importante non sarebbe stata soltanto la bravura tecnica del soggetto in questione, ma anche la sua più quieta accettazione dell’idea di morte, e di morte violenta, da imporre ai propri antagonisti, nel superamento di quella linea morale fondamentalmente inesistente nel mondo dal quale Midda proveniva, e altresì ancor dotato di un certo valore in quelle realtà più tecnologicamente progredite, fosse anche e soltanto per semplice ipocrisia, e, in tutto ciò, certo avrebbe avuto a dover essere giudicato quanto, allora, in una tale, sporca e caotica situazione, una vera guerriera, una reale assassina qual la Figlia di Marr’Mahew avrebbe avuto necessariamente a potersi riservare un vantaggio superiore, nel ben conoscere la morte e ogni suo più macabro aspetto, fosse anche e soltanto l’odore, e quell’insopportabile odore proprio dei campi di battaglia, fra sangue, urina, feci e altri fluidi corporei violentemente estratti a ogni nuovo colpo, a ogni nuovo affondo o fendente, tondo o sgualembro; in quella guerra virtuale, in quel finto contesto bellico, tutto avrebbe potuto essere affrontato con la serenità propria di un gioco, e di un gioco che, pertanto, non avrebbe mai imposto alcun freno morale, alcuna inibizione, ai suoi partecipanti, non nell’idea propria dell’imporre la morte, non per le conseguenze più spiacevoli, più disgustose della morte, e di una morte violenta. Ragione per la quale, paradossalmente, anche un bambino, in quel pianeta della guerra, avrebbe potuto rivelarsi, potenzialmente, uno straordinario avversario, nel momento in cui, in fondo, nulla di più e nulla di meno rispetto a un giuoco avrebbe avuto a dover essere considerato tutto quello.
Chiara, tale consapevolezza, avrebbe avuto a doversi riconoscere nelle menti delle due donne nel momento in cui si approcciarono a quella città, così come altrettanto chiara, del resto, lo era stata sino a quel momento, nel lungo cammino che, a quella meta, le aveva quindi condotte, e che mai aveva loro concesso opportunità di sottovalutare i pur indegni antagonisti incontrati lungo il percorso affrontato. Chiara, tale consapevolezza, ebbe a doversi riconfermare nelle menti delle due donne nel momento in cui approcciarono a quella città, e si ritrovarono pericolosamente prossime a vedere il proprio cammino, il proprio incedere in essa, violentemente stroncato sul nascere, e stroncato in conseguenza alla semplice presenza di un cecchino. Un cecchino che mancò di far esplodere, virtualmente, il cranio della donna guerriero dagli occhi color ghiaccio soltanto in conseguenza alla prontezza di riflessi della sua amica, della sua compagna, della sua sorella d’arme che, ravvisando un fugace riflesso della luce del sole provenire da diverse centinaia di piedi di distanza, ebbe a cogliere il pericolo imminente e a trascinare a terra, insieme a sé, anche la Figlia di Marr’Mahew, nascondendosi insieme a lei dietro a un cumulo di rovine, di antichi resti coperti di terra e polvere, giusto un attimo prima che il braccialetto della medesima potesse illuminarsi di rosso a comunicare la sua esclusione dal gioco.
« … me ne devi una! » evidenziò Duva, in riferimento alla vita risparmiatale, e che, in ciò, avrebbe avuto a doversi considerare qual un proprio credito nei riguardi della propria interlocutrice « Aggiungila in conto alle altre, mi raccomando! » soggiunse, con tono scherzoso, volto a sdrammatizzare il momento, pur invero privo di reale drammaticità nell’assenza di una reale minaccia imposta al loro futuro, alla loro sopravvivenza, e altrettanto utile a rivendicare, in maniera indiretta, una personale superiorità nei riguardi dell’altra.
« … ti piacerebbe… » replicò per tutta risposta la mercenaria, aggrottando la fronte « Mi sbatti a terra senza alcuna ragione e pretendi, addirittura, un qualche credito nei miei confronti?! » soggiunse, sincera in quell’osservazione, non avendo avuto occasione di cogliere evidenza del pericolo corso, nella concitazione propria del momento.
« Stai iniziando davvero a perdere colpi, mia cara, se non ti sei neppure accorta della presenza di un cecchino… » la rimproverò l’amica, ben comprendendo il senso di quella nota, di quella critica nel merito dell’azione da lei condotta, un’azione che, tuttavia, avrebbe avuto a doversi considerare più che giustificata nel confronto con la presenza di quella minaccia a loro discapito « Nel mondo primitivo e barbaro dal quale provieni non avete dei cecchini…?! »
« Nel mondo primitivo e barbaro dal quale provengo, siamo soliti definire gente simile con parole meno eleganti… » dichiarò l’altra, aggrottando appena la fronte e sollevando appena il capo per cercare di gettare uno sguardo in direzione dell’ipotetico avversario, a comprendere ove egli avesse a dover essere considerato posizionato, salvo essere costretta rapidamente a riabbassarsi, nel temere un nuovo attacco a proprio discapito « Chiunque non abbia il coraggio di affrontare in campo aperto un avversario, non ha a doversi considerare un guerriero, quanto, e piuttosto, un pavido… mmm… come si dice colui al quale hanno tagliato il membro?! »
« Cosa…?! » domandò Duva, sgranando gli occhi nella sorpresa per quella particolare richiesta, nel merito di una condizione per la quale non avrebbe certamente potuto provare empatia, per ovvie ragioni, ma che, comunque, non avrebbe potuto ovviare a disapprovare, nella violenza da simile condanna suggerita « Forse vuoi riferirti ai castrati… ma a loro, al più, vengono tolti i testicoli. E, già così, non è che potrebbero essere particolarmente vivaci dal punto di vista sessuale… »
« No… nella mia lingua c’è un termine specifico anche nel caso dell’evirazione dell’interno pene. » puntualizzò la Figlia di Marr’Mahew, scuotendo appena il capo « In Y’Shalf e in altri stati orientali sono utilizzati come guardiani degli harem, ad assicurarsi che non possano avere alcun genere di rapporto con le donne lì racchiuse. » esplicitò, a cercare di meglio contestualizzare la cosa « Non che sia una pratica che mi trovi d’accordo, se non come eventuale punizione per certi dannati maniaci stupratori… »
« Ahh… ho capito. Ti riferisci agli eunuchi. » ricollegò l’altra, offrendo evidenza di aver compreso « Cioè… non ho mai saputo che ve ne fossero anche di completamente evirati, ma ne ho sentito parlare in vecchie storie, di mondi remoti ed esotici… »
« Quindi improvvisamente il mio mondo è stato promosso da primitivo e barbaro a esotico?! » ridacchiò la prima, non potendo ovviare a sottolineare quanto, con un semplice cambio di contesto, la questione potesse improvvisamente modificare la propria eventuale attrattiva, tornando a cercare di sbirciare oltre il loro temporaneo rifugio, ancora una volta nella speranza di cogliere indizi sulla posizione del loro infame e codardo antagonista.
domenica 22 luglio 2018
2615
Avventura
051 - Giochi di guerra
Fu proprio allora, quando ormai anche la speranza avrebbe avuto a doversi considerare purtroppo perduta, e la certezza di quella tragica fine avrebbe avuto a dover essere crudelmente accettata, che un improvviso colpo di tosse ebbe a scuotere il corpo di Rula, costringendo un primo fiotto d’acqua a lasciare le sue labbra e, attraverso esse, i suoi polmoni. Una reazione semplice, una risposta primitiva, e pur, in quel frangente, utile a comunicare un messaggio totalmente inequivocabile: la fine, per lei, non avrebbe avuto a dover essere equivocata qual già sopraggiunta.
« Rula! » esclamò con gioia la giovane ofidiana, subito aiutando l’amica a voltarsi, a girarsi su un fianco, per permettere a quel flusso di acqua lacustre di essere espulsa dalla sua bocca, dal suo corpo, a restituirle la possibilità di respirare e, in ciò, di vivere « Tossisci… butta tutto fuori, amica mia… tutto fuori! » la incitò, la incalzò, ancora con le lacrime agli occhi, benché, ora, non avrebbero avuto a dover essere equivocate qual lacrime di dolore, quanto e piuttosto di gioia, e di gioia per quella inattesa, seconda occasione a lei riservata, a tutte loro riservata, in una morte che, ancora, avrebbe avuto a dover attendere per incontrare quella giovane, e coraggiosa, piccola umana.
E Rula tossì, vomitò acqua dai propri polmoni, arrossendo per lo sforzo e, ciò non di meno, comprovando a ogni singolo sputo tutta la propria più assoluta, più concreta, più irremovibile volontà di vita, in una presa di posizione ormai estranea a ogni possibilità di dubbio e volta a ribadire a quel mondo e al Creato tutto, quanto ella non desiderasse morire, e non lo avesse mai desiderato, nel porsi piuttosto animata dall’unica, importante volontà di salvare la propria amica, e di salvare la propria amica da quella che, altrimenti, avrebbe potuto rivelarsi qual morte certa.
« Brava… brava… » continuò a incoraggiarla Lys’sh, aiutandola a sorreggersi, in quella posizione di equilibrio precario, tenendola ferma, sulla ciglia della canoa rovesciata, con il proprio stesso corpo, a impedirle di ritornare inavvertitamente in acqua, in un momento che, allora, avrebbe avuto a doversi considerare probabilmente prematuro, eccessivamente prematuro per non aversi a considerare ancora eccessivamente rischioso, nella facilità con la quale, nuovamente, quelle sue membra stremate avrebbero potuto cedere all’abbraccio delle acque del lago, vedendola nuovamente affondare in quell’oscurità di morte « Respira con il naso… butta tutto fuori… ce l’hai fatta, Rula: ce l’hai fatta! »
E Rula, scoprendosi alfine libera dalla morsa dell’acqua che, troppo a lungo, l’aveva soffocata, cercò di riprendere a respirare con quiete, con controllo, inspirando attraverso il naso per meglio aiutare il proprio corpo a riprendersi, a recuperare tutto l’ossigeno troppo a lungo mancatole, in una mancanza che, in quel frangente, in quel momento, stava rendendo quel presente qual incredibilmente confuso, non riuscendo ancora, ella, a distinguere con precisione le forme attorno a lei, le immagini del mondo a lei circostante, e, obiettivamente, avendo persino difficoltà a ricordare cosa fosse successo in quegli ultimi minuti. A ogni nuovo respiro, a ogni nuova boccata di aria fresca, tuttavia, quelle forme, quelle immagini, divennero sempre più nitide, e la visione del lago attorno a lei, della canoa sotto di lei, e di Lys’sh sopra di lei, aiutarono anche la sua mente a meglio focalizzare gli ultimi eventi occorsi, inquadrandoli uno a uno e riordinandoli, non senza una certa difficoltà, nella giusta sequenza temporale…
« … la… tarta…?! » tentò di domandare, a fatica, con ancora voce soffocata, in conseguenza alla lunga asfissia alla quale si era ritrovata sottoposta da quel fortunatamente ormai mancato annegamento.
« Non credo che sarà più un problema… » commentò sorridendo Lys’sh, scuotendo appena il capo con sufficiente fiducia nel confronto con la verità di quanto, quella bestia, quella creatura, qualunque fosse la sua natura, non avrebbe più aggredito tanto impunemente altre persone, non nella lezione così severamente impostale dalla stessa Rula… sempre ammesso, ma in maniera tutt’altro che scontata, che sarebbe riuscita a sopravvivere all’offesa subita, a quella slogatura della mandibola impostale da parte di quell’azione tanto coraggiosa quanto assolutamente priva di senno « Direi che le hai presentato, in maniera sufficientemente convincente, le tue ragioni… anche se, accidenti a te, non c’era bisogno di rischiare tanto nel farlo. »
« … saresti… morta… » sottolineò, ancora in difficoltà a parlare, a esprimersi, e a esprimersi in maniera più chiara, più naturale rispetto a quel sibilo graffiante nel quale, in quel momento, si era ridotta a essere la sua stessa voce.
« E questo in quale modo avrebbe potuto rendere sensato il tuo tentativo di suicidio…?! » escluse implicitamente l’ofidiana, in una domanda chiaramente retorica a fronte della quale alcuna risposta avrebbe avuto dover essere attesa o formulata « Non c’è bisogno che tu risponda, giacché in alcun modo ciò avrebbe avuto a dover essere ritenuto sensato. »
« … avresti… fatto… lo stesso… » contestò, tuttavia, Rula, non volendole concedere occasione utile a discreditare la legittimità del suo operato, non laddove, tramite esso, aveva avuto a poterla salvare, a concederle ancora una speranza di futuro, e non per giuoco, non in termini virtuali, qual pur in quel mondo avrebbe potuto essere, quanto e piuttosto in termini estremamente reali, e reali quanto la morte che, là sotto, avrebbe potuto esserle destinata a opera di quel mostro.
« Il fatto che io possa essere tanto idiota da sacrificarmi per un’amica, non significa che tu abbia a dover fare lo stesso… » tentò di obiettare, ancora una volta, benché, ormai, avrebbe avuto ad apparire chiaro quanto, nel bene o nel male, Rula avesse ragione, e null’altro le sarebbe allor rimasto se non la possibilità di accettare quietamente quella verità, concedendole il giusto riconoscimento per il suo straordinario ardimento: autolesionista forse, letale potenzialmente, e, ciò non di meno, straordinario.
« … oh… sta zitta… » concluse allora la giovane, ben comprendendo la propria vittoria morale in quel confronto e, in ciò, non avendo altro da aggiungere, altro da poter dire se non invitarla, allora, a tacere, e a concederle il tempo utile a riprendersi e a riprendersi da quanto affrontato, da quanto subito.
E Lys’sh tacque, a sincero rispetto per colei alla quale, a margine di tutto ciò, avrebbe avuto a dover riconoscere un debito incommensurabile, qual la propria stessa vita, un debito che forse, Rula non avrebbe mai considerato realmente tale, e che pur, la giovane ofidiana, non avrebbe neppur mai mancato di riconoscerle, di tributarle, con la speranza, presto o tardi, di avere una qualche occasione, una qualche possibilità, una qualche speranza utile a ricambiare il favore così offertole, non per liberarsi da quel debito, non per considerarsi banalmente alla pari, quanto, e piuttosto, per aggiungere altro solido cemento alle fondamenta che, in quegli ultimi giorni, avevano posto insieme alla base della loro amicizia, e di quell’amicizia sicuramente inattesa, e pur, allora, quanto mai sincera, qual non in arbitrarie parole, ma in concreti fatti, entrambe avevano avuto occasione di comprovare.
Perché in un’amicizia, e in un’amicizia qual quella a cui lì avevano avuto occasione di dar vita, non avrebbe mai potuto aver valore un banale conteggio contabile, alla ricerca di un’eguaglianza, di un pareggio, fra il dare e l’avere, quanto, e piuttosto, il crescendo costante e autoalimentato di quel loro legame sororale, in grazia al quale alcuna prova, alcuna sfida, sarebbe mai stata troppo estrema per frenare l’una dall’accorrere l’altra, e viceversa.
« … e quindi… ti ho salvata… » non poté ovviare a sorridere, alla fine, la stessa Rula, cogliendo nel silenzio dell’amica la giusta replica al suo ultimo invito e, soprattutto, riuscendo a iniziare, finalmente, a porre a fuoco gli ultimi eventi occorsi e, con essi, una così semplice, e pur straordinaria verità « … sono… stata brava! » si complimentò con se stessa, ancora sorridendo prima di lasciarsi accasciare su quella canoa, nuovamente svenuta, in conseguenza alla stanchezza accumulata, e, ciò non di meno, ormai in salvo.
sabato 21 luglio 2018
2614
Avventura
051 - Giochi di guerra
Osservando la superficie placida del lago, nessun eventuale testimone esterno avrebbe mai potuto cogliere la benché minima evidenza di quanto, là sotto, stesse accadendo, nelle profondità più tenebrose di quello scintillante specchio di luce fra la pianura e le montagne. Solo una canoa rovesciata, una coppia di pagaie abbandonate e qualche indumento sparso avrebbero potuto essere colti allora lì inermi, alla deriva, destinati probabilmente all’oblio, smarrendosi per sempre in quel lago ignorato dai più, trascurato dalla maggior parte delle persone, nella troppo spiacevole promessa di morte virtuale che, in esso, avrebbero superficialmente contemplato, senza, altresì, rendersi conto di quanto, comunque, sotto quella superficie tranquilla, sotto quel luccicante manto d’acqua, un’assolutamente reale, e indubbiamente terrificante, possibilità di condanna avrebbe avuto a poterli attendere.
E se difficile sarebbe stato, per un eventuale testimone esterno, definire l’effettiva estensione dell’arco temporale nel corso del quale, là sotto, avrebbe veduto scomparire Lys’sh e Rula; ancor più difficile, se non impossibile, sarebbe stato per le due stesse compagne d’arme, per quelle due sorelle in arme, qual, ormai, avrebbero avuto a doversi considerare dopo quella comune lotta per la sopravvivenza, aver a poter valutare il tempo nel corso del quale, lì sotto, avevano avuto perdere contatto con la realtà, a perdere contatto con la vita, per immergersi drammaticamente, tragicamente, in un oscuro limbo dal quale improbabile sarebbe stato riservarsi la possibilità di riemergere, per i troppi fattori lì in loro contrasto, per quella che avrebbe avuto a dover essere contemplata quasi come un’eccessiva avversione del destino. Un destino il quale, a loro discapito, aveva in tal maniera non soltanto schierato quell’oscena tartaruga tentacolata aliena, ma, ancor più, e forse più banalmente, le acque proprie di quel lago, con le loro correnti, con le loro forze, e, soprattutto, con la più totale impossibilità, per entrambe, a respirare, nel suggerimento di una morte che, allora, non avrebbe avuto a potersi ipotizzare, forse, particolarmente più piacevole rispetto a quella che avrebbe potuto essere loro riservata nel caso avessero stolidamente affrontato il vuoto siderale senza alcuna tuta a garantire loro riparo dal gelo dello spazio e, soprattutto, aria per i loro polmoni.
Facile, troppo facile, per loro, così come per chiunque altro nelle loro condizioni, sarebbe quindi stato morire, sarebbe quindi stato divenire parte di quel lago, smarrendosi per sempre nei suoi meandri più oscuri, in un fato di morte in conseguenza al quale, poi, né Midda, né Duva, né alcun altro a bordo della Kasta Hamina, avrebbe mai avuto possibilità di comprensione, di accettazione, condannati a ignorare, per sempre, la loro sorte, il loro fato ultimo e, in ciò, condannati a non poter realmente accettare l’accaduto, a non poter realmente abbracciare il lutto e, con esso, a rassegnarsi per quella fine altresì inspiegabile, non diversamente rispetto a Dahab Virto nel merito del fato certamente non più sereno, non più felice, di suo figlio Comar.
Ma se pur facile, troppo facile, per loro, così come per chiunque altro nelle loro condizioni, sarebbe quindi stato morire, sarebbe quindi stato divenire parte di quel lago, quanto certamente avrebbe avuto a dover essere riconosciuto a entrambe, tanto alla giovane Lys’sh, quanto all’ancor più giovane Rula, avrebbe avuto a dover essere un’evidente avversione per le soluzioni troppo semplici, così come per le rese incondizionate innanzi a un fato scritto da qualcun altro. Ragione per la quale, allora, dopo un tempo forse interminabile, forse inumano, forse addirittura impossibile, osservando la superficie placida del lago, un eventuale testimone esterno sarebbe necessariamente stato sorpreso dalla comparsa, improvvisa, di due figure femminili al centro del medesimo, non lontane da quella canoa rovesciata e da quelle pagaie e quei vestiti alla deriva. Due figure femminili, un’ofidiana e un’umana, la prima delle quali palesemente provata dalla prolungata apnea, mentre la seconda delle quali, altresì, apparentemente priva di sensi, o forse di vita, per la medesima ragione…
« Danna… zione… » ansimò Lys’sh, osservandosi attorno e ricercando la canoa, nel cercare di mantenere a galla non soltanto se stessa, ma anche la propria compagna « Dannazione… Rula. Non… pensare neppure… per un secondo… di poter morire! » insistette, rivolgendosi apertamente alla compagna svenuta, peso morto fra le sue braccia, iniziando a nuotare con essa verso la canoa, per potersi lì appoggiare e, in qualche modo, per poter far riprendere coscienza all’amica, a colei che tanto si era sacrificata per assicurarle un futuro e che, in ciò, mai si sarebbe potuta perdonare se soltanto fosse morta.
Muovendosi con la maggior rapidità concessale dalla situazione, la giovane ofidiana coprì velocemente la breve distanza esistente fra loro e la canoa e, una volta giunta alla stessa, con tutte le proprie forze, con tutte le proprie energie, sollevò di peso l’amica e la proiettò, quasi la lanciò, sopra la medesima canoa rovesciata, a trovare, in tal maniera, un sostegno, un appoggio, e lì a concedere anche a se stessa l’opportunità di capire come poter agire per lei.
Non fu semplice, non fu scontato, e non fu immediato, per lei, riuscire in tal senso, ma, non senza una violenta botta per la stessa Rula, ella riuscì a posizionarla sulla canoa rovesciata e, lì, a porla in salvo, almeno estemporaneamente, dalle acque che tanto stavano cercando di reclamare la sua morte. Acque che pur, già infiltratesi nei suoi polmoni, non avrebbero tanto facilmente rinunciato a lei se soltanto Lys’sh non avesse agito alla svelta, nel tentare di rianimarla. E per quanto improbabile avrebbe avuto, allora, riuscire a restare entrambe in equilibrio su quella canoa rovesciata, sulla chiglia di quell’imbarcazione, l’ofidiana non esito ad agire, e ad agire con tutta la propria agilità, con tutto il proprio senso dell’equilibrio, al fine di conquistare posto accanto a lei, al di sopra di lei, per poter tentare, in qualche maniera, di liberarle i polmoni dall’acqua e di costringere il suo cuore, drammaticamente percepito qual fermo, a riprendere a battere, e a riprendere a battere con lo stesso ardimento, con lo stesso indomito coraggio che tanto aveva sospinto quella giovane sciocca a mettere così in dubbio il proprio destino, il proprio futuro, per salvarla, e per salvarla da morte certa.
« Stupida… umana… » imprecò Lys’sh, piegandosi su di lei, per praticarle la respirazione artificiale e per iniziare a massaggiarle il petto, cercando di forzare il suo cuore a riprendersi, a riavviarsi, pregando di non averci messo troppo tempo a recuperare la superficie, di non essere arrivata troppo tardi a intervenire e a intervenire per lei « Stupida… scimmia senza peli… » continuò a insultarla, alternando la respirazione bocca a bocca al massaggio cardiaco, in ciò impegnando tutte le proprie forze, tutte le proprie energie, e, anche, tutta la propria rabbia, rabbia per il sacrificio che Rula non aveva esitato a compiere per lei e per il quale mai si sarebbe potuta perdonare, se soltanto fosse morta « Non osare morire… non osare morire… o non ti perdonerò mai! » insistette verso di lei, quasi in sua opposizione, per quanto stesse compiendo tutto il possibile per cercare di risvegliarla, per tentare di farla riprendere dallo stato di morte apparente nel quale era precipitata « Mi hai capito?! Mi hai sentito, stupida che non sei altro?! »
Purtroppo, però, alcun segno sembrò essere in grado di suggerire che Rula la stesse effettivamente comprendendo, o anche solo ascoltando, riversa supina, in posizione quasi innaturale su quella canoa, sotto di lei, inanimata al pari di una meravigliosa bambola o, forse e peggio, di un cadavere. E, stremata dalle proprie emozioni, dalla propria frustrazione, dalla propria rabbia, Lys’sh non poté trattenersi, allora, dal colpirla al petto, e dal colpirla con la foga di uno… due… tre pugni… perfettamente mirati sul suo cuore, a cercare di costringerlo a riprendersi, a riavviarsi, benché, tragicamente, ormai stesse apparendo sufficientemente chiaro quanto la vita avrebbe avuto a doversi considerare ormai svanita per lei, ormai perduta per quella giovane, bella e incosciente donna che tanto aveva sognato, tanto aveva sperato, di poter dimostrare di essere a sua volta una guerriera, e che da guerriera, in tal maniera, era purtroppo morta.
« Rula... » sussurrò soffocata il nome dell’amica, crollando sopra di lei, in lacrime, non volendo accettare quella morte e, ciò non di meno, non potendo fare altro, nel confronto con l’ineluttabilità di un destino crudele.
venerdì 20 luglio 2018
2613
Avventura
051 - Giochi di guerra
Quando, malgrado tutte le inevitabili difficoltà per lei proprie qual conseguenza di un senso della vista inferiore persino a quello di un umano, Lys’sh ebbe occasione di distinguere la sagoma di Rula, e di distinguerla nel mentre in cui ella stava venendo risucchiata all’interno di quell’enorme bocca, la certezza della fine della compagna non ebbe a essere posta in discussione, con tutto il carico di rabbia, di frustrazione, di dolore e di senso di colpa che, da ciò, non avrebbe potuto ovviare a derivare.
Benché a sua volta probabilmente prossima alla morte, e in ciò destinata a pagare in prima persona il prezzo della stolida scelta compiuta nel voler attraversare quel lago anche laddove nessun altro si stava in tal senso impegnando, la giovane ofidiana non avrebbe potuto ovviare a colpevolizzarsi per tutto ciò, conscia di quanto, se soltanto ella avesse agito diversamente, se soltanto non avesse insistito in quella direzione, allora entrambe sarebbero state quietamente al sicuro a passeggiare lungo la sponda di quel grande lago, limitandosi a contemplare serenamente la bellezza del luogo. Purtroppo così non era stato, purtroppo ella aveva voluto a tutti i costi intraprendere quella stupida scorciatoia, e, in ciò, aveva condannato a morte non soltanto se stessa, ma anche la giovane Rula, la sua protetta che, in lei, tanta fiducia aveva riposto, che a lei tanta fedeltà aveva destinato, al punto tale da essere alfine morta per lei, condannatasi in una maniera terribilmente stupida ad anticiparla fra le fauci di quell’oscenità celata sul fondo del lago.
Maledetto, stupido pianeta della guerra.
Maledetta, stupida missione di soccorso.
Maledetta, stupida Lys’sh.
Da quando lì erano arrivate, tutto era andato per il peggio, tutto era andato per il peggio anche e soprattutto per colpa sua. Se soltanto, infatti, ella non avesse dato vita a quell’assurdo scisma, a quella stolida separazione dalle proprie amiche, da Midda e da Duva, certamente nulla di tutto quello sarebbe accaduto.
Perché diamine si era voluta intromettere? Perché diamine aveva voluto a tutti i costi puntare i piedi in contrasto a Duva, pretendendo da parte sua un improvviso cambiamento nel suo comportamento, e nel suo comportamento nel confronto con Rula, laddove per anni, già da prima del suo arrivo a bordo, la loro relazione aveva avuto occasione di procedere tranquillamente in quei termini? A quale scopo sforzarsi di cambiare quella situazione, e quella situazione consolidata, soltanto per finire con il condannare a morte proprio colei in favore della quale avrebbe pur desiderato agire?
E se, pur, quasi consolatoria avrebbe avuto a dover essere intesa la propria prossima morte, nell’ineluttabilità del fato a cui, allora, si sarebbe vista condannata qual estrema, ultima conseguenza di tutte le proprie azioni, di tutto il proprio operato, quella prospettiva non avrebbe potuto, in alcuna maniera, concederle pace… non in quel momento, non nel confronto con la morte di quella giovane così straordinariamente ricca di vita e di voglia di vivere, e di lottare, e, ciò non di meno, così ancora incredibilmente ingenua su quanto, allora, avrebbe avuto a voler realmente significare andare in guerra.
Povera Rula…
« … » imprecò Lys’sh, sgranando gli occhi e, per un attimo, ritrovandosi a essere completamente dimentica di non avere neppure più fiato per vivere, figurarsi, quindi, per potersi permettere di imprecare.
Fiato a parte, quella muta imprecazione non avrebbe potuto essere da lei ovviata nel momento in cui, in maniera assolutamente spiazzante, il suo sguardo vide accadere qualcosa più in basso, sul fondo del lago, là dove il mostro l’attendeva e là dove esso avrebbe dovuto aver appena ucciso Rula.
Perché quell’enorme testuggine tentacolata ebbe a dimostrare, in termini del tutto inattesi, un certo disturbo, una chiara difficoltà, un evidente turbamento, e un turbamento che, allora, avrebbe avuto a doversi ricondurre all’ultimo boccone ingoiato. Quel boccone che, tutt’altro che vinto, tutt’altro che sconfitto, tutt’altro che giudicabile qual ingenuo nel proprio incedere a confronto con la guerra e con le sue impietose regole, non si era semplicemente condannato a morte ma, piuttosto, stava allor impegnandosi, con tutte le proprie forze, a guadagnarsi il proprio diritto alla vita, il proprio diritto al futuro, e, con essi, eguale vita ed eguale futuro anche per colei che, troppo velocemente, aveva allor decretato la sua triste dipartita.
Rula, infatti, intrappolatasi nelle fauci di quel mostro, stava riuscendo, faticosamente ma incredibilmente, a contrastare tutto ciò, a respingere la sua violenza, la sua forza, puntando con tutte le proprie energie, con tutte le proprie forze, i piedi e la schiena fra il palato e la mandibola, e lì premendo, lì convogliando tutta se stessa, al solo, straordinario scopo di disarticolare quella mandibola, e, così, di porre fine allo scontro. E se, in tutto ciò, forse ella avrebbe avuto a dover vantare una possibilità su un milione, o una su un miliardo, quel suo coraggio, quel suo ardore, non passarono inosservati innanzi agli sguardi degli dei, o di chi per essi, i quali, evidentemente, non vollero lasciar tanto valore, tanto straordinario impegno, qual vano, qual fine a se stesso, e, in ciò, eventualmente destinato a fallimento, concedendole, altresì, il successo sperato, e concedendoglielo con un risultato persino maggiore di quanto ella non avrebbe mai potuto illudersi di ottenere.
Perché, con un improvviso schiocco secco, che riuscì a essere udito perfettamente anche in acqua, quella mandibola lasciò alfine la propria sede, vedendo Rula, in conseguenza di ciò, letteralmente saltare fuori da quella bocca, come una molla troppo a lungo compressa che, alfine, riesce a distendersi, e a distendersi per ben oltre la propria naturale portata, la propria consueta estensione. E se la speranza, alla base di simile azione, di un tale impegno, avrebbe avuto a doversi intendere quella di sorprendere, e di spaventare la creatura, costringendola a un’insperata ritirata, ciò fu quanto effettivamente accadde, e accadde in un instante, nel veder liberata Lys’sh dai tentacoli, e nel veder il mostro allontanarsi, rapidamente, da lì, tutt’altro che desideroso di correre il rischio di un nuovo confronto con quelle due ipotetiche prede, suo malgrado dimostratesi tutt’altro che collaborative, tutt’altro che disponibili a saziarlo.
Purtroppo, per quanto vittoriosa nel proprio intento, Rula non avrebbe avuto a doversi considerare propriamente salva. Così come anche Lys’sh, finalmente libera di muoversi e sol desiderosa di riconquistare la superficie e ritrovare il contatto perduto con l’aria sopra di loro, ebbe infatti a notare, la sua inattesa salvatrice, la sua compagna e amica, aveva dato fondo a ogni energia, e, soprattutto, a tutta l’aria all’interno del proprio corpo, per poter sperare, a propria volta, di riconquistare il mondo superiore. E, in ciò, come peso morto, ella non poté ovviare a lasciarsi semplicemente adagiare sul fondale del lago, fra le alghe, nell’essere in tal senso destinata lì a giacere, e a giacere per l’eternità...
… a meno che, ovviamente, l’ofidiana non decidesse di ricambiare il favore e, in ciò, di intervenire e di intervenire, pur in condizioni già indubbiamente precarie, allo scopo di salvare Rula, spingendosi, con tutte le proprie ultime forze, verso il fondo del lago, a recuperarne il corpo inanimato per risalire, insieme a lei, verso la superficie, nella speranza di, malgrado tutto ciò, non fosse troppo tardi per lei.
E se interminabile era stata la discesa, altrettanto interminabile, o forse in misura persino maggiore, ebbe a essere la risalita, e la risalita verso una meta apparentemente troppo distante, troppo lontana per poter permettere loro di salvarsi, per poter permettere loro di raggiungerla e di raggiungere, con essa, l’aria loro promessa. E se incredibilmente pesante, in quel momento, avrebbe avuto a risultare il corpo inanimato di Rula, non per un fugace istante, non per un effimero momento, Lys’sh prese in esame l’ipotesi di lasciarla andare, anche laddove, in caso contrario, forse nessuna delle due ce l’avrebbe alfine fatta: mai, infatti, l’ofidiana avrebbe potuto abbandonarla, mai avrebbe potuto tradirla, non in linea generale, e certamente non dopo quanto accaduto, dopo che quella giovane, impavida donna, tanto aveva rischiato per lei, tutto aveva posto in gioco per salvarla, anche in esplicito contrasto alle sue stesse richieste, ai suoi stessi ordini.
Qualunque cosa fosse accaduta, ancora una volta, o avrebbero raggiunto insieme la superficie, o insieme sarebbero lì affogate… in un’eventualità tutt’altro che remota, tutt’altro che di difficile concretizzazione, nel considerare quanto, ormai, Lys’sh avesse iniziato ad avvertire le proprie cellule celebrali esplodere come tante piccole bolle di sapone per l’eccessivamente prolungato periodo di forzata apnea.
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